97 - teramani.info · Idilio, verso la sua capanna, e verso i suoi romanzi, che parlavano d’amore...
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mensile di informazione in distribuzione gratuita
Marzo 2014
DI PASQUALE/BRUCCHIpag. 6
BULLISMO
pag. 12
IL PIANISTAFUORI POSTOpag. 28
n. 97
64021 Giulianova (Te) c.so Garibaldi, 6564100 Teramo (Te) via Vincenzo Irelli, 31 - c/o Obiettivo CasaTel: 085 8001111 - 085 8007651 Fax: 085 [email protected] - www.juliaservizi.it
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SOMM
ARIO 3 Immagina
4 Il libro del mese 6 Manola di Pasquale 7 Maurizio Brucchi 8 Teramo Culturale 10 Politica 12 Bullismo 13 Pezze Pazze a colori 14 Siriano Cordoni 16 Via D’Annunzio 18 I Giovani, la Scuola, la Famiglia tra Internet e Tv 20 Musica 22 Musica 23 l’Oggetto del Desiderio 24 La Scuola 25 Dura Lex sed Lex 26 Cinema 28 Il pianista fuori posto 29 Calcio 30 Pallamano
n. 97diYuri Tomassini
Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio, Floriana Ferrari, Carmine Goderecci, Maria Cristina Marroni, Fabrizio Medori, Fausto Napolitani. Silvio Paolini Merlo, Antonio Parnanzone, Leonardo Persia, Alfio Scandurra, Yuri Tomassini.
Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.
Progetto grafico ed impaginazione: Antonio Campanella
Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele
Organo Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930
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Teramani è distribuito in proprio
www.teramani.infoè possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web
Una casa trasparente della creatività
locale. “Expò” permanente dell’arte e
della cultura in un punto di massima
visibilità all’imbocco di corso San Giorgio.
Vetrine, spazi espositivi fruibili “full time” da
residenti, studenti e turisti. Mostre, teatro,
convegni, cineforum, incontri e dibattiti
nell’arco dell’intero anno. Le estetiche
partecipative degli anni ’60 e ’70 che
diventano realtà in un immobile pubblico.
Un luogo a disposizione delle associazioni
artistiche e culturali locali per innescare
relazioni umane attraverso la costruzione
di luoghi e momenti di confronto, dibattito,
interscambio. Una “factory” cittadina come
antidoto alla “solitudine urbana, al venir
meno di un vicinato solidale,” (Angela
Vettese). Riconvertire arte e cultura in
una dimensione partecipativa allargata ai
residenti oltre che a operatori e promotori
di eventi. Prosaicamente, proporre alle
intelligenze in partenza di ripensarci, disfare
le valige e provare a frenare l’inabissamento
di un capoluogo di provincia. Ricerca,
conoscenze e immaginazione sono il motore
economico di un territorio oltre che la terapia
contro il cancro della “grande bruttezza” a
cui la contemporaneità video idiota ci sta
condannando. Senza calcolare l’impennata di
immagine di una città scambiata per Matera
o Termoli a nord del Po e le possibilità di
raccordo con l’Ateneo teramano. L’alternativa
è la città palude,
un grande mare
della tranquillità
che somiglia
alla vigilia della
morte, il deserto
culturale e civile,
lo scivolamento
verso stili di vita
inautentici. I dati
nazionali sulla ludopatia e il gioco d’azzardo
sono preoccupanti per il nostro territorio,
stanno assumendo la forma di un fenomeno
montante. La nostra città è rimasta un
piccolo borgo antico, in cui, come nel resto
del Paese, sono tramontate le ideologie e si
è approdati al Niente senza passare per le
idee. Da noi è successa una cosa peggiore,
l’attecchire di una visione del quotidiano e del
presente come “sagra continua”. Nel 1959 si
fraintese la modernità con la cancellazione
e la sostituzione dell’antico, fu la rimozione
barbara e non “futurista” di troppi monumenti.
Filippo Tommaso Marinetti, lo sanno anche
i sanpietrini, scherzava quando invitava a
bruciare i musei e deviare i corsi dei fiumi per
sommergere le città d’arte. n
3A Teramo
Immagina
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uno spazio per tutti
Il romanzo dello scrittore cileno Luis Sepùlveda, Il vecchio che leg-
geva romanzi d’amore, è un inno alla natura, dipinta come pura,
incontaminata dall’odio, strano crogiolo di diverse culture, che
vivono in pacifica armonia.
“Il cielo, che gravava minaccioso a pochi palmi dalle teste, sembrava
una pancia d’asino rigonfia. Il vento, tiepido e appiccicoso, spazzava
via alcune foglie morte e scuoteva con violenza i banani rachitici che
decoravano la facciata del municipi.”
Il protagonista, Antonio José Proaño, è un vecchio colono ecuadoria-
no che ha scelto di vivere nella foresta amazzonica, in una capanna
sulla riva del fiume, insieme agli indios shuar. Si era sposato alla pre-
coce età di tredici anni, con una moglie anch’essa bambina, e aveva
scelto di trasferirsi dall’Ecuador nella foresta, alla ricerca di un luogo
edenico. Purtroppo la moglie era morta di malaria e la natura aveva
aiutato Antonio nell’esorcizzazione del dolore.
Il fatto di vivere immerso nella natura lo induce a sperimentare una
dimensione nuova, di autentica libertà, a stretto contatto con i suoi
intimi bisogni e aspirazioni. Gli shuar insegnano ad Antonio ad amare
quella natura magica e insieme spietata. Ormai si è definitivamente
allontanato da quella civiltà, che invia nella foresta ingordi gringos
a distruggere e a sfruttare le risorse. Solo lui potrebbe riuscire a
inseguire e uccidere il tigrillo, un felino che da un po’ di tempo miete
numerose vittime umane, non per la fame, ma per vendicare la
strage dei suoi cuccioli. La storia di questa epica caccia, che l’autore
fa gustare attraverso colpi di scena e suspense, si conclude con la
vittoria di Antonio, ovvero dell’uomo bianco sull’animale. Si tratta,
però, di una vittoria di Pirro, perché Antonio comprende che questa
morte è una vergogna per l’uomo: rappresenta, infatti, la morte della
stessa natura, dell’autenticità e della libertà che in essa risiedono.
“Durante la sua vita tra gli shuar non ebbe bisogno dei romanzi per
conoscere l’amore. Non era uno di loro, e pertanto non poteva avere
mogli. Ma era come uno di loro, e quindi lo shuar anfitrione, durante
la stagione delle piogge, lo pregava di accettare una delle sue spose
per maggiore orgoglio della sua casta e della sua casa. La donna
offertagli lo conduceva fino alla riva del fiume. Lì, intonando anents,
lo lavava, lo adornava e lo profumava, per poi tornare alla capanna
ad amoreggiare su una stuoia, coi piedi in alto, riscaldati dolcemente
da un fuoco, senza mai smettere di intonare anents, poemi nasali
che descrivevano la bellezza dei loro corpi e la gioia del piacere, au-
mentato infinitamente dalla magia della descrizione. Era amore puro,
senza altro fine che l’amore stesso. Senza possesso e senza gelosia.”
Il romanzo non si esaurisce nella rappresentazione quasi docu-
mentaristica della vita nella foresta: la narrazione dismette il tono
realistico per assumere quello epico e simbolico quando descrive la
lotta tra l’uomo e la bestia.
Sepulveda vuole mostrare la diversità nell’approccio con la natura
dell’uomo bianco, che interpreta l’ambiente naturale come luogo da
sfruttare, e dell’indigeno, che vive invece in armonia con la natura,
senza alterarla. La
foresta amazzonica è
anche il simbolo della
natura tout court e chi
la distrugge, compie
un orribile misfatto.
La crudeltà perpetrata
genera altra crudeltà da
parte delle vittime; così
il desiderio di ribellione
e di vendetta trova
espressione nelle stragi
compiute dal tigrillo,
cui sono stati uccisi i
cuccioli.
Antonio, l’uomo bianco
che sente ormai come
un indigeno, si trova
a dover combattere
contro questa madre
oltraggiata e, quando la
ucciderà, non proverà
orgoglio o compiaci-
mento, ma dolore e
sconfitta. Simbolicamente la morte del felino rappresenta la sconfitta
dell’uomo, che, devastando la natura, annienta le proprie radici e
uccide la grande madre che lo ha generato, lo nutre e lo protegge.
Nella parte finale del libro, Sepulveda riflette con parole struggenti
sul potere catartico della lettura. Nella vecchiaia le parole dei libri, i
versi d’amore, accompagnano con dolcezza Antonio verso il tramon-
to della vita.
“Antonio José Bolìvar Proaño si tolse la dentiera, l’avvolse nel
fazzoletto, e senza smettere di maledire il gringo primo artefice
della tragedia, il sindaco, i cercatori d’oro, tutti coloro che cor-
rompevano la verginità della sua Amazzonia, tagliò con un colpo
di machete un ramo robusto, e appoggiandovisi si avviò verso El
Idilio, verso la sua capanna, e verso i suoi romanzi, che parlavano
d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare
la barbarie umana”. n
Il libro del mese4 [email protected]
Il vecchio che leggeva romanzi d’amore
n.97
diMaria Cristina Marroni
Inno alla natura
Una serata all’insegna dell’eccellenza del vino italiano
quella organizzata in collaborazione con la cantina
Masciarelli dal “Ca� è del Corso Wine Bar” di Teramo
per giovedì 27 Marzo.
Il primo di una serie di appuntamenti
di degustazione pensati apposita-
mente per riportare al centro dell’at-
tenzione sapori e profumi del nostro
BelPaese.
Un viaggio ideale, da compiere con il
calice ed al contempo l’opportunità
di conoscere ancora di più nelle sue
particolarità una realtà vinicola nata
nel 1930, ormai consolidata a livello in-
ternazionale i cui frutti rappresentano
l’autentica espressione della cultura
Abruzzese, all’interno di un ambiente
soft ed informale, quello del Ca� è del
Corso, dove la tradizione, l’innovazione
e la passione rappresentano l’essenza
stessa del locale.
Il Wine Bar, situato in C.so Cerulli,
caratterizzato da un arredamento moderno ed essenziale, divenuto
ormai da anni un punto di riferimento per le serate Teramane, dove
è possibile incontrare clienti di ogni tipo, dallo studente universi-
tario al professionista, continua la sua tradizione e la sua mission,
confrontandosi con una cultura enologica sempre più attenta
all’a� ermazione del vino di qualità ed alla cultura del vino nel suo
complesso.
Nella serata del 27 Marzo, il Ca� è del Corso presenterà nello spe-
ci� co tre linee classiche di “Gianni Masciarelli Ho.re.ca.” destinate
esclusivamente alla commercializzazione nei canali specializzati,
quali ristoranti, bar e ca� è.
La serata sarà esaltata dalla presenza del gruppo musicale dei
“Maloma”, una band musicale che proporrà un repertorio Brit-Pop
e Vintage-Rock 60/70 esaltando in maniera unica il binomio vino-
musica, nell’atmosfera magica del Ca� è del Corso.
Nello speci� co saranno:
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EventiCaffèdel Corso
Redazionale
giovedì 27 marzo
Manola Di Pasquale, Democrat con
lo scudocrociato e il renzismo nel
sangue, è stata anche baby sitter,
barista, orfana della madre a soli
16 anni, iscritta a Giurisprudenza a Chieti e
appartenente al movimento giovanile della
Balena Bianca. “Ho sempre fatto politica”
aguzza gli occhi e mulina le mani come una
Magnani corvina sul set. In seguito saranno
l’avvocatura, la scuola forense (è anche inse-
gnante), i convegni, l’associazione in rosa B52,
Marini e Ginoble “perché provenienti dal mare
magnum della Dc”, il suo habitat di sempre.
Chicca finale: oggi sfida la corazzata Brucchi.
Sono saltati gli schemi del passato bipolarismo, come si inserisce Manola Di Pasquale in questa sfida politica a più voci e molto complessa?“Sicuramente gli schemi sono cambiati, come
sono cambiati a livello nazionale con l’arrivo
di Matteo Renzi, che ha una nuova idea di
classe dirigente: è chiaro che io mi pongo in
questo contesto perché ho voglia di cam-
biare il modo di amministrare,
di fare, di porsi. Credo che
la mia figura rappresen-
ti proprio questo”.
Quante chance ha di vittoria alle prossime ammini-strative?“Tante. Perché in
un orizzonte
politico
frastaglia-
to dove sono saltati tutti gli schemi, la città ha
bisogno di avere una persona di riferimento
che si occupi a tempo pieno del bene comu-
ne e che lo faccia con spirito di servizio senza
salvaguardare interessi personali. Io sono la
persona giusta”.
L’effetto D’Alfonso come può riverbe-rarsi su Teramo?“Così come si riverbera su tutta la regione”.
Eppure l’altro giorno abbiamo contato po-che persone attorno al camion in piazza. “Solo perché è stata una cosa improvvisata”.
Un pregio e un difetto della Di Pasquale“Il pregio? Alla fine faccio molto rumore, ma
ascolto tanto, sono molto dinamica e amo la
mediazione. Il difetto: qualche volta sono dura
ma quando si amministra la cosa pubblica
bisogna a volte mostrare fermezza”.
Quali saranno i primi tre provvedimen-ti che prenderà qualora fosse eletta sindaco?“Sicuramente nell’immediato la riduzione
della Tia. Poi intendo rimodulare il sociale
in base alle fasce di reddito così le
persone meno abbienti potranno
avere un maggiore aiuto. Il
terzo: maggior attenzione alle
problematiche del lavoro e
dell’occupazione, cercando
la via della calmierazione
degli affitti cercando di ga-
rantire la situazione debitoria
delle famiglie”.
Tia, welfare… sembrerebbe il copia e incolla del program-
ma di Brucchi?“Lui ha impiegato cinque anni e non l’ha
attuato. Io oggi mi impegno a portare
a compimento questi punti”.
Brucchi, lei, Pomante: appar-tenete tutti al Lions club. È
l’unica cosa che vi acco-muna o c’è dell’altro?
“Credo che partecipare ad un club sia svol-
gere un’attività sociale, perché Lions significa
fare service e non solo cene”.
Ma aiuta la carriera politica.“No. Aiuta ad essere un buon politico perché
il Lions offre una forma di solidarietà verso
gli altri e vede la politica come un servizio da
fornire alla collettività non per se stessi”.
Il sindaco Di Pasquale avrà qualche con-flitto di interesse?“Io no, perché non prendo cause dall’ammi-
nistrazione comunale né ho cause con enti e
banche territoriali, io lavoro con il privato, con
alcune banche marchigiane e svolgo il mio
ruolo maggiormente nel diritto di famiglia”.
Una volta con la fascia tricolore, che spazio darà al suo lavoro di avvocato?“Io mi dedicherò a tempo pieno al Comu-
ne, gli dedicherò le otto ore lavorative ma
siccome io ne lavoro 14, le altre le passerò
nel mio studio se non voglio licenziare le mie
segretarie, perché con il reddito da sindaco
non potrò pagare i dipendenti”.
Altrimenti verrebbe meno al suo terzo punto del suo programma: l’occupazio-ne. Mi dica: il suo portafortuna?“Il tocco di rosso. Che è anche il colore della
città. E assieme al bianco sintetizza la mia
formazione politica”.
“Si farà vedere con la sua famiglia? Sa va di moda ora in politica con i vari Di Blasio e mettiamoci pure con Pomante”.“La mia vita privata la preferisco metterla in
vista il meno possibile. Anche perché per far
fare una foto a mio figlio assieme a me ho
dovuto sudare le proverbiali sette camicie”.
Nel caso in cui perda la competizione: cosa farà?“L’opposizione. Ma con un programma molto
chiaro per la città: entrerà con me un gruppo
di persone nuove, giovani veramente impor-
tanti, che stiamo inserendo nelle liste”.
Si può dire che a Teramo si è formato una sorta di Brucchismo?“Assolutamente no. L’amministrazione Bruc-
chi non si è individuata come propria, in realtà
a Teramo si ha la sensazione che vi sia stato
un secondo mandato di Chiodi e della sua
giunta. I cittadini di Teramo non conoscono gli
assessori di Brucchi, nessuno li conosce”.
L’attuale sindaco Brucchi potrebbe sof-frire una come Manola Di Pasquale?“Gli uomini soffrono sempre le donne
soprattutto quelle di carattere e molto
competitive”. n
Quale Sindaco per Teramo?6n.97
Manola Di Pasquale
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
Metti un Renzi nel motore: Di Pasquale lancia la sfida al Comune
“La politica mi ha insegnato a con-
tare fino a venti”, ricorda nel suo
ufficio di Piazza Orsini il sindaco di
Teramo”, Maurizio Brucchi, tra ghi-
rigori di firme su pile di delibere, la segretaria
che incalza e Vinicio Ciarroni che gli ricorda
appuntamenti e argomenti in un tourbillon di
politica cittadina al sole primaverile. La politica
gli ha smussato quegli angoli di carattere
duro e talvolta impenetrabile, un retaggio che
dice di portarsi dietro da quando praticava lo
sport ma che si coniugava con competitività.
Estrema. Brucchi vuol fare il bis, per lui, per i
cittadini ma anche per quella ripresa econo-
mica che inevitabilmente dovrà arrivare: “E io
quel giorno ci voglio stare”.
Sindaco, parafrasando un noto spot commerciale: ti piace vincere facile, senza opposizione o quasi. “Un’opposizione che non vota 9,5 mln di euro
di risorse europee che arrivano a Teramo per la
crescita e sviluppo della città la dice lunga. Una
buona opposizione è quella che sa distinguere
i provvedimenti che puoi e non puoi votare.
Non posso credere che in 5 anni non abbiamo
prodotto un solo provvedimento che fosse va-
lido. Cinque anni di soli no, nessuna proposta,
nessun consiglio, nessuna alternativa”.
E anche abbastanza soft.“Sono stati comunque cinque anni di rispetto
reciproco”.
Troppo, a dir la verità. “In tante occasioni ho chiesto scusa, ad esem-
pio a Maurizio Verna; questo comportamento
deve essere alla base della politica: a Teramo
c’è stato sempre rispetto reciproco”.
Nella città del bike-sharing, soprattutto d’inverno, ci incontriamo in tre in sella alla bici: io, lei e Falconi. “Non è proprio così. I dati di vendita delle bici a
Teramo hanno subito un incremento”.
Ma, dica la verità, quanto le piace tagliare i nastri.
“Nella vita amministrativa di un sindaco ci
sono i tagli dei nastri ma anche le tirate d’orec-
chie da parte dei cittadini”.
Dicono i suoi assessori che lei è un po’ gallettaro. Io toglierei un po’. “Io sono un agonista. Nel tennis ho perso
solo quando ho dato la mano all’avversario,
all’ultimo game. Anche in politica ci metto
l’agonismo, ha i suoi lati positivi. Prima ero
molto più gallettaro, la politica mi ha insegnato
a contare anche fino a venti”.
Alfonso Di Sabatino ha dichiarato: “Sia-mo tutti democristiani”. La Dc è morta e sepolta ma il suo spirito aleggia anco-ra: come lo vive lei?“Io vengo dalla Dc, mio padre era un’attivista
della Dc, sono cresciuto nella sede Alcide De
Gasperi. Questo paese è cresciuto sotto la
sua guida, la maggior parte dei politici l’ha
avuta come scuola. Tutti i valori incarnati in
essa sono importanti, profondi, che magari
andrebbero ripresi perché negli ultimi tempi
sono venuti a mancare”.
Da quando in qua le piacciono i felini?“Mi sono sempre piaciuti. A casa ho un gatto,
si chiama Olivo perché l’abbiamo trovato sotto
una pianta di olivo”.
Azzardo uno scenario: le prossime elezioni comunali le vincerà lei. Dico questo perche nel giorno dell’inaugu-razione della sede ho visto rappresen-tanti di Asl, Ruzzo, Team, e tanto altro ancora, che fanno voti e vittorie.(Brucchi abbozza un mezzo sorriso, nda). “All’i-
naugurazione c’era un po’ tutto il mondo civile,
cosa che mi ha fatto piacere, poi il 26 Maggio
si vedrà. Noi siamo molto fiduciosi”.
Corso San Giorgio, nuovo progetto del vecchio Comunale, mercato coperto: sembrano promesse da marinaio in questo periodo.“No. La riqualificazione del Corso è sostanziato
da fondi, da 3,5 mln di euro, i lavori partiranno
Maurizio Brucchi l’agonistaAncora 5 anni per intercettare la ripresa economica
7n.97
quest’estate. Ci sarà anche una comunica-
zione ai cittadini per far ben comprendere
l’attività. Questi discorsi non sono spot
elettorali”.
In caso di mancata riconferma, il suo successore continuerà su tale linea?“Non lo so, perché spero di portare a termine
io queste opere. Sono proposte che sono
arrivate dai progettisti. Sono in discussione,
a me è piaciuta l’idea nel vecchio stadio di
creare uno spazio aperto”.
Con tutto il rispetto per i progettisti ma pare un progetto fatto in tutta fretta, senza tante peculiarità.“È un progetto preliminare, certo che ci sono
diverse cose da modificare. Però di un parco
urbano, se ne parla tanto: una volta che lo si
propone, dobbiamo apprezzare”.
Il suo più grande rammarico?“Ho voluto essere sindaco che è un grande
privilegio, un grande onore e onere, ma aver-
lo fatto nel periodo più difficile della storia re-
cente mi ha ridotto le possibilità perché avrei
voluto fare tante cose in più. Però è stata una
bella sfida perché ho imparato tante cose”.
Nel prossimo quinquennio colui che verrà a Piazza Orsini intercetterà anche la ripresa.“Ecco perché ci voglio stare. Proveremo ad
uscire da questa crisi potendo lavorare in un
terreno meno paludoso”.
Qual è stata l’offesa che l’ha più se-gnata in questi 5 anni?(sospiro, nda). “Nel periodo del confronto del
vecchio stadio, in un paio di occasioni sono
stato coinvolto assieme alla mia famiglia. Io
sono a disposizione perché sono un uomo
pubblico, però la famiglia è
un’altra cosa”. n
8
Dall’ABM al Progetto MVSA
n.97
In risposta all’esigenza da più parti manifestata di pervenire a un pia-
no organico per la valorizzazione dell’immenso patrimonio musicale
abruzzese, il gruppo di musicisti, operatori e ricercatori musicali che
ha preso parte al convegno di Sulmona del maggio 2013, promosso
da Massimo Salcito con il suo ABM - Abruzzo Beni Musicali, ha inteso
proporre un comune piano operativo lungo il quale proseguire l’esperien-
za della due giorni sulmonese. Il gruppo ha partecipato dopo di allora a
quattro incontri, il primo il 22 giugno al Palazzo De Mayo di Chieti, favori-
to da Gianfranco Miscia in occasione della mostra «Illuminare l’Abruzzo»
sui codici miniati dall’alto Medioevo al Rinascimento, il 27 settembre
a Palazzo Corvo di Ortona, sede dell’Istituto Nazionale Tostiano, senza
tuttavia la presenza di Francesco Sanvitale, il 4 dicembre con i vertici
della Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Teramo,
e - ultimo fino ad ora - il 18 gennaio al Conservatorio di Pescara, dove
Salcito insegna.
Nel frattempo, condizionato da qualche defezione e nuove inavvertite
adesioni, l’orientamento iniziale del progetto è visibilmente mutato. Un
punto di svolta piuttosto netto si è verificato in occasione della riunione
teramana, quando il gruppo si è presentato per la prima volta come una
realtà distinta da ABM, dandosi finalità più precise e strutturate con la
formulazione di una prima bozza di regolamento interno, e assumendo il
nome «Mvsa - Musica d’Abruzzo». Salvo tuttavia scoprire, posto di fronte
alle aspettative di un’istituzione vocata naturalmente a coniugare ricerca
e didattica come l’università, che i termini di un piano programmatico
di fatto ancora non ci sono. L’intento è rimasto appeso a quello iniziale,
esigenziale, tanto condiviso quanto ovvio: uscire dalle proprie “stanze”
per entrare in una prospettiva più ampia, nella quale rivendicare non
solo una generica aspirazione ma obiettivi perseguibili, azioni concrete.
E dunque criteri di lavoro, che dal progetto comune passino a progetti
operativi. Inoltre, anzi direi come prima cosa, l’accertamento di quei
requisiti normativi oggi richiesti per qualsivoglia convenzione o collabo-
razione, come per ogni organismo che intenda competere a livello non
solo locale ma aprirsi al globale. Ebbene, questo non mi pare sia stato
chiaro fin dal principio. Ricordo bene le affermazioni di qualcuno persua-
so che in definitiva la prima cosa è di «poter fare musica», la richiesta
insistente avanzata da altri di rendere disponibili fonti e notizie altrui, di
fatto da tempo già tutte in rete, oltre a una certa reticenza a trasformare
il progetto da condivisione volatile a ente giuridicamente definito, fornito
di regole e funzioni chiare. Questa reticenza è rimasta implicita sino
all’incontro pescarese, quando si è definitivamente sciolta ogni riserva.
E c’è stato anche chi, come Anna Maria Ioannoni Fiore, ha proposto il
ripristino del progetto IARBIM (Istituto Abruzzese di Ricerca Bibliografica
Musicale), formalmente costituito trent’anni fa ma difatto mai partito,
indicando tra i possibili modelli associativi l’esperienza del costituendo
gruppo RAMI, coordinamento per la Ricerca Artistica e Musicale in Italia,
che ha coinvolto cinque conservatori italiani incluso quello pescarese. La
realtà è che il perimetro del campo di azione è sterminato. Non solo dal
punto di vista del giacimento documentale, ma anzitutto da quello delle
tipologie di analisi e delle possibili strategie di promozione. Esiste intanto
la musicologia svolta dai musicisti, che potremmo anche dire «musico-
logia applicata», tra i cui esempi migliori superbo è oggi quello condotto
sulla musica antica ed etnica da Jordi Savall e dal suo complesso stru-
mentale. Questa musicologia è totalmente centrata, né potrebbe essere
altrimenti, sul recupero testuale, l’edizione o rieditazione filologicamente
corredata e, sempre e anzitutto, sul momento esecutivo. Esiste poi una
musicologia di tipo storicizzante, un po’ screditata dalle passate ventate
idealistiche cui
la disciplina
è stata resa
gregaria nel No-
vecento, le cui
ragioni prescin-
dono totalmente
dall’esecuzione
e si concentrano
sulla presa di
coscienza entro
una prospettiva
storica, basata
sul contesto e sulla comparazione tra autori e stili, coevi e diacronici. Ma
esiste anche una musicologia di tipo archivistico, orientata a conside-
rare il patrimonio musicale come bene fisico, da strutturare, organiz-
zare, catalogare, rendere fruibile, musealizzare. Questo tipo di ricerca
comprende non solo reperti come codici e manoscritti, ma si estende
agli strumenti musicali, a biblioteche e collezioni, ai luoghi di rilevanza
storica, e si muove dunque nel senso di possibili itinerari turistici. Esiste
infine la musicologia degli impresari, di quanti si preoccupano anzitut-
Si annuncia insidioso, precisandosi, il futuro della musicologia abruzzese
Teramo culturale
diSilvioPaolini Merlo [email protected]
Delegazione Mvsa all’Università di Teramo
Massimo Sancito e Maurizio Lesseseguono un Duo di Lupacchino dal Vasto
to di predisporre occasioni di ascolto, o di
divulgazione, o di produzione, o tutte queste
cose insieme.
Dunque viene a porsi il problema di un ade-
guamento tra approcci metodologici del tutto
differenti, problema che difficilmente può dirsi
aggirabile. Chi intende lo studio della musica
in un modo potrebbe non essere interessato
a praticare quello degli altri, a meno che non
voglia abdicare dalle proprie competenze e da
tutto quanto ha fatto. Troppo vago in questo
senso il criterio dei «gruppi di lavoro», che la
dichiarazione d’intenti si impegna a costituire.
E i primi sintomi di questo disorientamento
mi pare siano apparsi nell’incontro pescarese,
che pure ha portato alla sottoscrizione di
una prima dichiarazione d’intenti. Gianfranco
Miscia ha rilanciato la proposta di un database
informatico da gestire in open source, che è
una cosa. Maria Cristina Esposito ha fornito
riferimenti normativi sulle realtà di promozio-
ne sociale, in previsione di una circuitazione
di eventi, che è altra cosa. Altri infine, come
Marco Della Sciucca, si sono detti favorevoli
a tutto, a prescindere dalle condizioni come
da compiti, ruoli e obiettivi. D’accordo perciò
l’esigenza di comunicare gli uni con gli altri, di
raccordare le diverse esperienze, di maturare
una serie di possibili collaborazioni. Ma quanto
messo insieme finora, fermo restanti intenzio-
ni e problematiche comuni, tradisce un vizio
di origine che consiste nel tratto occasionale
della convergenza. Troppo oggettivamente e
metodologicamente dissimili sono gli interessi
e le rispettive possibilità perché si possa spe-
rare di trovare forme di interazione durature.
A questo punto, quale luogo dirimente di
tutta la questione, mi pare essere emersa la
proposta avanzata al gruppo da Paola Besutti,
docente fra l’altro di Musicologia applicata e
Linguaggi artistici e musicali all’Università di
Teramo, componente della Società Italiana
di Musicologia e già direttrice della Rivista
Italiana di Musicologia, peraltro studiosa
del repertorio rinascimentale che è di certo
la fetta più ampia del patrimonio musicale
abruzzese, al termine del lungo scambio di
idee con la delegazione del Mvsa avvenuto a
dicembre. La proposta cioè di passare dall’i-
dea di un “progetto” a quella di un “oggetto”,
o meglio di una serie di possibili “oggetti”
operativi da spendere in relazione con il
sistema istituzionale, scientifico e accademico
regionale. Oggetti che abbiano per fine non
solo quello di preservare l’esistente, o di pro-
muoverlo a vario titolo, ma di renderlo fruibile
in modo dinamico. Questo fine, in una parola,
è la formazione.
E la cosa a me pare lampante. Inutile pensare
di unificare ciò che non ha alcuna possibilità di
9n.97
essere unificato, coordinare esperienze che
devono di necessità rimanere separate, agire
in direzioni distinte, procedere su diversi
livelli, e compendiarsi le une con le altre
precisamente in questo modo.
La sola speranza di consolidare e dare effetti-
va concretezza a un progetto di valorizzazione
del repertorio musicale abruzzese con figure
che includano musicologi-musicisti, musicolo-
gi-umanisti, storici, antropologi, etnologi e altro
ancora, sembra anche a me consistere, come
suggerisce la Besutti, nel convertire il progetto
Mvsa in oggetti di pianificazione didattica:
corsi di alta formazione, non necessariamente
universitaria ma certo anche e principal-
mente universitaria, che mirino a generare i
futuri operatori culturali. Attorno a “oggetti”, o
“pro-oggetti” di questo tipo, l’etnomusicologo
potrà naturalmente affiancarsi al coreologo, il
coreologo allo storico, lo storico all’archivista
o all’antropologo, l’esecuzione alla ricerca
filologica sulle fonti, l’interesse particolare di
questo o quello studioso riguardo a questo o
quel periodo storico o a questa o quella pro-
blematica con l’interesse collettivo che resta
identico per tutti.
Non che sia la sola, ma è una soluzione.
Ebbene, il gruppo del Mvsa può, intende, è ef-
fettivamente orientato a perseguire soluzioni
del genere? Contiene in sé le energie suffi-
cienti per poter assumere simili inderogabili
obiettivi? Ha questo tipo di consapevolezza?
Finora il volontarismo mi pare aver prevalso
sul decisionismo, le buone intenzioni sulle
scelte e sulle prospettive. n
Mostra Illuminare l’Abruzzo a Palazzo De Mayo, Chieti
Politica10diSilvioPaolini Merlo [email protected]
n.97
Democrazia versusrivoluzioneRapida introduzione a due concetti di uso comune
Non passa giorno, osservando giornali e telegior-
nali o inoltrandomi nella sterminata galleria degli
orrori del conformismo libertario dilagante sui
social network, in cui non mi capiti di pensare
che, forse, la confusione di gran parte dell’odierna
società italiana dipende da confusioni di tipo mentale,
dallo scarso rigore logico del nostro linguaggio, dal fatto
che si parli troppo spesso senza sapere bene di cosa si
stia parlando. Accetto perciò volentieri il ruolo scomodo
del saccente al solo scopo di ravvivare linguaggio e
memoria. Inizio da quest’ultima. L’italiano è un popolo
che non ha mai digerito granché sia le rivoluzioni che le
democrazie. Circa le rivoluzioni qualche esperimento l’ha
fatto, ma non gli è andata molto bene. Qualche decennio
fa col brigatismo rosso e nero. Qualche decennio prima
con un problemino che più d’uno ricorderà e che si chia-
mava fascismo. Al quale Gobetti rispondeva, provocatorio, con la sua
“rivoluzione liberale”. Con la democrazia le cose sono andate appena
meglio, perché in barba a fior di intellettuali, filosofi e artisti, nessuno
ha mai capito bene di cosa si tratti. Che non collida molto con mafie,
mafiette e lobby di vario genere è forse la sola cosa data per concessa.
Ma vediamo di chiarire meglio alcuni punti.
Punto 1): La democrazia è un equilibrio sociale basato sul dialogo.
Ovvero si fonda sull’equa e proporzionale distribuzione delle rappre-
sentanze. In base a questo principio nessun eletto ha possibilità di pre-
valere sugli altri, e appunto per questo deve confrontarsi con il proprio
elettorato quanto con le altre forze politiche. È un principio semplice,
ma che ci garantisce precisamente quello che alcuni oggi preferiscono
eludere. Che le rappresentanze politiche non siano credibili solo perché
si dimostrano fallibili o perché concedono qualcosa all’avversario, che
più in generale il mondo debba essere popolato da persone brave
e buone, tutte d’un pezzo e senza macchia è per lo più il cavallo di
battaglia di tutti i radicalismi e giustizialismi di derivazione nazional-
populista che si sono visti nella storia moderna, dal giacobinismo fino ai
movimentismi odierni come leghismo e grillismo. Tratto comune a ogni
prospettiva di questo tipo è quindi l’integralismo filisteo, duro e puro, e
il sovversivismo rivoluzionario. E che il grillismo sia un progetto eversivo
finalizzato al colpo di stato all’arma bianca è, credo, tanto più evidente
quanto più si dimostra insofferente al pluralismo delle rappresentanze
in favore di una rappresentanza unica.
Punto 2): Ogni rivoluzione è per definizione antidemocratica.
Rivoluzione, termine che viene dal linguaggio astronomico per intendere
il ritorno al punto di partenza, ha assunto in epoca moderna il significato
virtuoso di azzeramento totale e irreversibile di un sistema sociale
politico ed economico malato (Grillo ha aggiornato il lessico col termine
“resettaggio”, ma il principio resta esattamente quello). Sotto questo
profilo, rivoluzione è cosa molto diversa da opposizione, e somiglia sem-
mai al ribellismo indiscriminato di chi non cerca ma pretende consenso.
Che da questo presupposto si pervenga all’esigenza di una sospensione
della democrazia non credo occorra insistere. Il dato è chiaro: se si
intende rovesciare un sistema, per corrotto o repressivo o illiberale che
dir si voglia, si ammette l’idea che il rapporto tra minoranze e maggio-
ranze venga meno. Nessuno ha più diritto di legiferare allo stesso titolo,
o di più o di meno rispetto ad altri, ma c’è chi ha diritto di farlo e chi in-
vece no. Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, per restare in
Italia, hanno elaborato in modo compiuto una organica
teoria delle élite, assumendo per scontate le premesse
secondo le quali nessun potere può venire esercitato
senza essere affidato a minoranze illuminate, per defini-
zione espressione di se stesse prima che del paese che
dovrebbero rappresentare. È la parabola del gregge e del
buon pastore. Basta applicare l’elitismo, teoria nata dalla
constatazione di una congenita disgregazione sociale del
popolo italiano, al malcontento indistinto dell’italiano co-
mune di oggi, e avrete il grillismo. Un elitismo esercitato
dal basso e di tipo post-ideologico.
Punto 3): Antipartitismo e antidemocrazia sono coinci-
denti.
In questo tra berlusconismo e grillismo esistono assai
maggiori punti in comune che non col renzismo. Berlu-
sconismo e grillismo non hanno mai riconosciuto i propri
avversari politici, ovvero partono dal presupposto che l’Italia non sia fat-
ta di tante componenti, ma di una sola realtà: la propria. Il renzismo par-
te dal presupposto diametralmente contrario: riconosce tutti alla stessa
maniera. E in questo viene a compiere la stessa spiazzante operazione
di innovazione che Papa Bergoglio è stato chiamato a interpretare nello
Stato vaticano, per ragioni in fondo molto simili. Ammettere che vi siano
altre verità, con le quali dialogare anche se non si è d’accordo, e anzi
proprio perché non si è d’accordo. Quanto poco democristiano, berlu-
sconiano, dalemiano o altro ancora sia questo atteggiamento lo dice
l’apertura dei partiti riformisti italiani verso le socialdemocrazie europee.
Punto 4): Ogni sistema democratico è sempre autoemendabile.
L’antico adagio, di matrice idealistica ottocentesca, per cui l’ordine
costituito non lo si migliora ma lo si abbatte è esso stesso sommamen-
te antidemocratico. Ed è su questo scoglio che si sono infranti i miti di
tutti i pensieri forti, dei vari marxismi, nazionalsocialismi, corporativismi,
falangismi, sindacalismi rivoluzionari, ecc. Un sistema basato sulla con-
vinzione di interpretare messianicamente il senso della storia non può
autoemendarsi. Una democrazia sì. n
Il termine “persona” ha assunto un signi� cato rilevante nell’ambi-
to della cultura pedagogica e � loso� ca contemporanea, quale
dimensione fondante dell’esistere umano complesso e concreto.
La Pedagogia Clinica, ramo della Pedagogia Generale, nasce proprio
con lo scopo di educare ed aiutare la persona in di� coltà ad avere
cura di se stessa, a trovare dentro di sé le risorse per liberarsi da ogni
stato di disagio psico� sico e socio-relazionale, rispristinando nuovi
equilibri e nuove disponibilità allo scambio con gli altri. Prestare at-
tenzione adeguata, appropriata alla persona, si pone in una dimensio-
ne “clinica”, ovvero del prendersi cura, segnando in questo modo un
nuovo percorso culturale, scienti� co e professionale.
Sulla base di questi presupposti, è nata la � gura del “Pedagogista
Clinico”, con Laurea in Pedagogia, Scienze dell’ Educazione o parita-
ria, specializzato presso l’ISFAR (Istituto Superiore Per la Formazione,
l’Aggiornamento e la Ricerca) di Firenze, iscritto all’Albo Professionale
dell’ANPEC (Ass.Naz.Ped.Clinici) e legittimato ai sensi della L. 4/2013.
Il “Pedagogista Clinico” basa la sua formazione su metodi innovativi
e tecnologie che ben lo de� niscono da un punto di vista scienti� co e
professionale, indirizzando le sue competenze su soggetti di ogni età,
grazie anche ad un ventaglio di tecniche proprie ed esclusive che
viene costantemente rinnovato ed aggiornato. L’intervento pedagogi-
co clinico assume un signi� cato di� erente e distintivo dall’intervento
della medicina classica rivolto alla cura della malattia o del disturbo.
A questo punto si ben comprende come tale professione si inserisca
in rete con quella del medico e di altri professionisti, in vista di una
collaborazione paritetica, complementare e sinergica nella prospetti-
va di promuovere nell’individuo il principio di salute attraverso la cura
globale di sé.
Nella fattispecie, nel 2006 è stata istituita la sezione Provinciale di
Teramo, con la presenza di Studi di Pedagogia Clinica che operano
attivamente soprattutto nei comuni di Teramo, Montorio al Vomano,
Bellante, Atri, Roseto degli Abruzzi, Pineto e Silvi. Entro la prossima
estate verrà costituita anche una Direzione Regionale, sintomo di una
crescente richiesta di tali � gure professionali.
Lo Studio di Pedagogia, quindi, nasce come risposta ai bisogni di
soggetti in di� coltà, che richiedono una relazione d’aiuto, che per-
metta loro di manifestare le potenzialità e le incapacità di cui sono
• Dott.ssa Chiara De LucaVia Cherubini, 3 - Atri (TE) · 320.7039649
• Dott.ssa Sandra Di Ferdinando - Studio LifeVia Nazionale, 243 Bellante (TE) · 0861.610384 · 347.0395806
• Dott.ssa Nadia Di PietroVia C.Colombo, 218/A - S.Nicolò a Tordino (TE) · 338.1037543
• Dott.ssa Chiara MiccadeiVia Nazionale nord, 7 - Pineto (TE) · 347.5590636
• Dott.ssa M. Gabriella OrsiniTeramo · 0861 241507
• Dott.ssa Loretta PascucciVia Torrito, snc - Montorio al Vomano (TE) · 328.8351577
Redazionale
Una professionalitàin aiuto alla persona
Il Pedagogista Clinico
dotati, ma che in alcuni momenti non riescono
pienamente a sfruttare.
Per questi soggetti è necessario costruire per-
corsi graduali che li conducano alla conquista
di quelle conoscenze e abilità che possono
apparire loro complesse ed irraggiungibili.
Varie sono le linee di intervento seguite:
• L’intervento di aiuto per soggetti in età pre-scolastica e scolasti-
ca; trova orientamento a seguito di un percorso diagnostico ed è
rivolto alle abilità:
- Espressivo educatorie
- Organizzativo motorie
- Comunicativo-relazionali
- Apprenditive
In accordo con la famiglia è previsto un coordinamento tra il Peda-
gogista Clinico e la Scuola al � ne di favorire un utile integrazione
tra l’intervento di aiuto dello specialista e l’iter educativo scolastico.
• L’intervento di aiuto a favore di singoli adulti; viene garantito da una
diagnosi e dalla scelta di tecniche appropriate e armonizzate in
modo � essibile, capaci di sostenere la scoperta, la conoscenza e
l’accettazione di sé, placare le tensioni, mantenere vivo l’equilibrio
delle emozioni, assumere una ritrovata � ducia, muoversi positiva-
mente verso gli obiettivi desiderati. Interventi che predispongono
ad andare oltre il disagio � no a modi� care positivamente le abitu-
dini, le regole di vita ed il comportamento.
• Le coppie e i gruppi; trovano nelle diverse tecniche e modalità di
utilizzo, occasioni importanti per uscire dal disordine e dal caos,
conoscere e a� rontare i rischi e le delusioni esistenziali.
• Altri interventi di aiuto; condotti dal Pedagogista Clinico sono rivolti:
- All’orientamento scolastico e professionale
- Alla formulazione di itinerari educativi di aggiornamento/forma-
zione per il personale delle Scuole e per gli educatori presenti in
Enti Pubblici e Privati
- Al sostegno della genitorialità.
e-mail: [email protected]� renze.it
12n.97
Accade a Teramo
diFaustoNapolitani [email protected]
BullismoBoss in erba
Ho avuto notizia di una vicenda che mi ha turbato, non tanto per
l’utilizzo della violenza, ancorché cosa sempre deprecabile, ma
per l’ambiente in cui si svolgono i fatti e per l’età degli attori.
Il luogo del misfatto è una scuola elementare della nostra città,
gli attori alcuni bambini di sei anni. Esiste il piccolo boss, che si sente
tale perché è figlio di un notabile, e i suoi sottoposti, che hanno avuto
l’investitura di guardie del corpo (fra questi c’è anche una bambina).
Il boss in miniatura ha deliri di onnipotenza, e quando qualcuno lo
contesta, pronuncia una delle frasi più antipatiche comunemente usate
da chi in se ha poca sostanza: “tu non sai chi è mio padre”. Un giorno,
un membro della baby gang, decide di non
condividerne più gli usi e i costumi, e ciò irrita il
leader, che ordina una spedizione punitiva con
pestaggio, chiaramente all’insegna della più
grande codardia e dando il più evidente sensore
della sua debolezza, svolge il ruolo di spettatore.
Questa azione, cosa inaudita, a cominciare dalle
insegnanti, apparentemente non è notata da
nessuno, e flebilmente diviene nota solo dopo
che la vittima, passata la paura, si confida con
i genitori. Quasi nello stesso momento, uno dei
membri della masnada in erba, confessa ai ge-
nitori l’accaduto, e questi, umili ma brava gente,
pretendono che il proprio figlio presenti le scuse
sia alla vittima sia ai genitori del malcapitato.
Tralascio gli ulteriori particolari della vicenda e
mi astengo da tutte le riflessioni che si possono
fare sull’accaduto, desiderando solamente, prima di fare qualche cenno
sul fenomeno bullismo, consigliare i genitori dei piccoli bulli, di correre
ai ripari, in quanto la responsabilità è loro, perché la sensazione di gran-
dezza nasce in famiglia, non solo per la smisurata importanza che gli
adulti attribuiscono al loro ruolo sociale, ma anche per il modo nel quale
coinvolgono i loro figli nella propria vita sia lavorativa sia di relazione.
Il bullismo ha un profondo impatto sull’assetto fisico, emotivo e sociale
di coloro i quali ne sono coinvolti. Le vittime di bullismo manifestano,
con frequenza significativamente superiore rispetto ai coetanei, disturbi
di diversa natura, quali problemi di sonno, enuresi, dolori addominali,
mal di testa e vissuti emotivi di profonda tristezza. Chi ha ascoltato
il modo in cui una vittima di bullismo racconta se stessa e la propria
vicenda, non può che rimanere colpito dalla sensazione di impotenza,
vulnerabilità e solitudine di cui sono intrise le sue parole. Le vittime di
bullismo presentano sintomi ansiosi in proporzione molto superiore
alle non vittime e si è dimostrato che in adolescenza chi ha subito le
sopraffazioni tipiche del fenomeno, manifesta alti deficit di autostima e
percepisce di essere socialmente rifiutato, pertanto ha la convinzione di
essere isolato.
Inutile ribadire che l’esperienza della vittimizzazione, comporta problemi
evidenti nel percorso scolastico e nell’adattamento che lo studente mo-
stra nei confronti nei confronti del proprio gruppo di classe, e così nelle
future aggregazioni sociali. E’ dimostrato che le vittime del bullismo
presentano alti tassi di inefficienza che si ripercuotono inesorabilmente
sulle performance sia scolastiche sia lavorative e relazionali. Del resto,
e la ricerca clinica conferma anche questo, questi soggetti presentano
un rischio molto elevato di sviluppare sintomi depressivi e ideazione
suicidaria a medio e lungo termine. E’ è fondamentale cogliere un altro
importantissimo aspetto del fenomeno, ovvero che gli stessi rischi della
vittima li corre anche il carnefice, colui che è apparentemente il vincito-
re di questa modalità assolutamente disfunzionale di appropriarsi, dete-
nere e gestire il potere all’interno di un gruppo, identificando una o più
vittime da sottoporre ritualmente ad umiliazioni, situazioni imbarazzanti
e degradanti. In effetti, di fronte al bullo e alla sua vittima, è impossibile
riconoscere chi è il vinto e chi il vincitore. Il bullismo è un problema di
sempre più vaste proporzioni (e l’epidemia sociale raccontata dai media
nel corso degli ultimi anni scolastici ne è solo un marginale indicato-
re) che rivela un significativo vuoto educativo. Nella fragilità e nella
debolezza dei legami che gli adulti con funzione
educante intrattengono con i propri studenti, si
insinua quel pericoloso e autolesionistico sogno
del bullo di occupare in modo maldestro uno
spazio e un ruolo che non gli competono. Non
sa che il suo potere è una debolezza incredibile.
Nel manipolare e condizionare le relazioni di un
gruppo connotato da analfabetismo emotivo e
da una cronica mancanza di autoefficacia, si ap-
propria di un potere fragile come la carta velina.
Purtroppo viviamo un contesto sociale, dove
spesso il bullismo e le sue modalità disfunzio-
nali occupano posizioni di enorme prestigio
e potere. Assistiamo increduli a programmi e
talk show, dove chi urla più forte ha diritto di
parola, dove l’affermazione delle proprie ragioni
è l’unico valore da perseguire, dove la diversità
ed il pensiero divergente non trovano spazio, se non per essere derisi.
Diciamocelo chiaramente, viviamo in una società bullista, nella quale
sempre più la mancanza di autorevolezza e credibilità di chi ha poteri e
responsabilità sulla collettività, genera istanze di ribellione, talora molto
violente, in cui chi è debole usa la legge del taglione a scopo difensivo.
E’ tempo di promuovere una riflessione allargata su questo fenomeno,
utilizzando l’emergenza bullismo per aiutare il mondo degli adulti e
l’intera comunità educante a riflettere sul proprio ruolo e funzioni ma
ancora prima sui propri valori e priorità educative.
Ebbene, in mezzo a queste criticità, sono fermamente convinto che il
ruolo degli adulti competenti sul piano relazionale e educativo, dotati
di buoni strumenti e metodologie di intervento sia in ambito scolastico
che comunitario e famigliare, promuova la più efficace delle preven-
zioni e protegga in modo sapiente e competente chi sta crescendo.
Se penso alla mia vita, e ritengo che lo stesso valga per la vostra, mi
rendo conto di quanto importanti e fondamentali siano stati gli inse-
gnamenti e gli interventi di molti adulti significativi, i loro gesti, i loro
sguardi, le loro parole. n
13Satira
diMimmoAttanasii [email protected]
Nonostante che molti avessero
dovuto interrompere il loro lavoro
per conquistare le poltrone che il
potere dispensa, sui volti dei politici
si descrive una finezza di muscoli rilassati
che tendono inconfondibilmente a una
forma di soddisfacimento. La sensazione
di essere chiamati ad adempiere a un
compito sociale di gran peso. Senza un
riparo sicuro, si creano bisogni al freddo.
Il contadino disegna i paesaggi, la natura
non fa calcoli.
Al limite, solo esperienze. Se a quei leader,
quelli che contano di meno, qualcuno gli
avesse domandato come mai si stimas-
sero superiori alla maggioranza degli altri
uomini di certo non avrebbero saputo
rispondere, non avendo mai loro stessi
dimostrato di possedere meriti impareggia-
bili resi di pubblico dominio. Ché forse solo
il fatto di sapere far di conto sui bilanci
oppure vestire abiti acquistati nei negozi
migliori possa costituire un motivo valido
di preminenza di classe? E se anche si ab-
bigliassero modestamente, ogni modestia
su quei corpi mutati da una autorità falena
si annullerebbero. Eppure, di questa supe-
riorità sembra abbiano una coscienza pro-
fonda specialmente quando si concedono
nell’accettare come dovute le attestazioni
di rispetto, per poi offendersi come previ-
sto giammai gli venissero negate.
Ogni data potrebbe divenire quella giusta
per un astuto amministratore quando si
tratta di usare una locuzione come “il fare
n.97
Pezze pazze a coloriIl rosario del domani
e il far fare”, che oggi tanto pare sia in
uso toscano. Un verbo, in ogni modo, da
coniugare nel modo indicativo del tempo
futuro semplice salvo prescrizione medica
controindicante.
Tranquilli, i dottori non si presterebbero in
nessun caso a queste piccolezze. “Doma-
ni”. Convenzionalmente, si intende il giorno
immediatamente successivo a oggi. Se lo
ripeti, si crea l’infinito. Leopardi lo capì ai
suoi tempi e lo cantò, L’infinito. I governan-
ti, ci campano da sempre. La poesia non fa
presa su chi amministra la cosa pubblica. I
racconti di fantasia, quelli sì che piacciono
tanto. Ed è tutte le volte domani senza
conoscere quale sarà l’oggi successivo che
si darà il via alle tempestive premesse pro-
messe di progetti di rifacimento della città.
Brulicanti comparsate nello sfinimento
degli incontri pubblici messi in scena prima
delle elezioni per appoggiare o appoggiarsi
se conviene alle strategie con cui l’abile
amministratore disegna e ridisegna ciclica-
mente la chimera di una via che dovrebbe
condurre al futuro.
Pazienza se poi invece bisognerà accon-
tentarsi di un marciapiede fatto di pezze
a colori del passato. Ed è ancora domani,
a parte la convenzione tem-
porale, che un borgomastro
reciterà alla propria cittadi-
nanza i suoi rosari sgranando
fra l’indice e il pollice la
corona di tutti i progetti di
riqualificazione urbana.
Una kermesse da copione
consunto che apre le porte
alle consuete proposte che
andranno a incidere sul
tessuto sociale e urbano per
determinarne nuovi scenari
e proiettare innovative dina-
miche di sviluppo. Protago-
nisti inconsapevoli i cittadini
chiamati a partecipare come
“portatori di interessi”. Per
dirla all’inglese, una sorta di
Stakeholder. Da non confondere con Sha-
reholder, che sta a indicare un azionista,
la persona che possiede quote azionarie
di una società. Elettori invitati a diventare
giusto il tempo della campagna elettorale
interpreti di un fantomatico processo di
cambiamento.
Chi mai avrebbe pensato di avere delle re-
sponsabilità di fronte a politici ricompensa-
ti dai contribuenti, oltre che dei diritti? n
Mimm
o Atta
nasii
La consigliatura volge al termine. Cosa le resta di questi cinque anni?Un rammarico. Il rammarico di non aver potuto dare un contri-
buto costruttivo nelle diverse fasi di elaborazione programma-
tica, avendo trovato una amministrazione sorda a qualsiasi forma di
dialogo e di suggerimenti, arroccata sulle certezze delle proprie con-
vinzioni, non sapendo che solo con il dialogo, con il confronto si trac-
ciano le grandi scelte strategiche di una comunità. Una amministra-
zione che avrebbe voluto sempre un voto favorevole, confondendo
l’accondiscendenza con la collaborazione. Si giudica un sindaco sulla
capacità di portare ricchezza culturale, umana, economica ai propri
cittadini. Capace di infondere fiducia nel domani. Aperto al dialogo e
all’accoglienza delle idee. Capace di dare risposte ai giovani, alle loro
esigenze ai loro desideri, al loro bisogno di futuro.
Il sindaco uscente ribadisce di aver portato a termine grandi
opere per la città.
Non mi interessa rivendicare ruoli o piantare bandierine sul chi
abbia portato a termine questa o quell’opera. Il “lotto zero” prima
di tutto. I cittadini hanno buona memoria. Di quella inaugurazio-
ne mi resta un’immagine, di un uomo che su di un’auto scoperta
sventolava una bandiera. Pensavo ad un ultrà, non potevo credere
che potesse essere il mio sindaco. E’ mancato il raccordo storico,
sereno, di un’opera che potesse essere di tutti e non solo di una
parte, senza rivendicazioni. Ricordo l’inaugurazione della Biblioteca
Delfico. Furono invitati “tutti” coloro che nel tempo avevano dato
un contributo determinante. La Biblioteca di tutta la città, senza
la colorazione dell’appartenenza. Cosa che è mancata per il “lotto
zero”. Peccato.
Ma non è stato inaugurato solo il “lotto zero”.Si è vero la consigliatura è stata caratterizzata anche da altre
pseudo inaugurazioni. La “pseudo inaugurazione” del parcheggio
di piazza Dante, del parcheggio dell’ospedale, della sala ipogea, del
teatro romano. Opere incomplete, non finite, drammaticamente
sbagliate. Emblematica è la pseudo inaugurazione dell’obbrobrio del
tetto della sala ipogea, che ci ricorda quotidianamente quali orrori
possano essere perpetrati ad una città quando una maggioranza,
un assessore, un sindaco è sordo alla cultura del dialogo. Oltre alle
pseudo inaugurazioni, questa amministrazione si è contraddistinta
anche per le inaugurazioni mancate. Ricordo due in particolare,
il polo scolastico e lo svincolo del lotto zero alla Gammarana. Annun-
ciati sempre come imminenti e per fortuna mai arrivati al termine.
Sperando che la prossima amministrazione possa rivederli e traccia-
re percorsi completamente diversi.
Cosa non condivide del polo scolastico e dello svincolo alla Gammarana?Per una città diffusa, allungata dalla Cona, da Piano della Lenta, alle
frazioni a San Nicolò, come è Teramo, è impensabile che un unico
polo possa essere la risposta alle nuove esigenze di edilizia scola-
stica. Anche se nel corso del tempo si sono affrettati a modificare
l’idea iniziale e successivamente a parlare di più poli, che abbiamo
visto localizzati nelle parti più impensabili, da piazza Aldo Moro,
all’Acquaviva, al parco fluviale di San Giuseppe, sulla scia di occa-
sionali sollecitazioni di privati e sempre senza una visione organica.
Per quanto riguarda lo svincolo alla Gammarana è impensabile
pensare che si possa progettare uno svincolo su di un’area sportiva,
dove oggi si vuole realizzare anche la cittadella del calcio. Dire che ci
sia confusione è dir poco.
Altro importante punto di dibattito è stata l’area dell’ex stadio comunale.L’argomento mi porta indietro nel tempo. La mia personale atten-
zione su quell’area risale al secondo mandato di centro sinistra
Il personaggio14n.97
Siriano Cordoni
dallaRedazione [email protected]
Candidato alla Regione Abruzzo per la lista “Abruzzo Civico”
15quando come gruppo consigliare “amici per
la margherita” aprimmo in consiglio una
riflessione della salvaguardia sportiva di
quell’area. Impegno che è proseguito nella
amministrazione Chiodi e poi con Brucchi,
quando con l’attuale candidata sindaco
Manola Di Pasquale e pochi altri consiglieri
avemmo l’ardire di schierarci a fianco dei
ragazzi della Curva Est per la convalida del-
le firme per la richiesta di un referendum
sul destino dell’area. Richiesta respinta. E
pensare che sarebbe stato sufficiente un
referendum anche non ufficiale. Mancata
occasione di democrazia. In questa vicenda
il tempo è stato galantuomo. La crisi e le
immancabili infiltrazioni mafiose italiane
hanno fatto si che le voglie palazzinare
siano state sconfitte. Ma la presentazione
del nuovo progetto evidenzia la malcelata
volontà di tentare una urbanizzare dell’a-
rea proponendo imponenti costruzioni
commerciali e sociali e lasciando ad area
sportiva, udite bene, una unica porta di cal-
cio. Mi sorge il dubbio che chi abbia voluto
il progetto non abbia mai visto una partita
di calcio o di rugby.
Il futuro. Dobbiamo pensare alle future genera-
zioni e due sono i punti su cui puntare
per rilanciare l’economia, la scuola e la
microeconomia. Non è il momento per
i progetti faraonici. E’ necessario dare
lavoro, diffondere piccola economia per
incentivare i consumi e tornare a crescere
e dare fiato alle piccole e grandi imprese.
Università. Trasporti e collegamenti con
le grandi vie nodali, porti e aeroporti.
Servizi alla persona. Istituto Zooprofilattico.
Ripensare la stazione ferroviaria. Ambiente.
Zero consumo del territorio. Cultura. Lo
sport. Un sogno, Teramo città dello sport.
Ci vorrà impegno. Ma basta pensare alla
straordinaria possibilità del parco fluviale,
collegato alle strutture sportive dell’Ac-
quaviva, dell’Interamnia, del campo di
atletica, del Palazzetto e della palestra del
Michelangelo. Basterebbe una pur piccola
struttura di ricezione alberghiera sporti-
va. Tutto si presterebbe alla prestazione
sportiva. Il luogo per il footing. La piscina,
la tendostruttura riqualificata. I campi da
basket, il pattinodromo, i campi di calcio. Il
tiro a segno. Il calcetto. La pista ciclabile.
Luogo di partenza per le escursioni al mare,
in collina, in montagna. L’esperienza della
Coppa Interamnia. Gli studenti universitari.
Un campus sportivo già pronto. Una miniera
di economia ancora poco conosciuta alla
quale, con le proprie caratteristiche, la
n.97
nostra città dovrebbe guardare con grande
attenzione.
Quale futuro per lei?Con un velo di tristezza per ciò che non è
stato, ma orgoglioso per ciò che abbiamo
fatto, sempre con trasparenza e coerenza,
considero conclusa la mia esperienza loca-
le. Penso sia necessario lasciare spazio alle
nuove generazioni, alle nuove energie. Ma
non considero concluso il mio impegno in
politica. Spero di poter mettere a disposizio-
ne dell’Ente Regione l’esperienza acquisita
nella amministrazione locale, prima come
vicepresidente della Provincia, poi come
assessore alla Cultura di Teramo e poi come
consigliere comunale. La vicenda politica
continua nelle fila di Scelta Civica. Spero di
poter raccogliere la fiducia necessaria per
poter rappresentare il nostro territorio. L’im-
pegno sarà nella ricerca della semplificazio-
ne della vita. Non è pensabile che possano
esistere norme e leggi che possano com-
plicare con sterili, prolisse indecifrabili leggi
(ad es. LR 32 della sanità) la vita dei cittadi-
ni. Non è pensabile che l’Ente pubblico sia
visto come nemico, come contrapposizione
alla vita quotidiana. Dobbiamo essere dalla
parte dei cittadini. Semplificare. Il motto da
portare in Regione. n
IX Edizione Convegno18 dallaRedazione
I Giovani,la Scuola,la Famigliatra Internet e Tv
n.97
Anche quest’anno la nostra Associazione Culturale “Project San
Gabriele” , sta preparando il Convegno “i Giovani, la Scuola, la
Famiglia tra Internet e Tv” che si svolgerà a Castelli l’11aprile
presso il Liceo “F.Grue” e a Teramo presso la sala San Carlo, il 12
aprile dalle 9.00 alle 13.00. Esso si propone di esaminare il rapporto che i
giovani instaurano con i mezzi di informazione nelle diverse realtà in cui
vivono e di sviluppare, con l’aiuto degli eminenti relatori che si sussegui-
ranno nelle due giornate, una educazione all’utilizzo corretto dei media.
Compito dello stesso quindi è quello di aiutare i Giovani delle ultime due
classi delle Elementari e delle Medie inferiori, attraverso la Scuola e la
Famiglia, a sviluppare quel senso critico che conduca ad una parteci-
pazione sociale meditata e non indotta da una lettura superfi ciale delle
informazioni, così come vengono diffuse, sia dalla carta stampata che
dalla televisione e da Internet.
Nell’ambito dello stesso abbiamo confermato il “Premio Mauto Laeng
oer la comunicazione educativa” andato negli scorsi anni a Mario Mor-
cellini, Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Universi-
tà Sapienza, a Maria Rita Parsi, fondatrice del “Movimento Bambino”, ad
Antonio Marziale, Presidente dell’“Osservatorio sui Diritti dei Minori”, a
Massimo Bernardini, conduttore del programma Tv Talk di Rai Educatio-
nal, a Giovanni Bollea, Neuropsichiatria infantile e Professore Emerito
dell’Università “Sapienza”, ad Alessandro Zaccuri del Quotidiano “Avveni-
re” nonché conduttore del Programma Il “Grande Talk” in onda su Sat
2000 ed Emanuela Falcetti, giornalista Rai. Da notare che tutti hanno ri-
tirato personalmente il Premio, tranne il Professor Bollea che per motivi
di salute si collegò con la platea degli insegnanti e degli studenti in video
conferenza. Quest’anno tratteremo in maniera approfondita il fenomeno
della pèdopornografi a e della prostituzione minorile che attraverso i
Social Network trovano spazi e opportunità di diffusione.
Con il contributo dei relatori che si susseguiranno nelle due giornate le
categorie interessate, quali quelle dei Giovani che sono i primi destinatari
dell’iniziativa, delle famiglie che sempre più spesso si trovano disarmate
di fronte al montare delle problematiche che investono drammatica-
mente i fi gli e infi ne della Scuola che deve avere in maniera ancora più
incisiva il ruolo educativo che le compete, troveranno motivo di grande
rifl essione e giovamento.
Ricordiamo che nelle ultime Edizioni la nostra iniziativa ha potuto godere
del Patrocinio del Ministro della Gioventù e dell’Alto Patronato del
Presidente della Repubblica il quale ha voluto inoltre conferire alla nostra
Associazione Culturale una speciale Medaglia a riconoscimento della
nostra attività. n
Castelli 11 Aprile, Teramo 12 aprile
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Le notizie luttuose, purtroppo, ci
colpiscono sempre, e la scomparsa
di Francesco Di Giacomo, storica ed
inimitabile voce del “Banco”, è stata
particolarmente dolorosa per tutta la scena
musicale italiana. Francesco, che aveva
iniziato la sua carriera professionale a metà
degli anni 60 nel gruppo “Le Esperienze”,
insieme a Pierluigi Calderoni e Renato D’An-
gelo, nella sua lunga carriera ha esplorato
tantissimi percorsi, dal beat al rock classico,
al prog, al soul, alla musica etnica, al fado
portoghese, fino alle collaborazioni con
gruppi più giovani, come i Tetes de Bois.
In poche occasioni la potenza e la chiarezza
di una voce si sposano così bene con il
talento e con la personalità e, per questo,
Di Giacomo era considerato unico a livello
europeo. Quando, nel 1970 i tre componenti
delle “Esperienze” furono contattati da due
giovani fratelli, Vittorio e Gianni Nocenzi, per
la formazione di un nuovo gruppo, decisero
di buttarsi, insieme al chitarrista Marcello
Todaro, proveniente dai “Fiori di Campo”,
nella nuova avventura, il Banco del Mutuo
Soccorso. I fratelli Nocenzi avevano già
registrato un Lp, “Donna Plautilla”, rimasto
nei cassetti per oltre 20 anni, mentre gli
altri erano attivi nei club romani e sulle navi
da crociera.
La leggenda narra che le prime esibizioni
pubbliche delle “Esperienze” avvennero
proprio su una nave, e che durante una
serata, con il mare un po’ agitato, dovettero
legare Francesco ad una colonnina per farlo
rimanere in piedi durante l’esibizione. Poi,
probabilmente al “Festival di Caracalla”, ci
fu il fatidico incontro fra quelli che andaro-
no a formare il primo nucleo conosciuto del
“Banco”.
Il gruppo sviluppò una parte delle temati-
che già presenti in “Donna Plautilla” e creò
nuove canzoni, uscendo sul mercato con
il primo Lp, il cosiddetto “salvadanaio”, un
bellissimo disco, contenuto in una copertina
sagomata a forma di salvadanaio, croce e
delizia di tutti i collezionisti di dischi. Già
dal primo lavoro si impone come marchio
di fabbrica del gruppo la splendida voce
di Francesco, che sembra volare su un
tappeto strumentale assolutamente inedito
per la musica “made in Italy”. Il disco, pieno
di riferimenti musicali e letterari differenti,
magistralmente orchestrati, si apre con una
frase che è rimasta impressa nelle menti di
decine di migliaia di appassionati: “Da qui,
messere, si domina la valle”. Da qui, invece,
ha avuto inizio una carriera che ha portato
il gruppo ad una immediata popolarità
nazionale, al contratto con un’etichetta
internazionale, l’inglese Manticore – di
proprietà di Emerson, Lake & Palmer -, con
la quale il Banco pubblicò due dischi, ad
un ultimo periodo di grande successo, con
una serie di canzoni fortunate, come Buone
Notizie, Moby Dick e Paolo Pa.
Poi, con il tramonto del “progressive”, il
gruppo diminuì di molto la sua attività in
studio di registrazione, continuando, però, a
girare l’Italia con i suoi concerti. Negli anni
90 il Banco realizzò anche tour interna-
zionali, in Messico, Stati Uniti e Brasile.
Francesco Di Giacomo, in oltre, mise il suo
sterminato talento a disposizione di altre
realtà musicali, collaborando con Sam
Moore, in una bella versione di Hey Joe, con
Eugenio Finardi, in un progetto dedicato
al fado portoghese, con i suoi compagni
Calderoni e Maltese – negli Indaco -, fino
a duetti con i Tete de Bois e con Piotta. Da
ricordare, infine, sono le partecipazioni del
cantante a tre famosissimi film di Federico
Fellini, Satyricon, del 1969, Roma, del 1972
e Amarcord, dell’anno seguente.
Da anni appassionato cultore della tradizio-
ne culinaria laziale, mi piacerebbe ricordarlo
con un aneddoto del periodo più fortunato
del gruppo. Durante le prove di un concerto
londinese alla Roundhouse – antica chiesa
sconsacrata trasformata in auditorium, il
gruppo fu interrotto da uno squilibrato che
entrò nel teatro a bordo di una moto di
grossa cilindrata.
Francesco stava per scendere dal palco
con intenti bellicosi, ma i suoi improperi
dovettero cessare quando il “folle” si tolse
il casco: era Keith Emerson, loro discogra-
fico nonché comproprietario del teatro. In
conclusione, un altro verso della coppia
Nocenzi – Di Giacomo: “Perché volete
disturbarmi se io forse sto sognando un
viaggio alato?” n
Musica20 [email protected]
n.97
diFabrizio Medori
Il Banco del Mutuo Soccorso...e la voce di Francesco Di Giacomo
2+2+4+19=27:
Tranquilli, non
sono numeri a
casaccio! 2, sono
i membri del gruppo; 2,
sono i long playing; 4,
le sides; 19, le tracks,
oggetto di questa recen-
sione primaverile. Lei,
Karin Bergquist, fascino-
sa (bionda) cantante e
polistrumentista (chitar-
ra, piano, percussioni...),
lui, Linford Detweiler,
musicista eclettico (basso, chitarra ac.+ el. piano, 2da voce, tastiere
di tutti i tipi). I due, vivono a Cincinnati (Ohio), US, dove frequentano
i vari ordini scolastici, si conoscono nel 1984, si frequentano e...
decidono di metter su casa, famiglia e...musica! La città americana,
è attraversata dal fiume Rhine (Reno), con le sue anse sinuose, quale
migliore spunto per il nome della band? Over the Rhine, appunto,
come dire, ‘lungo il corso del Reno’.
Inizialmente in quartetto: Ric Hordinski (chitarra) e Brian Kelly
(batteria), iniziano il progetto discografico sul versante art-folk-
country-americana. Dopo 20 anni, le lines-up si sono avvicendate, la
musica si è evoluta, con riferimenti colti al jazz e...altro. Nonostante
le frequentazioni e la condivisione di scene e palchi, soprattutto
negli States, qualche nome? B. Dylan, J.Prine, Cowboy Junkies, A.
DiFranco...non raccolgono tantissimi consensi, è un peccato, la
proposta musicale è interessantissima, come vedremo. Titolari di una
corposa discografia, arrivano al 2013, mettono in cantiere l’ennesimo
progetto, lo studio è il Garfield St. di South Pasadena, CA, i musicisti:
Jay -prezzemolino- Bellerose, bravissimo batterista, Eric Heywood
(ascoltate l’incredibile lavoro alla Pedal-Steel-Guitar), Jennifer Con-
dos, basso el.,Patrick Warren armonica, accordion, Harmonium, Mark
Goldenberg, mandolino, string & ac. guitar, e, ancora, alcune guest-
stars come Van Dyke Parks (!), Aimee Mann, David Pitch.
In cabina di regia, infine, Joe Henry, eccelso musicista, produttore,
coordinatore, titolare di una congrua produzione discografica, cogna-
to di Madonna...lasciamo perdere! Risultato dell’operazione? The
Masterpiece! Capolavoro!!! Il titolo è un’invito: Meet Me At The Edge
Of The world, come dire: incontrami sul margine, confine del mondo,
vediamo (e sentiamo) come. Riferito della mia copia, un sontuoso
double-album, gatefold, contiene il coupon ‘full album download
code’, vinile 180 gr.,tutti i testi, immagini e foto accattivanti. In
considerazione dell’elevato numero delle songs e, dello spazio della
rubrica, metto sul piatto
(giradischi), il LP-one, sot-
totitolato Sacred Ground),
rilascio il pick up, e, inizia
il flusso solare, intenso,
languido delle ballads
(soprattutto) innumerevo-
li che, si succedono senza
soluzione di continuità:
l’open title track come
introduzione, poi, Called
Home, alza l’asticella, voce stupenda, chitarre acustiche ed elettriche
nitide, pulite, la steel che cesella languidamente, percussioni che
accarezzano i ritmi, piano e tastiere all’unisono, sembra di essere
un rider nelle sconfinate praterie del Far West, Sacred Ground è la
n° 3= perfezione assoluta, magica, ipnotica, coinvolgente, tanto da
prendere il testo e...cantarla with Mrs. Karin! L’incanto prosegue e
la facciata finisce con qualche episodio più ‘mosso’: Gonna Let My
Soul Catch My Body. La side-B incombe, un fischio introduce All Of
It Was Music, altra ballata che precede Don’t Let The Bastards Get
You Down, qui, Karin si supera, un (una?) coyote che ulula, arpeggi
delicati di chitarra e ritmica soft, si prosegue con le Alte Terre della
Contea, si conclude con Wait, l’attesa...del 2nd LP: l’autobiografica
All Over Ohio, l’incanto continua, Earthbound Love Song, Against
The Grain e It Makes No Difference, canzone d’amore delle terre di
confine, grano avverso...titoli quanto mai emblematici.
La side D (come la C, intitolata Blue Jean Sky), sotto il cielo color blue
jean, appunto, un breve instrumental, Cuyahoga (REM...embering), un
Bouquet di Fiori Selvatici, Uccelli di Fattoria Introvabile (?), e infine,
dopo 64’ e 26”,il Corso del Fiume, si dissolve all’orizzonte. Cosa
aggiungere? Questa musica parla da sola, immagino Karin e Lindford
nella Fattoria stile pre-guerra civile americana, appena fuori città,
dove vivono, probabilmente luogo dove hanno ‘pensato’ il disco.
Evidente, dovendo stilare un’ideale classifica, come Meet Me At The
Edge Of The World, occupi il podio come top-Player album del 2013.
Qualche suggerimento: potete scaricare (gratis) l’intero album su
Amazon Cloud Player, e ancora, per una ubriacatura completa, cer-
cate un’altro bellissimo titolo del duo: Ohio, 2CD -2003- Back Porch
Rec. (distr. Virgin-Universal). voto 9. n
Write about... the records!
diMaurizio Carbone [email protected]
Meet Me At The Edge Of The World Over The Rine Format: 2LP - 2013GREAT SPLECKED DOG/RED EYE REC
22n.97
23
N elle civiltà antiche i pendenti
erano comuni sia ai greci che agli
etruschi e ai romani: tale diffusio-
ne non era dovuta unicamente alla
valenza ornamentale dell’oggetto bensì a
quella amuletica.
La sua struttura, da indossare prevalente-
mente sul petto, sede del cuore, ne faceva
uno scudo difensivo contro il malocchio. I
pendenti-amuleti dell’antichità recavano
immagini di divinità pagane spesso incise
su gemme già cariche di valenze magiche.
L’Epoca d’oro del pendente è il Rinasci-
mento. Ai pendenti più semplici, formati
da una pietra colorata nel suo castone e
da una perla pendente a goccia, nella se-
conda metà del secolo si vanno sostituen-
do ciondoli di forme più complesse: figure
umane e animali, divinità e mostri. Piccole
sculture a cera persa in oro e smalti
diventano fantasiosi monili da appendere
a catene dai disegni unici laddove artisti
famosi cimentavano in raffinati progetti
n.97
per pendenti d’autore. Sono assai diffusi
in quest’epoca pendenti a forma di croce
simbolo di Cristo, nei quali la finzione
decorativa cede il passo all’espressione
di fede. Fra il XVII e il XVIII secolo la moda
del pendente decorativo declina a favore
del collier, della spilla e dell’ornamento
da corsetto, mentre pendenti ispirati agli
stili del Rinascimento verranno prodotti
nell’Ottocento romantico accanto a quelli
ispirati al classicismo, al gusto egizio e
al Medioevo. Agli inizi del Novecento il
pendente assumerà le forme floreali dello
stile nouveau.
Una curiosità è che con la fine del XVI
scolo la funzione auletica del pendente
viene limitata sempre più alle gemme o a
talismani espliciti come piccoli falli o ma-
nine dall’allusiva gestualità. I gesti sconci
eseguiti con il corpo o rappresentati in
appositi amuleti avevano la funzione di
obbligare lo sguardo fascinante, causa
del malocchio, a posarsi su un oggetto
ridicolo o indecente in modo da scorag-
giarlo. n
L’oggetto del desiderio
diCarmine Goderecci
di Oro e ArgentoGioielleria dal 1989
Il Pendente
È un disturbo legato a difficoltà nella
motricità fine che impedisce di
automatizzare la routine motoria
necessaria per la realizzazione del
segno scritto.
Il segno più evidente è una significativa dif-
ficoltà ad automatizzare un corsivo fluente
e morfologicamente comprensibile.
Precursori del disturbo: uscire fuori dai
margini nella colorazione, far fatica con le
forbici, le posate ecc. far fatica ad allacciare
i bottoni.
La disortografia è la difficoltà a tradurre
correttamente i suoni che compongono le
parole in simboli grafici, essa si presenta
con errori sistematici che possono essere
così distinti:
Confusione tra fonemi simili
Il soggetto confonde cioè i suoni alfabetici
che si assomigliano, ad esempio F e V; T e
D; B e P; L e R, ecc.
Confusione tra grafemi simili
In questo caso il soggetto ha difficoltà a ri-
conoscere i segni alfabetici che presentano
somiglianza nella forma, ad esempio: b e p;
Omissioni
E’ frequente che il soggetto tralasci alcune
parti della parola, ad esempio la doppia
consonante (palla-pala); la vocale interme-
dia (fuoco-foco); la consonante intermedia
(cartolina-catolina).
Inversioni
Questo tipo di errore riguarda le inversioni
nella sequenza dei suoni all’interno della
parola, ad esempio: sefamoro anziché
semaforo.
La disortografia può derivare da una
difficoltà di linguaggio, da scarse capacità
di percezione visiva e uditiva, da un’orga-
Scuola24n.97
La disortografia
diMaria Gabriella Del Papa [email protected]
Difficoltà nella motricità
nizzazione spazio-temporale non ancora
sufficientemente acquisita, da un processo
lento nella simbolizzazione grafica, difficoltà
meta fonologiche.
La disortografia è, quindi, la difficoltà a
tradurre correttamente i suoni che compon-
gono le parole in simboli grafici.
Diagnosi e Interventi
Per poter programmare un intervento
riabilitativo personalizzato è necessaria una
valutazione clinica fatta da un neurop-
sichiatra infantile o a uno psicologo. Per
una tale valutazione ci si può rivolgere alla
propria ASL di appartenenza (Servizio di
Neuropsichiatria Infantile o Unità Operativa
di Neuropsichiatria Infantile o di Neuropsi-
cologia), oppure a specialisti che svolgono
privatamente la libera professione.
Ottenuta la diagnosi di DSA, sarà possibile
per i genitori chiedere alla scuola la
predisposizione di un PDP - Percorso
Didattico Personalizzato (o Percorso Edu-
cativo Personalizzato) La realizzazione del
PDP implica l’adozione di tutte le misure
dispensative e compensative appropriate
all’entità ed al profilo della difficoltà in ogni
singolo caso.
Trattamento
Si progetta l’intervento riabilitativo a
seconda di quali processi cognitivi sono
risultati disfunzionali alla Valutazione Clinica
Neuropsicologica.
Questi sono alcuni esempi di attività utili
per riabilitare le difficoltà di scrittura:
1. apprendere a discriminare fonemi (b-p,
c-g, d-t, f-v);
2. apprendere a gestire la struttura fonolo-
gica delle parole; ci si esercita ad eseguire
la segmentazione sillabica per mezzo di
marcatori esterni;
3. Creazione di un alfabetiere: trovare l’im-
magine adatta che mappa una lettera;
4. riflettere sul fatto che ciò che si pronun-
cia per primo, si scrive per primo;
5. aumentare l’ampiezza dei magazzini
lessicali, in particolare del magazzino delle
rappresentazioni ortografiche, da cui si
recupera l’ortografia di parole ambigue;
depositare nella memoria a lungo termine
l’ortografia corretta (squalo o scualo?).
Sicuramente è raccomandato un intervento
il più possibile tempestivo e specialistico,
sia per approfittare di questa fase evolutiva
in cui l’alunno è predisposto a specifici
apprendimenti, sia per evitare il rischio del
consolidamento degli errori.
Al fine di programmare un trattamento
riabilitativo il più possibile individualizzato,
mirato, specifico e calibrato su un bambino
con particolari caratteristiche, è opportuno
eseguire una valida valutazione clinica. Con-
siderando che ogni trattamento riabilitativo
è anche psicoterapeutico, oltre ai fattori
neuropsicologici, bisogna tener conto della
struttura di personalità del bambino, i suoi
tratti di carattere, la sua motivazione ad
apprendere, l’autostima, ecc.
Infine, allo scopo di intervenire in maniera
più organica possibile, la riabilitazione deve
inserirsi in un “sistema” che comprende
fattori di tipo socio-ambientale, quali: la
famiglia, la scuola, il programma scolastico,
il contesto sociale extrascolastico.
La collaborazione con la scuola e la famiglia
sono fondamentali, al fine di concerta-
re modalità d’intervento il più possibile
uniformi, per evitare quella confusione che
si crea facilmente nell’alunno quando gli si
presentano diversi metodi. n
25Dura Lex Sed Lex
diAlfioScandurra
Uso illegittimo delle armi
n.97
L’ art. 53 del codice penale vigente disciplina l’uso illegittimo delle
armi, chiarendo che non è punibile il pubblico ufficiale che, al
fine di adempiere un dovere del proprio ufficio fa uso, ovvero
ordina di fare uso delle armi o di un altro mezzo di coazione
fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o
di vincere una resistenza dell’Autorità.
Tale articolo è inquadrabile nelle cause così dette di giustificazione, in
quanto giustifica la condotta posta in essere dal pubblico ufficiale sul
piano oggettivo e quindi con esclusione dell’antigiuridicità.
Tutto ciò ha avuto una peculiare evoluzione storica, avendo ricevuto
incremento da diverse disposizioni di leggi speciali, giungendo ad una
codificazione con la legge n. 152 del 1975.
Le condizioni, secondo le quali si applica l’art. 53, sono quelle, in primo
luogo, quando non possono essere applicate le scriminanti della legit-
tima difesa (art. 52 cod. pen.) o dell’adempimento di un dovere (art. 51
cod. pen.). Deve essere precisato sostanzialmente che dal punto di vista
soggettivo possono invocare l’uso legittimo delle armi soltanto i pubblici
ufficiali e le persone legalmente richieste da questi ultimi, escludendo
quindi le persone incaricate di pubblico servizio.
Sul piano oggettivo la Suprema Corte ha posto particolare attenzione al
requisito della “necessità”, che impone al pubblico ufficiale le complete
possibilità di scelta; in sostanza, quindi, l’uso delle armi è legittimo
quando siano presenti sia la ratio sia quello dell’impossibilità di impie-
gare mezzi meno lesivi. Naturalmente la norma è applicabile nell’ipotesi
della necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza.
La violenza è determinata da qualsiasi comportamento attivo che mira,
tra l’altro, ad impedire l’adempimento del dovere d’ufficio da parte del
pubblico ufficiale; la resistenza, invece, può essere sia attiva che passi-
va; in quest’ultimo caso, recentemente, è stata ammessa la possibilità
di vincere resistenze passive con mezzi del caso adatti e proporzionati,
anche se non sono presenti soluzioni univoche che determinano sia la
proporzionalità che la necessità.
Naturalmente, tutto quanto sopra detto, è da ritenere non esaustivo del-
le tesi dottrinarie e giurisprudenziali che si sono succedute nel tempo;
comunque è da sottolineare che la norma di cui trattasi va integrata con
le disposizioni contenute sia nel Testo Unico leggi di pubblica sicurezza
sia da norme contenute in varie leggi sull’uso delle armi da parte dei
militari. n
Volti attoniti eppure mobili, loquaci
e tuttavia paralizzati dal terrore,
bagnati da una luce strana, né giorno
né notte. L’Inferno sono già quegli
indizi del loro essere materia, carne uguale
a transenne e reticolati. Venti persone,
donne e uomini, cinte in un cumulo di
macerie: dannati. Elaborano un trauma, fis-
sano e piangono, s’interrogano e parlano.
«Siamo morti!… Siamo morti?». Stupore e
incredulità. Sembra un happening anni ’70.
Sguardi nuche corpi tra il suono di pietre,
ferraglie e passi. Primi piani visivi e primi
piani acustici. Il sonoro si avverte soprat-
tutto nel silenzio, assoluto, se non fosse
per il tramenìo (in)significante dei loro
gesti, minimi. Strappare una foglia, ballare,
accennare un timido sorriso, fumare. Ogni
tanto, utilizzate con parsimonia eloquente,
come un asse di simmetria lirica, per me-
glio dar forma sonora al vuoto di ascolto, ai
puntelli sonori diegetici, arrivano la musica
di Andrea Manzoli e la voce del soprano
Valentina Coladonato.
Virgilio del cinema, Stefano Odoardi aveva
già saputo guidarci nella tunnel vision delle opere precedenti, ma-
gnifiche dilatazioni sensoriali tese a ricreare e ricongiungere universi
separati. Visione bigia, plumbea, opaca, come qui, o immersa nel chia-
rore di una bellezza paesaggistica rifulgente e impercepita, quella del
lutto latteo di Una ballata bianca (2007). Gli echi di Cechov e Beckett,
possibili numi tutelari, sono una volta di più trascesi in un’opera-mag-
ma che riarticoli i corpi, il dolore e la luce. Per tutto ri-comprendere e
Cinema
risanare, proprio a partire dal disastro.
Un attimo prima di arrivare all’Inferno, l’opera apre in un’altra parte
dello spazio. Una manciata di secondi nel bosco, in un recinto sacro
sorvegliato dagli alberi, dove il Godot che mai arriva, stavolta un Ange-
lo donna, sta invece per liberarsi dall’enorme gabbia che lo imprigiona,
evocato dal buio non completamente spento delle anime in pena.
Mentre un tocco di campana, incipit sonoro del film, fa da punto di
raccordo tra i due mondi. È la soglia segreta della natura, una sfera
della psiche e del furore divino. Spunta parallela alla lacerazione dei
dannati, come principio di una rinascita iniziatica correlata alla caduta.
Mancanza-Inferno, primo tassello di una trilogia che approderà al
naturale opposto Paradiso, non nega sin dall’inizio, sin da qui, l’equi-
valenza paradossale di ciò che appare contrapposto. Lo spazio perti-
nente all’Angelo e quello relativo ai dannati sono luoghi equidistanti,
richiamantisi a vicenda. La loro convergenza distilla la consapevolezza
della caducità delle cose, la scoperta terribile eppure luminosa (e
illuminante) dell’inferno del bisogno e dell’attaccamento. Al pari di
un testo buddista. Il mono no aware alberga nelle pietre viste come
gocce umiliate di una roccia creduta indistruttibile. Metafora numinosa
di un terremoto interiore.
Per bipartire natura e cultura, eternità e tempo, permanenza e
impermanenza, il film utilizza differenti strumenti tecnici e linguistici.
Se attorno ai dannati ruota una telecamera
digitale ad alta definizione, è invece una
macchina da presa in 16mm a pedina-
re, contemplare e ricreare lo sguardo di
Angélique Cavallari. L’Angelo in impermea-
bile chiaro col caschetto alla Louise Brooks,
però più scomposto. Seducente e stilizzato
Angelo dell’imperfezione. Da un lato un’at-
trice professionista, alle prese con un gran-
de classico, le Elegie duinesi (1912-1922) di
Rilke, testo poetico capitale sul (non) senso
della vita; dall’altro, i protagonisti presi dalla
strada, chiamati a improvvisare dialoghi e
monologhi non scritti.
Dividere per far convergere, sintesi di anti-
tesi. Per questa via, i versi detti dall’Angelo,
sterminatore e riparatore a un tempo,
Angelus Novus foriero di verità tenute
a bada e luci-fero, riformulano il teatro.
La scena si fa immagine pura, cinema di
sguardo, lungi da convenzioni e accade-
mismi letterari. Laddove, le testimonianze
non fiction degli autentici dannati/vittime
attingono al profondo (psicologico, poetico)
di un documentario d’espressione, mai di
mera informazione. Scisma più che sisma.
Bandita infatti ogni menzione al terremoto aquilano del 2009, se non
nei titoli di coda. I personaggi sono al di fuori del tempo, attori di un
trauma confuso col dolore e l’orrore di vivere. Potrebbero appartenere
indifferentemente a un luogo di guerra o di occupazione, di crisi eco-
nomica e di sfratto, di perdita del lavoro o di un affetto. La ricostruzio-
ne a cui si allude è quella, rilkiana, di un ri-percepire diversamente le
cose, all’ombra di una positività superiore.
26
L’angelo Sterminatore Riparatore
diLeonardoPersia [email protected]
n.97
Il terremoto aquilano, elegia del dolore nel film di Stefano Odoardi
27Anche la ri-edificazione (ma negativa,
massificante) dell’emarginato Franz Biber-
kopf avveniva in un paesaggio pietroso e
indifferenziato, guardato dagli Angeli (due),
nella parte finale e cimiteriale di Berlin Ale-
xanderplatz (1980). Fassbinder, oltre che a
Döblin (stesse generazione e lingua di Rilke),
si era ispirato al concreto Inferno astratto
di Pasolini. Quel sadiano Salò (1975) sulle
mutazioni antropologiche del sistema, già
presagito dai cadaveri nudi tra le pietre del
sogno di Accattone (1961), altro personag-
gio trasformato. Dialettica dell’illuminismo,
rivelazione della barbarie della civiltà e della
razionalità, il terreno battuto da Rilke. La me-
desima civilizzazione forzata, che con sassi e
macerie scandiva lo scenario di un rifondato
teatro nel cinema, l’avant-garde del colletti-
vo Nouveau Théâtre tunisino di Fadhel Jaïbi
e Fadhel Jaziri (autori di film come al-’Urs,
1978, e ‘Arab, 1988). Sicuramente memori di
Fassbinder e Pasolini, e possibili predeces-
sori del percorso plurifonico (teatro, cinema,
poesia, video-arte) di Odoardi. Tutto torna,
inevitabilmente. In considerazione del fatto
che oggi più che mai ci soffoca il caos da
“civiltà” (se vi piace ancora chiamarla così) e
il terremoto aquilano è stato da subito letto
come emblematica metafora di rovine anche
eccedenti. Il degrado politico (Draquila, 2010,
di Sabina Guzzanti), la condizione esistenzia-
le, soprattutto giovanile, già terremotata di
suo (Into the Blue, 2010, di Emiliano Dante),
la patologica artificiosità-spettacolo della
nostra vita sociale (Canto 6409, 2009, di Dino
Viani). Proprio in mezzo a quelle macerie,
Pippo Delbono ha scelto di incorniciare il
profondo, insostenibile dolore di Amore
carne (2001) e Sangue (2013).
Adesso, più che al centro, la tragedia appare
sullo sfondo di un discorso di cui è tuttavia
parte integrante. L’autore ne amplifica la por-
tata, spostandola su un piano antropologico
e psicanalitico. Film sociale? politico? Anche.
Senza esserlo comunque fino in fondo.
Come le elegie di Rilke o il terremoto non
esprimono pienamente il film. Tutto è testo
e pre-testo insieme. Non ci si lega a niente
in particolare, restando costantemente sulla
soglia, determinatamente indeterminati.
L’attuale waste land emerge da una forma-
contenuto in simbiosi con l’opera letteraria
di partenza, viaggio mesto di sublimazione
della propria scissione. Struttura-racconto a
tutto aderente e coerentemente oltre, e al
di là, di ogni elemento e argomento di cui
serve. Testo classico e scena free, pellicola
e digitale, dizione impostata e neo-realismo
docu (quello, per restare in ambito italiano,
post Sacro Gra e post TIR). Esempi che
definiscono ma non esauriscono la portata
del film.
A suo modo panteista, l’autore guarda
con rispetto a qualsiasi forma di dolore,
piccolo o grande, e ponendo sullo stesso
piano letteratura elevata e testimonianza
quotidiana (sorti entrambi dal profondo e
dalla psicologia del profondo). Bello vedere
come gli attori non
professionisti, posti
in una condizione
volta a ricreare
materialmente
la «grande unità»
perseguita da Rilke,
e combaciante con
i temi e il cinema
di Stefano Odoardi
(sospensione tra
naturale e sopran-
naturale, confronto
con morte e preca-
rietà da cui prima
si era stati distolti,
convergenza di
individuale con collettivo, senso del finito
come infinito), riescano a toccare, con parole
e mezzi propri, un’uguale essenza poetica.
Discorrendo della punizione insita nella
condizione umana, di solitudine e di assenza,
ricreano Rainer Maria Rilke ad altezza del
quotidiano. Anche per vie traverse, tramite
l’inconscio.
Un ragazzo nomina l’animale, esempio, per
il poeta austriaco-boemo (insieme all’an-
gelo, l’eroe, il saltimbanco, la marionetta
e il bambino), di serena inconsapevolezza
della morte. «Ho visto un gatto che girava»
sussurra profetico, vicino così alla bimba
buñueliana di Viridiana (1961) che aveva
scorto un minaccioso toro nero, prolessi
al dramma di pulsioni trattenute. Più tardi,
anche un signore, in lacrime, racconta della
morte del suo gattino, Lulù: inconsapevole
richiamo al personaggio di Wedekind e
Pabst, contemporaneamente innocente e
terribile, a seconda di come lo si guardi. «Mi
sento innocente. Mi sento all’inferno» viene
riferito da una battuta. E su Lulu, si è detto,
forse è stato modellato l’Angelo (s)composto
della Cavallari.
La divisione alla base del film svela quindi,
a gradi, l’alba di un nuovo comprendere.
«Come fai a dire che non c’è più la bellez-
za?... che c’è solo il silenzio?... che vorresti
fare una cosa e non puoi farlo perché è
n.97
vietato?». Nuove articolazioni di luce e di
ombra profilano la perseguita(ta) comunio-
ne. Un dialogo tra due uomini diventa quasi
impercettibile, l’intimità sfocia nel silenzio e
nell’inaudibile, nell’inquadratura sfocata. Qui
e altrove la lunghezza focale ridimensiona
lo sfondo, facendo affiorare l’immagine-
affezione, il volto. Il fuoco spostato dei piani
evidenzia l’oscillazione tra inferno e antica-
mera del purgatorio, preludio al paradiso. E
sono pure le parole a perdere fuoco, peso,
o probabilmente ad acquistarlo, elevate
a formule eucaristiche, transustanziate in
preghiera. Sarà un verso della decima elegia
a Duino («Che il mio volto bagnato di lacrime
brilli, e il pianto che non si vede fiorisca») a
celebrare l’unione dei due orizzonti, umano
e sovrumano, che nel finale si stringono in
un abbraccio liturgico di toccante asciuttez-
za stilistica.
Riferendosi al cinema di ricostruzione
storica, Umberto Barbaro avvertiva che l’im-
maginazione, se sviluppata coerentemente,
finisce sempre per combaciare con la realtà,
indovinando il passato e presagendo anche
il futuro: il supremo mistero dell’arte. Natu-
ralmente vale anche per l’adattamento di un
testo e la ri-creazione visiva di un complesso
stato d’animo. Mancanza-inferno si offre
come opera molteplice e unitaria, capace di
abbattere le distanze di tempo e spazio non
solo al suo interno. Se disposto ad acco-
glierlo, lo spettatore scisso può riceverne
in cambio un guardare rinnovato, il dono di
una radicale esperienza estetica. Altrimenti,
si rischia di rimanere dannati, al riparo dal
largo e intimo orizzonte semantico che il film
dispiega. Un panorama interiore, prospero di
bellezza mai scontata o separata.
A cui lo stesso Rilke si sarebbe forse affac-
ciato con gioia. n
Arte28n.97
Recentemente, in pieno centro, a Milano, in via Vittorio
Emanuele II, il 17 febbraio 2014, il pianista Paolo Zanarella,
compositore padovano, originale, creativo, conosciuto a livello
internazionale come “Il pianista fuori posto”, aveva improvvi-
sato un concerto con il suo pianoforte a coda, provvisto di un brevet-
to di sua invenzione, raccogliendo intorno a sé un folto pubblico di
cittadini e turisti entusiasti, sorpresi dal flash mob musicale. Musica
per un giorno, capace di toccare gli animi, suscitando sentimenti
universali. Le dita del musicista scivolavano leggere sui tasti, facendo
tornare alla memoria artisti del passato, Bach, Mozart, Beethoven,
Chopin, Stravinskij, Debussy, suoni con caratteristiche diverse per
altezza, intensità, durata, e timbro.
Ritmi trascinanti, composizioni originali in grado di conquistare e far
gioire. Il pianista riusciva a comunicare, con un linguaggio corporeo
tangibile, le proprie emozioni, e con gli occhi riusciva ad abbracciare
il pubblico e contemporaneamente a suonare senza abbassare lo
sguardo, per avere un continuo feedback. Un musicista in grado di
provocare in ognuno emozioni diverse come un medico che stesse
curando tutti i mali del mondo. Uno strumento il suo, in grado di rias-
sumere i suoni di un’intera orchestra, capace di rinnovare sempre la
magia e il gioco musicale. A volte sembrava estraniarsi dietro le sue
composizioni, per riagganciare in continuazione il piacere di essere lì,
a condividere con gli altri un’esperienza dell’altrove, estraniante. La
musica si perde nella notte dei tempi, per gli egizi rappresentava un
dono degli dei e pensavano che possedesse poteri magici. Credeva-
no che l’avesse inventata il dio Thoth, custode del sapere universale,
e che Osiride con la musica volesse offrire al mondo ordine, civiltà,
bellezza. Ora il musicista contemporaneo si era alzato in piedi, a ri-
cevere e ringraziare per gli applausi, ma subito dopo, di nuovo, si era
immerso nelle sue interpretazioni, parendo instancabile per la gioia
del pubblico, sempre diverso, sempre più numeroso.
Vicino al pianoforte era posizionato un tavolinetto abbigliato con
una tovaglietta e sopra un cappello vuoto, marrone, un po’ sbilenco,
accuratamente posto come un oggetto prezioso, posto a ricevere le
monete del pubblico, con un ticchettio continuo di pochi spiccioli.
Un’identificazione da parte del pianista, con nascosto pudore, a
riconoscersi artista di strada, artista sociale, metropolitano, cittadino
del mondo, on the road, sulla scia di Kerouac. Ai piedi del tavolinetto,
campeggiava un grande dipinto impressionista sulla laguna di Ve-
nezia, un tributo d’amore per le sue origini venete. Un musicista da
invitare a Teramo, sicuramente una città pronta ad apprezzarlo.
La musica lenisce gli animi, invita alla speranza di tempi migliori per
la nostra società. Nei suoi scritti, Mauro Laeng, famoso pedagogista,
sostiene che l’invenzione musicale produce un “intero” in cui ritmo,
armonia, melodia sono reciprocamente integrati; un “intero” che
agisce sulla nostra sensibilità. La musica per Laeng è un mezzo di co-
municazione e tramite di pensieri e sentimenti, così come la musico-
terapia che intreccia i suoi interventi a quelli educativi. L’educazione
musicale è un linguaggio pieno che addormenta e risveglia, sopisce e
lenisce, eccita e incita, coinvolgendo corpo e spirito. Essa ha il potere
di curare anche malattie importanti come l’isterismo, malinconia,
depressione profonda, anoressia, ipocondria, malattie prodotte da
interruzione di processi comunicativi. In questo caso anche malattie
gravi come l’autismo e la schizofrenia ne traggono giovamento e
benefici per i pazienti. La musica rasserena e costituisce un legame
fra il malato chiuso nella sua fortezza e l’ambiente circostante, essa
è importante nelle attività di gruppo e socializzanti. L’educazione
musicale, per le sue potenzialità educative, dovrebbe essere inserita
nei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado. n
Mauro Laeng sostiene...
Il pianista “fuori posto”
diFlorianaFerrari [email protected]
29
Una vita per lo sport, anche se non da
praticante. La passione per lo sport
senza distinzione di discipline, accanto
alla professione di medico cardiologo
e alla sua famiglia, è stato il filo conduttore di
vita del compianto Dr. Gaetano Bonolis. La sua
immancabile pipa e la folta chioma, icona di
una immagine tipica del “dottore”, non sarà
dimenticata dagli sportivi teramani. Educato
ai valori dello sport fin dall’infanzia dal padre
Paolo, ex portiere del Teramo Calcio, da
grande ha scelto la professione di cardiologo
e quella di medico dello sport . Nino, come
gli amici lo chiamavano, è stato accanto a
chiunque ha praticato sport senza interesse
di sorta, se non quello di pura passione. Non
per denaro, solo per stare insieme agli atleti
e alla comunità sportiva teramana. Nel 1971
inizia la collaborazione con il Teramo Calcio,
naturalmente a titolo gratuito. Un lungo
percorso di 42 anni e tanti episodi di cui il
simpatico “dottore” si è reso protagonista.
Spirito positivo, non mancava mai una sua
pacca sulle spalle di qualche giocatore giù
di tono, per un acciacco o per una delusione
anche extra calcistica. Le trasferte del Teramo
erano sempre colorite dal suo buonumore e
dall’immancabile ramino con Enzo Montani
e Pino Maselli. In palio una semplice bevuta,
naturalmente il cognac e quello buono.
Come dimenticare la sua simpatica corsa nel
soccorrere i giocatori in campo e la sua pipa
sempre tra le labbra, benché con un po’ di
fiatone. Un lungo periodo di collaborazione
con il Teramo Calcio, ma anche antesignano
della medicina dello sport. Collaborò con
l’Istituto di Scienza dello Sport dell’Acqua
n.97
Cetosa di Roma con illustri professori. Il richia-
mo della sua terra era forte a tal punto da
rifiutare un’allettante offerta, come medico
sociale, della Roma Calcio. A Teramo continuò
la sua opera di medico sportivo ricoprendo
più incarichi conferiti dal Comune e dalla ASL.
L’ultima sua creatura, atteso per diversi anni,
è stata la fondazione del Centro Aprutino di
Medicina dello Sport nel 2008. I postumi della
malattia, che nel passato lo aveva colpito,
sembravano lontani.
Negli ultimi tempi, purtroppo, qualcosa era
cambiato anche se era sempre al suo posto
nel laboratorio dello stadio a visitare i suoi pa-
zienti calciatori. La sofferenza, benché repres-
sa, qualche volta inesorabilmente affiorava,
ma erano solo istanti che lui presto sdram-
matizzava. Poi la fine prematura, il dolore dei
famigliari, degli amici e degli sportivi . Una
figura che ha dato tanto allo sport teramano
al pari di quelli che l’hanno praticato, dando
lustro alla nostra città. Si doveva sceglier un
nome per il nuovo stadio comunale e tanti
erano i nominativi degni di essere ricordati
sulle scalinate del nuovo impianto sportivo.
La scelta dell’Amministrazione Comunale è
caduta su quella del Dr. Gaetano Bonolis per
la lunga militanza, come medico sociale, nel
Teramo Calcio. Finalmente il nostro stadio
non sarà più chiamato con la località dove è
ubicato, bensì con il nome di un suo illustre
cittadino “Gaetano Bonolis”. n
Calcio
Nel nome di Gaetano (Nino) Bonolis
diAntonio Parnanzone [email protected]
La Teknoelettronica, dopo aver rag-
giunto la certezza di disputare i play
off scudetto e di conseguenza essere
sicura che anche nella prossima
stagione sportiva sarà ai nastri di partenza
del prossimo Campionato nazionale di A1,
si misurerà inizialmente con la disponibilità
economica che sarà decisiva per la defi-
nizione dei programmi e quindi la qualità
dello staff tecnico e dei giocatori.
Attualmente, dopo la crisi che ha attraver-
sato la società che ha inciso profonda-
mente nello staff tecnico con la sostituzio-
ne di Marcello Fonti con Franco Chionchio,
la Teknoelettronica ha rinunciato anche
all’apporto di giocatori importanti quali
Nikocevic, Gabriele e Vaccaro tanto per
citarne alcuni.
Per quanto concerne la disputa dei play
off la società si avvale delle prestazioni di
Sport30 dallaRedazione [email protected]
n.97
atleti del vivaio, ragazzi che attualmente
disputano i campionati under 16 e under
20 sotto la guida di Franco Chionchio e che
se anche pagano lo scotto della giovane
età, hanno modo di cimentarsi contro
avversari di livello superiore e quindi fare
esperienza che tornerà sicuramente utile
nei campionati nazionali di categoria,
obiettivi primari della società.
Una nota positiva viene dall’apporto, al
momento esterno, di Egidio Romano che
porterà alla Teknoelettronica la sua grande
esperienza fatta prima nell’allora Campo
del Re che conquistò lo scudetto juniores
e poi Wampum che fu la prima squadra
italiana a superare un turno di Coppa
Europea. Poi nella squadra femminile che
ha portato a Teramo il primo scudetto nella
massima serie di pallamano.
Per quanto concerne l’Artrò-Globo-Allianz
Teramo la sua stagione si sta concludendo
con toni grigi, dopo aver fallito i play off e
aver disputato in maniera anonima le Final
Eight, vinte dal Salerno sul Conversano, si
sta giocando la permanenza in serie A1 nei
play out.
Ci auguriamo che almeno riesca a salvarsi
già nella gara di semifinale (andata e
ritorno) contro il Cassano Magnago e non
dover giocarsi tutto in una eventuale finale
spareggio con i rischi che tali incontri
comportano. n
Maschile e femminile
Egidio Romano
Pallamano