Navigare verso Zanzibar

228
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MILANO BICOCCA Facoltà di Scienze della Formazione Corso di laurea in Scienze Antropologiche ed Etnologiche Navigare verso Zanzibar Un viaggio virtuale tra immagini e immaginario di viaggio Relatore: Prof.ssa Silvia BARBERANI Correlatore: Prof. Vincenzo MATERA Tesi di laurea di:

description

Un viaggio virtuale tra immagini e immaginario di viaggio

Transcript of Navigare verso Zanzibar

Page 1: Navigare verso Zanzibar

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MILANO BICOCCAFacoltà di Scienze della Formazione

Corso di laurea in Scienze Antropologiche ed Etnologiche

Navigare verso ZanzibarUn viaggio virtuale tra immagini e immaginario di viaggio

Relatore: Prof.ssa Silvia BARBERANI

Correlatore: Prof. Vincenzo MATERA

Tesi di laurea di:

Mirko Catani

Matricola n° 708383

Anno accademico 2009/2010

Page 2: Navigare verso Zanzibar

“Qualunque tecnologia sufficientemente evolutanon è distinguibile dalla magia”

Arthur C. Clarke

Page 3: Navigare verso Zanzibar

INDICE

INTRODUZIONE 4

1. TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar 10

1.1. Arrivare a Zanzibar: schiavi e turisti 10

1.2. ‘Politiche di accoglienza’ nella recente storia di Zanzibar 18

1.3. Zanzibar: costruzione di una meta turistica 27

2. TEORIE - Uno sguardo antropologico sul turismo 34

2.1. Il turismo 34

2.2. Principî di antropologia del turismo 37

2.3. Lo sguardo turistico 49

2.4. Immaginario e immaginario turistico 53

3. VIRTUALITÀ - Antropologia e turismo in Internet 62

3.1. Turismo e internet 62

3.2. Antropologia e internet: webnografia 65

4. ESPRESSIONI - Zanzibar nei racconti dei turisti e i turisti nei racconti di

Zanzibar 72

4.1. “La gente si fida della gente come lei” 72

4.2. Lontani da casa 78

4.3. “Destinazione Paradiso” 84

4.4. “Zanzibar controversa” 97

4.5. Approdi, sens-azioni, escursioni e incontri a Zanzibar 106

CONCLUSIONI 127

BIBLIOGRAFIA 132

SITOGRAFIA 137

DIARI DI VIAGGIO ON-LINE CONSULTATI 142

Page 4: Navigare verso Zanzibar
Page 5: Navigare verso Zanzibar

INTRODUZIONE

La mia tesi di laurea specialistica, in un primo momento, doveva vertere su un

tema completamente differente da quello che poi è stato, o meglio, la costruzione

dell’immaginario era sempre al centro del mio interesse, tuttavia l’ambito di ricerca non

prevedeva affatto l’immersione nei racconti e nei discorsi dei turisti italiani che

scelgono di andare a trascorrere le loro vacanze a Zanzibar, né doveva essere centrato

sull’analisi di documenti pubblicati on-line.

Come sosteneva spesso il Prof. Malighetti a lezione, l’ambito di una ricerca

antropologica è spesso frutto di contingenze imprevedibili nel momento in cui si inizia a

pensare al proprio campo. Il mio interesse per l’antropologia del turismo, infatti, non è

di vecchia data, non deriva da particolari studi né da interessi precedenti, tuttavia la

scelta non è stata nemmeno del tutto casuale: una serie di circostanze, che alla fine

reputo benevole, mi ha portato a concentrarmi su questo argomento.

Partiamo da un punto che possiamo chiamare ‘inizio’. Dall’ottobre del 2008 ho un

rapporto lavorativo stabile con una ONG milanese, ACRA (Associazione di

Cooperazione Rurale in Africa e America Latina): il primo anno come volontario di

Servizio Civile Nazionale, poi come collaboratore. Frequentare gli uffici di

un’organizzazione non governativa per uno studente in antropologia è un’esperienza

sicuramente interessante, che offre innumerevoli spunti. Il primo, che mi colpì nella

primavera del 2010, quando mi resi conto che era giunto il momento di pensare

seriamente a laurearmi, fu una riunione in cui un’operatrice ACRA, di ritorno dalla III

Feria Internacional del Agua, tenutasi a Cochabamba (Bolivia) dal 15 al 18 aprile 2010,

raccontò alcuni episodi legati a questo evento che suscitarono in me molte domande,

tutte attinenti alla questione: quale peso hanno e in che modo agiscono, in una città

come Cochabamba1, i ‘discorsi’ di una ONG (che fa cooperazione allo sviluppo)

all’interno di un panorama complesso di definizioni, pratiche e politiche legate all’uso e 1 Cochabamba, nel 2000, è stata teatro di quella che viene definita la ‘prima guerra dell’acqua’, in seguito alla quale, dopo

giorni di scontri per le strade e trattative politiche, la popolazione ha ottenuto di riavere una gestione pubblica dell’acqua, facendo annullare il contratto stipulato dal governo con un multinazionale.

3

Page 6: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

alla gestione dell’acqua: ovvero come si produce e riproduce l’immaginario legato

all’acqua a Cochabamba? In che modo il mondo della cooperazione si inserisce in

questo processo assai complesso?

Nonostante questa prima folgorazione, diversi motivi hanno reso impraticabile

questa prima idea. Uno di questi (ma non l’unico) è stato che, avendo come priorità il

mantenimento del mio posto di lavoro, non potevo certo lasciare l’Italia per andare a

fare una ricerca sul campo e una tesi di quel tipo non avrebbe potuto prescindere da

un’immersione nel contesto locale.

L’antropologo spesso ha il privilegio di trovarsi in luoghi affascinanti ed

estremamente interessanti, ma molto più spesso è costretto a farsi i conti in tasca …

Abbandonata questa prima idea, ho iniziato a pensare a un’altra soluzione che fosse

interessante almeno quanto la prima. La volontà di poter ‘sfruttare’ ACRA come

campo/spunto per la mia ricerca mi ha fatto passare in rassegna alcuni dei suoi progetti

che più mi sembravano stimolanti. La coincidenza di alcune attività di comunicazione2

rispetto a un progetto multicountry (ovvero che ha come sedi di attuazione l’Ecuador, il

Burkina Faso e Zanzibar) ha attirato il mio interesse. Questo intervento punta a creare

opportunità di impiego per la popolazione locale nel settore turistico, puntando sulla

formazione professionale. In poche parole l’obiettivo è permettere alle comunità locali

di sfruttare al meglio le risorse del proprio contesto per inserirsi nel mercato turistico

internazionale, partendo da presupposti etici legati all’ambito del turismo responsabile.

Più precisamente, in quel periodo in ACRA si stava discutendo sulla realizzazione

di un sito internet dedicato al progetto, che potesse però dar voce anche ai suoi

beneficiari. L’idea che immediatamente ebbi fu quella di traslare l’argomento ‘acqua-

cochabamba’ in ‘turismo-zanzibar’, tenendo sempre fermo il nocciolo tematico di come

il mondo della cooperazione, e ACRA nello specifico, si inseriscono nella costruzione

di un immaginario complesso, in questo caso come quello di una meta turistica, dove gli

interessi in gioco sono tanti e di diversa natura. Inizio a consultare un po’ di bibliografia

e l’incontro con un libro di Laura Gemini3 mi fornisce l’elemento che completerà e

definirà l’oggetto della mia ricerca. Nelle pagine finali di questo volume, infatti,

l’autrice considera alcuni elementi dell’immaginario caratteristici del mondo

contemporaneo ‘occidentale’ e in particolare ha catturato il mio interesse la rilevanza

2 In ACRA io sono impiegato nell’ufficio comunicazione con il compito di gestire i contenuti del sito web.3 In viaggio. Immaginario, comunicazione e pratiche del turismo contemporaneo, Franco Angeli, Milano, 2008

4

Page 7: Navigare verso Zanzibar

posta dall’autrice sul peso che ha il cyberspazio, e in particolare gli strumenti del web

2.0, nella definizione dell’immaginario di una meta turistica, attraverso la condivisione,

produzione, manipolazione di informazioni che la riguardano. Il fatto che in ACRA si

stesse discutendo la realizzazione di un sito internet legato a un progetto che aveva a

che fare con il turismo mi sembrava un’occasione unica per riuscire comunque a far

rientrare nella ricerca anche la ONG per cui lavoro. Ancora una volta alcuni intoppi mi

hanno intralciato la strada: le tempistiche per la realizzazione di questo sito (che poi in

gran parte è capitata sulle ‘mie spalle’, il che avrebbe implicato un’enorme

complicazione nel gestire me medesimo come parte dell’oggetto di studio) si sono

dilungate, tanto che ancora adesso non è on-line. Cercando dunque di ridefinire ancora

una volta il tema della mia ricerca, grazie anche al prezioso consulto con la Prof.ssa

Barberani, sono giunto alla conclusione che un oggetto di studio interessante potevano

essere i turisti, quelli che nell’antropologia del turismo sono definiti guest, tra i quali, da

ormai diversi anni, si è diffusa la tendenza di far circolare informazioni circa i loro

viaggi attraverso siti internet appositi. Raccontare le proprie esperienze di viaggio o

cercare informazioni prima di partire è un’attività che ‘da sempre’ il turista compie,

tuttavia con l’avvento del web 2.0 il target di riferimento cambia. I racconti declamati in

serate passate di fronte alla macchina delle diapositive, che regolarmente si inceppa, in

compagnia di amici costretti a sorbirsi la scarsa ars retorica del narratore o, al contrario,

affascinati dai racconti di luoghi ‘incredibili’, implicano un racconto diretto, faccia a

faccia, in cui lo scambio di informazioni è reciproco, secondo una temporalità

simultanea che lascia sempre spazi di rinegoziazione del discorso stesso e degli

argomenti trattati: ovvero permette divagazioni, interruzione, salti, ommissioni, ecc.

Con la pubblicazione dei diari di viaggio, come si suole dire, scripta manent,

l’esperienza raccontata si fissa, diventa un oggetto da consumare, un tassello ‘cocreto’

del puzzle che costituisce un immaginario che sempre più passa per strumenti reificanti.

Uno stesso individuo che ascolta il racconto di un medesimo viaggio in due

occasioni diverse, in presenza di persone differenti, difficilmente sentirà lo stesso

racconto della prima volta. La variazione del contesto determina fortemente il

mutamento del messaggio di una comunicazione e pubblicare un diario di viaggio su un

sito internet, appositamente pensato a quello scopo, veicolerà un contenuto che resterà

fisso, che permetterà una contrattazione e un dialogo molto parziale: in definitiva

5

Page 8: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

metterà in scena dinamiche di costruzione dell’immaginario diverse da quelle di una

comunicazione verbale faccia a faccia.

La scelta di Zanzibar come riferimento è stata dettata da vari fattori, primo fra

tutti, come detto, l’isola è una sede di intervento del progetto ACRA, da cui l’idea della

tesi si è generata. La decisione di occuparmi di questa meta, infatti, è fortemente legata

a questo elemento. Iniziando a cercare informazioni generali sull’isola e circa il suo

sviluppo all’interno dell’industria turistica, ho trovato uno scenario decisamente

interessante e con molte criticità, tanto che ho deciso di tenere questa meta come

riferimento della mia tesi anche quando si è reso impossibile includere nella ricerca il

progetto come caso di studio. Dunque, ribadisco, è stato anche grazie a una serie di

circostanze che sono arrivato a scegliere di svolgere un’analisi sui discorsi dei turisti

italiani che si recano a Zanzibar, espressi attraverso un contesto che permettesse loro di

avere un pubblico potenzialmente globale e di fissare una volta per tutte i loro ricordi.

L’obiettivo generale, dunque, è stato quello di avanzare ipotesi che potessero rispondere

a domande legate alla comprensione di come funziona il processo di costruzione

del’immaginario di una meta turistica e come questo determini il comportamento e il

modo di percepire quel contesto da parte dei gruppi di individui che lo hanno visitato.

Per poter procedere lungo questa direzione, ho iniziato a consultare una bibliografia che

mi ha informato rispetto alla condizione turistica di Zanzibar, per poter capire in quali

circostanze e secondo quali dinamiche l’isola della Tanzania ha iniziato ad essere meta

di vacanzieri in cerca di relax ed esotismo. Quindi nel primo capitolo ho cercato di

mettere in relazione la storia dell’isola, da sempre crocevia di genti diverse, con i

processi politici e mediatici che hanno reso Zanzibar una meta turistica. Ho messo in

evidenza i discorsi, ufficiali e meno ufficiali, che hanno iniziato a plasmare un

immaginario dell’isola che la mostrasse appetibile all’interno del mercato del turismo

internazionale, cercando di individuare le azioni pratiche e politiche inerenti. Azioni

pratiche che evidentemente hanno generato un impatto sulla popolazione locale,

innescando elementi di criticità che in qualche maniera determinano il tipo di turismo

che offre Zanzibar, quindi l’immaginario che si produce. Il recente passato politico

dell’isola si è rivelato particolarmente interessante da questo punto di vista,

evidenziando da un lato l’intervento di forze politiche governative con precisi scopi di

promozione e valorizzazione, mentre dall’altro si iniziarono a identificare una miriade

6

Page 9: Navigare verso Zanzibar

di attori privati (dai costruttori e gestori di alberghi ai semplici turisti), tutti pronti a

giocare i propri interessi nell’arena politica del turismo zanzibarino.

Nel secondo capitolo, invece, ho cercato di mettere sul tavolo gli strumenti teorici

che mi hanno permesso di condurre la ricerca. Confrontandomi con alcuni capisaldi

dell’antropologia del turismo, ho cercato, in una prima fase, di far emergere quale fosse

stato il cammino concettuale che questa disciplina ha intrapreso, nell’arco della sua

breve storia, per poter arrivare a parlare e indagare il turismo dal punto di vista

dell’immaginario. Partendo dalle due principali teorie con cui l’antropologia ha cercato

di spiegare i fenomeni turistici (teoria del leisure e quella della struttura d’esperienza),

ho cercato di identificare un percorso trasversale che mi permettesse di comprendere

meglio come utilizzare quei concetti chiave che hanno portato l’antropologia del

turismo a studiare l’incontro (encounter) a partire dalla sua rappresentazione. Quindi nei

paragrafi in cui discuto concetti come quello di ‘sguardo turistico’ e di ‘immaginario’ si

ritroverà un percorso, attraverso i pensieri di autorevoli autori, che metterà in evidenza

l’accezione di tali nozioni da me utilizzata.

Nel terzo capitolo, mi sono trovato nella necessità di fare chiarezza circa la

rilevanza e la pertinenza di condurre una ricerca, come quella che ho svolto, su un

campo antropologicamente forse ancora un po’ ambiguo come il cyberspazio. Una

ricerca etnografica che non contempli il rapporto faccia a faccia con i propri

interlocutori, anzi, che in un certo senso si basa più su una forma espressiva reificata di

questi che non con il loro comportamento osservato nell’hic et nunc, ha certamente

bisogno di alcune premesse che permettano di non fraintendere il valore scientifico della

stessa. Il cyberspazio, infatti, non va concepito come una ‘realtà’ altra rispetto a quella

in cui ogni individuo quotidianamente agisce, va invece inteso come un campo d’azione

attraverso il quale si creano nuove forme di comportamento e di espressione, quindi di

creazione di senso: in questo senso l’interesse antropologico diventa evidente.

L’ultimo capitolo, infine sarà incentrato sull’analisi dei discorsi, espressi su

Internet, dei turisti italiani che decidono di passare a Zanzibar un periodo di vacanza.

Queste produzioni comunicative, questo processo informale di diffusione di

7

Page 10: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

‘informazioni’, si inserisce in maniera decisamente prorompente all’interno di un

processo di costruzione di immaginario che risulta quanto mai complesso e ‘popolato’

da attori diversi con diversi interessi e forze da mettere in gioco. Le proposte

commerciali in tale processo hanno certamente una particolare forza, dettata da una

comunicazione studiata e mirata a formare specifiche immagini mentali e

comportamenti in potenziali clienti. I turisti, invece, con i loro racconti esprimono una

diversa finalità e una diversa tipologia di fiducia insinuata nei loro lettori. Chi scrive un

racconto di viaggio, solitamente, non ha interessi commerciali in gioco, ha solamente la

necessità di instaurare un rapporto di scambio di informazioni con qualcuno che, nel

caso di Internet, molto probabilmente non conoscerà mai. Così il processo di creazione

dell’immaginario si arricchisce di questi importanti punti di vista, che spesso

acquisiscono un’autorevolezza attribuita pari o superiore alle guide di viaggio o altre

forme commerciali di informazione turistica. Il risultato che emergerà è quello di una

produzione dell’immaginario articolata e complessa, che passa attraverso varie forme

espressive: racconti di viaggio in particolar modo, ma anche specifiche richieste di

informazioni, scatti fotografici e videoclip. Interessante sarà vedere in che modo tale

immaginario determini, a sua volta, il racconto della propria esperienza, quindi, in

ultima analisi, il comportamento dei turisti italiani a Zanzibar e il modo in cui questi

percepiscono sia la meta che le loro esperienze e attività turistiche.

8

Page 11: Navigare verso Zanzibar

1. TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

1.1. Arrivare a Zanzibar: schiavi e turisti

Non sono mai stato a Zanzibar e non so se avrò mai l’occasione di andarci.

Secondo ‘tradizione’ una ricerca antropologica non dovrebbe prescindere dalla presenza

del ricercatore sul campo, immerso tra le persone della società che sta studiando. Questo

mio scritto, invece, non si fonda su un lavoro di campo svolto durante un soggiorno (più

o meno lungo) nella società dei ‘nativi’. Se dunque non posso dire di essere stato a

contatto diretto con i miei ‘soggetti di studio’, né di aver percorso svariati kilometri per

svolgere la mia ricerca, tuttavia devo sottolineare che per ‘arrivare’ a Zanzibar e per

conoscere pensieri e abitudini dei miei nativi (che come vedremo nativi non sono)

anch’io abbia dovuto ‘navigare’ a lungo. Per colmare la distanza fisica, esperienziale e

conoscitiva che mi separava dalle isole dell’arcipelago dell’Oceano Indiano e dal

contesto di studio identificato, ho deciso di restare seduto alla mia scrivania. Oltre alla

lettura di libri, saggi, articoli e quant’altro sia stato scritto su supporto cartaceo, lo

strumento che mi è corso in aiuto e mi ha permesso un accesso ai ‘nativi’, con tutte le

criticità che ciò comporta e che più avanti analizzerò, è stato Internet.

Non solo la parte più strettamente etnografica è passata attraverso quello che

viene comunemente chiamato Web 2.04, ma anche buona parte della mia (in)formazione

di base sulla storia e geografia di Zanzibar5, utili per inquadrare il contesto di cui

tratterò.

Il territorio dell’arcipelago situato nell'Oceano Indiano, di fronte alla costa

orientale della Tanzania, è costituito da due isole principali, Unguja (comunemente

4 Per Web 2.0 si intende la fruizione della rete in cui predomini la “centralità dell’utente nel processo di partecipazione alla crescita del Web. Attorno a ciò ruotano gli elementi innovativi del Web 2.0 come la collaborazione, la condivisione e l’unione delle informazioni. L’utente riveste un ruolo da protagonista in quanto insostituibile fonte di informazioni di qualsiasi tipo” (Prati, 2007:18).

5 Le informazioni circa la storia e la geografia di Zanzibar sono state raccolte in gran parte attraverso i siti internet www.zanzibarhistory.org; www.viaggiaresicuri.mae.aci.it e www.zanzinet.org

9

Page 12: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

chiamata Zanzibar6) a sud, e Pemba a nord, e da oltre quaranta isole minori, tutte

considerevolmente più piccole, alcune delle quali disabitate. Il clima è nettamente

tropicale, con temperature elevate tutto l'anno e due stagioni delle piogge,

rispettivamente fra marzo e giugno (la maggiore) e fra ottobre e dicembre-gennaio (la

minore). Le isole dell'arcipelago sono generalmente collinose, senza grandi rilievi, un

tempo coperte da una ricca foresta pluviale, nel corso dei secoli quasi completamente

trasformate in terreno agricolo. Gli unici tratti di foresta originaria di dimensioni

significative si trovano solo nelle tre principali aree naturali protette: la foresta di Jozani

a Unguja e le foreste di Ngezi e Msitu Mkuu a Pemba7.

Il territorio dell'arcipelago di Zanzibar

fonte: www.zanzibar-holiday.com

6 Da qui in avanti con il termine Zanzibar mi riferirò espressamente all’isola di Unguja: solo dove espressamente indicato intenderò invece l’arcipelago nella sua totalità.

7 www.zanzinet.org/zanzibar/nature/misitu.html

10

Page 13: Navigare verso Zanzibar

In questo contesto vivono circa 1 milione di persone (per la maggior parte di

religione musulmana) di cui circa il 60% dipende dall’agricoltura, mentre circa mezzo

milione di individui sono impiegati come forza lavoro (ACRA e AITR, 2008:52).

Anticamente rinomato produttore ed esportatore di spezie, dagli anni ’70 Zanzibar

ha risentito drasticamente del crollo del prezzo internazionale di queste merci e, anche a

causa di una discutibile gestione economico-politica, è stata progressivamente tagliata

fuori da questo mercato.8 Unico settore che tentò di resistere fu la produzione ed

esportazione di chiodi di garofano (oltre che di rafia), di cui ebbe in passato il primato

mondiale, grazie anche all’impulso che ricevette durante il sultanato omanita9.

Come vedremo più avanti, Zanzibar è al centro di importanti commerci da molti

secoli. Questo è stato sicuramente un fattore importante nel processo che ha permesso

all’isola di diventare un importante luogo di transito dell’Africa Orientale, attraversato,

nei secoli, da molte persone, popolazioni e culture diverse. La sua ‘impronta’

multiculturale viene sottolineata, non senza una punta di vanto, anche dal sito della

Commissione del Turismo di Zanzibar, che nella pagina di apertura afferma:

“Over centuries different cultures have influenced Zanzibar to become what it is

today. Sumerians, Assyrians, Egyptians, Phonecians, Indians, Chinese, Persians,

Portuguse, Omani Arabs, Dutch and British have settled here at one time or

another and influenced the local culture into the present fusion.” 10

I contatti commerciali tra Zanzibar e altre popolazioni, dunque, sono piuttosto

antichi e, malgrado la sua natura, nei secoli l’arcipelago non è affatto rimasto ‘isolato’.

Non si può essere troppo precisi né troppo certi, ma è molto probabile che i primi

mercanti arabi, persiani e indiani approdarono sulle coste dell’arcipelago già intorno al I

secolo d.C.11. Risalgono invece al X secolo i primi insediamenti persiani sulle isole:

sono infatti di questo periodo le prime costruzioni in pietra ritrovate.

Per lungo tempo, fino ai nostri giorni, gli abitanti di Zanzibar intrattennero

rapporti commerciali con persone provenienti da diverse aree dell’Asia12. All’alba del

XV secolo l’arcipelago iniziò a entrare nelle mire europee. Nel 1499 furono i portoghesi

8 L’abbondanza di produzione e la bontà di erbe e aromi sono valse a Zanzibar il sopranome di ‘Isola delle spezie’9 www.zanzinet.org/zanzibar/history/historia.html10 www.zanzibartourism.net/11 www.zanzinet.org/zanzibar/history/historia.html12 Alcune comunità asiatiche, soprattutto indiane, non si limitarono a commerciare con Zanzibar, ma vi si stabilirono.

11

Page 14: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

ad approdare sulle bianche spiagge di Zanzibar, con la spedizione di Vasco da Gama, e

nel 1505 l’arcipelago fu ufficialmente annesso all’impero lusitano. Tuttavia furono

sempre le popolazioni locali a tenere in mano le rotte commerciali con l’Oriente.

Verso la fine del XVI secolo, però, la decadenza politico-commerciale portoghese

nei mari dell’Africa Orientale era già evidente tanto che il controllo delle coste di

Zanzibar, a partire dalla fine del XVII secolo, fu conteso dall’allora potente sultanato di

Oman . Grazie alle prestazioni militari delle tribù baluch da un lato e dall’altro ai servizi

di mediazione e prestito economico delle comunità indiane già presenti sull’isola, la

dinastia omanita riuscì a ottenere il controllo dell’arcipelago e delle rotte commerciali.

Nel XIX secolo, infatti, Zanzibar divenne il centro mercantile più importante della

regione, grazie non solo alla produzione di moltissime materie prime assai pregiate e

richieste sui mercati mediorientali e indiani, ma anche al fatto che le flotte del sultanato

proteggevano le navi dalla pirateria, le tasse sui prodotti erano molto basse, la regolarità

dei monsoni consentiva il contatto continuo con tutti i paesi dell’Oceano Indiano, la

presenza della barriera corallina forniva una protezione naturale alla costa orientale e,

dato di non poca importanza, nell’arcipelago c’era acqua potabile. I prodotti

commerciati in questo circuito erano moltissimi: chiodi di garofano, avorio, olio di

palma, coppale, pellame, sandalo, ecc, tuttavia, soprattutto a partire dal XIX secolo, la

‘merce’ più ricercata a Zanzibar erano gli schiavi (Nicolini, 2002:40-45). La tratta, in

mano agli omaniti e destinata in un primo momento solo ai paesi asiatici e del

Medioriente, iniziò a interessare anche gli europei proprio a cavallo tra ‘700 e ‘800. Fu

in questo periodo che arrivarono sull’isola alcune delegazioni mercantili francesi, che

intavolarono trattative con gli arabi per il commercio sia di avorio che di schiavi. La

testimonianza di due ufficiali britannici, giunti sull’isola il 10 dicembre 181013, ci

informa che:

“the number of slaves sent annually from Zanzibar to the Ȋle-de-France, Muscat

and India is computed at about 10.000 of all ages and both sexes”.14

Altre fonti riportano dati ancora più drammatici: secondo una scheda di

approfondimento sul sito di National Geographic (Ullrich) sembra che, per tutta la

durata del XIX secolo, le persone che ogni anno venivano vendute nei mercati di 13 Le mappe inglesi del tempo non erano molto dettagliate rispetto alla regione, il che fece approdare l’impero britannico

sull’isola qualche anno dopo rispetto ai francesi.14 Nicolini 2002:52

12

Page 15: Navigare verso Zanzibar

Zanzibar furono circa 50.000, mentre l’esploratore abolizionista David Livingstone

sosteneva che oltre 80.000 schiavi africani ogni anno morivano nel tragitto dal

continente verso l’arcipelago15.

Degli schiavi che arrivavano a Zanzibar, la maggior parte era destinata alla tratta,

pochi erano quelli che restavano sull’isola. La maggior richiesta proveniva dalla

penisola arabica, dove venivano impiegati principalmente nelle piantagioni di palme da

datteri; dall’India, destinati a diventare manodopera nelle coltivazioni di tè e canna da

zucchero; dall’Asia centrale, utilizzati nella produzione di cotone; dall’impero ottomano

e in parte anche dalle Americhe (Nicolini, 2002:125).

“Group of Slaves with Arab men” - Zanzibar, 1850-1890

fonte: wysinger.homestead.com

Zanzibar, dunque, da molti secoli è una terra di passaggio, un luogo dove sono

transitate persone provenienti da posti molto diversi e proprio grazie al continuo

contatto con gli stranieri, che siano stati mercanti, schiavi o più recentemente turisti,

l’arcipelago di Zanzibar (e soprattutto chi l’ha amministrato) ha potuto godere di periodi

economicamente floridi.

15 www.christianhistorytimeline.com, David Livingstone - Explorer Extraordinary "Compelled by the Love of Christ", 2007

13

Page 16: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Dal punto di vista della mobilità, il sistema schiavistico del XVIII - XIX fece

conoscere all’arcipelago i primi flussi di massa in ingresso, precedendo di circa due

secoli le ‘orde’ di turisti che, come vedremo, iniziarono a riversarsi sull’isola a partire

dalla seconda metà degli anni ’80 del XX secolo.

Cercando di tralasciare per un momento le implicazioni etiche, ritengo possibile

abbozzare una breve comparazione tra questi due fenomeni, seppur estremamente

diversi, se non addirittura diametralmente opposti. L’obiettivo non sarà tanto quello di

trovare similitudini tra turisti e schiavi: mi propongo invece di individuare eventuali

analogie sulle modalità della presenza e del transito di stranieri sull’isola in un contesto

di grandi flussi, per arrivare a capire se e in che modo, in tali circostanze, si possono

innescare meccanismi immaginifici rispetto all’isola stessa.

La temporalità della permanenza è uno degli aspetti principali in quest’analisi:

tanto i turisti di oggi quanto gli schiavi nel XIX secolo non sono/erano destinati a

soggiornare a lungo sull’isola16. Per entrambe le categorie arrivare a Zanzibar vuol dire

essere all’interno di un sistema prodotto socialmente che, mettendo in atto un certo

grado di coercizione, li porta a lasciare la propria domesticità. Nel caso degli schiavi la

costrizione è evidentemente fisica17. Per i turisti, invece, in un certo senso si tratta di una

sorta di bisogno indotto dal sistema produttivo-economico: è necessario riempire il

proprio tempo libero consumando le offerte a disposizione, al fine di poter così costruire

adeguatamente la propria identità sociale. Sarebbe questo il meccanismo che spinge a

lasciare la propria quotidianità per affrontare l’ignoto di un viaggio (Gemini, 2008:52;

Canestrini, 2004:51). Dunque Zanzibar si configura per entrambi (per lo schiavo e per il

turista) come un luogo di passaggio, sul quale non ci si tratterrà a lungo e dal quale si è

destinati a ripartire.

La durata della permanenza introduce un’altra questione, che ritengo

fondamentale a quest’analisi: l’aspetto rituale del viaggio. Il turismo, sin dai suoi primi

studi in quanto sistema sociale, è stato considerato da molti ricercatori18 come

un’esperienza di vita marcata da schemi d’azione formalizzati del tutto simili a quelli

16 La maggior parte degli schiavi erano destinati a raggiungere altri lidi, solo una minima parte restava sull’isola, impiegati nei lavori domestici oppure nelle piantagioni. (Nicolini 2002)

17 Tuttavia nell’Africa Orientale subsahariana dell’ XIX secolo, il fenomeno dello schiavismo sembra che fosse alimentato, oltre che dalla cattura, anche dall’indebitamento delle tribù dell’interno nei confronti dei mercanti-schiavisti della costa e dalla ricorrente siccità della costa Mrima della Tanzania, che limitava a tal punto la produzione da indurre molte persone a recarsi sull’isola per vendersi come schiavi. (Nicolini 2002:124)

18 L’aspetto rituale del viaggio è stato sottolineato, in particolar modo, da quel filone di studi antropologici sul turismo noto come ‘teoria esperienziale’, di cui alcuni tra i suo maggiori esponenti sono D. MacCannel, D.Nash e E. Cohen

14

Page 17: Navigare verso Zanzibar

dei riti di passaggio, identificati prima da Arnold Van Gennep e poi ripresi da Victor

Turner (Simonicca, 2004:XX).

Secondo questa chiave di lettura mettersi in viaggio equivale a lasciare la propria

comunità per entrare in una fase liminale, a cui seguirà un ritorno nella propria

domesticità con un nuovo ruolo, in un nuovo ordine, in una forma trasformata, con una

nuova identità segnata dalle esperienze che il viaggio avrà portato al turista. Il ritorno a

casa, dunque, è quanto meno auspicato, rientra a pieno titolo nelle aspettative,

nell’immaginario del turista. Proprio come quest’ultimo, anche lo schiavo che arrivava a

Zanzibar trovava sull’isola il suo contesto di liminalità, il luogo dove si sarebbe deciso

il suo destino, dove si sarebbero compiuti quegli schemi rituali che avrebbero sancito il

suo passaggio a un nuovo ruolo sociale. A differenza del turista, tuttavia, lo schiavo non

poteva avere alcuna aspettativa di rientro nella propria comunità: il suo nuovo

posizionamento sociale era molto più incerto, dipendeva da chi lo comprava e da che

mansioni gli venivano attribuite, in ogni caso sapeva bene che il suo nuovo ruolo

sarebbe stato tendenzialmente quello di forza lavoro in stato di non libertà. Dunque

Zanzibar, in entrambi i casi, sembra essere un luogo dove si compiono esperienze

performative, che trasformano, con la differenza che nel caso del turista può essere

messa in gioco un’agency che non è data allo schiavo.

Un ultimo aspetto, che ritengo utile per concludere questa comparazione, fa

riferimento proprio alla caratteristica che più separa le due categorie prese in esame: la

libertà e la volontarietà. Nello specifico mi riferisco al fatto che il turista è

“una persona temporaneamente libera (leisured) che volontariamente visita un

luogo lontano da casa con il proposito di sperimentare un cambiamento”. 19

Chi va in vacanza è tendenzialmente libero di scegliere (la propria meta, la durata

e il periodo del soggiorno, ecc.) proprio perché è in una condizione in cui,

temporaneamente, gli è permesso non occuparsi del suo ruolo all’interno del sistema di

produzione della sua società. Inoltre, come sottolinea Smith, seguendo la propria

volontà di trovarsi in una situazione nuova, di sperimentare un cambiamento.

È evidente, al contrario, che uno schiavo non si sarà mai potuto trovare, per

definizione, in tale circostanza. Si può supporre, dunque, che questa differenza,

certamente non di poco conto, possa influire fortemente sulle tipologie di immaginario, 19 V. Smith, 1978:3

15

Page 18: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

relativo all’arrivo a Zanzibar, che pervadono le due categorie prese in analisi. Credo si

possa affermare, senza bisogno di ulteriori approfondimenti, che l’isola potesse essere

percepita come una sorta di ‘anticamera per l’inferno’, una soglia che, una volta

attraversata, avrebbe condotto a una condizione tanto irreversibile quanto indesiderata.

Al contrario è plausibile pensare che il turista si rechi a Zanzibar perché considera

l’isola un ‘paradiso tropicale’, dove farà esperienze ‘positive’ dalle quali a un certo

momento, suo malgrado, si distaccherà, ma che sarà strutturalmente in grado di ripetere.

Turisti in visita al Monumento agli schiavi (Stone Town) - fonte: www.travbuddy.com

1.2. ‘Politiche di accoglienza’ nella recente storia di Zanzibar

Il commercio di schiavi a Zanzibar proseguì per tutto il 1800 e solo verso la fine

del XIX secolo, quando il sultanato perse il controllo su tutti i territori dell’arcipelago a

favore della Gran Bretagna, la tratta fu abolita20.

L'amministrazione coloniale britannica non andò a modificare significativamente

la struttura economica dell'isola, assistendo soprattutto il sultano al mantenimento del

20 Clarence-Smith, 2006:124

16

Page 19: Navigare verso Zanzibar

potere. Inoltre fu incoraggiato lo sviluppo di associazioni commerciali, a scapito delle

agenzie indiane che si occupavano di servizi finanziari e commerciali, installando

dunque un'economia di tipo capitalistico fondata però su base etnica, che di fatto

accentuò le differenze sociali.

La Gran Bretagna concesse l’indipendenza a Zanzibar il 10 dicembre 1963, a

favore di una monarchia costituzionale che tuttavia fu rovesciata da una rivoluzione solo

un mese dopo la sua instaurazione. Dopo vicende quantomeno confuse, al governo salì

il leader del partito Afro-Shirazi, di ispirazione socialista, e fu attuata l’unione con

l’allora Tanganyka, che portò alla nascita della Repubblica Unita della Tanzania.

Questo mutamento politico portò a una notevole trasformazione economico-politica:

iniziarono a verificarsi atti di intolleranza nei confronti di arabi e indiani, per cui molti

di essi lasciarono l’isola, cambiando radicalmente la composizione culturale di

Zanzibar. Questo, per esempio, portò alla chiusura dell’importante banca Jetha Lila, di

proprietà indiana, azione emblematica del periodo economicamente poco florido e

socialmente complicato che attraversò l'isola. Il governo socialista, che da un lato

garantiva gratuitamente educazione, cure sanitarie e terra indipendentemente dallo

status sociale o dall'identità etnica, dall'altro confiscò proprietà private per milioni di

dollari e sostituì imprenditori privati con funzionari pubblici corrotti, gettando Zanzibar

in una condizione di estrema povertà.

Gli anni ’70 segnarono l’apice della crisi socio-economica, ma anche l’inizio di

una lenta ripresa. Da un lato, a causa dell’abbattimento dei prezzi sul mercato

internazionale, l’esportazione di chiodi di garofano, per cui Zanzibar eccelleva a livello

mondiale, fu talmente scarsa che l’arcipelago fu pian piano estromesso da questa

nicchia di mercato. Inoltre, dal punto di vista sociale, con la morte del presidente

Karume, nel 1972, iniziarono forti violazioni dei diritti umani, soprattutto verso i

discendenti delle comunità arabe: capitava frequentemente che molti di loro venissero

imprigionati senza un vero e proprio motivo. D’altro canto, tuttavia, con l’elezione del

presidente Aboud Jumbe si registrò un notevole addolcimento dal punto di vista delle

condizioni sociali: le persone furono lasciate libere di viaggiare oltre i confini nazionali

e furono introdotte istituzioni educative di alto livello per tutti quegli Zanzibari che

desideravano intraprendere un percorso educativo-formativo più elevato. In realtà fino

all’inizio degli anni ’80 il governo mantenne una politica centralizzata, lasciando in

17

Page 20: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

mano ai privati solo l’agricoltura, mentre ogni altro servizio e ogni attività economica

venivano gestiti dallo stato21. Il biennio tra il 1984 e il 1985 fu un periodo di rapidi

mutamenti al vertice del governo di Zanzibar e tale contesto furono varate una serie di

politiche e riforme, a partire dalla liberalizzazione del mercato, che trasformarono

l’economia dell’isola da un sistema centralizzato a uno capital-liberale.

Incoraggiato, da un lato, dalle pressioni della World Bank, dell’International

Monetary Fund e dell’USAID affinché fosse instaurato un mercato più liberale che

adottasse politiche di investimento (Gössling , 2004:178), e dall’altro dalla volontà

espressa dal partito al potere di creare le condizioni per sviluppare un sistema

macroeconomico stabile e sostenibile, il governo iniziò a pensare di puntare sul turismo

come settore alternativo all’agricoltura.

Infatti nel 1986 venne varato l’Investment Act, un piano che si proponeva di

rivitalizzare l’economia del Paese cercando di attirare quanto più possibile fondi

stranieri in settori alternativi all’agricoltura. Sfruttando l’unicità dell’ambiente naturale

dell’isola, l’architettura e i siti archeologici, il governo riuscì a intravedere nel turismo

un potenziale di sviluppo che ha permesso di puntare su questo settore, ponendo grande

enfasi sull’attrazione di investimenti privati (La Cour Madsen, 2003:2).

Com’è facile intuire, la chiusura che aveva caratterizzato i governi precedenti,

fino al 1983-84, non aveva certo incentivato lo sviluppo di strutture di accoglienza: il

primo albergo turistico fu costruito dal governo nel 1974 e fino al 1983 si potevano

contare sull’isola appena dieci strutture di ricezione, tra hotel e guest house. Volendo

puntare sul turismo, il governo incoraggiò, in principio, investimenti stranieri

soprattutto nel settore edilizio-alberghiero, tanto che nel 1995 il numero di hotel e guest

house era salito complessivamente a 150, ma ancora era insufficiente (Chachage, 1998).

Infatti, da quando fu introdotta la politica sul turismo, dopo un solo anno Zanzibar

ricevette oltre 22.000 visitatori e il trend continuò a essere in crescita fino al 1993,

quando arrivarono sull’isola quasi 70.000 turisti (ibidem) .

Nonostante questi dati facciano pensare che il settore potesse trainare l’economia

di Zanzibar fino a permettere in breve tempo di raggiungere l’obiettivo desiderato dal

governo (ridurre la povertà attraverso lo sviluppo e la promozione di un’economia

diversificata e semi-industrializzata basata sul turismo)22, in realtà la situazione appare

un po’ più complessa. 21 The revolutionary government of Zanzibar, Zanzibar Investment Policy, 4

18

Page 21: Navigare verso Zanzibar

A beneficiare dei proventi del settore furono (e sono ancora) soprattutto i

proprietari delle strutture di accoglienza, di solito investitori esteri, mentre la

popolazione locale direttamente connessa al turismo è per lo più impiegata come staff

alberghiero. Inoltre si sono riscontrate molte difficoltà nel creare un circuito di

beneficiari indiretti: per esempio gli albergatori non sempre si riforniscono di prodotti

agricoli dai coltivatori locali, ma spesso li importano.

Per quel che riguarda la questione della terra su cui sorgono gli alberghi è

necessario aprire una piccola parentesi: quando Zanzibar ottenne l’indipendenza dalla

Gran Bretagna e si impose il Governo Rivoluzionario, tutta la superficie dell’isola fu

statalizzata, lasciando agli abitanti la proprietà di ciò che c’era sopra. Gli Zanzibari che

in precedenza possedevano un pezzo di terreno costiero, su cui sorgevano rigorosamente

dei palmeti, si ritrovarono ad essere soltanto proprietari degli alberi. Quando tra gli anni

’80 e ’90 iniziarono ad arrivare i primi investitori stranieri, incentivati a costruire

alberghi sulla costa, il governo concesse loro la terra in affitto a una cifra di circa $1.500

– $2.000 all’anno per ettaro, mentre i locali ricevettero, nel 1990, offerte che variavano

dai $2,5 ai $55 per albero. Le comunità costiere non sapevano che quelle cifre, che a

loro sembravano alte, per gli investitori erano in realtà irrisorie: pian piano le offerte

aumentarono e nel 2002 ogni albero veniva venduto dai $410 ai $1545, cifre che

tuttavia non mutarono drasticamente la situazione. Furono in molti a cedere al richiamo

dei dollari stranieri, senza sapere bene ciò che stava succedendo, e si ritrovarono ben

presto sia senza la possibilità di autosostentamento, che prima veniva dato dalle palme,

sia senza soldi, dispersi tra le ampie famiglie estese (Honey,2008:263).

Come spesso accade quando un governo negozia con un acquirente privato la

cessione di un terreno ‘ancora vergine’ e giudicato idoneo alla costruzione di una

struttura alberghiera, il ‘problema della terra’ ha toccato anche buona parte degli

Zanzibari, che si sono trovati allo stesso tempo senza la possibilità di un sostentamento

autonomo e tagliati fuori dallo sviluppo turistico (Valayer, 1998:109).

22 “The overall Vision 2020’s objective is to eradicate absolute poverty in the society. This is so because poverty is the single greatest burden for the people. Indeed, it is not merely the lack of income that determines poverty; it is also the lack of accessibility to the basic needs of the people. [...] There is a need to empower and create opportunities for the people to eradicate absolute poverty through developing their full potential, increasing production and household income; improving living conditions through better access to basic physical and social services; and establishing a social security system and other safety nets which protect the poor, disabled, the elderly and other vulnerable groups.[…] The realization of the Vision’s objective is predicated on addressing the following challenges to: 1) Promote sustainable tourism that emphasizes high class tourist industry. 2) Attain high and self-sustaining economic growth. 3) Transform the economy from a predominantly rural-based subsistence agricultural to a diversified and semi-industrialized economy with a modern rural sector.” (The Revolutionary Governament of Zanzibar, 2000:3-4)

19

Page 22: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Dal punto di vista occupazionale, la quantità delle persone coinvolte nel turismo

era, nel 2002, piuttosto basso: meno di 6.000 persone coinvolte direttamente e circa

37.000 indirettamente (Birgit La Cour Madsen , 2003:3-4). Nel 2005 la situazione non

era migliorata in modo significativo: circa 7.500 Zanzibari avevano un’occupazione

strettamente connessa con l’industria turistica, una cifra appena triplicata rispetto a

quella del 1990, quando a lavorare nel settore erano appena 2.600 individui della

popolazione locale. Inoltre dal 2003 la maggior parte dei più grandi hotel e dei resort

utilizza mano d’opera importata dai propri centri direzionali. Agli abitanti dell’isola che

cercano impiego nel settore, dunque, non rimane che lavorare per i ristoranti o per le

compagnie aeree, alcuni provano con le immersioni e le guide turistiche, pochissimi

sono quelli che trovano posto al ministero del turismo. A questo scenario bisogna

aggiungere che se gli Zanzibari riescono a ricoprire soltanto ruoli di medio e basso

profilo all’interno dell’industria turistica dell’isola, parte della causa è dovuta alla

mancanza di una pubblica educazione settoriale (Honey, 2008:265-66). Così si esprime

Silima, segretario generale del Ministero del Commercio, Industria, Marketing e

Turismo:

“Training [for tourism] is very poor, it is a weak point in Zanzibar now. The tourism

school offer three courses on front office, food production and beverage services

that enroll about 70 students per year. We are only catering to the lowest segment

of the industry and need management and supervisory training for the industry”23

Complessivamente non si può negare che l’economia generale del paese abbia

risentito in maniera positiva dell’apertura di questo settore di mercato, tanto che tra la

metà degli anni ’90 e i primi anni ’00 si è riscontrata una crescita economica abbastanza

costante al tasso del 3,5%. Tuttavia, ancora adesso il turismo rimane un mercato dove a

guadagnare in maniera consistente rimangono fondamentalmente solo gli stranieri, che

possiedono gli alberghi. Daniel Dickinson, giornalista della BBC, in un articolo del

2004 fornisce un lucido spaccato sull’argomento attraverso alcune interviste. Huda

Juma Nassor, una commerciante zanzibari di magliette per bambini, sostiene

apertamente che a Zanzibar sono solo gli stranieri a beneficiare del turismo:

“There are a lot of Italians who own hotels in Zanzibar. But we Zanzibaris live in

poverty... we don't have enough money to own or manage good hotels. […] So

23 Honey, 2008:266

20

Page 23: Navigare verso Zanzibar

that's why I'm trying to do my business selling from home, but I never see any

tourists”24

Sulla stessa scia si pone l’intervento di Janet Mawiyoo, all’epoca direttrice

dell’area Tanzania per l’organizzazione non-profit ActioanAid:

"We are aware of a lot of people who work in the tourist industry who are not

necessarily from the island. As to how many local Zanzibaris are really benefiting I

think that is really questionable, ordinary Zanzibaris are really not being part of that

scene".25

Queste testimonianze sembrano parlarci più di una “enclave di ricchezza e

sviluppo” (Dickinson, 2004) che non di un aiuto concreto ed efficace da parte del

sistema turistico al raggiungimento dell’obiettivo del governo di ridurre la povertà.

Sempre dallo stesso scritto di Daniel Dickinson si evince, al contrario, come un

maggior ottimismo trapeli dalle parole di Vuai Mohammed, segretario esecutivo della

Commissione del Turismo di Zanzibar, secondo il quale i benefici che la popolazione ha

ottenuto dal settore turistico sarebbero considerevoli, riferendosi in particolar modo, da

un lato, alla possibilità dei contadini di vendere i loro prodotti ad un prezzo più elevato,

dall’altro al fatto che gli investitori spesso si preoccupano che i progetti di sviluppo,

come la costruzione di scuole o di cliniche mediche, vengano attivati e realizzati

all’interno delle aree rurali e dei villaggi.

In conclusione Dickinson sostiene che il turismo a Zanzibar è un settore piuttosto

recente e quindi ci sono ancora tutte le potenzialità affinché molti Zanzibari possano

essere direttamente coinvolti in questo mercato, tuttavia finché il salario medio

dell’isola sarà al di sotto di un dollaro al giorno, difficilmente tali potenzialità potranno

concretizzarsi e portare reali benefici alla popolazione locale. Dunque aver puntato sul

turismo e soprattutto sugli investimenti stranieri diretti sembra non aver portato un

radicale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione locale, che

sostanzialmente vive tutt’ora in stato di povertà:

“Tourism is Zanzibar's newest and biggest industry. But most Zanzibaris have yet

to benefit from it; the average wage is less than $1 per day” 26

24 Dickinson, 200425 Ibidem26 Regions and territories: Zanzibar, BBC News, 2010 (http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/country_profiles/3850393.stm)

21

Page 24: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Lo sviluppo del turismo, tuttavia, ha portato altri cambiamenti nella vita degli

Zanzibari, di cui alcuni già accennati. Tra gli effetti negativi che l’espansione del settore

ha portato con sé c’è un’importante degrado dell’ambiente. Infatti a Zanzibar il turismo

è stato in buona parte costruito “on the marketing of nature and natural resources,

which have become its central elements” (Urry 1995 in Gössling 2002:543). Aver fatto

leva sulle sue bellezze naturali per attirare turisti, ha portato l’isola a diventare ciò che

più si avvicina all’immagine di paradiso tropicale. Nell’immaginario dei vacanzieri,

infatti, Zanzibar è un posto ricco di risorse, dove c’è tutto ciò di cui si può aver bisogno:

“it is easy to understand why people live here. It’s fertile, and almost everybody has

a house […] Here, they always have something to eat if they want”.27

La situazione ambientale dell’isola e la sua percezione da parte degli Zanzibari,

invece, è tutt’altro che paradisiaca. La maggior parte degli ecosistemi vengono

oltremodo sfruttati, subendo così un pesante degrado mentre la popolazione è in

continua crescita (Gössling, 2002, 544).

L’acutizzarsi di questa situazione, in parte, è dovuta proprio al turismo: da un lato

gli eccessivi consumi di risorse che gli alberghi mettono in atto per garantire ai propri

clienti uno stile di vita degno degli ‘standard occidentali’(Gössling, 2001), dall’altro il

fenomeno immigratorio innescato proprio dallo sviluppo del turismo, porta al drastico

aumento della popolazione e produce un impatto considerevole sulla cultura,

sull’economia e sull’ambiente naturale dell’isola (Gössling e Shulz, 2005).

L’eccessivo uso dell’acqua, soprattutto da parte degli hotel e in minor misura dalle

guest house, sull’isola di Zanzibar, e in particolar modo sulla sua costa orientale, quella

dove si concentrano maggiormente le costruzioni alberghiere, ha creato problemi di

ordine idrologico come l’abbassamento del livello e della qualità dell’acqua sotterranea,

la subsidenza28 del terreno e l’intrusione di acqua salmastra. Secondo lo studio condotto

da Gössling nel 1998 (Gössling, 2001) il maggior numero di turisti soggiorna sull’isola

nei mesi di luglio e agosto, cioè quando Zanzibar attraversa la sua fase dell’anno più

secca. Dalla sua analisi emerge, da un lato, come il turismo (e in particolare alberghi e

resort) facciano un uso decisamente elevato di acqua, di cui solo il 20% viene utilizzata 27 S. Gössling, 2002, 54428 “Per subsidenza si intende ogni movimento di abbassamento verticale della superficie terrestre, indipendentemente dalla

causa che lo ha prodotto, dallo sviluppo areale e dall'evoluzione temporale del fenomeno, dalla velocità di spostamento del terreno e dalle alterazioni ambientali che ne conseguono”. (Istituto Superiore per la Protezione e la ricerca Ambientale - www.apat.gov.it/).

22

Page 25: Navigare verso Zanzibar

direttamente dai loro clienti, mentre ben il 50% è impiegata per l’irrigazione dei

giardini. Dall’altro lato l’autore evidenzia come il turismo e il conseguente sfruttamento

eccessivo delle risorse sia complice di altri fenomeni che interessano l’ambiente. La

costante crescita di richieste di materiali da costruzione ha portato a un’importante

deforestazione di mangrovie, che ha generato a sua volta l’aumento dei depositi di

sedimenti sulla barriera corallina, contribuendo al degrado di tale ecosistema, messo a

repentaglio dagli stessi turisti anche in modo più diretto, attraverso la raccolta, la rottura

e l’acquisto di pezzi di barriera. Anche la crescente richiesta di frutti di mare da parte

dei vacanzieri provoca chiari sintomi di sovrasfruttamento dell’ecosistema corallino.

Tuttavia non sono solo i turisti e le loro attività ad avere un impatto degradante

sull’ambiente naturale. Come già accennato precedentemente la grande crescita del

settore ha creato un importante flusso di persone che, dal continente, hanno raggiunto

l’isola in cerca di lavoro, contribuendo ad alterare l’ambiente costiero attraverso la

costruzione di case e la conduzione di modelli insostenibili di pesca e smaltimento di

rifiuti (Gössling e Shulz, 2005,45). I primi flussi migratori in ingresso, a dire il vero

piuttosto contenuti, si registrano nel decennio che seguì il Tourism Investment Act, del

1986, e si trattò per lo più di persone che avevano già contatti con qualche zanzibari. Il

numero dei migranti iniziò a salire in modo consistente verso la metà degli anni ’90,

andando di pari passo con l’aumento del numero dei turisti.

L’indagine di Gössling e Shulz, che cercano di analizzare il fenomeno della

migrazione legata allo sviluppo del turismo tentando di tenere in considerazione la

distinzione tra un Settore Turistico Informale (ITS) e quello Formale (FTS), mostra

come, all’epoca della ricerca il turismo avesse arriso molto più agli immigrati piuttosto

che alla popolazione locale. Nel settore informale, su 64 commercianti intervistati, ben

50 non erano isolani, di questi la maggior parte vendeva souvenir, mentre i locali si

concentravano maggiormente nel piccolo commercio di oggetti appartenenti alla

‘cultura tradizionale’, come i kangas e i pareos. Nel settore formale, d’altro canto, gli

albergatori preferivano ingaggiare gli immigrati poiché spesso avevano un grado di

istruzione adeguato e una formazione più specifica rispetto alla media degli Zanzibari

(questo fin quando il governo non impedì l’assunzione, all’interno del Settore Formale,

di personale che non fosse originario dell’isola). Inoltre, tra i lavori che Gössling e

Shulz rilevavano come quasi totale appannaggio delle donne immigrate era la

23

Page 26: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

prostituzione: infatti arrivavano dal continente, e maggiormente dalla Tanzania,

numerose ragazze con il preciso scopo di sfruttare lo sviluppo del turismo per fornire

prestazioni sessuali a pagamento.

Questa generale e sostanziale disparità si traduce anche in una differenza piuttosto

netta di entrate economiche: la popolazione locale aveva accesso a redditi notevolmente

più bassi, che solo nel migliore dei casi si aggiravano intorno ai 50-60 US$ giornalieri,

mentre una buona percentuale degli immigrati superava abbondantemente tale soglia.

Gli abbondanti flussi migratori, bisogna appuntare, hanno provocato non poche

conseguenze. Il contatto ripetuto con stili di vita molto diversi, sia quelli dei migranti

che dei turisti, votati al piacere, al consumo e all’individualismo, si pone in netto

contrasto con il modello etico degli Zanzibari, dedito al lavoro e alla religione, di chiara

matrice islamica. Non è raro, inoltre, che i migranti siano tacciati di rubare il lavoro ai

locali, altrettanto frequenti sono i casi di rapina, furto e stupro a danni di turisti, di cui si

rendono responsabili individui della popolazione locale.

Lo sviluppo del turismo a Zanzibar, come sarà ormai evidente da questa breve

panoramica, è stato e continua a essere un processo complesso, in cui giocano il loro

ruolo diversi attori, portatori di interessi diversi.

Promosso istituzionalmente a partire dalla metà degli anni ’80, è stato terreno

fertile per investimenti stranieri, che hanno radicalmente trasformato i connotati delle

coste dell’isola costruendo decine di alberghi. Puntando sul turismo per cercare di

alimentare l’economia e quindi, stando ai documenti ufficiali, di creare le condizioni

affinché la povertà fosse sradicata, il governo promosse soprattutto la valorizzazione

dell’ambiente naturale come principale attrattiva per i vacanzieri. Tuttavia il ‘paradiso

tropicale’ tanto celebrato è continuamente messo a repentaglio proprio da alcuni

processi e fenomeni legati, in maniera più o meno stretta, al turismo. Per contro anche le

condizioni economiche della popolazione non sembrano essere radicalmente mutate,

anzi, una buona parte dei locali vive tuttora sotto la soglia di povertà. Tutto ciò sembra

contrastare con l’immagine paradisiaca dell’isola che viene proposta, fatta di palme,

spiagge bianche e abbondanza di risorse, o per lo meno l’impressione è che ci si stia

nascondendo dietro.

A questo punto, quindi, trovo opportuno chiedersi: in che modo tale

rappresentazione viene prodotta? In che ambito? Da chi? Chi ne fa uso? Ma soprattutto,

24

Page 27: Navigare verso Zanzibar

qual è l’immagine di Zanzibar che i turisti a loro volta acquisiscono? Come la

metabolizzano e cosa restituiscono? In che modo queste due forme di rappresentazione

possono trovare spazi di influenza reciproca?

Nelle prossime pagine, quindi, cercherò di far luce su tali interrogativi, andando

ad analizzare nello specifico in che modo, attraverso quali azioni e quali politiche

l’attività promotrice del governo di Zanzibar abbia permesso la costruzione di

un’immagine, prodotta ad hoc, al fine di attirare visitatori sul suo territorio e

trasformare l’isola in un’importante meta turistica.

25

Page 28: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

1.3. Zanzibar: costruzione di una meta turistica

Come ho cercato di mettere in luce nelle pagine precedenti, il turismo a Zanzibar

non si è sviluppato per caso. La chiara e decisa volontà del governo, che a metà degli

anni ’80 decise di ‘aprire l’isola al Mondo’ e di puntare sul turismo per dare nuova linfa

all’economia del paese e sradicare la povertà, infatti, portò a una crescita repentina del

settore. La politica di agevolazioni per gli investimenti esteri fu l’elemento decisivo e

questi, che non tardarono, si concentrarono soprattutto sulla costruzione di hotel. Nello

stesso tempo, per potersi lanciare sul mercato internazionale, era necessario che

Zanzibar diventasse una meta turistica, un posto appetibile da chi sta per decidere di

compiere una vacanza. Questo poteva accadere a patto di costruire e far arrivare ai

potenziali turisti un’immagine, una rappresentazione di ciò che l’isola poteva offrire

loro. Seguendo John Urry, il turismo si può definire come

“un consumo visivo ed ha luogo quando uno sguardo turistico si posa su un

oggetto [...][che] è in grado di attirare degli sguardi turistici solo nel caso in cui gli

venga attribuita una qualche qualità turistica”. 29

Il modello proposto da MacCannell, d’altra parte, spiega come l’attrazione

turistica deriva da un sistema di relazioni fra un elemento umano (turista), un elemento

da osservare (sight) e un elemento informativo (marker). L’offerta turistica di un luogo,

dunque, viene fortemente influenzata dall’elemento informativo, che trasforma il sight

in attrazione turistica (Savoja, 2005:200).

Nel caso di Zanzibar, che a metà anni ’80 non poteva contare su una tradizione di

visite turistiche, avendo adottato nei due decenni precedenti una politica di relativo

isolamento, l’ambizione di diventare meta turistica doveva passare per quelle

informazioni che Leiper chiama detached markers30. In poche parole Zanzibar poteva

diventare una meta appetibile per i turisti solo attraverso la diffusione di un

immaginario costruito ‘a distanza’. I potenziali visitatori dovevano essere spronati a

scegliere l’isola come meta delle loro vacanze grazie a quelle immagini e

rappresentazioni costruite ad hoc che li potevano raggiungere e informare prima di

29 Savoja, 2005:19930 I detached marker fanno riferimento a quella serie di informazioni distanti dal sight a cui si riferiscono. Possono essere

distinti ulteriormente in gene rating marker (informazioni che permettono la formazione dell’immagine di un posto prima di averlo visitato) e transit marker (che raggiungono il turista mentre sta raggiungendo la meta) (Savoja, 2005:201)

26

Page 29: Navigare verso Zanzibar

averla visitata: in poche parole era necessario fare una forte promozione che esaltasse

quegli elementi capaci di render Zanzibar un luogo unico e attraente agli occhi di chi

non l’ha mai vista.

Il governo sembra aver avuto ben chiaro questo concetto, tanto che sostenne

l’importanza di creare una rappresentazione stereotipata del proprio territorio e della

propria cultura che fosse:

“the expression of all objective knowledge, impressions, prejudices, imaginations

and emotional thoughts with which a person or group judges a particular object or

place” 31.

Partendo dall’idea che una destinazione turistica spesso viene scelta proprio in

accordo con l’immagine che ne viene promossa, il Revolutionary Government of

Zanzibar incentivò la costruzione di un’immagine turistica di una Zanzibar originale,

sicura e attraente. Le strategie da utilizzare per compiere questa operazione furono

individuate sostanzialmente in sette punti:

“Making the best use of the particular resources and peculiarities of the region

or site.

Providing opportunities for contact with local people, their crafts and custom.

Introducing specific features to create “atmosphere” and identity.

Upgrading the quality of standards of the tourist products in special and related

services and facilities in general.

Mobilizing and sensitizing the people of Zanzibar to realize the importance of

tourism, and to contribute to human resources development.

Improving the overall cleanliness and reduce pollution in Zanzibar.

Conserving the ecological systems and fauna of the natural attraction” 32

Un marketing attivo ed efficacie, dunque, permise a Zanzibar di sviluppare

rapidamente una forte attrattiva turistica e parte del merito fu dovuto dall’attività

promozionale svolta dai nuovi costruttori di alberghi, che dovevano far fruttare il loro

investimento.

Così Zanzibar in breve tempo e come poche altre località, venne associata

all’immagine di ‘paradiso tropicale’:

31 Policystatement.pdf (§ 4.9)32 ibidem

27

Page 30: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

“white beaches are framed by palm trees and shaped by the blue waters of the

Indian Ocean, colorful coral reef gardens attract divers from all around the world,

and clove, cinnamon, and chestnut plantations have made it famous as the “spice

island”. Its Islamic culture and its mixture of ethnic groups, a result of the

mercantile history of the island, as well as a part of its capital, the Stone Town

(a UNESCO world heritage site) make the island a unique place even from a

cultural perspective. Zanzibar is marketed by tourism as a tropical paradise, a

happier, “better” place characterized by individual freedom, peace, abundance of

food, and free sex”.33

A partire dal 1992 il governo di Zanzibar iniziò a gestire la ‘macchina’ del

turismo in modo più organizzato e pianificato: furono infatti la Zanzibar Investment

Promotion Agency (di cui uno dei principali settori di intervento era appunto il turismo)

e soprattutto la Commission for Tourism, che aveva precisamente lo scopo di

promuovere Zanzibar come meta turistica.

Testata del sito www.zanzibar.net

Viste le caratteristiche del territorio, uno dei primi settori su cui si puntò fu

l’ecoturismo: già nel 1994 si tenne sull’isola l’International Workshop on Ecotourism

and Environmental Conservation. L’intento di questa conferenza fu principalmente

quello di passare in rassegna alcune esperienze di ecoturismo di altri paesi, fornire ai

funzionari governativi e ai tour operator un’introduzione pratica all’ecoturismo e

discutere i piani per stabilire le aree di conservazione naturale e per esaminare i benefici

della popolazione locale coinvolta nel turismo. La conferenza fu molto importante

anche perché gettò le basi per un piano di sviluppo turistico futuro, incentrato 33 Gössling, 2002:540

28

Page 31: Navigare verso Zanzibar

principalmente su considerazioni di ordine sociale e ambientale (Honey, 1999 cit. in

Gössling, 2003:183).

Ciò che emerse da questo incontro internazionale, in linea teorica e mai

ufficializzata, fu di puntare a un turismo dai volumi contenuti, di alta classe, sensibile a

questioni culturali e ambientali. Tuttavia questi propositi, come accennato, rimasero

soltanto delle indicazioni di massima e non vi furono mai alcune direttive governative

che obbligassero gli alberghi a selezionare i turisti o a limitarne il volume, né fu mai

formalizzata una valutazione appropriata circa l’impatto ambientale del turismo in un

ecosistema fragile come quello di Zanzibar. Ancora nel 2002 le misure di tutela

ambientale per gli hotel erano assolutamente discrezionali (ibidem).

La promozione e gli investimenti di valorizzazione dell’isola iniziarono a fruttare

anche alcuni importanti riconoscimenti: nel 2000, infatti, Stone Town34 fu dichiarata

patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO, che la identificò come uno dei più

importanti centri commerciali del XIX secolo della costa Swahili (Honey, 2008:256).

L’attenzione internazionale sulla capitale iniziò ad aumentare da quando il

governo decise di ‘aprire l’isola al mondo’ e la città fu una delle due zone su cui

maggiormente si concentrarono gli investimenti turistici (l’altra, come già detto, fu la

costa orientale). Seguendo un interessante saggio di Rafael Marks (1996), in cui l’autore

mette in luce le criticità di una politica urbanistica tutta protesa alla privatizzazione e al

turismo, si può intuire, da un lato, quali siano stati i meccanismi che hanno fatto fiorire

questo settore anche a Stone Town, dall’altro, in che modo la città così diversa dai

villaggi della costa orientale, possa inserirsi in una rappresentazione generale dell’isola.

Le descrizioni di Zanzibar sulle brochures turistiche, che ormai si trovano in tutto

il mondo, inducono i visitatori a immaginare un’isola su cui si possono trovare palme e

spiagge deserte, una popolazione esotica dalla cultura intatta e la misteriosa e storica

Stone Town (Ivi:266). La città di pietra, dunque, a differenza dei villaggi della costa

orientale non fu al centro di una promozione del suo ambiente naturale: i suoi elementi

di attrazione, com’è facile intuire, sono legati allo spazio urbano e ai segni che esso

presenta del fiorente passato di importante snodo commerciale dell’Oceano Indiano.

“with its narrow winding streets, old stone buildings, delicately carved balconies

and exotic associations” 35

34 Stone Town è la parte più antica di Zanzibar Town, la capitale dell’isola.35 (Marks, 1996:265).

29

Page 32: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Dall’inizio del XX secolo furono prodotti diversi piani urbanistici generali per la

riqualificazione e conservazione di edifici storici. Il primo fu affrontato nel 1919 e da

allora, attraverso i vari governi che si succedettero, ne furono presentati almeno sei (fino

alla metà degli ani ’90), tutti realizzati secondo una logica top-down, a partire dunque da

competenze e finanziamenti stranieri e con una scarsa partecipazione pubblica. Tutti

questi piani si caratterizzavano per una fede assoluta nel fatto che la tecnologia potesse

risolvere le complesse situazioni socio-economiche, politiche e culturali. Da queste

linee non si discosta affatto quello promosso nel 1983, che sosteneva la privatizzazione

degli edifici storici e un programma di conservazione legato al turismo. La politica fu

quella di vendere numerose costruzioni di proprietà del governo, stimolando al tempo

stesso la loro restaurazione da parte dei nuovi acquirenti attraverso il finanziamento per

opere di riqualificazione delle aree urbane. La speranza era proprio quella di incentivare

il ripristino di edifici storici, a fronte del fatto che questi potessero diventare una forte

attrattiva per il turismo, che proprio a metà degli anni ’80 iniziava a far registrare un

primo fermento. Questa linea politica, nella sua attuazione, produsse di fatto molti più

risultati per quel che riguarda la privatizzazione e la promozione del turismo, piuttosto

che la riqualificazione urbana (Marks 1996:268-9). Anche il piano disegnato tra il 1992

e il 1994 era fortemente centrato a incoraggiare lo sviluppo di infrastrutture per il settore

ricettivo-turistico.

Questo scenario complessivo ha fatto sì che dai primi anni’80 ai primi anni ’90 la

quantità di edifici a Stone Town aumentasse del 10%, mentre oltre un terzo delle

costruzioni ‘tradizionali’ fossero fortemente alterate. Questi dati testimoniano il fatto

che la maggior parte degli investitori, sia locali che stranieri, puntarono decisamente sul

turismo, mentre una scarsa minoranza si impegnò nella riabilitazione delle loro

strutture, nonostante gli incentivi e le prospettive di guadagno da una vendita

successiva.

Lo sviluppo del turismo, in ogni caso, ha portato alla necessità di una

conservazione del tessuto urbano che fosse ‘tourist friendly’ (Marks, 1996: 271), anche

se non tutte le aree della città hanno lo stesso trattamento: le zone ricche o quelle

maggiormente visitate hanno accesso a servizi e manutenzione che non vengono

riservati a quartieri poco appetibili ai turisti.

30

Page 33: Navigare verso Zanzibar

Scorci di Stone Town

fonte: www.tripadvisor.it

Dunque il fascino di Stone Town, insieme alla costa orientale con le sue bianche

spiagge, la barriera corallina, le aree marine protette e alla nascita di alcuni eventi

culturali di livello internazionale36 continuano ad attrarre un numero sempre crescente di

turisti. I circa 20.000 turisti internazionali che visitarono Zanzibar nel 1985 sono

cresciuti fino a superare quota 125.000 nel 2005, facendo registrare un andamento

negativo solo a seguito di episodi internazionali che hanno minato la sicurezza del

viaggiatore37 (Honey, 2008:265; Steck, Wood, Bishop, 2010:2). Il picco di arrivi

sull’isola, raggiunto nel 2007 con la quota di circa 145.000, ha visto di recente una

leggera flessione a causa della crisi economica internazionale, attestando le visite

intorno alle 135.000 nel 200938.

L’obiettivo del governo di trasformare Zanzibar in un’importante meta turistica

sembra ormai aver trovato il suo percorso di realizzazione.

Fino a qui ho cercato di far emergere in che modo ciò è stato possibile e quali

implicazioni (sociali, ambientali, economiche, ecc.) sono scaturite da questo processo,

concentrandomi più sul polo zanzibarino del contesto turistico. Proseguendo sarà

interessante andare a capire, attraverso una disamina degli strumenti che le teorie

antropologiche hanno costruito negli anni, come i turisti si approcciano a questo

36 Tra i principali eventi che si svolgono sull’isola possiamo annoverare: lo Zanzibar International Film Festival nella prima metà di luglio; il Sauti Za Busara Swahili Music & Cultural Festival durante la prima metà di febbraio; lo Zanzibar Cultural Festival verso la fine di luglio; le due celebrazioni religiose Eid ul Hajj (nel mese Dhu l-Hijja, ovvero quando i mussulmani devono compiere il pellegrinaggio alla Mecca) e Eid ul Fitr (alla fine del mese di Ramadan), il Mwaka Kogwa, di origine Zoroastriana, che si tiene verso la metà di luglio a Makunduchi, un villaggio nella parte Sud di Zanzibar; infine l’International Triathlon & Marathon, organizzato tutti gli anni all’inizio di novembre. (http://www.zanzibar.net/ music_culture/festivals_events).

37 Il genocidio del Rwanda nel 1994, gli attentati al World Trade Center nel 2001 e la Guerra del Golfo nel 2003.38 I dati derivano dagli studi della Zanzibar Association of Tourism Investors condivisi durante la la tavola rotonda

“Responsible Tourism Partnerships”, tenutasi ad Arusha il 3 giugno 2010 (http://www.sustainabletourismnetwork.co.za/ wp-content/uploads/2010/10/PPT_ZATI.pdf)

31

Page 34: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

contesto, attraverso quali canali scelgono Zanzibar e per mezzo di quali ne danno una

loro rappresentazione. Mi propongo, dunque, di capire se e in che modo, attraverso la

condivisione di immagini, raffigurazioni e narrazioni, i turisti costruiscano una loro

identità specifica, un senso di comunità immaginata, partendo dall’esperienza comune

dell’essere stati sull’isola di Zanzibar.

32

Page 35: Navigare verso Zanzibar

2. TEORIE - Uno sguardo antropologico sul turismo

2.1. Il turismo

Il turismo oggi è un fenomeno planetario, non è necessaria una tesi in

antropologia per dimostrarlo. Diversamente da quanto accadeva fino a circa un secolo

fa, non riguarda più pochi esponenti dell’alta borghesia di alcune società ricche

‘occidentali’, soprattutto europee Questa trasformazione, questa ‘esplosione’ ha come

origine una complessa serie di processi di diversa natura, innescatisi a partire dalla metà

del XIX secolo ed evolutisi fino ai giorni nostri: la diffusione del sistema capitalistico e

il conseguente inserimento del turismo nella sfera dei consumi, la trasformazione del

tempo libero derivante dall’economia post-fordista, l’interesse da parte dello stato circa

l’utilizzo del tempo libero dei propri cittadini; ma anche il processo di decolonizzazione

che ha permesso a molti dei paesi considerati in via di sviluppo di diventare ambite

mete turistiche, lo sviluppo dell’informazione e dell’informatizzazione globale e della

pubblicità mediatica che hanno favorito la reificazione delle attrazioni turistiche, ecc.39

Non è mia intenzione, in questa sede, ripercorrere e analizzare la storia di tale fenomeno

e non credo sia rilevante, per il momento, indagare più nello specifico i processi che

l’hanno generato. Ciò che invece mi propongo, nelle prossime righe, è stimolare, se ce

ne fosse bisogno, una riflessione sulla complessità del turismo postmoderno 40 e su ciò

che comporta, nel concreto, il suo riprodursi per le persone e le società che ne sono

partecipi. Nel capitolo precedente ho provato a tracciare un percorso che, tenendo

insieme l’ambito storico, politico e sociale, permettesse di intuire quali fossero gli effetti

di una tale complessità in un contesto peculiare come quello di Zanzibar.

Il turismo investe e intrappola nelle sue maglie tanto lo stante quanto l’andante,

crea dinamiche che, in modi, tempi e spazi propri, influiscono in modo significativo

39 Per un’analisi più dettagliata circa i processi di trasformazione che hanno riguardato il turismo nel XIX e XX secolo si veda Gemini, 2008 e Löfgren, 2001

40 Per un approfondimento sul concetto di turismo postmoderno si veda Minca, 1996

33

Page 36: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

tanto nella vita degli host quanto in quella dei guest, sia a livello strettamente pratico

che sul piano simbolico (Simonicca, 2004; Barberani, 2006; Aime, 2005).

Viaggiare, lasciare la propria dimora, abbandonare la propria routine quotidiana

per un fine più o meno futile (relax, vedere cose da vedere, ‘staccare la spina’, ecc.), ma

anche ricevere visite, essere continuamente o periodicamente a contatto con persone

sconosciute sono situazioni che innescano meccanismi riguardanti diverse sfere delle

attività e delle rappresentazioni, sia individuali che sociali. Essere turista o essere

ospitante mette in moto tutta una serie di attività, di rituali, di aspettative,

rappresentazioni, immaginari che in qualche modo si incontrano nel momento della

vacanza, tuttavia si generano e producono effetti sia prima che dopo di essa. Il turista,

nel rientrare nella propria quotidianità, nella sua domesticità, riporterà con sé oggetti,

informazioni, rappresentazioni, certezze, dubbi, modi di vedere il mondo che

inevitabilmente resteranno impregnati dell’esperienza vissuta durante il viaggio, quindi

dell’aver trascorso un certo periodo, in determinate condizioni, in un contesto altro

rispetto a quello dove abitualmente vive, a contatto con persone differenti da quelle che

solitamente si incontrano nella routine della propria vita quotidiana. L’esperienza

turistica entrerà a far parte del bagaglio culturale dell’individuo, grazie anche a oggetti e

riferimenti che andranno a costruire il ricordo dell’esperienza stessa.

Chi invece vive o lavora in un contesto turistico in un certo senso si trova sempre

in bilico tra un continuo incontro con l’alterità e la propria quotidianità. Goffman

(1969), parlando della vita quotidiana degli individui, attraverso una metafora ‘teatrale’

sottolinea come questa si svolga su due piani distinti: una ribalta (front region), dove

l’attore mette in scena il proprio io sociale, e un retroscena (back region), dove viene

protetta la propria autenticità, la propria intimità culturale. MacCannel prima (1973) e

Boissevain poi (1996) riprenderanno queste categorie per spiegare la duplice

dimensione della vita sociale degli host di un contesto turistico, fatta di attività e di

investimenti simbolici diversi. Secondo i due antropologi la front region vedrebbe la

messa in scena di attività fisiche e rappresentazioni sociali adeguate a un contesto di

incontro con il turista, mentre nella back region le azioni e gli investimenti simbolici

giocati dagli individui non sarebbero influenzati dalla presenza dello straniero e

resterebbero, in un certo senso, più autentici.

34

Page 37: Navigare verso Zanzibar

Questa separazione, piuttosto netta, è stata ripresa e sostenuta da alcuni studi

etnografici, che si sono concentrati su alcune dinamiche legate al processo turistico e

alla riproduzione sociale, mettendo in evidenza come la turistificazione di determinate

località provochi un mutamento dei rapporti tra front region e back region. In

particolare Greenwood (1978) e Buck (1978), che studiarono rispettivamente la festività

Alarde della città basca di Fuenterrabía e la comunità Amish della Pensylvania, notarono

come il turismo e la sua dirompente forza economico-commerciale produca

necessariamente delle trasformazioni anche all’interno delle sfere più ‘intime’ delle

comunità locali su cui si essa ‘abbatte’. I due autori, tuttavia giungono a una

conclusione differente: mentre Greenwood sottolinea come il turismo determini una

distruzione di quegli elementi cardine su cui si riproducono i valori sociali (in questo

caso la festa e ciò che significava per la popolazione), Buck invece sostiene che la

dirompenza del turismo produca una forza centripeta che aumenta ancor più la

separazione tra front e back region, rafforzando l’identità culturale dei residenti e quindi

il rapporto fra immagine auto attribuita ed eteroattribuita.

Questi due modelli, divenuti famosi coi nomi di Alarde e Amish, danno una

interpretazione delle dinamiche che interessano le relazioni tra front e back region,

considerando questi due piani come separati in modo piuttosto netto. Chi invece, in un

certo senso, supera questa contrapposizione forte è Picard (1992). Studiando la

turistificazione di Bali, l’autore giunge alla conclusione che lo sguardo dei visitatori da

vita una dinamica di innovazione all’interno della cultura locale, andando a ridefinire

quei confini che ogni volta il turismo tende a oltrepassare, mantenendo perciò viva una

sfera sacrale non commercializzabile, che però si trasforma e da luogo a manifestazioni

culturali nuove.

Personalmente mi trovo più vicino al modello Bali e credo sia più plausibile

pensare che una comunità che vive, più o meno costantemente, a contatto con altre

persone dai presupposti culturali differenti dai suoi, si trovi inevitabilmente immersa in

un continuo processo di ridefinizione e consolidamento di pratiche e simboli. La

separazione tra ciò che appartiene al retroscena e ciò che si trova sulla ribalta avrà un

carattere fluido: il privato e il pubblico, l’interno e l’esterno, l’autentico e il costruito ad

hoc, tenderanno inevitabilmente a confondersi, a mescolarsi, a contagiarsi in quella che

è la routine quotidiana, mentre l’intimità culturale sarà costantemente ridefinita.

35

Page 38: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

2.2. Principî di antropologia del turismo

Nel primo capitolo ho cercato di fare una panoramica su alcuni aspetti critici di

cambiamento all’interno del peculiare contesto zanzibarino, certamente sottolineando

maggiormente alcuni aspetti che mi interessavano più di altri. In particolare ho cercato

di tracciare le traiettorie attraverso cui Zanzibar si è trasformata in meta turistica.

Questo, come abbiamo visto, ha implicato l’intervento di una molteplicità di forze

sociali, istituzionali, politiche ed economiche che hanno radicalmente mutato il profilo

dell’isola, rendendola una meta appetibile sul mercato del turismo internazionale.

All’interno del processo turistico, dunque, risultano passaggi fondamentali tanto

la presenza di una società in grado di generare viaggiatori per diletto, quanto contesti in

grado di creare, da un lato, le condizioni sociali e infrastrutturali per l’accoglienza,

dall’altro di essere un’attrattiva, di rappresentarsi in modo tale da poter interagire in

modo efficace con i meccanismi psico-sociali che regolano il complesso ambito delle

motivazioni al viaggio.

Presa questa posizione come valida, ritengo necessario, nella prima parte del

capitolo, provare a chiarire alcuni concetti legati proprio alle questioni appena

evidenziate, ovvero lo statuto del turista (di massa o culturale) e del turismo (processo

transazionale o esperienziale) e le motivazioni al viaggio, in quanto elementi chiave per

poter condurre una ricerca antropologica sull’immaginario turistico.

Senza ripercorrere in questa sede tutta la storia dell’antropologia del turismo,

nonostante si tratti di una disciplina relativamente recente41, nelle prossime pagine

cercherò di fornire un quadro organico di quelle che sono state le principali posizioni

teoriche formulate intorno agli argomenti suddetti, per meglio delineare le categorie che

hanno permesso l’analisi della mia ricerca.

41 Il primo saggio considerato di antropologia del turismo, dal titolo Tourism, tradition and acculturation. Weekendismo in a mexican village, fu pubblicato da Nuñez, nel 1963, dopodiché non ci fu un interesse strutturato sull’argomento per circa un decennio, quando furono organizzati un convegno a Mexico City (1974) e due simposi regionali sul turismo del Pacifico, a Honolulu nel 1975 e l’anno dopo all’università statunitense di Santa Cruz. Inoltre, poco tempo dopo, nel 1978, furono pubblicate due fondamentali opere collettanee: Hosts and guests: the anthropology of tourim (a cura di V. Smith) e Tourism. Passport to development? Perspectives on the social and cultural effects of tourism in developing countries (a cura di De Kadt).

36

Page 39: Navigare verso Zanzibar

Partendo dal presupposto che l’antropologia del turismo si propone di studiare

“l’incontro (encounter) che si produce nel rapporto di accoglienza tra ospite e ospitante

(guest / host) entro uno specifico spazio antropico e naturale (territorio)” 42, è necessario

sottolineare che i confini culturali risentono fortemente dell’azione svolta dalla mobilità,

dando luogo a un processo (anche conflittuale) di ridefinizione identitaria. Per

analizzare il turismo, dunque, non si può prescindere dal concetto di viaggio, non c’è

turismo senza spostamento, allontanamento dal proprio contesto quotidiano. Allo stesso

modo, però, è indispensabile indagare quali sono le caratteristiche strutturali di questo

viaggio, perché si decide di fare turismo, quali sono le condizioni che lo permettono.

La presenza del ‘tempo libero’ (leisure) nella vita dei viaggiatori è stata, fin dai

primi studi, la caratteristica identificata come necessaria alla possibilità di partire e

lasciare la propria quotidianità, le obbligazioni primarie (Dumazedier, 1962) che ogni

società impone agli individui che vivono al suo interno.

La connotazione del tempo libero e la sua implicazione nel processo turistico è

stato uno dei punti più caldi nel dibattito accademico, delineando due teorie

fondamentali che definivano il turismo come processo transazionale oppure come una

struttura d’esperienza.

Il primo filone, di cui Dannison Nash e Valene Smith sono stati due tra i più

autorevoli sostenitori, pone al centro dell’analisi il processo turistico, fenomeno il cui

nucleo generatore sta proprio nella possibilità storica del tempo libero e per cui si

producono incontri tra individui. È attraverso il tempo libero, dunque, che il turista

viaggia ed entra in rapporto con individui ‘altri’, in particolare con quelle persone che

operano nei siti per offrire servizi ai visitatori, che quindi non sono nella stessa

condizione di libertà dei primi. Come in parte emergerà anche dallo studio che ho

condotto sulle produzioni discorsive dei turisti a Zanzibar, le transazioni generate dagli

incontri tra visitatori e locali danno vita a un sistema di forze capace di ripercuotersi

tanto su culture e comunità locali, quanto nel sistema complessivo dei flussi economici

e sociali a livello globale.

Date le circostanze (opposizione di tempo lavorativo e tempo libero) e le forze in

gioco (flussi culturali, economici, politici, ecc.), Nash sostiene che l’antropologia del

turismo sarà proficua se si occuperà proprio della complessità di questo processo, che si

riproduce tramite le intersezioni storico-sociali di diverse realtà culturali. 42 Simonicca, 2004:35

37

Page 40: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Alla luce di queste considerazioni e riflettendo su quanto riportato nel primo

capitolo circa l’impatto che il turismo ha avuto sulla popolazione di Zanzibar, si riesce

ad avere una percezione abbastanza nitida del fatto che le due macro categorie di attori

coinvolte nel processo turistico, host e guest, vivono nello stesso posto ma in ‘tempi

differenti’, quindi con orientamenti radicalmente diversi, non solo a causa della

differente provenienza, ma soprattutto per una effettiva opposizione tra lavoro e

consumo di tempo libero. La popolazione locale si trova ad affrontare, all’interno di

quello che è il loro tempo della quotidianità, criticità e problemi innescati proprio dal

turismo, ma che da esso in quanto sistema (e spesso dai turisti stessi) sembrano essere

ignorati. Il tempo libero, infatti, è tempo per il relax, in cui si pensa prima di tutto a ‘non

pensare come se ci si trovasse in un tempo della quotidianità.

Il secondo filone teorico, sostenuto da autori come Nelson Graburn e Dean

MacCannel, ha posto il leisure non in netta opposizione al tempo lavorativo, costruendo

invece uno schema basato sul concetto di alternanza applicato alle coppie oppositive di

casa-lavoro / relax-viaggio, lavoro / non-lavoro, viaggio / non-viaggio. In quest’ottica

lavoro e viaggio sono due modi, complementari, dell’esistenza e si avvicendano

all’interno della vita dell’individuo come fanno il tempo sacro e il tempo ordinario, alla

stregua di un rituale. A mio parere, il punto di forza di questa corrente è proprio il voler

puntare sull’analogia tra viaggio e rito. Partendo dall’idea di Victor Turner (fondata

sulle teorie di Van Gennep per spiegare i riti di passaggio), secondo il quale l’esperienza

umana risponde a una struttura di sequenze di vita, il turismo dovrebbe essere letto

come una particolare esperienza di vita marcata da schemi di azione formalizzati

(Simonicca, 2004:9) in cui il tempo libero corrisponderebbe a quella fase, concepita da

Mauss per analizzare i riti di sacrificio, in cui si verificherebbero i processi di

separazione dall’ambito e dal tempo quotidiano e quelli del successivo rientro.

Ricapitolando, questa teoria ha il merito di concepire il turismo come una

performance, come un processo trasformativo in cui la produzione simbolica e

immaginifica è alla base di cambiamenti fondamentali sia nelle vite dei turisti che in

quelle dei locali. Chi parte per le vacanze, di fatto, entra in quello che può essere

considerato un ‘mondo sociale’, ovvero un contenitore privilegiato di esperienze che

38

Page 41: Navigare verso Zanzibar

portano a una trasformazione temporale (e temporanea) dell’identità dell’individuo e,

allo stesso tempo, uno spazio di relazioni rilevanti (Savoja, 2004:94).

Tenendo a mente ciò, più avanti cercherò di dimostrare proprio come questa

dimensione esperienziale e performativa sia strettamente collegata e in certa misura

dipendente della produzione e riproduzione dell’immaginario. In questo senso Zanzibar

funzionerà da caso paradigmatico per comprendere in che modo le narrazioni dei turisti

si inseriscano in un contesto processuale di cambiamento, di cui esse stesse sono sia

elementi determinati che combustibile del medesimo sistema. L’immaginario costruito e

le sue rappresentazioni inducono comportamenti, scelte, trasformazioni, percezioni di sé

e dell’altro. Di fatto esso risulta legato, a doppio filo, con il complesso ambito delle

motivazioni al viaggio.

Come accennato sopra, quello delle motivazioni è un punto centrale degli studi

sociali sul turismo. Il principale impulso a questa tematica, tuttavia, non arriva

dall’antropologia: un importante contributo allo studio delle dinamiche e dei processi

che regolano questi comportamenti, infatti, proviene dalla psicologia. Cercherò dunque,

senza addentrarmi troppo nello specifico, di evidenziare alcuni tra i più rilevanti assunti,

rispetto alle motivazioni al viaggio, emersi nell’arco degli studi di tale disciplina.

Premesso che le teorie elaborate dalla psicologia del turismo hanno la

caratteristica di concentrarsi più sulla definizione di tipologie ideali di turisti definiti

sulla base delle mete di vacanza prescelte (Barberani, 2006:188), bisogna comunque

riconoscere che alcuni di questi modelli, soprattutto quelli che si sviluppano all’interno

del campo psico-sociale, hanno il merito di riuscire a focalizzare alcuni aspetti che

ritengo cruciali nel comprendere il funzionamento delle motivazioni al viaggio.

Anzitutto credo sia utile sottolineare, nonostante il carattere rigido e dicotomico,

la distinzione tra motivazioni e intenzioni: queste ultime hanno più a che vedere con la

scelta del luogo specifico, mentre le prime si riferiscono a una categoria più ampia che

vuol rendere conto del perché l’uomo si mette in viaggio (e nella fattispecie all’interno

del processo turistico). Un’altra dicotomia simile, nonché tema ampiamente discusso

dalla psicologia del turismo, è la distinzione tra i fattori di spinta e fattori di attrazione.

I primi sarebbero spinte socio-psicologiche che spiegherebbero la voglia di vacanza,

mentre i secondi sembrerebbero legati a motivazioni di tipo culturale e avrebbero un

39

Page 42: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

ruolo più determinante nella scelta del luogo da visitare (Mereu, 2005). Entrambi i

modelli, certamente un po’ poco dinamici e difficilmente utilizzabili per condurre

un’analisi approfondita, credo abbiano il merito di evidenziare l’applicazione su diversi

piani della spinta motivazionale che induce gli individui a mettersi in viaggio.

Un punto di vista che mette bene in luce il legame tra motivazioni dell’individuo e

società di appartenenza è quello di Perussia, ripreso da Marina Mura (2008). Il turismo-

vacanza, infatti, sarebbe la scelta fatta dalla società post-industriale per rinnovarsi:

l’individuo avrebbe la percezione di essere in vacanza nel momento in cui si trova in un

contesto turistico identificato come altrove, quindi radicalmente diverso dai luoghi del

quotidiano. Sulla scia di presupposti psico-sociologici come questo, Laura Gemini

sostiene che il turismo

“prima di connotarsi come flusso dinamico caratterizzato dallo spostamento

territoriale, ambito privilegiato del consumo e dello svago, viene progressivamente a

caratterizzarsi come una particolare forma di articolazione del rapporto fra qui e

altrove, come processo legato all’interesse per il diverso, per il nuovo, per l’altrove” 43

Un altro approccio psicologico allo studio delle motivazioni turistiche, a mio

avviso molto interessante, è quello che prende le mosse dall’interazionismo simbolico di

Goffman, secondo cui le azioni dell’individuo, situate in un contesto sociale, sono

influenzate dalle relazioni con gli altri. Come spiega Mereu, infatti

“ogni azione è appresa attraverso simboli e significati creati ed impiegati dal tipo di

società nella quale l’individuo vive, che vengono trasmessi attraverso le interazioni.

Ogni comportamento, a seconda delle relazioni con gli altri, può essere spiegato in

modo differente. In base al sistema di simboli posseduti dal soggetto un

comportamento può essere interpretato e definito come comportamento turistico o

meno. Secondo le applicazioni di questa teoria, le immagini e i simboli posseduti

dall’individuo sono dunque fondamentali nell’interpretazione del contesto e nel

motivare la persona ad intraprendere o no un viaggio”. 44

Secondo questo approccio, dunque, le motivazioni sarebbero spinte che si

rimodellano in base alle relazioni e alla socializzazione degli individui, momenti in cui

43 Gemini, 2008:4144 Mereu, 2005

40

Page 43: Navigare verso Zanzibar

prendono corpo i processi di costruzione simbolica e immaginifica che veicolano le

motivazioni stesse.

In sintesi, la psicologia del turismo, oltre ad aver alimentato e focalizzato

l’interesse per lo studio delle motivazioni al viaggio, ha il merito di aver fornito un

punto di vista, certamente turistocentrico e meno attento all’encounter, che vede i turisti

pronti a partire secondo una serie complessa di spinte, le cui origini si trovano allo

stesso tempo nella dimensione individuale e sociale. Aver sottolineato l’aspetto psico-

sociale delle motivazioni al viaggio, permette di comprendere, da un lato, il loro stretto

legame con la produzione di immagini mentali e comportamenti ad esse collegate,

dall’altro il forte valore relazionale ed esperienziale che soggiace alla loro produzione e

trasformazione. Inoltre, come già accennato, la spinta al mettersi in viaggio può arrivare

su piani diversi, che vanno dal desiderio di visitare, di conoscere un particolare contesto

o vedere una determinata attrazione, a una serie di ‘bisogni umani’45 (di fuga, di relax,

di nuove esperienze, ecc.).

Sul versante socio-antropologico, lo studio delle motivazioni al viaggio si è basato

fondamentalmente sulla separazione durkheimiana di sacro e profano. I principali

approcci sono gli stessi delineati poche pagine sopra, ovvero la teoria che identifica il

turismo come forma di leisure e quella che lo considera una struttura esperienziale.

Il primo punto di vista, che in realtà ha molti agganci con gli approcci psico-

sociali, individua proprio nel leisure la principale spinta al mettersi in viaggio. Un

leisure, però, che in questo caso non è tanto organizzazione sociale di tempo libero e

tempo lavorativo, quanto più un movente psicologico d’azione. Le diverse posizioni

all’interno di questa teoria sostengono: la necessità di identificare quali fattori

permettono agli individui di classificare determinate esperienze come leisure (approccio

definizionale), l’equiparazione del leisure alla soddisfazione ottenuta da un impegno

ricreativo (approccio della ‘soddisfazione post-hoc’), la correlazione tra esperienza del

leisure e le modalità di adesione a gruppi e comunità (approccio del flusso di cosienza).

Il filone teorico esperienziale, sebbene anche’esso parta dalla distinzione tra sacro

e profano, individua sostanzialmente le motivazioni al viaggio nel desiderio

dell’individuo di un’esperienza di alterità rispetto alle condizioni in cui si trova nel 45 La teoria di Maslow (1943) sulla gerarchia dei bisogni umani fu una delle prime a essere riprese nell’ambito della

psicologia del turismo, quello che forse può essere considerato il suo più grosso limite è di soffrire di una preconcetta accezione dei bisogni, tarati sulle società ‘occidentali’.

41

Page 44: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

contesto quotidiano. Nello spiegare le motivazioni al viaggio, dunque, non avrebbero,

un grosso rilievo le differenti tipologie di turismo, al contrario risulterebbe determinante

la dimensione esistenziale umana per cui universalmente gli individui sarebbero

propensi a ricercare stimoli esterni al proprio ambiente ‘naturale’, profano, per

soddisfare il bisogno di sacralità, di allontanamento dalla propria vita quotidiana per poi

rientrarvi con una nuova modalità d’essere46.

Löfgren, nelle ultime righe del suo libro dal titolo Storia delle vacanze (2001:283)

fornisce un punto di vista interessante, concettualmente in linea con questo approccio:

“Andare in vacanza […] è anche una storia di emancipazione, di esplorazione di

nuove possibilità e di imprese ardite. Se i turisti di oggi non si accontentano più del

sole e delle guide turistiche, la storia ci insegna che molti vacanzieri sembrano non

essere mai contenti, nel 1799 come nel 1999. L’inquietudine, la frustrazione e la

noia fanno parte della ricerca della grande esperienza personale. Un desiderio

strano e spesso insaziabile di trascendenza conferisce al turismo un elemento di

religiosità secolare, una ricerca di quella realizzazione che ci aspetta là da qualche

parte, nei luoghi dell’altrove. Non appena la vacanza è terminata, cominciamo a

sognare la successiva: la vacanza perfetta” 47

Tracciato un quadro generale che fornisca l’idea degli studi compiuti per spiegare

il funzionamento delle motivazioni turistiche (e di viaggio in generale), vorrei ora

approfondire brevemente due aspetti, legati tanto a questo stesso tema quanto a quello

dell’immaginario, che ritengo interessanti e utili ai fini del mio lavoro: la ricerca

dell’autenticità e del ‘paradiso terreste’.

La ricerca di autenticità come motivazione al viaggio fu teorizzata da MacCannell

nel 1973, ribaltando di fatto le teorie della sight seen, secondo cui le cose da vedere,

esposte come in una vetrina, vengono private del loro spessore, distaccate dal loro

contesto di produzione che permette di spiegarle (Savelli, 1988:39). L’autore, infatti,

sosteneva la possibilità di esperienze autentiche anche all’interno di viaggi organizzati:

si tratta di una ricerca complessa che deve procedere attraverso l’esplorazione

dell’oggetto turistico sia nel suo modo di presentarsi (front region) che nel suo mondo

46 Questa teoria, come si può intuire, è strettamente connessa con quelle tesi che associano il turismo a una sorta di rituale.47 Löfgren, 2001:283

42

Page 45: Navigare verso Zanzibar

intimo (back region), al quale il turista può avere accesso percorrendo diversi stadi che

ne segnerebbero la maturità turistica (MacCannell, 1973).

Le posizioni di diversi autori, tuttavia, hanno fatto emergere alcuni punti critici di

questa tesi e, per comodità descrittiva, sarei portato a distinguerle in due filoni: un

primo punto di vista che nega la possibilità del turista di esperire l’autenticità del

contesto turistico in cui si trova e un secondo punto di vista che sostiene come oggi il

turista, liberato dell’illusione di poter attingere all’autenticità, in alcuni casi vada alla

ricerca della finzione, della messa in scena.

Tenderei ad annoverare Marco Aime tra la prima ‘fazione’. Già dal titolo del suo

libro del 2005, L’incontro mancato, si intuisce non solo una disillusa convinzione

dell’impossibile ricerca dell’autenticità, ma anche il fatto che l’incontro stesso tra host e

guest, di fatto non si possa realizzare, sarà sempre mediato, ci saranno sempre delle

costruzioni culturali (che Aime chiama ‘bolle ambientali’ riprendendo un’espressione di

Cohen) atte ad attenuare lo shock dell’incontro, in modo che questo risulterà sempre

viziato da equivoci. Inoltre Aime sottolinea un altro aspetto molto interessante: come

detto, l’autenticità ricercata dai turisti è quella che Goffman chiama backstage,

un’autenticità che permetta di comprendere in che modo i nativi siano rimasti legati al

loro passato. Tuttavia anche qui si presenta un equivoco: sempre più frequentemente i

nativi tendono verso comportamenti, stili di vita, immaginari occidentali. Inoltre la

rappresentazione, la ribalta, in ogni caso fa parte della realtà e non è meno autentica del

retroscena. Dunque i nativi possono mettere in scena quell’autenticità ricercata dai

turisti oppure vivere la loro vita senza tener conto di questi ultimi: nel maggior numero

dei casi fanno entrambe le cose.

Sulla stessa scia si pone La Cecla (in Löfgren, 2001), secondo il quale nonostante

il turismo sia un’esperienza della non autenticità di ciò che vediamo, se ne può

rintracciare il senso proprio in quelle versioni che i nativi costruiscono della loro

autenticità appositamente per i turisti stessi. Allo stesso modo Claudio Minca (1996)

sottolinea come la fine dell’illusione di accedere a una realtà ‘autentica’ all’interno del

proprio contesto quotidiano generi lo straordinario desiderio di autentico che porta orde

di turisti in ogni angolo del globo.

Da un altro punto di vista, come accennato, ho separato concettualmente questi

primi studi da chi invece sostiene tanto la disillusione della possibilità di accedere a una

43

Page 46: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

qualche dimensione autentica, quanto l’accettazione e la ricerca, da parte degli

individui, di qualcosa di appositamente costruito, conosciuto e riconoscibile.

Partendo dal concetto di pseudo-eventi 48, elaborato da Boorstin nel 1961, Turner e

Ash (1975) iniziarono a proporre l’idea che alcuni turisti non vadano alla ricerca

dell’autenticità, bensì di eventi costruiti. La proposta dei due autori, infatti, è la

possibilità di pensare che tra alcuni di questi viaggiatori esista la consapevolezza del

fatto di essere in un contesto di consumo e riproduzione dell’altro, quindi per nulla

spontaneo o autentico.

Un altro autore, che certamente non è ascrivibile tra i ‘classici’ dell’antropologia

del turismo, ma che sicuramente ha fornito interessanti spunti in questa disciplina e

proprio rispetto al tema dell’autenticità, è Marc Augé. In Disneyland e altri nonluoghi

(1999), l’autore francese spiega che, in contesti come appunto Disneyland, i visitatori

non sono mossi affatto dalla ricerca di qualcosa di ‘autentico’, di ‘veramente reale’,

bensì ricercano uno spettacolo del tutto simile a quello che è stato loro preannunciato.

“Nessuna sorpresa: era come al Museo di arte moderna di New York, dove non ci

si stanca di constatare fino a che punto gli originali somiglino alle copie. […] A

Disneyland è lo spettacolo stesso che viene spettacolarizzato: la scena riproduce

quel che era già scena e finzione […] il viaggio a Disneyland risulta allora essere

turismo al quadrato, la quintessenza del turismo: quel che veniamo a visitare non

esiste” 49

La voglia di altro, in questo caso, si coniuga con l’accezione più ‘fantastica’ del

concetto di immaginario. Il mondo in cui ci si proietta, seppur dotato di una sua fisicità,

è la riproduzione di una produzione della fantasia, la spettacolarizzazione di uno

spettacolo: è altro in quanto appartiene all’irrealtà ed è conosciuto in quanto è aderente

alle aspettative generate dal proprio immaginario.

48 “A pseudo-event, then, is a happening that possesses the following characteristics, (1) It is not spontaneous, but comes about because someone has planned, planted, or incited it. Typically, it is not a train wreck or an earthquake, but an interview. (2) It is planted primarily (not always exclusively) for the immediate purpose of being reported or reproduced. Therefore, its occurrence is arranged for the convenience of the reporting or reproducing media. Its success is measured by how widely it is reported. Time relations in it are commonly fictitious or factitious; the announcement is given out in advance "for future release" and written as if the event had occurred in the past. The question, "Is it real?" is less important than, "Is it newsworthy?" (3) Its relation to the underlying reality of the situation is ambiguous. Its interest arises largely from this very ambiguity. Concerning a pseudo-event the question, "What does it mean?" has a new dimension. While the news interest in a train wreck is in what happened and in the real consequences, the interest in an interview is always, in a sense, in whether it really happened and in what might have been the motives. Did the statement really mean what it said? Without some of this ambiguity a pseudo-event cannot be very interesting. (4) Usually it is intended to be a self-fulfilling prophecy. The hotel's thirtieth-anniversary celebration, by saying that the hotel is a distinguished institution, actually makes it one”. (Boorstin, 2007:255; fonte originale: Boorstin,1961)

49 Augé, 1999:18-25

44

Page 47: Navigare verso Zanzibar

Sulla scia di questa tesi, Laura Gemini (2008) puntualizza che con la nascita dei

parchi tematici viene meno l’idea di autenticità del luogo. Visitare un parco tematico (da

Disneyland agli Universal Studios di Hollywood, dall’Acquafan al Vasa Museet di

Stoccolma) significa approcciarsi ad esso esclusivamente per il godimento del suo

aspetto ricreativo ed evocativo, per il riferimento che rappresenta. Allargando il

discorso, a mio avviso il punto più interessante trattato dall’autrice è quello per cui

l’autenticità, un tempo ricercata nell’oggetto, ora si trasferisce nel soggetto e nella sua

esperienza. In sintesi, dando una rilettura della teoria della sight seen, la Gemini

sostiene che se ciò che si guarda (di cui si fa esperienza) non è importante per ciò che è

(poiché il turista coglie l’immagine e non l’oggetto in sé), allora diventa molto più

interessante focalizzare l’attenzione sull’osservatore mentre osserva, poiché ciò che ha

rilevanza in questo contesto sono le immagini di sé in tale situazione: la ricerca

dell’autenticità si centra sull’esperienza del turista e non sull’oggetto, i turisti

percepiscono, vedono, sentono in modo autentico.

Infine, un ultimo punto che si lega strettamente sia all’ambito delle motivazioni di

viaggio (in particolar modo con quelle legate al concetto di autenticità) che a quello

dell’immaginario è la costruzione dell’immagine di ‘paradiso terrestre’ associata a

determinati contesti turistici. Sarà utile, in questa sede, una rapida trattazione

dell’argomento, limitandosi all’origine del legame tra turismo e immagine paradisiaca e

ai suoi modi di riproduzione.

La ricerca (ossessione?) del ‘Paradiso Terrestre’ è da secoli un tema cruciale per

l’umanità (o per lo meno per quella parte in cui il concetto stesso si è sviluppato).

Fagan, in Clash of Culture, fornisce un ampio quadro di questa propensione

immaginifica, sottolineando come i viaggiatori europei cerchino il paradiso in terra

come ultimo baluardo di un’universale Golden Age che non c’è più. Un paradiso,

dunque, che si delinea come un “remote and ancient dream, then it was located on

earth, a mythical golden kingdom” (1998:24). Un concetto, quello di paradiso in terra,

che troviamo espresso nelle descrizioni del paese di Cuccagna o del paese di Bengodi di

Boccaccio: luoghi ‘paradisiaci’ e di abbondanza che sono sempre stati associati a uno

spazio altro, lontano e non ben identificato. Questo immaginario si rafforza quando i

viaggi nel pacifico, nel XVIII secolo, permettono alle potenze europee di acquisire isole

45

Page 48: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

(lontane) che saranno presto associate proprio all’immagine del paradiso e

dell’abbondanza, come per esempio mostrano i racconti del conte Louis Antoine de

Bouganville (Ivi:132). Il paradiso terrestre inizia così a diventare paradiso tropicale e,

pur restando uno spazio altro rispetto alla quotidianità, si rende pian piano sempre più

accessibile, fino alla sua commercializzazione attraverso il turismo di massa: si prenda

come esempio significativo la costruzione del Royal Hawaiian Hotel sulla spiaggia di

Waikiki, a Honolulu (Hawai), che influenzerà non poco l’immagine stessa di paradiso

tropicale legato a sole, mare e spiaggia.

Questo scenario, consumato e riprodotto all’interno del processo turistico, sembra

rispondere molto bene al desiderio di altro(ve) che muove i viaggiatori. Infatti, come fa

notare Erik Cohen in un suo saggio del 1984,

“life at the beach is experienced as ‘out of time and place’, as a relaxing,

paradisiacal, or ludic existence, that is separate from the ordinary life” 50

Le forme di comunicazione pubblicitaria dell’industria turistica, dunque, hanno

avuto il compito di riprodurre e amplificare, su scala planetaria, quell’immagine di

paradiso tropicale che in certa misura deriva dai discorsi coloniali circa l’esotismo di

luoghi e persone. A questo proposito è emblematica la posizione di Aitchinson

(2001:135), secondo la quale espressioni come Sogno lontano o Paradiso tropicale

popolano le brochures pubblicitarie e attraverso un’operazione di reificazione e

mercificazione procedono alla costruzione di un’immagine di luoghi e persone pronta

per essere consumata da quei turisti in cerca di Altro.

Tourist destinations as sites for tourists, and the people within them as sights for

tourists, are frequently rendered Other by a tourist industry that has developed an

unsigned colonialist and gendered hegemony in the form of a set of descriptors for

constructing and representing ‘Tropical Paradise’. 51

Tuttavia la stessa Aitchinson, nel suo saggio, introduce un elemento di criticità

nella complessità di questo immaginario: l’aspettativa di un luogo paradisiaco è

decisamente alta e per molti turisti potrebbe non essere soddisfatta, lo scarto tra

50 Cohen, 1984:37951 Aitchinson, 2001, 137

46

Page 49: Navigare verso Zanzibar

immagine costruita ed esperienza vissuta potrebbe non essere adeguatamente attenuata

dalla mediazione delle ‘bolle ambientali’. L’autrice, dunque, si domanda:

“how can the tourist to Mauritius reconcile the ‘Ile Paradis’ image with the reality of

visiting one of the most densely populated areas in the world with its associated

poverty and cultural conflict?” 52

Le immagini costruite attorno al concetto di Paradiso non solo, in quanto tali, non

possono corrispondere alla realtà, ma spesso nascondono un contesto profondamente

diverso, tacciono su circostanze sociali, ambientali, amministrative, politiche che

possono rappresentare un elemento problematico per la popolazione locale.

In conclusione, questi strumenti sono le chiavi con cui ho cercato di analizzare i

racconti, le immagini e i filmati che i turisti hanno prodotto rispetto alla loro esperienza

di viaggio a Zanzibar. Ho cercato dunque di mettere in relazione le motivazioni al

viaggio esplicitate con quelle teorizzate dagli studi psico-socio-antropologici, di

comprendere come queste abbiano interagito e continuino a interagire con un

immaginario dell’isola riprodotto e ricostruito; ho provato a indagare le modalità della

percezione della propria identità e quelle della propria percezione rispetto a un contesto

altro, ho cercato di far luce su come la categoria dell’autenticità venga riproposta,

nascosta, veicolata, disattesa o confermata in relazione alle proprie immagini mentali,

precostruite e rinegoziate sul territorio; ho cercato di mettere in relazione un’immagine

paradisiaca dell’isola con l’esperienza narrata dei turisti che, nel loro tempo libero,

hanno a che fare con persone immerse in una realtà sociale quotidiana problematica.

A questo punto, prima di entrare nello specifico dell’analisi, credo sia

indispensabile mettere a fuoco altri due concetti-chiave, decisamente complessi e

strettamente correlati fra loro, come quello di sguardo turistico e immaginario turistico.

52 Ivi:139

47

Page 50: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

2.3. Lo sguardo turistico

“Nei fenomeni di massa non si esprime solo una logica da condizionamento, ma

piuttosto una composizione dinamica di istanze di diverse compagini. Se il

consumo o il turismo hanno tanto posto nella nostra società occorrerebbe

interrogarsi sulle motivazioni simboliche di queste due attività. Che cosa muove

l’attore sociale nel suo desiderio di altrove? Che cosa significa per una società

nella sua interezza cominciare a concepire il proprio tempo in funzione di una

eterotopia, dell’‘andare via da qui’?” 53

Se da un lato, come sostiene La Cecla, l’analisi antropologica che voglia indagare

il complesso processo turistico deve chiedersi quali siano le motivazioni profonde che

spingono gli individui ad ‘andare via da qui’, dall’altro, seguendo Simonicca,

l’antropologia del turismo si dovrebbe concentrare sullo studio dello spazio turistico, da

intendersi però come campo che, lungi dall’essere neutro per chi vi agisce al suo

interno, è soggetto ad una complessa ed eterogenea operazione di delimitazione e

definizione. Spazio turistico che dunque non può essere inteso in una mera concezione

geografica, ma che deve essere concepito come luogo in cui si incontrano azioni e

proiezioni di attori differenti, uno spazio soggetto a molteplici ‘sguardi’:

“lo sguardo del viaggiatore, in quanto attratto da qualcosa, lo sguardo che la

comunità locale rivolge verso se stessa, lo sguardo che la comunità locale rivolge

verso i viaggiatori, lo sguardo che i soggetti economici rivolgono alle risorse del

sito, lo sguardo dei costruttori dei siti, lo sguardo della classe politica locale, e così

via.” 54

Il concetto di ‘sguardo’ ha, nella tradizione antropologica che fa capo

principalmente a John Urry (1990), una valenza tendenzialmente centrata sull’azione

del vedere, un modo di vedere e comprendere socialmente determinato, che ha una sua

evoluzione storica e culturale. Simonicca invece, sulla scia di Edensor (1998) vuole

sottolineare l’accezione attiva, performativa, costruttiva dello sguardo, che oltre a essere

punto di vista, modalità di comprendere, categorizzare e definire il mondo a partire da

parametri culturalmente dati, è allo stesso tempo un modo di agire coerentemente a

strategie costruttive del sé e del luogo,

53 La Cecla, prefazione a Löfgren, 2001:X54 Simonicca, 2006:39

48

Page 51: Navigare verso Zanzibar

La performance è anzitutto produzione del sito, che si manifesta nelle capacità di

creare attrattive, di fornire servizi e di rinnovare le proprie risorse. Una performance

agita dal sito turistico stesso (ovvero da chi si trova al suo interno) che non può dunque

prescindere da una (re)interpretazione di sé e dalla presa di coscienza della propria

esistenza in quanto tale.

Nel suo lavoro, Edensor (1998), attraverso il caso paradigmatico del Taj Mahal,

cerca di esaminare da un lato le dinamiche e le forze che generano forme di

rappresentazione che, a loro volta, hanno il potere di creare significati. Una produzione

egemonica di temi normativi occlude narrazioni alternative che raccontano altri punti di

vista, altri modi di percepire, di intendere e quindi di agire lo spazio. Uno degli scopi

del suo libro è quello di:

“to examine the limits of dominant representation of, and ways of representing,

tourist sites. I examine the extent to which a dialogic interpretation of places is

possible, and whether meaning can be constructed out of a multiplicity of different

representation. I also concentrate on the ways in which the different spatial and

temporal regulation of tourists are conceived to the rejection of the dominant

meaning of place or their substitution with other interpretations” 55

Dall’altro lato, queste forme di rappresentazione egemoniche, sottolinea Edensor,

sono tali anche (e soprattutto) per ciò che concerne la loro matrice genetica: sono tutte

figlie di un “imperialismo visuale” che ordina e categorizza l’ambiente. L’autore, come

già altri studi antropologici hanno sottolineato, sostiene la capacità di azione da parte di

tutti i sensi nella costruzione della realtà, che possono essere “strade per la trasmissione

di valori culturali”. Rifiutando dunque un approccio ‘ocularocentrico’, Edensor sostiene

la pertinenza di approcciarsi a uno studio del turismo tenendo in considerazione non

solo la modalità di produzione di significati derivante dallo sguardo, ma anche quelle

‘alternative’ generate attraverso gli altri sensi e le relative esperienze che questi

producono.

Estendendo il pensiero di Edensor, quindi, è lecito intendere la rappresentazione

come carattere poietico della realtà, come una produzione di significati e punti di vista

che si origina dall’esperienza agita da tutti i sensi: una vera e propria costruzione

culturale formativa e trasformativa, una performance.

55 Edensor, 1998:15

49

Page 52: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Ecco dunque che, parlando di turismo, si restituisce all’immagine (reale o mentale

che sia), alla narrazione, alla rappresentazione in genere, una valenza che nell’arco della

‘storia delle vacanze’, e ancor prima del viaggio, era sempre stata soverchiata dalla

presenza ingombrante della vista.

Viaggiare, sicuramente per quanto riguarda le popolazioni europee, non è mai

stata un’attività neutra. In particolar modo si registra una costante attitudine, a partire

‘dall’Odissea fino al turismo globale’ (Leed, 1992), a rappresentarsi e rappresentare il

viaggio secondo prospettive coerenti con le rispettive caratteristiche del pensiero. Da

fato, volere degli dei, mezzo attraverso il quale viene ribadito l’ordine cosmico, in età

classica, il viaggio diventa un’azione solitaria ed eroica nel Medioevo, assume il

carattere di conoscenza, di scoperta del mondo, della realtà e dell’alterità in epoca

rinascimentale, fino a sfociare nelle sfaccettature moderne di fuga, senso di libertà, ma

anche attività culturale, contatto con la natura, ricerca di autenticità, ecc. (Leed, 1992;

Gemini, 2008 ; Barberani, 2006: 214-15).

Con la riscoperta medievale di Aristotele, la vista ha assunto un ruolo centrale nel

processo conoscitivo della realtà, tanto che si è iniziato a concepire il viaggio in

funzione di essa: un’esperienza prima di tutto visiva, rappresentativa, che trova la sua

più compiuta e devota espressione a partire dalla fine del XVIII secolo, quando

viaggiare si combina con la ricerca del pittoresco e il concetto di panorama.

Laura Gemini parla, rispetto a questo contesto, di un “immaginario

rappresentazionista del viaggio”, ovvero quell’insieme

“di immagini, simboli, descrizioni volte a costruire una rappresentazione fedele e

puntuale della realtà. Ci troviamo perciò nel campo di azione del pensiero

positivista, della scienza realista della cibernetica di primo ordine per la quale i

fenomeni sono osservabili e riproducibili in quanto tali. […] Da questa concezione

ne consegue l’idea che sia possibile, o che comunque si dovrebbe cogliere

l’autenticità delle cose, dei luoghi, dei popoli, delle culture”. 56

Questo tipo di immaginario, che come abbiamo detto è figlio della predominanza

della vista nel processo conoscitivo e della ricerca del pittoresco come sublimazione del

senso estetico, si costruisce attraverso sguardi filtrati dalle aperture che i mezzi di

56 Gemini, 2008:65

50

Page 53: Navigare verso Zanzibar

trasporto usati di volta in volta lasciavano allo sguardo, dalle narrazioni e illustrazioni

dei viaggi, dalla creazione simbolica (talvolta anche pratica) di attrattive da vedere

assolutamente, dalle cartoline, souvenir, fotografie, videoclip. Il processo mentale che

questi ‘oggetti’ producono a livello immaginativo, ognuno con le sue peculiarità

contestuali, è la reificazione, feticcizzazione, essenzializzazione, riduzione a sineddoche

del luogo vis(ita)to.

A questo tipo di immaginario di viaggio, Gemini ne contrappone un altro, quello

‘performativo’, che a differenza del primo:

“produce un tipo di rappresentazione “costruttivista” della realtà del viaggio che

dipende da chi ne fa esperienza. […] [S]i traduce in una modalità di fare

esperienza delle immagini, dell’immaginario turistico che passa attraverso i corpi e

che pertanto mette a fuoco il fare più che il vedere; l’esserci come parte attiva e

creativa della comunicazione turistica.” 57

A questo secondo tipo di immaginario il ‘mondo occidentale’, sembra essere

arrivato attraverso una trasformazione più complessiva del sistema turistico e della

propensione al viaggio in genere, derivanti dal loro inserimento nel mercato globale,

nella sfera del consumo. L’economia post-fordista ha modificato strutturalmente il

tempo libero, sempre meno distinto da quello lavorativo: il ‘tempo della festa’ che,

come abbiamo visto, è stato identificato da alcune posizioni antropologiche e

sociologiche come ‘tempo sacro’, che nelle dinamiche sociali si pone in alternanza o in

opposizione a quello produttivo profano, fatica ora a mostrare una tale separazione

netta. La facilità e la velocità degli spostamenti, l’evoluzione delle telecomunicazioni, la

nascita di nuovi tipi e modi di lavorare e di relativi strumenti hanno prodotto una

concezione della struttura del tempo più fluida e integrata.

In questo contesto, dunque, sembra che la predominanza del visivo ceda il passo a

un tipo di esperienza derivante dal coinvolgimento totale del corpo e dei suoi sensi e che

quindi necessita di nuovi tipi di immagini e nuovi strumenti per la loro produzione e

condivisione.

57 Gemini 2008:21-22

51

Page 54: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

2.4. Immaginario e immaginario turistico

Concordando, da un lato, con le posizioni di Edensor e di Gemini, che ci parlano

di una percezione e rappresentazione multisensoriale dello spazio, di un immaginario

capace di trasformare e performare la realtà, e dall’altro mantenendo fermo il fatto che il

turismo si configura come un fenomeno sociale in cui si incontrano e interagiscono

attori sociali diversi che giocano, nella specifica arena sociale, forze di diversa natura e

peso, è possibile intuire la necessità di approfondire queste complesse dinamiche tramite

un approccio antropologico. L’obiettivo sarà, dunque, quello di indagare gli aspetti

specifici di un contesto peculiare, come quello di Zanzibar, nell’ottica, da un lato, di

individuare caratteri assimilabili ad altre situazioni, e dall’altro di far emergere

specificità, criticità, contraddizioni che permettano di andare oltre tipizzazioni e

categorizzazioni rigide.

Per poter fare ciò ritengo utile, se non indispensabile, delineare brevemente come

l’antropologia si sia approcciata allo studio dell’immaginario collettivo (o sociale) e,

nello specifico, dell’immaginario di viaggio.

I contributi dell’antropologia allo studio della dimensione immaginifica si sono

moltiplicati negli ultimi due decenni. Qui di seguito riporterò il punto di vista di tre

autori (due antropologi e un filosofo) che saranno funzionali per delineare il concetto di

immaginario che utilizzerò e che applicherò all’ambito del turismo.

Come ci suggerisce Appadurai (2001:50), l’immaginazione sembra acquisire oggi

un rinnovato ruolo nella vita sociale, determinato da un sistema mondiale di immagini

eterodiretto, complesso, costruito in maniera transnazionale. L’immaginazione, oggi,

non può più essere relegata alla sfera della sola fantasia né pura via di fuga o

passatempo élitario. Al contrario, si configura come:

“un campo organizzato di pratiche sociali, una forma di opera (nel duplice senso di

lavoro fisico e di pratica culturale organizzata), e una forma di negoziazione tra siti

d’azione (individui) e campi globalmente definiti di possibilità […] L’immaginazione

è oggi essenziale a tutte le forme d’azione, è in sé un fatto sociale, è l’elemento

cardine del nuovo ordine globale.” 58

58 Appadurai (2001:50)

52

Page 55: Navigare verso Zanzibar

L’immaginazione, in un certo senso, sembra tenere insieme teoria e pratica,

sembra essere prodotto e produttrice di punti di vista, di immaginari, di riappropriazioni

e ‘indigenizzazioni’ che saranno a loro volta elementi centrali di una produzione

immaginifica, di un panorama simbolico condiviso, mediatizzato e, a sua volta,

formante e trasformante. I flussi culturali globali sono ordini complessi e disgiuntivi,

irriducibili a modelli rigidi o statici. La proposta dell’antropologo indiano è quella di

analizzare questi flussi culturali globali attraverso categorie ‘panoramiche’ che ne

restituiscano la dimensione irregolare e fluida, che quindi rendano conto della loro

molteplicità prospettica, della loro declinazione contingente e contestuale.

Panorami che Appaduari identifica come mattoni di quelli che chiama “mondi

immaginati”, un’estensione planetaria, globale, transnazionale del concetto

andersoniano di comunità immaginata.

L’immaginario ha un aggancio forte e necessario con la pratica anche per il

filosofo Charles Taylor, che con il concetto di immaginario sociale intende:

“something much broader and deeper than the intellectual schemes people may

entertain when they think about social reality in a disengaged mode. I am thinking

rather, of the ways people imagine their social existence, how they fit together with

other, how things go on between them and their fellows, the expectation that are

normally met, and the deeper normative notions and imagines that underlie

expectations”. 59

L’immaginario, per Taylor, ha a che fare con le rappresentazioni con cui le

persone ordinarie immaginano il loro ambiente sociale, inquadrato in storie, leggende,

immagini. Non è regolato da alcuna teoria predominante: la sua forza sta nella

condivisione da parte della maggioranza (o della totalità) della popolazione, il che rende

possibile una comune comprensione e un ampio e condiviso senso di legittimità.

Ancora: incorpora un senso di normali aspettative che abbiamo rispetto agli altri,

permettendoci di portare a termine le nostre pratiche collettive; crea un complesso

intreccio tra la percezione di come le cose vanno e di come crediamo debbano andare,

andando in questo modo a influenzare le nostre scelte, le nostre azioni, sia individuali

che sociali. Tuttavia Taylor sottolinea che il modo in cui intende l’immaginario sociale

non è assimilabile al nostro background di sapere che da senso alle nostre specifiche

59 C. Taylor (2004:23)

53

Page 56: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

pratiche (“the immediate background that […] make sense of our particolar practices”).

Si tratta invece di una più ampia comprensione della nostra situazione nel suo

complesso, che deriva da una relazione non unilaterale tra pratiche e sapere di sfondo,

una comprensione dello spazio sociale non teoretica ma implicita e informale.

In Immaginative Horizons (2004) Vincent Crapanzano parte proprio dalla

concezione tayloriana dell’immaginario, tuttavia non segue l’approccio temporale

intrapreso dal filosofo, bensì accosta la dimensione immaginativa a quella spaziale,

focalizzando la sua attenzione sul concetto chiave di frontiera, da intendersi non nel

senso di confine fisico, geografico o politico, bensì come orizzonte

“that extend from the insistent reality of the here and now into optative space or

time – the space-time – of the imaginary. It is this the realm that gives us an edge,

at times wrenching and painful, at times relieving and pleasurable, on the here and

now in all its vicious immediacy. It allows us to escape from the insistent pull of

reality” 60

Si tratta di un immaginario concepito come dimensione, tanto fattuale quanto

psicologica, che permette di fuggire dalla pressione della realtà e che allo stesso tempo

segna ciò che sta al di là, definisce le distanze attraverso la costruzione di

rappresentazioni simboliche del mondo (in cui siamo inclusi noi stessi). Si tratta a

questo punto di stabilire cosa c’è oltre l’orizzonte, al di là di frontiere che risultano

invalicabili, che marcano un cambiamento ontologico, che prefigurano un altrove

irraggiungibile. È necessario capire quali siano le possibilità immaginative che si

nascondono dietro questo orizzonte, continuamente costruito e distrutto attraverso la

nostra produzione di immagini, sogni, calcoli, proiezioni e profezie. Reale e irreale,

realtà e immaginazione non possono essere separate, si trovano in uno stretto rapporto

dialettico.

Concentrandosi sul polo immaginativo, l’autore lo tratta attraverso la figura

retorica dell’entroterra (arrière-pays, hinterland) e i suoi correlativi al di là e altrove. Il

concetto di arrière-pays evoca un mondo violento, arretrato, in un certo senso fuori dal

tempo, una dimensione altra, una terra in cui si mescolano le sfere del primitivo e

dell’intimo: un luogo ‘altrove’ ma causalmente connesso con il qui e ora, ovvero con

ciò che lo definisce, che lo genera.

60 Crapanzano, 2004:14

54

Page 57: Navigare verso Zanzibar

Prendendo spunto dalle considerazioni di questi autori, intenderò per immaginario

una modalità di costruzione simbolica tanto della realtà quanto della percezione di sé e

degli altri. Lungi dal restare relegato nella sfera della pura rappresentazione, sarà inteso

come vera e propria attività performante, che articola esperienza, conoscenza,

costruzione identitaria, precomprensioni, pulsioni e compulsioni, senso di spaesamento

e capacità definitoria.

Si tratterà allo stesso tempo di una dimensione sociale e individuale che,

attraverso una produzione di immagini fisiche e mentali, produce comportamenti che

vanno a interagire con l’ambito simbolico del sé che riguarda la costruzione/percezione

dell’alterità, con quel senso di altrove che si trova oltre un orizzonte irraggiungibile, che

infine si esplicitano in una serie di atteggiamenti, scelte, decisioni che finiscono per

avere un ruolo fondamentale nel determinare un determinato contesto sociale e di

relazioni.

L’immagine è un elemento centrale nei diversi momenti che riguardano un

viaggio, dalla sua preparazione fino al ritorno a casa: dal veicolare le scelte del luogo

fino alla riproduzione del luogo (sotto varie forme) nel proprio contesto domestico.

Come suggerisce Barberani (2006:214) possiamo pensare l’immaginario turistico

come un complesso insieme di immagini, simboli e figure che, oltre ad avere un ruolo

attivo nella scelta della meta del proprio viaggio, svolge anche una seconda azione:

creare negli individui un “orizzonte di attesa” che avrà la funzione di interpretare

l’esperienza vissuta. Si configura dunque come nozione fluida che rende conto di uno

spazio simbolico costruito tra quello quotidiano e quello altro. Questa serie di immagini

hanno anche il compito di fornire una pre-interpretazione della nuova situazione in cui

l’individuo si troverà, rendendo meno traumatica la transizione dal contesto della

quotidianità a quello dell’alterità.

Amirou (1995:241-44) delinea l’immaginario turistico attraverso cinque elementi.

Anzitutto, sostiene l’autore francese, ha a che fare con una sorta di desiderio-pulsione di

‘ritorno alla natura’: si tende ad attribuire un valore sacro allo spazio opposto a quello

della vita ordinaria, lo si pensa e lo si agisce come se ci trovassimo in un contesto

primigenio, profondamente distante e separato da quello quotidiano. Allo stesso modo

la proiezione del modello di socialità in cui si andrà, temporaneamente, a immergersi è

55

Page 58: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

immaginata come più spontanea, meno carica di sovrastrutture, meno ‘ammorbata’ da

criteri e categorie che regolano le relazioni sociali all’interno della propria comunità.

Altro punto fondamentale, secondo Amirou, è la costruzione di una sorta di identità

condivisa, la creazione di un ‘noi’ (contrapposto a un ‘loro’) fondato sulla

compartecipazione a una ‘medesima’ esperienza, di un ‘sentire insieme’. A questo si

lega un altro aspetto, quello che l’autore francese fa derivare dalla ‘società del

pellegrinaggio’. L’identificazione in un noi, dettato dall’esperienza compartecipata,

lascia una sorta di segno nella mente/memoria di chi ha vissuto tale circostanza. Questo,

nella confusione definitoria e categoriale del tempo delle vacanze (soprattutto nei

villaggi turistici), travalica altri tipi di possibili identità e si esplicita in un comune

sentimento di nostalgia per l’extra-ordinario esperito, che si esprime in rituali come

scambio di contatti o promesse di rivedersi. Infine Amirou identifica un elemento ludico

a completare il profilo dell’immaginario di viaggio, una sorta di gioco di maschere per il

quale si tende a comportarsi “come se”, ad agire in virtù di una nuova, temporanea

identità.

Nel libro di Amirou (ivi: 135), inoltre, viene sottolineato un aspetto che ritengo

molto importante ai fini degli obiettivi che mi sono posto intraprendendo questo lavoro:

nella formazione dell’immaginario turistico svolgono un ruolo sicuramente rilevante

media come libri, fotografie e film, che attraverso una pluralità di linguaggi riescono a

creare mondi estetici autosufficienti capaci di erotizzare, e quindi rendere attraente, una

località, più di quanto riesca a fare la pubblicità, che si limita a ritualizzare determinati

ideali sociali. A questo elenco di strumenti comunicativi mi sembra opportuno

aggiungerne uno che, all’epoca dell’opera di Amirou, ancora non aveva raggiunto le

dimensioni e le peculiarità odierne: internet, forse oggi il mezzo principe attraverso cui

si esprimono una pluralità di attori con la loro pluralità di linguaggi, oggi più che mai

anche in forma dialogica. Capaci di contribuire al processo di esotizzazione di un luogo,

sembra che questi attori ne possano fornire connotazioni talmente personali che

sfuggono ai rigidi schemi essenzializzanti di media (come quelli sopracitati) che,

concettualmente, mettono in atto una comunicazione di tipo unilaterale.

Simonicca (1997:121-127), dal canto suo, analizza l’importanza dell’immagine

(ancora con un accezione ampia del termine), sia della componente umana che del

luogo, all’interno del processo turistico. Il suo punto di partenza è una suddivisione del

56

Page 59: Navigare verso Zanzibar

concetto in tre diverse accezioni, determinate dalle teorie di riferimento: stereotipo,

schema mnestico-visuale e configurazione mentale oppositiva rispetto a una realtà

‘autntica’.

Per stereotipo si intende una dimensione che mette insieme la pubblicità, il

consumo, le aspettative e la memoria relativamente a un sito e alla sua popolazione. Si

crea così una mappa mentale che, organizzata secondo termini di spazio fisico-sociale,

produce una forte uniformazione dell’oggetto. Uno degli oggetti che contribuiscono in

maniera decisiva alla creazione di un immaginario stereotipato, sono le brochures,

ubique e standardizzanti. Personalmente credo, e sarà uno dei punti che cercherò di

dimostrare nel prossimo capitolo, che la comunicazione telematica, attraverso i vari

strumenti offerti dal World Wide Web, giochi oggi un ruolo determinante in questo

processo di stereotipizzazione, ma allo stesso tempo lasci spazi molto più ampi ad un

processo di continua smentita, personalizzazione, decostruzione e ricostruzione delle

stesse, dando vita a processi eterogenei e polifonici.

Le immagini concepite come schemi mnestici afferiscono a una sfera di uso

quotidiano visuale: la produzione di immagini e di simboli prodotti all’interno del

processo turistico possono essere analizzate da un punto di vista semiotico,

identificando nei loro contenuti un complesso sistema di significati che generano

“immagini di nuove identità ed esperienze”, creando a loro volta una nuova richiesta di

oggetti.

Infine l’immagine può essere legata a un altro concetto che, nell’ambito del

processo turistico, rappresenta una nozione chiave: quella di autenticità. Le immagini,

infatti, possono essere concepite anche come elemento oppositivo della realtà, di cui

costituiscono una rappresentazione adeguata o meno.

Anche negli studi di Marco Aime (2005) il ruolo dell’immaginario di viaggio ha

un peso importante. Focalizzandosi sulle dinamiche dei momenti e degli spazi

dell’incontro tra visitatori e visitati, l’autore mette da subito l’accento sul fatto che tale

momento/spazio è caratterizzato da un fondamentale equivoco: quello di “vedere cose

diverse”. Il turista, in un mondo lontano dal suo, proietta sul luogo e sui suoi abitanti i

significati che gli arrivano dalle sue immagini, precedentemente costruite e

processualmente ricostruite sul sito stesso in base all’esperienza che sta vivendo. Il

turismo, secondo l’antropologo torinese, si inserirebbe dunque in una rete di “flussi

57

Page 60: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

globali” che mette in contatto persone e idee e di cui i turisti stessi costituiscono una

componente importante, danno vita a nuovi scenari culturali non più fondati sul legame

con il territorio d’origine, ma sulla base di realtà (più o meno) immaginate. È forse con

un velo di ‘nostalgia’, ma anche di acuta lucidità, che la sua analisi identifica il viaggio

odierno non più teso alla scoperta, bensì alla verifica di ciò che già sappiamo, tanto che

chi fornisce ospitalità spesso diventa quello fotografato, immortalato, reificato e

pubblicizzato sulle guide. Questo processo, argomenta Aime, non si limiterebbe tuttavia

alla produzione e alla proiezione delle immagini mentali dei turisti. La loro

performatività, dovuta, se vogliamo, anche al potere politico-economico dei turisti, ha

un effetto trasformativo sulla popolazione locale, che può arrivare perfino a ricostruire

le proprie strutture sociali, a rifondare, rivitalizzare, modificare i propri rituali in virtù

dei comportamenti, dei desideri e delle aspettative dei turisti.

Quello di Aime, dunque, sembra essere un immaginario performativo e allo stesso

tempo aberrante, che non permette alla ‘popolazione turistica’ di rendersi conto

dell’impatto trasformativo che produce la loro presenza sul luogo in quanto turisti.

Duccio Canestrini (2004), dal suo canto, mette l’accento su un altro aspetto

dell’immaginario che nel processo turistico illumina le dinamiche di produzione di

immagini, credenze e stereotipi. Focalizzandosi sulla sicurezza, l’antropologo conduce

un’analisi ad ampio raggio sul modo in cui la riproduzione dell’immaginario di viaggio

subisca un forte influsso da parte di determinate dinamiche di potere e controllo sociale,

che da un lato trasformano la percezione degli individui di ‘sentirsi sicuri’ e dall’altro

contribuiscono a generare comportamenti adeguati a tale sentimento, tanto nei visitatori

quanto nei visitati. Se dunque le questioni politiche internazionali, adeguatamente

veicolate, raccontate, mediatizzate o non mediatizzate, contribuiscono ad alimentare o a

sopire il senso di insicurezza che un viaggio ‘naturalmente’ provoca nell’individuo che

lascia la propria domesticità per un luogo tendenzialmente sconosciuto, è vero che i

comportamenti che ne seguono, dalle strutture di accoglienza fortificate alla rinuncia al

viaggio, producono comportamenti e situazioni nella popolazione degli hosts che

possono andare a loro volta ad alimentare tale panorama di immagini di insicurezza.

Canestrini dunque identifica nella stesso immaginario dell’insicurezza e nella sua, forse

inevitabile, ostentazione, la principale causa di quella che chiama, senza troppa

astrazione, turistomachia.

58

Page 61: Navigare verso Zanzibar

In conclusione, il concetto di immaginario turistico che utilizzerò nel proseguo del

mio lavoro si può configurare come un insieme di immagini mentali e precomprensioni

prodotte nell’individuo e condivise con il suo gruppo di riferimento. Queste immagini

non sono neutre, appaiono cariche di senso, si posizionano in un ambito di costruzione

di appartenenza. La loro origine è decisamente eterogenea e si costituisce di fonti più o

meno strutturate e formalizzate. L’immaginario turistico, di fatto, si fonda tanto sulle

immagini fisiche che vengono proposte dal mercato, quanto dal proprio background

storico-culturale, sui racconti degli amici e sulle questioni politiche internazionali, sul

desiderio di confronto con l’alterità e sull’incognita di abbandonare la sfera domestica,

sul desiderio di fuga e su quello di ricerca di una presunta autenticità. Gli attori che si

inseriscono nel processo produttivo di queste rappresentazioni, dunque, si collocano,

oggi più che mai, in un panorama globale, sono i viaggiatori e i locali, i tour operator e

le agenzie di viaggio, le politiche nazionali sul turismo e le agenzie internazionali, le

catastrofi naturali e i terroristi, le guide turistiche e gli antropologi.

Tuttavia l’aspetto, forse, più interessante dell’immaginario turistico è quello di

avere intrinsecamente un carattere trasformativo e performativo, di essere

continuamente ricostruito e di agire sul contesto, di avere un ruolo nei processi di scelta,

di cambiamento, di resistenza, di costruzione identitaria, di sviluppo economico. Il

turista, infatti, dotato di questo bagaglio di immagini, di aspettative, di desideri non

potrà in alcun modo non avere un impatto sulla società e sul luogo che visita, non tanto

in quanto singolo individuo, quanto piuttosto come parte di un sistema invasivo, sia

perché generatore di incontri tra mondi culturalmente lontani, sia perché innestato

all’interno di un sistema economico-produttivo che ha ormai dimensioni e ripercussioni

planetarie.

Utilizzando gli strumenti delineati nelle pagine precedenti e tenendo a mente le

informazioni che ho raccolto sul contesto turistico di Zanzibar, nel prossimo capitolo

cercherò di analizzare due momenti specifici all’interno del processo di costruzione

dell’immaginario dell’isola. Procedendo secondo una distinzione degli attori in turisti e

operatori di vario genere, la mia indagine tenterà di articolare la produzione di immagini

di entrambi.

59

Page 62: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Il canale mediatico che ho utilizzato è internet, dove la pluralità di voci si fonde e

si disgrega attraverso strumenti e linguaggi diversi. Dunque il mio intento è stato quello

di analizzare in che modo e misura le immagini, le narrazioni, le informazioni, le

promozioni dell’isola, prodotte attraverso questo mezzo, contribuiscano ad alimentare il

suo immaginario paradisiaco, ma anche a creare nuove rappresentazioni. Mi chiedo

dunque come le esperienze raccontate, fotografate, filmate e quindi distribuite

potenzialmente in tutto il globo senza alcuna barriera (l’unica potrebbe essere quella

linguistica nei casi dei racconti di viaggio) da un lato inducano specifici comportamenti

e scelte tanto nei turisti quanto nella popolazione locale, quindi abbiano un carattere

fortemente trasformativo; dall’altro contribuiscano a creare una sorta di comunità

virtuale, di rete all’interno della quale i turisti possono mettere in atto (e in

condivisione) una produzione e un consumo simbolico che contribuisce in larga misura

alla costruzione di nuove forme di ‘identità turistica’, quindi abbiano allo stesso tempo

un carattere performativo.

Tenendo presente il contesto particolare dell’isola, dove di fianco a uno sviluppo

esplosivo del turismo che ostenta ricchezza e benessere vive una maggioranza della

popolazione che non ha accesso alle stesse risorse, nonostante si trovi inevitabilmente

integrata nel processo turistico, cerco di capire in che modo questa criticità sia percepita

e riprodotta dai diversi attori, quali siano le immagini prodotte, come agiscano sui

comportamenti di chi opera all’interno del processo e quali siano gli effetti

dell’interazione con il complesso di immagini positive che forniscono invece una

visione dell’isola depurata da ogni criticità.

60

Page 63: Navigare verso Zanzibar

3. VIRTUALITÀ - Antropologia e turismo in Internet

3.1. Turismo e internet

Come ho ripetuto più volte nel corso delle precedenti pagine, la mia ricerca si è

svolta in un ambito che non appartiene all’etnografia convenzionale che, secondo la

definizione di Christine Hine (2000a:3), vede al centro dell’indagine gli attori umani e

mentre l’etnografo è impegnato in un’osservazione e analisi dei modi di ‘costruzione del

mondo’ da parte dei soggetti, per poi presentarla sotto una nuova luce. Il mio ambito di

ricerca, infatti, è stato quello dell’Ampia Rete Mondiale (World Wide Web): il mio

‘campo’ sono stati siti, blog, forum e social network. In breve: la mia indagine credo

possa definirsi una virtual ethnography (Hine, 2000b) o, come la chiama Evans (2010),

una webnography.

La scelta di uno studio di questo tipo pone di fronte, come minimo, a due

interrogativi preliminari, cui tenterò di dare una risposta nelle prossime pagine.

Anzitutto credo sia indispensabile interrogarsi su cosa comporti, da un punto di vista

metodologico, fare ricerca nel web, in che modo ‘interrogare’ le fonti, quali strumenti di

analisi utilizzare, quale status assegnare ai nostri oggetti di studio. A questo punto

sarebbe lecito comprendere l’importanza di svolgere una ricerca sull’immaginario

turistico su e attraverso internet.

La risposta al secondo punto è abbastanza semplice e dovrebbe apparire chiara da

quanto emerso finora. Il mondo del virtuale ha avuto negli ultimi vent’anni

un’esplosione dall’andamento esponenziale (e questo credo sia sotto gli occhi di tutti),

sia in termini di diffusione del suo utilizzo che di potenza dei mezzi messi a

disposizione: si stima che, nel 2010, circa due miliardi di persone nel mondo abbiano

avuto accesso a internet61. La possibilità, per un qualsiasi individuo dotato di una

connessione, di condividere potenzialmente con tutto il mondo dati e informazioni

61 Il sito www.internetworldstats.com riporta che al 30 giugno 2010 si possono contare 1,966,514,816 World Internet Users.

61

Page 64: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

personali, oggi è sempre più semplice e veloce, anche e soprattutto grazie agli strumenti

del web 2.0. Il mondo virtuale62, che dal 1984 inizia a farsi strada nel lessico e

nell’immaginario comune come Cyberspoazio63, si configura oggi come un’arena in cui

viene espressa una pluralità di voci e di punti di vista sempre più ampia e riguardante

pressoché ogni tipo di argomento.

Il turismo, nel suo complesso, non è estraneo da tale tendenza, anzi, si avvale

sempre più degli strumenti che Internet mette a disposizione64: sul web si trovano

‘spazi’ che ci riferiscono dell’esistenza di una molteplicità di attori integrati, a loro

modo, nel sistema. Dai ministeri del turismo (o istituzioni similari) dei vari stati alle

associazioni di turismo responsabile, dalle agenzie di viaggio agli affittacamere, dai

viaggiatori alle guide turistiche, dai ricercatori che studiano il fenomeno da vari punti di

vista agli studenti che cercano informazioni.

Coerentemente con la caratteristica eteromorfica del medium, le modalità con cui

il ‘sistema turistico’ si pone all’interno dello spazio virtuale sono ampiamente

diversificate: un medesimo strumento (sito internet, blog, ecc.) può essere utilizzato per

esprimere contenuti diversi, magari diametralmente opposti, sia nella forma che nel fine.

La possibilità di comunicare a un pubblico ampio e per lo più sconosciuto apre nuovi

scenari di indagine: si ha a che fare con nuove produzioni culturali, nuove forme di

rappresentazione e di identificazione. Il turismo stesso si trasforma, poiché cambiano le

modalità di approccio al viaggio, le possibilità, le informazioni in circolo, le

motivazioni, le finalità, la percezione delle distanze, le tempistiche. Evidentemente non

voglio indicare internet come unico responsabile di un processo di trasformazione in cui

il turismo è solo un elemento. Tuttavia penso che la comunicazione che passa attraverso

il Web, veloce, delocalizzata, non (o poco) mediata e (elemento da non sottovalutare)

dal grado di anonimato modulabile, possa essere identificato come un elemento

fondamentale per tentare di comprendere certe dinamiche sociali dell’uomo

62 Il concetto di virtuale deriva dal latino medievale virtualis, utilizzato dai filosofi scolastici e a sua volta derivante da virtus (virtù, facoltà, potenza). Il suo significato, in filosofia, è sinonimo di potenziale, di esistente in potenza (contrapposto ad attuale, reale, effettivo). L’accezione che qui ci interessa è quella legata al termine realtà virtuale, in cui assume il significato di cosa o attività frutto di un’elaborazione informatica che, pur seguendo modelli realistici, non riproduce una situazione reale. (www.treccani.it)

63 Il termine è coniato da William Gbson nel suo romanzo Neuromancer, pubblicato appunto nel 198464 Per dare un’idea della dimensione del fenomeno ‘turismo e internet’ basti ricordare che già nel settembre 1999 (quando

ancora il Web aveva una dimensione più contenuta), durante la tredicesima Assemblea Generale della World Tourist Organization, tenutasi a Santiago del Chile, fu organizzata una conferenza dal titolo Tourism and Cyberspace: The Internet Revolution (Buhalis, 2001).

62

Page 65: Navigare verso Zanzibar

contemporaneo e, nello specifico, le dinamiche immaginative, relazionali e identitarie

che si innescano nel sistema turistico.

Considerando per il momento solo i viaggiatori, il ruolo di Internet nel processo

turistico è particolarmente evidente sia nella fase di preparazione che in quella del

rientro (raccolta di informazioni, prenotazioni, ma anche pubblicazione di racconti, di

foto, ecc.). Tuttavia, come suggerisce Giovanna Mascheroni (2007:95) il suo valore nel

turismo non si esprime solo in questi due momenti: la presenza sempre più frequente di

strutture di accoglienza connesse a internet e la diffusione degli internet point anche

presso molte mete turistiche in paesi economicamente meno avanzati, permette ai turisti

di sfruttare la rete anche durante il viaggio, per continuare ad acquisire informazioni,

modificare i propri itinerari, raccontare le proprie esperienze, o anche solo per

‘controllare cosa sta succedendo a casa’. Addirittura Sørensen sosteneva (2003:860), per

quanto riguarda i viaggiatori cosiddetti backpacker65, che

“[t]he impact of pretravel internet use upon actual backpacker tourism may be

modest, but on the road it is profound. Internet cafes abound at backpacker

destinations and the importance of this availability is evident in the latest guidebook

editions, where internet access and prices are treated evermore thoroughly.

Backpackers use the Internet for tourism information and for news sites from back

home. Additionally, some use it to check bank accounts, file tax returns, and similar

practical matters. But above all, backpackers use it for email communication”. 66

65 La categoria di backpeacker (‘zaino in spalla’) identifica quei viaggiatori che preferiscono organizzare la loro vacanza autonomamente, senza appoggiarsi ad agenzie di viaggio o tour operator.

66 Sørensen 2003:860

63

Page 66: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

3.2. Antropologia e internet: webnografia

Chiarita, spero, la pertinenza e l’importanza di uno studio che coniughi

l’immaginario turistico e internet, cercherò adesso di mettere in luce alcuni aspetti

critici in cui ci si imbatte nel compiere una ricerca nel mondo virtuale.

Partendo dal quadro proposto da Hine (2000a), secondo la quale l’etnografia

virtuale rappresenterebbe una risposta al bisogno di studiare le comunità che fanno un

uso abituale delle tecnologie telematiche e di rete, credo sia utile chiarire, anzitutto, che

questo approccio si propone di presentare un modo per focalizzare, da un lato, gli

assunti fondamentali dell’etnografia, dall’altro le tematiche inerenti all’uso di strumenti

tecnologici. Tuttavia un’etnografia virtuale implica una serie di presupposti

metodologici che, in un certo senso, contrastano gli aspetti più peculiari della ricerca

antropologica convenzionale: non ci si può immergere nella vita sociale del contesto

studiato, non si ha un rapporto faccia a faccia né una conoscenza diretta degli individui

che producono quegli elementi culturali che vengono scambiati, fatti circolare

all’interno della Rete e che si stanno analizzando.

Detto ciò restano ancora irrisolte molte questioni metodologiche ed etiche sulla

possibilità di condurre un’etnografia in internet:

“Ahora bien, ¿qué significa hacer una etnografía de internet o en internet?

¿Podemos hablar de una etnografía de foros electrónicos, páginas web, chats o

blogs? ¿Podemos aplicar el método etnográfico para el estudio de YouTube,

Flickr, Ortkut o MySpace? ¿Cómo adaptar las técnicas de la observación

participante o la entrevista a la comunicación mediada por el ordenador? ¿Cómo

tratamos la mediación tecnológica en nuestras relaciones en "el campo"?

¿Podemos limitarnos al estudio de las relaciones online o debemos incluir también

la vida fuera de la pantalla?” 67

Personalmente ritengo che l’equivoco maggiore che un’etnografia virtuale possa

portare con sé sia quello di una virtualizzazione dell’etnografia. In poche parole, credo

sia necessario tenere a mente che i particolari contesti nel cyberspazio non sono repliche

virtuali di possibili realtà. Ritengo sia molto più plausibile pensare a questi scenari come

a una vera e propria produzione culturale a sé stante, un ‘mondo’ totalmente nuovo e

costruito, fatto di relazioni e produzioni culturali. 67 Estalella & Ardèvol, 2007:3

64

Page 67: Navigare verso Zanzibar

Dunque il mondo virtuale, a mio avviso, dovrebbe essere visto come un prodotto

che genera situazioni peculiari che danno vita a relazioni, acquisizioni di conoscenze,

nuove costruzioni identitarie, nuove comunità che non sarebbero possibili nella vita

quotidiana. In breve: non tratterò il cyberspazio come una proiezione della vita reale su

una piattaforma virtuale che, secondo le sue regole, tenta di produrre un nuovo mondo

plausibile, bensì come una sorta di ‘cultural artifact’ 68, modellato da moltissime mani,

che attraverso le sue caratteristiche permette agli attori di crearsi un vero e proprio

ambiente sociale altro. Infatti, come sostiene Walther (2002), condurre una ricerca in/su

internet non significa avere a che fare con esseri umani.69 In parte per necessità e in

parte per scelta, la mia si può identificare come una “distanced research”, che si fonda

“by the evaluation of sources such as texts, images, or emoticons and the

observation (but not participation in) of social interactions in online spaces”. 70

Il mio lavoro, come qualsiasi altra etnografia virtuale, non si è basato su una

interazione faccia a faccia con i soggetti protagonisti delle relazioni studiate, che come

suggerisce Hine (2000b:43-9) è uno degli assunti fondamentali che contraddistingue la

ricerca antropologica. Tuttavia, sebbene in qualche caso sia possibile triangolare i

risultati di un’indagine condotta su internet con l’incontro faccia a faccia con i propri

‘informatori’, nella maggior parte delle ricerche questo porrebbe

“the ethnographer in an asymmetric position, using more varied and different

means of communication to understand informants than are used by informants

themselves […] The symmetry here is that of the ethnographer using the same

resources and the same means of communication as available to the subjects of

research” 71

In fin dei conti la maggior parte degli ‘abitanti’ del cyberspazio non si sono mai

incontrati e probabilmente non hanno né intenzione né interesse nel farlo, quindi

sebbene sia più che plausibile ritenere appropriata un’interazione faccia a faccia nelle

etnografie ‘tradizionali’,

68 “The internet is as much a discursively created object as a single, given artifact” (Hine, 2000b:27)69 “The analysis of Internet archives is not human subjects research if a researcher does not record the identity of the

message poster and if the researcher can legally and easily access such archives”. (Walther, 2002:207)70 Evans, 2010:371 Hine, 2000b:48-9

65

Page 68: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

“ a more sceptical and symmetrical approach suggests that it should be used with

caution, and with a sensitivity to the ways in which informants use it” 72

Appuntato ciò, a questo punto ritengo necessario esplicitare quali possano essere

gli oggetti di studio di un’etnografia virtuale, come possano essere studiate le relazioni

costruite nel cyberspazio, quali siano le caratteristiche delle ‘comunità virtuali’ che le

rendono contesti interessanti per l’antropologia e, infine, in che modo le informazioni e

i beni scambiati al loro interno abbiano un impatto nel mondo reale.

Per cercare di argomentare la pertinenza di uno studio antropologico su internet e

delinearne le caratteristiche partirei da un dato che reputo fondamentale: la parola

chiave che determina le motivazioni alla connessione è ‘condivisione’. Secondo lo

studio condotto da Aime e Cossetta, nel connettersi al web ci si aspetta che i suoi

frequentatori mettano a disposizione dei contenuti da poter acquisire in modo rapido,

comodo e gratuito (Aime e Cossetta, 2010:43-4). La cooperazione è il concetto chiave

di ogni sistema complesso e la rivoluzione di internet ha prodotto una “non marked

networked economy” (Carlini, 2009). Il Web, quindi, risulta essere un vastissimo terreno

di scambio. A mio avviso, da un punto di vista antropologico, l’aspetto più interessante

consiste nel tentativo di individuare i processi di collaborazione, condivisione,

cooperazione e scambio che avvengono all’interno di reti che si sviluppano a partire da

relazioni che hanno caratteristiche spaziali e temporali non coincidenti con quelle del

mondo reale. In questo modo il pericolo di perdere di vista l’hic et nunc è sicuramente

dietro l’angolo: è palpabile l’impossibilità di definire un campo di ricerca che sia

delimitato nello spazio e contenga un gruppo più o meno identificato di individui che

condividono lo stesso contesto.

Nel ‘mondo di internet’ lo spazio non si identifica tramite coordinate geografiche

(anche se in realtà le indicazioni locali sono tendenzialmente sempre rintracciabili). Gli

‘abitanti di internet’ vivono e si spostano all’interno di ‘luoghi’ dalle diverse

caratteristiche e potenzialità: siti, blog, forum, social network, newsgroup, ecc. Immersi

nel World Wide Web, gli utenti hanno il dono dell’ubiquità, possono appartenere a

comunità diverse, costruirsi identità diverse, intrattenere relazioni sociali e scambi con

persone geograficamente molto distanti. Tutto ciò, che nel mondo reale richiederebbe

72 Ivi:49

66

Page 69: Navigare verso Zanzibar

una quantità di energie e di spostamenti, lo si può fare stando comodamente seduti

davanti a un computer73.

Questo pone un antropologo di fronte a soggetti che si legano in relazioni sociali

attraverso internet la cui identificazione sfugge ai più classici concetti di gruppo,

comunità, etnia, ecc. Chi si immerge nel mondo di internet entra a far parte di quelle che

vengono chiamate ‘comunità virtuali’, che dunque non avranno la forma di un gruppo

chiuso, dotato di un’esistenza chiara e ben delineata, bensì potranno essere identificate

come un network, che si ramifica in ogni direzione e si estende in modo indefinito e le

cui caratteristiche variano da persona a persona (Srinivas e Béteille, 1964:166). Il senso

di appartenenza e la costruzione identitaria si riproducono, dunque, anche in base alle

esperienze vissute in questi contesti. In particolare, come sottolineano Palfrey e Gasser

(2008:20), per i digital natives 74 non c’è rottura tra identità online e offline, poiché si

tratta di forme simultanee di costruzione identitaria, strettamente connesse l’una

all’altra.

Tuttavia la nozione stessa di comunità, nell’accezione data da studiosi come

Antony Cohen e Bnedict Anderson, concettualmente si avvicina molto a quella di

comunità virtuale.

“Secondo Cohen la comunità va intesa non nel suo senso lessicale ma in quello

dell’utilizzo. […] La comunità, secondo Cohen, quell’entità a cui uno appartiene, più

grande della famiglia e più ridotta di quell’astrazione che chiamiamo società. […]

Anderson riflette sul fatto che è possibile diffondere l’idea di una comunità o di una

nazione anche tra individui che non hanno nessun contatto face to face”. 75

Tuttavia, un elemento che sicuramente accentua la differenza tra le comunità reali

e quelle virtuali è la non necessità di instaurare relazioni. Lo scambio all’interno del

Web, infatti, può tranquillamente avvenire senza che il donatore e il ricevente si

conoscano o abbiano intenzione di farlo. Anzi, un certo grado di anonimato in questo

tipo di scambi è decisamente frequente. Questo può portare gli individui a elaborare un

73 L’idea di movimento (fittizio) è, in ogni caso, il concetto che meglio identifica il mondo virtuale, basti pensare alla terminologia del lessico comune che per descrivere le azioni degli utenti di internet utilizza parole come navigare,visitare, andare su (un determinato sito).

74 I Digital Natives vengono definite da Palfrey e Gasser come coloro che “were all born after 1980, when social digital technologies […] came online. They all have access to networked digital technologies. And they all have the skills to use those technologies” (Palfrey e Gasser, 2008:1)

75 Aime e Cossetta (2010:98-9)

67

Page 70: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

senso di appartenenza, rispetto alle comunità virtuali su cui si affaccia, ‘occasionale’,

labile, sfuggevole.

Radunando le idee espresse fin qui, credo emerga abbastanza chiaro il fatto che

internet possa essere un ambito di ricerca antropologica, tuttavia le sue peculiarità

portano il ricercatore a fare i conti con oggetti di studio atipici. Analizzando siti, forum,

blog e altre piattaforme simili si ha a che fare con le proiezioni espressive di individui

sconosciuti e perlopiù non conoscibili. In un certo senso si ha a che fare con oggetti

soggettivati: dietro a una frase, una richiesta, una foto c’è l’atto di un individuo,

determinato dalle sue motivazioni e dai suoi presupposti culturali. Tenendo fermo il

concetto di una spazializzazione altra rispetto a quella reale, questi individui e i loro

‘prodotti digitali’ possono essere considerati attraverso la rete di relazioni (più o meno

complesse) in cui si attivano. Ciò permette di andare a indagare in maniera pertinente

soprattutto le dinamiche che portano alla formazione di ambiti particolari di sapere, di

conoscenza, di informazione. Infatti, ciò che viene immesso in internet dai suoi utenti

sono soprattutto informazioni. Ecco, dunque, che appare chiara la potenza del Web, in

quanto media particolare, nella formazione di punti di vista, di conoscenze condivise, di

immaginari. Un esempio, quello dei forum, ce lo danno ancora una volta Aime e

Cossetta:

“Ci sono poi forum di carattere tematico ai quali si può partecipare per ottenere

informazioni su un determinato argomento: […] dal giudizio su un hotel

all’informazione su dove reperire un certo oggetto. In questo caso si tratta di

scambi di conoscenze finalizzati, […] come nel caso di giudizi su alberghi o

venditori, a creare una controinformazione dal basso, non ufficiale, alternativa alla

pubblicità” 76

Quella che i due studiosi chiamano ‘controinformazione dal basso’ è, a mio

avviso, una parte ampiamente significativa di quell’immaginario che ho cercato di

definire nel capitolo precedente. Si tratta nello specifico di una produzione di immagini

mentali, di conoscenze e informazioni che derivano da un’esperienza (quella individuale

o collettiva di chi mette a disposizione l’informazione) e che diventa potente grazie a un

altro tipo di esperienza, attribuibile a tutti coloro che, connessi in internet, fanno proprio

76 Aime e Cossetta, 2010:77

68

Page 71: Navigare verso Zanzibar

il contenuto ricercato. Se da un lato si determina una sorta di affiliazione dell’utente a

qualcosa che assomiglia a una rete virtuale, formata da coloro che possiedono un

determinato sapere o informazione, che padroneggiano una particolare competenza o,

che la pensano in un certo modo su un determinato argomento; dall’altro, in senso più

ampio, viene riprodotto un certo approccio rispetto all’argomento in questione, si

mantiene vivo un determinato comportamento, approvato dalla ‘società virtuale’ (o da

una parte che risulta significativa per l’utente) e, in ultima istanza, si innescano processi

che rendono autorevoli modelli di comportamento.

Come ho già in parte accennato, queste piattaforme virtuali, che permettono lo

scambio di informazioni, hanno una diffusione e una rilevanza importante anche

all’interno del processo turistico. L’immagine mentale di una località, costruita

attraverso i resoconti e le diverse produzioni espressive di chi ne ha fatto esperienza,

diventa la base con cui qualcun altro inizia il proprio viaggio, con cui inizia a muoversi

nel contesto turistico e attraverso cui inizia a metabolizzare le informazioni che la

propria esperienza del luogo gli fornisce. È la specificità del mezzo (blog di viaggiatori,

forum in cui si discute di turismo, ecc) che contribuisce a conferire autorevolezza

all’informazione, insieme al suo status pubblico e quindi sempre passibile di smentita,

di riappropriazione, di revisione.

In quest’ottica, Laura Gemini sottolinea, per esempio, l’adeguatezza dei blog alla

narrazione di viaggio:

“il blog si presenta molto bene alla resa narrativa dell’esperienza di viaggio in cui la

performance si struttura come pratica di costruzione di spazi di discorso, come

ridefinizione dei tempi, come possibilità di risposta immediata, per la creazione di

circuiti di relazione adeguati alle esigenze che una certa comunità di viaggiatori

esprime”. 77

Questa componente processuale dell’immaginario turistico va ad aggregarsi in

modo abbastanza organico con quella, più strutturate e programmata, giocata da

istituzioni e attori commerciali, che puntano proprio sulla riproduzione di una

determinata immagine del luogo funzionale ai loro interessi politico-economici.

77 Gemini, 2008:159

69

Page 72: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Come sostiene Ugo Volli, da un lato il turista è una chiave estremamente utile per

comprendere un intero immaginario collettivo, fatto di miti e stereotipi, dall’altro

“per essere visitato e ‘consumato’, un luogo deve prima essere raccontato: da chi

ci è già stato – altri viaggiatori e turisti –, dalle agenzie di viaggio e dalla pubblicità,

ma anche dai media e dalla letteratura, e non da ultimo da chi vi abita”. 78

Internet offre a tutti questi attori spazi adeguati a raccontare le peculiarità di un

luogo, a dipingerne un’immagine mentale che finisce per concretizzarsi nei

comportamenti turistici.

Ricollegandomi, a questo punto, a quanto detto nel capitolo precedente circa

l’immaginario, in particolar modo al suo valore performativo, appare evidente come

internet sia uno strumento comunicativo a disposizione dell’uomo e, in quanto tale, la

sua funzione non è limitata al passaggio di informazioni, alla descrizione di una realtà.

Riprendendo le teorie di Austin (1962), Matera afferma che ogni qualvolta

comunichiamo, compiamo delle vere e proprie azioni, dunque il linguaggio finisce per

essere uno strumento attraverso il quale la realtà si costruisce. L’importanza di studiare

un contesto comunicativo, dunque, implica anche e soprattutto studiare il modo in cui

gli individui, da un lato, partecipano, agiscono, costruiscono e usano tale contesto,

dall’altro mettano in atto forme di comportamento e di apprendimento proprio a partire

da ciò che in tale contesto viene comunicato (Matera, 2006:67-86). Gli strumenti che

internet mette a disposizione, dunque, risultano particolarmente interessanti in quanto

fenomeni comunicativi non verbali che, come ho già avuto modo di sottolineare,

sottostanno a un complesso di regole diverse da quelle degli strumenti di comunicazione

più ‘classici’.

78 Bonadei e Volli, 2003:7

70

Page 73: Navigare verso Zanzibar

4. ESPRESSIONI - Zanzibar nei racconti dei turisti e i turisti nei

racconti di Zanzibar

4.1. “La gente si fida della gente come lei”

Un sabato mattina, mentre ero nella fase centrale della mia analisi, ricevo una

telefonata dalla mia compagna che mi suggerisce di accendere la radio, perché su Radio

Popolare79 sta andando in onda una trasmissione in cui parlano di turismo e secondo lei

potrebbe risultare utile per la mia ricerca. Riesco a sintonizzarmi in tempo per ascoltare

le ultime battute dell’intervista che Claudio Agostoni, speaker dell’emittente, sta

conducendo con Alberto Solenghi, direttore di Turistipercaso Magazine, per la

trasmissione Onde Roads. Colgo subito la pertinenza delle tematiche affrontate fra i due

con quelle da me trattate: la puntata verte infatti su come ci si informa prima di partire

per un viaggio, quali strumenti si utilizzano, se si usa internet oppure guide e riviste.

L’intervista verte pressoché sul topos ‘internet ha fagocitato tutto e molte riviste

cartacee sono in crisi’. L’eccezione tuttavia sembra essere proprio il magazine diretto da

Solenghi, il cui punto di forza è la raccolta e la selezione dei racconti di viaggio inseriti

sul loro sito internet dagli utenti e quindi pubblicati all’interno dei vari numeri del

periodico cartaceo.

“Le riviste più importanti non sono andate a intercettare quello che i lettori

andavano cercando […] La gente si fida della gente come lei, ci si riconosce, se

uno legge un diario di uno che è stato nel deserto prova le stesse emozioni” 80

79 Radio popolare è una testata radiofonica registrata al tribunale di Milano il 24 dicembre 1975

“Fin dal 1976 Radio Popolare vuol dire informazione libera e comunicazione indipendente, perché autonoma da entità editoriali e politiche. Radio Popolare è controllata dalla Cooperativa dei lavoratori e dei collaboratori, nonché da un diffuso azionariato popolare: sono le componenti principali di Errepi S.p.A. la società per azioni che edita dal 1990 Radio Popolare. Dal 1992 è collegata in network con altre radio italiane e dal 2001 il segnale di Radio Popolare si può ascoltare in tutta Europa e parte dell’Africa e del Medio Oriente attraverso il satellite” (www.radiopopolare.it/chisiamo/storia/sintesi).

80 Alberto Solenghi (estratto dall’intervista radiofonica andata in onda su Radio Popolare il 19 febbraio 2011)

71

Page 74: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

“La gente si fida della gente come lei”. Questo sarà uno dei temi-chiave con cui

leggere le prossime pagine. La condivisione dell’esperienza, delle emozioni provate, ma

anche degli strumenti usati per esprimerle porta a una circolazione di immagini che

seguono percorsi creativi e generativi del tutto singolari, finendo per delineare un

immaginario di Zanzibar che diventa reale, che induce a tenere comportamenti, a

trovarsi in situazioni, a leggere contesti attraverso griglie prestabilite.

I siti internet dedicati a raccontare (secondo le diverse forme espressive) i propri

viaggi sono innumerevoli, senza considerare i blog personali di chi preferisce uno

spazio interamente proprio per descrivere a tutto il mondo il viaggio appena concluso.

Spesso questi siti, che forniscono uno spazio per la narrazione dei viaggi, hanno anche

un forum dedicato allo scambio di informazioni e sezioni dove pubblicare le proprie

foto. Per i filmati, infine, la risorsa più consistente è certamente YouTube.

La quantità del materiale disponibile è tale da rendere appropriata una selezione

preliminare. Internet, da questo punto di vista, in un certo senso assomiglia a un museo,

dove i ‘manufatti’ vengono conservati ed esposti in ‘vetrine’ secondo determinati criteri.

Questo permette di aver a che fare con un panorama di materiali prodotti in momenti e

luoghi diversi, per cui la necessità di delimitare il proprio campo acquista un duplice

significato: cercare di circoscrivere la comunità che si intende studiare, in modo da

raggiungere esiti significativi dal punto di vista della produzione culturale; riuscire a

fare in modo che la vastità dei contenuti significativi disponibili non dia luogo a una

ricerca dispersiva, che finirebbe per perdere le sue coordinate di base. Così ho ritenuto

opportuno fare una prima selezione di spazi virtuali che fosse numericamente limitata e

geograficamente circoscritta a un’utenza italiana. La scelta di una delimitazione simile

non è stata dettata solamente dalla possibilità di una miglior comprensione degli

argomenti trattati, spesso espressi attraverso forme linguistiche decisamente informali.

La principale motivazione, infatti, è da ricercarsi nel fatto che la maggior parte dei

turisti che atterrano a Zanzibar, come ho già accennato nel primo capitolo, proviene

proprio dall’Italia. Invece non ho ritenuto fruttuoso tentare di restringere ancora il

campo prendemdo in considerazione solo racconti di determinati ‘tipi’ di turisti (fai da

te piuttosto che all inclusive, leisured piuttosto che esperienziali, ecc.) perché ho

ritenuto più coerente analizzare il quadro complessivo dell’immaginario che producono

i racconti di viaggio, dal momento che saranno una fonte conoscitiva per ogni turista

72

Page 75: Navigare verso Zanzibar

che decida di acquisire informazioni attraverso internet, a prescindere dalla tipologia

con cui lo si vuole categorizzare.

Gli italiani a Zanzibar, tuttavia, non sono solo turisti: molti albergatori, cuochi o

ristoratori provengono infatti dalla nostra penisola. Questo contesto, indubbiamente,

non può non essere messo in relazione con quel senso di spaesamento sempre minore

che caratterizza il turismo postmoderno. Nel caso di Zanzibar la bolla ambientale

sembra andare oltre una semplice condizione determinata dai diversi mediatori che

accompagnano il turista (dal tour operator alla guida locale) per attenuare lo shock

dell’incontro, sembra mettere in gioco una maggior condivisione di valori culturali, di

senso di appartenenza, di valori ma anche di sapori, di esperienze condivisibili, di

possibilità di nuove conoscenze. La percezione del ‘sentirsi come a casa’ è spesso

evidenziata e la frequentazione di ristoranti dalla cucina italiana, piuttosto che la

compagnia di compatrioti sembra agevolare tale sentimento.

Emblematico è il diario di viaggio di Enzo di Roma:

“Il titolo "Zanzibar come a casa propria" è legata proprio a quest'aspetto...

La cordialità e simpatia dei proprietari Tony (ex tassista romano originario dell'isola

di Ponza), la moglie Carla e i loro 5 figli si è amalgamata con tutte le 8 coppie ospiti

trasformando il concetto di soggiorno in un resort ad un soggiorno presso una casa

di amici...“ 81

Anche quando non si ritrovano espressioni così esplicite, sembra che comunque

l’avere a che fare con italiani (sia che si tratti di turisti che di ricettori) o comunque con

elementi che attutiscano il senso di distacco dal proprio contesto abituale, non lasci mai

indifferenti, tanto da produrre un evidente bisogno di comunicare questo confronto con

la propria, lontana, domesticità. In alcuni casi questo incontro assume una valenza

chiaramente positiva, come nell’esempio precedentemente mostrato, o come in quello di

Daniela e Diego, riportato qui di seguito.

“Per finire e chiudere il buco lasciato dal Dolphin: LA FENICE (zona Shangani).

Ristorante tipico italiano, gestito da una coppia di italiani. La figlia organizza safari

ad Arusha. Abbiamo preso solo una macedonia di frutta con una pallina di buon

gelato (6000tsh) E il dolce Tiramisù (buonissimo come lo mangereste in Italia).

Vero ristorante italiano,si nota il tocco europeo,il proprietario è gentile,pronto a

81 Enzo di Roma, 2/9/2008 ( www.turistipercaso.it)

73

Page 76: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

parlare e disponibile ad aiutare, ci ha dato la possibilità di aggregarci a lui il giorno

dopo per visitare il mercato locale. Ottimo caffè espresso pagato 2000tsh (1 euro =

1800tsh).

[…]

Nell'attesa dell'aereo e pausa relax nella terrazza del ristorante: AMORE MIO

(zona Shangani dopo la Fenice e il Plaza). Gestito da italiani ma mantenendo lo

stile zanzibarino. Alla Fenice sembra di uscire dall'Africa e tornare in Italia... in

questo ristorante rimani a Zanzibar”. 82

Anche Emmegi e Mara Speedy, nei loro racconti, mettono in relazione un

soggiorno positivo con riferimenti a gestione e frequentazione italiana:

“Zanzibar è stupenda!... profumi, colori, mare, spiagge... Ero al Ventaclub Karibu

sulla spiaggia Kiwengwa. E' un villaggio frequentato per la maggior parte, da turisti

italiani, cuochi italiani, animazione superlativa (Vito è un mito!) alloggi dignitosi,

puliti e spaziosi”. 83

“Il ristorante come tutte le costruzioni del resort sono di muratura bianca con tetto

in paglia. La gestione è italiana e quindi anche la cucina, che non ci farà

rimpiangere casa.” 84

Il desiderio di ritrovare elementi conosciuti, capaci di rievocare la propria

quotidianità e attutire in questo modo il distacco da essa, non è condiviso da tutti e si

trovano molte testimonianze, come per esempio quella di Peppone72 o delfinoblu55,

che lamentano l’eccessiva presenza di elementi riconducibili all’Italia o comunque a

qualcosa di conosciuto al quale, malgrado la distanza presa, si sente di appartenere.

“La situazione non sarebbe male, peccato che tale mucchietto di sabbia sia pieno

di gente che, non proprio nello spirito del posto secondo noi, schiamazza

rumorosamente…e gioca a racchettoni! Neanche a dirlo sono tutti italiani”. 85

“Una nota negativa è stato il tour dei delfini a Kizimkasi dove barche cariche di

turisti (italiani) inseguivano le povere bestie spaventandole e impedendole di

prendere il largo solo per permettere ai vacanzieri di gettarsi al volo dalle

imbarcazion per provare l'ebrezza di un tuffo tra i delfini.. Assurdo!” 86

82 Daniela e Diego, 2008 (www.markos.it)83 Emmegi, 2009 (www.markos.it)84 Mara Speedy, 30/12/2009 ( www.turistipercaso.it)85 Peppone72, 25/1/2011 (www.turistipercaso.it)86 delfinoblu55, 2/9/2010 (www.turistipercaso.it)

74

Page 77: Navigare verso Zanzibar

Anche il racconto di alex79bis sembra testimoniare la volontà di attuare un netto

distacco da tutto ciò che può ricondurre a una percezione del quotidiano:

“9 giorni girando l'isola in bicicletta e con i bus locali, lontani dai villaggi turistici

italiani!! Le cose più belle da vedere o fare? Vagare per Stone Town, mangiare ai

giardini Forodiani, visitare le spiagge in bicicletta fermandosi nei villaggi interni,

bere un aperitivo a Jambiani (Bahari bar), passeggiare nella solitaria e

meravigliosa spiaggia di Matenwe, giocare con le onde a Bweju...” 87

La massiccia presenza di turisti e operatori italiani, dunque, sembra non essere

indifferente agli stessi turisti, tanto che in alcuni racconti si scorge una certa

consapevolezza di come questo fenomeno di massa implichi una trasformazione del

luogo e del suo immaginario. Gli autori di alcuni diari hanno evidentemente elaborato il

concetto secondo il quale coloro che sull’isola operano nel turismo sono portati a

proporre un’offerta ai loro clienti che risulta fortemente determinata dal fatto che la

‘popolazione’ italiana sul suolo zanzibarino ha dimensioni considerevoli. Sembra che

chi lavora nel turismo tenti di evocare nel cliente italiano una sorta di sensazione di

quotidianità, processo che, come abbiamo visto, non lascia indifferenti gli stessi turisti,

tanto che reputano la cosa meritevole di essere raccontata a qualcuno, andando ad

alimentare, di fatto, l’aspettativa di ritrovare quello stesso scenario e quella stessa

sensazione in potenziali o prossimi viaggiatori verso Zanzibar. Come sottolinea

giannian, il contesto, spesso, viene costruito appositamente nell’ottica di attenuare il

distacco:

“Siamo solo italiani e questo fa sì che ogni cosa sia fatta per gli italiani. La cucina

(italiana ma con costante presenza di quella zanzibarina, entrambe veramente

ottime), l'animazione, il personale.” 88

Allo stesso modo il racconto di Brunella e Maurizio ci testimonia la

‘colonizzazione’ dell’isola da parte dei turisti italiani

“La presenza dei turisti italiani è veramente massiccia e sta condizionando

Kiwengwa: passeggiando per la spiaggia non si sente che parlare italiano, l’eco

87 alex79bis, 2007 (www.viaggiscoop.it)88 giannian, 6/4/2010 (www.turistipercaso.it)

75

Page 78: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

dell’animazione da un villaggio o da quello seguente si spegne solo quando ci si

distanzia un pochino.” 89

Parlando dei beach boys (ragazzi locali che offrono servizi turistici) Jonathan1982

ci racconta come l’impatto provocato dalla presenza degli italiani si esprima in

particolar modo in quell’interfaccia che mette in contatto turisti e una parte della

popolazione locale:

“Alla fine facciamo amicizia con alcuni di loro con nomi d’arte del tipo: Giovanni

Paolo III, Felipe Massa, Luca Cordero di Montezemolo, Pecorino Sardo e i loro

negozi, che si trovano lungo la spiaggia, si chiamano Gucci, Armani, Sampey, La

Rinascente ecc. Sanno parlare benissimo l’italiano e le altre lingue più parlate dai

turisti. 90

In conclusione l’associazione tra Zanzibar e l’Italia appare decisamente forte,

l’immagine dell’isola che esce da questo primo sguardo è quella di un luogo

relativamente ‘vicino’, dove poter ritrovare elementi che permettono al turista di non

sentirsi troppo spesato. La costanza con cui questo aspetto ricorre nei racconti, in

termini positivi o negativi, non fa altro che riprodurre questa immagine dell’isola e la

vacanza di chi si reca a Zanzibar, informato attraverso siti internet, risulterà determinata

da queste informazioni: il comportamento tenuto, le scelte effettuate e esperienze

ricercate dai turisti sull’isola saranno in parte influenzate anche dal fatto di sapere che

l’isola non è un posto così ‘lontano’. Tuttavia la complessità dell’immaginario di

Zanzibar, come cercherò di mostrare nelle prossime pagine, ‘nasconde’ molteplici

contraddizioni e sfaccettature, che emergono grazie proprio alla pluralità di voci che, in

modo autorevole in quanto ‘testimoni oculari’ (o meglio multisensoriali), parlano di

essa all’interno della descrizione dell’esperienza personale di un viaggio.

89 Brunella e Maurizio Piacentini, 2006 (www.cisonostato.it)90 jonathan1982, 2/2/2011 (www.turistipercaso.it)

76

Page 79: Navigare verso Zanzibar

4.2. Lontani da casa

L’approccio con cui si possono leggere le prossime pagine segue quel filone

teorico dell’antropologia del turismo che vede il viaggio come una struttura di

esperienza in cui l’individuo prima lo immagina, poi lo vive, quindi lo racconta (una

tripartizione, che come abbiamo visto ricalca la struttura del rito di passaggio). La terza

fase, il racconto di un’esperienza di viaggio, implica anzitutto il mettere in evidenza la

particolarità, le peculiarità, la straordinarietà (nel senso più letterale del termine, ovvero

extra-ordinario, fuori dall’ordine comunemente esperito) dei luoghi visitati. È così dai

tempi del Milione di Marco Polo (o probabilmente da prima ancora) e neanche lo spazio

virtuale si sottrae a questa regola non scritta. Chi si appresta a scrivere un diario di

viaggio su Zanzibar, dunque, lo fa soprattutto per sottolineare l’esperienza di un

contesto che si colloca decisamente lontano da quello della quotidianità: una

testimonianza che sancisce definitivamente il mutamento di status e la trasformazione

esistenziale che il turista subisce a seguito della propria esperienza di viaggio.

Tuttavia, come ho sottolineato poche righe sopra, da un certo punto di vista i

turisti italiani a Zanzibar si trovano ad avere a che fare, volenti o nolenti, con molti

elementi che attutiscono la distanza percepita dall’isola rispetto ad alcuni aspetti della

loro quotidianità. Allo stesso modo, però, nei vari diari di viaggio lo scarto tra le due

realtà è ribadito pressoché costantemente. Zanzibar, prendendo spunto proprio dal titolo

di uno di questi, diventa una sorta di “porta dell’Africa”,91 anzi, molte volte

nell’immaginario di chi ne ha fatto esperienza arriva a coincidere con essa e viene

associata, attraverso una finzione metonimica, all’intero continente. Ciò che è esperito

sull’isola e poi raccontato, ciò che si vede, si sente, si odora e si mangia diventano allo

stesso tempo elementi zanzibarini e africani: da un lato e in un certo grado questi

cedono parte della loro peculiarità contestuale (Zanzibar) a favore di un’attribuzione di

appartenenza più estesa e generalista, ovvero vengono rappresentati prima di tutto come

africani; dall’altro lato la loro esistenza viene contrapposta alla propria quotidianità, si

sottolinea la diversità rispetto al ‘proprio mondo culturale’. Questi due aspetti, in realtà,

non sono mai separati, anzi, si ritrovano inevitabilmente intrecciati, dal momento che la

‘distanza’ tra l’Italia e l’Africa, nell’immaginario dei turisti, sembra essere ben

maggiore di quella tra l’Italia e Zanzibar. 91 alzappav, 25/1/2009 (www.turistipercaso.it)

77

Page 80: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Di seguito, grazie al supporto di alcuni esempi, cercherò di mostrare attraverso

quali processi discorsivi e narrativi questa percezione e questo immaginario vengano

generati e riprodotti.

La fase di distaccamento dal contesto quotidiano termina all’arrivo a Stone Town.

Qui il turista inizia a esperire la distanza che c’è tra ‘casa’ e ‘Zanzibar’: ai suoi occhi già

l’aeroporto appare ben lontano dal modello standardizzato ‘occidentale’, in cui il

viaggiatore sa muoversi, sa cosa aspettarsi, cosa trovare e dove cercare ciò di cui ha

bisogno, il tutto senza la necessità di essere mai stato in quello specifico hub. Come

testimoniano jonathan1982 Stefano e Angela, quello di Zanzibar, invece è un aeroporto

africano…

“L’aeroporto di Zanzibar è piccolissimo e ci fa subito capire di essere in un paese

del terzo mondo!” 92

“Immaginate la ressa di quasi 200 italiani (erano arrivati quasi contemporaneamente

tre aerei) davanti ad un unico tavolino che mostrava una valigia alla volta. A quel

punto chi stava davanti urlava il nome appeso sul bagaglio e poi si passava il fardello

sopra alle teste di tutti. Ma d'altronde siamo in AFRICA NERA”. 93

Mettere a confronto gli aeroporti europei, che così bene incarnano il concetto di

nonluogo di Augé (1993), con quello della capitale zanzibarina, sembra un’attività a cui

non sfuggono nemmeno quei turisti che, come Tabata75, sono già stati sull’isola.

“Ricordavo il caratteristico aeroporto di Stone Town, una costruzione alquanto

‘atipica’ rispetto ai nostri moderni hub europei. E il ricordo non mi tradisce, ritrovo

infatti un insieme di persone, odori e rumori che danno l’idea di caos e disordine,

ma che invece, a ben guardare, sono perfettamente organizzati fra loro” 94

La ‘distanza’ percepita nei confronti dell’Italia viene espressa anche attraverso

riferimenti a odori e sapori differenti, del tutto diversi da quelli che si trovano ‘a casa

propria’. Come sottolineato nel capitolo precedente, l’immaginario si costruisce a

partire da esperienze non riducibili alla sola vista: i turisti postmoderni, quali

dimostrano di essere blu_oltremare e Stefano e Angela, vivono la propria vacanza

attraverso tutti i loro sensi: l’esperienza che fanno è totale.

92 jonathan1982, 2/2/2011 (www.turistipercaso.it)93 Stefano e Angela, 2007 (www.makos.it)94 Tabata75, 4/1/2011 (www.turistipercaso.it)

78

Page 81: Navigare verso Zanzibar

“Arriviamo a Uroa...Siamo sperduti in mezzo all’isola… Entriamo nell’hotel…

Meraviglioso… Capanne fiori... Masai… Finalemnte il profumo dell’africa…

Di nuovo per me essendo la seconda volta in continente africano.

[…]

Iniziamo col pezzo forte… Il mercato... Mercato del pesce e della carne... Che

fanno un po’ raccapricciare in quanto a pulizia... Ma superato ciò… C’è quello delle

spezie… Dei tessuti... Ecc. Girare per i vicoli è immergersi in un mondo nuovo.

Profumi odori… Puzze anche… Ma questa è l’africa ragazzi..” 95

“La frutta ha tutto un altro sapore rispetto a quella che arriva da noi. Ananas e

cocchi sono delicati e buonissimi”. 96

Come nel racconto di Tabata75, tutte le esperienze che i turisti fanno, attraverso

tutti i loro sensi, sembrano essere i testimoni inequivocabili della propria presenza nel

continente africano:

“L’odore del legno e dell’umidità ma soprattutto la bianca zanzariera posta sopra il

letto mi ricordano che sono in Africa, sotto l’Equatore, e che in queste zone la

malaria è ancora endemica e la gente muore.” 97

Quest’ultima citazione ci pone di fronte a un ulteriore elemento che contribuisce a

far percepire ai turisti il senso di distanza e di distaccamento dalla quotidianità e dal

proprio contesto ‘occidentale’: quello delle condizioni di vita. Questo, in realtà,

rappresenta una componente piuttosto complessa dell’immaginario di Zanzibar, che sarà

approfondita più avanti. Per il momento ciò che mi interessa sottolineare è il fatto che i

turisti italiani siano portati a rappresentare la percezione della diversità di Zanzibar

anche attraverso considerazioni e osservazioni circa la vita quotidiana della popolazione

locale. Questo tema narrativo non rappresenta certo una sorpresa: è facile aspettarsi che

chi racconta un viaggio in un contesto tanto diverso dal proprio finisca per contribuire

ad alimentare un tema di confronto tra il ‘proprio mondo’ e quello ‘altro’ in cui si trova.

Ecco come coniuga questo argomento Rachele Bruschi nel suo diario on-line:

95 blu_oltremare, 4/1/2010 (www.turistipercaso.it)96 Stefano e Angela, 2007 (www.markos.it)97 Tabata75, 4/1/2011 (www.turistipercaso.it)

79

Page 82: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

“Quella purtroppo è la vera Africa che il mondo non guarda. Il turista non se ne può

stare chiuso nel villaggio del grande tour operator o al più starsene nella grande

spiaggia di Kiwengwa e non fare lo sforzo di girare l'angolo e vedere. Lì in quel

villaggio arroccato nelle colline sopra la spiaggia dove non arrivano i regali dei

turisti, si vive all'africana senza il minimo accenno a quello che può essere definito

umano. Amos mi ha fatto vedere realmente le loro condizioni. Laggiù sulla spiaggia

è il lavoro e quello che il turista deve vedere nella sua vacanza, ma non è in quel

modo che si vive, che i bimbi vivono”. 98

Dal canto suo, Erica, esprime invece una vaga eco di evoluzionistica memoria: il

confronto sembra portare a una proiezione sull’altro della propria purezza perduta:

“A Zanzibar abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare le bellezze dell'Africa

e ad osservare le contraddizioni di questa area. Le ricchezze della natura e del

suolo si scontrano con la povertà di un notevole numero di persone che, tuttavia,

sono sempre sorridenti e felici. Qualche volta conviene lasciare le nostre certezze

per scoprire com’era il mondo una volta”. 99

Il contrasto tra le condizioni di vita della popolazione locale e quelle degli stessi

turisti, considerati sia nel loro contesto quotidiano che in vacanza, sembra non lasciare

indifferente Mary:

“La discrepanza fra il trattamento riservato a noi turisti, e la povertà assoluta degli

autoctoni è, come in altre zone del mondo, molto forte. Nei villaggi vacanze ci

abbuffiamo di ogni ben di Dio culinario e facciamo la vita da "snob", mentre nei

villaggi veri si combatte per la sopravvivenza. L’Africa interpella le nostre

coscienze”. 100

In questi passi e in altri non citati si riscontra la necessità di raccontare una

differenza che in qualche modo appare strettamente connessa al processo turistico. Il

contrasto tra turista e vita dei locali, in alcuni casi, sembra essere predominante rispetto

a quello tra italiani e gli stessi zanzibari. Fare esperienza delle condizioni di vita della

popolazione zanzibarina in veste di turista in molti casi sembra provocare una sorta di

scollamento tra la propria identità temporanea (quella di turista appunto) e il proprio

senso di appartenenza a un sistema culturale e di valori più ampio e costruito nel tempo

98 Rachele Bruschi, 31/10/2004 (www.turistipercaso.it)99 Erica, 2009 (www.cisonostato.it)100 Mary, 2007 (www.cisonostato.it)

80

Page 83: Navigare verso Zanzibar

(l’essere italiano, un’identità che potremmo chiamare nazionale, ma in senso lato).

Forse una chiave di lettura che possa spiegare meglio questa situazione ce la da il diario

di Robimir quando dice:

“la prima sensazione provata nell’attraversare le casette di fango e pietra è quella di

trovarsi davvero in Africa, ed un misto di tristezza e inadeguatezza ci pervade” 101.

L’elemento che in questa frase cattura maggiormente la mia attenzione è

l’espressione “trovarsi davvero in Africa”. La complessità e criticità di questa

affermazione probabilmente meriterebbe uno studio a sé. Il punto su cui vorrei porre la

mia riflessione è il fatto che il turista si esprime come se ciò che ha visto e che ha

esperito, la percepita ‘africanità’ fatta di casette di fango e pietra, di fatto fosse frutto di

una costruzione, di una finzione (nell’accezione più letterale del termine, da fictio),

come se il contesto in cui si è trovato fosse lì per lui (e non il contrario). L’impressione

che suscita questa frase, quanto meno nell’interpretazione che riesco a darne io, è quella

di una persona in visita a un parco divertimenti o a un set cinematografico, dove la

riproduzione del contesto è talmente ben fatta da sembrare di essere ‘davvero’ in Africa.

Come dice Augé (1999), il turista cerca sempre meno ‘l’autentico’, o meglio, lo

costruisce nel proprio immaginario e lo tende a confrontare con le ‘simulazioni’ che

esperisce. In questo caso Zanzibar, evidentemente, non è un parco giochi, ma

l’approccio che sembrano avere i turisti è del tutto simile: ricercare ciò che gli propone

la propria immagine mentale di Zanzibar. Se questa può essere una chiave di lettura

utile a spiegare la priorità dell’identità turistica rispetto a quella nazionale nel confronto

con la popolazione locale, riprendendo il concetto proposto da Aime di incontro

mancato, si può ipotizzare che il turista si trovi in una duplice ‘bolla ambientale’: da un

lato ci sono tutta una serie di elementi contestuali che mediano l’incontro ed evitano il

trauma del distacco, dall’altro sembra che un elemento di mediazione del tutto simile

consista nell’immagine mentale che gli stessi turisti hanno tanto di loro stessi quanto di

Zanzibar. Mi spiego meglio. Di fatto sembra che il turista utilizzi il proprio immaginario

finendo con l’astrarre la propria esperienza rendendola un oggetto, reificandola ed

essenzializzandola. L’impressione di trovarsi davvero in Africa, dunque, ci mostra il

turista all’interno di un contesto che è altro sia rispetto a quello della propria

quotidianità, sia a quello della popolazione locale: un contesto che sembra costruito sul 101 Robimir, 10/04/2007 (www.ilgiramondo.it)

81

Page 84: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

rapporto che si crea necessariamente tra le immagini mentali che i turisti possiedono del

luogo e l’esperienza che fanno di quest’ultimo.

Questa che propongo è un’ipotesi che necessiterebbe sicuramente uno studio più

approfondito e una quantità maggiore di informazioni. I prossimi paragrafi tratteranno

altri aspetti legati all’immaginario turistico di Zanzibar, tuttavia sono convinto che

aiuteranno a chiarire meglio anche questo punto ancora piuttosto critico.

82

Page 85: Navigare verso Zanzibar

4.3. “Destinazione Paradiso” 102

Il tema appena trattato mi porta necessariamente ad aprire un altro capitolo legato

all’immaginario di Zanzibar, forse uno tra i più rappresentati all’interno dei racconti di

viaggio e, allo stesso tempo, controversi: la costruzione paradisiaca dell’isola.

Prima di addentrarmi nell’analisi della ricerca, vorrei mettere subito sul ‘tavolo’

alcune riflessioni che ne costituiranno il substrato necessario. Abbiamo già visto, nel

capitolo precedente, come nella costruzione degli immaginari turistici, soprattutto per

quel che riguarda le destinazioni più ‘esotiche’, si sia andato delineando il concetto di

‘paradiso’ legato al viaggio e in particolar modo a certe isole della fascia tropicale.

Prendendo questo come punto di partenza, è evidente come tale concetto, che da forma

a immagini di luoghi altamente desiderabili al di là di ogni possibile idea di piacere,

abbia poco di universale. Su questa immagine più che ogni altra, credo sia doveroso

sottolineare come la sua origine è determinata e contestuale, i parametri di riferimento

sono relativi: se l’immagine di un contesto viene costruita attraverso il concetto di

paradiso è perché un gruppo (in questo caso molto ampio) condivide determinati valori

di desiderabilità rispetto a particolari condizioni di fruibilità del luogo stesso. In breve,

credo sia necessario sottolineare, sebbene forse possa apparire piuttosto scontato, che

sono i turisti a mettere Zanzibar in relazione al concetto di paradiso, quei turisti che

provengono da un determinato ambiente culturale in cui tale concetto ha una particolare

valenza e connotazione. Quella di paradiso, di fatto, si tratta di una categoria utilizzata e

riprodotta dal polo dei guest, mentre quello degli host, al contrario, non necessariamente

la condividerà, in quanto molto probabilmente non condividerà quel complesso di valori

ed esperienze che, in un’ottica storica e processuale, l’hanno generata. Ciò indica che le

proiezioni mentali che un determinato gruppo di persone ha rispetto a un luogo e il tipo

di comportamento che è portato a tenervi sono strettamente legati a presupposti,

aspettative e possibilità diverse a seconda del gruppo in questione. Detto ciò, vediamo

in che modo Zanzibar viene definita e rappresentata dai turisti come un paradiso.

L’idea sembra gettare le sue radici prima della partenza e rafforzarsi con

l’esperienza sul posto. Digitando “Zanzibar” su un qualsiasi motore di ricerca,

operazione plausibilmente simile a quella che compie chi inizia a ricercare informazioni

in internet, il risultato ottenuto è lampante: la maggior parte dei risultati trovati si 102 Il titolo del paragrafo ricalca quello del diario di viaggio di linbo666, 2007 (www.viaggiscoop.it)

83

Page 86: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

riferisce all’isola da un punto di vista turistico (siti di tour operator, resort, guide di

vario genere, racconti di viaggio, informazioni generali, ecc.). Senza addentrarmi

troppo, poiché non è questo il mio ambito di indagine, in tutti questi siti si trovano

facilmente riferimenti a un’immagine di Zanzibar ‘eccezionale’, paradisiaca. Gli

esempi, come detto, sono innumerevoli, a partire dal sito della commissione turistica di

Zanzibar.

“Le spiagge paradisiache di Zanzibar sono esotiche come il suo nome”. 103

Tra le informazioni generali circa l’isola, che trovano su un sito di un Stefano

Molinari, fotografo-viaggiatore di professione, si può leggere:

“Zanzibar, paradiso con spiagge bellissime, piccole isole e isolotti dispersi nel mare

turchese. Zanzibar, il posto ideale per le vacanze al mare”. 104

Ancor più evocative e con forti riferimenti all’immagine di una Zanzibar

paradisiaca sono alcuni siti di promozione turistica:

“Zanzibar, il sognante arcipelago della Repubblica Unita della Tanzania, che si

compone delle due isole principali, Unguja e Pemba, ma anche di tantissime altre

isolette secondarie tutte bagnate da un mare di cristallo e punteggiate di atolli

paradisiaci, reef di pesci colorati e spettacolari spiagge di sabbia bianca”. 105

“Le spiagge di Zanzibar sono incantevoli, incontaminate e paradisiache: luoghi

dove rilassarsi al sole lasciandosi cullare dalle onde del mare”. 106

Particolarmente prolifico, all’interno del processo di riproduzione dell’immagine

paradisiaca di Zanzibar, è il sito di promozione turistica www.turistmo.it, che propone

gli articoli di Cognazzo Francesco Salvatore, Giurato Flaminia, e Martino Cecilia

“Era il 2010. E’ il 2010: sono trascorsi 42 anni quando lo scrittore John Brunner

scrisse il piccolo capolavoro. La società descritta nel romanzo "Stand on Zanzibar"

non è (ancora) quella temuta dall’autore. Per fortuna. E rimane un piccolo ed

103 www.zanzibartourism.net/it/coastaltourism.php 104 www.stefanomolinari.com/tanzania-zanzibar-363-info-generali105 www.inspiaggia.com/2010/12/06/il-paradiso-vi-aspetta-sulle-spiagge-di-zanzibar106 www.migliori-offerte-viaggi.it/zanzibar-spiagge-e-divertimenti-per-tutti-1623

84

Page 87: Navigare verso Zanzibar

autentico paradiso terrestre. Le spiagge e le foreste, i colori e gli odori, ed un surplus

ricco di cultura rendono l’isola una meta per una vacanza indimenticabile”. 107

“Accanto alle attrattive culturali, storiche ed architettoniche si affiancano

armoniosamente spiagge bellissime, mare cristallino, vegetazione lussureggiante e

paradisi naturali tutti da scoprire”. 108

“Distese di sabbia da vero paradiso esotico sono quelle che si estendono a nord

est della costa dell’Unguja: Matemwe, Uroa, Kiwenga e Mapenzi”. 109

“Ad essere ritenuto il paradiso subacqueo dell’Africa Orientale è l’isola di Misali,

adagiata all’interno del canale di Pemba e venerata come una preziosa area di

conservazione marina. Non da meno è l’isola di Chumbe e la sua barriera

corallina” 110

Altri esempi si trovano nei titoli di proposte di viaggio di tour operator, resort o

siti di promozione turistica, come: “Volo+Hotel Zanzibar: Paradiso tropicale

dell'Oceano Indiano”111, “Il paradiso a Zanzibar”112, “Un paradiso chiamato

Zanzibar”113, “Zanzibar, il tuo angolo di paradiso”114. Le fotografie che questi siti

associano alle loro descrizioni o promozioni esplicitano quale sia l’idea di Zanzibar

paradisiaca che intendono promuovere. I soggetti di queste raffigurazioni sono

pressoché sempre il mare, le palme, la spiaggia e gli alloggi: elementi che vengono

percepiti dal target a cui tale pubblicità fa riferimento come un connubio perfetto tra

relax ed ‘esoticità’. Il paradiso sembra essere quindi un posto dove rilassarsi, prendere il

sole su una bianca distesa di sabbia, potersi immergere in un mare dai colori più azzurri

che mai. Tutto ciò appare decisamente lontano dall’immagine di ‘casa’, di ‘quotidiano’

che hanno i turisti: il paradiso è sì affascinante ed esotico, ma è anche affascinante

perché è esotico.

107 Cognazzo Francesco Salvatore, 15/10/2010 (www.turismo.it)108 Giurato Flaminia, 20/02/2008 (www.turismo.it)109 Martino Cecilia, 13/07/2006a (www.turismo.it)110 Martino Cecilia, 13/07/2006b (www.turismo.it)111 viaggi.excite.it/volohotel-zanzibar-paradiso-tropicale-delloceano-indiano-N13380.html112 www.atrapalo.it/viaggi/il-paradiso-a-zanzibar_v17716.html113 www.regalo-idee.it/donato/index.php/614/un-paradiso-chiamato-zanzibar114 www.veratour.it/zanzibar-sunset-beach

85

Page 88: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Sopra: immagine della slide show del sito della Commissione per il turismo di Zanzibar (www.zanzibartourism.net)

In alto a sinistra: foto della recensione di Zanzibar di

Francesco Salvatore Cognazzo sul sito www.turismo.it

In alto a destra: una delle immagini della slide show del

sito del resort Veraclub di Zanzibar (www.veratour.it)

A sinistra: foto della pagina internet dedicata a Zanzibar

sul sito www.regalo-idee.it

Infine alcuni resort dell’isola, accodandosi a questa immagine, si sono dati nomi

come Next paradise, Ocean Paradise resot o Zanzibar Dolphin View Paradise 115; allo

stesso modo l’isola privata di Changuu, conosciuta anche come Prison Island, è stata

ribattezzata Changuu Private Island Paradise. Anche in questi casi vengono associate

fotografie assolutamente in linea con il concetto di ‘paradisiacità’ sopra riportato.

Foto in testata della pagina principale del sito dello Zanzibar Dolphin View Paradise (www.zdvp.com)

115 Rispettivamente www.zanzibar.it, www.oceanparadisezanzibar.com e www.zdvp.com

86

Page 89: Navigare verso Zanzibar

In alto: foto della pagina principale del

sito del resort Next Paradise

(www.zanzibar.it)

A sinistra: una delle foto della slide

show della pagina principale del sito

dell’Ocean Paradise Resort

(www.oceanparadisezanzibar.com)

Chi cerca informazioni su Zanzibar, dunque, si imbatterà necessariamente con la

costruzione di questa immagine, protesa a mostrare l’isola (o parte di essa) come una

summa di elementi estetici e rilassanti che tendenzialmente dovrebbero coincidere (o

fare in modo che così sia) con quanto ricercato dai potenziali o futuri turisti.

Se queste azioni di marketing inducono a instillare nell’immaginario di Zanzibar

questo elemento paradisiaco, ciò che sembra essere maggiormente rilevante per la sua

riproduzione sono ancora una volta le espressioni discorsive dei turisti. Il tema ricorre

numerose volte già dai titoli dei diari di viaggio: “Un angolo di paradiso”116,

“Destinazione paradiso”, “Un viaggio paradisiaco che ci ha cambiato la vita”, “Zanzibar

paradiso oppure no?”, “Il paradiso esiste”, “Ritorno in paradiso”, “Zanzibar, il paradiso”117,

“Zanzibar, passaporto per il paradiso”118, “Zanzibar: benvenuti in paradiso!!!!!”, “Zanzibar:

il mio paradiso”, “Vacanze a Zanzibar…benvenuti in paradiso”, “Zanzibar: un paradiso da

116 Lettore_992020, 2009 (viaggi.corriere.it)117 Linbo666, 2007; HakunaMatata, 2006; robscan, 2005; cri.dan, 2005a, 2005b; mrdga, 2004 (www.viaggiscoop.it)118 Pier Luigi Montali, 2003 (www.cisonostato.it)

87

Page 90: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

sogno”, “Una fetta di paradiso… Zanzibar” 119, “Zanzibar, un’isola, un paradiso” 120,

“Zanzibar: un paradiso dai mille colori” 121, ecc.

La forma ricorrente di associazione tra Zanzibar e il paradiso già nel titolo lascia

presagire una sorta di omologazione, di stereotipizzazione. Vediamo brevemente come si

presentano i contenuti degli stessi diari per cercare di capire in che modo questa immagine

si relazioni, da un lato, con il contesto e, dall’altro, con il complessivo immaginario

dell’isola.

Il diario di sfigatto, dal titolo “Impressioni su Zanzibar”, si mostra interessante per

come riesce a mettere in relazione, attraverso ‘pennellate’ altamente evocative, molti aspetti

dell’isola, che alimentano l’immaginario turistico, con il concetto di paradiso, che arriva

proprio alla fine, come a suggellare e a sigillare il quadro di Zanzibar:

Zanzibar è un caldo abbraccio che ti prende alle spalle quando scendi dall'aereo;

non aggressivo e prepotente come quello d'Egitto, ma avvolgente, lento,

suadente...

E' la strada asfaltata, eppure polverosa, che si perde dritta ed uguale tra palme,

eucalipti, alberi di spezie profumate; che sorpassa casupole dal tetto di lamiera, e

si lascia a destra e a sinistra sentieri sterrati che si inoltrano nel verde dove donne

accucciate intrecciano foglie di palma.

E' la spiaggia bianca che si allunga nel mare ad ogni cambio di marea e lascia allo

scoperto conchiglie granchietti alghe, e sorregge barche scure coricate languide

sul fianco, in attesa del ritorno delle onde per riprendere vita.

E' una frotta di bimbi che insegue il "dalla-dalla" del resort, coi piedi nudi, gli occhi

scintillanti e l'allegria di un nuovo gioco.

E' il masai, statua d'ebano di un Michelangelo nero, dalle treccine raccolte sul capo

- e poi lunghe sulla schiena - che dondolano aggraziate ad ogni movimento, come

la coda di un puledro che scalpita nel pomeriggio assolato o contro un tramonto

languido di nubi rosse.

E' una donna solitaria che cammina sulla spiaggia, il shari al vento, la cesta

ricolma di legna sul capo, il braccio sottile ripiegato a sorreggerla, lo sguardo perso

verso l'infinito.

E' il rumoroso, polveroso agitarsi del traffico e della gente di StoneTown, dei vicoli

scuri, delle bottegucce ricolme di merce accatastata nelle ceste, dell'incessante

offrire qualcosa in cambio di poco. 119 IlariaT., 28/10/2010; ZanzibarHeart, 7/7/2009; renatour, 11/3/2009; Emanuela Sassarego, 20/10/2004; Serena Lastrico,

3/9/2004 (www.turistipercaso.it)120 Viviana, 2004 (www.paesionline.it)121 robimir, 2007 (www.ilgiramondo.net)

88

Page 91: Navigare verso Zanzibar

Zanzibar è il sogno di un Paradiso perduto e il rimpianto di non averlo scoperto e

vissuto all'inizio della vita.122

Una descrizione come questa, che tende a evocazione immagini, è forse il miglior

esempio di come un individuo, nella fattispecie un turista il cu viaggio è già terminato,

contribuisca a produrre un determinato contesto comunicativo in cui la propria

espressione si lega a doppio filo con l’azione. Il dettaglio ‘pittorico’ con cui avviene la

descrizione riporta inequivocabilmente a un’esperienza compiuta e, allo stesso tempo, a

ogni capoverso l’autore costruisce un ‘pezzetto di realtà’, da forma alla sua immagine

paradisiaca di Zanzibar in modo che i potenziali lettori possano afferrarla, farne in un

certo senso esperienza ancor prima di visitare l’isola stessa. Questo esempio è utile

anche per accennare al fatto che, come vedremo anche attraverso altri casi, la profondità

descrittiva è la modalità preferita attraverso cui comunicare un’immagine paradisiaca,

che si lega anzitutto a fattori estetici, ma che sottende allo stesso tempo anche valori

etici e fattori emozionali. In questo processo, infatti, la descrizione non agisce mai da

sola, al contrario sembra accompagnarsi sempre a un certo investimento e ‘trasporto’

emotivo, al tentativo di esprimere le proprie sensazioni, di esplicitare ciò che si è

provato (o l’immagine che si ha di ciò che si è provato) in un determinato contesto.

A supporto di quanto detto riporto tre brevi testimonianze, ovvero i diari

pubblicati da HakunaMatata, linbo666 e cri.dan su www.viaggiscoop.it, che mostrano

come un connubio tra descrizione ‘pittorica’ ed emotiva contribuiscano a creare

un’immagine ben definita o comunque immediatamente fruibile da parte di chi sta

cercando informazioni su Zanzibar.

“Un viaggio paradisiaco che ci ha cambiato la vita!!!

Un paradiso del quale non sai neanche l'esistenza...una cultura che ti meraviglia, ti

incuriosisce...ti fa innamorare. L'Africa mi ha sorpreso...mi ha lasciato senza

parole, a volte con un pò di amaro in bocca, a volte mi ha fatto piangere, a volte mi

ha fatto ridere e sognare...Vivere e sorridere è per gli africani una prerogativa

molto importante...prima di scoprire tutto ciò riuscivo solo a sopravvivere...Se ora

ho imparato a vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo lo devo solo all'Africa...” 123

“Destinazione paradiso

122 sfigatto, 9/12/2010 (www.turistipercaso.it)123 HakunaMatata, 2006 (www.viaggiscoop.it)

89

Page 92: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

vacanza da sogno dove la poplazione sorride sempre....un salto indietro nel tempo,

i beach boys (ragazzi della spiaggia) che offrono escursioni a prezzi vantaggiosi

sono simpaticissimi......è chiaro ke molto dipende anche da voi nel senso di

adattamento...........e poi....gli aiutate e create un fonte di guadagno x loro....” 124

“Il paradiso esiste!

Tutto ha inizio perchè io e la mia amica Vale abbiamo deciso di concederci una

settimana al mare quando qui era inverno.... subito l'idea era per i Caraibi, poi però

la mia amica in agenzia ci ha proposto Zanzibar!!.... così siamo partite alla volta di

questo posto per noi sconosciuto!!!

Cosa dire... appena arrivate ci rendiamo conto della povertà che si trova fuori da

villaggi e alberghi, ma anche della bellezza del posto!!

I colori di quella terra e i visi di quelle persone credo che rimarranno per sempre

nel mio cuore... un posto così non si può dimenticare... ti rapisce e ti conquista...

quando vai via ti rendi conto di cosa significa "mal d'Africa"...

Io l'ho provato tanto che appena rientrata sono andata a prenotare nuovamente

per qualche mese dopo... dovevo tornare... dovevo riassaporare quei luoghi...

rivedere quei colori e godere di nuovo di quei sorrisi... Le persone li hanno poco e

niente, ma hanno dei sorrisi così veri e genuini che fanno capire le cose importanti

della vita... riescono ad essere felici senza perdersi dietro a cose inutili e superflue

come facciamo noi... sembrano luoghi comuni, ma è verità!!

Se volete concedervi una settimana in paradiso io vi consiglio decisamente

Zanzibar... se poi volete assaporare appieno la vita e le bellezze del luogo non

chiudetevi in un villaggio... Io sono stata a NUNGWI sulla punta più a nord

dell'isola in quella che è considerata la spiaggia e il tramonto più bello dell'isola! Li

non ci sono villaggi chiusi, ma alberghi che ti permettono di fare la formula

bed&breakfast visto che proprio sulla spiaggia c'è uno stupendo villaggio di

pescatori con caratteristici ristorantini sul mare e con pochi dollari puoi mangiare

pesce e gustosi piatti locali (fidatevi... io non riesco molto ad adattarmi per quanto

riguarda il mangiare, ma li era tutto molto buono...) Senza considerare la possibilità

di conoscere gli abitanti del villaggio...soprattutto ragazzi rasta o masai che

proporranno qualsiasi tipo di souvenirs senza però essere invadenti o

particolarmente insistenti... perchè come dicono loro... Hakuna Matata!!!” 125

124 linbo666, 2007 (www.viaggiscoop.it)125 cri.dan, 2005a (www.viaggiscoop.it)

90

Page 93: Navigare verso Zanzibar

Di quest’ultimo diario, per cercare di fornire un quadro più completo, riporto

anche delle immagini che sono state inserite a suo corredo. Per non trasformare le

prossime pagine in un ‘album fotografico delle vacanze’ ho dovuto necessariamente

sceglierne solo alcune (cri.dan ne ha allegate ben 43!) che ho ritenuto più interessanti

rispetto a quanto espresso dal racconto. Si tratta dunque della selezione di una selezione,

della mia interpretazione di ciò che cri.dan ha ‘interpretato’ essere più ‘bello’ o

rappresentativo o coerente rispetto quanto visto, esperito e fotografato.

Le fotografie, soprattutto utilizzate a corredo di un diario, sono un ulteriore

elemento espressivo che si aggiunge al processo di creazione e riproduzione

dell’immaginario. I soggetti fotografati possono ricalcare le immagini precedentemente

formate nella mente dell’individuo, possono derivare da particolari sensazioni esperite o

da entrambe le cose contemporaneamente. In ogni caso sono un eccellente supporto

visivo per costruire e fissare la memoria di una particolare situazione e in questo caso la

scelta di pubblicare fotografie, affianco a un diario che descrive una vacanza in un

91

Page 94: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

luogo paradisiaco, che ritraggono il mare di Zanzibar, il tramonto, i bambini, le palme,

le capanne, i negozietti sulla spiaggia, lascia pensare a una complessità di finalità ed

effetti: testimonianza della propria presenza nel luogo, resa visiva di ciò che si è voluto

intendere nel racconto, rappresentazione di una realtà, fissaggio di determinati ricordi.

Il racconto di cri.dan, preso come esempio tra le decine di diari che ho consultato

e di cuoi ho riscontrato un’impostazione molto simile, mi permette di proporre la tesi

per cui l’immagine del paradiso zanzibarino viene espressa attraverso diverse modalità e

facendo riferimento a un’esperienza che si sviluppa su molteplici livelli: si raccontano le

proprie emozioni, ciò che si vede, ciò che si assaggia o che si odora, le persone che si

incontrano, ma anche alcuni comportamenti e approcci alla vacanza in genere,

determinate scelte, determinati ‘modi di vedere’ Zanzibar. Il tutto si traduce in una serie

di consigli, anzitutto esplicitati nel testo, ma che nascondono una forza comunicativa

che va oltre il messaggio in sé. La trasmissione della propria immagine di Zanzibar,

legata a quella di paradiso, permette a chi consulta un diario di viaggio di avere

l’impressione di essere di fronte a un’incarnazione, una personificazione, una proiezione

dell’esperienza dello scrittore: la molteplicità dei sensi in gioco porta alla percezione di

avere a che far con un’esperienza che va oltre la virtualità del contesto, fino a evocare

un ‘vero’ dialogo con chi scrive, una ‘vera’ visita ai luoghi rappresentati, un ‘vero’

assaggio delle pietanze cucinate, una ‘vera’ conoscenza dell’isola e del suo aspetto

paradisiaco. Allo stesso tempo, però, mette in luce anche una dinamica di condivisione

dei valori che sottendono a questa stessa costruzione immaginifica.

A supporto di questa tesi introduco un altro elemento molto importante: i

commenti ai diari di viaggio da parte di altri utenti. Si tratta forse di una tipologia di

comunicazione che meglio ci aiuta a capire in che modo un tipo di racconto così

costruito agisca nei confronti di chi legge e, quindi, di come il lettore stesso elabori e

metabolizzi il messaggio che gli viene passato. Per dare un esempio concreto riporto qui

di seguito, per intero, la risposta di ely80 al diario di tabata75

“Lo chapeau te lo meriti tu....bellissimo ed intenso diario complimenti...mi hai fatto

tornare in mente un diario di un viaggio fatto in Kenya nel 2005, letto sul web,

bellissimo, ogni tanto me lo rileggo e piango sempre....a primo impatto mi

sembrava la tua "mano".......ma il mondo sarebbe troppo piccolo...

Condivido molti dei tuoi pensieri....in particolare questo:

92

Page 95: Navigare verso Zanzibar

«Chi dice che il paradiso deve essere fatto di comodità, agiatezza e progresso?

Chi dice che il paradiso profuma di deodorante per ambienti o di Chanel numero 5?

Io il mio paradiso l’ho sempre immaginato così, pieno di verità e libertà, quella

verità che non nasconde le difficoltà della vita e la libertà di essere me stessa,

amata o odiata per quella che sono, un posto dove il rispetto per quella terra che ti

fa sopravvivere è pieno e totale. Questo è il paradiso per me»

Parole sante le tue

Grazie di aver riportato anche me ai ricordi di quel bellissimo viaggio fatto in Kenya

l'anno scorso

...paese ricco di contraddizioni...i polli da spennare..hè hè...la povertà....la

miseria...gli "ovattati villaggo all inclusive"...ma alla fine qualcosa dentro ti resta...ti

resta per sempre!

Elisa” 126

Nella maggior parte dei casi i commenti possono essere visti come una sorta di

co-partecipazione all’esperienza letta, una modalità di interazione con chi racconta il

proprio viaggio, un tentativo di creare un legame. Possiamo concepire i commenti come

un effetto della produzione di un’immagine nella mente di chi legge, che proprio

attraverso il commento si esplicita. Esprimendo le proprie impressioni in questo modo si

comunica un certo grado di coinvolgimento empatico, emotivo, esperienziale e

valoriale. Chi lascia un commento, come quello di ely80, su un diario di viaggio,

anzitutto, dice qualcosa di sé e della propria identità: di turista (o aspirante tale), di

internauta, di individuo che virtualmente si sente appartenente a un gruppo di persone

che condivide (o rifiuta) un certo pensiero, una certa immagine. In secondo luogo ci da

indicazioni sul processo di costruzione immaginifica che un diario di viaggio produce: il

commento è una sorta di cartina di tornasole che da un lato mostra quali siano le

immagini che vengono recepite e in che modo vengano elaborate e metabolizzate e

quali siano le modalità espressive più ‘efficaci’ in questo processo. Dall’altro lato

mettono in evidenza in che modo l’aver compiuto (o essere in procinto di compiere)

esperienze simili e condividerne il racconto e la memoria porti a produrre un panorama

di immagini comuni, costantemente rivitalizzate e modellate, che hanno la forza di

126 Tabata75, 2/1/2011 (www.ilgiramondo.net)

93

Page 96: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

determinare specifici comportamenti e atteggiamenti, far prendere decisioni, stimolare

determinate sensazioni, sensibilizzarsi nei confronti di determinate esperienze. Gli

interventi di Monia74 e cocarum al già citato diario di robimir dimostrano proprio come

la narrazione e la condivisione di esperienze comuni porti ad esprimere il proprio

trasporto e la propria co-partecipazione, quasi a voler testimoniare che l’esperienza di

Zanzibar è unica (nel senso di una sola possibile), o per lo meno è unica per coloro che

riconoscono nei racconti altrui la restituzione di immagini, emozioni ed esperienze

proprie.

“Monia74

complimenti per il diario e per le bellissime fotografie. Io sono stata a Zanzibar

l'anno scorso e vedendo le vostre foto mi viene la voglia di ritornarci. Ero stata

qualche anno fa in Kenya e sono d'accordo col fatto che l'Africa ha un fascino

unico, che ti resta nel cuore. Peccato non poter viaggiare tutto l'anno!!!”

“cocarum

ho preso spunto dai reportage presenti in vari forum per una vacanza a Zanzibar,

sono rientrato mercoledì 5.12.07. Leggendo il tuo racconto ho vissuto tutti i

momenti di una fantastica vacanza, questo scorcio d'Africa mi resterà impresso per

sempre. Appena troverò un pò di tempo scriverò il mio racconto, con il desiderio

che possa servire a chi, dovendo programmare un viaggio, avesse ancora qualche

dubbio sulla scelta della meta. Per il momento ho messo un pò di foto nel mio blog,

già ho convinto molti che Zanzibar merita di essere vista! Ciao ingegnere

viaggiatore!

www.cocarum.spaces.live.com

Andrea” 127

Quando cocarum dichiara di aver “convinto molti che Zanzibar merita di essere

vista!”, esplicita molto bene quello che è l’esito finale di quel processo che è la

costruzione di un immaginario turistico attraverso la narrazione, ovvero partecipare alla

formazione di un certo pensiero che a sua volta induce a un certo ambito di

comportamenti, che nella fattispecie si traduce nel convincersi della bellezza di

Zanzibar e magari sceglierla come prossima meta delle proprie vacanze.

Ancor più espliciti sono i commenti al diario di Marco Ciccone su

www.cisonostato.it, che ha unito l’esperienza del safari in Tanzania con la tranquillità e

127 robimir, 10/04/2007 (www.ilgiramondo.net)

94

Page 97: Navigare verso Zanzibar

i relax del mare di Zanzibar. I suoi lettori infatti esprimono un condivisione di

esperienze che testimonia piuttosto chiaramente come la circolazione dei racconti

implichi allo stesso tempo una condivisione di valori, ricordi e immagini che tendono a

diventare elemento che segna una certa appartenenza e determina un certo status.

“Grazie Bea (ci troveremo per scambio foto ;-)) e Federico ... credo che tutti e tre

condividiamo le stesse sensazioni e la stessa filosofia di viaggio, Ciao Marco”

Tremal Naik il 20/10/2005”

“Che bello ricordare gli splendidi colori di Zanzibar: grazie Marco ;-)

BEA il 18/10/2005”

“Grande Marco, nella "tua" Tanzania ho ritrovato molto della "mia" (vd. diario "Un

tocco di magia africana"); abbiamo fatto più o meno lo stesso viaggio e, mi sembra

di capire, condiviso anche alcune delle grandi emozioni che ti dà quello splendido

Paese, compresa l'esperienza terrorizzante e paralizzante degli animali fuori dalla

tenda. Che voglia di tornare!!

Federico il 14/10/2005” 128

Nelle prossime pagine tenterò di rispondere a una serie di domande al fine di

chiarire certe dinamiche della costruzione dell’immaginario di una meta turistica:

esistono racconti che esprimono un contraddittorio rispetto alla maggioranza? Come

interagiscono con il resto delle narrazioni? In che modo esperienze comuni e

immaginario si influenzano a vicenda e come questo processo viene raccontato? In che

modo i consigli e i pareri di altre persone determinano queste stesse esperienze?

128 Marco Ciccone, 2005 (www.cisonostato.it)

95

Page 98: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

4.4. “Zanzibar controversa” 129

Il processo di costruzione dell’immaginario di una meta turistica, e di Zanzibar

nello specifico, è certamente cosa ben più complessa di un insieme di racconti di

viaggio in cui i viaggiatori esprimono i loro ricordi in modo entusiastico facendo

apparire tutto stupendo e paradisiaco.

Ho già accennato, nel paragrafo, precedente al fatto che Zanzibar è associata a un

ideale di paradiso da coloro che condividono un certo tipo di valori estetici e

determinate aspettative: in poche parole Zanzibar è un paradiso limitatamente alla

percezione dei i turisti, mentre la popolazione locale, che sull’isola ci vive

quotidianamente, non ne avrà una medesima visione. Nel primo capitolo, grazie a ciò

che ho potuto leggere sulla bibliografia che sono riuscito a recuperare, ho cercato di

mettere in luce alcuni aspetti critici che il processo turistico ha innescato nei confronti

della popolazione e dell’ecosistema zanzibarino. Le condizioni di vita degli zanzibari,

sicuramente, non si accordano al concetto di paradiso inteso dai turisti, che nell’usare

tale espressione sembrano riferirsi, oltre che a un contesto distinto da quello quotidiano,

soprattutto al panorama, all’ambiente circostante o, al massimo, a un approccio alla vita

più ‘sereno’ che riscontrano nella popolazione locale. Una certa assenza di criticità

sembra interessare il turista, sembra essere una sua caratteristica ontologica: l’essere

guest, vivere una temporalità differente, tanto dalla popolazione locale quanto da quella

del proprio contesto quotidiano, conduce a una percezione della meta del tutto peculiare,

che dipende direttamente dalla propria condizione e dalle proprie aspettative, finendo

per non considerare la possibilità di altri punti di vista. È anche in questo modo che una

meta turistica diventa un paradiso, perché vissuto in una particolare situazione: il turista

a Zanzibar percepirà la bellezza del panorama in modo strettamente connesso al fatto di

trovarsi in una condizione di relax, di distacco dal tempo della quotidianità e delle

obbligazioni che il proprio status sociale impone nell’agire di tutti i giorni. Il turista

italiano a Zanzibar, nella maggior parte dei casi, è portato a valutare ciò che lo circonda

e ciò che esperisce in termini ‘positivi’ anche circostanze che, a un’analisi più attenta,

forse potrebbero indurre a riflessioni maggiormente critiche, perché si trova egli stesso

in una condizione di mentale di abbandono di ogni questione opprimente, che invece di

129 Anche il titolo di questo paragrafo è tratto da quello di un diario di viaggio, ovvero bobpisto, 15/6/2006 (www.turistipercaso.it)

96

Page 99: Navigare verso Zanzibar

solito contraddistinguono la quotidianità. I turisti sembrano spesso apprezzare

l’approccio alla vita quotidiana dei locali, descrivendolo come sempre sorridente e ‘alla

giornata’: hakuna matata (nessun problema) e pole pole (piano piano) sono le

espressioni swahili che maggiormente ricorrono nei racconti, sia utilizzate in prima

persona dai narratori che attribuite agli zanzibari. I vacanzieri, nella maggior parte dei

casi, sembrano non contemplare la possibilità che il turismo (e i turisti) possano invece

portare con sé una serie di elementi critici che attivano un processo di riadattamento

della popolazione locale. Non sembra essere percepita la possibilità per cui i locali

mettano in scena un comportamento che non appartiene alla loro ‘essenza’ (quella

attribuita dai turisti stessi), ovvero abbiano, nei confronti dei turisti, atteggiamenti

indotti dalla stessa di questi ultimi.

Anche per quel che riguarda il panorama e la permanenza nei resort sembra non

esserci una percezione del fatto che il turismo sia intervenuto sull’isola attraverso

modalità che hanno generato criticità non poco importanti per il contesto locale. La

maggior parte degli alberghi e dei ristoranti sono di proprietà straniera, mentre la

popolazione locale riesce a inserirsi nell’industria turistica solo come mano d’opera o, al

massimo, come guide turistiche (alcuni di questi, tuttavia, dopo anni di lavoro sono

riusciti ad avviare piccole attività di accoglienza o ristorazione). I grandi villaggi-

vacanze offrono comodità per nulla sostenibili rispetto all’ecosistema locale (si veda il

primo capitolo) e decisamente lontane rispetto alle condizioni di vita della popolazione

zanzibarina. Quest’ultimo aspetto, come già accennato, in realtà è percepito in alcuni

casi come elemento di criticità, tuttavia, come vedremo meglio più avanti, il ‘problema’

sembra essere solo parzialmente avvertito come strutturale e sembra più che altro una

proiezione etnocentrica sulla popolazione locale di un bisogno di praticare sostegno e

carità tipico di una certa etica ‘occidentale’ (questo aspetto sarà trattato più

approfonditamente nel prossimo paragrafo).

L’immagine di Zanzibar che si riproduce all’interno del processo turistico per

opera dei vacanzieri (evidentemente influenzati dalla pubblicità e da altre informazioni

recuperate autonomamente che circolano all’interno dei circuiti del processo stesso) si

mostra dunque controversa agli occhi di chi la analizza dall’esterno, fatta di proiezioni e

reificazioni che nascondono (o storpiano) agli occhi dei turisti stessi determinati aspetti

che, nonostante siano esperiti, vengono percepiti in un’ottica aproblematica. Tuttavia

97

Page 100: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

non è solo in questo che consiste il carattere controverso dell’immaginario turistico di

Zanzibar. Talvolta, infatti, sembra esserci discrepanza anche tra la percezione di ciò che

i turisti esperiscono e raccontano, quindi degli elementi che si ‘gettano’ all’interno del

processo di creazione dell’immagine. L’immaginario di Zanzibar è dunque qualcosa di

complesso, che si determina da discorsi differenti, anche quando si tratta comunque

della voce dei turisti. Inoltre questo evidenzia come la percezione dell’unicità

dell’esperienza risulti essere un argomento critico, a sua volta costruito nel momento in

cui l’immaginario stesso si modella (anche su questo argomento mi dilungherò

maggiormente nel prossimo paragrafo).

Il caso più emblematico che ho riscontrato rispetto a questo tema è dato dai diari

di viaggio di Fabio Z 1, Chiara Ceolaro e bobpisto, apparsi su www.turistipercaso.it nei

primi mesi del 2006 e che riporto di seguito in forma integrale.

“Zanzibar isola della spazzatura

Anch'io di ritorno da Zanzibar, Sea Club Francorosso. Il villaggio è gradevole, con

una bella struttura centrale sotto un suggestivo tetto in makuti, e bungalow a due

piani con 8 camere sparsi in un giardino curato. Scendendo si arriva alla piscina

(con bar e punto snack per pranzo e aperto fino alle 18) e poi alla spiaggia, con

lettini in legno e corda e altri in plastica. Le stanze sono abbastanza grandi, ma

certamente non di lusso; i bagni hanno bisogno di qualche ristrutturazione. Camere

abbastanza pulite (ma i copriletti dovrebbero essere lavati urgentemente), con aria

condizionata, frigobar (vuoto), niente televisione (evviva!) e balconcino.

L'elettricità manca spesso e volentieri (non a caso ci sono candele in camera!).

Ristorante centrale a buffet, niente di eccezionale e piuttosto ripetitivo. Con tutto il

pesce e la frutta che ci sono a Zanzibar, tutti i giorni trovavamo il solito maiale (in

un paese musulmano) e il solito ananas... C'è anche un ristorante africano, su

prenotazione, buono e più intimo, piatti adatti a tutti.

L'animazione (a me non interessa) è sul genere imbecille-falso simpatico. Ho visto

organizzare cose non molto originali, elezione mister spiaggia, torneo di freccette,

torneo di beach volley. Mi sono perso tutti gli spettacoli serali, su cui l'opinione

generale era "volgari".

Escursioni: noi le abbiamo fatte con i beach boys, tutto ok, piccoli gruppi, si può

organizzare secondo i propri comodi. Non credete alla inutilissima ragazza delle

escursioni Francorosso, che cercherà di spaventarvi per poi vendervi escursioni

98

Page 101: Navigare verso Zanzibar

"gruppo vacanze piemonte" con settanta dico settanta persone in barca, o cento

dico cento persone tutte insieme al mercato di Stone Town!

IL PUNTO SCANDALOSO (e mi meraviglio che nessuno ne abbia mai parlato):

Zanzibar è una pattumiera a cielo aperto! Ovunque, ovunque sia passata almeno

una persona, c’è spazzatura. Ovunque, ovunque ci sono bottiglie di plastica e gli

immancabili sacchetti blu pieni di rifiuti buttati al sole, lungo le strade, lungo la

spiaggia, ovunque! Non rispondetemi: “ma l’Africa è così”!

All’isola del Safari Blu, frequentata solo da turisti, quintali di spazzatura e grossi

topi. All'ingresso del Bravo club (letteralmente due passi oltre il cancello) un campo

di immondizia lasciata lì a marcire, abbiamo visto gli altri villaggi ed è così

dappertutto. E'incredibile che questi tour operator non si curino minimamente

dell'ambiente che li circonda, non è certo piacevole per gli ospiti fare lo slalom tra il

pattume, e sicuramente non è igienico! Altro che malaria, si rischia di più l’epatite o

il tetano!

Per me sarà impossibile dimenticare tanta sporcizia e tanto menefreghismo, mi

chiedo come facciano altri turisti a continuare a scrivere frasi come "isola

profumata di spezie", "gente povera ma dignitosa" ... Possibile che si scambi la

puzza di pattume per profumo? e che dignità c'è a vivere con occhiali da sole e

cellulare in mezzo alla discarica, come fanno i finti masai della spiaggia di

kiwenga?

Rispetto la povertà e la sofferenza di chi vive con niente ma... Non scadiamo nella

retorica, per favore! o vogliamo illuderci a tutti i costi di essere stati in vacanza in

paradiso?

Quanto al comportamento dei tour operator, lo ripeto, è scandaloso. Eppure

avrebbero tutto l'interesse commerciale, non solo l'obbligo morale, di fare qualcosa

per questo problema. Il salario medio mensile a zanzibar è meno di 50 dollari...

Quanto costerebbe tenere pulito almeno nei dintorni del villaggio? Si può fare il

cambio, e ci guadagnerebbero tutti (anche i turisti): un animatore imbecille-falso

simpatico in meno e venti “operatori ecologici” in più! Tanto qualunque turista,

anche il più pigro, farà una passeggiata sulla spiaggia o un'escursione, e non può

non vedere lo schifo appena oltrepassato il cancello del ghetto-villaggio.

Un consiglio: se non siete mai stati a Zanzibar e fantasticate di un’isola da sogno,

ricca di storia, di vegetazione lussureggiante, di mare incantevole, di una

99

Page 102: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

popolazione genuina e amichevole... Non andateci!! È molto meglio continuare a

sognarla così, che vedere come è ridotta attualmente!” 130

“Zanzibar? che delusione!

CIAO a tutti. Eh si, già dal titolo avrete capito che la mia vacanza a Zanzibar non è

stata delle migliori. In effetti, sono rimasta delusa da quest'isola pubblicizzata come

paradiso, come isola profumata, come luogo dove la gente è ospitale e sorridente

dove i bambini ti regalano sorrisi per una caramella...

Ma fatemi una cortesia: finitela con questa falsa carità, con la convinzione di

portare felicità con caramelle e penne, con l'idea di pulirsi la coscienza portando ai

bambini in spiaggia le bibite dell'all inclusive!!!!!!

Sulla spiaggia di Kiwengwa ho visto comportamenti ridicoli, gente che si fa

fotografare mentre regala una bic a bimbi di tre anni, gente che finita la vacanza

porta in spiaggia gli avanzi degli shampoo e dei doccia schiuma, gente che dice la

classica frase "certo che sono poveri ma sono sempre sorridenti". Finiamola con

questo falso buonismo!

E poi Zanzibar, come un altro viaggiatore ha scritto, è una discarica a cielo aperto.

La gente del posto guarda i turisti come dollari che camminano, non hanno nessun

interesse a parlare con noi per conoscerci meglio, ma solo per sborsare qualche

dollaro; si accontentano di 5 dollari al giorno, ma in questo modo non li aiutiamo a

progredire un pochino, rimarranno sempre dei mendicanti!!!!.

Le società che gestiscono i villaggi si limitano ad occuparsi del perimetro che gli

appartiene, e girato l'angolo è uno schifo. Insomma sono convinta che vi siano

molti luoghi nel mondo migliori di Zanzibar, luoghi da dove torni con esperienze

che rimangono dentro di te.

Zanzibar ha un mare bellissimo e spiagge immacolate ma il rovescio della

medaglia è troppo strong. Jambo!” 131

130 Fabio Z 1, 18/1/2006 (www.turistipercaso.it)131 Chiara Ceolaro, 9/4/2006 (www.turistipercaso.it)

100

Page 103: Navigare verso Zanzibar

“Zanzibar controversa

Leggo con interesse e con tanta tristezza i resoconti tipo: "zanzibar che delusione",

"zanzibar isola della spazzatura", e non oso pensare cosa dira' l'eventuale turista

europeo nordico in visita nella nostra bella Italia, quando attraversandola si

imbattera' lungo le strade in montagne di rifiuti e discariche a cielo aperto,

montagne di lavatrici ,materassi,letti ecc. Ecc. E pensare che noi italiani ci

riteniamo una forza della natura! Posso esser d'accordo su tanti falsi buonismi,

comportamenti ridicoli, e falsa carita' che spesso contraddistinguono noi italiani

quando siamo all'estero e che così bene sono stati raccontati da chiara e redpills

(ma credeteci:non ne sono esenti neppure gli altri popoli) , ma non per questo mi

sento di esortare i miei simili a disertare quei posti meravigliosi!!!-anzi credo

fermamente che proprio la frequentazione sia il vero modo di poter scambiare

cultura e educazione e che a lungo andare sia la vera scuola di vita e per noi

popolo "sviluppato", e per loro "popoli sottosviluppati ".

ho frequentato dieci volte il kenya, due volte zanzibar, due volte la tanzania (non

perdetevi il parco di selous, il piu' grande del mondo e il fiume rufiji),e

fortunatamente molti altri paesi, ho lasciato per sempre un amico di viaggio in un

villaggio di zanzibar (chissa' ... Forse piacerebbe anche a me andarmene in una

terra così vera), ho visto la somalia prima della guerra e ho visto cio' che la stessa

ha spazzato via di cio' che avevamo costruito, ho visto poverta' e ricchezze

giustizie e ingiustizie (come in ogni altra parte del mondo), ma mai e poi mai mi

sentirei di erigermi a "picconatore" delle brutture altrui. A chi invita gli altri a non

andare chiedo solo se con loro la vita è stata così dura da renderli aridi e sterili...A

chi invece vorra' viaggiare , anche in mezzo allo sporco e alle stranezze della vita

con un minimo di comprensione, auguro ogni bene del mondo perchè credo (è una

convinzione personale) sia il vero modo di migliorarci tutti e di ridurre in futuro tutte

quelle brutture che così sapientemente qualcuno è riuscito a cogliere a zanzibar...

Buon viaggio.

andateci, andateci e godetevela e a chi gli fa proprio schifo ... Stia a casa, ma da

qualsiasi viaggio onde evitare di far brutte figure andando in paesi piu' evoluti!!!!” 132

Questi tre diari mettono in mostra un senso critico diverso rispetto a quello

espresso generalmente dai racconti degli altri viaggiatori. Oltre a mostrare quella

percezione di determinate criticità presenti nel contesto che poche righe prima ho negato

132 bobpisto, 5/6/2006 (www.turistipercaso.it)

101

Page 104: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

alla maggioranza dei diari di viaggio, evidenziano platealmente anche una differente

attribuzione di valore al panorama, o meglio, a essere diverse sembrano le priorità

percettive che la propria esperienza mette in gioco. Non si tratta di un’altra isola rispetto

a quella descritta da altri viaggiatori, ad essere altra è la predisposizione del turista che

compie l’esperienza133. Questi tre viaggiatori sembrano accostarsi molto bene al

concetto di turista esperienziale, per il quale il valore principale della vacanza non è

legato al leisure e al temporaneo abbandono delle obbligazioni quotidiane, bensì alla

possibilità di compiere un’esperienza tanto straordinaria quanto performante: le loro

aspettative reagiscono con la loro esperienza del contesto (ma anche con le esperienze

turistiche pregresse) in modo differente da altri viaggiatori il cui investimento sembra

più concentrato sul relax e sulla separazione dal quotidiano e che, infine, raccontano le

loro esperienze in modo maggiormente omologato. L’immagine del paradiso

zanzibarino, dunque, è messa in crisi non tanto perché non vengono raccontate la

bellezza del mare, delle spiagge o delle sue attrazioni visitabili attraverso le escursioni

organizzate, ma piuttosto perché questi elementi vengono sopraffatti da altri, tanto nel

momento della vacanza che in quello del racconto. In questo modo le conclusioni del

diario, dove solitamente si riassume la forza comunicativa della propria costruzione

immaginifica, sono decisamente diverse dagli altri racconti: nei primi due casi si esorta

a non considerare Zanzibar un paradiso e quindi a non recarvisi con quell’aspettativa. Il

terzo caso, che in realtà è una sorta di risposta ai primi due, non si pone in

contrapposizione con questi, sostenendo che raccontano una ‘falsa’ Zanzibar, non

ritiene che le loro parole non siano corrette, non nega che le descrizioni fatte possano

avere attinenza con la sua esperienza personale, al contrario, ciò che critica è il modo in

cui vengono espressi giudizi definitivi e perentori. In breve: non si oppone all’immagine

proposta, bensì all’uso che ne viene fatto, alla sua finalità comunicativa e quindi alla

forza attiva che sprigiona nel momento in cui viene condivisa.

Un ultimo aspetto che vorrei sottolineare circa la complessità e l’eterogeneità del

processo di costruzione dell’immaginario turistico di Zanzibar è pertinente al fatto che,

nella fase di ‘preparazione al viaggio’, quando cioè si raccolgono informazioni sul

luogo dove ci si sta per recare, si ha a che fare con una serie di input decisamente vario. 133 Questo al di là della questione della spazzatura, che potrebbe essere anche un fattore contingente, dal momento che solo

in questi diari è emerso tale problema, quindi è possibile che si sia trattato di una vicenda riferibile a un particolare periodo storico.

102

Page 105: Navigare verso Zanzibar

Se la consultazione dei diari di viaggio è utile al futuro turista per capire cosa lo aspetta

da un punto di vista esperienziale, altri tipi di informazioni passano per lo più attraverso

forum specifici, un’arena più ‘democratica’, dove chiunque può intervenire ponendo

domande, rispondendo a questioni specifiche, commentare, dirottare l’argomento su

aspetti ritenuti più interessanti, ecc. Per la maggior parte dei casi si tratta di

informazioni, consigli, pareri che riguardano la sfera pratica: fare o non fare

l’antimalarica, quale moneta utilizzare, fare le escursioni con i beach boys o con le

guide del resort, quale stagione ha il clima migliore, quale zona è più bella, quale

albergo più accogliente, se andare a Zanzibar o in un’altra località, ecc. Una sorta di

“controinformazione dal basso”, come la chiamano Aime e Cossetta (2010), che ha una

forza attiva non indifferente e che, di fatto, ha un peso importantissimo nell’indurre

scelte e comportamenti a loro volta veicolanti l’esperienza. Un sito in cui si trova un

forum particolarmente visitato e con numerosi interventi è www.cisonostato.it

(collegato a sua volta a www.turistipercaso.it). In questo spazio virtuale sono centinaia

le persone che, nel corso di circa 8-10 anni, hanno parlato di Zanzibar, anche in topic134

che avevano come argomento un altro paese: ho contato circa una sessantina di

discussioni in cui l’isola è citata almeno una volta, tuttavia la più frequentata e in cui si

discute maggiormente di Zanzibar è sicuramente quella intitolata “INFORMAZIONI

ZANZIBAR!!!”, aperto da elypisi il 13 aprile 2006. Al suo interno, nell’arco di cinque

anni, sono stati prodotti oltre 250 messaggi da autori che si sono succeduti, accentrando

l’attenzione sulla convenienza di fare o meno la profilassi antimalarica piuttosto che su

quale valuta fosse più conveniente utilizzare, sul racconto di aneddoti particolari o

pareri su una escursione piuttosto che un’altra, senza tralasciare interventi in cui

raccontare brevemente la propria emozione nell’aver visitato Zanzibar o l’impazienza di

essere sul punto di partire. Insomma, certamente i forum di viaggio non sono perentori

come i diari, dove una descrizione piuttosto densa, fatta da una persona che racconta le

proprie esperienze e sensazioni, determina in modo molto più forte la costruzione di

un’immagine efficace. I forum sono una sorta di arena in cui ognuno gioca il proprio

punto di vista e alla fine, chi legge, sarà portato a farsi un’idea, rispetto a ciò che stava

cercando, più legata al suo modo di interpretare determinati consigli e pareri. Tutta

questa serie di informazioni è una parte assolutamente centrale dell’immaginario di 134 L’espressione topic è generalmente tradotta con discussione e identifica uno spazio virtuale, più o meno pubblico, in cui

gli utenti scambiano opinioni e commenti sull’argomento preposto. La forma di partecipazione a un forum è molto simile a una sorta di scambio epistolare tra un numero indefinito di persone e con tempistiche infinitamente più brevi.

103

Page 106: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Zanzibar, che come ho più volte ripetuto, non può essere considerato solamente come

una rappresentazione visuale dell’isola, ma deve essere pensato come una serie di

‘saperi’ e ‘conoscenze’ che riguardano tanto il colore della sabbia quanto il cambio

valuta più vantaggioso. Il forum, tuttavia, spesso non restituisce un’idea certa sul fatto

che a Zanzibar sia necessario fare la profilassi antimalarica o meno, se sia più

conveniente usare i dollari, gli euro o la valuta locale, se i beach boys siano affidabili

oltre che più economici, se sia possibile prenotare direttamente dall’isola un safari nei

parchi della Tanzania, ecc. Questo aspetto di fluidità delle informazioni si inserisce

molto bene in quel processo di costruzione dell’immaginario turistico di Zanzibar,

mostrando proprio il suo aspetto polimorfico, determinato da una pluralità di voci che,

se appaiono maggiormente omologate in un racconto più rigido e ‘ufficiale’ come un

diario di viaggio135, mostrano invece maggior eterogeneità quando si tratta di dare il

proprio parere in un’arena pubblica più informale e impersonale come quella di un

forum.

135 Si prenda questa espressione in senso lato, poiché il diario di viaggio è pur sempre da considerarsi una comunicazione afferente alla sfera dell’informalità.

104

Page 107: Navigare verso Zanzibar

4.5. Approdi, sens-azioni, escursioni e incontri a Zanzibar

Fare turismo a Zanzibar non sembra essere un’attività ‘monolitica’: la scelta che

l’isola offre pare essere abbastanza ampia su molti aspetti della vacanza. Decidere di

recarsi a Nord piuttosto che a Sud, scegliere il tipo di struttura di accoglienza, decidere

cosa visitare, a chi affidarsi, ecc. sono tutte azioni che determinano l’impressione

iniziale dell’isola, che si intrecciano con le aspettative e le pre-conoscenze acquisite

attraverso i vari canali mediatici dando luogo a un immaginario che, quando condiviso

attraverso forme discorsive, diventa sempre più collettivo. Tuttavia, nonostante a

Zanzibar si possano praticare ‘diverse forme di turismo’, leggendo i diari di viaggio e

comparandoli con fotografie e filmati, uno degli aspetti che emerge immediatamente è

che si possono individuare al loro interno tematiche ed esperienze ricorrenti, così come

espressioni e pareri su argomenti che puntualmente si ritrovano, talvolta solo come

accenno, altre volte con descrizioni più corpose. Da un lato si tratta dei racconti delle

esperienze vissute visitando le varie sightseen, le diverse ‘cose da vedere’ (ovvero le

escursioni che si decide di ‘fare’) e in questo emergono chiaramente alcune attività che

sembrano dei must, che ‘non si possono non fare’. Dall’altro si ritrovano invece

considerazioni su aspetti particolari che, facendo turismo a Zanzibar, difficilmente si

potranno evitare (il mare, la spiaggia, i beach boys, i bambini, l’albergo, il cibo, ecc.).

Distinguo questi due aspetti solo per chiarezza espositiva, in realtà nei racconti (come

presumibilmente anche durante la vacanza stessa) il flusso dell’esperienza è unico e non

viene suddiviso in sottocategorie.

Procederò dunque a illustrare in che modo i viaggiatori raccontino queste loro

esperienze e in che modo, attraverso le loro forme discorsive, contribuiscano a creare

un’immagine di Zanzibar che di fatto si compone di tutti questi piccoli frammenti.

Il momento del viaggio di andata è uno degli argomenti con cui i diari vengono

iniziati con maggior frequenza: talvolta dal momento della partenza, altre volte a partire

dall’atterraggio e dal recupero dei bagagli. Se è vero che questo aspetto è quasi sempre

presente nei racconti, è necessario sottolineare che non compaiono mai immagini

relative a tale momento. Nella fase del racconto il turista è già tornato a casa e finalizza

la razionalizzazione dell’esperienza fatta per poterla restituire al suo potenziale pubblico

105

Page 108: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

di lettori. In quel momento il viaggio di andata sembra essere percepito come parte

integrante della vacanza, come fase iniziale dell’esperienza. In quel momento, quando il

viaggio è concluso e l’esperienza fatta ha trasformato il turista, il tragitto di andata viene

finalmente riconosciuto come primo stadio di quella struttura che identifica il viaggio in

tre momenti analoghi al rito di passaggio. Al contrario, si potrebbe ipotizzare che prima

di partire il turista ritiene che la propria vacanza inizierà dal momento in cui sarà fuori

dall’aeroporto, ovvero da quando si troverà a contatto con la ‘vera vita africana’, in

poche parole dal momento dell’esperienza in senso stretto. Come detto, la mancanza di

immagini di tale momento ritengo sia un elemento a favore di questa tesi. Certamente i

motivi possono essere anche contingenti, tuttavia diventa un dato rilevante se

consideriamo che le immagini, così come i souvenir, hanno proprio la funzione di

testimoniare la propria esperienza significativa e straordinaria, il proprio ‘essere là’ a

fare e vedere cose che durante la vita di tutti i giorni non sono accessibili. Questo

accade nonostante talvolta alcuni turisti dichiarino, proprio nelle prime righe del

racconto, di essersi informati, di essere stati preparati dalla lettura di altri racconti di

viaggio. Quindi sembra non essere sufficiente la forza comunicativa di questi ultimi nel

costruire un immaginario del viaggio che contempli, da subito, anche lo spostamento

verso la meta, verso Zanzibar. Questa fase sembra entrare nel processo solo attraverso

l’esperienza e, soprattutto, attraverso il suo racconto. Il turista è preparato a ciò che gli

accadrà durante il tragitto (8-9 ore di viaggio, qualche ritardo, piccoli inconvenienti

all’aeroporto, niente nastri trasportatori, guardie aeroportuali che chiedono la mancia,

ecc.), tuttavia sembra essere solo una variante al modo in cui è preparato ad affrontare

un qualsiasi altro volo che lo porta in una località turistica. Dunque sembra che questo

momento del viaggio entri a ‘far parte di Zanzibar’ (del suo immaginario) solo nel

momento in cui ci si accinge a raccontare.

Solitamente ciò che nei racconti segue il momento del viaggio di andata è l’arrivo

al villaggio in cui il turista alloggerà e al rispettivo albergo. Molto spesso in questo

frangente (ma non solo qui) si possono trovare considerazioni sulle strutture di

accoglienza, sulle camere o sui bungalow. Questo di fatto è uno tra gli argomenti più

‘gettonati’ dagli internauti, che sui forum comunicano soprattutto la necessità di avere

informazioni su questo o quell’albergo, piuttosto che sul villaggio più o meno

106

Page 109: Navigare verso Zanzibar

‘turistico’. Il narratore, invece, spesso trascura questo aspetto, o meglio, ne da una

descrizione il più delle volte frettolosa e sbrigativa, del tipo: “L'albergo è molto

semplice ma carino, pulito e si mangia benissimo!” 136 oppure “La camera del Chwaka

sono molto semplici ma sicuramente pulite! A disposizione troviamo un frigo e

ovviamente l’aria condizionata!” 137. In altri casi invece, sapendo che probabilmente la

‘recensione’ dell’albergo e delle camere è un argomento che desta molto interesse,

alcuni turisti come Tabata75 si sono dilungati maggiormente:

“Vengo accolta dal personale dell’Hotel, una piccola struttura italiana sulla spiaggia

di Nungwi. E’ semplice ma curata, il personale è quasi tutto locale, sono cordiali,

parlano italiano meglio dei miei concittadini altoatesini! Mi offrono una bevanda di

benvenuto, un succo di ananas fresco, non di quelli allungati con l’acqua, è ananas

fresco frullato, mi dicono. Eh già, qui in effetti la frutta non manca, rispondo io. E ci

ridiamo su! Già, ridiamo, sorridiamo, come se fosse diventato strano per noi

occidentali sorridere delle piccole cose.

La mia camera è al piano terra, alla fine di un bel vialetto accompagnato da ibiscus

in fiore e alberi di tiarè; alla porta finestra ci sono delle splendide bougainvillées

fiorite, color viola e bianco. Gli stessi fiori li trovo adagiati sul letto, come segno di

benvenuto”. 138

Che quello dell’albergo sia un tema percepito come rilevante anche dai turisti lo

testimonia il fatto che non mancano mai immagini che raffigurano il luogo dove essi

alloggiano, sia attraverso fotografie che filmati (anche se poi la maggior parte di questi

sono sequenze di fotografie con una musica di sottofondo).

Una tendenza, in questa fase narrativa, si può forse individuare nel fatto che chi si

dilunga maggiormente in descrizioni delle strutture di accoglienza sono quei turisti che

vi investono maggiormente, ma non in termini economici bensì emotivi, ovvero coloro

che non si affidano a grandi strutture alberghiere, che preferiscono un posto più

tranquillo, riservato e meno standardizzato. Al contrario i turisti che tendono a scattare

più fotografie del loro alloggio sono proprio quelli che si recano nei grandi villaggi

136 IlariaT., 28/10/2010 (www.turistipercaso.it)137 Juxy, 04/02/2011 (www.ilgiramondo.it)138 Tabata75, 4/1/2011 (www.turistipercaso.it)

107

Page 110: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

turistici. Sotto alcuni esempi di tre mega-resrto immortalati da loro avventori e una

camera di un piccolo albergo a gestione famigliare.

In alto a sinistra: piscina del Neptun Hotel di Kiwengwa

In alto a destra: bungalow del Karibu Club di Kiwengwa

In basso a sinistra: stanza al WhiteSand di Kendwa

In basso a destra: piscina del Dongwe Club di Bwejuu

Fonte: www.viaggisscoop.it

Nell’immaginario di Zanzibar, dunque, entrano dalla ‘porta di servizio’ anche le

sue strutture di accoglienza, in quanto parti cruciali dell’esperienza dell’isola di chi

racconta. Da un punto di vista analitico, dunque, descrivere la propria ‘dimora’

attraverso parole e immagini ha una doppia valenza: da un lato emerge la volontà di

esplicitare una propria scelta, legata sia a una serie di valori che di immagini mentali

pregresse, dall’altro si evince la possibilità di dare informazioni utili ai lettori, che sono

alla ricerca di pareri, di rappresentazioni già metabolizzate da altri e pronte per essere

consumate.

108

Page 111: Navigare verso Zanzibar

Passiamo quindi a un altro elemento cruciale della costruzione dell’immaginario

di Zanzibar,anch’esso espresso frequentemente all’interno dei diari di viaggio: la

percezione dei sapori e degli odori. Come già detto precedentemente, l’immaginario

turistico si compone non soltanto di immagini visuali: sono tutti i sensi ad entrare in

gioco nel produrre un’esperienza che possa essere reputata straordinaria e performante.

Il turista si reca a Zanzibar per compiere un’esperienza che va oltre alla percezione della

sua estetica, ne vuole apprezzare sapori, profumi, suoni, entrarne in contatto

fisicamente. Immancabili nei racconti, dunque, sono gli accenni (anche in questo caso

più o meno dettagliati) al gusto della frutta, delle grigliate di pesce, ma anche dei cibi

internazionali. Non mancano mai riferimenti ai profumi delle spezie, agli odori del

mercato o della muffa nella stanza. Si può leggere del suono del mare, dei tamburi delle

feste dei beach boys e degli schiamazzi dei turisti. Alcune esperienze sensoriali

ricorrono molto spesso: sicuramente le due immagini più ricorrenti a proposito sono il

profumo delle spezie e la puzza del mercato, come si legge per esempio nei diari di

migliorinia, delfino_blu e Brunella e Maurizio Piacentini.

“Il mercato generale dove si vende di tutto sono una boutique di fraganze diverse,

profumi orientali nel mercato delle spezie, aromi tropicali nel settore della frutta e

verdura, puzza e ronzio di mosche e altri insetti nel mercato del pesce e della

carne”. 139

“Sarà impossibile dimenticare […] Il profumo intenso delle spezie che sembravano

odorare l'aria con mille bastoncini d'incenso alla cannella o alla vaniglia o ai chiodi

di garofano”. 140

“Il profumo di spezie non sempre compensa quello che vedono gli occhi, cioè la

sporcizia nelle strade e nei cortili delle case.” 141

Anche il cibo è un elemento che viene descritto molto spesso, talvolta associato ad

altri aspetti dell’esperienza di Zanzibar, come nei casi di Irene Fiore e di Peppone72

139 migliorinia, 9/11/2010 (www.turistipercaso.it)140 delfinoblu55, 2/9/2010 (www.turistipercaso.it)141 Brunella e Maurizio Piacentini, 2008 (www.turistipercaso.it)

109

Page 112: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

“Tornati alla spiaggia la marea ha cominciato a calare e noi ci siamo mangiati una

grigliata di calamari e gamberoni...poverini, loro non hanno la felice sorte dei

delfini. Ma sono buonissimi!” 142

“Scegliamo uno tra questi ultimi, è molto bello e il rumore del mare a pochi metri da

noi è sempre una splendida colonna sonora per una cena. Ci serve una cameriera

che probabilmente è al suo primo giorno di lavoro. Non capisce praticamente

niente in inglese e non si capacita che possiamo prendere una bottiglia di vino in

due (continuando a ripetere, gesticolando, “due bicchieri?”…”no, una bottiglia,

grazie!”). La bistecca è buona e tra brindisi e autoscatti (anche con la cameriera!) è

una bellissima cena. Facciamo le poche decine di metri al buio per tornare al bar

della nostra spiaggia e finiamo la sera con un bel cocktail sui comodi divanetti”. 143

L’importanza che questi aspetti hanno nella percezione dell’isola è in pieno

accordo con quel concetto di immaginario che ho tentato di identificare nel primo

capitolo, che partendo dalla performatività proposta da Laura Gemini (2008), si

sviluppa attraverso uno strettissimo legame con l’esperienza fatta durante il viaggio

attraverso tutti i sensi, che diventa elemento fondamentale del proprio esperire l’alterità.

In questa direzione sembrano andare le parole di Simmy22, che al contrario di altri

decide di non raccontare la peculiarità delle sue esperienze.

“Tante cose ho tralasciato volontariamente di raccontarvi perchè credo che il gusto

di un viaggio sia anche nella scoperta di un angolo particolare, di un'usanza strana,

di un profumo intenso, di un cibo strano e quindi non mi resta che augurarvi un

buonissimo soggiorno in questa bellissima isola” 144

Queste esperienze, che appunto coinvolgono tutti i sensi, probabilmente vengono

considerate dai narratori come uno degli elementi ‘essenziali’ di Zanzibar. Dalle

testimonianze si evince l’importanza che esse hanno avuto per i turisti stessi nel

determinare la loro soddisfazione o meno circa la vacanza, ma anche il ricordo che si

porteranno a casa e, quindi, il racconto che ne faranno. Tuttavia lo statuto di queste

esperienze raccontate appare piuttosto ambiguo: i turisti riescono a far capire la

rilevanza che esse hanno avuto, tuttavia molto spesso sembra quasi che non abbiano un

bagaglio espressivo adeguato per descriverle a pieno. La narrazione in questi casi risulta

142 Irene Fiore, 2006 (www.markos.it)143 Peppone72, 25/01/2011 (www.turistipercaso.it)144 Simmy22, 24/9/2010 (www.turistipercaso.it)

110

Page 113: Navigare verso Zanzibar

più sfumata, talvolta evocativa, sfuggevole o ‘incompiuta’. Naturalmente questo non le

impedisce di avere un peso rilevante all’interno del processo di costruzione

dell’immaginario: sembra costituirsi l’immagine di una sorta di atmosfera esperienziale

unica, assolutamente peculiare e intrigante. In particolare l’olfatto è il senso che sarà

maggiormente esortato a ‘produrre rappresentazioni’, a fronte del fatto che le spezie, di

cui Zanzibar è ‘regina’, profumano. Impossibile recarsi sull’isola e non sentire quegli

odori, evocati (o veicolati) prima di tutto dalla loro immagine, che li precede e li

presenta ai turisti ancor prima della loro partenza.

A sinistra: il mercato del pesce di Stone Town

A destra: barbecue organizzato per i turisti da un beach boy

Fonte: www.cisonostato.it

Oltre agli aspetti descritti nelle pagine precedenti, l’immaginario di Zanzibar si

costruisce attraverso altre due tematiche discorsive, che potremmo schematicamente

sintetizzare in escursioni e rapporto con la popolazione (turistica e soprattutto locale).

Il primo tema rappresenta ciò che il turista ha fatto e visto durante la sua

permanenza a Zanzibar rispettivamente ad attività che non sono esclusivamente

assimilabili al relax (ovvero che implicano un elemento aggiuntivo rispetto al consumo

di mare, spiaggia, aperitivi, animazione, ecc.). Quasi la totalità dei racconti e delle

immagini si esprimono circa tale argomento, anzi, direi che rappresenta un po’ il nucleo

di ciò che il narratore vuole raccontare, ovvero le proprie esperienze. Zanzibar non è

un’isola molto grande, stando a quanto letto sembra che si possa percorrere tutto il suo

111

Page 114: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

perimetro nell’arco di una giornata … e poi avere anche tempo di farsi una nuotata

nell’oceano. La quasi totalità dei diari di viaggio ci raccontano di turisti italiani che non

si accontentano di rilassarsi in un contesto dal sapore decisamente esotico e così diverso

da quello esperibile durante il loro tempo della quotidianità. Si evince facilmente che

chi va a Zanzibar ha voglia di conoscere l’isola, di esplorarla, come fece David

Livingstone nel 1866 (dopo che per centinaia di anni l’isola era stata ampiamente

‘esplorata’ da autoctoni, omaniti, indiani, ecc.). Una fatto è abbastanza chiaro, un turista

italiano che scrive un diario di viaggio è stato a Zanzibar per visitarla, per godere della

sua ‘esoticità’ e dei suoi ‘angoli di paradiso’. Detto questo è altrettanto evidente che le

esperienze fatte e i luoghi visti sono sempre pressoché gli stessi. Appuntamento

immancabile, anche per i più pigri e refrattari all’esplorazione, è la parte antica della

capitale: Stone Town. Da Stone Town il turista ci passa, per forza, sia perché nella

capitale ci atterra con l’aereo, sia perché sembra essere realmente una delle attrattive

irrinunciabili e ciò malgrado circolino pareri e giudizi sulla sua bellezza e sul suo

fascino alquanto discordanti.

Nei racconti di viaggio l’esperienza di Stone Town, in effetti, è un elemento che

presenta alcune criticità. Sicuramente si scorgono gli echi delle informazioni acquisite

attraverso guide turistiche o altri materiali informativi nella fase di preparazione al

viaggio. Ciò di cui il turista parla si può racchiudere fondamentalmente in alcuni temi

ricorrenti: il mercato, le ‘viuzze strette’ con i ‘negozietti’, le porte in legno decorate

(uno dei soggetti preferiti per gli scatti fotografici), qualche accenno alla vita quotidiana

dei suoi abitanti, il tramonto, la casa di Freddy Mercury e altri importanti palazzi storici.

Difficilmente si troveranno descrizioni che non testimoniano l’esperienza di almeno uno

di questi argomenti, inoltre è assai frequente abbinare la visita a Stone Town con il ‘tour

delle spezie’, dal momento che le piantagioni si trovano nella località di Kidichi, a circa

15 km dalla capitale145. Nei racconti di Simmy22, IlariaT, migliorinia, Irene Fiore e

Marco Ciccone ritroviamo qua e là tracce di alcuni di questi elementi.

“Siamo ritornati a Stone Town, dove col sindaco abbiamo fatto un giro per vicoli e

vicoletti, passando attraverso il mercato del pesce e della carne, che a dir la verità,

non è tanto ripugnante come qualcuno ha scritto e secondo me val la pena un

passaggio veloce poi siamo andati in giro ancora un po’ e abbiamo preso un

aperitivo all'African House da dove nuvole permettendo si assiste ad un

145 http://www.zanzibarviaggi.it/it/visita-della-capitale-stone-town-e-delle-piantagioni-delle-spezie

112

Page 115: Navigare verso Zanzibar

incantevole tramonto. All'interno di queste viuzze ci sono i Bagni Persiani, ed i

palazzo delle meraviglie che però non meritano la visita,sono posti fatiscenti che

per quanto importanti sono tenuti malissimo” 146

“Oggi pomeriggio partiamo per il tour delle spezie e Stone Town. Al tour delle

spezie ci fanno vedere le piante del pepe, della vaniglia, della cannella, l'albero del

pane, ecc.. Poi però comincia a piovere e partiamo per Stone Town. Qui visitiamo i

luoghi più importanti come il Palazzo delle Meraviglie, la cattedrale anglicana, e poi

andiamo al mercato. Il mercato è diviso in tre parti, quella della frutta, del pesce e

della carne oltre alla zona in cui si vendono oggetti di artigianato. L'odore è molto

forte e al mercato del pesce fanno addirittura l'asta per aggiudicarsi i vari pesci!!

Vediamo poi la casa di Freddy Mercury e infine torniamo a Pwani Mchangani”. 147

“Arriviamo quindi nei pressi dei mercati generali frequentati dagli zanzibarini, […] le

strade sono brulicanti di gente di varie razze, che entrano nei negozi per acquistare

oggetti per la vita di tutti i giorni tutti rigorosamente made in China o in India. Dopo

aver visitato i vicoli della città dove le due donne si fermavano ad ogni negozi ci

dirigiamo a vedere il palazzo delle meraviglie,niente di che va solo ricordato per

essere stato il primo palazzo d'Africa ad avere un ascensore, e la casa natale di

Freddie Mercury diventata un negozio di cianfrusaglie gestito da Indiani.

[…]

Commento su Stone Town:

Stone Town […] viene descritta nei cataloghi delle escursioni dei vari tour operator

come un misto di poesia, multietnicità e aromi di spezie. L'unica cosa che ho

trovato e' la multienticita', convivono tranquillamente nelle strette strade dove a

stento passa una macchina mussulmani, la maggioranza, indiani, una buona parte

e cristiani una minoranza. Il mercato generale dove si vende di tutto sono una

boutique di fraganze diverse, profumi orientali nel mercato delle spezie, aromi

tropicali nel settore della frutta e verdura, puzza e ronzio di mosche e altri insetti

nel mercato del pesce e della carne. A parer mio non è possibile girare la città da

soli in quanto non sono presenti indicazioni, affidatevi ad una guida. Merita essere

di fronte al palazzo delle meraviglie verso l'ora del tramonto in quanto sul giardino

inaugurato appena un anno fa sorge un ristorante all'aperto con pietanze

multietniche” 148

146 Simmy22, 24/9/2010 (www.turistipercaso.it)147 IlariaT., 28/10/2010 (www.turistipercaso.it)148 migliorinia, 9/11/2010 (www.turistipercaso.it)

113

Page 116: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

“Stonetown è deludente, tenuta malissimo, cadente, fatiscente. Ma gli scorci di

mare blu con le barche a vela..ed i vicoletti intrisi del profumo delle spezie, i

negozietti di batik e foulard, tutti quei dipinti ad olio con le donnine masai e le

danze, e dammeli per 5 dollari, no 10, no no, 3 se vuoi se no me ne vado, ok 4

dollari ed è tuo, oh no, ho speso troppo, mia sorella si frega.. Invece alle spezie ho

ceduto. Zenzero, zafferano, chiodi di garofano, cardamomo, coriandolo..li sapessi

usare sarebbe anche più soddisfacente. Vabbè, troverò qualcuno che mi insegna.

Abbiamo fotografato qualche portone intarsiato, un paio di palazzi bianchi e

qualche gatto”. 149

“La città è veramente affascinante, ricca di nobile, ma a volte sanguinosa storia,

tanto che questo sito designato patrimonio dell’umanità dell’Unesco per il miscuglio

di razze che l’hanno nel corso dei secoli popolata, viene da più parti definita come

la città africana più bella a sud del Sahara. Più che nei musei, la storia si respira

per strada, nei vicoli tortuosi della parte vecchia dove gli scorci di un passato

lussureggiante sono infiniti; l’alloggiare a Baghani House, una casa patrizia

restaurata ad arte ha dato un tocco in più al nostro soggiorno sull’isola.

L’emblema che abbiamo assunto a simbolo di Stone Town è stata la Tippu Tip’s

House. Trovare l’edificio non è semplice, visto che non è affatto segnalato, ma

basta chiedere in giro per far materializzare un sedicente discendente della

famiglia di questo ricchissimo mercante schiavi”. 150

Per quel che riguarda il ‘tour delle spezie’, gli elementi che sembrano essere

maggiormente ricorrenti, ovvero che si imprimono con maggior efficacia

nell’esperienza del turista, sono: vedere per la prima volta alcune piante prima

conosciute soltanto nella loro forma macinata (o comunque lavorata) e messa in un

barattolo; l’arrampicata a mani nude di un ragazzo del posto su una pianta di cocco

(solitamente alte circa 25 metri) per cogliere e offrire ai turisti un frutto fresco.

Analizzando i racconti di viaggio si viene a conoscenza che il ‘turismo fai da te’

nudo e puro a Zanzibar non esiste (o è decisamente sporadico e occasionale). Con

questo intendo dire che tutte le escursioni, ivi compresa la ‘gita’ a Stone Town e il ‘tour

delle spezie’, vengono fatte tramite guide locali, fornite dall’albergo oppure trovate in

spiaggia (nel caso della capitale talvolta anche direttamente sul posto). Queste

esperienze, in entrambi i casi, risultano pressoché identiche, i racconti sono di fatto

sempre molto simili tra loro (al di là di quella che è il giudizio del turista).

149 Irene Fiore, 2006 (www.markos.it)150 Marco Ciccone”, 2005 (www.cisonostato.it)

114

Page 117: Navigare verso Zanzibar

La considerazione che in questa circostanza vorrei proporre è una riflessione sulle

dinamiche che determinano l’esperienza, cioè ‘cosa vedere’ (e quindi cosa non vedere)

a Zanzibar151. Le gite organizzate da alberghi o tour operator impostano l’esperienza

secondo criteri legati al mercato: selezionare (creare) un’offerta (un percorso

esperienziale) in base a ciò che si ritiene (o che si vuole) essere di interesse per il turista

(gli aspetti dell’immaginario turistico di Zanzibar che sembrano essere più forti o su cui

si è deciso di puntare). Gli zanzibari, inserendosi in questo mercato senza però

possedere una forza di stabilire cosa i turisti ‘debbano’ vedere pari a quella di un tour

operator o di un resort, probabilmente finiscono per allineare le loro proposte alle prime

(ma a prezzi decisamente più bassi). Si crea in questo modo un meccanismo di

definizione di ‘luoghi da vedere’ ed ‘esperienze da fare’ piuttosto stabile, che nei

racconti diventa, per la maggior parte dei casi, la parte preponderante dell’esperienza, di

ciò che il turista vuole testimoniare di aver fatto. Ecco quindi che ritorna il tema

dell’unicità delle’esperienza, ovvero di una sola possibile. Da un lato ciò che si

può/deve fare e vedere a Zanzibar è stabilito a priori da meccanismi che trascendono il

turista, al quale spetta solo la scelta tra le varie proposte: ancora una volta si evidenzia

come sia il complesso immaginario dell’isola a determinare il comportamento dei

vacanzieri. Dall’altro lato la forza di questo immaginario sta anche nel generare una

condivisione di modi in cui ‘vedere’, sguardi turistici, forme di interpretazione e

costruzione della realtà zanzibarina.

Nei diari, quindi, le escursioni vengono raccontate come esperienze che definirei

da ‘prendere’ e far proprie, ovvero oggetti precostituiti che ognuno sceglie e modella

secondo un meccanismo dialettico tra un punto di vista personale e contingente e uno

sguardo predeterminato dall’immaginario . Oltre alla già menzionata gita a Stone Town

con annesso ‘tour delle spezie’, la lista di ‘attrattive’ non è molto lunga: il tour dei

delfini, che suscita sensazioni controverse, divise tra la premura di non spaventarli e

l’emozione di poter nuotare vicino a questi mammiferi, viene spesso associato

all’escursione nella foresta di Jozani, dove entrare in contatto con le scimmiette rosse152

e altri animali ‘esotici’. C’è quindi il Safari Blu, ovvero una gita in barca che ha come

destinazione una lingua di sabbia dove le attività principali sono fare snorkeling e

mangiare pesce fresco cotto al barbecue. Ecco quindi la tappa a Prison Island, su cui si

151 Quello di Stone Town è un esempio emblematico, ma il meccanismo è lo stesso per ogni tipo di escursione.152 Secondo quanto letto sui diari le Red Colobos Monkey sembra che siano diffuse solo sull’isola di Zanzibar.

115

Page 118: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

può ammirare una colonia di tartarughe giganti: questo dato e alcune informazioni circa

la storia dell’isoletta sono tutto ciò che si può leggere di questa escursione. Queste sono

sicuramente le più gettonate, alle quali va aggiunto, occasionalmente, un mini-safari nel

continente, organizzato però direttamente da Zanzibar.

Certamente non tutti i turisti decidono di fare tutte queste esperienze, anzi molti

sembrano operare una selezione, sia riguardo a quali escursioni effettuare, sia rispetto a

cosa raccontare di esse. Ciò che emerge, dunque, è un’immagine dell’isola che mette a

disposizione un ventaglio di opportunità ben chiare e definite da esperire attraverso i

propri sensi ma anche tramite modelli interpretativi dati, in cui mettere in gioco le

proprie emozioni e il proprio sguardo turistico. Accanto alle ‘cose da vedere’, i racconti

dei turisti lasciano emergere anche una percezione di flessibilità, si possono fare

esperienze ‘nuove’, personali, che esulano dal carnet delle offerte delle guide. In

definitiva, quella di Zanzibar appare sia come un’unica esperienza (condivisa e

omologata rispetto all’immaginario) e un’esperienza unica (peculiare e performante).

Di seguito il monologo di un beach boy, estrapolato da un video ‘promozionale’

pubblicato su www.youtube.com, mentre presenta le escursioni che propone ai turisti.

“Bongiorno a tutti, bongiorno a chi mi vede, ecco… buongiorno… a tutti. Io mi

chiamo Hamis ma un nome famoso che mi hanno dato i turisti che vengono qui a

Zanzibar, famoso come toscanaccio, sono un grande procuratore di spiaggia, un

zanzibarino vero, mi hanno dato un nome toscanaccio perché parlo fiorentino, io

sono sempre qua a spiaggia che provo a rompe’ i ‘oglioni a quei italiani che

vengono a Zanzibar. allora sai cosa faccio: sono qua questa spiaggia è il mio

ufficio, qua si vede un piccolo ristorante così posso organizzare un po’ cena e

pranzo, ma il mio ufficio e sul spiaggia perché organizzo le gite, ho un prezzo

stracciato po’o ma buono, perché io non voglio fare un prezzo… caro caro… basta

poco tanto… ‘osta ‘ara perché… non si ‘ompra, si ‘ompra ‘osta po’o. Quindi

organizzo le gite, prima gita che si chiama Safari Blu, questa gita bellissima,

perché lì si mangia da dio, eh… Safari Blu, tipo di mangiare che abbiamo un piatto

il pranzo è aragoste, cicale, gamberetti, calamari, polipi, pesce griglio, riso patatine.

Prezzo.. prezzo qualcosa da bere, si beve anche la ‘o‘a ‘ola ‘on la ‘annuccia ‘orta

‘orta … Allora un’altra gita se volete andare che vi offro… un gita che si chiama

Regno di delfini, compreso scimmie rosse, red colobos monkey, questo si vede si

trova a Sud, proprio Sud dell’isola… che ci sono un regno lì prendiamo la barca e lì

come venticinque minuti con barca fino lì dove ci sono… regno delfini… quando

arriviamo il capitano fa un fischio che i delfini fanno tuf, allora, quei delfini vengono

116

Page 119: Navigare verso Zanzibar

vicino alla barca e guardano voi turisti pelle bianca perché vedono meravigliosa,

quindi potete, se voi potete nuotare bene, puoi toccare delfini senza problemi, poi

torniamo per fare snorkeling, alla fine andiamo ristorante per mangiare poi

entriamo in pulmino e andiamo a vedere scimmie rosse, red colobos monkey, che

li puoi toccare non scappano sono sem… sempre vicino. Poi pomeriggio torniamo

in albergo. Un’altro gite fato gite che si chiama Kendwa, nord-est dell’isola

conosciuta per la bellissima spiaggia questa spiaggia molto più bello di Zanzibar

che io non abbia mai visto, loro hanno il mare sempre alta marea, non ha bassa

marea lì, chi vuole fa il bagno puoi fa il tuffo fa il doccia, ti trova tutte le s… spiaggia

libera, non dobbiamo pagare niente, libero chi può fare quello che vuole. Un’altra

gite che volete andare a S…chia… famoso questa città di Zanzibar, ma no ho…

n… nuovo, quello vecchio si chiama Stone Town la città di pietra, hanno costruito

con materia propr vere, quando c’era sultano, primo sultano di Zanzibar, che noi

fino a ora che usiamo questo città si chiama Stone Town, non lo cambiamo mai

mai, rimane sempre come città vecchia, lì quando arriviamo vi faccio vedere

palazzo del sultano, casa della meraviglia, casa natale Freddy mercury, l’Africa

House, mercato di pesce frutta, merc… dove c’era mercato di schiavi, la chiesa

anglicane e la chiesa cattolica, e poi a fine pomeriggio finiamo al bar che si chiama

Africa House in terrassa così aspettiamo il tramonto, un romantico, e poi

torniamo… buoi torniamo in albergo per… stare sempre in albergo. Bah, italiano

m’ho imparato in spiaggia qua quando vengono i turisti a spiaggia così mi

insegnano quelle che non conosco… tutti… non parlan mai scuola, sempre così mi

insegnano tutte le ‘ose qui giù a spiaggia. I prov… i proverbi ho un sacco ma mi

vengono pochi che in memoria ora… pero così se ti dico uno vengono tutti non

bisogna fare il passo più lungo della gamba, tanto la va la gatta al lardo che ci lasci

il zampino, non dire gatto se non ce l’hai nel sa… tantissimi che conosco. Ha email

facile anche posso lasciare anche anche il numero di telefono così subito subito chi

mi vuole mi manda sms o mi chiama subito direttamente… allora, telefono […]

email [….] si trova subito toscanaccio… questo è un nome che mi piace che

quando uno mi chiama toscanaccio… che è un nome… che io parlo fiorentino.. ah,

mi dice aaaaahhhh… mi piace anche quando mi vedono i fiorentini tutti i tos.. tutti i

tos… tutti sono miei amici i toscanac… tutti i fiorentini, loro che appena io ho visto

già contento, anche se non fanno niente io già contento così. Hakuna matatissima

che significa nessun problema tante che vengono a Zanzibar non sanno cos’è

hakuna matata? Perché questo è un primo parola in zanzibarino… hakuna

matata.” 153

153 “zanzibar beach boys”, video pubblicato da felix7197 su www.youtube.com

117

Page 120: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

I beach boys sono generalmente tra i primi Zanzibari che un turista incontra non

appena sistemato nell’alloggio. Sembra proprio impossibile non far la loro conoscenza:

nei racconti vengono descritti come ragazzi del posto che parlano benissimo l’italiano

(oltre che altre lingue europee) e che non appena vedono un turista lo braccano per

convincerlo a comprare oggetti e soprattutto a fare le escursioni con loro. Le

informazioni che si ricavano su questi giovani tour operator in proprio (o talvolta al

servizio di piccole agenzie locali) sono tra le più controverse e spesso gli stessi turisti-

scrittori ammettono di essere ‘preparati’ al loro incontro, avendone letto su altri diari di

viaggio o sulle guide. Per lo più sono visti di ‘buon occhio’ dai turisti, hanno prezzi più

economici, sono simpatici, affidabili, bene organizzati, tanto che sembrano soffrire solo

in minima parte della forte, quanto ovvia, pubblicità negativa che gli alberghi e i tour

operator fanno di loro, additandoli come inaffidabili e illegali. Qualcuno sembra fidarsi

di tale pubblicità, la maggior parte invece prenota le escursioni con loro. Gli alter ego

dei beach boys, ma assoldati dai grandi resort, sono i masai, ragazzi immigrati dal

continente, vestiti in ‘abiti tradizionali’, che svolgono la funzione sia di guardia del

corpo che di guida turistica. Tanto gli uni che gli altri entrano di diritto

nell’immaginario di Zanzibar, essendo punti di riferimento fondamentali per le

esperienze sull’isola. Stringere un buon rapporto con questi ragazzi può avere un

ulteriore rilevanza per i turisti, ovvero ottenere l’accesso a una porzione della vita

‘privata’ di un villaggio locale.

In quasi tutti i diari si può leggere di bambini bellissimi e di turisti che si

incontrano come la calamita col ferro, gli uni attratti dagli altri reciprocamente

(ovviamente con interessi ben diversi). Questa sembra essere una delle esperienze che

più colpisce, che provoca maggiori emozioni e alla quale nessuno tralascia di fare un

accenno. Entrare in confidenza con un locale, da quanto si legge, può determinare

un’esperienza che non viene di solito proposta come turistica, ma che comunque ricorre

spesso: quella al villaggio, dove incontrare decine di bambini e, in alcuni casi entrare

nelle case degli zanzibari. La ricerca della ‘vita vera’ dei locali, del backstage degli

host, prende forma in questo frangente e la sua ricorrenza nei racconti mette in mostra la

forza con cui tale esperienza si produce nei turisti. Il senso di appagamento e di

soddisfazione sembra compiersi, nella maggior parte dei casi, distribuendo agli abitanti

del villaggio (e ai bambini in particolare) magliette, cappelli, calzature, penne e

118

Page 121: Navigare verso Zanzibar

pennarelli o perfino lo shampoo e il dentifricio avanzati prima di ripartire. Molto spesso

si leggono vere e proprie esortazioni a tenere questo tipo di comportamento, a recarsi a

Zanzibar con questi materiali appositamente da donare alla popolazione locale. Ciò che

si ottiene in cambio sono decine di sorrisi, che sembra essere la moneta preferita con cui

i turisti vogliono essere ripagati.

L’incontro tra turisti e popolazione locale è, come ho specificato nel secondo

capitolo, il nucleo su cui si sviluppa tutta l’antropologia del turismo. L’immaginario

anche qui gioca un ruolo fondamentale nel veicolare l’esperienza e il comportamento,

da entrambi i lati. Analizzando i racconti penso di poter affermare che mentre i turisti a

Zanzibar, immersi come sono nel pensare a godersi il relax e le possibili esperienze

esotiche, impossibili nella vita di tutti i giorni, cercano di instaurare un contatto con la

vita privata dei locali, questi, a loro volta, abituati a vedere orde di turisti riversarsi sulle

spiagge della ‘loro’ isola, mettono in atto comportamenti adeguati a ricavare il maggior

profitto possibile da questo incontro. I comportamenti indotti dalla presenza dei

vacanzieri finisce per diventare una parte importante della loro vita. La rappresentazione

nei diari di viaggio, tuttavia, è esclusivamente incentrata sul turista, sulla propria

esperienza, tendenzialmente non sembra essere molto rilevante una comprensione delle

dinamiche sociali delle persone con cui si ha a che fare, è decisamente più rilevante

essere convinti di aver avuto un incontro, un vero incontro, con gli abitanti del villaggio

e di aver aiutato decine di bambini poveri, che vivono in baracche di lamiera, senza

acqua e spesso senza corrente elettrica, proprio come quelli dei documentari.

Alcuni turisti, nei loro racconti, mettono in evidenza determinate contraddizioni

che la loro esperienza filtrata da proprie griglie interpretative, quindi da un immaginario

precedentemente acquisito, permette loro di vedere. I masai sulla spiaggia, vestiti in

abiti tradizionali, parlano al cellulare, oggetto che sembra essere posseduto dalla

maggior parte della popolazione adulta di Zanzibar. I beach boys girano in spiaggia con

ciabatte ricavate da copertoni o pneumatici, mentre la sera sfoggiano scarpe da

ginnastica, magari di marca. Nelle case, come detto, spesso manca l’acqua corrente e

talvolta salta l’elettricità, ma si trovano abbastanza frequentemente antenne della

televisione e talvolta anche parabole satellitari. Naturalmente non tutti i villaggi sono

uguali e le condizioni e le attitudini di vita degli zanzibari possono certamente variare

da contesto a contesto, tuttavia non è in questo che consiste la forza dell’immaginario,

119

Page 122: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

non è nello specificare, nell’indagare le differenze e nello spiegare le contraddizioni.

Consiste piuttosto nel trovare punti di vista uniformanti, griglie che permettano di

comprendere prima di esperie e dalle quali, dunque, dipenderà il comportamento del

turista. La popolazione locale entra nel processo di costruzione dell’immaginario di

Zanzibar portandosi dietro una serie di immagini probabilmente troppo complesse da

esaminare in questa sede, fatte di colonialismo e schiavitù, cooperazione e missioni

cattoliche, documentari ed esoticizzazione, etnografie e racconti di viaggio. Ciò che al

turista sembra interessare, tuttavia, non è incontrare e comprendere questo mondo, bensì

verificare o trovare discrepanze con quanto ‘conosciuto’ precedentemente. Nel racconto

di jonathan1982 si legge abbastanza chiaramente un’attribuzione di intenzioni e di

valori ai comportamenti della popolazione locale, una pre-comprensione che non gli

permette di intuire la possibilità di tipo di incontro meno mediato e meno ‘mancato’.

“Verso sera, con un animatore del villaggio e un gruppo di altri turisti, andiamo a

visitare un villaggio locale pieno di bambini del posto che quando ci vedono ci

vengono subito incontro! C’è davvero tanta umanità nelle loro facce e nei sorrisi

degli altri abitanti del villaggio; sembrano felici anche se non hanno proprio nulla!

[…]

Verso le 17.00 andiamo con altri ospiti del villaggio a fare una passeggiata lungo la

spiaggia fino alla scuola di un villaggio locale. La mattina avevamo fatto una scorta

di confezioni di marmellata nel buffet a colazione perché sapevamo che avremmo

trovato un sacco di bambini al villaggio: indescrivibile la loro gioia quando abbiamo

distribuito i dolcetti e le penne colorate che avevamo portato dall’Italia!” 154

La straordinarietà dell’esperienza riguarda anche la popolazione locale, i cui

individui e in particolar modo i bambini acquistano tratti eccezionali, elevati alla

massima potenza, come nel racconto di Simmy22, che non tralascia commenti dal forte

sapore ‘colonial-missionario’

“I bambini di questi villaggi dove a volte non c'è acqua ne luce hanno gli occhi più

grandi e belli che io abbia mai visto, hanno la pelle scurissima ed i denti

bianchissimi, le bimbe sono vestite come delle bamboline e fin da piccole rifiutano

di farsi fotografare,ognuna di loro però meriterebbe un intero albun fotografico, ed

alcuni di loro con quegli sguardi, quelle manine protese, li porterò sempre nel

cuore. Ho potuto regalare dei pennarelli colorati e dei quaderni, ed ho visto la gioia

nei loro volti, ho regalato dei vestiti ad un inserviente del villaggio addetto alla 154 jonathan1982, 2/2/2011 (www.turistipercaso.it)

120

Page 123: Navigare verso Zanzibar

piscina,ed ho visto la commozione sul suo viso, un sorriso immenso ed un tremore

nelle mani strette alle mie per ringraziarmi, ho visto il mio compagno regalare le

sue scarpe da ginnastica ad un ragazzo sulla spiaggia,ed essere felice di questo

gesto forse più di colui che lo ha ricevuto....Zanzibar è anche questo, ho cercato d

fare un resoconto di ciò che è stato il viaggio ma ora che sono alle battute finali

non posso esimermi dal dire che quest'isola è l'essenza del terzo mondo, è

povera,.e la gente ha bisogno di tante cose, il turismo aiuta sicuramente,ma ancora

tanta strada deve esser fatta”. 155

Un incontro apparentemente meno mediato lo descrive Morak14, che descrive il

loro (i protagonisti del racconto sono due) essere riusciti a entrare in contatto con il

‘retroscena’, con la vita privata di una famiglia del villaggio vicino al quale

soggiornavano. Tuttavia, anche in questo caso, sembra che l’esperienza in qualche

modo sia stata attesa e desiderata e, interpretando certe espressioni come “non ci

facciamo sfuggire questa occasione”, “si va di mani chiaramente” o “questa è vita

quotidiana”, sembra proprio che il loro ‘sguardo’ abbia costruito la realtà esperita a

partire da griglie ben presenti nella loro mente.

“Mattinata a prenderci tutto il sole possibile sempre in compagnia di Mussa dal

quale riceviamo l’invito a cena a casa sua. Non ci facciamo sfuggire questa

straordinaria esperienza. Gli diamo qualche soldino per acquistare la farina per

fare il loro pane e qualche coca-cola. Al tramonto lo attendiamo davanti alla nostra

spiaggia (i zanzibarini non possono accedere oltre il limite del villaggio) poi ci

incamminiamo verso casa sua. Siamo eccitati. Tutta la famiglia ci sta aspettando.

Entriamo: un panno steso al centro di questa stanza spoglia con tutti i

fratelli/sorelle seduti per terra in attesa di noi. Ci adagiamo mentre Mussa e la

sorella maggiore posano le pietanze al centro. Una ciotola è colma di riso, un’altra

è piena di una specie di piadine (il loro pane), un’altra con il pollo (praticamente

tutt’ossa e grasso) e l’ultima con del pesce. Che ospitalità! Si và via di mani

chiaramente, e i primi a partire sono proprio gli ospiti (noi). Nella stanza il buio più

totale, solo una piccola pila permette di vederci. Durante la cena al piccolo

bambino seduto fra noi scappa il bisognino, e di colpo il rigolo bagnato arriva ai

nostri piedi. Questa è vita quotidiana”.156

Anche descrivere il panorama del villaggio visitato, mettendo in luce elementi che

sono percepiti come contraddittori, denota una preconoscenza che lascia poco spazio

155 Simmy22, 24/9/2010 (www.turistipercaso.it)156 Morak14, 23/2/2011 (www.turistipercaso.it)

121

Page 124: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

alle reinterpretazioni, come nel racconto di migliorinia

“Il villaggio di Uroa, e le sue contraddizioni, tutte le case sono prive di acqua

corrente, alcune sono dotate di un pozzo altre invece attingono l'acqua dalle

fontane pubbliche, quasi tutte le baracche sono invece dotate di una rudimentale

antenna televisiva, alcune dispongono anche della parabola satellitare, e quasi tutti

gli abitanti, bambini esclusi, girano con un cellulare in mano. Hanno poco vivono

ancora con le galline e le capre che razzolano nell'unica stanza dove dormono e

mangiano, ma comunque sembrano felici 157.

Più esortativi e ricchi di consigli sono invece il racconto di Katia e il rispettivo

commento di Erika, esprimendo tuttavia immagini che, nonostante ricondotte

esplicitamente a un’esperienza, denotano una conoscenza superficiale e dettata

principalmente dal proprio ‘sguardo’, dal proprio immaginario.

“Vi raccomando una cosa: non date biscotti e caramelle ai bambini in spiaggia

perchè il dentista costa e loro non possono permetterselo. I dolci non costituiscono

un'alimentazione con principi nutritivi necessari alla crescita. Lo so perchè l'ho

vissuto, fanno una pena immensa, ma piuttosto che dargli cose che gli

danneggiano l'intestino e i denti, già in condizioni disastrose, portate giochi, penne,

pennarelli, carta e giocate con loro, saranno più felici. Purtroppo non si devono

dare nemmeno soldi perchè si contribuisce a trasformare in accattoni quei poveri

bambini che già soffrono alla vista di bambini della loro stessa età con ogni tipo di

accessorio, cibo a volontà e genitori che li seguono. Li vedrete vagare sulle

spiaggie ma molte volte li vedrete sorridere e giocare con altri bambini di altre

nazionalità sotto gli occhi stupiti dei genitori.

Quante cose abbiamo a casa in un angolo? Quanto miglioreremmo la vita di

qualcuno disfandoci di qualcosa che per noi è inutile, ma che per loro costituisce

sostentamento? Queste sono domande alle quali ognuno di noi risponderà in se

stesso”.158

“come ha detto katia vi trovate in africa e il disagio della popolazione è molto

evidente percui se volete fare una bella cosa portate con quaderni e penne e

anche qualche indumento tipo t-shirt o pantaloncini da lasciare presso il villaggio

dove molto spesso c'è una persona incaricata a portare gli oggetti presso le

scuole.

157 migliorinia, 9/11/2010 (www.turistipercaso.it)158 Katia, 2008 (su www.paesionline.it)

122

Page 125: Navigare verso Zanzibar

Erika” 159

Vorrei concludere questo capitolo con un ultimo tema che riguarda l’immaginario

turistico di Zanzibar, ma assolutamente non meno importante: tutti quegli aspetti che

hanno a che fare, da un lato, con il ‘pittoresco e il caratteristico’ e, dall’altro, con il

relax. Già, perché a Zanzibar si va soprattutto per rilassarsi e per assaporare scenari

esotici che non si possono ‘avere’ nel contesto della vita quotidiana.

Anzitutto il sole, il mare e la sabbia, che in un certo senso ho già trattato parlando

della concezione paradisiaca di Zanzibar, che in parte racchiude questi due elementi. Le

descrizioni dei turisti pongono questi come elementi imprescindibili, assolutamente da

descrivere, da raccontarne i colori: gli azzurri dell’oceano, il chiarore accecante della

sabbia (che in più circostanze è associata al borotalco), i colori ogni volta tanto belli

quanto indescrivibili del sole al tramonto (ma i ‘calori’ del sole durante il giorno).

Associati alle rappresentazioni cromatiche di questi tre ‘cardini’ dell’immaginario, si

possono leggere spesso approfondimenti contestuali. La flora e fauna marina: i pesci e

la barriera corallina, che vengono talvolta paragonati a quelli del Mar Rosso; le alghe,

abbondanti in tutta l’isola, talvolta non apprezzate dai turisti, ma che la popolazione

raccoglie per vendere alle ditte di cosmesi; i ricci, che sembrano lasciare i loro aculei

solo nei piedi dei turisti. Le spiaggia: soprattutto il fenomeno delle maree, che

regolarmente fa avanzare e ritrarre il mare anche di qualche centinaio di metri,

generando scontento in quei turisti più desiderosi di bagnarsi nell’oceano, provocando al

contrario lo stupore di chi si ‘accontenta’ di un panorama particolarmente suggestivo;

ma anche la ‘popolazione’ che sulla spiaggia vive, dai già citati beach boys ai

granchietti bianchi, dalle conchiglie che assolutamente non si possono ‘esportare’ (e in

alcuni racconti nemmeno ‘asportare’), ai turisti, dai comportamenti dei quali spesso si

prendono le distanze. Infine il sole: tanto pericoloso, ma allo stesso tempo agognato,

quello diurno, da meritare creme solari a protezione variabile da 30 a 60, quanto

emozionate e romantico quello che ‘cola a picco nel mare’ e che per apprezzarne al

meglio la dipartita è necessario trovarsi nei posti giusti. A questi elementi si aggiungono

le condizioni atmosferiche, oggetto di tante richieste di consigli quanto di pareri

discordanti: pioggerelline (al di fuori della stagione delle piogge), nubi e un vento

159 Ibidem

123

Page 126: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

costante sono spesso oggetto di malumore nei racconti e di conseguenza si giunge

spesso alla conclusione che in quel determinato periodo, a Zanzibar, si incorrerà sempre

in quelle stesse condizioni.

Per quanto riguarda il ‘pittoresco’ e il ‘caratteristico’, Zanzibar sembra essere una

fucina di elementi. Anzitutto non mancano mai accenni alle tipiche palme e ad altra

rigogliosa vegetazione, gli animali sono oggetto di attenzioni particolari sia durante il

viaggio che in fase di racconto e, infine, tutta una serie di altri ‘oggetti’ caratteristici

vengono citati spessissimo nei propri diari e soprattutto immortalati attraverso le

fotografie: i dalla dalla, tipici pulmini locali che collegano i vari villaggi dell’isola; i

dhow, piccole e tradizionali barche a vela (tra i soggetti più fotografati), che i locali

costruiscono e aggiustano sulla spiaggia e con cui svolgono ogni attività legata al mare

(dalla pesca al turismo); le Vespe e altri veicoli simili a due ruote che popolano Stone

Town, generando curiosità e stupore in molti turisti.

Scarsi, invece, sono gli accenni alle pratiche islamiche. Questo elemento della

società zanzibarina spesso sembra non rientrare nel ventaglio di esperienze che

colpiscono a tal punto da essere raccontate. Eppure i colori del ‘veli’ indossati dalle

donne di Zanzibar spiccano nelle fotografie dei turisti; allo stesso modo sembra passare

inosservato ai più il fatto che sull’isola i cibi più consumati derivano dal mare o dalle

piante, mentre minoritario, o comunque riservato ai turisti, è il consumo di carne di

maiale, il che evidentemente non dipende soltanto dall’abbondanza dei primi. Alcuni

accenni a questi elementi culturali, che data la scarsità di attenzioni che ricevono

finiscono per essere trattati come tratti caratteristici ed esotici dell’isola, si concentrano

in alcune descrizioni che riguardano Stone Town, dove probabilmente il contrasto

dettato dalla multietnicità risulta di maggior impatto.

Questo è ciò che i turisti dicono di aver visto a Zanzibar, e questo è anche ciò che

altri turisti nuovi vedranno e racconteranno. Il processo di costruzione dell’immaginario

si alimenta continuamente e modella l’isola in modo da essere consumata e

metabolizzata dai turisti che si apprestano a trascorrervi il loro tempo delle vacanze, il

loro tempo ‘vacuo di problemi e pensieri’, bramando esperienze esotiche e rilassanti tali

da poter essere raccontate.

124

Page 127: Navigare verso Zanzibar

In alto da sinistra:

beach boys sulla spiaggia;

bambini in un villaggio;

scorcio di Stone Town

In mezzo da sinistra:

tipica dhow in mezzo al mare;

spiaggia con palme

A sinistra:

masai in un resort con abiti tradizionali e occhiali

da sole

fonte: www.tripadvisor.com

125

Page 128: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

CONCLUSIONI

Le domande alle quali ho tentato di dare una risposta, per quanto parziale,

attraverso questa ricerca erano molte, non di meno le criticità incontrate, sia dal punto di

vista metodologico che analitico. Ho cercato di indagare la produzione

dell’immaginario turistico di un’isola come Zanzibar che, in tutta la sua storia, recente o

più remota, ha sempre subito un processo di costruzione di immagini che ne ha

caratterizzato la percezione e l’esperienza a coloro che la attraversavano. Allo stesso

tempo, tuttavia, Zanzibar è stato un esempio, per quanto peculiare, attraverso il quale ho

tentato di allargare la prospettiva per comprendere meglio quali meccanismi sottendono

alla produzione immaginifica in ambito turistico, concentrandomi su quello che è il

ruolo dei turisti stessi, mettendo in luce le dinamiche che intercorrono tra l’esperienza,

la percezione e la rappresentazione del viaggio. Infine, elemento non privo di criticità,

ho voluto spingere la mia ricerca esclusivamente nel cyberspazio, un terreno che,

nell’ambito dell’antropologia, sta iniziando ora a delineare le sue peculiarità

metodologiche e teoriche e con cui, prevedo, gli antropologi dovranno confrontarsi

sempre più frequentemente, in quanto sta erigendosi a elemento sempre più centrale e

problematico di una buona parte dell’umanità.

Ma andiamo con ordine, anzitutto l’immaginario di Zanzibar. La sua complessità

mi è stata evidente fin dalle prime letture: un’arena fatta di simboli, immagini, azioni,

politiche, comportamenti, ma anche esclusioni, occultamenti e, quindi, narrazioni. La

trasformazione di Zanzibar in meta turistica, come abbiamo visto ha avuto un inizio ben

preciso e una matrice ben definita: i discorsi messi in campo dal governo non lasciavano

dubbi nel voler puntare sulle bellezze naturali dell’isola per stimolare un turismo votato

al leisure, al relax, senza tuttavia tralasciare una componente culturale, ovvero

sfruttando e promuovendo l’esoticità e il fascino di Stone Town. Zanzibar, quindi,

appare soprattutto come paradiso tropicale, in cui spiccano più che mai le spiagge

bianchissime, le palme e il mare dai colori incredibili: una spinta al ‘consumo’ dell’isola

126

Page 129: Navigare verso Zanzibar

che non tarderà a trasformarla in una meta da turismo di massa. Questa promozione, più

formale e ufficiale, non resterà una voce isolata: come abbiamo visto i turisti esprimo in

svariati modi e molteplici forme una percezione dell’isola che dimostra di aver

metabolizzato questa immagine. Le aspettative con cui partono e attraverso le quali

fanno esperienza di Zanzibar sono griglie che veicolano il loro comportamento e

diventano, da un lato, modalità interpretative con cui ‘vedere’ ciò che li circonda,

mentre dall’altro sono strumenti con cui trasformare le immagini mentali in oggetti da

consumare. Naturalmente non tutti arrivano a trarre le medesime conclusioni, non tutti i

turisti percepiscono Zanzibar come il paradiso tropicale che era nel proprio

immaginario, certamente le aspettative possono essere verificate o disattese o anche

ribaltate, ridefinite, modificate in corso d’opera. Tuttavia non è questo il punto centrale.

La questione che ritengo più importante rispetto a questo tema è il fatto che con questa

immagine dell’isola tutti i turisti si confrontano, tutti la mettono in relazione con la

propria esperienza e con quelle precedenti, tutti subiscono di fatto la sua influenza.

L’immagine che viene costruita e riprodotta agisce anzitutto nel momento in cui un

potenziale turista inizia a raccogliere informazioni sul luogo che intende visitare. È in

questa fase che sembra essere fondamentale confrontarsi con l’esperienza di qualcun

altro. Il turista, ormai da tempo, è abituato a documentarsi circa il luogo che visiterà,

l’elemento di avventura e di scoperta che caratterizza il viaggio si assottiglia sempre

più. Non tragga in inganno tale affermazione, infatti il turista si troverà sempre in un

contesto altro, che come abbiamo visto si configura tale non solo per la lontananza

geografica e/o culturale rispetto al contesto della propria quotidianità, ma soprattutto per

la diversità temporale con cui si entra a contatto con le comunità che lo abitano.

Tuttavia il turista non viaggia semplicemente munito da categorie interpretative

generate dal substrato culturale in cui vive e dal proprio bagaglio di esperienze, o

meglio, queste categorie non vengono applicate prioritariamente nel momento

dell’esperienza del luogo in senso stretto, bensì serviranno al viaggiatore per

relazionarsi con l’immaginario della sua stessa meta. È così che l’esperienza, in un certo

senso, viene anticipata: il consumo preventivo di immagini del sito di destinazione

creerà una serie di aspettative concrete con le quali il turista non potrà fare a meno di

relazionarsi e che ne determineranno il comportamento.

127

Page 130: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Comportamento turistico che inizia con la decisione di partire, di andare in

vacanza, di lasciar il tempo della quotidianità per entrare in un tempo vacuo di

costrizioni. L’investimento emotivo (ma anche economico e temporale) che solitamente

interessa questa attività fa si che la scelta della località sia una fase cruciale, proprio per

questo per i turisti sembra sempre più necessario cercare informazioni diversificate e di

cui potersi fidare. La consultazione di canali informativi di varia natura appare quindi

sempre più determinate e uno tra i più diffusi sembra essere Internet. In particolare i

turisti ‘navigano’ in quei siti dove vengono raccolti i racconti di altri viaggiatori e in cui

sono presenti forum tematici dove vengono fatte circolare informazioni e consigli

preziosi. In questo modo si genera un meccanismo di scambio che crea relazioni virtuali

fondate sulla condivisione di un certo ambito esperienziale, sul fatto di aver visitato (o

essere in procinto di visitare) un luogo su cui si ha qualcosa da dire, su cui si condivide

una certa gamma di immagini, di sensazioni, di ricordi, ma anche di interrogativi, di

incertezze e di punti di vista differenti.

Nel caso di Zanzibar tutto questo si traduce in una condivisione di esperienze da

fare (o non fare) e cose da vedere (o non vedere), in una pre-conoscenza delle escursioni

possibili, delle dinamiche con cui approcciare i beach boys, degli odori delle spezie e

del mercato di Stone Town, dei colori del mare, del tramonto, delle spiagge. Ma il

complesso dell’immaginario dell’isola, le informazioni che il turista acquisisce prima di

arrivare a destinazione, agiscono anche prima della partenza, facendo decidere se fare o

meno la profilassi antimalarica, in che periodo prenotare, quale valuta portare, che

oggetti mettere in valigia da donare alla popolazione locale e in particolar modo ai

bambini, se portarsi una felpa per la sera oppure no, ecc. il turista che va a Zanzibar,

come in un’altra qualsiasi meta, sembra più propenso a partire spinto da aspettative

piuttosto che interrogativi.

Chi parte per Zanzibar, in ogni caso, va alla ricerca dell’esotico, del diverso dal

quotidiano, cerca un’esperienza che lo colpisca, cerca il mare dalle mille tonalità di

azzurro, cerca l’Africa con la sua ‘vita vera’, cerca il relax, cerca i sorrisi dei ‘poveri

bambini africani’, cerca la storia di una capitale diventata patrimonio dell’UNESCO,

cerca i profumi delle spezie. In breve, il turista cerca tutto questo perché sa di poterlo

trovare a Zanzibar. Tuttavia cerca anche qualcosa di nuovo, cerca un’esperienza che

possa essere significativa, extra-ordinaria, un’esperienza che valga la pena di fare e,

128

Page 131: Navigare verso Zanzibar

soprattutto, di raccontare. Attraverso la testimonianza del suo viaggio si completerà il

rientro a casa e verrà investito di un nuovo status. È questo nuovo status che conferisce

al turista l’autorevolezza necessaria a far circolare informazioni tanto sulla sua meta

quanto sulla sua esperienza.

In questo modo raccontare il proprio viaggio diventa uno strumento fecondo, un

modo per mettere sul tavolo le proprie ‘carte’, il proprio punto di vista e condividerlo

con chi dimostra di appartenere al suo stesso gruppo per aver fatto le stesse esperienze,

aver ammirato le stesse spiagge, alloggiato nello stesso albergo o conosciuto lo stesso

beach boy. Diventa un modo per radicare un certo modo di ‘vedere’ e un certo modo di

percepire uno stesso contesto, di identificarsi in un’univocità esperienziale, ma al

contempo sottolineare gli aspetti peculiari del proprio viaggio, mettere in luce i propri

gusti e le proprie vicende, le scelte e le contingenze. In questo modo il racconto sembra

diventare un oggetto, un manufatto che dipinge una situazione che vive di immagini

prodotte e riprodotte in modo processuale; fotografie che immortalano situazioni e

panorami già esistenti all’interno di un ‘album immaginato’ dell’isola e che lo

arricchiscono con un nuovo punto di vista.

Da quando Internet è diventato uno strumento condiviso praticamente dalla

totalità di quella parte del mondo in cui si pratica il turismo, l’immaginario di Zanzibar

passa necessariamente attraverso i suoi canali e, in modo ancor più peculiare, attraverso

le sue molteplici voci ed espressioni, frutto di un’esperienza che sembra non poter fare a

meno di essere veicolata da questo stesso meccanismo. Come ha detto Alberto Solenghi,

“la gente si fida della gente come lei”. Il vecchio ‘passaparola’ cambia faccia e trasporta

i suoi presupposti in uno spazio virtuale, più anonimo ma non per questo meno

accreditato. Anzi, l’apparente democraticità del Web sembra essere una delle molle che

fa scattare un meccanismo di autorevolezza attribuita: la reiterata prossimità fisica, che

innesca la fiducia e che permette uno scambio significativo di informazioni vis a vis,

viene sostituita da una percezione di appartenenza condivisa che si fonda su altri

presupposti. Quello che il turista legge di Zanzibar sui diari di viaggio o sui forum,

diventa ‘vero’, diventa ipotesi che deve solo trovare conferma, quindi questo ‘angolo’

del cyberspazio si configura come strumento prioritario tanto per iniziare quanto per

concludere un viaggio, diventa un ‘luogo’ dove esprimere la propria trasformazione, che

129

Page 132: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

a sua volta si diventa prerogativa necessaria per la rivitalizzazione del processo di

costruzione dell’immaginario.

Voglio concludere questo lavoro citando il testo di una canzone160 che sembra

essere ‘l’inno di Zanzibar’ e del suo essere meta turistica, un canzone che accompagna

ogni turista nel suo viaggio a sull’isola tanzaniana tanto da essere molto spesso colonna

sonora di moltissimi dei ‘filmini delle vacanze’ pubblicati in Internet.

Jambo, jambo bwana

Habari gani, mzuri sana.

Wageni, wakaribishwa

Kenya161 yetu, Hakuna Matata.

Kenya nchi nzuri, (Hakuna Matata)

Nchi ya maajabu, (Hakuna Matata)

Nchi yenye amani, (Hakuna Matata)

Hakuna Matata, (Hakuna Matata)

Watu wote, (Hakuna Matata)

Wakaribishwa, (Hakuna Matata)

Hakuna Matata, (Hakuna Matata) 162

160 La versione originale di questa canzone, dal titolo “Jambo bwana”, è stata scritta dal kenyota Teddy Kalanda Harrison e fu pubblicata per la prima volta nel 1982 dal suo gruppo, i Them Mushrooms. La versione qui riportata invece è un riadattamento del 1999, con testo semplificato, da parte del gruppo Safari Sound Band, versione che si è imposta come standard nell’industria turistica keniota e tanzaniana.

161 Naturalmente Kenya viene sostituito con Zanzibar quando viene cantata da sull’isola.162 Il testo recita: Ciao, ciao signore / Come stai? Molto bene. / Stranieri, siete i benvenuti / nel nostro Kenya non c'è nessun

problema. / Il Kenya è un paese bellissimo (non c'è nessun problema) / un paese meraviglioso (non c'è nessun problema) / un paese tranquillo (non c'è nessun problema.) / Non c'è nessun problema (non c'è nessun problema) / Chiunque (non c'è nessun problema) / è benvenuto (non c'è nessun problema).

130

Page 133: Navigare verso Zanzibar

BIBLIOGRAFIA

ACRA e AITR, Tourism and Poverty. Best practices for a small island at policy,

market and civil society level, Zanzibar, 2008

Aime Marco, L’incontro mancato. Turisti, nativi, immagini, Bollati Boringhieri,

Torino, 2005

Aime Marco e Cossetta Anna, Il dono al tempo di Internet, Giulio Einaudi Editore,

Torino, 2010

Aitchinson Cara, Theorizing Other discourses of tourism, gender and culture. Can the

subaltern speak (in tourism)?, in “Tourist Studies”, Vol. 1, N.2, 2001, pp 133-147

Amirou Richard, Imaginaire touristique et sociabilités du voyage, Puf, Parigi, 1995

Amirou Richard, Imaginaire du tourisme culturel, Puf, Parigi, 2000

Appadurai Arjun, Modernità in polvere. Dimensioni culturali della globalizzazione,

Meltemi, Roma 2001

Augé Marc, Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera

editrice, Milano, 1993

Augé Marc, Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, Torino, 1999

Barberani Silvia, Antropologia e Turismo. Scambi e complicità culturali nell'area

mediterranea, Guerrini, Milano, 2006

Boissevain Jeremie, Coping with tourist. European reaction to mass tourism, Berghan

Books, Oxfors, 1996

Boorstin Danel, From news-gathering to newsmaking: a flood of pseudo-events, in

“İletişim kuram ve araştırma dergisi”, N. 24 Inverno-Primavera 2007, p. 251-270

131

Page 134: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Bonadei Rossana e Volli Ugo, Lo sguardo del turista e il racconto dei luoghi, Franco

Angeli, Milano, 2003

Buhalis Dimitrios, Tourism and Cyberspace, Annals of Tourism Research, Vol. 28,

No. 1, 2001, pp. 232-235,

Canestrini Duccio, Non sparate sul turista, Bollati Boringhieri, Torino, 2004

Crapanzano Vincent, Imaginative horizons: an essay in literary-philosophical

anthropology, University of Chicago Press, Chicago, 2004

Clarence-Smith Wiliam Gervase, Islam and the abolition of slavery, C. Hurst & Co,

London, 2006

Cohen Erik, The sociology of tourism: approaches, issues, and findings, in “Annual

Review of Sociology”, Vol. 10, 1984, pp. 373-392

Dumazedier Joffre, Vers une civilization du loisir?, Seuil, Paris, 1962

Edensor Tim, Tourists at the Taj: performance and meaning at a symbolic site,

Routledge, London, 1998

Estalella Adolfo & Ardèvol Elisenda, Ética de campo: hacia una ética situada para la

investigación etnográfica de internet, Forum Qualitative Sozialforschung, Vol. 8,

N. 3, 2007, p.3

Evans Leighton, Authenticity Online: using webnography to address

phenomenological concerns, Department of Cultural and Political Studies,

Swansea University, 2010

Fabietti Ugo, Antropologia culturale. L’esperienza e l’interpretazione, La Terza, Bari-

Roma, 1999

Fabietti Ugo, Malighetti Roberto, Matera Vincenzo, Dal tribale al globale.

Introduzione all’antropologia, Bruno Mondadori, Milano, 2002

Fabietti Ugo, Elementi di antropologia culturale, Mondadori Università, Milano, 2004

132

Page 135: Navigare verso Zanzibar

Fagan Brian, Clash of culture, Altamira Press, Lunham, 1998

Gemini Laura, In viaggio. Immaginario, comunicazione e pratiche del turismo

contemporaneo, Franco Angeli, Milano, 2008

Gibson William, Neuromancer, Ace Book, New York City, 1984

Goffman Ervin, La vita quotidiana come rappresentazione, Il mulino, Bologna, 1969

Gössling Stefan, The consequences of tourism for sustainable water use on a tropical

island: Zanzibar, Tanzania, in “Journal of Environmental Management”, 2001

Gössling Stefan, Human–environmental relations with tourism, in “Annals of Tourism

Research”, Vol. 29, N. 2, 2002, pp. 539–556,

Gössling Stefan, The political ecology of tourism in Zanzibar, in S.Gössling, “Tourism

and development in tropical islands: political ecology perspectives” (a Cura di),

Edward Elgar, Northampton, 2003

Gössling Stefan, Schulz Ute., Tourism-Related Migration in Zanzibar, Tanzania, in

“Tourism Geographies”, Vol. 7, No. 1, 43–62, February 2005

Hine Christine, Virtual Ethnographie, Centre for Research into Innovation, Culture

and Technology - Brunel University, Uxbridge, 2000a

Hine Christine, Virtual Ethnographie, Sage Publications Ltd, London, 2000b

Honey Martha, Ecotourism and sustainable development: who owns paradise?, Island

Press, Washington D. C., 2008

Leed Eric, La mente del viaggiatore. Dall'Odissea al turismo globale, Il Mulino, Bologna, 1992

Löfgren Orvar, Storia delle vacanze, Bruno Mondadori, Milano, 2001

MacCannell Dean, Staged authenticity: arrangements of social space in tourist settings, in “The American Journal of Sociology”, The University of Chicago Press, Vol. 79, No. 3 (Nov., 1973), pp. 589-603

MacCannell Dean, Il turista. Una nuova teoria della classe agiata, UTET, Torino, 2005

133

Page 136: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Marks Rafael, Conservation and Community: the Contradictions and Ambiguities of Tourism in the Stone Town of Zanzibar, in “Habitat International” Vol. 20. No.2, 1996

Mascheroni Giovanna, Le comunità viaggianti. Socialitò reticolare e mobile dei viaggiatori indipendenti, Franco Angeli, Milano, 2007

Matera Vincenzo, La scrittura etnografica, Meltemi, Roma, 2004

Matera Vincenzo, Antropologia in sette parole chiave, Sellerio, Palermo, 2006

Matera Vincenzo, Comunicazione e cultura, Carrocci, Roma, 2008

Mereu Alessandro, La motivazione al turismo, in “Psico-Pratika”, N.16, 2005

Minca Claudio, Spazi effimeri: geografia e turismo tra moderno e postmoderno, CEDAM, Padova, 1996

Mura Marina, Che cos’è la psicologia del turismo, Carocci, Roma, 2008

Nicolini Beatrice, Il sultanato di Zanzibar nel XIX s secolo: traffici commerciali e relazioni internazionali, L’Harmattan Italia, Torino, 2002

Palfrey John and Gasser Urs, Born digital: understanding the first generation of

digital natives, Basic Books, New York, 2008

Prati Giuliano, Web 2.0 Internet è cambiato, UNI Service, Trento, 2007

Savelli Asterio, Stabilità, innovazione e trasgressione nell'esperienza turistica, in “Il

turismo in una società che cambia” (a cura di P. Guidicini e A. Savelli),

FrancoAngeli, Milano 1988.

Savoja Luca, La costruzione sociale del turismo, Giappichelli Editore, Torino, 2005

Simonicca Alessandro, Antropologia del turismo. Strategie di ricerca e contesti

etnografici, Carocci, Roma, 2004

Simonicca Alessandro, Turismo e società complesse. Saggi antropologici, Meltemi,

Roma, 2004

Simonicca Alessandro, Viaggi e comunità. Prospettive antropologiche, Meltemi,

Roma, 2006

134

Page 137: Navigare verso Zanzibar

Sørensen Anders, Backpacker ethnography, Annals of Tourism Research, Vol. 30, No.

4, pp. 847–867, 2003

Srinivas Mysore Narasimhachar and Béteille André, Networks in Indian Social

Structure, in “Man”, Royal Anthropological Institute of Great Britain and Ireland,

Vol. 64, 1964, pp. 165-168

Taylor Charles, Modern social imaginaries, Duke university Press, Durham, NC, 2004

Turner Louis e Ash John, The golden hordes: international tourism and the pleasure

periphery, Constable, London

Urry John, The tourist gaze. Leisure and travel in contemporary societies, Sage,

London, 1990

Valayer Dora, Le tourisme sous le regard de l’autochtone, in Michel Frank (a cura di),

“Tourismes Touristes Sociétés”, L’Harmattan, Parigi, 1998, pp. 107-126

Walther, Joseph B., Research ethics in Internet-enabled research: Human subjects

issues and methodological myopia, in “Ethics and Information Technology”,

Vol.4, N.3, 2002, pp. 205-216.

135

Page 138: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

SITOGRAFIA

<http://ngm.nationalgeographic.com/ngm/data/2001/10/01/html/ft_20011001.6.html>

Ullrich Christy, More to explorer, in R. Caputo, “A unique Islamic heritage

anchors the ports of East Africa, for centuries a mecca for Arabian and Indian

merchants”, 2001 (Ultima consultazione 15/12/2010)

<http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/3493533.stm>

Dickinson Daniel, Tourism 'bypasses' Zanzibar's locals, 17 febbraio 2004

(Ultima consultazione 09/12/2010)

<http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/country_profiles/3850393.stm>

BBC, Regions and territories: Zanzibar, ottobre 2010 (Ultima consultazione

15/01/2011)

<http://viaggi.excite.it/volohotel-zanzibar-paradiso-tropicale-delloceano-indiano-

N13380.html>

Volo+Hotel Zanzibar: Paradiso tropicale dell'Oceano Indiano (Ultima

consultazione 15/02/2011)

<http://www.apat.gov.it/site/it-IT/Temi/Suolo_e_Territorio/

Rischio_ad_evoluzione_lenta/Subsidenza/>

Subsidenza (Ultima consultazione 25/11/2010)

<http://www.atrapalo.it/viaggi/il-paradiso-a-zanzibar_v17716.html>

Il paradiso a Zanzibar (Ultima consultazione 18/01/2011)

<http://www.actionaid.org.uk/_content/documents/islands.pdf>

La Cour Madsen Birgit, Islands of development. What do poor women in

Zanzibar get out of tourism liberalization?, 2003 (Ultima consultazione

04/12/2010)

<http://www.christianhistorytimeline.com/GLIMPSEF/Glimpses/glmps111.shtml>

David Livingstone - Explorer Extraordinary "Compelled by the Love of Christ",

136

Page 139: Navigare verso Zanzibar

2007 (Ultima consultazione 20/12/2010)

<http://www.ilsecoloxix.it/p/magazine/2009/01/19/AMwhpLNC-conoscenza_circolo

_inedito.shtml>

Carlini Franco, Il circolo della conoscenza. Idee per un saggio sull’economia

della conoscenza e dell’altruismo, 2009 (Ultima consultazione 21/01/2011)

<http://www.migliori-offerte-viaggi.it/zanzibar-spiagge-e-divertimenti-per-tutti-1623>

Zanzibar, spiagge e divertimenti per tutti, (29/01/2011)

<http://www.inspiaggia.com/2010/12/06/il-paradiso-vi-aspetta-sulle-spiagge-di-

zanzibar>

Il paradiso vi aspetta sulle spiagge di Zanzibar (Ultima consultazione

12/02/2011)

<http://www.internetworldstats.com/stats.htm>

World Internet usage and population statistics (Ultima consultazione 15/01/2011)

<http://www.mofeaznz.org/cms/images/content/immo/pdfs/ZANZIBAR%20VISION

%202020.pdf>

The Revolutionary Governament of Zanzibar, Zanzibar Vision 2020, 2000

(Ultima consultazione 24/11/2011)

<http://www.oceanparadisezanzibar.com>

(Ultima consultazione 19/02/2011)

<http://www.radiopopolare.it/chisiamo/storia/sintesi>

La storia di (e attraverso) Radio Popolare (Ultima consultazione 19/02/2011)

<http://www.regalo-idee.it/donato/index.php/614/un-paradiso-chiamato-zanzibar/>

Un paradiso chiamato Zanzibar (Ultima consultazione 16/02/2011)

<http://www.stefanomolinari.com/tanzania-zanzibar-363-info-generali>

Stefano Molinari, TANZANIA – ZANZIBAR. Patrimonio dell’Umanità UNESCO

(Ultima consultazione 14/02/2011)

137

Page 140: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

<http://www.treccani.it/Portale/elements/categoriesItems.jsp?pathFile=/sites/default/

BancaDati/Enciclopedia_delle_Scienze_Sociali/VOL08/

ENCICLOPEDIA_DELLE_SCIENZE_SOCIALI_Vol.8_548.xml>

Ragone Gerardo, Turismo, Enciclopedia delle Scienze Sociali – Treccani

(Ultima consultazione 10/11/2011)

<http://www.treccani.it/Portale/elements/categoriesItems.jsp?pathFile=/sites/default/

BancaDati/Vocabolario_online/V/VIT_III_V_130240.xml>

Virtuale, Vocabolario on-line Treccani – Filosofia (Ultima consultazione

10/11/2011)

<http://www.tripadvisor.it/LocationPhotos-g482884-

Zanzibar_Zanzibar_Archipelago.html>

Foto di Zanzibar (Ultima consultazione 20/02/2011)

<http://www.turismo.it/reportage/viaggi-in-africa/tutti-a-zanzibar-come-nel-romanzo-

di-john-brunner>

Francesco Salvatore Cagnazzo, Tutti a Zanzibar come nel romanzo di John

Brunner - 15/10/2010 (Ultima consultazione 01/02/2011)

<http://www.turismo.it/reportage/viaggi-in-africa/un-paradiso-chiamato-zanzibar>

Giurato Flaminia, Un paradiso chiamato Zanzibar, 20/02/2008 (Ultima

consultazione 01/02/2011)

<http://www.turismo.it/reportage/viaggi-in-africa/zanzibar-l-isola-delle-spezie>

Martino Cecilia, L’isola delle spezie, 13/07/2006a (Ultima consultazione

01/02/2011)

<http://www.turismo.it/reportage/viaggi-in-africa/zanzibar-stone-town-e-le-isole-

minori>

Martino Cecilia, Stone Town e isole minori, 13/07/2006b (Ultima consultazione

01/02/2011)

<http://www.valt.helsinki.fi/kmi/fad/fad-wp-2-98.htm>

Chachage Seithy Loth Chachage, Land, Forests And People In Finnish Aid In

138

Page 141: Navigare verso Zanzibar

Zanzibar. Some Preliminary Observations, Institute of Development Studies,

University of Helsinki, 1998 (Ultima consultazione 09/12/2010)

<http://www.veratour.it/zanzibar-sunset-beach>

Zanzibar, il tuo angolo di paradiso (Ultima consultazione 18/02/2011)

<http://www.viaggiaresicuri.mae.aci.it>

(Ultima consultazione 14/12/2010)

<http://www.youtube.com/watch?v=mBbQeW8AwsE>

Zanzibar beach boys (Ultima consultazione 29/01/2011)

<http://www.zanzibar-holiday.com/about_zanzibar.html>

About Zanzibar (Ultima consultazione 7/11/2010)

<http://www.zanzibarhistory.org>

(Ultima consultazione 15/11/2010)

<http://zanzibarinvest.org/investment_policy.pdf>

The Revolutionary Governament of Zanzibar, Zanzibar Investment Policy

(Ultima consultazione 24/11/2011)

<http://www.zanzibar.it>

(Ultima consultazione 08/01/2011)

<http://www.zanzibar.net>

(Ultima consultazione 11/01/2011)

<http://www.zanzibartourism.net/it/coastaltourism.php>

Commission for tourism of Zanziobar, Turismo litoraneo (ultima consultazione

14/02/2011)

<http://www.zanzibarviaggi.it/it/visita-della-capitale-stone-town-e-delle-piantagioni-

delle-spezie>

Visita di Stone-Town e delle piantagioni delle spezie (Ultima consultazione

15/02/2011)

139

Page 142: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

<http://www.zanzinet.org>

(Ultima consultazione 17/12/2010)

<http://www.zdpv.it>

(Ultima consultazione 15/02/2011)

140

Page 143: Navigare verso Zanzibar

DIARI DI VIAGGIO ON-LINE CONSULTATI

alex79bis, Zanzibar fai da te, www.viaggiscoop.it, 2007 (ultima consultazione

24/02/2011)

alzappav, Zanzibar: la porta dell'Africa, www.turistipercaso.it, 25/1/2009 (ultima

consultazione 24/02/2011)

blu_oltremare, Zanzibar il mio primo viaggio da solo!, www.turistipercaso.it, 4/1/2010

(ultima consultazione 24/02/2011)

bobpisto, Zanzibar controversa, www.turistipercaso.it, 15/6/2006 (ultima consultazione

24/02/2011)

Brunella e Maurizio Piacentini, Zanzibar: mare e atmosfera coloniale,

www.cisonostato.it, 2006 (ultima consultazione 24/02/2011)

Chiara Ceolaro, Zanzibar? Che delusione!, www.turistipercaso.it, 9/4/2006 (ultima

consultazione 24/02/2011)

cri.dan, Il paradiso esiste, www.viaggiscoop.it, 2005a (ultima consultazione

24/02/2011)

cri.dan, Ritorno in paradiso…, www.viaggiscoop.it, 2005b (ultima consultazione

24/02/2011)

Daniela e Diego, Nel cuore dell’Africa, www.markos.it, 2008 (ultima consultazione

24/02/2011)

delfinoblu55, Zanzibar, il luogo dell'illusione... dove nulla è come appare! (D.

Livingstone), www.turistipercaso.it, 2/9/2010 (ultima consultazione 24/02/2011)

Emanuela Sassarego, Zanzibar: un paradiso da sogno, www.turistipercaso.it,

20/10/2004 (ultima consultazione 24/02/2011)

141

Page 144: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

Emmegi, Zanzibar! Una vacanza meravigliosa, www.markos.it, 2009 (ultima

consultazione 24/02/2011).

Enzo di Roma, Zanzibar come a casa propria, www.turistipercaso.it, 2/9/2008 (ultima

consultazione 24/02/2011)

Erica, Zanzibar, l’isola della felicità, www.cisonostato.it, 2009 (ultima consultazione

24/02/2011)

Erika, Zanzibar da sogno, www.paesionline.it, 2008 (ultima consultazione 24/02/2011)

Fabio Z 1, Zanzibar isola della spazzatura, www.turistipercaso.it, 18/1/2006 (ultima

consultazione 24/02/2011)

giannian, Zanzibar, di tutto di più..., www.turistipercaso.it, 6/4/2010 (ultima

consultazione 24/02/2011)

HakunaMatata, Un viaggio paradisiaco che ci ha cambiato la vita!!!,

www.viaggiscoop.it, 2006 (ultima consultazione 24/02/2011)

jonathan, Zanzibar, l'isola delle spezie!, www.turistipercaso.it, 2/2/2011 (ultima

consultazione 24/02/2011)

Juxy, Zanzibar, il sogno diventa realtà, www.ilgiramondo.net, 4/2/2001 (ultima

consultazione 24/02/2011)

Katia, Zanzibar da sogno, www.paesionline.it, 2008 (ultima consultazione 24/02/2011)

IlariaT., Zanzibar: benvenuti in paradiso!!!!!, www.turistipercaso.it, 28/10/2010 (ultima

consultazione 24/02/2011)

Irene Fiore, Sono partita con le scarpe da trekking, 2006, www.markos.it (ultima

consultazione 24/02/2011)

Lettore_992020, Un angolo di paradiso, viaggi.corrieri.it, 2009 (ultima consultazione

24/02/2011)

142

Page 145: Navigare verso Zanzibar

linbo666, Destinazione paradiso, www.viaggiscoop.it, 2007 (ultima consultazione

24/02/2011)

Mara Speedy, Zanzibar – la perla dell’oceano indiano, www.turistipercaso.it,

30/12/2009 (ultima consultazione 24/02/2011)

Marco Ciccone, I colori della terra, i colori della pelle, i colori del mare,

www.cisonostato.it, 2005 (ultima consultazione 24/02/2011)

Mary, Emozioni da Zanzibar, www.cisonostato.it, 2007 (ultima consultazione

24/02/2011)

migliorinia, Zanzibar, www.turistipercaso.it, 9/11/2010 (ultima consultazione

24/02/2011)

morak14, Inaspettata Zanzibar, www.turistipercaso.it, 23/2/2011 (ultima consultazione

24/02/2011)

mrdga, Zanzibar, il paradiso, www.viaggiscoop.it, 2004 (ultima consultazione

24/02/2011)

Peppone72, Nel Continente Vero, www.turistipercaso.it, 25/1/2011 (ultima

consultazione 24/02/2011)

Pier Luigi Montali, Zanzibar, passaporto per il paradiso, www.cisonostato.it, 2003

(ultima consultazione 24/02/2011)

Rachele Bruschi, L'altra Zanzibar, www.turistipercaso.it, 31/10/2004 (ultima

consultazione 24/02/2011)

renatour, Vacanze a zanzibar… benvenuti in paradiso, www.turistipercaso.it,

11/3/2009 (ultima consultazione 24/02/2011)

robimir, Zanzibar: un paradiso dai mille colori, www.cisonostato.it, 10/04/2007

(ultima consultazione 24/02/2011)

143

Page 146: Navigare verso Zanzibar

TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar

robscan, Zanzibar paradiso oppure no?, www.viaggiscoop.it, 2005 (ultima

consultazione 24/02/2011)

Serena Lastrico, Una fetta di paradiso… Zanzibar, www.turistipercaso.it, 3/9/2004

(ultima consultazione 24/02/2011)

Sfigatto, impressioni su Zanzibar, www.turistipercaso.it, 9/10/2010 (ultima

consultazione 24/02/2011)

Simmy22, Zanzibar … non solo il mare, www.turistipercaso.it, 24/9/2010 (ultima

consultazione 24/02/2011)

Stefano e Angela, Safari nel Selous (Tanzania) e mare a Zanzibar, www.markos.it,

2007 (ultima consultazione 24/02/2011)

Tabata75, La perla dell'Oceano Indiano, www.ilgiramondo.net, 2/1/2011 (ultima

consultazione 24/02/2011)

Tabata75, La perla dell'Oceano Indiano, www.turistipercaso.it, 4/1/2011 (ultima

consultazione 24/02/2011)

Viviana, Zanzibar, un’isola, un paradiso, www.turistipercaso.it, 2004 (ultima

consultazione 24/02/2011)

ZanzibarHeart, Zanzibar: il mio paradiso, www.turistipercaso.it, 7/7/2009 (ultima

consultazione 24/02/2011)

144