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Editoriale

Ricorrenze 3Cari amici

Passiamo all’altra riva 4ReportComunicare speranza e fiducia nel nostro tempo 6Spazio giovani

La schiavitù delle mode 8Problemi d’oggiPesticidi: il Glifosate 10Perché… mi parli così? 12Il virus del relativismo 15 Ricordare per riflettereP. Turoldo: cristiano e poeta 16Dentro di meIn realtà... 20Dossier A 500 anni dalla riforma protestant 21ProfiliI nostri confratelli 34Vita e missioneSeguendolo Spirito 32Nostra storiaRicordando i nostri Religiosi 37FlashScuola: una comunità emotivamente intelligente 40Angolo vocazionaleMi chiamo Angelo... 41In memoriaRicordiamoli 42Recensioni ‘Habriaqueismo’ 45Letti per voi 46

Anno LVIII - N. 176ottobre dicembre

N. 4 - 2016Periodico trimestrale dei Padri Somaschi

Direttore editorialep. Mario RonchettiDirettore responsabileMarco Nebbiai

Hanno collaboratop. Mario Ronchetti,p. Franco Moscone,Enrico Viganò,p.Giuseppe Oddone,p. Luigi Amigoni,Danilo Littarru,Marco Calgaro,Deborah Ciotti,Fabiana Catteruccia, p. Michele Marongiu,p. Livio Balconi,p. Luca Mignogna,Angelo Stocco

FotografieArchivio somasco, autori articoli,Giuseppe Oddone, Internet

StampaADG Print srl 00041 Albano Laziale (Roma)Tel. 06.87729452 Abbonamentic.c.p. 42091009 intestato: Curia Gen. Padri Somaschivia Casal Morena, 8 - 00118 Roma

Vita somasca viene inviata agli ex alunni, agli amici delle opere dei Padri Somaschi e a quanti esprimono il desiderio di riceverla. Un grazie a chi contribuisce alle spese per la pubblicazione o aiuta le opere somasche nel mondo.Vita somasca è anche nel web:[email protected] dati e le informazioni da voi trasmessi con la procedura di abbonamento sono da noi custoditi in archivio elettronico. Con la sottoscrizione di abbonamento, ai sensi della Legge 675/98, ci autorizzate a trattare tali dati ai soli fini promozionali delle nostre attività. Consultazioni, aggiornamenti o cancellazioni possono essere richieste a: - Ufficio abbonamenti Via Casal Morena, 8 - 00118 RomaTel 06 7233580 Fax 06 23328861

Autorizzazione Tribunale di Velletri n. 14 del 08.06.2006

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Sommario

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Editoriale

È compito vostro…

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Cordiale, significativo e profetico è stato l’incontro deipartecipanti al 138° Capitolo generale dell’Ordine conpapa Francesco, il 30 marzo, nella Sala del Concistorodel Vaticano. A padre Franco Moscone, riconfermatocome preposito generale, e ai capitolari, il Santo Padreha indicato dei compiti precisi.

“Prendete a cuore ogni povertà della nostra gioventù,morale, fisica, esistenziale, e innanzitutto la povertàdi amore, radice di ogni serio problema umano”.“Mettetevi in uscita per andare verso l’umanità feritae scartata”.“Il tratto caratteristico della vostra vocazione è so-prattutto la cura degli ultimi, in particolare degli or-fani e della gioventù abbandonata”.“Ci sono i nuovi ‘mezzi orfani’: quei migranti, ragazzi,bambini che vengono da soli nelle nostre terre e han-no bisogno di trovare paternità e maternità. Vorreisottolineare questo: sui barconi tanti vengono da solie hanno bisogno di questo. Questo ed altro è compito vostro”.

“Non abbiate paura di ‘lasciare gli otri vecchi’, per unservizio più evangelico e coerente col carisma origina-rio”.“Per rendere un servizio adeguato nel campo del disagiominorile e giovanile, avete l’opportunità di coinvolgerei laici somaschi, per un impegno più consistente nel-l’ambito sociale del carisma”.“I diritti umani, la tutela dei minori, i diritti dell’infan-zia e dell’adolescenza, la tutela del lavoro minorile, laprevenzione dello sfruttamento e della tratta sono que-stioni che vanno affrontate con la forza liberatrice delVangelo e, in pari tempo, con adeguati strumenti ope-rativi e competenze professionali”.“Vi incoraggio a continuare attivamente il vostro lavo-ro di formazione dei catechisti, degli animatori laici e delclero”.“Vi incoraggio a portare avanti il vostro cammino di se-quela e il vostro dinamismo apostolico, ricco di molte-plici opere e sempre aperto a nuove espressioni, secon-do i bisogni più urgenti della Chiesa e della società neidiversi tempi e luoghi”.

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La solennità di san Girolamo 2017 (8 feb-braio) ci coglie durante la preparazione im-mediata al CXXXVIII Capitolo generaledell’Ordine (12 marzo); diventa così mo-tivo per intensificare la preghiera e la di-sponibilità di mente e di cuore per viverel’occasione di grazia che ci viene donata.Il motto e il logo del prossimo evento ca-pitolare lo conosciamo: si tratta dell’invi-to di Gesù ai discepoli “passiamo all’altrariva… (Mc 4, 35)”, integrato dalla con-vinzione del nostro Fondatore “insieme ainostri fratelli con i quali vogliamo vive-re e morire (An 12, 5)”.Passare all’altra riva non è sempre facilee comporta rischi. Cosciente di questa si-tuazione esistenziale vorrei soffermarmicon voi alla scuola di un personaggio bi-blico che potrebbe aiutarci nel percorso checi aspetta: il profeta Giona. La sua esperienza è contenuta nel libro cheporta il suo nome: si tratta di soli 4 capi-toletti, che possono costituire per noiun’icona di attraversata.Giona è una persona che, per approdarealla riva a cui Dio lo mandava, oltre a tro-vare difficoltà esterne, ha inventato e po-sto problemi lui stesso: ha fatto opposi-zione attiva all’invito di Dio di “passare al-l’altra riva”. Alla fine ha raggiunto lameta anche se, come traghetto, ha dovu-to utilizzare “un grosso pesce” mandato-gli da Dio! Non è né facile né semplice latraversata, ma non è neppure facoltativa:non si può restare in mezzo al guado, sa-rebbe morte certa pur senza sperimenta-re tempeste o trovando sempre bonaccia! Sarà morte fisica, venendo meno le so-stanze di sussistenza; sarà morte psichi-ca, per cadere in depressione, non tro-vando risultati nel presente e prospettiveper il futuro; sarà morte spirituale, per nonaver più il senso di Dio e il gusto della mis-sione affidataci.Credo che il confrontarci con Giona ci pos-

sa insegnare le cose da evitare e quelle daascoltare e discernere. Giona può essere il timoniere del Capito-lo generale nell’aiutare e orientare la Con-gregazione nelle tre attenzioni che indico.

Evitare le paure che ostacolano la traversataNel progettare il cammino è facile lasciarsiprendere da paure che ci fanno andare indirezione diversa da quella indicata da Dioo che ci motivano a rimanere fermi nellenostre certezze e tradizioni. Giona trova motivazioni per compiere lasua volontà e la vede “conforme al carismae alla missione di profeta”… segue sì le in-dicazioni di “alzarsi” e “andare a predi-care la Parola” in una “città” procla-mando “la penitenza e la misericordia”,ma vuole essere lui a scegliere la città (Tar-sis invece di Ninive) e decidere gli effetti(la salvezza dei giusti e la condanna deimalvagi)… ma pensarla e decidersi inquesto modo è per Giona “allontanarsi daDio”, procedere verso “la riva sbagliata eopposta”, o rimanere fermo a galleggiarenel porto di Giaffa senza partire!

Evitare le fughe che indirizzano in direzione opposta alla “riva”Giona scende al porto di Giaffa e, procu-randosi un “regolare biglietto di viaggio”,sale sulla nave e si accomoda in fondo allastiva. Lì trova un ambiente che, nonostantei marosi, gli permette di dormire e di nonfarsi carico della situazione disperata.Saranno i marinai a svegliarlo e a gettar-lo nel mare in tempesta: sceso fino al-l’abisso è inghiottito dalla bocca di un gros-so pesce. Tutta la vicenda di Giona si pre-senta come una fuga che lo porta semprepiù in basso. La fuga/discesa di Giona hale caratteristiche esistenziali della ‘di-spersione (il porto è per definizione luo-go del disordine), dell’‘isolamento e rot-

Cari amici

Passiamo all’altra rivaAiutati dal profeta Giona: l’uomo del pesce

p. Franco Moscone crs

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tura delle relazioni’ (lanave che si stacca e si al-lontana sempre più), della‘perdita dal fondamento’che è Dio (rappresentazio-ne dell’abisso, del fondodel mare). Come Giona possiamo co-noscere il Dio vero, il Si-gnore del cielo e della ter-ra e venerarlo, ma ciò nontoglie che fuggiamo lon-tano da Lui. Come Gionapossiamo compiere la mis-sione che Dio ci ha affida-to, possiamo agire “secon-do il carisma e la missio-ne”, ma non secondo ilcuore di Dio, bensì secon-do la nostra mentalità esentimenti.

Ascoltare le domande e discernere con maturitàIl libro di Giona, anche sesolo di 57 versetti, è ric-chissimo di domande cheprovengono da più parti edinterpellano i diversi aspet-

ti della personalità del pro-feta. I marinai pongono aGiona domande che po-tremmo dire di tipo cultu-rale e circostanziale. Vedo in queste domande,con le risposte che ne se-guono, la ricerca che Giro-lamo ci consegna nella ter-za lettera: tredici proble-matiche puntuali che tro-vano il loro metodo di so-luzione nell’affermazionedel versetto 11: “tanto pre-gare e supplicare che ve-diamo e, vedendo, opera-re come le “circostanze”suggeriscono al momen-to”. Giona pone domandeal suo Signore sul signifi-cato della sua vocazione emissione: sono le doman-de di senso che Girolamoben sintetizza nella primalettera, ricordandoci che“non si lasci raffreddare ilfuoco dello spirito, perchése manca la “devozione”,mancherà ogni cosa”. E infine è Dio stesso chesollecita Giona con sue do-

mande, allo scopo di apri-re con lui un dialogo chenon deve essere più inter-rotto: il libro di Giona èl’unico testo della sacraScrittura che termina conuna domanda. Mi sembra ritrovare quil’esperienza che Girolamoci comunica nella sesta let-tera quando “supplica chesi aprano gli occhi dellanostra cecità e si doman-di misericordia”. Tutti itre tipi di domande, potre-mo dire con Bonhoeffer,corrispondono a un’uma-nità diventata adulta. Anche la nostra Congre-gazione è cresciuta, ha im-parato a camminare in cul-ture diverse da quelle del-la sua origine, non è piùquella dei primi quattrosecoli di storia. È importante farci le do-mande corrette e discer-nere le risposte, anche secomportano fatica e ri-schio. È strategico non darerisposte a domande mai

fatte, o ricorrere a tautolo-gie e giochi di parole pernascondere i propri inte-ressi o abitudini acquisite,che potevano andare beneuna volta, ma non più oggi!E così Giona può aiutarci aevitare paure frenanti, ariconoscere le fughe, a por-ci le domande corrette e ri-spondere con maturitàmantenendo sempre il dia-logo aperto col nostro Si-gnore. Di sicuro continue-remo a sperimentare tem-peste, a provare sconvol-gimenti e bufere prove-nienti da condizioni ester-ne o peggio, prodotte dainostri pensieri negativi esentimenti foschi, ma il Si-gnore, come ha fatto conGiona, ci raccoglie dal pro-fondo dell’abisso e conti-nua a prometterci che conLui raggiungeremo sanil’altra riva! Papa Bene-detto XVI ha scritto che lacarità senza la verità è unguscio vuoto… ma la veri-tà rivelata non è racchiusain concetti filosofici o for-mule scientifiche, la veritàè la storia che Dio compiecon l’umanità, è la storiache Dio compie con la no-stra umile Congregazio-ne: storia da riconoscerecon gioia, da accoglierecon responsabilità e da farcamminare verso il futuroche Lui ci apre! E allora cheil Capitolo generale immi-nente ci liberi dalle paure,ci sterilizzi dalla pigrizia dipensare e programmare ilfuturo, ci faccia risalire eportare a compimento lamissione che ci è stata af-fidata secondo le “circo-stanze” di oggi.

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ottobre dicembre 2016 Vitasomasca

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Non è proprio un buonmomento per la stampa eper i mass media. Quanto è successo per laBrexit e per le elezioniamericane, dimostranoche tra giornalisti e ilmondo reale non c’è mol-to feeling, che oggi il gior-nalismo è spesso staccatodalla vita della gente, dailoro problemi. Leggendo non solo i quo-tidiani di prestigio nazio-nali, ma anche i giornalion line, le notizie sono si-mili, e sembrano… un det-tato scolastico. Chi distribuisce le notiziesono i centri di potere po-litici ed economici mon-diali: passano le “veline” edanno informazioni diparte, e quasi mai con ap-profondimenti. Addirittura esistono - ed èun vero business - agenziefinalizzate a diffondere“bufale”, a creare apposi-tamente false notizie, perinfluenzare l’opinionepubblica, nella certezzache pochissimi verifiche-ranno l’attendibilità delleinformazioni. E chissà perché in certimomenti particolari dellavita politica, sociale o ec-clesiale veniamo a sapereche il tal candidato allaCamera dei Deputati ha

un reddito di tanti zeri,che il tal altro sacerdote èun omosessuale… Generalmente ci crediamoperché: “l’ha detto la te-levisione”, “l’ho letto ininternet”.Durante la campagna elet-torale americana, le falsi-tà (o post-verità come sichiamano più “corretta-mente” oggi le bugie) su laClinton e su Trump sonostate le più lette e ricerca-te sui social media dei ri-spettivi programmi elet-torali. E chi ha vinto le elezioni? Colui che di “post-verità”ne ha trovate di più. Ciò che importa è rag-giungere l’obiettivo discreditare l’avversario.Così è anche a casa nostra:si cerca di convincere gliitaliani, per esempio, chegli immigrati in Italia sono15 milioni, (in realtà sono5 milioni), che i musul-mani sono 12 milioni (in-vece sono un milione e700 mila) e via dicendo.Tutte falsità, ma molti cicredono con la conse-guenza che le opinioninascono dal “sentito dire”.Viene spontanea la do-manda: perché molti, pursapendo che una cosa è fal-sa, continuano a crederci?Lasciamo ai sociologi la ri-

sposta. A noi tornano inmente le parole di papaFrancesco tratte dal vi-deo messaggio inviato nel-l’ottobre scorso a RadioMaria Argentina: “I mediadevono seminare, nonsolo quelli cattolici, tutti.Seminare la verità, labontà e la bellezza. E quando un mezzo nonsemina la verità, seminala mezza verità, disinfor-ma, perché si dice solouna parte, non dice tuttala verità. Quindi è unamaniera di fare cattivainformazione e provoca-re molti danni… Quandoun mezzo di comunica-zione non semina la bon-tà distrugge, calunnia,diffama e non lascia cre-scere il buon seme”. Mi sembra già di sentirequalcuno trarre conclu-sioni come: “I social me-dia e internet non sonoeducativi, anzi dannosi: sipensi solo alle vittime delcyber bullismo!”.Comprensibili certe rea-zioni di fronte all’odio chesi scatena via web, manon per questo dobbiamodemonizzare la Rete. Già 20 anni fa il card. Car-lo M. Martini, aprendo ilsito della diocesi di Mila-no, parlava di una nuova“rete per le anime”.

Report

Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo

Enrico Viganò

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E papa Francesco, nei pri-mi mesi di pontificato,definì internet “dono diDio”. Anche mons. DarioViganò, prefetto della Se-greteria per la comunica-zione, non si stanca di ri-petere: la rete è il luogo incui scopriamo nuovi modiper stare con gli altri, sen-za per questo dimentica-re i rapporti diretti, per-sonali e reali. Ci vuole equilibrio, è in-dubbio, ma non utilizzarequesti nuovi strumenti dievangelizzazione è imper-donabile. Non è positiva ed enco-miabile, ad esempio, la

consuetudine di padreFranco, Superiore Gene-rale, e di altri padri, di ag-giornarci, tramite Face-book, sulla loro attivitàpastorale nelle case dellaCongregazione? Viene spontaneo cliccare“mi piace”, quasi a dire“ciao, grazie che mi haifatto partecipe”, e condi-videre il post con altri‘amici’. Ecco come i social po-trebbero contribuire acamminare assieme, a es-sere “Famiglia Somasca”.A breve ci sarà il Capito-lo Generale e mi auguroche tra i tanti problemi

che si dibatteranno possaesserci anche quello dellacomunicazione. La Chiesa, oltre ad esserepresente sui social me-dia, sta producendo unnotevole sforzo per rifor-mare tutti i media, conl’intento di dare ancorapiù forza alla voce delPapa nel mondo. Quante volte papa Fran-cesco ripete che bisognasuperare la tentazione del“si è fatto sempre così”,per aprirsi a nuovi oriz-zonti, per creare nuoviponti con chi è distante,con chi si trova su spondeopposte. Dio ci ripete anche oggi:“Non temere, perché iosono con te (Is 43,5)”. Un invito che diverrà an-che il tema della Giorna-ta della comunicazione2017, che si celebrerà il 28maggio prossimo, per co-municare speranza e fi-ducia nel nostro tempo. Nonostante tutto.

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Spazio giovani

La schiavitùdelle mode

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Non esistono limiti, oggi si può faretutto con una leggerezza ed una super-ficialità che lasciano atterriti. È forte, infatti, la convinzione che si pos-sa provare una sensazione per poi smet-tere quando si vuole; cambiare una par-te del corpo che non va più a genio, comein una trasposizione del mondo virtua-

le, in cui comporre il proprio avatar a pia-cimento. Tutto è lecito, pur di arrivare ad as-somigliare al modello-giocattolo-og-getto-perfetto, e tutto si fa anche allarincorsa del nuovo, del trend, dell’ul-tima moda. Seimila adolescenti, solo in Italia, han-no fatto uso di botox collagene, peelingchimici e dermoabrasioni - in Europaquesto consumo è mediamente diecivolte superiore (fonte GPF). Negli Stati Uniti, la ‘American Girl’, unamultinazionale che vende bambole, pro-pone addirittura alle bimbe-clienti ditruccarsi e agghindarsi per somigliare ilpiù possibile alle dolls che hanno appe-na comprato. All’interno dei propri store, poi, propo-

ne tour di una giornata, come fosserosoggiorni in piccole day-farm, affinché lebambine imparino a essere perfette, adimmagine e somiglianza della bamboladel cuore. L’interiorizzazione dei parametri cheoggi vengono assorbiti è frutto di un con-tinuo bombardamento mediatico, chelancia modelli precostituiti e trova negliadolescenti possibili arruolati nei ranghidei piccoli consumatori. È un’adolescenza “violentata” da questimodelli e dal consumismo indotto daimercati: i giovani sono quasi obbligatia conformarsi a ciò che i media propi-nano, divenendo cloni di personaggiche salgono alla ribalta in brevissimotempo, e senza fatica acquistano visibi-lità e successo; a qualsiasi prezzo ven-dono anche quello che di più persona-le hanno, l’importante è pubblicizzare lapropria intimità. Cullati dalle nenie pubblicitarie e adescatidall’effetto ipnotico dei messaggi mas-

Danilo Littarru

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smediali, scambiano lapropria identità con lapubblicità dell’immagine:è questo il processo dele-terio che avvia verso lametamorfosi, allontanan-doli da se stessi, e avvici-nandoli alla pubblicità cheli costruisce. Recenti ricerche hannoconvalidato l’ipotesi diuna marcata dipendenzadell’adolescente dalle sug-gestioni pubblicitarie, ri-nunciare a questo signifi-cherebbe uscire dalle lucidella ribalta e cadere nel-l’anonimato. Da anni si dibatte sull’in-cidenza dei media sullavita dei giovani, e sonotanti ad ammettere un’in-fluenza determinante. A tal proposito, si parla di“sindrome dell’isola deinon famosi” che procurainsicurezza, bassa auto-stima, fino ad arrivare acambiamenti significativinei comportamenti ali-mentari, procurando ag-gressività e inducendo adun abuso di alcol e droghe. Si pensi ai casi di anores-sia fra le giovani, e al mitodel corpo gracile e ossuto.Sono così la maggior par-te di fotomodelle che, congambe sottili e traballan-ti sui tacchi, visi scavatis-simi, popolano le passe-relle degli stilisti e le co-pertine delle riviste di altamoda. Già da qualche tempo l’ac-celerazione delle mode,l’invecchiamento pro-grammato e rapido dellemerci e delle tendenze, ildinamismo delle formulecomunicative della pub-

blicità, ci hanno indotto avedere nei consumi unpotente motore di velo-cizzazione della cultura edegli stili di vita. Negli ultimi decenni, ave-re personale dall’aspettogradevole è diventato unimperativo per un nume-ro sempre maggiore diambiti lavorativi. Addirittura, ci sono studiprofessionali che paganola palestra ai propri di-pendenti, mentre un nor-

male iter di assunzioneaziendale prevede un’ana-lisi dettagliata delle foto-grafie dei candidati. È la ricerca della perfe-zione per mezzo di un bi-sturi usato dai chirurghiplastici come bacchettamagica, che restituisceproporzioni adeguate epelli ringiovanite dai segnidel tempo in una sorta dipuzzle da ricomporre che,spesso, fa diventare cari-cature di se stessi. La televisione ci mostra loscempio di facce disa-strose, visi incartapeco-riti e sfigurati, che danno

la misura di una non ac-cettazione di sé, e della vo-glia di combattere il tem-po che passa. Gli adolescenti sono spes-so vittime di questi mes-saggi, loro, potenziali con-sumatori che muovonoenormi masse di denaro,influenzano la produzionedi alcuni articoli e deter-minano mode e tipologiedi consumo che repenti-namente cambiano. È una triste realtà consu-

mistica che li usa in ma-niera cinica e li accompa-gna in un pseudo percor-so di crescita, perché at-tinge ad un registro eticoben differente da quelloproposto dalle agenzieeducative. Ne decide, inoltre, unruolo all’interno del grup-po dei pari, perché l’og-getto posseduto riconosceloro un’identità socialedefinita. È in quest’otticache si alimenta la logicadell’hic et nunc, che per-mette all’adolescente diottenere tutto, senza sa-crificio di sorta.

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Problemi d’oggi

Pesticidi: il Glifosate ...e la testimonianza di Fabiàn Tomasi

L’agricoltura industrializzata, conside-ra il campo alla stessa stregua di una ca-tena di montaggio che deve rendere ilmassimo in termini di produzione. Ma oggi per produrre 1 caloria in cibo sene usano 10 di energia fossile, uno spre-co non più accettabile se vogliamo ral-lentare il riscaldamento del pianeta. Nei decenni si è creato un sistema di-storto che produce cibo in abbondanzama non lo distribuisce in modo equo co-sicché ancora oggi milioni di uomini sof-frono la fame mentre il 50% del cibo pro-dotto viene perso. Questo tipo di agricoltura ha sempre fat-to uso di pesticidi se non ché la velocitàdi insorgenza di resistenza agli stessi daparte degli insetti è stata maggiore del-la capacità dell’industria a produrre nuo-vi insetticidi. Nascono per questo gli OGM che si ri-promettono di risolvere la fame nel mon-do. In realtà è un fallimento: l’unico van-taggio delle sementi OGM è quello di re-sistere ai diserbanti ed agli insetticidi,permettendo così di usarne in modosempre più massiccio. L’OGM serve so-lo per poter usare più pesticidi.

Non a caso chi produce OGM produceanche pesticidi. Un circolo vizioso che solo l’agricolturabiologica può spezzare, perché i pestici-di fanno anche male. Una decina di essi sono già stati ricono-sciuti cancerogeni, la maggior parte so-no “interferenti endocrini”. In Europa esistono normative che ne re-golamentano l’uso e controlli sul ciboche arriva a tavola (un quarto del ciboche mangiamo ne contiene), in gran par-te del mondo in via di sviluppo non cisono controlli. Un caso drammatico è l’Argentina, for-tissimo esportatore di soia ed altri ce-reali e carne, dove intere cittadine sonocondannate a morte per l’uso intensivo,esagerato di Glifosate. Questo è il diserbante più usato in tut-to il mondo: dichiarato cancerogeno dal-la IARC proprio quest’anno. Nei mesi scorsi abbiamo assistito pres-so le istituzioni europee ad un duro scon-tro fra chi non voleva più rinnovarnel’autorizzazione all’uso e chi negava leconclusioni della IARC-OMS. In Europa sono vietate le coltivazioniOGM ma non ancora l’uso del Glifosa-te. La beffa è che da sempre, mentre sicercavano i pesticidi nei nostri alimen-ti e nelle acque, il Glifosate non venivadosato! Questo da un idea del potere diinfluenza di tali produttori mondiali diOGM/pesticidi! Il 2 novembre è andata in onda un’in-chiesta ben fatta de “Le Iene“ che mo-stra la situazione dell’Argentina. Vera-mente toccante la testimonianza di unuomo, Fabiàn Tomasi: vale la penaascoltarla.“La mia malattia si chiama Polineuro-patia tossica grave. Io caricavo gli aerei che fumigavano i

Marco Calgaro

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campi con tutti i tipi di ve-leni. Lavavamo e sistemava-mo gli aerei, mangiava-mo vicino agli aerei, fa-cevamo “la bandiera” persegnalare i punti di pas-saggio, senza protezione.Fare “la bandiera” si-

gnifica che una personasi ferma in un punto delcampo con una bandiera,e muovendola segnala al-l’aereo di passare lì,prendendosi gli spruzzidei pesticidi! All’epoca,lavarmi le mani con lastessa acqua in cui eranostati diluiti i veleni o la-vare l’aereo a mani nudeera normale! Ora non riesco ad alzarele mani, non ne ho la for-za, e non ho neppure piùle impronte digitali! Hoiniziato con questo pro-blema alle dita, le manidiventavano viola, poicon le piaghe su tutto ilcorpo che sono riuscito asanare. Poi ho iniziato adavere deformazioni allaschiena ed alle ossa.Adesso ho dolori insop-portabili agli organi in-terni, quando mi stendomi manca l’aria, il cibo miesce dal naso… tutti pro-blemi muscolari! Il cuore è un muscolo, ladeduzione è semplice dafare! Mi avevano datopoco tempo di vita, sei osette mesi di vita, ed in-vece sono passati già die-ci anni! Con l’umorismoa volte si riesce a spa-ventare la morte, che è ciòche mi spaventa di più.Mi fa tanta paura! Accetto di dover vivere il

resto della vita da mala-to, non mi sono mai la-mentato di quel che misuccede! Io sono moltocredente, ma non credonella vita eterna! Credo in questa vita, cheè la cosa più bella che po-tesse capitarmi! Tutte le sere vado a dor-mire con l’illusione, nonso di cosa… forse che suc-ceda qualcosa di buono.Ho questa idea… e anchese non succede nulla, nonperderò mai questo entu-siasmo, perché è quelloche mi mantiene vivo.Non sopporto i cimiteri,io… quando piove, pensoal freddo che sentono imorti, e tutte queste cose.La notte non riesco a dor-mire per questo, perchého paura di non riuscirea svegliarmi il giorno do-po! Dormo di giorno,quando il sole sorge.Di chi è la colpa di quan-to è successo? Che bella domanda…dell’essere umano! Nessuno si salva e noncredo che ci sia un’asso-luzione per il comporta-mento umano. Credo che la natura chie-derà il conto per il maleche si sta facendo! Io sono stato liquidatocon una pensione mini-ma, che non copre nessu-na spesa, nemmeno quel-le per mia figlia, e nonposso lavorare! Dimmi se non dovrei es-sere arrabbiato, se nondovrei sentirmi un reclu-so, una persona che odiatutti! Ma non gli do que-sta soddisfazione… io ho

perdonato tutti! L’ azienda che non mi haaiutato, la medicina com-plice, il governo: invecedi parlarne… preferiscoscherzare! La mia non è solo una te-stimonianza, questo de-ve servire… non a noi per-ché ormai siamo perdu-ti, ma per gli altri, affin-ché capiscano che siamostati ingannati, e che lanostra vita è stata cedu-ta in cambio di denaro!”.

Dicevano i Sioux: “Quando l’ultimo al-bero sarà stato abbat-tuto, l’ultimo fiume av-velenato, l’ultimo pe-sce pescato, l’ultimoanimale libero ucciso,vi accorgerete… chenon si può mangiare ildenaro”.

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ottobre dicembre 2016 Vitasomasca

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Problemi d’oggi

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Perché… mi parli così?

La parola “comunicazione” proviene dalverbo comunicare, che deriva dal latinoe significa "mettere in comune" ossiacondividere con gli altri pensieri, opi-nioni, esperienze, sensazioni e senti-menti; dobbiamo pensare, però, che lacomunicazione non è semplicemente unparlare, ma presuppone necessaria-mente una relazione e quindi uno scam-bio tra gli interlocutori. Ci sono diversi tipi di comunicazione siaumani che non umani; esempi di co-municazione non umana sono quellaanimale, quella multimediale ecc. In questa sede, ci soffermeremo sulla co-municazione umana, la quale si distin-gue in sociale e interpersonale. La comunicazione sociale, conosciutacome comunicazione di massa, vienerealizzata da una o poche persone ed èrivolta a molti individui, come quella cheutilizza mezzi quali la televisione, lastampa, la radio, e la pubblicità. La comunicazione interpersonale, inve-ce, coinvolge due o più persone e si ba-sa su una relazione in cui gli interlocu-tori si influenzano sempre l'un l'altro, an-che quando non se ne rendono conto.All’interno della comunicazione, la pre-senza di una persona che riceve l’infor-mazione non implica necessariamentel'assunzione completa dell'informazio-ne stessa. Questa è la caratteristica fondamentaledei processi comunicativi, perché essadipende sia dall'efficacia del canale chesi usa per comunicare, sia, soprattutto,dal risultato dell'interpretazione delmessaggio da parte del ricevente.Il risultato della comunicazione stessa,quindi, è fortemente influenzato dal li-vello di condivisione del codice che siusa nel comunicare, che non può esse-re univoco, ma deve essere condiviso da

tutti gli interlocutori.Quando ci si trova a dover comunicare,soprattutto con i propri figli, ci si devericordare che la comunicazione neces-sita della presenza di un'interazione trasoggetti diversi e quindi presupponeun’attività con un certo grado di coope-razione; infatti, ogni processo comuni-cativo avviene in entrambe le direzioni,altrimenti ci troveremo davanti ad unsoggetto che può parlare a molti senzanecessità di ascoltare: saremmo in pre-senza di semplice trasmissione di segnio informazioni e non di comunicazione. Il rapporto con i propri figli, quindi, nonpuò basarsi su semplici trasmissioni diinformazioni o dati, ma bisogna neces-sariamente instaurare una reciprocità,un dialogo, un ascolto continuo, nel qua-le l’uno comprende le necessità dell’al-tro e, soprattutto, si deve partire dal pre-supposto che le parti che comunicanosiano disposte ad ascoltare le necessitàreciproche e rispettarle al meglio.Ricordiamo, però, che la comunicazio-ne non sempre va come il modello so-pra descritto, ma può essere disturbatada un qualsiasi fattore sia fisico che psi-cologico, che interrompa o ostacoli ilprocesso comunicativo. Per ovviare a questo problema, si do-vrebbe parlare con i propri figli cercan-do di rendere più comprensibile il mes-saggio, ripetendolo quindi in modo piùchiaro o accompagnandolo con gestiamorevoli e di rassicurazione, conespressioni facciali e con segni di com-prensione, aspettando un feedback daparte del ragazzo.Purtroppo però, possono presentarsipossibili tipi di ostacoli, come i condi-zionamenti esterni che il ragazzo subi-sce frequentando realtà diverse da quel-le domestiche; o come i fattori psicolo-

È bene distinguere il contenuto dalla relazione.Il problema non è quello che si dice… ma come si dice.

Deborah Ciotti

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gici, cioè quelle forze interne che inter-feriscono con l'abilità di esprimere o re-cepire un messaggio, che molto spessosono dovute all’età del ragazzo, ai suoicambiamenti e alla propria instabilitàcontinua e fisiologica, propria del pro-cesso di maturazione. La comunicazione interpersonale si reg-ge su una relazione in cui i soggetti siinfluenzano a vicenda, essa si basa sul-la comunicazione verbale, ossia quandosi parla con il ragazzo e gli si comunica-no le proprie intenzioni, ma un aspettomolto importante viene ricoperto da al-tri tipi di comunicazione non verbali,senza l'uso delle parole, ma attraversocanali diversificati: mimiche facciali,sguardi, gesti, posture; o quelli para ver-bali, che riguardano tono, volume e rit-mo della voce di chi parla, pause ed al-tre espressioni sonore. Sono esattamente questi gli aspetti piùsignificativi della comunicazione. Non è tanto cosa si comunica ma il co-me lo si fa: questa è la chiave tra una co-municazione efficace e una che non lo è.Ciò può fare la differenza tra instaurareuna comunicazione con i propri figli ba-sata sulla reciprocità, sull’ascolto e sul-la comprensione e una relazione dove ifigli vedono i genitori quasi come av-versari, dove i momenti comunicativi di-ventano motivo di scontro e di chiusu-ra reciproca.Per poter comunicare con i propri figliin maniera efficace è soprattutto neces-sario ascoltare in modo attento, empa-tico e interessato, stare bene attenti al-le reazioni e ai feedback che rimanda ilragazzo, osservando e valutando la co-municazione non verbale, concentran-dosi soprattutto sulla comprensione, ri-spettando le pause e i silenzi del ragaz-zo, che gli permettono l’introspezione,saperli gestire in modo positivo e pro-positivo, impedendo assolutamente dialzare il muro che spesso si instaura tragenitori e figli.È logico che il ragazzo non possa accet-tare tutto ciò che i genitori dicono, ma èchiaro anche il contrario: è impensabi-

le che si possa accettare tutto ciò che vie-ne detto, anche quando contrasta con leproprie opinioni. Il segreto è essere realmente disponibi-li a comunicare, non imporsi in nessunmodo, considerare il figlio come un in-terlocutore degno di essere ascoltato,non come passivo, ma come un sogget-to che ha il bisogno di partecipare atti-vamente alla comunicazione. Le forme di comunicazione più erratesono quelle con risposte consolatorie,

standardizzate, generalizzate, imposte osenza spiegazioni. Non si deve rischiare di minimizzare ilsignificato che l'esperienza comunicati-va ha per chi la sta facendo, come se ilsuo contributo alla discussione fossesproporzionato al tipo di problema rife-rito o non fosse all’altezza di capire ilnocciolo della discussione: classicoesempio, le frasi dei genitori “non pre-occuparti, ora non lo sai ma con il tem-po mi capirai!”.Bisognerebbe, invece, cercare di coin-volgere il ragazzo a livello emotivo edevitare la passività e la dipendenza, spie-gare bene il punto su cui si basa la di-scussione e chiuderla solo quando è chia-rita e accertandosi che non si siano crea-te incomprensioni.

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Problemi d’oggi

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Un altro accento va posto sul silenzio: ilsilenzio può essere dovuto al bisogno diriflettere o di ricordare, ma può indica-re anche una condizione di disagio psi-cologico; una comunicazione è efficacese chi comunica sa stare in silenzio perascoltare o per rispettare il bisogno diriflettere o di ricordare del suo interlo-cutore. Però i genitori dovrebbero sem-pre porre molta attenzione al tipo di si-lenzio, perché se esso è dovuto ad un di-sagio psicologico, allora bisogna inter-venire. Ascoltare, comunque, non si-gnifica soltanto sentire. L’ascolto è un'at-tività molto complessa, bisogna usare ilcuore e la ragione, essere rispettosi del-le opinioni dei figli, individuandone ipunti di vista e non interrompendo senon per chiedere dei chiarimenti, acco-gliere tutto ciò che si ascolta in modo in-

condizionato ed essere empatici, ossiariuscire a vivere lo stato d'animo di chista parlando, evitando di fingere diascoltare. Si dovrebbe ascoltare semprei propri figli in modo attento, empaticoe interessato, si dovrebbe osservare e va-lutare la comunicazione non verbale,comprendere le pause, i silenzi e saper-li gestire, questo non vuole assoluta-mente dire che bisogna accettare o ac-consentire a tutto ciò che i figli dicano ochiedano, anzi, bisogna instradarli e di-rigerli, ma sempre ascoltarli, compren-derli, spiegare loro i motivi delle propriedecisioni, assicurarsi che le abbianocomprese e fatte proprie e soprattuttonon imporsi, ma trovare quella giustamediazione tra le richieste e le esigenzedei ragazzi e la visione e la volontà deigenitori.

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Il virus del relativismoSe ne è parlato tanto, ma forse troppo po-co quando ci si rivolge a chi necessita diessere tutelato perché indifeso e semprebisognoso di attenzione.Mi riferisco aibambini, in particolare quelli con proba-bilità di essere adottati in futuro anchedalle coppie omosessuali. Eviterò di en-trare negli spazi della discussione mora-le, dottrinale e pastorale cattolica poiché,come afferma il Papa: “la morale è nelVangelo”. Comunque questa tematica siabbina bene a riflessioni di fondo.Ricordiamo che parliamo di bambiniadottabili, gli stessi per coppie etero, mol-ti dei quali hanno un vissuto spesso pro-blematico e situazioni dolorose che certonon necessitano di altri sconvolgimenti ofallimenti. Bambini che non hanno vocee senza parole non c’è ascolto e senzaascolto vi è solo sopraffazione.Senza poi troppo soffermarsi sull’esaspe-razione di volere per forza un figlio, co-me l’aberrante idea dell’utero in affitto,una mercificazione umana che è sempredeprecabile. Soddisfare un proprio desi-derio, come prodotto e oggetto è renderevittima, sia la donna che si presta, chel’eventuale nascituro.Il più grande amore che esiste non è quel-lo di un figlio a tutti i costi e qui è proprionel senso letterale, poiché il vero amoreconsiste nel rispettare la vita umana, sia-no bambini, feti o embrioni.Ognuno è libero di scegliere nella vita ilproprio percorso, ma imporre delibera-tamente a delle creature innocenti la de-privazione delle due figure genitoriali,madre e padre, così importanti per lo svi-luppo psico-cognitivo, è come amputareun diritto inalienabile. Al centro bisognasempre porre lo sviluppo armonico dellapersonalità del bambino. Defraudarlo delsuo naturale e millenario inquadramen-to sociale, è delittuoso. Avere una fami-glia con una madre e un padre, seppurimperfetti, è di loro spettanza.Sembra che gli straordinari studi dei più

grandi pedagogisti siano stati vanificati,ed è una brutta deriva, da illogici conte-sti individualistici. Eppure il pedagogistaPestalozzi parla chiaro per quanto con-cerne il ruolo fondamentalmente impor-tante della madre nella vita evolutiva delbambino, come è determinante il ruolopaterno per il pedagogista Richeter.I bambini hanno percezioni e sensibilitàprofonde ed acute e qualsiasi diversità la-scia cicatrici indelebili. Infatti è più chenecessario difendere e salvaguardare lasfera infantile da qualsiasi leggerezza e in-differenza degli adulti. Certo i genitorid’oggi devono affrontare molte sfide, ec-co perché è più proficuo soffermarsi perun sostegno alla genitorialità, dove moltifigli a causa delle difficoltà economiche af-frontano problemi emotivi, affettivi e re-lazionali. Le famiglie credenti dovrannoassumere un ruolo attivo, proprio loro so-no la dimostrazione della possibilità di in-carnare il Vangelo nella quotidianità, an-che se attaccate da molti virus quali quel-li del relativismo e dell’individualismo.Il Papa nell’Esortazione post-sinodale“Amoris Laetitia” (8/04/2016) sull’amo-re nella famiglia è stato molto determi-nato nell’affrontare alcune vie pastoraliche orientano a costruire famiglie solidesecondo il piano di Dio. Ribadisce chel’unica unione possibile è quella del “ma-trimonio cristiano” e che “altre forme diunione contraddicono radicalmentequell’ideale”. Interessante la saggezzapratica del Papa quando un paragrafo èdedicato all’educazione dei figli “dove igenitori hanno il preciso dovere di ge-nerare nel figlio processi di maturazio-ne della sua libertà, di preparazione dicrescita integrale di coltivazione dell’au-tentica autonomia” (AL 261). Il Papa con-tinua: “…famiglia come contesto educa-tivo globale che vuol dire anche luogoadeguato per una positiva e prudenteeducazione sessuale nonché adeguatoper la trasmissione della fede stessa”.

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Fabiana Catteruccia

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Ricordare per riflettere

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Friulano, di Coderno di Sedegliano (Udi-ne), penultimo di dieci fratelli, Giusep-pe di nome (Bepi il rosso - per via dei ca-pelli - per i compagni) cambiato poi inDavid Maria quando nel 1935 in Vicen-za, nel santuario di Monte Berico, diventafrate dell’Ordine dei Servi di Maria, Tu-roldo è ordinato sacerdote nell’agosto1940.Viene a Milano nel 1941 e nel 1946 si lau-rea alla Università Cattolica in filosofia.Partecipa alla Resistenza antifascista efonda, con altri, il giornale clandestinoL’Uomo. A Milano risiede nel convento dellachiesa di san Carlo al Corso e qui, in-seritosi nella “Milano che conta“, avvianel 1946 il centro culturale La corsia deiservi. Stimato dal cardinal Schuster, èda lui chiamato come predicatore nelduomo, per l’ultima messa domenica-le, dal 1943 al 1953.Gli è chiesto nel 1953 – per superiori or-dini vaticani - di lasciare i conventi ita-liani e si trasferisce in altri europei delsuo Ordine. Può rientrare nel 1954 a Fi-renze, nella Firenze del sindaco La Pirae di tanti esponenti che rendono vivacee “progressista” il capoluogo toscano; manel 1959 deve riprendere la via dell’

estero (America del nord, Messico eSud Africa). Nel 1963 Clemente Gaddi, appena en-trato a Bergamo come vescovo, gli affi-da l’abbazia di Fontanella a Sotto ilMonte, dove lui risiede fino alla morte,avvenuta a Milano il 6 febbraio 1992. Pochi mesi prima della morte il cardinalMartini lo onora con il “premio Lazzati”.

Poeta della Parola e del silenzioTutti conosciamo e cantiamo almeno unpezzo (“il Signore è il mio pastore” - sal-mo 22) della sua vasta produzione di tra-duttore-evocatore di opere bibliche. Ed è molto condiviso il giudizio che uncritico letterario di grande valore, CarloBo, ha dato di Turoldo: “Padre Davideha avuto da Dio due doni: la fede e lapoesia; dandogli la fede gli ha impostodi cantarla tutti i giorni”.La fede, cioè la Parola fatta vita, la Paroladi Dio, vibra in tutte le poesie di Turol-do e in certa misura - per contagio - intutta la sua vicenda esistenziale, pre-mendolo irresistibilmente a parlare dipace, di non violenza, di diritti umani, dirinnovamento nel paese, nella Chiesa enella sua liturgia. “Servo e ministrosono della Parola; sono un pugno di ter-

P. Turoldo: cristiano e poetaCade, il 6 febbraio 2017, il 25° della morte di p. DavidMaria Turoldo, di cui si è ricordato il 22 novembre 2016il centenario della nascita. Padre Turoldo, servita, ha vissuto gli ultimi anni a Fontanella di Sotto il Monte;è sepolto nel piccolo cimitero di Fontanella; vicino a lui la tomba del cardinal Capovilla. Bellissima la sua parafrasi poetica di un poemetto del latinista somasco p. Giovanni Battista Pigato.

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ra viva, ogni tua Parola mi traversa”,dice di se stesso Turoldo. È stato sotto “l’impero della Parola”, haribadito con un acuto giudizio il cardi-nal Gianfranco Ravasi, con il quale Tu-roldo ha firmato un’ opera fondamen-tale sui salmi, ai quali si è dedicato indue altri lavori. A Ravasi padre Turoldo si è legato ne-gli ultimi dieci anni di vita e il cardina-le è oggi il testimone più autorevole del-la forza con cui nell’ultimo periodo il fra-te friulano si è cimentato con le tenebre,il silenzio e l’assenza di Dio. Anche un altro commentatore di Tu-roldo conferma: “E la (sua) cosa estre-ma era la conoscenza di Dio e il Suo im-penetrabile silenzio, ovvero il misterodel Suo linguaggio”. Tre sono i libri biblici che Turoldo ha “poe-tato” nelle ultime opere (Mie notti conQoelet e Canti ultimi, cioè: non gli ulti-mi canti, ma i canti più belli, più perfet-ti): Qoelet, Cantico dei cantici e Giobbe.Tali opere sono “il folgorante riepilogodi tutto il suo lavoro, gremito di nuoveintuizioni e invenzioni”. Stabilisce il poeta quasi come premessanei Canti ultimi: “La vita che mi hai ri-dato ora te la rendo nel canto”.

Si rivolge a tutti così: “Mendicanti di Dio, o cercatori, alla vostra inquietudine in gioioso sacrificio vi dono la mia stessa fede, mio sangue;condividiamo il pane amaro delle nostre solitudini” (Mie notti - “Mendicanti di Dio”).E, centrando il Cantico dei cantici (Mienotti - “La sublime allegoria”) scolpisce:“Ti fermava la ronda nel cuore della nottee tu chiedevi: Avete visto il mio amore?Dovevi superare le guardie, andare oltre, se volevi trovare il tuo Amore”.Poi, siccome non si può vivere senzaGiobbe, “perché il tempo di ognuno è iltempo di Giobbe”, Turoldo riconoscevero Giobbe il Figlio dell’uomo:“Anch’io sulla pelle mia sconto il tuo verbo,più duro dei verbi di Qohelet:di te sta scritto che cantasti adorando,mano alla bocca a soffocarne il grido….Avevano tentato di capire gli Dei ma senza riuscirvi: Giobbe eterno,o Figlio dell’uomo, sei tu a salvare il Dio vero, il Dio del dolore, esperto nel patire” (Mie notti - “Giobbe, o Figlio dell’uomo”).

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Nel paese di papa Giovanni“Maestro di tutte le retoriche”, comequalcuno ha detto riferendosi alle sue ar-dimentose applicazioni a tutte le cause,talora in contraddizione tra loro, ha le-gato il suo messaggio più sintetico al fat-to di essere stato - negli ultimi anni del-la sua vita - “il poeta che ha cantato lamorte, nella terra di papa Giovanni”.Ha capito, sulla pelle della malattia - ildrago insediato nel centro del vente - chel’ha colpito qualche anno prima dellamorte, che l’unica risposta al silenzio diDio di fronte alla malattia e al male è“Gesù Cristo che piange con te in atte-sa della risurrezione”. Non è forse un caso che l’idea di andare aSotto il Monte sia nata in coincidenza conla morte, serenamente cristiana, seguitae compianta da tutti, di papa Giovanni.L’entusiasmo per il concilio Vaticano II incorso; il desiderio di calcare le orme “del-l’uomo mandato da Dio, di nome Gio-vanni”; forse anche la necessità di unamaggiore stabilità per la preghiera e la fra-ternità: tutto, provvidenzialmente, con-corre nel 1963 all’approdo di Turoldo al-l’abbazia di sant’Egidio, sopra ilpaese na-tale di Roncalli. Lì, lui elabora e realizzail progetto della Casa di Emmaus, un cen-tro di preghiera, di incontro, di acco-glienza e pure di confronto, per tanti uo-mini di buona volontà (e passano lassù an-

che cristiani non cattolici, ebrei e moltepersone in ricerca). Si intitola l’insieme -con un accento giovanneo - “centro ecu-menico”. Connessi al centro sono “Servi-tium”, rivista attiva per più anni dal 1967,e una casa editrice (CENS) per le inizia-tive promosse di raduni, di riscoperta del-la tradizione cristiana e in particolaredella liturgia (animata anche con i canti einni turoldiani). Gli anni di Fontanellasono quelli del rinnovamento conciliare,della bellezza della “Chiesa dei poveri”, maanche delle difficoltà delle nostre comu-nità cristiane a motivo della contestazio-ne sessantottina dentro e fuori la Chiesa,della guerra “americana” in Vietnam e deivari movimenti di liberazione antiditta-toriali in America latina (con martiri tar-divamente onorati, quali Mons. Romero),nonché per i dibatti nella società italiana. Sono i decenni ’60 e ’70 (in minore misuraquello seguente) vissuti da Turoldo tra“pietà e furore”, tra riconoscimenti e so-spetti. “È per amore verso la Chiesa - ri-ferisce a un prete nel 1975 - che mi com-porto come mi comporto. Anch’io sonostraziato di vederla così malservita(pure da me a volte!). No, non può es-sere che il Concilio sia venuto invano;non può essere che papa Giovanni nonabbia significato niente; che ci sia piùgente fuori che dentro che si batte perl’uomo”.Invocando papa Giovanni, così scrive Tu-roldo nel 1983: “Almeno tornasse adarci speranza! Non vogliamo l’impos-sibile: sperare ci sarebbe d’avanzo… Egli credeva per noi, ora invece dob-biamo credere da soli”.E in una delle preghiere a lui rivolte evo-ca gesti e cuore del papa bergamasco, dacui implora gioia evangelica:“Se nella notte non sai dove andaree solo vai sperduto nel mondo,al mio balcone vi arde un lumee sempre l’uscio è appena socchiuso…Papa Giovanni, tu padre del mondonoi siamo ancora più soli e delusi,tutti smarriti e senza più gioia,dentro ogni cuore fa nido la notte” (4 preghiere a papa Giovanni, 1983).

Ricordare per riflettere

Tomba di p. Davide Maria TuroldoFontanella (Sotto il Monte)

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Traduttore originale del poema di padre PigatoA padre Turoldo siamo anche debitori,come Somaschi, di un bellissimo lavororichiestogli dalla associazione ex alunnidel collegio Gallio di Como e stampatonel 1981, nel bimillenario della morte delpoeta latino Virgilio: la parafrasi poeti-ca di “Sacerdos moriens - carmen Io-annis Baptistae Pigati crs”. ‘Il sacerdote che muore’ è il somasco ve-neto p. Giovanni Battista Pigato, dece-duto nel 1976 a 66 anni a Como e sepoltonel cimitero della Valletta di Somasca. E il poema (“poemation emendatum”, lochiama lui) è autobiografico, un atto dipreparazione alla morte, di cui padre Pi-gato ha avuto anche esperienza ravvici-nata poco più che trentenne. Perché lui, latinista insigne e vincitore di“premi di latinità”, professore nei licei so-maschi di Genova-Nervi, Rapallo e Como(collegio Gallio), assistente di latino al-l’Università cattolica di Milano, è statoanche tenente cappellano degli alpini inAlbania e Russia, da dove, unico ufficialesuperstitite del suo battaglione, “ripor-ta indietro” a salvezza, con la sua ener-gia, una schiera di soldati.La prefazione di Turoldo, due pagine, èpreziosa quanto la sua interpretazionepoetica. Rimane attratto, Turoldo (a cuicon poche speranze di essere ascoltati sierano rivolti il rettore del Gallio di Comoe il presidente, Santino Clerici, dellaassociazione ex alunni del collegio), daun “maestro di umanità” che si mette acantare “mentre un tumore (e lui lo sa-peva) era già all’opera”. Lo coglie animato dalla “duplice voca-zione, poetica e religiosa”, sorretto, nel-la pienezza della vita sacerdotale, dallafede “che si fa unica fonte di preghiera edi canto”; e riconosce che padre Pigato sa,per mezzo della poesia, “trasfigurareanche il Dolore in letizia e salvezza”.“Una lettura - augura Turoldo ai lettori delpoema di padre Pigato - da fare lenta-mente, come lento è stato il suo emigra-re: di uno che ha avuto tutto il tempo dicantare davanti alla propria morte”.

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Dentro di me

In realtà...Esiste un caposaldo della vita cristianadel quale si parla poco. Eppure è una verità che più di ogni al-tra può procurare equilibrio e serenitàalle nostre giornate. Nei vangeli è presente in ogni pagina,ma non viene mai esplicitamente di-chiarata, quasi fosse un messaggio tal-mente fondamentale da rimanere sot-tinteso. Si tratta del principio della realtà. Lo possiamo riassumere in due impe-rativi fondamentali: accorgersi dellarealtà e aderire ad essa. Lo incontriamo, per esempio, in uno deirichiami più accorati di Gesù: “Vigila-te!”, un invito a vivere con gli occhi aper-ti, con attenzione, presenti innanzitut-to a se stessi. Altre volte, Gesù ci solle-cita a sollevare lo sguardo per coglieremessaggi silenziosi dalla natura intor-no a noi: “Guardate i gigli del campo”,

“Osservate la pianta di fico e tutti gli al-beri”, “Alzate i vostri occhi e guardatei campi che già biondeggiano per lamietitura”.Non a caso nelle sue parabole troviamoun'attenzione accurata alla realtà con-creta: il lievito nella pasta, le fasi dellosviluppo dei semi, la maturazione delvino, il saggio rattoppo dei vestiti, le nu-vole da ponente che annunciano lapioggia... Questa fedeltà del vangelo alla terra con-duce l'uomo ad un rapporto sereno conla vita, anche nella sua durezza. Un modello luminoso si trova nei rac-conti della nascita di Gesù, che hannocome protagonisti Giuseppe e Maria. Collaborare in prima linea con Dio nonrisparmia loro imprevisti, pericoli e si-tuazioni di emergenza, come la nascitadel bambino durante il viaggio, tra l'in-differenza del mondo e, più avanti,l'improvvisa fuga in Egitto nella notte,senza data di ritorno. Potrebbero lamentarsi con Dio, sco-raggiarsi e piangersi addosso; li trovia-mo, al contrario, con i piedi per terrapronti ad aderire alla realtà senza dram-mi, con flessibilità, capaci di adattarsiad essa. Il senso pratico li aiuta: unamangiatoia può fungere anche da culla. Entrare in contatto con la realtà, acco-glierla così come si presenta è forse l'at-teggiamento più sano che possiamoassumere che può declinarsi, per noi, inmolteplici modi: non temere di guardarela verità di ciò che siamo, anche nellesue oscurità; accettare che la vita quo-tidiana comporti quotidiani sacrifici; sa-persi adattare alle sorprese; acconsen-tire al fatto che vivere significhi invec-chiare, ammalarsi e, un giorno, morire.E, tutto questo, con leggerezza del cuo-re, senza cadere nel disincanto o nel ci-nismo, conservando accesa nel cuore lasperanza. Forse è proprio questo ilnome segreto della realtà.

p. Michele Marongiu

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DossierDossier

A 500 anni dalla riforma protestante

Ripensare a San Girolamo Miani

e alle origini della Congregazione somasca

p. Giuseppe Oddone

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DossierDossier

Il 31 ottobre ed il 1 novembre 2016 si ècompiuto lo storico viaggio del PapaFrancesco in Svezia, un viaggio carico disignificati e di valori, che invita anche noicome Congregazione somasca, a ripen-sare alle nostre origini ed alle motivazioniche hanno fatto nascere nella Chiesa lanostra Congregazione.A Lund il Papa ha partecipato ad una ce-lebrazione ecumenica congiunta perl’avvio della celebrazione del Giubileodella riforma di Lutero, che cadrà nel

2017. Infatti, il 31 ottobre 1517 è il gior-no che simbolicamente richiama la na-scita della Riforma, quando il monacoagostiniano affisse secondo la tradizio-ne le sue 95 tesi sul portale della chiesadel castello di Wittemberg in Germania.Alla base di questo suo primo strappocon la Chiesa c’era la critica al com-mercio delle indulgenze, favorito edappaltato dalla Curia romana: ai fedeliveniva assicurata per i vivi, ma soprat-tutto per i defunti, grazie ad un versa-

A 500 anni dalla riforma protestante

Ripensare a San Girolamo Miani e alle origini della Congregazione somasca

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Foto dell’incontro a Lund, Svezia

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mento di denaro, la libe-razione dalle pene tem-porali dovute ai peccatigià confessati. Lutero vedeva in questo,ed a ragione, un mercan-teggiamento della graziadi Dio, l’idea che fossepossibile comprarsi la sal-vezza, e per di più a buonmercato.Il Papa è andato a Lund inSvezia perché qui, settan-ta anni fa, fu fondata laFederazione luteranamondiale, che riunisce lamaggior parte delle Chie-se luterane, ma anche perricordare il dialogo avvia-to cinquanta anni fa, su-bito dopo il Concilio, cheha portato alla dichiara-zione congiunta sulla giu-stificazione, che ha sana-to il dissidio tra fede edopere, legittimando allaluce della parola di Diodue diverse sensibilità. Su questo tema fonda-

mentale c’è oggi un con-senso tra le due Chiese.La visita del Papa fa se-guito, perciò, al docu-mento che Chiesa cattoli-ca e luterana hanno stila-to insieme, tre anni fa,dal titolo “Dal conflittoalla comunione”, per po-ter celebrare insieme i500 anni dalla Riforma. In sostanza, questo testoci invita a crescere nel-l’amore e nel rispetto re-ciproco, senza scavare al-tre trincee. Il passato non si può cer-to modificare, ma si develeggere con una nuovasensibilità: non festeggia-re la separazione, ma spe-rimentare il dolore per ifallimenti, le trasgressio-ni; confessare davanti aCristo che siamo colpevo-li, cattolici e luterani, diavere infranto l’unità del-la Chiesa. Apparteniamo allo stesso

ed unico Corpo di Cristo. Siamo invitati alla com-prensione reciproca: ledue parti, la cattolica e laluterana, ritenevano nelCinquecento che fosse ingioco la salvezza e difen-devano concezioni teolo-giche che erano convintidi non dover e poter ab-bandonare; gli uni e gli al-tri seguivano la propriacoscienza, con la fermaconvinzione che ci fossequalcosa di necessario perla vita di amore con Dio.Occorre in sostanza adot-tare oggi un nuovo meto-do, partendo da ciò cheunisce. Ad esempio, la fede cheproduce opere di bene;una ricerca storica comu-ne; l’attivazione di un re-ciproco perdono: il pri-mo intento di Lutero eradi riformare, non di divi-dere la Chiesa. Infine la globalizzazione e

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secolarizzazione che hanno colpito tut-te le Chiese, sfumato le differenze e le di-stanze: l’ostinazione del passato è cadu-ta nell’oblio. Non dimentichiamo poi che il ConcilioVaticano II ha ripreso alcune propostedella Riforma: centralità della Scrittura,liturgia in lingua volgare, continua ri-forma e purificazione della Chiesa.Ci sono pertanto dei temi, racchiusi inuna parola, che ritornano nella storia del-la Chiesa e che ci riportano in qualchemodo al clima spirituale del 500. Queste parole sono oggi ‘riforma del-la Chiesa’, un tema legato agli svilup-pi del Concilio Vaticano II, fatto proprioda tutti i Papi che lo hanno attuato e sonovenuti dopo, ed in modo specifico edenergico da papa Francesco. Ed un’altra parola è ‘misericordia’,

l’appello all’amore eterno e senza penti-mento del Padre celeste verso di noi pec-catori: abbiamo appena concluso l’annogiubilare della misericordia.Ebbene queste due realtà, riforma e mi-sericordia, questi due sentimenti cri-stiani erano sentiti in modo fortissimodai cristiani del primo Cinquecento, aiquali appartengono sia il monaco ago-stiniano tedesco Lutero (1483-1546) siail nostro laico veneziano Girolamo Emi-liani (1486-1537). Dobbiamo riconoscere con onestà edamore anche in Lutero questo sincero de-siderio di riforma, desiderio comune difervorosi laici e religiosi del popolo diDio; la divisione è stata storicamente per-petrata più da uomini di potere e da in-teressi economici sia dalla parte prote-stante che dalla parte cattolica.

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La riforma ha il suo fondamentoin Gesù Crocifisso

Ricordiamo le parole del Papa Francescoa Lund: “La contesa di Martin Lutero conDio guidò e determinò tutta la sua vita.Fu costantemente assillato dalla do-manda: - Come posso avere un Dio mi-sericordioso? - E trovò quel Dio miseri-cordioso nel Vangelo di Gesù Cristo. - NelCristo Crocifisso si trovano la vera teo-logia e la conoscenza di Cristo -”. Solo in Cristo Crocifisso, solo per graziadivina Lutero si sentì liberato dal peccato,dalla morte e dalla dannazione, riempi-to di misericordia, vita e salvezza e com-prese che la giustizia di Dio non è unagiustizia castigante e condannante, ma lagiustizia che accoglie e rende giusto ilpeccatore.

La misericordia di Dio e la croce diGesù sono anche al centro dell’espe-rienza spirituale di San Girolamo Miani.Possiamo dire che tutto il suo camminospirituale comincia (‘piangea, posto aipiedi del Crocifisso’) e termina con laCroce del Signore (‘seguite la via del Cro-cifisso’). La scoperta del Gesù crocifissoe misericordioso suscita per Girolamo,come era già avvenuto qualche annoprima per Lutero, l’ardentissima sete del-la riforma: il punto di arrivo è la santitàdella Chiesa, da attualizzare sempre. È, per Girolamo, la santità della Chiesadegli inizi, la Chiesa della Resurrezionee della Pentecoste, realizzata oggi nel no-stro tempo e nella nostra vita. Egli, con i suoi compagni ed i suoi ‘put-ti’, cerca di formare delle comunità evan-

geliche all’interno degli ospedali e dellesue opere. Agli occhi degli amici egli ap-pare come il cristiano riformato secon-do il santo Vangelo.

La riforma si attua riscoprendol’importanza della fede

L'idea che l'essere umano possa gua-dagnarsi dei meriti davanti a Dio èmessa in discussione dalle 95 Tesi di Lu-tero, che cominciano a circolare dal 31Ottobre 1517. Lutero è spinto a questo passo dalla ven-dita delle indulgenze proclamate perl'investitura di Alberto di Brandeburgoad Arcivescovo di Magonza. Alberto ha ricevuto da Papa Leone X ilpermesso di venderle in Germania, perrifarsi del denaro sborsato per la carica. Denaro che il Papa spende a Roma, perla costruzione della basilica di S. Pietro. In base alla teologia della salvezza, for-mulata dall'apostolo Paolo, che è rias-sunta in un passo celebre della Letteraai Romani (1,16) "Il giusto vivrà perfede", Lutero nega la possibilità che l'es-sere umano possa far valere le sue ope-re per ottenere la salvezza. Afferma invece che la condizione es-senziale e sufficiente è la fede in Dio(sola fides).La fede poi è un dono che Dio fa all'es-sere umano, mosso soltanto dalla Suagrazia (sola gratia). Il contatto tra l’uomo e Dio passa at-traverso un solo Mediatore: Gesù Cristo(solus Christus).Attraverso un solo canale che quello del-la Sacra Scrittura (sola Scriptura).

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Elementi comuni a Luteroe a Girolamo Miani Nell’impegno a riformare la Chiesa del loro tempo

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Sola gratia, sola fides, solus Christus, solaScriptura, senza le mediazioni dellaChiesa e della gerarchia, o della filosofiae teologia scolastica, sono le quattropietre angolari sulle quali secondo Luteroe poi secondo la Riforma devono esserericostruite la vita cristiana e la teologia. La Vergine Maria rimane come model-lo del credente per la sua fede. Tutto que-sto ha delle conseguenze: viene eliminatoil culto dei santi e della Madonna, per-ché l'unico Mediatore è Cristo.

Il tema della fede fa da sfondo a tutti gliscritti di Girolamo, ma la lettera più im-portante, specifica su questa virtù teo-logale, è quella indirizzata a P. AgostinoBarili ed a tutta la Compagnia, scritta il21 luglio del 1535 dal monastero dellaTrinità a Venezia. Il Santo affronta il pro-blema della sua assenza momentaneadalla Lombardia, le pressioni per il suoritorno, la fragilità e la sofferenza dei Ser-vi dei Poveri per difficoltà interne edemarginazione esterna, e presenta lasua certezza di un “loco di pace”, di unastabilità spirituale e giuridica per i Ser-vi dei Poveri. La parola fede torna ben 10volte in questa lettera. La luce della fede segna tutto il cammi-no di Girolamo; egli ha questa persua-sione che tutto l’edificio della Compagnianon può avanzare di un solo passo sen-za la fede. Fede, grazia, Cristo e le Scrit-ture sono presenti in questa lettera, nel-la quale il santo ha chiara autocoscien-za essere il fondatore della Compagnia,si definisce Padre e si rivolge a dei fratellied a dei figli nel clima spirituale che ri-chiama la comunione trinitaria: Girola-mo conforta nell’amore di Cristo, nel-l’osservanza dei comandamenti. Egli ha mostrato l’amore di Dio con fat-ti e con parole talmente che il Signore siè glorificato nei Servi dei Poveri per suomezzo. E ci tiene a sottolineare che,permettendo la sofferenza, nella provaDio si rivela padre, se perseveriamonelle sue vie… ha fatto così con tutti i suoiamici… infine li ha fatti santi. Dio opera soltanto in coloro che ripon-

gono in Lui solo tutta la loro fede e la lorosperanza; li riempie di carità e fa cosegrandi in loro. Dio opera, Cristo opera,la comunità opera, i singoli devono chie-dere a Dio la grazia di operare: così haagito in Maria, esaltando gli umili; cosìfarà nei Servi dei Poveri. È la spirituali-tà del Magnificat. Nella prova Dio ci li-bera dalle scorie e ci fa crescere. Lafede gettata nelle tribolazioni è come l’orogettato nel fuoco per essere purificato ecrescere di valore

La riforma ci fa essere misericordiosi

La necessità di essere misericordiosi, dicompiere opere di misericordia è pro-fondamente sentita da Lutero: “La fedeè un’opera divina che ci trasforma e cifa nascere di nuovo da Dio… Essa ucci-de il vecchio Adamo, trasforma noi uo-mini completamente nel cuore, nel-l’animo, nel sentire e in tutte le energie,e reca con sé lo Spirito Santo. Oh la fedeè cosa viva, attiva, operante, potente,per cui è impossibile che non operi con-tinuamente il bene…. Perciò l’uomo di-viene volenteroso, senza costrizione e lie-to nel fare del bene, a ognuno, nel ser-vire ognuno, nel sopportare ogni cosanell’amore e nella lode di Dio che ha ma-nifestato in lui tale grazia”.

Certamente anche Girolamo è ben con-sapevole del primato della grazia e la suaconvinzione come per Lutero si puòriassumere nella espressione paolina: “Siamo opera sua, creati in Cristo Gesùper le buone opere che Dio ha predi-sposto per noi perché le praticassimo”(Ef 2,10). Felicissima è l’espressione“grazia di operare” coniata da Girola-mo per indicare quanto di divino e diumano vi è nell’agire dell’uomo mossoed illuminato da Dio. Servite i poveri è la sintesi del testamentodi Girolamo; le prime tre indicazioni: se-guire il Crocifisso, disprezzare il mondo,amarsi l’un altro, sono finalizzate al ser-vizio gioioso dei poveri.

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La riforma si fonda sulla parola di Dio

L’amore e lo studio della parola di Diosono continuamente riaffermati da Lu-tero: egli è per altro dottore oltre che inteologia anche in Sacra Scrittura ed isuoi primi studi riguardano i com-menti all’epistola ai Romani ed ai Ga-lati dell’apostolo Paolo. Per Lutero la Sacra Scrittura è la nor-ma suprema di adesione alla fede, diformazione della propria coscienza, dicomportamento religioso. Egli tradusse dai testi originari tutta laBibbia (1521-22) avvicinando il popolotedesco alla Bibbia e creando un capo-lavoro letterario.

Una assimilazione profonda della SacraScrittura, letta nel latino della Vulgata,interiorizzata e mandata a memoriafino a diventare sostanza del pensieroe del linguaggio è presente in GirolamoEmiliani.Il suo modo di scrivere è tessuto di con-tinue allusioni bibliche ed il suo idealedi comunicazione è quello di parlareviva voce parole di vita, di confermaree di confortare nell’amore di Cristo, dimostrare con fatti e con parole la bel-lezza del Vangelo.

La riforma dà valore al Battesimo e al sacerdoziouniversale dei fedeli

Il battesimo è il sacramento più im-portante per Lutero.È il sacramento che fa sì che tutti i cri-stiani siano sacerdoti. Solo per ragionipratiche il ministro è scelto dalla co-munità, perché eserciti per essa uncompito particolare, proclami la paro-la di Dio e la redenzione per mezzo diGesù Cristo, senza alcun merito daparte dell’uomo. Lutero ammette anche il battesimo deibambini, la cui fede, ancora iniziale edormiente, dovrà essere risvegliata dal-la comunità dei credenti.

Girolamo nella sua scuola di San Roc-co valorizza il battesimo, insegnando“come per fede in Christo e per imita-zione della sua santa vita, l’huomo sifaccia, habitacolo dello Spirito Santo,figliolo ed erede di Dio”. Promuove poi attivamente tra i laici cri-stiani una fervorosa riforma della pro-pria vita cristiana (era il suo intento) eli stimola alle opere di carità. Raccoglie in sante congregazioni più ditrecento persone e non si stanca di ri-chiamare i suoi collaboratori laici al-l’amore di Dio e del prossimo ed aconfermarsi nelle opere di Cristo.

La riforma esige l’insegnamento catechistico

Nel constatare l’ignoranza del popolo infatto di fede Lutero ritenne che occor-reva fare tutto il possibile perché il po-polo, i piccoli in particolare fosseroistruiti sulle verità religiose. Egli stesso con la cerchia dei suoi pri-mi collaboratori, produsse una serie dicatechismi per i piccoli, per le scuole,per le comunità. Nel 1529 scrisse interamente di suo pu-gno il Piccolo Catechismo destinato aibambini ed il Grande Catechismo per gliadulti.

La preoccupazione di dare un’istru-zione religiosa ai piccoli ed ai contadinispinse anche Girolamo a farsi cate-chista, a compilare lui stesso degli ap-punti, a servirsi di catechismi in cir-colazione. Uno di questi, pubblicato a Venezia nel1525 era di origini luterane, ma ven-ne ripreso quasi con le stesse parole eriadattato, soprattutto per la spiega-zione dei dieci comandamenti: il tut-to, se accogliamo la testimonianza diP. Novelli nei processi di beatifica-zione, fu assemblato e pubblicato da P.Reginaldo Nerli. Girolamo divenne anche con i suoi ra-gazzi catechista dei contadini, am-maestrandoli nella vita Cristiana.

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Riforma, ma con possibilità di meritare per chi vive giustificato dalla fede

Alcune conseguenze dottrinali, dedottedai luterani e dai riformati e non ac-cettate dalla Chiesa cattolica, derivanodal fatto che, se l'essere umano si salvaper la sola fede che gli viene data da Dioper amore, allora non può "conquista-re" la fede né acquisire dei meriti da-vanti a Dio e la Chiesa non può "ridi-

stribuire" i meriti dei santi tra i fedeli"comuni". Queste due conseguenze por-tano, a loro volta, alla dissoluzione del-l'intero sistema formato dalle indulgenzee a respingere l'ipotesi dell'esistenza delpurgatorio di cui non c'è un riferimen-to preciso nella Bibbia. I protestanti, con Lutero, distingueva-no dalla fides historica (fides quae) la fi-des fiducialis (fides qua), cioè la con-vinzione assoluta della propria giusti-ficazione e di conseguenza della propria

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Punti divergenti nella dottrina e nella prassi

di Lutero e di Girolamo

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predestinazione. Parevano togliere ogni valore alla coo-perazione umana illuminata dalla gra-zia, che sollecita intelligenza e volontà,alla fides quae per caritatem operatur,ad ogni opera meritoria e finivano pereliminare tutte le mediazioni volute daCristo e viventi nella tradizione cattoli-ca, rappresentate dalla gerarchia ec-clesiastica, dalla vita monacale e reli-giosa, dai sacramenti ad esclusione delbattesimo e della eucaristia, dalle pra-tiche popolari di pietà, dal culto dellaMadonna e dei santi.

Girolamo condanna decisamente unafede superba e presuntuosa non ac-compagnata da una adeguato compor-tamento cristiano, dalla grazia di ope-rare (4° lettera).Nella prospettiva di una riforma della

vita cattolica si spiega anche l’insi-stenza di Girolamo ai Servi dei Poveriper le pratiche di pietà, per le buone de-vozioni, per le nostre buone usanze cri-stiane, per la nostra orazione, per lapratica del sacramento dell’Eucaristiae della Confessione.Le opere sono quindi un aspetto es-senziale dell’adesione al Vangelo edhanno, contrariamente a quanto rite-neva Lutero, il loro merito, il loro gua-dagno.

Riforma, ma nella fedeltà al Papa ed alla gerarchia

Facendo appello alla propria coscienzaLutero rifiutò a Worms, nell’aprile del1521, di ritirare le sue tesi sulla Chiesae sul Papa, opponendosi sia all’impe-ratore Carlo V sia al Papa Leone X con

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le parole: “La mia coscienza è vincolataalla parola di Dio ed io non posso névoglio sconfessare nulla… Dio mi aiu-ti!”. Con questo gesto finì per diventa-re l’eroe della Germania che si oppo-neva agli Asburgo ed all’autorità delsuccessore romano di Pietro, giudica-to un anticristo ed un traditore delVangelo.

In tutt’altro clima spirituale vive a Ve-nezia ed in Lombardia Girolamo Emi-liani. Conosciamo da tutte le fonti delSanto quale ampio respiro ecclesialedesse alla sua preghiera, quale venera-zione ed obbedienza egli avesse per la ge-rarchia ecclesiastica, per i vescovi, ai qua-li si presentava per iniziare le sue operee chiederne la benedizione, per i sacer-doti di varia provenienza che lavorava-no nella Compagnia, per il suo diretto-re spirituale Mons. Gianpietro Carafa.

Riforma, ma nella stima per la vita religiosa

Sappiamo purtroppo che Lutero ha svol-to invece una critica radicale alla con-

sacrazione religiosa. Per lui i voti non sifondano sulla parola di Dio, non c’è di-stinzione nel Vangelo tra comandamentie consigli, tra lo stato di imperfezione delpopolo e lo stato di perfezione dei reli-giosi. La vita religiosa, per Lutero, pone la suafiducia nelle opere e non nel Vangelo;anzi, è contro il Vangelo, contro la libertàdel credente, poiché la coscienza vale piùdel voto. Inoltre, essa turba il popolo cristiano,svaluta il matrimonio, colpevolizza ilpossesso dei beni ecc. Nonostante lachiarezza di idee del suo fondatore, il lu-teranesimo trovò in questo campo unacerta resistenza e si rinnovarono nelcorso della storia cenobi e fraternità.

Altissima è la stima che Girolamo haper i religiosi. Nessuno più di lui amava e serviva i ser-vi del Signore di qualunque condizionefossero. La ‘nostra orazione’ abbraccianella preghiera le congregazioni maschilie femminili, dai Cappuccini ai Teatini,ai compagni di frate Paolo, alle religio-se che collaborano con la sua opera.

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Il Papa ci ricorda l’impegno del Conciliomanifestato nel decreto ‘Unitatis re-dintegratio’. La nostra fratellanza cristiana (ed oggiabbiamo volontà di riunirci e non di po-lemizzare e dividerci) è basata sul bat-tesimo e sull’unica fede in Cristo, croci-fisso e risorto. Avere lo stesso battesimo significa con-fessare che il Verbo si è fatto carne ed èmorto e risorto per noi: questo ci salvadal pelagianesimo e dalla gnosi. Il cammino si compie a piccoli passi: conun comune studio teologico, con la pre-ghiera fatta insieme, con le opere di ca-rità condivise, con la sequela di Gesù, conil martirio che coinvolge tutte le confes-sioni cristiane, testimonianza dell’unitàdei battezzati.Il Papa, successore di Pietro, ricorda anoi, nati come Compagnia ai tempi di Lu-tero e cresciuti nella Controriforma, chela Chiesa vive di perdono, della miseri-

cordia del Signore e non ha altra forzache la Croce. Del resto, Pietro stesso è il prototipo delpeccatore perdonato, e Francesco, suosuccessore, mette in guardia dalla ricercadella gloria terrena e dalla mondanitàspirituale, cancro della Chiesa. Se in essa qualcuno coltiva la fame di do-minio e di affermazione di sé, crede chela Chiesa sia una realtà umana auto-sufficiente, dove tutto si può svolgere se-condo logiche di ambizione e di potere.Per questo possiamo anche noi accetta-re la ricorrenza (il Giubileo luteranodel 1517), accogliere quello che di posi-tivo vi è stato nella Riforma, confron-tando gli aspetti positivi di Luteroel’esperienza di Girolamo, il quale fu vi-sto dagli amici come un vero cristiano ri-formato, bruciato dall’ardentissima setedi riportare la Chiesa alla santità dei tem-pi apostolici, innamorato di Cristo Cro-cifisso, dei poveri, del Vangelo.

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Conclusioni

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Vita e missioneVita e missione

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Seguendo lo Spirito

Sino a qualche hanno fa nell'Hogar SanJeronimo delle Missionarie Somasche, si-tuato nella 14 avenida, in città del Gua-temala, si poteva sperimentare la gioiaunica di entrare in un mare di vita: tan-tissimi bambini da pochi giorni ai treanni d'età circa, ciascuno col proprio mo-mento di gioco, di pianto, di cibo, di cam-bio del pannolino... Tutti pronti ad 'aggredire' affettuosa-mente chiunque fosse entrato con ladisposizione di dispensare abbracci, bacie coccole. Quei tanti grandi occhioni neriche parlavano di innocenza, di soffe-renza, di speranza e di futuro penetra-vano direttamente l'animo di chiunqueincrociasse il loro sguardo. Sicuramente chi entrava per la prima vol-ta nell'Hogar non era poi la stessa per-sona che usciva da lì. E questo per tantissimi anni. E questa èstata l'esperienza di tanti collaboratori,amici, coppie adottanti, volontari.Ad un certo punto, però, cambia qual-cosa, cambia il governo del Guatemala,cambiano le leggi... e si intuisce chetutto non sarà come prima. I timori intravvisti e temuti, poco alla vol-ta prendono consistenza e le conse-guenze non si fanno attendere. Arrivano degli incaricati dal tribunale deiminori con le liste dei bambini da tra-sferire altrove: a gruppi vanno via, inpoco tempo rimangono i locali vuoti, leculle vuote, i giocattoli fermi... silenzio.“Che tristezza!”, dice una delle religioseincaricate dell'Hogar, che in quei giorninon ha fatto altro che piangere. Ma non ci si può fermare. Che fare, allora? Come quando arriva un terremoto che di-

strugge ed abbatte quanto costruito pri-ma e costringe a ripensare la propria vita,così le missionarie si interrogano in chemodo continuare a donare la propria vitanel servizio ai più poveri, col cuore di sanGirolamo. Nasce così l'idea di aprire una 'guarde-ria', un piccolo asilo nido dove accoglie-re i bambini dal mattino fino al pome-riggio. Quali bambini? Ovviamente quelli poveri, denutriti...specialmente per loro batte il nostrocuore. La maggior parte di loro sono figli di ra-gazze madri, spesso non hanno nulla damangiare in casa e la colazione, pranzoe merenda che ricevono nell'asilo sono diimportanza basilare per la loro crescita.In base alla disponibilità le famigliecontribuiscono con quanto possono, ma

Aiutare un bambino equivale ad aiutare tutta l’umanità

sr. Giovanna Serra

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la maggior parte non puòdare nulla. La giornata trascorre trapasti, giochi, riposo, pre-ghiera. E sappiamo che ibambini osservano, as-sorbono e imparano. Una mamma dice che ilsuo piccolo spesso fa del-le osservazioni sul mododi fare questa o quell'altracosa perché “Sor fa...così!”. È così che i semidell'educazione e dellacultura vengono gettati,e fruttificheranno a lorotempo.I numeri non sonopiù quelli di una volta mal'esperienza è la stessa. In fondo, a noi come a tut-ti, il Signore chiede la fe-deltà al dono carismaticoricevuto, anche se cam-biano le circostanze, lecondizioni e le modalità. E sempre sarà così. In un mondo che cambiatanto velocemente e in di-verse direzioni il cuore disan Girolamo ci spinge a

testimoniare ovunquel’amore infinito di un Diomisericordioso.

E aiutare un bambinoequivale ad aiutare tuttal'umanità.

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Suore Missionarie Figlie di s. GirolamoSuore Missionarie Figlie di s. Girolamo

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Profili

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Nel 1916 durante la prima guerra mon-diale caddero due nostri giovani con-fratelli. Ne tracciamo un breve profilo, in basealle poche notizie che ci sono rimaste, pernon dimenticare a cento anni dalla loromorte i nostri giovani chierici che han-no immolato per l’Italia la loro vita.

Beniamino Zimei (+ 8 giugno 1916)

Beniamino Zimei nacque a Caporciano(Aquila) il 10 marzo 1895 da Carlo e Mad-dalena Di Cesare, entrò come postulan-te nel 1906 nel nostro Collegio di Nervie vi rimase fino al conseguimento dellalicenza ginnasiale avvenuta nel 1911. Il libro degli Atti del Collegio annota ilsuo arrivo: “9 novembre 1906 – Giun-gono da Caporciano (Aquila) i due gio-vanetti cugini Zimei Domenico e Be-niamino, quali probandi somaschi. I genitori del primo si impegnano al ri-fornimento del corredo e ad una pen-sione mensile di L. 20; quelli del secon-do invece, causa le strettezze di famiglia,solo al rifornimento del corredo. I giovinetti frequentano la 1.a ginna-siale; non hanno però subito l’esame dimaturità”. Nei registri della scuola è documentatoil curriculum scolastico di Beniamino,davvero eccellente con una media divoti che oscillava tra l’otto ed il nove. Nel 1911/12 il giovane fece il suo noviziatonella Casa Professa di San Girolamodella Carità in Roma ed emise i voti il 1novembre 1912. Stava per cominciare il Corso teologico,ma il 1° dicembre 1915 dovette partire peril servizio militare. Era un ragazzo molto intelligente, conuna gentilezza quasi infantile, affezionato

a San Girolamo Emiliani ed alla nostraCongregazione. Fu arruolato nel 55° reggimento di fan-teria. Dalla cartella matricolare dell’esercitò ri-sulta che fu chiamato alle armi come sol-dato di leva prima categoria, classe 1896(ma è nato nel 1895) distretto Aquila il23 novembre 1915. Giunse nel distretto di Genova il 26 no-vembre del 1915 e fu inviato a Modena afrequentare la Scuola Militare comecome allievo ufficiale di complemento. Vi è la descrizione del suo fisico: statu-ra 1,59, torace 0,85, capelli castani di for-ma liscia, naso e mento regolare, occhicastani, colorito roseo, dentatura sana,nessun segno particolare, professionestudente.Nel diario del reggimento si affermache il 55° reggimento venne trasferito dalfronte italiano verso quello albanese; unprimo contingente si imbarcò a Taranto,per arrivare a Valona l’11 Febbraio 1916.Zimei partì invece verso la fine di mar-zo, perché dal libro degli Atti risulta dipassaggio a Santa Maria Maggiore di Tre-viso dal 17 al 23 marzo. “17 Marzo 1916 Giunge ospite in questafamiglia da Roma il Ch. Zimei col gra-do di sottotenente. Egli è raccomanda-to dal Rev.mo P. Generale - 23 Marzo1916 Il Ch. Zimei Beniamino parte colgrado di sottotenente, chiamato daisuoi superiori militari, per l’Albania”. Anche Zimei fu tra coloro che diedero illoro contributo all’immensa azione di sal-vataggio dell’esercito serbo, avvenutoin varie riprese tra il dicembre 1915 el’aprile del 1916. Dopo alcuni mesi al 55°-56° arriva l’or-dine di rientro in Patria, per dare un ul-teriore rinforzo sul fronte dell’Isonzo. Ai primi di giugno si organizzano i tra-

I nostri confratelli

p. Giuseppe Oddone

caduti nella prima guerra mondiale

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sporti: il 56° arriva quasi al completosano e salvo in Italia, mentre gran par-te del 55°, imbarcato sul piroscafo Prin-cipe Umberto, è vittima di un attacco daparte di un sommergibile nemico, un U5che lanciò due siluri: il primo andò a vuo-to, il secondo squarciò la nave al centroche affondò in meno di sette minuti: lanave ospitava complessivamente 2.821uomini del Reggimento e 216 membridell’equipaggio. Nel terribile naufragio le perdite di viteumane furono enormi: 52 ufficiali e1.764 soldati del 55° e 110 marinai del-l’equipaggio. La descrizione dei superstiti è dramma-tica. ”Non vi so descrivere che successeall’atto del siluramento: erano oltre2000 persone che urlavano, che invo-cavano aiuto, che piangevano, che im-pazzivano, che si sparavano, che si ab-bracciavano per morire… che strazio!”Si salvarono solo 766 soldati e 13 ufficialied un centinaio di uomini dell’equipag-gio. Per alcuni giorni emersero dal maresulla spiaggia di Valona decine di corpistraziati e irriconoscibili, che furono se-polti senza nome fra gli ulivi in un ci-mitero costruito ai bordi della strada cheda Valona sale verso Kanina. Nel dopoguerra le salme di questo ci-mitero furono traslate al Sacrario Cadutid’Oltremare di Bari. Nell’elenco dei morti Zimei Sebastianofigura con la qualifica di aspirante uffi-ciale. Il siluramento della nave è anche stato,sempre riguardo alle perdite umane, ilpeggior disastro della storia navale ita-liana. Il libro degli Atti del Collegio Emiliani diGenova Nervi, in quella data trasforma-to in ospedale militare, lo ricorda anco-ra il 29 giugno 1916: “Questa sera 29 giugno 1916 si è recitatol’offizio pel Ch. Zimei Beniamino anne-gato nell’Adriatico pel siluramento delvapore che dall’Albania lo riportava inItalia. Domani si celebrerà la S. Messain suffragio dell’anima sua. Requiescatin pace”.

Ch. Giovanni De Sario (+14 novembre 1916)

Giovanni di Sario nacque a Terlizzi(Bari) il 4 agosto 1894 da Giuseppe e daTempesta Francesca; entrò come pro-bando verso i 14 anni nella nostra Con-gregazione; compì i suoi studi ginnasia-li in parte a Milano e poi al Collegio Gal-lio dove conseguì la licenza ginnasialecon ottimi risultati.A Roma nella casa professa di San Gi-rolamo della carità compì il Noviziato efece la professione il 31 ottobre 1914. Stava per iniziare il Corso di filosofia ed

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era iscritto alla Università Gregoriana. All’inizio del 1915era già sotto le armi con rincrescimento suo e dei su-periori. La cartella matricolare dell’esercito riporta que-sti dati: statura m. 1,68, torace m. 0.84, capelli neri elisci, naso grosso, mento regolare, colorito bruno,dentatura guasta, di professione studente. Soldato di leva di seconda categoria, classe 1895, qua-le rivedibile della classe 1894: annotazione del 20 gen-naio 1915. Chiamato alle armi per istruzione: annota-zione del 10 febbraio 1915; e giunto nel 27° reggimen-to fanteria: annotazione del 22 febbraio 1915. In territorio dichiarato in istato di guerra: annotazio-ne del 22 maggio 1915. Trattenuto alle armi per mobilitazione in base all’ar-ticolo 133 del testo unico delle leggi sul reclutamentodel Regio esercito dal 10 agosto 1915. Caporale in det-to 30 luglio 1916.Prima fu a Ravenna per qualche mese per l’addestra-mento e poi inviato al fronte. In questo periodo di pre-parazione militare aveva come punto di sostegno spi-rituale il P. Guardiano del Convento dei Cappuccini.Nelle ferie natalizie del 1915 passò i giorni della licenzaa San Girolamo della Carità, psicologicamente assai pro-vato. Le autorità militari lo mandarono in cura a Ver-gato (Bologna) dove ebbe l’incarico di istruttore dellereclute; nelle ore libere dal servizio militare frequen-tava il parroco di Vergato, istruiva i fanciulli nel cate-chismo e preparava i canti liturgici. Con le sue reclute partì verso il fronte del Carso il 23ottobre. Il 10 novembre in uno dei tanti attacchi alletrincee nemiche, fu gravemente ferito al petto e riuscìancora a scrivere al P. Generale, annunciandogli la suasventura. Trasportato nell’ospedale da campo n. 129non fu in grado di riprendersi dalla ferita e spirò il 14novembre 1916, munito di tutti i conforti religiosi, com-movendo gli astanti per la sua fede e la rassegnazionealla volontà di Dio.La sua scheda militare, in freddo linguaggio burocra-tico, annota: “Morto all’ospedaletto di campo n.129 inseguito a ferite riportate per fatto di guerra, come daatto di morte inscritto al N. 50 del registro degli attidi morte dell’ospedaletto da campo n. 129. 14 novembre1916”. Fu un giovane religioso schietto, convinto,pronto ad ogni sacrificio per l’amore di Dio. Il Cappellano militare del suo reggimento Don Do-menico Bellavita scrisse che era addoloratissimo per lasua perdita perché De Sario “era un buon esempio con-tinuo per tutto”. Il suo nome figura nel monumento dei57 caduti del Collegio Gallio di Como.È sepolto nel mausoleo di Oslavia, ove è ricordato conla qualifica di caporale.

Profili

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Un gruppo di religiosi e laici si sono datiappuntamento a Quero dal 6 al 9 luglioper onorare con un percorso sui luoghidella Prima Guerra Mondiale i giovanisomaschi caduti (8 in età dai 20 ai 27anni), i nostri feriti gravi sopravvissuti(2) e gli altri religiosi (44) che presta-rono servizio al fronte, o nelle retrovie,o negli ospedali da campo - come sot-tufficiali ma per lo più come semplicisoldati -, sia preti sia chierici e fratelli,sia seminaristi alle soglie del noviziato,portandosi dentro, oltre al rischio quo-tidiano, un immenso carico di sofferenzefisiche e morali.Dopo una conferenza introduttiva suinostri giovani soldati e sul contributodato anche dalla nostra Congregazionea quell’immane conflitto, ci siamo recati,risalendo la valle agordina tra le acquedei laghi ed il profilo dei monti ricopertidi pini, a Pian de Salesei alle pendici delCol di Lana, ove morì il 23 ottobre1915 il P. Angelo Cerbara, primocappellano caduto al fronte durante laGrande Guerra. Il giorno precedente era stato ferito amorte, mentre in prima linea sopra il bo-sco di Livinè, non lontano dai reticola-ti nemici, assisteva e confortava unsottufficiale gravemente ferito. Qui nella cappella del Sacrario, accantoalla quale fu sepolto dal 1915 al 1924 il no-stro Padre, abbiamo concelebrato l’Eu-caristia, ricordando tutti i nostri caduti,ma in particolare il P. Angelo, nobile fi-gura di educatore di orfani prima, di sa-cerdote e di eroico cappellano. Il pelle-grinaggio è poi proseguito verso il PassoFalzarego: qui sul sovrastante Sasso diStria fu gravemente ferito il Ch. CesareTagliaferro, futuro Padre Generale.La visita al Museo del forte Tresassi ciha dato un’idea della dura vita quoti-

diana del soldato, delle sue azioni dieroismo e del suo istinto di sopravvi-venza, delle armi difensive ed offensive,della permanenza in trincea, della lot-ta per salvarsi dagli attacchi, dai bom-bardamenti, dai proiettili, dal freddo,dalla fame e dai parassiti.Abbiamo poi voluto, ripercorrendo leverdi valli del Trentino, scendere lungol’Adige fino a Trento, per visitare ilduomo, ove si svolse la maggior partedelle sessioni del Concilio di Trento(1545 – 1563), per pregare davanti alCrocifisso ligneo davanti al quale ven-nero firmati i decreti. Abbiamo ricordato come San Girolamo,contemporaneo di Lutero, sognasse an-che lui la riforma della Chiesa, il ritor-no alla santità dei tempi apostolici. La nostra Congregazione collaborò allariforma cattolica soprattutto con l’edu-cazione nei Seminari, formando il cle-ro locale. Trento si può ritenere una città segna-ta da una forte presenza somasca dalleorigini della Congregazione fino al 1803.

Nostra storia

Ricordando i nostri Religiosi

p. Giuseppe Oddone

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Infatti qui nacque il P.Francesco Spaur, uno deiprimi professi del 1569,preposito Generale dal1571 al 1574, organizza-tore di case per orfani,che teneramente amava,procuratore generale,amico del Card. Cristofo-ro Mandruzzo, vescovodella città, e del suo suc-cessore Ludovico Man-druzzo, primo cardinaleprotettore della Congre-gazione somasca.Inoltre i Somaschi che inquesta città avevano lacura pastorale della par-rocchia di S. Maria Mad-dalena, diressero il se-minario diocesano dal1590 al 1771, contribuen-do alla formazione delclero, cui dettero una for-te impronta di amore allalingua italiana e di fedel-tà al Papa ed alla Chiesadi Roma.Il rientro per la deliziosae serena Valsugana ci ha

riportato alla nostra basedi Quero.La mattinata del giornosuccessivo è stata dedi-cata alla visita al MonteGrappa, baluardo d’Italia,dopo la disfatta di Capo-retto. Abbiamo visitato la galle-ria fortificata che permet-teva il posizionamentodell’artiglieria sui due ver-santi, percorso tutto il sa-crario, pregato per la pacenella cappella della Ma-donnina del Grappa.Qui combatterono la bat-taglia del solstizio (se-conda metà di giugno1918) il Ch. GuglielmoTurco ed il Ch. Giu-seppe Balestrini, checadde per un’Italia piùgrande il giorno 16 giu-gno.Il pomeriggio è stato ri-servato alla visita dellacittà di Feltre. Siamo saliti alla PiazzaMaggiore con la grande

Nostra storia

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Scritta di una targa già posta all'entrata della galleria del Castelletto (Tofane) ed ora nella Cappelletta situata al Passo del Falsarego, di autore ignoto.

TUTTI AVEVANO

LA FACCIA DEL CRISTO

NELLA LIVIDA AUREOLA

DELL'ELMETTO,

TUTTI PORTAVANO

L'INSEGNA DEL SUPPLIZIO

NELLA CROCE DELLA BAIONETTA.

E NELLE TASCHE IL PANE

DELL'ULTIMA CENA,

E NELLA GOLA IL PIANTO

DELL'ULTIMO ADDIO.

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fontana rinascimentalefatta costruire dal papà diGirolamo, Angelo e de-corata con il suo stemma,abbiamo visto il salonecon gli stemmi di tutti igovernatori della città (ilprimo entrando è ancoraquello dei Miani), nellaCattedrale abbiamo ri-cordato l’amico di Giro-lamo, il feltrino GiovanBattista Guillermi, vicariodella diocesi di Bergamo.Abbiamo concluso lagiornata concelebrandonel Santuario dei SS. Vit-tore e Corona, tanto se-gnato dalla presenza so-masca. Tra chiesa e convento ri-mangono ben cinquestemmi della nostra Con-gregazione; abbiamo am-mirato la quadreria, an-cora parzialmente con-servata con diverse rap-presentazioni della vita diMaria e di Gesù e condue tele, tra le più belle,della liberazione dal car-cere di San Girolamo e

della sua fuga verso Tre-viso, condotto per manoda Maria. Oltre al culto del santua-rio i Padri, presenti dal1670 al 1772, costruironosul pendio del monte seicappelle di accesso allachiesa, curarono partico-larmente l’insegnamentodella dottrina cristiana aipiccoli, ed il servizio pa-storale ai poveri contadi-ni delle borgate vicine,con i quali amavano fa-miliarizzare.La visita all’immenso sa-crario di Redipuglia ed alsacrario di Oslavia (Go-rizia) per onorare i con-fratelli caduti lungol’Isonzo e sul fronte delCarso, tra i quali il con-fratello caporale Gio-vanni De Sario, sepol-to appunto ad Oslavia,ha costituito un’occasio-ne preziosa per immer-gerci ancora una voltanella passata e recentestoria della nostra amataCongregazione.

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NON SEI CHE UNA CROCE (Renzo Pezzani)

Nessuno, forse, sa piùperché sei sepolto lassùnel camposanto sperdutosull’Alpe, soldato caduto.

Nessuno sa più chi tu sei,soldato di Fanteria,coperto di erba e di terra,vestito del saio di guerra,l’elmetto sulle ventitré

Nessuno ricorda perché,posata la vanga e il badile,portando a tracolla il fucile,salivi sull’Alpe, salivi, cantavie di piombo morivied altri morivan con te.

Ed ora sei solo tutto di Dio :il sole, la pioggia, l’obliot’han tolto anche il nome di fronte,non più che una Croce sul monte, che dura nei turbini e tace,custode di gloria e di pace.

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Flash

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Si sono tenuti a Roma, indicembre, all’Augustinia-num, a due passi dall’im-ponente colonnato del Ber-nini e dalla basilica di SanPietro, il convegno e l’as-semblea nazionale degliassociati FIDAE (Scuoleparitarie cattoliche). L’impostazione di que-st’anno è stata originaleed innovativa ed ha piena-mente rispettato il suo pro-gramma “Scuola: una co-munità emotivamente in-telligente”.

Le emozioni ecclesiali, ar-tistiche, associative, edu-cative e conviviali non sonodavvero mancate. Vi è sta-ta la partecipazione in aulaNervi di molti convenuti al-l’udienza generale del PapaFrancesco, che ha rivendi-cato la missione della scuo-la paritaria cattolica e la li-bertà di scelta educativadelle famiglie. Nel saluta-

re in modo informale, lanostra dirigente VirginiaKaladich, ha usato parolemolto forti per questa si-tuazione anomala preva-lentemente italiana: “Maquesta è una dittatura!…ma lo devono pur capi-re!… voi andate avanti!”.Il convegno è stato agile edinamico, con interventiprofondamente sentiti dairelatori: è stata propostauna didattica coraggiosaper capire i cambiamentidella scuola, per sceglieresoluzioni concrete, per mi-gliorare oltre alla cultura lacapacità relazionale, persperimentare e creare am-bienti di approfondimento,per valutare saggiamentegli alunni senza l’ossessio-ne del voto. Altri interven-ti hanno toccato il rappor-to intergenerazionale tragiovani ed adulti, l’affetti-vità, la corporeità, l’evolu-zione dei curricola scola-stici in Europa e le sfide perl’Italia alla luce della legge107/2015.Oltre alla percezione diuna grande famiglia cri-stiana (con gli studentipresenti i partecipanti era-no circa 300), la novità diquest’anno è stata quelladei workshops, rivelatisimolto utili. Ogni parteci-pante ha potuto seguirnetre a sua scelta, ad esempio

vedere sul campo l’utilizzodell’Ipad in una scuola e lemolteplici potenzialità diapprendimento che offre adocenti ed alunni, oppurel’impiego del registro elet-tronico, ed ancora incon-trarsi con la rappresen-tanza studentesca delle no-stre scuole, captare i lorosogni e la volontà di esse-re anche politicamenteprotagonisti.L’incontro è stato un gran-de laboratorio di idee, chenon ignora i problemi e ledifficoltà della nostra scuo-la, ma che cerca di preve-nirli e di risolverli: è nellanatura della scuola parita-ria cattolica rielaborare lapropria peculiarità, la pro-pria didattica. Certo per-mane la volontà di unire lenostre forze, ancora di-sperse in tanti rivoli, perdare più incisività alle no-stre proposte.Abbiamo ve-rificato la presenza di tan-ti stimoli nuovi, volontà dinon sentirsi passivamentelegati al carro della scuolapubblica statale, ma di es-sere propositivi e all’avan-guardia, di essere unascuola che guarda al futu-ro, che mette lo studente alcentro e mira concreta-mente al loro bene perso-nale: in sintesi, una scuo-la di tutti per ciascuno deinostri studenti.

Scuola: una comunitàemotivamente intelligente

Convegno nazionale Fidae

p. Giuseppe Oddone

presidente Fidae Liguria

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Angolo vocazionale

Mi chiamo Angelo...Angelo Stocco

La chiamata del Signore a seguirlopiù da vicino per me è stata molto precoce: è avvenuta al-l'incirca verso gli anni della primacomunione. Sentii di dovermi accostare nel ser-vizio liturgico come chierichetto, e lìscoprire volta per volta di essere chia-mato a farmi dono nel servizio. Vivere quei momenti di incredibilepace e amore, sentendomi nel postogiusto, diventò col passare del tem-po il mio unico scopo della giornata. Raggiunta la maggiore età, il Si-gnore fece sentire la Sua voce at-traverso il mio parroco, che mi fe-ce la proposta di seguire un per-corso in seminario. Ma, ahimè, sentivo molto forte ildovere di aiutare economicamentela mia famiglia con il mio lavoro. A malincuore dovetti declinare l'of-ferta. Ma il Signore, che sa cosa vuo-le da noi e non smette di seguire lesue pecorelle. Arrivai ad un momento in cui nul-la più mi soddisfaceva, sentivo inme un grande vuoto, mi sentivo inuno stato d'essere che non mi ap-parteneva. Dopo importanti momenti di di-scernimento, conobbi i Padri So-maschi e decisi di partecipare a deiweekend vocazionali a Somasca. Mi sentii fin dal primo giorno co-me se vivessi lì da sempre, sentivodi essere a casa. E così decisi di ini-ziare un cammino con loro. Trascorsi mesi e anni e mi ritrovaia fare l'ingresso in noviziato. Nel noviziato, che dura un anno, sientra in contatto e in ascolto ap-profondito con il Signore, si sco-prono anche i propri limiti e le pro-prie fragilità.

Dai propri errori si impara a cre-scere e andare avanti e si scopre cheil Signore ci vuole così come siamo,persone vere e autentiche che nonsi nascondono dietro a delle ma-schere. Nell’anno di noviziato ho ca-pito che il Signore mi chiamava, co-me San Girolamo, ad essere ultimotra gli ultimi, come Lui stesso, chenell'ultima Cena si è fatto servo ditutti e ha lavato i piedi dei suoi di-scepoli. Ho avuto l'opportunità disperimentare la bellezza e la ric-chezza del servizio alle persone ab-bandonate nella propria malattia,affette da AIDS, e poter condivide-re con loro quel poco di tempo disvago o di lavoro, insieme, aiutan-doli a non sentirsi soli nella loro ma-lattia. E così che ho scoperto i Pa-

dri Somaschi, una famiglia religio-sa che cerca di vivere il carisma tra-smesso dal loro fondatore, San Gi-rolamo, cioè di vivere la paternità ela maternità di Dio, soprattutto concoloro che ne sono stati privati perl'egoismo dell'uomo o per eventi do-lorosi della vita. I Somaschi cercano di dare una ri-sposta alla gioventù abbandonata:‘vivendo e morendo con i più pic-

coli e abbandonati’. Le nostre case-famiglia e comuni-tà educative nascono con questo im-portante scopo: accompagnare igiovani per ridare loro la dignità difigli di Dio e inserendoli nel mon-do in modo da essere "cittadini so-vrani", come sottolineava don Mi-lani, rimanendo sempre per loro deipunti di riferimento positivi e co-stanti, come un padre e una madre. Anche se di nazionalità e di religio-ne differenti, si accompagna ognigiovane, spesso frutto di tratta o diabbandono o di tragici naufragi, of-frendo a ciascuno il calore e le cu-re di una vera famiglia, aiutandolia vivere come veri fratelli, anche sedi colore della pelle o di religionedifferente. Tutto questo servizio sa-

rebbe sterile se mi dimenticassi del-la Fonte da cui attingere forza e gio-ia del mio voler ‘essere dono per glialtri’. È quello che ho scelto di vi-vere e intendo con tutto il cuore fa-re e lo scorso 3 settembre l'ho pub-blicamente promesso davanti a Dioe alla sua Chiesa, con la professio-ne [email protected]@gmail.com

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...ho 31 anni

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In memoria

p. Emidio D’ErricoDella comunità di Statte (TA),è deceduto il 5 agosto 2016,all’età di 69 anni. Originariodi Pulsano, entra in semina-rio nel 1958 a Pescia (PT). Do-po il noviziato, la professionereligiosa e gli studi teologici,nel 1974 viene ordinato sa-cerdote. Uomo di saldo spiri-to religioso, con forte identi-tà somasca, ha esercitato con

rettitudine il ministero religioso e sacerdotale spendendo lasua vita a servizio degli ultimi nel mondo della scuola e nelcampo educativo/assistenziale. Dal 1983 al 1996, oltre a con-durre i lavori di costruzione della chiesa parrocchiale di Stat-te, si è occupato della zona periferica della cittadina dovuto al-la presenza di situazioni di disagio socio-psico-ambientali. Inseguito presterà il suo servizio a Santa Maria in Aquiro (Ro-ma), a Villa san Giovanni (RC) e a Rreshen (Albania) dandovita al Centro Professionale ‘San Giuseppe Lavoratore’. Nel2009 sarà eletto Preposito provinciale. Ma nel 2010 dovrà fa-re rientro in Italia perché colpito dalla malattia sclerosi mul-tipla (SLA). Risiederà nella comunità di Statte e continuerà la

p. Giuseppe Fava Della comunità di Somasca(Casa Madre), è deceduto il24 luglio 2016, all’età di 92anni. Il suo cammino voca-zionale si snoda dal 1936 apartire dal seminario mino-re del suo paese nativo diTradate (VA) alla comunitàdel Santuario del Crocifissodi Como come seminarista.

Raccontava lui stesso: “In seminario, al Crocifisso di Como,mio papà è venuto a trovarmi una sola volta, con la mam-ma. Quando mi vide, non fu capace di dirmi una sola pa-rola: ero rapato a zero, con gli zoccoli, il grembiule. Gli fa-cevo un’immensa pena, messo così, figlio di una sarta! Pe-rò, dopo il colloquio con il Rettore, papà mi disse: Adessoso che cos’è una vocazione: non avrei mai pensato di ave-re un figlio con la vocazione”. Poi il noviziato a Somasca, lasuccessiva preparazione filosofica a Corbetta (MI), l’acces-so agli studi teologici a Roma e i voti perpetui. Dopo l’ordi-nazione sacerdotale, fu destinato subito a Como al serviziodegli orfani dell’Annunciata, e l’anno successivo sarà inca-ricato di seguire l’Oratorio del Crocifisso. Esperienza oltre-modo coinvolgente, ricca di frutti e, in seguito, di ricordi pro-fondi, mai cancellati nel tempo perché segnati dalla forza edalla tenerezza. Nella sua immediata e schietta riflessione,così parla p. Fava: “Quell’oratorio era infernale! L’era l’iradi san Pedar. Ma io ci godevo, perché riuscivo ad aggan-ciare i giovani. Mi piaceva stare con loro e loro mi accet-tavano, anche i più scatenati”. Ma l’obbedienza lo accom-pagna al Collegio Gallio di Como, con l’incarico di padre spi-rituale ed insegnante di religione: una marea di giovani stu-denti per i quali p. Fava scrive di voler mettersi a disposi-zione senza riserve: “Tranne i tempi di preghiera, del par-tecipare agli atti della comunità, o gli impegni dell’inse-

gnamento della religione, ci tenevo ad essere a disposizio-ne di chi volesse venire a colloquio. Qui dovevo tirar fuoril’anima!”. Dopo la brevissima esperienza alla comunità diCorbetta (MI), subito, l’anno seguente, assumerà l’incaricodi rettore dello Studentato teologico di sant’Alessio al-l’Aventino in Roma. Furono questi, per p. Fava, gli anni neiquali gli vennero riconosciute le doti di umanità, di buonsenso, di equilibrio, di competenze e di adeguatezza ai tem-pi, mutanti e talvolta tanto innovativi da essere sconvolgenti:anni che lo introdussero nel Consiglio generale della Con-gregazione. I progetti di Dio su di lui si faranno ancor piùesigenti quando il Capitolo generale del 1969 lo elegge Su-periore generale della Congregazione. Così scrive: “Solo ilSignore sa cosa mi costò pronunciare quell’eccomi alla suavolontà. Quando tutti si furono ritirati, mi portai in chie-sa. Mi inginocchiai e contemplai il tabernacolo. Mi basta-va fissarlo; lasciavo a Gesù di entrare nel mio cuore e co-gliesse i miei sentimenti che non riuscivo ad esprimere”.E la sua vita p. Fava l’ha impegnata per la Congregazione. È sufficiente ricordare, in tempi post-conciliari, il lavoro perla revisione e l’adeguamento delle Costituzioni e Regole e,soprattutto quelle sue Visite Canoniche che lo resero il “pre-te di corsa per il mondo”. Terminato il servizio dell’autori-tà generale, la sua vita si compone di un mosaico di incari-chi: in Italia e all’estero nell’attività degli esercizi spirituali,maestro dei novizi, missionario in Brasile e nel Salvador, su-periore in diverse comunità. Infine a Somasca: “Qui non hoattività ma sono vicino a san Girolamo. Tutta la mia vita haavuto come sottofondo l’essere e il rimanere il ‘Pinin’, chia-mato così appena nato. Mi sono sentito e valso sempre il ‘Pi-nin’: favorire il saper accettare tante prove e riprendermi lamia serenità. La mia vita è una pagina scritta col cuore”.Tu, caro padre Fava, hai amato tanto la nostra piccola Con-gregazione, nel concreto, amando i tuoi confratelli: fa chenoi la amiamo come ci hai insegnato.

p. Livio Balconi

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sua dedizione non più in prima linea ma attraverso la lucidaofferta della sua vita a favore della Chiesa, della Congregazio-ne e delle vocazioni. Affronterà sei lunghi anni di sofferenza,assistito amorevolmente dai confratelli, dai laici, collaborato-ri assistenziali, medici e infermieri. Nonostante il disagio del-la malattia, parteciperà alla preghiera, agli incontri di comu-

nità e all’Eucaristia, celebrata nella sua camera. Dopo quattrogiorni di coma irreversibile, muore il giorno del suo onoma-stico, vigilia della festa della Trasfigurazione. Grazie, p. Emi-dio, per la preziosa testimonianza di fede che ci hai regalatonell’affrontare malattia e sofferenza.

p. Luca Mignogna

Omelia di Cristoforo Palmieri vescovo di Rreshen/AlbaniaCarissimi, a voi, familiari e parenti del caro p. Emidio, p. For-tunato Romeo superiore provinciale, cari confratelli di questacomunità missionaria di Statte che, con i vari amici collabo-ratori, avete reso meno dolorosi gli ultimi e sofferti anni di vi-ta di p. Emidio… e quanti siete qui presenti e partecipi del pro-fondo e sincero dolore che ci accomuna tutti, porgo il mio sa-luto… le mie condoglianze… e non solo mie personali. Nellamia persona sono giunti a voi quanti, sacerdoti, religiosi e re-ligiose, collaboratori laici nell’apostolato della diocesi e dellaScuola Professionale San Giuseppe Artigiano, professori, edu-catori, alunni, che da motivi fisicamente impediti, mi hannoaffidato le loro condoglianze e assicurato della loro preghieraa suffragio del fratello, dell’amico, dell’educatore, del sacer-dote p. Emidio con quale per ben 8 anni hanno avuto modo dicondividere la stessa missione, lo stesso ideale: amare e servi-re, ripeto da sacerdote missionario e da educatore secondo ilcuore e gli insegnamenti di san Girolamo, quanti lo hanno in-contrato soprattutto tramite la scuola. Per questa scuola, chela diocesi metteva nelle sue mani, p. Emidio, quale primo su-periore della comunità somasca in Albania, ha dato il megliodi se stesso perché l’ambiente fosse il migliore possibile, peraccogliere i giovani che gli si presentavano per essere aiutatinella promozione di se stessi, alla salvaguardia della loro di-gnità con l’apprendimento di un mestiere col quale guada-gnarsi onestamente da vivere e col riscoprirsi anche figli di unDio da loro mai conosciuto o mai presentato da un regime co-

munista ateo, il peggiore che ci potesse essere per il mondo in-tero, il Dio di Gesù Cristo amante dell’uomo e soprattutto del-l’uomo in difficoltà. E in Albania ce ne sono ancora tanti.Grazie a p. Emidio che seguiva e portava a termine il primoplesso scolastico e ne avviava il secondo, permettendo all’operadi passare da Centro Professionale a Scuola parauniversitaria,oggi, grazie anche alle fatiche di p. Vittorio Piubellini e di p.Giacomo Gianolio che lo hanno seguito e accompagnato in ta-le lavoro, e che siamo certi lo avranno accolto nella gioia deiservi buoni e fedeli, i suoi confratelli attualmente all’opera, l’in-sieme di tutta la struttura è nella possibilità di accogliere finoa ben 350 alunni. Di questa scuola, dei suoi ideali, delle sue fa-tiche e speranze, sicuro di far piacere a p. Emidio, che per tut-to questo ha rinunziato persino alla carica di provinciale cui isuoi confratelli lo avevano eletto, vorrei tutti voi diventasteamici e benefattori, con ogni opera di bene a voi possibile e conla preghiera soprattutto perché quanto già avviato, si sviluppisempre più per raccolti sempre più abbondanti.Carissimi, mentre diamo l’ultimo saluto cristiano a p. Emidio,affidandolo alla misericordia di Dio, e pregando gli Angeli, sanGirolamo e i confratelli che lo hanno preceduto, di andargli in-contro e di presentare l’anima all’Altissimo, restiamo uniti nelsuo ricordo, tenendo presenti i suoi esempi e i suoi insegna-menti, imitiamolo nel servire fedelmente e generosamente lavocazione cui ciascuno di noi è stato chiamato per meritarcianche la stessa corona di gloria promessa a quanti servi buo-ni e fedeli, vivono pienamente soprattutto la vocazione al-l’amore, amore per Dio e per i fratelli, o per dire meglio, amo-re per Dio nei fratelli specie in quelli più bisognosi.

ottobre dicembre 2016 Vitasomasca

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p. Renato Ciocca Della comunità di Nervi(GE), è deceduto il 17 otto-bre 2016, all’età di 73 anni.Nato a Saliceto (CN), rima-se ben presto orfano di pa-dre. Dopo le elementari alpaese natio, di cui fu sempremolto fiero e di cui conosce-va bene l’arte, la storia, il fol-klore, venne nel seminario diCherasco (CN) conseguendola licenza ginnasiale. Tra i ragazzi si distinse subi-to per il carattere gioviale,l’intelligenza, la capacità e la

grinta sportiva nel calcio, la disponibilità al servizio. Dopo il noviziato a Somasca e gli studi filosofici a Magenta,fu inviato in magistero in Spagna nel seminario di Tarancòn(l’Hermita): del periodo ricordava umoristicamente tantianeddoti che coinvolgevano il superiore, i confratelli, i ra-gazzi, per i quali amava inventarsi di tanto in tanto qualchescherzo. Si consacrò definitivamente al Signore con la pro-fessione solenne a Roma e iniziò gli studi di teologia nel-l’università pontificia di Sant’Anselmo conseguendo la li-cenza. Fu ordinato sacerdote a Saliceto nel 1971.Dapprima fu ministro dei convittori del Collegio San Fran-cesco a Rapallo ed insegnante. Allegro e scherzoso, ma nel-lo stesso tempo forte e suadente, conquistò il cuore dei suoiragazzi. Ottenne nel frattempo l’equipollenza per l’insegna-mento. Le sue doti umane ed organizzative non sfuggironoai superiori che lo chiamarono a Roma come responsabiledei chierici teologi. Vi rimase dal 1975 al 1984, nel primotriennio come collaboratore, poi come Rettore e Priore diSant’Alessio all’Aventino. Quanti hanno vissuto con lui quelperiodo lo ricordano per il suo entusiasmo, il suo senso diumorismo e di ironia, per la sua capacità di ascolto, di con-forto, di aiuto, di organizzazione di serene gite comunitarie.Il secondo periodo di Rapallo si estende dal 1984 al 1999.Nel frattempo fu eletto consigliere provinciale, rettore del-l’Istituto Emiliani e preside del Liceo San Francesco. Lasciò a Rapallo in quanti lo conobbero un impronta mar-cata della sua personalità.

Dal 1999 è vissuto qui a Nervi al Collegio Emiliani, primacome preside della Media e dal 2011 come quiescente a ri-poso. Nel 2010 si sono manifestati i segni della sua malattia(SLA), con la quale ha lottato con tutta la sua forza d’animofino all’incontro con il Signore. Ricordo di lui oltre alle sue doti umane di carattere, l’amo-re per i giovani delle superiori prima e delle medie poi, aiquali ha dedicato la sua vita con un lavoro continuo. Inoltreil suo senso dell’amicizia, oltre che verso i confratelli, versotanti laici, uomini e donne: sapeva donare e ricevere. Conun gruppo di amici sceglieva in un breve periodo estivo diviaggiare in Italia ed all’estero, finalizzando i suoi viaggi al-la ricerca storica, culturale ed artistica. È da sottolineare il suo amore per la Congregazione, per laquale sfruttava le sue conoscenze artistiche e la sua passio-ne per la fotografia: è stato uno studioso attento dell’icono-grafia di san Girolamo Miani di cui era attualmente uno deinostri migliori esperti. Frutto di questa sua ricerca sono inumerosi articoli pubblicati sulla rivista Vita Somasca, cor-redati dalle sue fotografie. Un altro suo interesse era per laletteratura delle Langhe (possedeva tutti i testi di AugustoMonti, Cesare Pavese e Beppe Fenoglio). Altra sua caratteristica condivisa era il suo amore per la na-tura, per la Liguria. Sottolineo la sua profonda vita interio-re, il suo amore alla Madonna: fin che ha potuto ha fatto pertanti anni tutta la novena della Madonna di Montallegro,partendo a piedi alle tre del mattino e rientrando alle 8 edera fiero e felice di questa sua fatica penitenziale. Amava sanGirolamo e la nostra Congregazione, la sua storia, e le suecommittenze artistiche e pittoriche. Qualche mese fa, mentre una domenica lo accompagnavo incamera dopo la S. Messa – dimostrava di apprezzare le mieomelie e me lo significava con un cenno ed un sorriso - glichiesi, un po’ per curiosità, se la sua sofferenza fisica era for-te. Mi rispose: “La sofferenza fisica è poca, la sofferenza mo-rale immensa”. Mi è rimasto stampato nel cuore quell’ag-gettivo: immensa. Sono certo che egli univa quotidianamentela sua prova - una prova biblica estrema perché era perfet-tamente cosciente della sua malattia la SLA - a Cristo nellacelebrazione eucaristica. Il Signore che lo ha tanto purificato lo accolga tra le bracciadella sua misericordia.

p. Giuseppe Oddone

In memoria

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Recensioni

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‘Habriaqueismo’ 2(Quel che si dovrebbe fare)

p. Luigi Amigoni

Il “fan-nulismo” o il “fan-nigottismo” (anche in edizione volgare) ha una versio-ne dolce nel “si dovrebbe fare”; sostantivo in spagnolo: habriaqueísmo. E’ il pec-cato di cui parla il Papa nel n. 96 della esortazione Evangelii gaudium (2013).Da Luigi Accattoli - con sua licenza - vengono riprese alcune battute in cui il Pa-pa, spesso con trovate linguistiche immaginose, segnala “il da farsi e il non dafarsi”, lasciando al nostro “discernimento” la soluzione appropriata.

Io ho il vizio dei neologismi (n. 8 - p. 14)Il 21 dicembre 2015 Francesco sprona la Curia a nuove virtù: innocuità, rispettosi-tà, doviziosità. Infine confessa: “Io ho il vizio dei neologismi”. L’avevamo capito, cisono dei volumi sulle sue invenzioni linguistiche, ma resta da scoprire perché vadacercando parole nuove. Da cardinale diceva che “urge pensare il nuovo e fare qual-cosa di inedito”. Ma deve avere capito che fare cose nuove per un Papa è gran fati-ca e si consola provando a dire parole inedite. “È già qualcosa”, avrà pensato.

Sbandiera le tre “T” dei poveri (n. 30 - p. 36)Ammaliati dalle tre “t” della goliardia bolognese (torri, tortellini, tette) e dalle piùsnelle sorelle del mondo globale, tecnologia, talento, tolleranza (R. Florida, L’asce-sa della nuova classe creativa, Mondadori 2003) eccoci sorpresi dalle “t” castiglianeche Bergoglio grida dalla Bolivia il 9 luglio 2015: tierra, techo, trabajo (terra, casa,lavoro). Dopo la sbornia goliardica e quella digitale, chissà se le tre “t” dei poveririusciranno a riportarci al principio di realtà.

Piange con Cristo e con Cioran (n. 48 - p. 54)“Solo quando Cristo è stato capace di piangere ha capito il nostro dramma” cosìparla Bergoglio il 18 gennaio 2015 davanti al pianto di una ragazza filippina che l’in-terroga sul dolore innocente. Un’idea che forse gli deriva da Emil Cioran che si de-finisce “straniero di Dio”, ma che non ha mai cessato di “spiare la divinità”: “Solograzie alle lacrime approdiamo alla conoscenza e comprendiamo come si possa di-ventare santo dopo essere stato uomo” (Lacrime e santi, 1937).

Questo alieno che si chiama Cristo (n. 58 - p. 64)Già Agostino aveva indicato Dio come “fortemente altro”. Rudolf Otto e Karl Barthavevano insistito chiamandolo “il totalmente altro”. Ma nessuno l’aveva detto “alie-no” come ha fatto Francesco il 25 ottobre 2014: “Noi siamo trasmettitori di un alie-no che ci salvò tutti: questo alieno che si chiama Gesù”. L’estro linguistico bergo-gliano è da tempo in orbita: si era già detto favorevole a battezzare i marziani, semai fossero arrivati.

Guardiani di una massa fallita (n. 63 - p. 69)Nel dicembre del 2008 lo scrittore Pietro Citati aveva protestato da “cristiano” con-tro le lamentazioni degli ecclesiastici che descrivevano la Chiesa come “una citta-della assediata”: ne fu rimproverato dall’ufficialità cattolica. Non sono passati seianni che gli dà ragione il Papa che il 18 settembre 2014 dice ai vescovi nominati nel-l’anno che il loro compito non è quello di “guardiani di una massa fallita”, chiama-ti a gridare che “il fortino è assalito”.

(L. Accattoli - Maria Ines, hai visto che non ho messo le scarpe rosse?Detti memorabili di papa Francesco - Edizioni Clichy, 2016 - € 9,90)

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Recensioni

LE NUDE DOMANDE del VANGELOErmes Ronchi – pp. 200 – San Paolo, 2016Se è vero che il punto di domanda è stato creato da Dio e messo nel cuore dell’uomo (p. 9),è attendibile che esso, “in neretto e carattere cubitale”, sia stato messo nel cuore di Gesù diNazaret. Non c’è spiegazione più attendibile di questa per giustificare le varie domande cheGesù, o in tono di rimprovero o in modalità provocatoria, pone ai suoi interlocutori. Con al-cuni dei punti di domanda evangelici (dieci) si è presentato a papa Francesco e ai suoi col-laboratori di curia riuniti negli esercizi spirituali, nella quaresima 2015, il servita p. Ronchi,volto televisivo affermato ed “erede letterario” di p. Turoldo (nel libro citato nove volte). Nella costruzione dei quattro vangeli l’itinerario di avvicinamento di Gesù all’ora finale, equello di crescita del discepolo alla scuola degli apostoli predicanti (da “curioso” a catecu-meno, a cristiano) ammettono delle pause di riflessione in cui si fa il “punto della situazio-ne”. Sono tali i momenti di svolta, quando la fede dei discepoli di Gesù è messa a dura pro-va e occorre un supplemento di coraggio per proseguire nella ricerca e nella scelta (esem-plare il “volete andarvene anche voi?” di Gv 6, 67). Ma lo sono anche i momenti in cui ai di-scepoli viene chiesto un’adesione personale al maestro che esca dalle formule e dalle opi-nioni stereotipe (come, in Mt 16,15, il famoso “e voi chi dite che io sia?”, che interpella Pie-tro e gli altri). Un altro bell’interrogativo, stavolta assolutorio, è quello rivolto, davanti allaadultera scampata alla lapidazione, in riferimento agli anonimi implacabile suoi accusato-ri: “dove sono?” (Gv 8, 10). Fa scuola, anche nella elaborazione delle istruzioni rivolte al Pa-pa e ai suoi, il filo (o uno dei fili) che collega i brani del Vangelo di Giovanni: dal “che cosacercate?” (Gv 1, 38) di Gesù, rivolto ai curiosi discepoli del Battista che intendono trasloca-re presso il maestro di Galilea, al “donna chi cerchi?” (Gv 20, 15) del Risorto a Maria di Mag-dala decisa a parlare con il giardiniere; quel dialogo conclude la complessa catechesi del-l’evangelista che sa che “la sua testimonianza è vera”.

LA BIBBIA di LUTERO Franco Buzzi – pp. 94 – Claudiana – EMI, 2016 Nel quinto centenario della “riforma” di Martin Lutero (1483-1546), che si ritiene avviata conl’affissione delle celebri 95 tesi sulle indulgenze il 31 ottobre 1517, è tutto un fiorire di studi,di ripresentazioni e perfino di rivalutazioni della figura del frate agostiniano tedesco, entra-to in convento ad Erfurt nel 1505, prete nel 1507 e professore di sacra Scrittura a Wittenbergnel 1512. L’evento commemorativo ha avuto la sua “ufficializzazione solenne” di avvio con ilviaggio a Lund, in Svezia, di papa Francesco e gli atti ecumenici lì compiuti, a fine ottobre2016. Si è soliti riassumere il senso della iniziativa riformatrice di Lutero – poi diventata svol-ta di rottura con le complicazioni e la bolla di scomunica di Roma e la inflessibile contrap-posizione del frate tedesco - con la sua sottolineatura del triplice “sola”: soltanto la grazia,soltanto la fede, soltanto la scrittura. Dal punto di vista sperimentale il primo dei “soli valo-ri cristiani” è la Scrittura, cioè la Bibbia, a cui è dedicato questo prezioso e rigoroso libro delprefetto della Biblioteca Ambrosiana, il comasco quasi settantenne Franco Buzzi. La Bibbiaè stata “la sola passione” della vita di Lutero; le traduzioni in tedesco della Bibbia da lui con-dotte sono state molto accurate, oltre che rispettose del livello di comprensione della gente,fino al punto di considerare “il padre dei protestanti” tra i fondatori della moderna lingua te-desca. L’opera in esame segnala tutti i passaggi dell’imponente lavoro di comprensione, tra-duzione, spiegazione e interpretazione della Bibbia compiuto da Lutero, che assegna il veroprimato, nella storia della salvezza, non al testo scritto ma alla Parola, al “discorso di Dio agliuomini” cioè a Gesù Cristo, l’oggetto dell’annuncio (orale) del Vangelo. E non comprende nulla della Scrittura – dice ripetutamente Lutero – chi non coglie la diffe-renza tra “Legge” e “Evangelo”. La Legge accusa l’essere umano di peccato e lo schiavizza;l’Evangelo lo assolve e lo libera, consegnandolo all’annuncio della Parola mediante la fede.

IL VELOSignificato di un copricapo femminileGiulia Galeotti – pp.223 – EDB, 2016Che il velo è, nella cultura islamica odierna, l’effetto più visibile di una “ricerca identitaria digiovani che in occidente si scontrano con difficoltà di integrazione” (p. 214) non ci sono dub-bi. Ed è altrettanto accertato che negli ultimi decenni “il velo femminile cristiano si è eman-cipato, sia simbolicamente che normativamente” (p. 213). Sono esiti diversi di una imposta-zione culturale per lungo tempo uniforme, retta da una logica di sottomissione della donnaal potere del maschio, accettata, in modo più o meno disinvolto, in ogni tradizione religiosa

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p. Luigi Amigoni

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antica. Il percorso del velo – in campo simbolico e legale – è il contributo prezioso offerto daquesta ricercatrice, responsabile della pagina culturale dell’Osservatore romano. E qualchesorpresa il riesame la riserva.In campo cristiano si parte dal famoso passo di san Paolo nel-la prima lettera ai Corinti 11, 1-16 (“le donne che pregano o profetizzano stiano col capo ve-lato”) in cui vale forse più il fatto che le donne possono parlare in pubblico anziché il resto.Dovendo disciplinare, anche in campo liturgico, una comunità vivace e composita, in una cit-tà multietnica e multi-religiosa, Paolo chiede alle donne greche riunite in preghiera di in-dossare il velo, al pari di quelle romane ed ebree. La successiva tradizione, per cui il “velo èil giogo” delle donne (di ogni età), ogni volta che escono di casa, conosce come teorizzatoredi grande rigore lo scrittore africano Tertulliano. Ma nel cristianesimo si fa strada, sia purefaticosamente, e con esiti alterni, il principio paolino che in Cristo non c’è più distinzione di-maschio e femmina (lettera ai Galati 3, 28). In campo musulmano le acquisizioni sono forseanche più interessanti. Di origine mesopotamico, il velo fa parte della cultura araba pre-mu-sulmana e differenzia, prima di tutto, le donne libere, che lo portano, dalle schiave e dalleprostitute. Maometto recepisce il dato del suo ambiente e ne parla nel Corano, ma più di unostudioso sostiene oggi che il termine coranico hijab (barriera, separazione) indichi l’azionedi velarsi di fronte a sguardi indiscreti e non “un esplicito riferimento a specifici indumentidestinati alle musulmane”. E’ solo nel XIV secolo a partire dal tempo della capitolazione mu-sulmana, a Bagdad, di fronte ai mongoli di Gengis Khan che la imposizione del capo coper-to assume il valore di legge universale. Allora, come in seguito nei momenti di confronto conaltre culture, la reazione difensiva islamica è di irrigidire le regole giuridiche “non per crea-re spazi di libertà ma per istituire un controllo dell’islam su stesso” (p. 103). L’escalation diautoimposizioni restrittive in materia di velo (e di relativi interventi limitativi, alla manierafrancese), è storia dei nostri giorni di difficile integrazione.

L’ANTISEMITISMO SPIEGATO AI RAGAZZI (E AI LORO GENITORI)Michel Wieviorka – pp. 133 – EDB, 2016L’annuale giornata della memoria delle vittime della Shoah (27 gennaio) mobilita il grup-po ormai esiguo dei testimoni sopravvissuti, il mondo dello spettacolo impegnato, e il clandegli analisti storici. Il sociologo francese in oggetto, di famiglia ebrea colpita a morte dal-la shoah, riassume in buona misura le diverse competenze per rispondere a esigenze e obie-zioni di diverso tipo, da quelle terminologiche e storico-letterarie a quelle ideologico-cultu-rali. Con tre domande conclusive: sul perchè della durata millenaria dell’odio contro gliebrei, rappresentati nel corso della storia come “la figura del male e della sventura”; sul mo-tivo per cui essi vengono assimilati a una razza - e per di più dotata di poteri malefici - e nona un popolo o una nazione; sul pericolo che l’antisemitismo sia considerato non un proble-ma di tutte le persone democratiche ma solo degli ebrei.

L’ASSEDIO - Come l’immigrazione sta cambiando il volto dell’Europa e la nostra vita quotidianaMassimo Franco – pp. 167 – Mondadori, 2016Tutti gli studi o le analisi sul fenomeno colossale della emigrazione rischiano di non esseremai aggiornati, pagando la differenza tra il momento in cui sono affrontati e sistemati coni dati a disposizione e il momento in cui sono editi e giungono a disposizione di chi vuoleinformarsi e capire giorno per giorno. E’ sicuramente vero anche di questo saggio del vali-do notista politico del “Corriere della Sera” Massimo Franco, membro anche di un istitutointernazionale inglese di studi strategici. Il libro, del marzo dell’anno scorso, ragiona anchein termini previsionali parlando dei “Trump europei”, certo non scommettendo sul succes-so presidenziale del magnate americano; così come parla di un “Mare mortuum”, riferen-dosi a un Mediteranneo da scongiurare come perenne “tomba ecatombale”; e di un fu “con-tinente perfetto” riferendosi a un tempo dell’Europa da non dovere rimpiangere per sem-pre come “età dell’oro”. Anche sulla durata della crisi immigratoria la speranza è di non do-ver dare ragione alla previsione di uno stratega militare americano che parlò nel 2015 di unproblema da affrontare per i prossimi 20 anni. Capitoli interessanti, dalle annotazioni con-divisibili, sono quelli dedicati ai muri e alle frontiere dell’est, là dove una volta c’erano lecortine di ferro volute da chi intendeva preservare i popoli orientali dalla democrazia occi-dentale. E così oggi si può anche alludere a una religione (cristiana) del filo spinato che espri-me “una strisciante ostilità nei confronti dei profughi musulmani e di una chiesa che pro-pugna la solidarietà e l’accoglienza” (p. 71). Rimane indubitabile, per oggi e per domani, chel’immigrazione sta mutando il nostro continente e la nostra vita quotidiana.

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Passiamo all’altra riva

138° Capitolo generale dell’Ordine

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