Navigare verso Zanzibar
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MILANO BICOCCAFacoltà di Scienze della Formazione
Corso di laurea in Scienze Antropologiche ed Etnologiche
Navigare verso ZanzibarUn viaggio virtuale tra immagini e immaginario di viaggio
Relatore: Prof.ssa Silvia BARBERANI
Correlatore: Prof. Vincenzo MATERA
Tesi di laurea di:
Mirko Catani
Matricola n° 708383
Anno accademico 2009/2010
“Qualunque tecnologia sufficientemente evolutanon è distinguibile dalla magia”
Arthur C. Clarke
INDICE
INTRODUZIONE 4
1. TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar 10
1.1. Arrivare a Zanzibar: schiavi e turisti 10
1.2. ‘Politiche di accoglienza’ nella recente storia di Zanzibar 18
1.3. Zanzibar: costruzione di una meta turistica 27
2. TEORIE - Uno sguardo antropologico sul turismo 34
2.1. Il turismo 34
2.2. Principî di antropologia del turismo 37
2.3. Lo sguardo turistico 49
2.4. Immaginario e immaginario turistico 53
3. VIRTUALITÀ - Antropologia e turismo in Internet 62
3.1. Turismo e internet 62
3.2. Antropologia e internet: webnografia 65
4. ESPRESSIONI - Zanzibar nei racconti dei turisti e i turisti nei racconti di
Zanzibar 72
4.1. “La gente si fida della gente come lei” 72
4.2. Lontani da casa 78
4.3. “Destinazione Paradiso” 84
4.4. “Zanzibar controversa” 97
4.5. Approdi, sens-azioni, escursioni e incontri a Zanzibar 106
CONCLUSIONI 127
BIBLIOGRAFIA 132
SITOGRAFIA 137
DIARI DI VIAGGIO ON-LINE CONSULTATI 142
INTRODUZIONE
La mia tesi di laurea specialistica, in un primo momento, doveva vertere su un
tema completamente differente da quello che poi è stato, o meglio, la costruzione
dell’immaginario era sempre al centro del mio interesse, tuttavia l’ambito di ricerca non
prevedeva affatto l’immersione nei racconti e nei discorsi dei turisti italiani che
scelgono di andare a trascorrere le loro vacanze a Zanzibar, né doveva essere centrato
sull’analisi di documenti pubblicati on-line.
Come sosteneva spesso il Prof. Malighetti a lezione, l’ambito di una ricerca
antropologica è spesso frutto di contingenze imprevedibili nel momento in cui si inizia a
pensare al proprio campo. Il mio interesse per l’antropologia del turismo, infatti, non è
di vecchia data, non deriva da particolari studi né da interessi precedenti, tuttavia la
scelta non è stata nemmeno del tutto casuale: una serie di circostanze, che alla fine
reputo benevole, mi ha portato a concentrarmi su questo argomento.
Partiamo da un punto che possiamo chiamare ‘inizio’. Dall’ottobre del 2008 ho un
rapporto lavorativo stabile con una ONG milanese, ACRA (Associazione di
Cooperazione Rurale in Africa e America Latina): il primo anno come volontario di
Servizio Civile Nazionale, poi come collaboratore. Frequentare gli uffici di
un’organizzazione non governativa per uno studente in antropologia è un’esperienza
sicuramente interessante, che offre innumerevoli spunti. Il primo, che mi colpì nella
primavera del 2010, quando mi resi conto che era giunto il momento di pensare
seriamente a laurearmi, fu una riunione in cui un’operatrice ACRA, di ritorno dalla III
Feria Internacional del Agua, tenutasi a Cochabamba (Bolivia) dal 15 al 18 aprile 2010,
raccontò alcuni episodi legati a questo evento che suscitarono in me molte domande,
tutte attinenti alla questione: quale peso hanno e in che modo agiscono, in una città
come Cochabamba1, i ‘discorsi’ di una ONG (che fa cooperazione allo sviluppo)
all’interno di un panorama complesso di definizioni, pratiche e politiche legate all’uso e 1 Cochabamba, nel 2000, è stata teatro di quella che viene definita la ‘prima guerra dell’acqua’, in seguito alla quale, dopo
giorni di scontri per le strade e trattative politiche, la popolazione ha ottenuto di riavere una gestione pubblica dell’acqua, facendo annullare il contratto stipulato dal governo con un multinazionale.
3
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
alla gestione dell’acqua: ovvero come si produce e riproduce l’immaginario legato
all’acqua a Cochabamba? In che modo il mondo della cooperazione si inserisce in
questo processo assai complesso?
Nonostante questa prima folgorazione, diversi motivi hanno reso impraticabile
questa prima idea. Uno di questi (ma non l’unico) è stato che, avendo come priorità il
mantenimento del mio posto di lavoro, non potevo certo lasciare l’Italia per andare a
fare una ricerca sul campo e una tesi di quel tipo non avrebbe potuto prescindere da
un’immersione nel contesto locale.
L’antropologo spesso ha il privilegio di trovarsi in luoghi affascinanti ed
estremamente interessanti, ma molto più spesso è costretto a farsi i conti in tasca …
Abbandonata questa prima idea, ho iniziato a pensare a un’altra soluzione che fosse
interessante almeno quanto la prima. La volontà di poter ‘sfruttare’ ACRA come
campo/spunto per la mia ricerca mi ha fatto passare in rassegna alcuni dei suoi progetti
che più mi sembravano stimolanti. La coincidenza di alcune attività di comunicazione2
rispetto a un progetto multicountry (ovvero che ha come sedi di attuazione l’Ecuador, il
Burkina Faso e Zanzibar) ha attirato il mio interesse. Questo intervento punta a creare
opportunità di impiego per la popolazione locale nel settore turistico, puntando sulla
formazione professionale. In poche parole l’obiettivo è permettere alle comunità locali
di sfruttare al meglio le risorse del proprio contesto per inserirsi nel mercato turistico
internazionale, partendo da presupposti etici legati all’ambito del turismo responsabile.
Più precisamente, in quel periodo in ACRA si stava discutendo sulla realizzazione
di un sito internet dedicato al progetto, che potesse però dar voce anche ai suoi
beneficiari. L’idea che immediatamente ebbi fu quella di traslare l’argomento ‘acqua-
cochabamba’ in ‘turismo-zanzibar’, tenendo sempre fermo il nocciolo tematico di come
il mondo della cooperazione, e ACRA nello specifico, si inseriscono nella costruzione
di un immaginario complesso, in questo caso come quello di una meta turistica, dove gli
interessi in gioco sono tanti e di diversa natura. Inizio a consultare un po’ di bibliografia
e l’incontro con un libro di Laura Gemini3 mi fornisce l’elemento che completerà e
definirà l’oggetto della mia ricerca. Nelle pagine finali di questo volume, infatti,
l’autrice considera alcuni elementi dell’immaginario caratteristici del mondo
contemporaneo ‘occidentale’ e in particolare ha catturato il mio interesse la rilevanza
2 In ACRA io sono impiegato nell’ufficio comunicazione con il compito di gestire i contenuti del sito web.3 In viaggio. Immaginario, comunicazione e pratiche del turismo contemporaneo, Franco Angeli, Milano, 2008
4
posta dall’autrice sul peso che ha il cyberspazio, e in particolare gli strumenti del web
2.0, nella definizione dell’immaginario di una meta turistica, attraverso la condivisione,
produzione, manipolazione di informazioni che la riguardano. Il fatto che in ACRA si
stesse discutendo la realizzazione di un sito internet legato a un progetto che aveva a
che fare con il turismo mi sembrava un’occasione unica per riuscire comunque a far
rientrare nella ricerca anche la ONG per cui lavoro. Ancora una volta alcuni intoppi mi
hanno intralciato la strada: le tempistiche per la realizzazione di questo sito (che poi in
gran parte è capitata sulle ‘mie spalle’, il che avrebbe implicato un’enorme
complicazione nel gestire me medesimo come parte dell’oggetto di studio) si sono
dilungate, tanto che ancora adesso non è on-line. Cercando dunque di ridefinire ancora
una volta il tema della mia ricerca, grazie anche al prezioso consulto con la Prof.ssa
Barberani, sono giunto alla conclusione che un oggetto di studio interessante potevano
essere i turisti, quelli che nell’antropologia del turismo sono definiti guest, tra i quali, da
ormai diversi anni, si è diffusa la tendenza di far circolare informazioni circa i loro
viaggi attraverso siti internet appositi. Raccontare le proprie esperienze di viaggio o
cercare informazioni prima di partire è un’attività che ‘da sempre’ il turista compie,
tuttavia con l’avvento del web 2.0 il target di riferimento cambia. I racconti declamati in
serate passate di fronte alla macchina delle diapositive, che regolarmente si inceppa, in
compagnia di amici costretti a sorbirsi la scarsa ars retorica del narratore o, al contrario,
affascinati dai racconti di luoghi ‘incredibili’, implicano un racconto diretto, faccia a
faccia, in cui lo scambio di informazioni è reciproco, secondo una temporalità
simultanea che lascia sempre spazi di rinegoziazione del discorso stesso e degli
argomenti trattati: ovvero permette divagazioni, interruzione, salti, ommissioni, ecc.
Con la pubblicazione dei diari di viaggio, come si suole dire, scripta manent,
l’esperienza raccontata si fissa, diventa un oggetto da consumare, un tassello ‘cocreto’
del puzzle che costituisce un immaginario che sempre più passa per strumenti reificanti.
Uno stesso individuo che ascolta il racconto di un medesimo viaggio in due
occasioni diverse, in presenza di persone differenti, difficilmente sentirà lo stesso
racconto della prima volta. La variazione del contesto determina fortemente il
mutamento del messaggio di una comunicazione e pubblicare un diario di viaggio su un
sito internet, appositamente pensato a quello scopo, veicolerà un contenuto che resterà
fisso, che permetterà una contrattazione e un dialogo molto parziale: in definitiva
5
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
metterà in scena dinamiche di costruzione dell’immaginario diverse da quelle di una
comunicazione verbale faccia a faccia.
La scelta di Zanzibar come riferimento è stata dettata da vari fattori, primo fra
tutti, come detto, l’isola è una sede di intervento del progetto ACRA, da cui l’idea della
tesi si è generata. La decisione di occuparmi di questa meta, infatti, è fortemente legata
a questo elemento. Iniziando a cercare informazioni generali sull’isola e circa il suo
sviluppo all’interno dell’industria turistica, ho trovato uno scenario decisamente
interessante e con molte criticità, tanto che ho deciso di tenere questa meta come
riferimento della mia tesi anche quando si è reso impossibile includere nella ricerca il
progetto come caso di studio. Dunque, ribadisco, è stato anche grazie a una serie di
circostanze che sono arrivato a scegliere di svolgere un’analisi sui discorsi dei turisti
italiani che si recano a Zanzibar, espressi attraverso un contesto che permettesse loro di
avere un pubblico potenzialmente globale e di fissare una volta per tutte i loro ricordi.
L’obiettivo generale, dunque, è stato quello di avanzare ipotesi che potessero rispondere
a domande legate alla comprensione di come funziona il processo di costruzione
del’immaginario di una meta turistica e come questo determini il comportamento e il
modo di percepire quel contesto da parte dei gruppi di individui che lo hanno visitato.
Per poter procedere lungo questa direzione, ho iniziato a consultare una bibliografia che
mi ha informato rispetto alla condizione turistica di Zanzibar, per poter capire in quali
circostanze e secondo quali dinamiche l’isola della Tanzania ha iniziato ad essere meta
di vacanzieri in cerca di relax ed esotismo. Quindi nel primo capitolo ho cercato di
mettere in relazione la storia dell’isola, da sempre crocevia di genti diverse, con i
processi politici e mediatici che hanno reso Zanzibar una meta turistica. Ho messo in
evidenza i discorsi, ufficiali e meno ufficiali, che hanno iniziato a plasmare un
immaginario dell’isola che la mostrasse appetibile all’interno del mercato del turismo
internazionale, cercando di individuare le azioni pratiche e politiche inerenti. Azioni
pratiche che evidentemente hanno generato un impatto sulla popolazione locale,
innescando elementi di criticità che in qualche maniera determinano il tipo di turismo
che offre Zanzibar, quindi l’immaginario che si produce. Il recente passato politico
dell’isola si è rivelato particolarmente interessante da questo punto di vista,
evidenziando da un lato l’intervento di forze politiche governative con precisi scopi di
promozione e valorizzazione, mentre dall’altro si iniziarono a identificare una miriade
6
di attori privati (dai costruttori e gestori di alberghi ai semplici turisti), tutti pronti a
giocare i propri interessi nell’arena politica del turismo zanzibarino.
Nel secondo capitolo, invece, ho cercato di mettere sul tavolo gli strumenti teorici
che mi hanno permesso di condurre la ricerca. Confrontandomi con alcuni capisaldi
dell’antropologia del turismo, ho cercato, in una prima fase, di far emergere quale fosse
stato il cammino concettuale che questa disciplina ha intrapreso, nell’arco della sua
breve storia, per poter arrivare a parlare e indagare il turismo dal punto di vista
dell’immaginario. Partendo dalle due principali teorie con cui l’antropologia ha cercato
di spiegare i fenomeni turistici (teoria del leisure e quella della struttura d’esperienza),
ho cercato di identificare un percorso trasversale che mi permettesse di comprendere
meglio come utilizzare quei concetti chiave che hanno portato l’antropologia del
turismo a studiare l’incontro (encounter) a partire dalla sua rappresentazione. Quindi nei
paragrafi in cui discuto concetti come quello di ‘sguardo turistico’ e di ‘immaginario’ si
ritroverà un percorso, attraverso i pensieri di autorevoli autori, che metterà in evidenza
l’accezione di tali nozioni da me utilizzata.
Nel terzo capitolo, mi sono trovato nella necessità di fare chiarezza circa la
rilevanza e la pertinenza di condurre una ricerca, come quella che ho svolto, su un
campo antropologicamente forse ancora un po’ ambiguo come il cyberspazio. Una
ricerca etnografica che non contempli il rapporto faccia a faccia con i propri
interlocutori, anzi, che in un certo senso si basa più su una forma espressiva reificata di
questi che non con il loro comportamento osservato nell’hic et nunc, ha certamente
bisogno di alcune premesse che permettano di non fraintendere il valore scientifico della
stessa. Il cyberspazio, infatti, non va concepito come una ‘realtà’ altra rispetto a quella
in cui ogni individuo quotidianamente agisce, va invece inteso come un campo d’azione
attraverso il quale si creano nuove forme di comportamento e di espressione, quindi di
creazione di senso: in questo senso l’interesse antropologico diventa evidente.
L’ultimo capitolo, infine sarà incentrato sull’analisi dei discorsi, espressi su
Internet, dei turisti italiani che decidono di passare a Zanzibar un periodo di vacanza.
Queste produzioni comunicative, questo processo informale di diffusione di
7
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
‘informazioni’, si inserisce in maniera decisamente prorompente all’interno di un
processo di costruzione di immaginario che risulta quanto mai complesso e ‘popolato’
da attori diversi con diversi interessi e forze da mettere in gioco. Le proposte
commerciali in tale processo hanno certamente una particolare forza, dettata da una
comunicazione studiata e mirata a formare specifiche immagini mentali e
comportamenti in potenziali clienti. I turisti, invece, con i loro racconti esprimono una
diversa finalità e una diversa tipologia di fiducia insinuata nei loro lettori. Chi scrive un
racconto di viaggio, solitamente, non ha interessi commerciali in gioco, ha solamente la
necessità di instaurare un rapporto di scambio di informazioni con qualcuno che, nel
caso di Internet, molto probabilmente non conoscerà mai. Così il processo di creazione
dell’immaginario si arricchisce di questi importanti punti di vista, che spesso
acquisiscono un’autorevolezza attribuita pari o superiore alle guide di viaggio o altre
forme commerciali di informazione turistica. Il risultato che emergerà è quello di una
produzione dell’immaginario articolata e complessa, che passa attraverso varie forme
espressive: racconti di viaggio in particolar modo, ma anche specifiche richieste di
informazioni, scatti fotografici e videoclip. Interessante sarà vedere in che modo tale
immaginario determini, a sua volta, il racconto della propria esperienza, quindi, in
ultima analisi, il comportamento dei turisti italiani a Zanzibar e il modo in cui questi
percepiscono sia la meta che le loro esperienze e attività turistiche.
8
1. TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
1.1. Arrivare a Zanzibar: schiavi e turisti
Non sono mai stato a Zanzibar e non so se avrò mai l’occasione di andarci.
Secondo ‘tradizione’ una ricerca antropologica non dovrebbe prescindere dalla presenza
del ricercatore sul campo, immerso tra le persone della società che sta studiando. Questo
mio scritto, invece, non si fonda su un lavoro di campo svolto durante un soggiorno (più
o meno lungo) nella società dei ‘nativi’. Se dunque non posso dire di essere stato a
contatto diretto con i miei ‘soggetti di studio’, né di aver percorso svariati kilometri per
svolgere la mia ricerca, tuttavia devo sottolineare che per ‘arrivare’ a Zanzibar e per
conoscere pensieri e abitudini dei miei nativi (che come vedremo nativi non sono)
anch’io abbia dovuto ‘navigare’ a lungo. Per colmare la distanza fisica, esperienziale e
conoscitiva che mi separava dalle isole dell’arcipelago dell’Oceano Indiano e dal
contesto di studio identificato, ho deciso di restare seduto alla mia scrivania. Oltre alla
lettura di libri, saggi, articoli e quant’altro sia stato scritto su supporto cartaceo, lo
strumento che mi è corso in aiuto e mi ha permesso un accesso ai ‘nativi’, con tutte le
criticità che ciò comporta e che più avanti analizzerò, è stato Internet.
Non solo la parte più strettamente etnografica è passata attraverso quello che
viene comunemente chiamato Web 2.04, ma anche buona parte della mia (in)formazione
di base sulla storia e geografia di Zanzibar5, utili per inquadrare il contesto di cui
tratterò.
Il territorio dell’arcipelago situato nell'Oceano Indiano, di fronte alla costa
orientale della Tanzania, è costituito da due isole principali, Unguja (comunemente
4 Per Web 2.0 si intende la fruizione della rete in cui predomini la “centralità dell’utente nel processo di partecipazione alla crescita del Web. Attorno a ciò ruotano gli elementi innovativi del Web 2.0 come la collaborazione, la condivisione e l’unione delle informazioni. L’utente riveste un ruolo da protagonista in quanto insostituibile fonte di informazioni di qualsiasi tipo” (Prati, 2007:18).
5 Le informazioni circa la storia e la geografia di Zanzibar sono state raccolte in gran parte attraverso i siti internet www.zanzibarhistory.org; www.viaggiaresicuri.mae.aci.it e www.zanzinet.org
9
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
chiamata Zanzibar6) a sud, e Pemba a nord, e da oltre quaranta isole minori, tutte
considerevolmente più piccole, alcune delle quali disabitate. Il clima è nettamente
tropicale, con temperature elevate tutto l'anno e due stagioni delle piogge,
rispettivamente fra marzo e giugno (la maggiore) e fra ottobre e dicembre-gennaio (la
minore). Le isole dell'arcipelago sono generalmente collinose, senza grandi rilievi, un
tempo coperte da una ricca foresta pluviale, nel corso dei secoli quasi completamente
trasformate in terreno agricolo. Gli unici tratti di foresta originaria di dimensioni
significative si trovano solo nelle tre principali aree naturali protette: la foresta di Jozani
a Unguja e le foreste di Ngezi e Msitu Mkuu a Pemba7.
Il territorio dell'arcipelago di Zanzibar
fonte: www.zanzibar-holiday.com
6 Da qui in avanti con il termine Zanzibar mi riferirò espressamente all’isola di Unguja: solo dove espressamente indicato intenderò invece l’arcipelago nella sua totalità.
7 www.zanzinet.org/zanzibar/nature/misitu.html
10
In questo contesto vivono circa 1 milione di persone (per la maggior parte di
religione musulmana) di cui circa il 60% dipende dall’agricoltura, mentre circa mezzo
milione di individui sono impiegati come forza lavoro (ACRA e AITR, 2008:52).
Anticamente rinomato produttore ed esportatore di spezie, dagli anni ’70 Zanzibar
ha risentito drasticamente del crollo del prezzo internazionale di queste merci e, anche a
causa di una discutibile gestione economico-politica, è stata progressivamente tagliata
fuori da questo mercato.8 Unico settore che tentò di resistere fu la produzione ed
esportazione di chiodi di garofano (oltre che di rafia), di cui ebbe in passato il primato
mondiale, grazie anche all’impulso che ricevette durante il sultanato omanita9.
Come vedremo più avanti, Zanzibar è al centro di importanti commerci da molti
secoli. Questo è stato sicuramente un fattore importante nel processo che ha permesso
all’isola di diventare un importante luogo di transito dell’Africa Orientale, attraversato,
nei secoli, da molte persone, popolazioni e culture diverse. La sua ‘impronta’
multiculturale viene sottolineata, non senza una punta di vanto, anche dal sito della
Commissione del Turismo di Zanzibar, che nella pagina di apertura afferma:
“Over centuries different cultures have influenced Zanzibar to become what it is
today. Sumerians, Assyrians, Egyptians, Phonecians, Indians, Chinese, Persians,
Portuguse, Omani Arabs, Dutch and British have settled here at one time or
another and influenced the local culture into the present fusion.” 10
I contatti commerciali tra Zanzibar e altre popolazioni, dunque, sono piuttosto
antichi e, malgrado la sua natura, nei secoli l’arcipelago non è affatto rimasto ‘isolato’.
Non si può essere troppo precisi né troppo certi, ma è molto probabile che i primi
mercanti arabi, persiani e indiani approdarono sulle coste dell’arcipelago già intorno al I
secolo d.C.11. Risalgono invece al X secolo i primi insediamenti persiani sulle isole:
sono infatti di questo periodo le prime costruzioni in pietra ritrovate.
Per lungo tempo, fino ai nostri giorni, gli abitanti di Zanzibar intrattennero
rapporti commerciali con persone provenienti da diverse aree dell’Asia12. All’alba del
XV secolo l’arcipelago iniziò a entrare nelle mire europee. Nel 1499 furono i portoghesi
8 L’abbondanza di produzione e la bontà di erbe e aromi sono valse a Zanzibar il sopranome di ‘Isola delle spezie’9 www.zanzinet.org/zanzibar/history/historia.html10 www.zanzibartourism.net/11 www.zanzinet.org/zanzibar/history/historia.html12 Alcune comunità asiatiche, soprattutto indiane, non si limitarono a commerciare con Zanzibar, ma vi si stabilirono.
11
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
ad approdare sulle bianche spiagge di Zanzibar, con la spedizione di Vasco da Gama, e
nel 1505 l’arcipelago fu ufficialmente annesso all’impero lusitano. Tuttavia furono
sempre le popolazioni locali a tenere in mano le rotte commerciali con l’Oriente.
Verso la fine del XVI secolo, però, la decadenza politico-commerciale portoghese
nei mari dell’Africa Orientale era già evidente tanto che il controllo delle coste di
Zanzibar, a partire dalla fine del XVII secolo, fu conteso dall’allora potente sultanato di
Oman . Grazie alle prestazioni militari delle tribù baluch da un lato e dall’altro ai servizi
di mediazione e prestito economico delle comunità indiane già presenti sull’isola, la
dinastia omanita riuscì a ottenere il controllo dell’arcipelago e delle rotte commerciali.
Nel XIX secolo, infatti, Zanzibar divenne il centro mercantile più importante della
regione, grazie non solo alla produzione di moltissime materie prime assai pregiate e
richieste sui mercati mediorientali e indiani, ma anche al fatto che le flotte del sultanato
proteggevano le navi dalla pirateria, le tasse sui prodotti erano molto basse, la regolarità
dei monsoni consentiva il contatto continuo con tutti i paesi dell’Oceano Indiano, la
presenza della barriera corallina forniva una protezione naturale alla costa orientale e,
dato di non poca importanza, nell’arcipelago c’era acqua potabile. I prodotti
commerciati in questo circuito erano moltissimi: chiodi di garofano, avorio, olio di
palma, coppale, pellame, sandalo, ecc, tuttavia, soprattutto a partire dal XIX secolo, la
‘merce’ più ricercata a Zanzibar erano gli schiavi (Nicolini, 2002:40-45). La tratta, in
mano agli omaniti e destinata in un primo momento solo ai paesi asiatici e del
Medioriente, iniziò a interessare anche gli europei proprio a cavallo tra ‘700 e ‘800. Fu
in questo periodo che arrivarono sull’isola alcune delegazioni mercantili francesi, che
intavolarono trattative con gli arabi per il commercio sia di avorio che di schiavi. La
testimonianza di due ufficiali britannici, giunti sull’isola il 10 dicembre 181013, ci
informa che:
“the number of slaves sent annually from Zanzibar to the Ȋle-de-France, Muscat
and India is computed at about 10.000 of all ages and both sexes”.14
Altre fonti riportano dati ancora più drammatici: secondo una scheda di
approfondimento sul sito di National Geographic (Ullrich) sembra che, per tutta la
durata del XIX secolo, le persone che ogni anno venivano vendute nei mercati di 13 Le mappe inglesi del tempo non erano molto dettagliate rispetto alla regione, il che fece approdare l’impero britannico
sull’isola qualche anno dopo rispetto ai francesi.14 Nicolini 2002:52
12
Zanzibar furono circa 50.000, mentre l’esploratore abolizionista David Livingstone
sosteneva che oltre 80.000 schiavi africani ogni anno morivano nel tragitto dal
continente verso l’arcipelago15.
Degli schiavi che arrivavano a Zanzibar, la maggior parte era destinata alla tratta,
pochi erano quelli che restavano sull’isola. La maggior richiesta proveniva dalla
penisola arabica, dove venivano impiegati principalmente nelle piantagioni di palme da
datteri; dall’India, destinati a diventare manodopera nelle coltivazioni di tè e canna da
zucchero; dall’Asia centrale, utilizzati nella produzione di cotone; dall’impero ottomano
e in parte anche dalle Americhe (Nicolini, 2002:125).
“Group of Slaves with Arab men” - Zanzibar, 1850-1890
fonte: wysinger.homestead.com
Zanzibar, dunque, da molti secoli è una terra di passaggio, un luogo dove sono
transitate persone provenienti da posti molto diversi e proprio grazie al continuo
contatto con gli stranieri, che siano stati mercanti, schiavi o più recentemente turisti,
l’arcipelago di Zanzibar (e soprattutto chi l’ha amministrato) ha potuto godere di periodi
economicamente floridi.
15 www.christianhistorytimeline.com, David Livingstone - Explorer Extraordinary "Compelled by the Love of Christ", 2007
13
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Dal punto di vista della mobilità, il sistema schiavistico del XVIII - XIX fece
conoscere all’arcipelago i primi flussi di massa in ingresso, precedendo di circa due
secoli le ‘orde’ di turisti che, come vedremo, iniziarono a riversarsi sull’isola a partire
dalla seconda metà degli anni ’80 del XX secolo.
Cercando di tralasciare per un momento le implicazioni etiche, ritengo possibile
abbozzare una breve comparazione tra questi due fenomeni, seppur estremamente
diversi, se non addirittura diametralmente opposti. L’obiettivo non sarà tanto quello di
trovare similitudini tra turisti e schiavi: mi propongo invece di individuare eventuali
analogie sulle modalità della presenza e del transito di stranieri sull’isola in un contesto
di grandi flussi, per arrivare a capire se e in che modo, in tali circostanze, si possono
innescare meccanismi immaginifici rispetto all’isola stessa.
La temporalità della permanenza è uno degli aspetti principali in quest’analisi:
tanto i turisti di oggi quanto gli schiavi nel XIX secolo non sono/erano destinati a
soggiornare a lungo sull’isola16. Per entrambe le categorie arrivare a Zanzibar vuol dire
essere all’interno di un sistema prodotto socialmente che, mettendo in atto un certo
grado di coercizione, li porta a lasciare la propria domesticità. Nel caso degli schiavi la
costrizione è evidentemente fisica17. Per i turisti, invece, in un certo senso si tratta di una
sorta di bisogno indotto dal sistema produttivo-economico: è necessario riempire il
proprio tempo libero consumando le offerte a disposizione, al fine di poter così costruire
adeguatamente la propria identità sociale. Sarebbe questo il meccanismo che spinge a
lasciare la propria quotidianità per affrontare l’ignoto di un viaggio (Gemini, 2008:52;
Canestrini, 2004:51). Dunque Zanzibar si configura per entrambi (per lo schiavo e per il
turista) come un luogo di passaggio, sul quale non ci si tratterrà a lungo e dal quale si è
destinati a ripartire.
La durata della permanenza introduce un’altra questione, che ritengo
fondamentale a quest’analisi: l’aspetto rituale del viaggio. Il turismo, sin dai suoi primi
studi in quanto sistema sociale, è stato considerato da molti ricercatori18 come
un’esperienza di vita marcata da schemi d’azione formalizzati del tutto simili a quelli
16 La maggior parte degli schiavi erano destinati a raggiungere altri lidi, solo una minima parte restava sull’isola, impiegati nei lavori domestici oppure nelle piantagioni. (Nicolini 2002)
17 Tuttavia nell’Africa Orientale subsahariana dell’ XIX secolo, il fenomeno dello schiavismo sembra che fosse alimentato, oltre che dalla cattura, anche dall’indebitamento delle tribù dell’interno nei confronti dei mercanti-schiavisti della costa e dalla ricorrente siccità della costa Mrima della Tanzania, che limitava a tal punto la produzione da indurre molte persone a recarsi sull’isola per vendersi come schiavi. (Nicolini 2002:124)
18 L’aspetto rituale del viaggio è stato sottolineato, in particolar modo, da quel filone di studi antropologici sul turismo noto come ‘teoria esperienziale’, di cui alcuni tra i suo maggiori esponenti sono D. MacCannel, D.Nash e E. Cohen
14
dei riti di passaggio, identificati prima da Arnold Van Gennep e poi ripresi da Victor
Turner (Simonicca, 2004:XX).
Secondo questa chiave di lettura mettersi in viaggio equivale a lasciare la propria
comunità per entrare in una fase liminale, a cui seguirà un ritorno nella propria
domesticità con un nuovo ruolo, in un nuovo ordine, in una forma trasformata, con una
nuova identità segnata dalle esperienze che il viaggio avrà portato al turista. Il ritorno a
casa, dunque, è quanto meno auspicato, rientra a pieno titolo nelle aspettative,
nell’immaginario del turista. Proprio come quest’ultimo, anche lo schiavo che arrivava a
Zanzibar trovava sull’isola il suo contesto di liminalità, il luogo dove si sarebbe deciso
il suo destino, dove si sarebbero compiuti quegli schemi rituali che avrebbero sancito il
suo passaggio a un nuovo ruolo sociale. A differenza del turista, tuttavia, lo schiavo non
poteva avere alcuna aspettativa di rientro nella propria comunità: il suo nuovo
posizionamento sociale era molto più incerto, dipendeva da chi lo comprava e da che
mansioni gli venivano attribuite, in ogni caso sapeva bene che il suo nuovo ruolo
sarebbe stato tendenzialmente quello di forza lavoro in stato di non libertà. Dunque
Zanzibar, in entrambi i casi, sembra essere un luogo dove si compiono esperienze
performative, che trasformano, con la differenza che nel caso del turista può essere
messa in gioco un’agency che non è data allo schiavo.
Un ultimo aspetto, che ritengo utile per concludere questa comparazione, fa
riferimento proprio alla caratteristica che più separa le due categorie prese in esame: la
libertà e la volontarietà. Nello specifico mi riferisco al fatto che il turista è
“una persona temporaneamente libera (leisured) che volontariamente visita un
luogo lontano da casa con il proposito di sperimentare un cambiamento”. 19
Chi va in vacanza è tendenzialmente libero di scegliere (la propria meta, la durata
e il periodo del soggiorno, ecc.) proprio perché è in una condizione in cui,
temporaneamente, gli è permesso non occuparsi del suo ruolo all’interno del sistema di
produzione della sua società. Inoltre, come sottolinea Smith, seguendo la propria
volontà di trovarsi in una situazione nuova, di sperimentare un cambiamento.
È evidente, al contrario, che uno schiavo non si sarà mai potuto trovare, per
definizione, in tale circostanza. Si può supporre, dunque, che questa differenza,
certamente non di poco conto, possa influire fortemente sulle tipologie di immaginario, 19 V. Smith, 1978:3
15
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
relativo all’arrivo a Zanzibar, che pervadono le due categorie prese in analisi. Credo si
possa affermare, senza bisogno di ulteriori approfondimenti, che l’isola potesse essere
percepita come una sorta di ‘anticamera per l’inferno’, una soglia che, una volta
attraversata, avrebbe condotto a una condizione tanto irreversibile quanto indesiderata.
Al contrario è plausibile pensare che il turista si rechi a Zanzibar perché considera
l’isola un ‘paradiso tropicale’, dove farà esperienze ‘positive’ dalle quali a un certo
momento, suo malgrado, si distaccherà, ma che sarà strutturalmente in grado di ripetere.
Turisti in visita al Monumento agli schiavi (Stone Town) - fonte: www.travbuddy.com
1.2. ‘Politiche di accoglienza’ nella recente storia di Zanzibar
Il commercio di schiavi a Zanzibar proseguì per tutto il 1800 e solo verso la fine
del XIX secolo, quando il sultanato perse il controllo su tutti i territori dell’arcipelago a
favore della Gran Bretagna, la tratta fu abolita20.
L'amministrazione coloniale britannica non andò a modificare significativamente
la struttura economica dell'isola, assistendo soprattutto il sultano al mantenimento del
20 Clarence-Smith, 2006:124
16
potere. Inoltre fu incoraggiato lo sviluppo di associazioni commerciali, a scapito delle
agenzie indiane che si occupavano di servizi finanziari e commerciali, installando
dunque un'economia di tipo capitalistico fondata però su base etnica, che di fatto
accentuò le differenze sociali.
La Gran Bretagna concesse l’indipendenza a Zanzibar il 10 dicembre 1963, a
favore di una monarchia costituzionale che tuttavia fu rovesciata da una rivoluzione solo
un mese dopo la sua instaurazione. Dopo vicende quantomeno confuse, al governo salì
il leader del partito Afro-Shirazi, di ispirazione socialista, e fu attuata l’unione con
l’allora Tanganyka, che portò alla nascita della Repubblica Unita della Tanzania.
Questo mutamento politico portò a una notevole trasformazione economico-politica:
iniziarono a verificarsi atti di intolleranza nei confronti di arabi e indiani, per cui molti
di essi lasciarono l’isola, cambiando radicalmente la composizione culturale di
Zanzibar. Questo, per esempio, portò alla chiusura dell’importante banca Jetha Lila, di
proprietà indiana, azione emblematica del periodo economicamente poco florido e
socialmente complicato che attraversò l'isola. Il governo socialista, che da un lato
garantiva gratuitamente educazione, cure sanitarie e terra indipendentemente dallo
status sociale o dall'identità etnica, dall'altro confiscò proprietà private per milioni di
dollari e sostituì imprenditori privati con funzionari pubblici corrotti, gettando Zanzibar
in una condizione di estrema povertà.
Gli anni ’70 segnarono l’apice della crisi socio-economica, ma anche l’inizio di
una lenta ripresa. Da un lato, a causa dell’abbattimento dei prezzi sul mercato
internazionale, l’esportazione di chiodi di garofano, per cui Zanzibar eccelleva a livello
mondiale, fu talmente scarsa che l’arcipelago fu pian piano estromesso da questa
nicchia di mercato. Inoltre, dal punto di vista sociale, con la morte del presidente
Karume, nel 1972, iniziarono forti violazioni dei diritti umani, soprattutto verso i
discendenti delle comunità arabe: capitava frequentemente che molti di loro venissero
imprigionati senza un vero e proprio motivo. D’altro canto, tuttavia, con l’elezione del
presidente Aboud Jumbe si registrò un notevole addolcimento dal punto di vista delle
condizioni sociali: le persone furono lasciate libere di viaggiare oltre i confini nazionali
e furono introdotte istituzioni educative di alto livello per tutti quegli Zanzibari che
desideravano intraprendere un percorso educativo-formativo più elevato. In realtà fino
all’inizio degli anni ’80 il governo mantenne una politica centralizzata, lasciando in
17
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
mano ai privati solo l’agricoltura, mentre ogni altro servizio e ogni attività economica
venivano gestiti dallo stato21. Il biennio tra il 1984 e il 1985 fu un periodo di rapidi
mutamenti al vertice del governo di Zanzibar e tale contesto furono varate una serie di
politiche e riforme, a partire dalla liberalizzazione del mercato, che trasformarono
l’economia dell’isola da un sistema centralizzato a uno capital-liberale.
Incoraggiato, da un lato, dalle pressioni della World Bank, dell’International
Monetary Fund e dell’USAID affinché fosse instaurato un mercato più liberale che
adottasse politiche di investimento (Gössling , 2004:178), e dall’altro dalla volontà
espressa dal partito al potere di creare le condizioni per sviluppare un sistema
macroeconomico stabile e sostenibile, il governo iniziò a pensare di puntare sul turismo
come settore alternativo all’agricoltura.
Infatti nel 1986 venne varato l’Investment Act, un piano che si proponeva di
rivitalizzare l’economia del Paese cercando di attirare quanto più possibile fondi
stranieri in settori alternativi all’agricoltura. Sfruttando l’unicità dell’ambiente naturale
dell’isola, l’architettura e i siti archeologici, il governo riuscì a intravedere nel turismo
un potenziale di sviluppo che ha permesso di puntare su questo settore, ponendo grande
enfasi sull’attrazione di investimenti privati (La Cour Madsen, 2003:2).
Com’è facile intuire, la chiusura che aveva caratterizzato i governi precedenti,
fino al 1983-84, non aveva certo incentivato lo sviluppo di strutture di accoglienza: il
primo albergo turistico fu costruito dal governo nel 1974 e fino al 1983 si potevano
contare sull’isola appena dieci strutture di ricezione, tra hotel e guest house. Volendo
puntare sul turismo, il governo incoraggiò, in principio, investimenti stranieri
soprattutto nel settore edilizio-alberghiero, tanto che nel 1995 il numero di hotel e guest
house era salito complessivamente a 150, ma ancora era insufficiente (Chachage, 1998).
Infatti, da quando fu introdotta la politica sul turismo, dopo un solo anno Zanzibar
ricevette oltre 22.000 visitatori e il trend continuò a essere in crescita fino al 1993,
quando arrivarono sull’isola quasi 70.000 turisti (ibidem) .
Nonostante questi dati facciano pensare che il settore potesse trainare l’economia
di Zanzibar fino a permettere in breve tempo di raggiungere l’obiettivo desiderato dal
governo (ridurre la povertà attraverso lo sviluppo e la promozione di un’economia
diversificata e semi-industrializzata basata sul turismo)22, in realtà la situazione appare
un po’ più complessa. 21 The revolutionary government of Zanzibar, Zanzibar Investment Policy, 4
18
A beneficiare dei proventi del settore furono (e sono ancora) soprattutto i
proprietari delle strutture di accoglienza, di solito investitori esteri, mentre la
popolazione locale direttamente connessa al turismo è per lo più impiegata come staff
alberghiero. Inoltre si sono riscontrate molte difficoltà nel creare un circuito di
beneficiari indiretti: per esempio gli albergatori non sempre si riforniscono di prodotti
agricoli dai coltivatori locali, ma spesso li importano.
Per quel che riguarda la questione della terra su cui sorgono gli alberghi è
necessario aprire una piccola parentesi: quando Zanzibar ottenne l’indipendenza dalla
Gran Bretagna e si impose il Governo Rivoluzionario, tutta la superficie dell’isola fu
statalizzata, lasciando agli abitanti la proprietà di ciò che c’era sopra. Gli Zanzibari che
in precedenza possedevano un pezzo di terreno costiero, su cui sorgevano rigorosamente
dei palmeti, si ritrovarono ad essere soltanto proprietari degli alberi. Quando tra gli anni
’80 e ’90 iniziarono ad arrivare i primi investitori stranieri, incentivati a costruire
alberghi sulla costa, il governo concesse loro la terra in affitto a una cifra di circa $1.500
– $2.000 all’anno per ettaro, mentre i locali ricevettero, nel 1990, offerte che variavano
dai $2,5 ai $55 per albero. Le comunità costiere non sapevano che quelle cifre, che a
loro sembravano alte, per gli investitori erano in realtà irrisorie: pian piano le offerte
aumentarono e nel 2002 ogni albero veniva venduto dai $410 ai $1545, cifre che
tuttavia non mutarono drasticamente la situazione. Furono in molti a cedere al richiamo
dei dollari stranieri, senza sapere bene ciò che stava succedendo, e si ritrovarono ben
presto sia senza la possibilità di autosostentamento, che prima veniva dato dalle palme,
sia senza soldi, dispersi tra le ampie famiglie estese (Honey,2008:263).
Come spesso accade quando un governo negozia con un acquirente privato la
cessione di un terreno ‘ancora vergine’ e giudicato idoneo alla costruzione di una
struttura alberghiera, il ‘problema della terra’ ha toccato anche buona parte degli
Zanzibari, che si sono trovati allo stesso tempo senza la possibilità di un sostentamento
autonomo e tagliati fuori dallo sviluppo turistico (Valayer, 1998:109).
22 “The overall Vision 2020’s objective is to eradicate absolute poverty in the society. This is so because poverty is the single greatest burden for the people. Indeed, it is not merely the lack of income that determines poverty; it is also the lack of accessibility to the basic needs of the people. [...] There is a need to empower and create opportunities for the people to eradicate absolute poverty through developing their full potential, increasing production and household income; improving living conditions through better access to basic physical and social services; and establishing a social security system and other safety nets which protect the poor, disabled, the elderly and other vulnerable groups.[…] The realization of the Vision’s objective is predicated on addressing the following challenges to: 1) Promote sustainable tourism that emphasizes high class tourist industry. 2) Attain high and self-sustaining economic growth. 3) Transform the economy from a predominantly rural-based subsistence agricultural to a diversified and semi-industrialized economy with a modern rural sector.” (The Revolutionary Governament of Zanzibar, 2000:3-4)
19
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Dal punto di vista occupazionale, la quantità delle persone coinvolte nel turismo
era, nel 2002, piuttosto basso: meno di 6.000 persone coinvolte direttamente e circa
37.000 indirettamente (Birgit La Cour Madsen , 2003:3-4). Nel 2005 la situazione non
era migliorata in modo significativo: circa 7.500 Zanzibari avevano un’occupazione
strettamente connessa con l’industria turistica, una cifra appena triplicata rispetto a
quella del 1990, quando a lavorare nel settore erano appena 2.600 individui della
popolazione locale. Inoltre dal 2003 la maggior parte dei più grandi hotel e dei resort
utilizza mano d’opera importata dai propri centri direzionali. Agli abitanti dell’isola che
cercano impiego nel settore, dunque, non rimane che lavorare per i ristoranti o per le
compagnie aeree, alcuni provano con le immersioni e le guide turistiche, pochissimi
sono quelli che trovano posto al ministero del turismo. A questo scenario bisogna
aggiungere che se gli Zanzibari riescono a ricoprire soltanto ruoli di medio e basso
profilo all’interno dell’industria turistica dell’isola, parte della causa è dovuta alla
mancanza di una pubblica educazione settoriale (Honey, 2008:265-66). Così si esprime
Silima, segretario generale del Ministero del Commercio, Industria, Marketing e
Turismo:
“Training [for tourism] is very poor, it is a weak point in Zanzibar now. The tourism
school offer three courses on front office, food production and beverage services
that enroll about 70 students per year. We are only catering to the lowest segment
of the industry and need management and supervisory training for the industry”23
Complessivamente non si può negare che l’economia generale del paese abbia
risentito in maniera positiva dell’apertura di questo settore di mercato, tanto che tra la
metà degli anni ’90 e i primi anni ’00 si è riscontrata una crescita economica abbastanza
costante al tasso del 3,5%. Tuttavia, ancora adesso il turismo rimane un mercato dove a
guadagnare in maniera consistente rimangono fondamentalmente solo gli stranieri, che
possiedono gli alberghi. Daniel Dickinson, giornalista della BBC, in un articolo del
2004 fornisce un lucido spaccato sull’argomento attraverso alcune interviste. Huda
Juma Nassor, una commerciante zanzibari di magliette per bambini, sostiene
apertamente che a Zanzibar sono solo gli stranieri a beneficiare del turismo:
“There are a lot of Italians who own hotels in Zanzibar. But we Zanzibaris live in
poverty... we don't have enough money to own or manage good hotels. […] So
23 Honey, 2008:266
20
that's why I'm trying to do my business selling from home, but I never see any
tourists”24
Sulla stessa scia si pone l’intervento di Janet Mawiyoo, all’epoca direttrice
dell’area Tanzania per l’organizzazione non-profit ActioanAid:
"We are aware of a lot of people who work in the tourist industry who are not
necessarily from the island. As to how many local Zanzibaris are really benefiting I
think that is really questionable, ordinary Zanzibaris are really not being part of that
scene".25
Queste testimonianze sembrano parlarci più di una “enclave di ricchezza e
sviluppo” (Dickinson, 2004) che non di un aiuto concreto ed efficace da parte del
sistema turistico al raggiungimento dell’obiettivo del governo di ridurre la povertà.
Sempre dallo stesso scritto di Daniel Dickinson si evince, al contrario, come un
maggior ottimismo trapeli dalle parole di Vuai Mohammed, segretario esecutivo della
Commissione del Turismo di Zanzibar, secondo il quale i benefici che la popolazione ha
ottenuto dal settore turistico sarebbero considerevoli, riferendosi in particolar modo, da
un lato, alla possibilità dei contadini di vendere i loro prodotti ad un prezzo più elevato,
dall’altro al fatto che gli investitori spesso si preoccupano che i progetti di sviluppo,
come la costruzione di scuole o di cliniche mediche, vengano attivati e realizzati
all’interno delle aree rurali e dei villaggi.
In conclusione Dickinson sostiene che il turismo a Zanzibar è un settore piuttosto
recente e quindi ci sono ancora tutte le potenzialità affinché molti Zanzibari possano
essere direttamente coinvolti in questo mercato, tuttavia finché il salario medio
dell’isola sarà al di sotto di un dollaro al giorno, difficilmente tali potenzialità potranno
concretizzarsi e portare reali benefici alla popolazione locale. Dunque aver puntato sul
turismo e soprattutto sugli investimenti stranieri diretti sembra non aver portato un
radicale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione locale, che
sostanzialmente vive tutt’ora in stato di povertà:
“Tourism is Zanzibar's newest and biggest industry. But most Zanzibaris have yet
to benefit from it; the average wage is less than $1 per day” 26
24 Dickinson, 200425 Ibidem26 Regions and territories: Zanzibar, BBC News, 2010 (http://news.bbc.co.uk/2/hi/africa/country_profiles/3850393.stm)
21
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Lo sviluppo del turismo, tuttavia, ha portato altri cambiamenti nella vita degli
Zanzibari, di cui alcuni già accennati. Tra gli effetti negativi che l’espansione del settore
ha portato con sé c’è un’importante degrado dell’ambiente. Infatti a Zanzibar il turismo
è stato in buona parte costruito “on the marketing of nature and natural resources,
which have become its central elements” (Urry 1995 in Gössling 2002:543). Aver fatto
leva sulle sue bellezze naturali per attirare turisti, ha portato l’isola a diventare ciò che
più si avvicina all’immagine di paradiso tropicale. Nell’immaginario dei vacanzieri,
infatti, Zanzibar è un posto ricco di risorse, dove c’è tutto ciò di cui si può aver bisogno:
“it is easy to understand why people live here. It’s fertile, and almost everybody has
a house […] Here, they always have something to eat if they want”.27
La situazione ambientale dell’isola e la sua percezione da parte degli Zanzibari,
invece, è tutt’altro che paradisiaca. La maggior parte degli ecosistemi vengono
oltremodo sfruttati, subendo così un pesante degrado mentre la popolazione è in
continua crescita (Gössling, 2002, 544).
L’acutizzarsi di questa situazione, in parte, è dovuta proprio al turismo: da un lato
gli eccessivi consumi di risorse che gli alberghi mettono in atto per garantire ai propri
clienti uno stile di vita degno degli ‘standard occidentali’(Gössling, 2001), dall’altro il
fenomeno immigratorio innescato proprio dallo sviluppo del turismo, porta al drastico
aumento della popolazione e produce un impatto considerevole sulla cultura,
sull’economia e sull’ambiente naturale dell’isola (Gössling e Shulz, 2005).
L’eccessivo uso dell’acqua, soprattutto da parte degli hotel e in minor misura dalle
guest house, sull’isola di Zanzibar, e in particolar modo sulla sua costa orientale, quella
dove si concentrano maggiormente le costruzioni alberghiere, ha creato problemi di
ordine idrologico come l’abbassamento del livello e della qualità dell’acqua sotterranea,
la subsidenza28 del terreno e l’intrusione di acqua salmastra. Secondo lo studio condotto
da Gössling nel 1998 (Gössling, 2001) il maggior numero di turisti soggiorna sull’isola
nei mesi di luglio e agosto, cioè quando Zanzibar attraversa la sua fase dell’anno più
secca. Dalla sua analisi emerge, da un lato, come il turismo (e in particolare alberghi e
resort) facciano un uso decisamente elevato di acqua, di cui solo il 20% viene utilizzata 27 S. Gössling, 2002, 54428 “Per subsidenza si intende ogni movimento di abbassamento verticale della superficie terrestre, indipendentemente dalla
causa che lo ha prodotto, dallo sviluppo areale e dall'evoluzione temporale del fenomeno, dalla velocità di spostamento del terreno e dalle alterazioni ambientali che ne conseguono”. (Istituto Superiore per la Protezione e la ricerca Ambientale - www.apat.gov.it/).
22
direttamente dai loro clienti, mentre ben il 50% è impiegata per l’irrigazione dei
giardini. Dall’altro lato l’autore evidenzia come il turismo e il conseguente sfruttamento
eccessivo delle risorse sia complice di altri fenomeni che interessano l’ambiente. La
costante crescita di richieste di materiali da costruzione ha portato a un’importante
deforestazione di mangrovie, che ha generato a sua volta l’aumento dei depositi di
sedimenti sulla barriera corallina, contribuendo al degrado di tale ecosistema, messo a
repentaglio dagli stessi turisti anche in modo più diretto, attraverso la raccolta, la rottura
e l’acquisto di pezzi di barriera. Anche la crescente richiesta di frutti di mare da parte
dei vacanzieri provoca chiari sintomi di sovrasfruttamento dell’ecosistema corallino.
Tuttavia non sono solo i turisti e le loro attività ad avere un impatto degradante
sull’ambiente naturale. Come già accennato precedentemente la grande crescita del
settore ha creato un importante flusso di persone che, dal continente, hanno raggiunto
l’isola in cerca di lavoro, contribuendo ad alterare l’ambiente costiero attraverso la
costruzione di case e la conduzione di modelli insostenibili di pesca e smaltimento di
rifiuti (Gössling e Shulz, 2005,45). I primi flussi migratori in ingresso, a dire il vero
piuttosto contenuti, si registrano nel decennio che seguì il Tourism Investment Act, del
1986, e si trattò per lo più di persone che avevano già contatti con qualche zanzibari. Il
numero dei migranti iniziò a salire in modo consistente verso la metà degli anni ’90,
andando di pari passo con l’aumento del numero dei turisti.
L’indagine di Gössling e Shulz, che cercano di analizzare il fenomeno della
migrazione legata allo sviluppo del turismo tentando di tenere in considerazione la
distinzione tra un Settore Turistico Informale (ITS) e quello Formale (FTS), mostra
come, all’epoca della ricerca il turismo avesse arriso molto più agli immigrati piuttosto
che alla popolazione locale. Nel settore informale, su 64 commercianti intervistati, ben
50 non erano isolani, di questi la maggior parte vendeva souvenir, mentre i locali si
concentravano maggiormente nel piccolo commercio di oggetti appartenenti alla
‘cultura tradizionale’, come i kangas e i pareos. Nel settore formale, d’altro canto, gli
albergatori preferivano ingaggiare gli immigrati poiché spesso avevano un grado di
istruzione adeguato e una formazione più specifica rispetto alla media degli Zanzibari
(questo fin quando il governo non impedì l’assunzione, all’interno del Settore Formale,
di personale che non fosse originario dell’isola). Inoltre, tra i lavori che Gössling e
Shulz rilevavano come quasi totale appannaggio delle donne immigrate era la
23
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
prostituzione: infatti arrivavano dal continente, e maggiormente dalla Tanzania,
numerose ragazze con il preciso scopo di sfruttare lo sviluppo del turismo per fornire
prestazioni sessuali a pagamento.
Questa generale e sostanziale disparità si traduce anche in una differenza piuttosto
netta di entrate economiche: la popolazione locale aveva accesso a redditi notevolmente
più bassi, che solo nel migliore dei casi si aggiravano intorno ai 50-60 US$ giornalieri,
mentre una buona percentuale degli immigrati superava abbondantemente tale soglia.
Gli abbondanti flussi migratori, bisogna appuntare, hanno provocato non poche
conseguenze. Il contatto ripetuto con stili di vita molto diversi, sia quelli dei migranti
che dei turisti, votati al piacere, al consumo e all’individualismo, si pone in netto
contrasto con il modello etico degli Zanzibari, dedito al lavoro e alla religione, di chiara
matrice islamica. Non è raro, inoltre, che i migranti siano tacciati di rubare il lavoro ai
locali, altrettanto frequenti sono i casi di rapina, furto e stupro a danni di turisti, di cui si
rendono responsabili individui della popolazione locale.
Lo sviluppo del turismo a Zanzibar, come sarà ormai evidente da questa breve
panoramica, è stato e continua a essere un processo complesso, in cui giocano il loro
ruolo diversi attori, portatori di interessi diversi.
Promosso istituzionalmente a partire dalla metà degli anni ’80, è stato terreno
fertile per investimenti stranieri, che hanno radicalmente trasformato i connotati delle
coste dell’isola costruendo decine di alberghi. Puntando sul turismo per cercare di
alimentare l’economia e quindi, stando ai documenti ufficiali, di creare le condizioni
affinché la povertà fosse sradicata, il governo promosse soprattutto la valorizzazione
dell’ambiente naturale come principale attrattiva per i vacanzieri. Tuttavia il ‘paradiso
tropicale’ tanto celebrato è continuamente messo a repentaglio proprio da alcuni
processi e fenomeni legati, in maniera più o meno stretta, al turismo. Per contro anche le
condizioni economiche della popolazione non sembrano essere radicalmente mutate,
anzi, una buona parte dei locali vive tuttora sotto la soglia di povertà. Tutto ciò sembra
contrastare con l’immagine paradisiaca dell’isola che viene proposta, fatta di palme,
spiagge bianche e abbondanza di risorse, o per lo meno l’impressione è che ci si stia
nascondendo dietro.
A questo punto, quindi, trovo opportuno chiedersi: in che modo tale
rappresentazione viene prodotta? In che ambito? Da chi? Chi ne fa uso? Ma soprattutto,
24
qual è l’immagine di Zanzibar che i turisti a loro volta acquisiscono? Come la
metabolizzano e cosa restituiscono? In che modo queste due forme di rappresentazione
possono trovare spazi di influenza reciproca?
Nelle prossime pagine, quindi, cercherò di far luce su tali interrogativi, andando
ad analizzare nello specifico in che modo, attraverso quali azioni e quali politiche
l’attività promotrice del governo di Zanzibar abbia permesso la costruzione di
un’immagine, prodotta ad hoc, al fine di attirare visitatori sul suo territorio e
trasformare l’isola in un’importante meta turistica.
25
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
1.3. Zanzibar: costruzione di una meta turistica
Come ho cercato di mettere in luce nelle pagine precedenti, il turismo a Zanzibar
non si è sviluppato per caso. La chiara e decisa volontà del governo, che a metà degli
anni ’80 decise di ‘aprire l’isola al Mondo’ e di puntare sul turismo per dare nuova linfa
all’economia del paese e sradicare la povertà, infatti, portò a una crescita repentina del
settore. La politica di agevolazioni per gli investimenti esteri fu l’elemento decisivo e
questi, che non tardarono, si concentrarono soprattutto sulla costruzione di hotel. Nello
stesso tempo, per potersi lanciare sul mercato internazionale, era necessario che
Zanzibar diventasse una meta turistica, un posto appetibile da chi sta per decidere di
compiere una vacanza. Questo poteva accadere a patto di costruire e far arrivare ai
potenziali turisti un’immagine, una rappresentazione di ciò che l’isola poteva offrire
loro. Seguendo John Urry, il turismo si può definire come
“un consumo visivo ed ha luogo quando uno sguardo turistico si posa su un
oggetto [...][che] è in grado di attirare degli sguardi turistici solo nel caso in cui gli
venga attribuita una qualche qualità turistica”. 29
Il modello proposto da MacCannell, d’altra parte, spiega come l’attrazione
turistica deriva da un sistema di relazioni fra un elemento umano (turista), un elemento
da osservare (sight) e un elemento informativo (marker). L’offerta turistica di un luogo,
dunque, viene fortemente influenzata dall’elemento informativo, che trasforma il sight
in attrazione turistica (Savoja, 2005:200).
Nel caso di Zanzibar, che a metà anni ’80 non poteva contare su una tradizione di
visite turistiche, avendo adottato nei due decenni precedenti una politica di relativo
isolamento, l’ambizione di diventare meta turistica doveva passare per quelle
informazioni che Leiper chiama detached markers30. In poche parole Zanzibar poteva
diventare una meta appetibile per i turisti solo attraverso la diffusione di un
immaginario costruito ‘a distanza’. I potenziali visitatori dovevano essere spronati a
scegliere l’isola come meta delle loro vacanze grazie a quelle immagini e
rappresentazioni costruite ad hoc che li potevano raggiungere e informare prima di
29 Savoja, 2005:19930 I detached marker fanno riferimento a quella serie di informazioni distanti dal sight a cui si riferiscono. Possono essere
distinti ulteriormente in gene rating marker (informazioni che permettono la formazione dell’immagine di un posto prima di averlo visitato) e transit marker (che raggiungono il turista mentre sta raggiungendo la meta) (Savoja, 2005:201)
26
averla visitata: in poche parole era necessario fare una forte promozione che esaltasse
quegli elementi capaci di render Zanzibar un luogo unico e attraente agli occhi di chi
non l’ha mai vista.
Il governo sembra aver avuto ben chiaro questo concetto, tanto che sostenne
l’importanza di creare una rappresentazione stereotipata del proprio territorio e della
propria cultura che fosse:
“the expression of all objective knowledge, impressions, prejudices, imaginations
and emotional thoughts with which a person or group judges a particular object or
place” 31.
Partendo dall’idea che una destinazione turistica spesso viene scelta proprio in
accordo con l’immagine che ne viene promossa, il Revolutionary Government of
Zanzibar incentivò la costruzione di un’immagine turistica di una Zanzibar originale,
sicura e attraente. Le strategie da utilizzare per compiere questa operazione furono
individuate sostanzialmente in sette punti:
“Making the best use of the particular resources and peculiarities of the region
or site.
Providing opportunities for contact with local people, their crafts and custom.
Introducing specific features to create “atmosphere” and identity.
Upgrading the quality of standards of the tourist products in special and related
services and facilities in general.
Mobilizing and sensitizing the people of Zanzibar to realize the importance of
tourism, and to contribute to human resources development.
Improving the overall cleanliness and reduce pollution in Zanzibar.
Conserving the ecological systems and fauna of the natural attraction” 32
Un marketing attivo ed efficacie, dunque, permise a Zanzibar di sviluppare
rapidamente una forte attrattiva turistica e parte del merito fu dovuto dall’attività
promozionale svolta dai nuovi costruttori di alberghi, che dovevano far fruttare il loro
investimento.
Così Zanzibar in breve tempo e come poche altre località, venne associata
all’immagine di ‘paradiso tropicale’:
31 Policystatement.pdf (§ 4.9)32 ibidem
27
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
“white beaches are framed by palm trees and shaped by the blue waters of the
Indian Ocean, colorful coral reef gardens attract divers from all around the world,
and clove, cinnamon, and chestnut plantations have made it famous as the “spice
island”. Its Islamic culture and its mixture of ethnic groups, a result of the
mercantile history of the island, as well as a part of its capital, the Stone Town
(a UNESCO world heritage site) make the island a unique place even from a
cultural perspective. Zanzibar is marketed by tourism as a tropical paradise, a
happier, “better” place characterized by individual freedom, peace, abundance of
food, and free sex”.33
A partire dal 1992 il governo di Zanzibar iniziò a gestire la ‘macchina’ del
turismo in modo più organizzato e pianificato: furono infatti la Zanzibar Investment
Promotion Agency (di cui uno dei principali settori di intervento era appunto il turismo)
e soprattutto la Commission for Tourism, che aveva precisamente lo scopo di
promuovere Zanzibar come meta turistica.
Testata del sito www.zanzibar.net
Viste le caratteristiche del territorio, uno dei primi settori su cui si puntò fu
l’ecoturismo: già nel 1994 si tenne sull’isola l’International Workshop on Ecotourism
and Environmental Conservation. L’intento di questa conferenza fu principalmente
quello di passare in rassegna alcune esperienze di ecoturismo di altri paesi, fornire ai
funzionari governativi e ai tour operator un’introduzione pratica all’ecoturismo e
discutere i piani per stabilire le aree di conservazione naturale e per esaminare i benefici
della popolazione locale coinvolta nel turismo. La conferenza fu molto importante
anche perché gettò le basi per un piano di sviluppo turistico futuro, incentrato 33 Gössling, 2002:540
28
principalmente su considerazioni di ordine sociale e ambientale (Honey, 1999 cit. in
Gössling, 2003:183).
Ciò che emerse da questo incontro internazionale, in linea teorica e mai
ufficializzata, fu di puntare a un turismo dai volumi contenuti, di alta classe, sensibile a
questioni culturali e ambientali. Tuttavia questi propositi, come accennato, rimasero
soltanto delle indicazioni di massima e non vi furono mai alcune direttive governative
che obbligassero gli alberghi a selezionare i turisti o a limitarne il volume, né fu mai
formalizzata una valutazione appropriata circa l’impatto ambientale del turismo in un
ecosistema fragile come quello di Zanzibar. Ancora nel 2002 le misure di tutela
ambientale per gli hotel erano assolutamente discrezionali (ibidem).
La promozione e gli investimenti di valorizzazione dell’isola iniziarono a fruttare
anche alcuni importanti riconoscimenti: nel 2000, infatti, Stone Town34 fu dichiarata
patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO, che la identificò come uno dei più
importanti centri commerciali del XIX secolo della costa Swahili (Honey, 2008:256).
L’attenzione internazionale sulla capitale iniziò ad aumentare da quando il
governo decise di ‘aprire l’isola al mondo’ e la città fu una delle due zone su cui
maggiormente si concentrarono gli investimenti turistici (l’altra, come già detto, fu la
costa orientale). Seguendo un interessante saggio di Rafael Marks (1996), in cui l’autore
mette in luce le criticità di una politica urbanistica tutta protesa alla privatizzazione e al
turismo, si può intuire, da un lato, quali siano stati i meccanismi che hanno fatto fiorire
questo settore anche a Stone Town, dall’altro, in che modo la città così diversa dai
villaggi della costa orientale, possa inserirsi in una rappresentazione generale dell’isola.
Le descrizioni di Zanzibar sulle brochures turistiche, che ormai si trovano in tutto
il mondo, inducono i visitatori a immaginare un’isola su cui si possono trovare palme e
spiagge deserte, una popolazione esotica dalla cultura intatta e la misteriosa e storica
Stone Town (Ivi:266). La città di pietra, dunque, a differenza dei villaggi della costa
orientale non fu al centro di una promozione del suo ambiente naturale: i suoi elementi
di attrazione, com’è facile intuire, sono legati allo spazio urbano e ai segni che esso
presenta del fiorente passato di importante snodo commerciale dell’Oceano Indiano.
“with its narrow winding streets, old stone buildings, delicately carved balconies
and exotic associations” 35
34 Stone Town è la parte più antica di Zanzibar Town, la capitale dell’isola.35 (Marks, 1996:265).
29
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Dall’inizio del XX secolo furono prodotti diversi piani urbanistici generali per la
riqualificazione e conservazione di edifici storici. Il primo fu affrontato nel 1919 e da
allora, attraverso i vari governi che si succedettero, ne furono presentati almeno sei (fino
alla metà degli ani ’90), tutti realizzati secondo una logica top-down, a partire dunque da
competenze e finanziamenti stranieri e con una scarsa partecipazione pubblica. Tutti
questi piani si caratterizzavano per una fede assoluta nel fatto che la tecnologia potesse
risolvere le complesse situazioni socio-economiche, politiche e culturali. Da queste
linee non si discosta affatto quello promosso nel 1983, che sosteneva la privatizzazione
degli edifici storici e un programma di conservazione legato al turismo. La politica fu
quella di vendere numerose costruzioni di proprietà del governo, stimolando al tempo
stesso la loro restaurazione da parte dei nuovi acquirenti attraverso il finanziamento per
opere di riqualificazione delle aree urbane. La speranza era proprio quella di incentivare
il ripristino di edifici storici, a fronte del fatto che questi potessero diventare una forte
attrattiva per il turismo, che proprio a metà degli anni ’80 iniziava a far registrare un
primo fermento. Questa linea politica, nella sua attuazione, produsse di fatto molti più
risultati per quel che riguarda la privatizzazione e la promozione del turismo, piuttosto
che la riqualificazione urbana (Marks 1996:268-9). Anche il piano disegnato tra il 1992
e il 1994 era fortemente centrato a incoraggiare lo sviluppo di infrastrutture per il settore
ricettivo-turistico.
Questo scenario complessivo ha fatto sì che dai primi anni’80 ai primi anni ’90 la
quantità di edifici a Stone Town aumentasse del 10%, mentre oltre un terzo delle
costruzioni ‘tradizionali’ fossero fortemente alterate. Questi dati testimoniano il fatto
che la maggior parte degli investitori, sia locali che stranieri, puntarono decisamente sul
turismo, mentre una scarsa minoranza si impegnò nella riabilitazione delle loro
strutture, nonostante gli incentivi e le prospettive di guadagno da una vendita
successiva.
Lo sviluppo del turismo, in ogni caso, ha portato alla necessità di una
conservazione del tessuto urbano che fosse ‘tourist friendly’ (Marks, 1996: 271), anche
se non tutte le aree della città hanno lo stesso trattamento: le zone ricche o quelle
maggiormente visitate hanno accesso a servizi e manutenzione che non vengono
riservati a quartieri poco appetibili ai turisti.
30
Scorci di Stone Town
fonte: www.tripadvisor.it
Dunque il fascino di Stone Town, insieme alla costa orientale con le sue bianche
spiagge, la barriera corallina, le aree marine protette e alla nascita di alcuni eventi
culturali di livello internazionale36 continuano ad attrarre un numero sempre crescente di
turisti. I circa 20.000 turisti internazionali che visitarono Zanzibar nel 1985 sono
cresciuti fino a superare quota 125.000 nel 2005, facendo registrare un andamento
negativo solo a seguito di episodi internazionali che hanno minato la sicurezza del
viaggiatore37 (Honey, 2008:265; Steck, Wood, Bishop, 2010:2). Il picco di arrivi
sull’isola, raggiunto nel 2007 con la quota di circa 145.000, ha visto di recente una
leggera flessione a causa della crisi economica internazionale, attestando le visite
intorno alle 135.000 nel 200938.
L’obiettivo del governo di trasformare Zanzibar in un’importante meta turistica
sembra ormai aver trovato il suo percorso di realizzazione.
Fino a qui ho cercato di far emergere in che modo ciò è stato possibile e quali
implicazioni (sociali, ambientali, economiche, ecc.) sono scaturite da questo processo,
concentrandomi più sul polo zanzibarino del contesto turistico. Proseguendo sarà
interessante andare a capire, attraverso una disamina degli strumenti che le teorie
antropologiche hanno costruito negli anni, come i turisti si approcciano a questo
36 Tra i principali eventi che si svolgono sull’isola possiamo annoverare: lo Zanzibar International Film Festival nella prima metà di luglio; il Sauti Za Busara Swahili Music & Cultural Festival durante la prima metà di febbraio; lo Zanzibar Cultural Festival verso la fine di luglio; le due celebrazioni religiose Eid ul Hajj (nel mese Dhu l-Hijja, ovvero quando i mussulmani devono compiere il pellegrinaggio alla Mecca) e Eid ul Fitr (alla fine del mese di Ramadan), il Mwaka Kogwa, di origine Zoroastriana, che si tiene verso la metà di luglio a Makunduchi, un villaggio nella parte Sud di Zanzibar; infine l’International Triathlon & Marathon, organizzato tutti gli anni all’inizio di novembre. (http://www.zanzibar.net/ music_culture/festivals_events).
37 Il genocidio del Rwanda nel 1994, gli attentati al World Trade Center nel 2001 e la Guerra del Golfo nel 2003.38 I dati derivano dagli studi della Zanzibar Association of Tourism Investors condivisi durante la la tavola rotonda
“Responsible Tourism Partnerships”, tenutasi ad Arusha il 3 giugno 2010 (http://www.sustainabletourismnetwork.co.za/ wp-content/uploads/2010/10/PPT_ZATI.pdf)
31
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
contesto, attraverso quali canali scelgono Zanzibar e per mezzo di quali ne danno una
loro rappresentazione. Mi propongo, dunque, di capire se e in che modo, attraverso la
condivisione di immagini, raffigurazioni e narrazioni, i turisti costruiscano una loro
identità specifica, un senso di comunità immaginata, partendo dall’esperienza comune
dell’essere stati sull’isola di Zanzibar.
32
2. TEORIE - Uno sguardo antropologico sul turismo
2.1. Il turismo
Il turismo oggi è un fenomeno planetario, non è necessaria una tesi in
antropologia per dimostrarlo. Diversamente da quanto accadeva fino a circa un secolo
fa, non riguarda più pochi esponenti dell’alta borghesia di alcune società ricche
‘occidentali’, soprattutto europee Questa trasformazione, questa ‘esplosione’ ha come
origine una complessa serie di processi di diversa natura, innescatisi a partire dalla metà
del XIX secolo ed evolutisi fino ai giorni nostri: la diffusione del sistema capitalistico e
il conseguente inserimento del turismo nella sfera dei consumi, la trasformazione del
tempo libero derivante dall’economia post-fordista, l’interesse da parte dello stato circa
l’utilizzo del tempo libero dei propri cittadini; ma anche il processo di decolonizzazione
che ha permesso a molti dei paesi considerati in via di sviluppo di diventare ambite
mete turistiche, lo sviluppo dell’informazione e dell’informatizzazione globale e della
pubblicità mediatica che hanno favorito la reificazione delle attrazioni turistiche, ecc.39
Non è mia intenzione, in questa sede, ripercorrere e analizzare la storia di tale fenomeno
e non credo sia rilevante, per il momento, indagare più nello specifico i processi che
l’hanno generato. Ciò che invece mi propongo, nelle prossime righe, è stimolare, se ce
ne fosse bisogno, una riflessione sulla complessità del turismo postmoderno 40 e su ciò
che comporta, nel concreto, il suo riprodursi per le persone e le società che ne sono
partecipi. Nel capitolo precedente ho provato a tracciare un percorso che, tenendo
insieme l’ambito storico, politico e sociale, permettesse di intuire quali fossero gli effetti
di una tale complessità in un contesto peculiare come quello di Zanzibar.
Il turismo investe e intrappola nelle sue maglie tanto lo stante quanto l’andante,
crea dinamiche che, in modi, tempi e spazi propri, influiscono in modo significativo
39 Per un’analisi più dettagliata circa i processi di trasformazione che hanno riguardato il turismo nel XIX e XX secolo si veda Gemini, 2008 e Löfgren, 2001
40 Per un approfondimento sul concetto di turismo postmoderno si veda Minca, 1996
33
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
tanto nella vita degli host quanto in quella dei guest, sia a livello strettamente pratico
che sul piano simbolico (Simonicca, 2004; Barberani, 2006; Aime, 2005).
Viaggiare, lasciare la propria dimora, abbandonare la propria routine quotidiana
per un fine più o meno futile (relax, vedere cose da vedere, ‘staccare la spina’, ecc.), ma
anche ricevere visite, essere continuamente o periodicamente a contatto con persone
sconosciute sono situazioni che innescano meccanismi riguardanti diverse sfere delle
attività e delle rappresentazioni, sia individuali che sociali. Essere turista o essere
ospitante mette in moto tutta una serie di attività, di rituali, di aspettative,
rappresentazioni, immaginari che in qualche modo si incontrano nel momento della
vacanza, tuttavia si generano e producono effetti sia prima che dopo di essa. Il turista,
nel rientrare nella propria quotidianità, nella sua domesticità, riporterà con sé oggetti,
informazioni, rappresentazioni, certezze, dubbi, modi di vedere il mondo che
inevitabilmente resteranno impregnati dell’esperienza vissuta durante il viaggio, quindi
dell’aver trascorso un certo periodo, in determinate condizioni, in un contesto altro
rispetto a quello dove abitualmente vive, a contatto con persone differenti da quelle che
solitamente si incontrano nella routine della propria vita quotidiana. L’esperienza
turistica entrerà a far parte del bagaglio culturale dell’individuo, grazie anche a oggetti e
riferimenti che andranno a costruire il ricordo dell’esperienza stessa.
Chi invece vive o lavora in un contesto turistico in un certo senso si trova sempre
in bilico tra un continuo incontro con l’alterità e la propria quotidianità. Goffman
(1969), parlando della vita quotidiana degli individui, attraverso una metafora ‘teatrale’
sottolinea come questa si svolga su due piani distinti: una ribalta (front region), dove
l’attore mette in scena il proprio io sociale, e un retroscena (back region), dove viene
protetta la propria autenticità, la propria intimità culturale. MacCannel prima (1973) e
Boissevain poi (1996) riprenderanno queste categorie per spiegare la duplice
dimensione della vita sociale degli host di un contesto turistico, fatta di attività e di
investimenti simbolici diversi. Secondo i due antropologi la front region vedrebbe la
messa in scena di attività fisiche e rappresentazioni sociali adeguate a un contesto di
incontro con il turista, mentre nella back region le azioni e gli investimenti simbolici
giocati dagli individui non sarebbero influenzati dalla presenza dello straniero e
resterebbero, in un certo senso, più autentici.
34
Questa separazione, piuttosto netta, è stata ripresa e sostenuta da alcuni studi
etnografici, che si sono concentrati su alcune dinamiche legate al processo turistico e
alla riproduzione sociale, mettendo in evidenza come la turistificazione di determinate
località provochi un mutamento dei rapporti tra front region e back region. In
particolare Greenwood (1978) e Buck (1978), che studiarono rispettivamente la festività
Alarde della città basca di Fuenterrabía e la comunità Amish della Pensylvania, notarono
come il turismo e la sua dirompente forza economico-commerciale produca
necessariamente delle trasformazioni anche all’interno delle sfere più ‘intime’ delle
comunità locali su cui si essa ‘abbatte’. I due autori, tuttavia giungono a una
conclusione differente: mentre Greenwood sottolinea come il turismo determini una
distruzione di quegli elementi cardine su cui si riproducono i valori sociali (in questo
caso la festa e ciò che significava per la popolazione), Buck invece sostiene che la
dirompenza del turismo produca una forza centripeta che aumenta ancor più la
separazione tra front e back region, rafforzando l’identità culturale dei residenti e quindi
il rapporto fra immagine auto attribuita ed eteroattribuita.
Questi due modelli, divenuti famosi coi nomi di Alarde e Amish, danno una
interpretazione delle dinamiche che interessano le relazioni tra front e back region,
considerando questi due piani come separati in modo piuttosto netto. Chi invece, in un
certo senso, supera questa contrapposizione forte è Picard (1992). Studiando la
turistificazione di Bali, l’autore giunge alla conclusione che lo sguardo dei visitatori da
vita una dinamica di innovazione all’interno della cultura locale, andando a ridefinire
quei confini che ogni volta il turismo tende a oltrepassare, mantenendo perciò viva una
sfera sacrale non commercializzabile, che però si trasforma e da luogo a manifestazioni
culturali nuove.
Personalmente mi trovo più vicino al modello Bali e credo sia più plausibile
pensare che una comunità che vive, più o meno costantemente, a contatto con altre
persone dai presupposti culturali differenti dai suoi, si trovi inevitabilmente immersa in
un continuo processo di ridefinizione e consolidamento di pratiche e simboli. La
separazione tra ciò che appartiene al retroscena e ciò che si trova sulla ribalta avrà un
carattere fluido: il privato e il pubblico, l’interno e l’esterno, l’autentico e il costruito ad
hoc, tenderanno inevitabilmente a confondersi, a mescolarsi, a contagiarsi in quella che
è la routine quotidiana, mentre l’intimità culturale sarà costantemente ridefinita.
35
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
2.2. Principî di antropologia del turismo
Nel primo capitolo ho cercato di fare una panoramica su alcuni aspetti critici di
cambiamento all’interno del peculiare contesto zanzibarino, certamente sottolineando
maggiormente alcuni aspetti che mi interessavano più di altri. In particolare ho cercato
di tracciare le traiettorie attraverso cui Zanzibar si è trasformata in meta turistica.
Questo, come abbiamo visto, ha implicato l’intervento di una molteplicità di forze
sociali, istituzionali, politiche ed economiche che hanno radicalmente mutato il profilo
dell’isola, rendendola una meta appetibile sul mercato del turismo internazionale.
All’interno del processo turistico, dunque, risultano passaggi fondamentali tanto
la presenza di una società in grado di generare viaggiatori per diletto, quanto contesti in
grado di creare, da un lato, le condizioni sociali e infrastrutturali per l’accoglienza,
dall’altro di essere un’attrattiva, di rappresentarsi in modo tale da poter interagire in
modo efficace con i meccanismi psico-sociali che regolano il complesso ambito delle
motivazioni al viaggio.
Presa questa posizione come valida, ritengo necessario, nella prima parte del
capitolo, provare a chiarire alcuni concetti legati proprio alle questioni appena
evidenziate, ovvero lo statuto del turista (di massa o culturale) e del turismo (processo
transazionale o esperienziale) e le motivazioni al viaggio, in quanto elementi chiave per
poter condurre una ricerca antropologica sull’immaginario turistico.
Senza ripercorrere in questa sede tutta la storia dell’antropologia del turismo,
nonostante si tratti di una disciplina relativamente recente41, nelle prossime pagine
cercherò di fornire un quadro organico di quelle che sono state le principali posizioni
teoriche formulate intorno agli argomenti suddetti, per meglio delineare le categorie che
hanno permesso l’analisi della mia ricerca.
41 Il primo saggio considerato di antropologia del turismo, dal titolo Tourism, tradition and acculturation. Weekendismo in a mexican village, fu pubblicato da Nuñez, nel 1963, dopodiché non ci fu un interesse strutturato sull’argomento per circa un decennio, quando furono organizzati un convegno a Mexico City (1974) e due simposi regionali sul turismo del Pacifico, a Honolulu nel 1975 e l’anno dopo all’università statunitense di Santa Cruz. Inoltre, poco tempo dopo, nel 1978, furono pubblicate due fondamentali opere collettanee: Hosts and guests: the anthropology of tourim (a cura di V. Smith) e Tourism. Passport to development? Perspectives on the social and cultural effects of tourism in developing countries (a cura di De Kadt).
36
Partendo dal presupposto che l’antropologia del turismo si propone di studiare
“l’incontro (encounter) che si produce nel rapporto di accoglienza tra ospite e ospitante
(guest / host) entro uno specifico spazio antropico e naturale (territorio)” 42, è necessario
sottolineare che i confini culturali risentono fortemente dell’azione svolta dalla mobilità,
dando luogo a un processo (anche conflittuale) di ridefinizione identitaria. Per
analizzare il turismo, dunque, non si può prescindere dal concetto di viaggio, non c’è
turismo senza spostamento, allontanamento dal proprio contesto quotidiano. Allo stesso
modo, però, è indispensabile indagare quali sono le caratteristiche strutturali di questo
viaggio, perché si decide di fare turismo, quali sono le condizioni che lo permettono.
La presenza del ‘tempo libero’ (leisure) nella vita dei viaggiatori è stata, fin dai
primi studi, la caratteristica identificata come necessaria alla possibilità di partire e
lasciare la propria quotidianità, le obbligazioni primarie (Dumazedier, 1962) che ogni
società impone agli individui che vivono al suo interno.
La connotazione del tempo libero e la sua implicazione nel processo turistico è
stato uno dei punti più caldi nel dibattito accademico, delineando due teorie
fondamentali che definivano il turismo come processo transazionale oppure come una
struttura d’esperienza.
Il primo filone, di cui Dannison Nash e Valene Smith sono stati due tra i più
autorevoli sostenitori, pone al centro dell’analisi il processo turistico, fenomeno il cui
nucleo generatore sta proprio nella possibilità storica del tempo libero e per cui si
producono incontri tra individui. È attraverso il tempo libero, dunque, che il turista
viaggia ed entra in rapporto con individui ‘altri’, in particolare con quelle persone che
operano nei siti per offrire servizi ai visitatori, che quindi non sono nella stessa
condizione di libertà dei primi. Come in parte emergerà anche dallo studio che ho
condotto sulle produzioni discorsive dei turisti a Zanzibar, le transazioni generate dagli
incontri tra visitatori e locali danno vita a un sistema di forze capace di ripercuotersi
tanto su culture e comunità locali, quanto nel sistema complessivo dei flussi economici
e sociali a livello globale.
Date le circostanze (opposizione di tempo lavorativo e tempo libero) e le forze in
gioco (flussi culturali, economici, politici, ecc.), Nash sostiene che l’antropologia del
turismo sarà proficua se si occuperà proprio della complessità di questo processo, che si
riproduce tramite le intersezioni storico-sociali di diverse realtà culturali. 42 Simonicca, 2004:35
37
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Alla luce di queste considerazioni e riflettendo su quanto riportato nel primo
capitolo circa l’impatto che il turismo ha avuto sulla popolazione di Zanzibar, si riesce
ad avere una percezione abbastanza nitida del fatto che le due macro categorie di attori
coinvolte nel processo turistico, host e guest, vivono nello stesso posto ma in ‘tempi
differenti’, quindi con orientamenti radicalmente diversi, non solo a causa della
differente provenienza, ma soprattutto per una effettiva opposizione tra lavoro e
consumo di tempo libero. La popolazione locale si trova ad affrontare, all’interno di
quello che è il loro tempo della quotidianità, criticità e problemi innescati proprio dal
turismo, ma che da esso in quanto sistema (e spesso dai turisti stessi) sembrano essere
ignorati. Il tempo libero, infatti, è tempo per il relax, in cui si pensa prima di tutto a ‘non
pensare come se ci si trovasse in un tempo della quotidianità.
Il secondo filone teorico, sostenuto da autori come Nelson Graburn e Dean
MacCannel, ha posto il leisure non in netta opposizione al tempo lavorativo, costruendo
invece uno schema basato sul concetto di alternanza applicato alle coppie oppositive di
casa-lavoro / relax-viaggio, lavoro / non-lavoro, viaggio / non-viaggio. In quest’ottica
lavoro e viaggio sono due modi, complementari, dell’esistenza e si avvicendano
all’interno della vita dell’individuo come fanno il tempo sacro e il tempo ordinario, alla
stregua di un rituale. A mio parere, il punto di forza di questa corrente è proprio il voler
puntare sull’analogia tra viaggio e rito. Partendo dall’idea di Victor Turner (fondata
sulle teorie di Van Gennep per spiegare i riti di passaggio), secondo il quale l’esperienza
umana risponde a una struttura di sequenze di vita, il turismo dovrebbe essere letto
come una particolare esperienza di vita marcata da schemi di azione formalizzati
(Simonicca, 2004:9) in cui il tempo libero corrisponderebbe a quella fase, concepita da
Mauss per analizzare i riti di sacrificio, in cui si verificherebbero i processi di
separazione dall’ambito e dal tempo quotidiano e quelli del successivo rientro.
Ricapitolando, questa teoria ha il merito di concepire il turismo come una
performance, come un processo trasformativo in cui la produzione simbolica e
immaginifica è alla base di cambiamenti fondamentali sia nelle vite dei turisti che in
quelle dei locali. Chi parte per le vacanze, di fatto, entra in quello che può essere
considerato un ‘mondo sociale’, ovvero un contenitore privilegiato di esperienze che
38
portano a una trasformazione temporale (e temporanea) dell’identità dell’individuo e,
allo stesso tempo, uno spazio di relazioni rilevanti (Savoja, 2004:94).
Tenendo a mente ciò, più avanti cercherò di dimostrare proprio come questa
dimensione esperienziale e performativa sia strettamente collegata e in certa misura
dipendente della produzione e riproduzione dell’immaginario. In questo senso Zanzibar
funzionerà da caso paradigmatico per comprendere in che modo le narrazioni dei turisti
si inseriscano in un contesto processuale di cambiamento, di cui esse stesse sono sia
elementi determinati che combustibile del medesimo sistema. L’immaginario costruito e
le sue rappresentazioni inducono comportamenti, scelte, trasformazioni, percezioni di sé
e dell’altro. Di fatto esso risulta legato, a doppio filo, con il complesso ambito delle
motivazioni al viaggio.
Come accennato sopra, quello delle motivazioni è un punto centrale degli studi
sociali sul turismo. Il principale impulso a questa tematica, tuttavia, non arriva
dall’antropologia: un importante contributo allo studio delle dinamiche e dei processi
che regolano questi comportamenti, infatti, proviene dalla psicologia. Cercherò dunque,
senza addentrarmi troppo nello specifico, di evidenziare alcuni tra i più rilevanti assunti,
rispetto alle motivazioni al viaggio, emersi nell’arco degli studi di tale disciplina.
Premesso che le teorie elaborate dalla psicologia del turismo hanno la
caratteristica di concentrarsi più sulla definizione di tipologie ideali di turisti definiti
sulla base delle mete di vacanza prescelte (Barberani, 2006:188), bisogna comunque
riconoscere che alcuni di questi modelli, soprattutto quelli che si sviluppano all’interno
del campo psico-sociale, hanno il merito di riuscire a focalizzare alcuni aspetti che
ritengo cruciali nel comprendere il funzionamento delle motivazioni al viaggio.
Anzitutto credo sia utile sottolineare, nonostante il carattere rigido e dicotomico,
la distinzione tra motivazioni e intenzioni: queste ultime hanno più a che vedere con la
scelta del luogo specifico, mentre le prime si riferiscono a una categoria più ampia che
vuol rendere conto del perché l’uomo si mette in viaggio (e nella fattispecie all’interno
del processo turistico). Un’altra dicotomia simile, nonché tema ampiamente discusso
dalla psicologia del turismo, è la distinzione tra i fattori di spinta e fattori di attrazione.
I primi sarebbero spinte socio-psicologiche che spiegherebbero la voglia di vacanza,
mentre i secondi sembrerebbero legati a motivazioni di tipo culturale e avrebbero un
39
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
ruolo più determinante nella scelta del luogo da visitare (Mereu, 2005). Entrambi i
modelli, certamente un po’ poco dinamici e difficilmente utilizzabili per condurre
un’analisi approfondita, credo abbiano il merito di evidenziare l’applicazione su diversi
piani della spinta motivazionale che induce gli individui a mettersi in viaggio.
Un punto di vista che mette bene in luce il legame tra motivazioni dell’individuo e
società di appartenenza è quello di Perussia, ripreso da Marina Mura (2008). Il turismo-
vacanza, infatti, sarebbe la scelta fatta dalla società post-industriale per rinnovarsi:
l’individuo avrebbe la percezione di essere in vacanza nel momento in cui si trova in un
contesto turistico identificato come altrove, quindi radicalmente diverso dai luoghi del
quotidiano. Sulla scia di presupposti psico-sociologici come questo, Laura Gemini
sostiene che il turismo
“prima di connotarsi come flusso dinamico caratterizzato dallo spostamento
territoriale, ambito privilegiato del consumo e dello svago, viene progressivamente a
caratterizzarsi come una particolare forma di articolazione del rapporto fra qui e
altrove, come processo legato all’interesse per il diverso, per il nuovo, per l’altrove” 43
Un altro approccio psicologico allo studio delle motivazioni turistiche, a mio
avviso molto interessante, è quello che prende le mosse dall’interazionismo simbolico di
Goffman, secondo cui le azioni dell’individuo, situate in un contesto sociale, sono
influenzate dalle relazioni con gli altri. Come spiega Mereu, infatti
“ogni azione è appresa attraverso simboli e significati creati ed impiegati dal tipo di
società nella quale l’individuo vive, che vengono trasmessi attraverso le interazioni.
Ogni comportamento, a seconda delle relazioni con gli altri, può essere spiegato in
modo differente. In base al sistema di simboli posseduti dal soggetto un
comportamento può essere interpretato e definito come comportamento turistico o
meno. Secondo le applicazioni di questa teoria, le immagini e i simboli posseduti
dall’individuo sono dunque fondamentali nell’interpretazione del contesto e nel
motivare la persona ad intraprendere o no un viaggio”. 44
Secondo questo approccio, dunque, le motivazioni sarebbero spinte che si
rimodellano in base alle relazioni e alla socializzazione degli individui, momenti in cui
43 Gemini, 2008:4144 Mereu, 2005
40
prendono corpo i processi di costruzione simbolica e immaginifica che veicolano le
motivazioni stesse.
In sintesi, la psicologia del turismo, oltre ad aver alimentato e focalizzato
l’interesse per lo studio delle motivazioni al viaggio, ha il merito di aver fornito un
punto di vista, certamente turistocentrico e meno attento all’encounter, che vede i turisti
pronti a partire secondo una serie complessa di spinte, le cui origini si trovano allo
stesso tempo nella dimensione individuale e sociale. Aver sottolineato l’aspetto psico-
sociale delle motivazioni al viaggio, permette di comprendere, da un lato, il loro stretto
legame con la produzione di immagini mentali e comportamenti ad esse collegate,
dall’altro il forte valore relazionale ed esperienziale che soggiace alla loro produzione e
trasformazione. Inoltre, come già accennato, la spinta al mettersi in viaggio può arrivare
su piani diversi, che vanno dal desiderio di visitare, di conoscere un particolare contesto
o vedere una determinata attrazione, a una serie di ‘bisogni umani’45 (di fuga, di relax,
di nuove esperienze, ecc.).
Sul versante socio-antropologico, lo studio delle motivazioni al viaggio si è basato
fondamentalmente sulla separazione durkheimiana di sacro e profano. I principali
approcci sono gli stessi delineati poche pagine sopra, ovvero la teoria che identifica il
turismo come forma di leisure e quella che lo considera una struttura esperienziale.
Il primo punto di vista, che in realtà ha molti agganci con gli approcci psico-
sociali, individua proprio nel leisure la principale spinta al mettersi in viaggio. Un
leisure, però, che in questo caso non è tanto organizzazione sociale di tempo libero e
tempo lavorativo, quanto più un movente psicologico d’azione. Le diverse posizioni
all’interno di questa teoria sostengono: la necessità di identificare quali fattori
permettono agli individui di classificare determinate esperienze come leisure (approccio
definizionale), l’equiparazione del leisure alla soddisfazione ottenuta da un impegno
ricreativo (approccio della ‘soddisfazione post-hoc’), la correlazione tra esperienza del
leisure e le modalità di adesione a gruppi e comunità (approccio del flusso di cosienza).
Il filone teorico esperienziale, sebbene anche’esso parta dalla distinzione tra sacro
e profano, individua sostanzialmente le motivazioni al viaggio nel desiderio
dell’individuo di un’esperienza di alterità rispetto alle condizioni in cui si trova nel 45 La teoria di Maslow (1943) sulla gerarchia dei bisogni umani fu una delle prime a essere riprese nell’ambito della
psicologia del turismo, quello che forse può essere considerato il suo più grosso limite è di soffrire di una preconcetta accezione dei bisogni, tarati sulle società ‘occidentali’.
41
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
contesto quotidiano. Nello spiegare le motivazioni al viaggio, dunque, non avrebbero,
un grosso rilievo le differenti tipologie di turismo, al contrario risulterebbe determinante
la dimensione esistenziale umana per cui universalmente gli individui sarebbero
propensi a ricercare stimoli esterni al proprio ambiente ‘naturale’, profano, per
soddisfare il bisogno di sacralità, di allontanamento dalla propria vita quotidiana per poi
rientrarvi con una nuova modalità d’essere46.
Löfgren, nelle ultime righe del suo libro dal titolo Storia delle vacanze (2001:283)
fornisce un punto di vista interessante, concettualmente in linea con questo approccio:
“Andare in vacanza […] è anche una storia di emancipazione, di esplorazione di
nuove possibilità e di imprese ardite. Se i turisti di oggi non si accontentano più del
sole e delle guide turistiche, la storia ci insegna che molti vacanzieri sembrano non
essere mai contenti, nel 1799 come nel 1999. L’inquietudine, la frustrazione e la
noia fanno parte della ricerca della grande esperienza personale. Un desiderio
strano e spesso insaziabile di trascendenza conferisce al turismo un elemento di
religiosità secolare, una ricerca di quella realizzazione che ci aspetta là da qualche
parte, nei luoghi dell’altrove. Non appena la vacanza è terminata, cominciamo a
sognare la successiva: la vacanza perfetta” 47
Tracciato un quadro generale che fornisca l’idea degli studi compiuti per spiegare
il funzionamento delle motivazioni turistiche (e di viaggio in generale), vorrei ora
approfondire brevemente due aspetti, legati tanto a questo stesso tema quanto a quello
dell’immaginario, che ritengo interessanti e utili ai fini del mio lavoro: la ricerca
dell’autenticità e del ‘paradiso terreste’.
La ricerca di autenticità come motivazione al viaggio fu teorizzata da MacCannell
nel 1973, ribaltando di fatto le teorie della sight seen, secondo cui le cose da vedere,
esposte come in una vetrina, vengono private del loro spessore, distaccate dal loro
contesto di produzione che permette di spiegarle (Savelli, 1988:39). L’autore, infatti,
sosteneva la possibilità di esperienze autentiche anche all’interno di viaggi organizzati:
si tratta di una ricerca complessa che deve procedere attraverso l’esplorazione
dell’oggetto turistico sia nel suo modo di presentarsi (front region) che nel suo mondo
46 Questa teoria, come si può intuire, è strettamente connessa con quelle tesi che associano il turismo a una sorta di rituale.47 Löfgren, 2001:283
42
intimo (back region), al quale il turista può avere accesso percorrendo diversi stadi che
ne segnerebbero la maturità turistica (MacCannell, 1973).
Le posizioni di diversi autori, tuttavia, hanno fatto emergere alcuni punti critici di
questa tesi e, per comodità descrittiva, sarei portato a distinguerle in due filoni: un
primo punto di vista che nega la possibilità del turista di esperire l’autenticità del
contesto turistico in cui si trova e un secondo punto di vista che sostiene come oggi il
turista, liberato dell’illusione di poter attingere all’autenticità, in alcuni casi vada alla
ricerca della finzione, della messa in scena.
Tenderei ad annoverare Marco Aime tra la prima ‘fazione’. Già dal titolo del suo
libro del 2005, L’incontro mancato, si intuisce non solo una disillusa convinzione
dell’impossibile ricerca dell’autenticità, ma anche il fatto che l’incontro stesso tra host e
guest, di fatto non si possa realizzare, sarà sempre mediato, ci saranno sempre delle
costruzioni culturali (che Aime chiama ‘bolle ambientali’ riprendendo un’espressione di
Cohen) atte ad attenuare lo shock dell’incontro, in modo che questo risulterà sempre
viziato da equivoci. Inoltre Aime sottolinea un altro aspetto molto interessante: come
detto, l’autenticità ricercata dai turisti è quella che Goffman chiama backstage,
un’autenticità che permetta di comprendere in che modo i nativi siano rimasti legati al
loro passato. Tuttavia anche qui si presenta un equivoco: sempre più frequentemente i
nativi tendono verso comportamenti, stili di vita, immaginari occidentali. Inoltre la
rappresentazione, la ribalta, in ogni caso fa parte della realtà e non è meno autentica del
retroscena. Dunque i nativi possono mettere in scena quell’autenticità ricercata dai
turisti oppure vivere la loro vita senza tener conto di questi ultimi: nel maggior numero
dei casi fanno entrambe le cose.
Sulla stessa scia si pone La Cecla (in Löfgren, 2001), secondo il quale nonostante
il turismo sia un’esperienza della non autenticità di ciò che vediamo, se ne può
rintracciare il senso proprio in quelle versioni che i nativi costruiscono della loro
autenticità appositamente per i turisti stessi. Allo stesso modo Claudio Minca (1996)
sottolinea come la fine dell’illusione di accedere a una realtà ‘autentica’ all’interno del
proprio contesto quotidiano generi lo straordinario desiderio di autentico che porta orde
di turisti in ogni angolo del globo.
Da un altro punto di vista, come accennato, ho separato concettualmente questi
primi studi da chi invece sostiene tanto la disillusione della possibilità di accedere a una
43
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
qualche dimensione autentica, quanto l’accettazione e la ricerca, da parte degli
individui, di qualcosa di appositamente costruito, conosciuto e riconoscibile.
Partendo dal concetto di pseudo-eventi 48, elaborato da Boorstin nel 1961, Turner e
Ash (1975) iniziarono a proporre l’idea che alcuni turisti non vadano alla ricerca
dell’autenticità, bensì di eventi costruiti. La proposta dei due autori, infatti, è la
possibilità di pensare che tra alcuni di questi viaggiatori esista la consapevolezza del
fatto di essere in un contesto di consumo e riproduzione dell’altro, quindi per nulla
spontaneo o autentico.
Un altro autore, che certamente non è ascrivibile tra i ‘classici’ dell’antropologia
del turismo, ma che sicuramente ha fornito interessanti spunti in questa disciplina e
proprio rispetto al tema dell’autenticità, è Marc Augé. In Disneyland e altri nonluoghi
(1999), l’autore francese spiega che, in contesti come appunto Disneyland, i visitatori
non sono mossi affatto dalla ricerca di qualcosa di ‘autentico’, di ‘veramente reale’,
bensì ricercano uno spettacolo del tutto simile a quello che è stato loro preannunciato.
“Nessuna sorpresa: era come al Museo di arte moderna di New York, dove non ci
si stanca di constatare fino a che punto gli originali somiglino alle copie. […] A
Disneyland è lo spettacolo stesso che viene spettacolarizzato: la scena riproduce
quel che era già scena e finzione […] il viaggio a Disneyland risulta allora essere
turismo al quadrato, la quintessenza del turismo: quel che veniamo a visitare non
esiste” 49
La voglia di altro, in questo caso, si coniuga con l’accezione più ‘fantastica’ del
concetto di immaginario. Il mondo in cui ci si proietta, seppur dotato di una sua fisicità,
è la riproduzione di una produzione della fantasia, la spettacolarizzazione di uno
spettacolo: è altro in quanto appartiene all’irrealtà ed è conosciuto in quanto è aderente
alle aspettative generate dal proprio immaginario.
48 “A pseudo-event, then, is a happening that possesses the following characteristics, (1) It is not spontaneous, but comes about because someone has planned, planted, or incited it. Typically, it is not a train wreck or an earthquake, but an interview. (2) It is planted primarily (not always exclusively) for the immediate purpose of being reported or reproduced. Therefore, its occurrence is arranged for the convenience of the reporting or reproducing media. Its success is measured by how widely it is reported. Time relations in it are commonly fictitious or factitious; the announcement is given out in advance "for future release" and written as if the event had occurred in the past. The question, "Is it real?" is less important than, "Is it newsworthy?" (3) Its relation to the underlying reality of the situation is ambiguous. Its interest arises largely from this very ambiguity. Concerning a pseudo-event the question, "What does it mean?" has a new dimension. While the news interest in a train wreck is in what happened and in the real consequences, the interest in an interview is always, in a sense, in whether it really happened and in what might have been the motives. Did the statement really mean what it said? Without some of this ambiguity a pseudo-event cannot be very interesting. (4) Usually it is intended to be a self-fulfilling prophecy. The hotel's thirtieth-anniversary celebration, by saying that the hotel is a distinguished institution, actually makes it one”. (Boorstin, 2007:255; fonte originale: Boorstin,1961)
49 Augé, 1999:18-25
44
Sulla scia di questa tesi, Laura Gemini (2008) puntualizza che con la nascita dei
parchi tematici viene meno l’idea di autenticità del luogo. Visitare un parco tematico (da
Disneyland agli Universal Studios di Hollywood, dall’Acquafan al Vasa Museet di
Stoccolma) significa approcciarsi ad esso esclusivamente per il godimento del suo
aspetto ricreativo ed evocativo, per il riferimento che rappresenta. Allargando il
discorso, a mio avviso il punto più interessante trattato dall’autrice è quello per cui
l’autenticità, un tempo ricercata nell’oggetto, ora si trasferisce nel soggetto e nella sua
esperienza. In sintesi, dando una rilettura della teoria della sight seen, la Gemini
sostiene che se ciò che si guarda (di cui si fa esperienza) non è importante per ciò che è
(poiché il turista coglie l’immagine e non l’oggetto in sé), allora diventa molto più
interessante focalizzare l’attenzione sull’osservatore mentre osserva, poiché ciò che ha
rilevanza in questo contesto sono le immagini di sé in tale situazione: la ricerca
dell’autenticità si centra sull’esperienza del turista e non sull’oggetto, i turisti
percepiscono, vedono, sentono in modo autentico.
Infine, un ultimo punto che si lega strettamente sia all’ambito delle motivazioni di
viaggio (in particolar modo con quelle legate al concetto di autenticità) che a quello
dell’immaginario è la costruzione dell’immagine di ‘paradiso terrestre’ associata a
determinati contesti turistici. Sarà utile, in questa sede, una rapida trattazione
dell’argomento, limitandosi all’origine del legame tra turismo e immagine paradisiaca e
ai suoi modi di riproduzione.
La ricerca (ossessione?) del ‘Paradiso Terrestre’ è da secoli un tema cruciale per
l’umanità (o per lo meno per quella parte in cui il concetto stesso si è sviluppato).
Fagan, in Clash of Culture, fornisce un ampio quadro di questa propensione
immaginifica, sottolineando come i viaggiatori europei cerchino il paradiso in terra
come ultimo baluardo di un’universale Golden Age che non c’è più. Un paradiso,
dunque, che si delinea come un “remote and ancient dream, then it was located on
earth, a mythical golden kingdom” (1998:24). Un concetto, quello di paradiso in terra,
che troviamo espresso nelle descrizioni del paese di Cuccagna o del paese di Bengodi di
Boccaccio: luoghi ‘paradisiaci’ e di abbondanza che sono sempre stati associati a uno
spazio altro, lontano e non ben identificato. Questo immaginario si rafforza quando i
viaggi nel pacifico, nel XVIII secolo, permettono alle potenze europee di acquisire isole
45
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
(lontane) che saranno presto associate proprio all’immagine del paradiso e
dell’abbondanza, come per esempio mostrano i racconti del conte Louis Antoine de
Bouganville (Ivi:132). Il paradiso terrestre inizia così a diventare paradiso tropicale e,
pur restando uno spazio altro rispetto alla quotidianità, si rende pian piano sempre più
accessibile, fino alla sua commercializzazione attraverso il turismo di massa: si prenda
come esempio significativo la costruzione del Royal Hawaiian Hotel sulla spiaggia di
Waikiki, a Honolulu (Hawai), che influenzerà non poco l’immagine stessa di paradiso
tropicale legato a sole, mare e spiaggia.
Questo scenario, consumato e riprodotto all’interno del processo turistico, sembra
rispondere molto bene al desiderio di altro(ve) che muove i viaggiatori. Infatti, come fa
notare Erik Cohen in un suo saggio del 1984,
“life at the beach is experienced as ‘out of time and place’, as a relaxing,
paradisiacal, or ludic existence, that is separate from the ordinary life” 50
Le forme di comunicazione pubblicitaria dell’industria turistica, dunque, hanno
avuto il compito di riprodurre e amplificare, su scala planetaria, quell’immagine di
paradiso tropicale che in certa misura deriva dai discorsi coloniali circa l’esotismo di
luoghi e persone. A questo proposito è emblematica la posizione di Aitchinson
(2001:135), secondo la quale espressioni come Sogno lontano o Paradiso tropicale
popolano le brochures pubblicitarie e attraverso un’operazione di reificazione e
mercificazione procedono alla costruzione di un’immagine di luoghi e persone pronta
per essere consumata da quei turisti in cerca di Altro.
Tourist destinations as sites for tourists, and the people within them as sights for
tourists, are frequently rendered Other by a tourist industry that has developed an
unsigned colonialist and gendered hegemony in the form of a set of descriptors for
constructing and representing ‘Tropical Paradise’. 51
Tuttavia la stessa Aitchinson, nel suo saggio, introduce un elemento di criticità
nella complessità di questo immaginario: l’aspettativa di un luogo paradisiaco è
decisamente alta e per molti turisti potrebbe non essere soddisfatta, lo scarto tra
50 Cohen, 1984:37951 Aitchinson, 2001, 137
46
immagine costruita ed esperienza vissuta potrebbe non essere adeguatamente attenuata
dalla mediazione delle ‘bolle ambientali’. L’autrice, dunque, si domanda:
“how can the tourist to Mauritius reconcile the ‘Ile Paradis’ image with the reality of
visiting one of the most densely populated areas in the world with its associated
poverty and cultural conflict?” 52
Le immagini costruite attorno al concetto di Paradiso non solo, in quanto tali, non
possono corrispondere alla realtà, ma spesso nascondono un contesto profondamente
diverso, tacciono su circostanze sociali, ambientali, amministrative, politiche che
possono rappresentare un elemento problematico per la popolazione locale.
In conclusione, questi strumenti sono le chiavi con cui ho cercato di analizzare i
racconti, le immagini e i filmati che i turisti hanno prodotto rispetto alla loro esperienza
di viaggio a Zanzibar. Ho cercato dunque di mettere in relazione le motivazioni al
viaggio esplicitate con quelle teorizzate dagli studi psico-socio-antropologici, di
comprendere come queste abbiano interagito e continuino a interagire con un
immaginario dell’isola riprodotto e ricostruito; ho provato a indagare le modalità della
percezione della propria identità e quelle della propria percezione rispetto a un contesto
altro, ho cercato di far luce su come la categoria dell’autenticità venga riproposta,
nascosta, veicolata, disattesa o confermata in relazione alle proprie immagini mentali,
precostruite e rinegoziate sul territorio; ho cercato di mettere in relazione un’immagine
paradisiaca dell’isola con l’esperienza narrata dei turisti che, nel loro tempo libero,
hanno a che fare con persone immerse in una realtà sociale quotidiana problematica.
A questo punto, prima di entrare nello specifico dell’analisi, credo sia
indispensabile mettere a fuoco altri due concetti-chiave, decisamente complessi e
strettamente correlati fra loro, come quello di sguardo turistico e immaginario turistico.
52 Ivi:139
47
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
2.3. Lo sguardo turistico
“Nei fenomeni di massa non si esprime solo una logica da condizionamento, ma
piuttosto una composizione dinamica di istanze di diverse compagini. Se il
consumo o il turismo hanno tanto posto nella nostra società occorrerebbe
interrogarsi sulle motivazioni simboliche di queste due attività. Che cosa muove
l’attore sociale nel suo desiderio di altrove? Che cosa significa per una società
nella sua interezza cominciare a concepire il proprio tempo in funzione di una
eterotopia, dell’‘andare via da qui’?” 53
Se da un lato, come sostiene La Cecla, l’analisi antropologica che voglia indagare
il complesso processo turistico deve chiedersi quali siano le motivazioni profonde che
spingono gli individui ad ‘andare via da qui’, dall’altro, seguendo Simonicca,
l’antropologia del turismo si dovrebbe concentrare sullo studio dello spazio turistico, da
intendersi però come campo che, lungi dall’essere neutro per chi vi agisce al suo
interno, è soggetto ad una complessa ed eterogenea operazione di delimitazione e
definizione. Spazio turistico che dunque non può essere inteso in una mera concezione
geografica, ma che deve essere concepito come luogo in cui si incontrano azioni e
proiezioni di attori differenti, uno spazio soggetto a molteplici ‘sguardi’:
“lo sguardo del viaggiatore, in quanto attratto da qualcosa, lo sguardo che la
comunità locale rivolge verso se stessa, lo sguardo che la comunità locale rivolge
verso i viaggiatori, lo sguardo che i soggetti economici rivolgono alle risorse del
sito, lo sguardo dei costruttori dei siti, lo sguardo della classe politica locale, e così
via.” 54
Il concetto di ‘sguardo’ ha, nella tradizione antropologica che fa capo
principalmente a John Urry (1990), una valenza tendenzialmente centrata sull’azione
del vedere, un modo di vedere e comprendere socialmente determinato, che ha una sua
evoluzione storica e culturale. Simonicca invece, sulla scia di Edensor (1998) vuole
sottolineare l’accezione attiva, performativa, costruttiva dello sguardo, che oltre a essere
punto di vista, modalità di comprendere, categorizzare e definire il mondo a partire da
parametri culturalmente dati, è allo stesso tempo un modo di agire coerentemente a
strategie costruttive del sé e del luogo,
53 La Cecla, prefazione a Löfgren, 2001:X54 Simonicca, 2006:39
48
La performance è anzitutto produzione del sito, che si manifesta nelle capacità di
creare attrattive, di fornire servizi e di rinnovare le proprie risorse. Una performance
agita dal sito turistico stesso (ovvero da chi si trova al suo interno) che non può dunque
prescindere da una (re)interpretazione di sé e dalla presa di coscienza della propria
esistenza in quanto tale.
Nel suo lavoro, Edensor (1998), attraverso il caso paradigmatico del Taj Mahal,
cerca di esaminare da un lato le dinamiche e le forze che generano forme di
rappresentazione che, a loro volta, hanno il potere di creare significati. Una produzione
egemonica di temi normativi occlude narrazioni alternative che raccontano altri punti di
vista, altri modi di percepire, di intendere e quindi di agire lo spazio. Uno degli scopi
del suo libro è quello di:
“to examine the limits of dominant representation of, and ways of representing,
tourist sites. I examine the extent to which a dialogic interpretation of places is
possible, and whether meaning can be constructed out of a multiplicity of different
representation. I also concentrate on the ways in which the different spatial and
temporal regulation of tourists are conceived to the rejection of the dominant
meaning of place or their substitution with other interpretations” 55
Dall’altro lato, queste forme di rappresentazione egemoniche, sottolinea Edensor,
sono tali anche (e soprattutto) per ciò che concerne la loro matrice genetica: sono tutte
figlie di un “imperialismo visuale” che ordina e categorizza l’ambiente. L’autore, come
già altri studi antropologici hanno sottolineato, sostiene la capacità di azione da parte di
tutti i sensi nella costruzione della realtà, che possono essere “strade per la trasmissione
di valori culturali”. Rifiutando dunque un approccio ‘ocularocentrico’, Edensor sostiene
la pertinenza di approcciarsi a uno studio del turismo tenendo in considerazione non
solo la modalità di produzione di significati derivante dallo sguardo, ma anche quelle
‘alternative’ generate attraverso gli altri sensi e le relative esperienze che questi
producono.
Estendendo il pensiero di Edensor, quindi, è lecito intendere la rappresentazione
come carattere poietico della realtà, come una produzione di significati e punti di vista
che si origina dall’esperienza agita da tutti i sensi: una vera e propria costruzione
culturale formativa e trasformativa, una performance.
55 Edensor, 1998:15
49
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Ecco dunque che, parlando di turismo, si restituisce all’immagine (reale o mentale
che sia), alla narrazione, alla rappresentazione in genere, una valenza che nell’arco della
‘storia delle vacanze’, e ancor prima del viaggio, era sempre stata soverchiata dalla
presenza ingombrante della vista.
Viaggiare, sicuramente per quanto riguarda le popolazioni europee, non è mai
stata un’attività neutra. In particolar modo si registra una costante attitudine, a partire
‘dall’Odissea fino al turismo globale’ (Leed, 1992), a rappresentarsi e rappresentare il
viaggio secondo prospettive coerenti con le rispettive caratteristiche del pensiero. Da
fato, volere degli dei, mezzo attraverso il quale viene ribadito l’ordine cosmico, in età
classica, il viaggio diventa un’azione solitaria ed eroica nel Medioevo, assume il
carattere di conoscenza, di scoperta del mondo, della realtà e dell’alterità in epoca
rinascimentale, fino a sfociare nelle sfaccettature moderne di fuga, senso di libertà, ma
anche attività culturale, contatto con la natura, ricerca di autenticità, ecc. (Leed, 1992;
Gemini, 2008 ; Barberani, 2006: 214-15).
Con la riscoperta medievale di Aristotele, la vista ha assunto un ruolo centrale nel
processo conoscitivo della realtà, tanto che si è iniziato a concepire il viaggio in
funzione di essa: un’esperienza prima di tutto visiva, rappresentativa, che trova la sua
più compiuta e devota espressione a partire dalla fine del XVIII secolo, quando
viaggiare si combina con la ricerca del pittoresco e il concetto di panorama.
Laura Gemini parla, rispetto a questo contesto, di un “immaginario
rappresentazionista del viaggio”, ovvero quell’insieme
“di immagini, simboli, descrizioni volte a costruire una rappresentazione fedele e
puntuale della realtà. Ci troviamo perciò nel campo di azione del pensiero
positivista, della scienza realista della cibernetica di primo ordine per la quale i
fenomeni sono osservabili e riproducibili in quanto tali. […] Da questa concezione
ne consegue l’idea che sia possibile, o che comunque si dovrebbe cogliere
l’autenticità delle cose, dei luoghi, dei popoli, delle culture”. 56
Questo tipo di immaginario, che come abbiamo detto è figlio della predominanza
della vista nel processo conoscitivo e della ricerca del pittoresco come sublimazione del
senso estetico, si costruisce attraverso sguardi filtrati dalle aperture che i mezzi di
56 Gemini, 2008:65
50
trasporto usati di volta in volta lasciavano allo sguardo, dalle narrazioni e illustrazioni
dei viaggi, dalla creazione simbolica (talvolta anche pratica) di attrattive da vedere
assolutamente, dalle cartoline, souvenir, fotografie, videoclip. Il processo mentale che
questi ‘oggetti’ producono a livello immaginativo, ognuno con le sue peculiarità
contestuali, è la reificazione, feticcizzazione, essenzializzazione, riduzione a sineddoche
del luogo vis(ita)to.
A questo tipo di immaginario di viaggio, Gemini ne contrappone un altro, quello
‘performativo’, che a differenza del primo:
“produce un tipo di rappresentazione “costruttivista” della realtà del viaggio che
dipende da chi ne fa esperienza. […] [S]i traduce in una modalità di fare
esperienza delle immagini, dell’immaginario turistico che passa attraverso i corpi e
che pertanto mette a fuoco il fare più che il vedere; l’esserci come parte attiva e
creativa della comunicazione turistica.” 57
A questo secondo tipo di immaginario il ‘mondo occidentale’, sembra essere
arrivato attraverso una trasformazione più complessiva del sistema turistico e della
propensione al viaggio in genere, derivanti dal loro inserimento nel mercato globale,
nella sfera del consumo. L’economia post-fordista ha modificato strutturalmente il
tempo libero, sempre meno distinto da quello lavorativo: il ‘tempo della festa’ che,
come abbiamo visto, è stato identificato da alcune posizioni antropologiche e
sociologiche come ‘tempo sacro’, che nelle dinamiche sociali si pone in alternanza o in
opposizione a quello produttivo profano, fatica ora a mostrare una tale separazione
netta. La facilità e la velocità degli spostamenti, l’evoluzione delle telecomunicazioni, la
nascita di nuovi tipi e modi di lavorare e di relativi strumenti hanno prodotto una
concezione della struttura del tempo più fluida e integrata.
In questo contesto, dunque, sembra che la predominanza del visivo ceda il passo a
un tipo di esperienza derivante dal coinvolgimento totale del corpo e dei suoi sensi e che
quindi necessita di nuovi tipi di immagini e nuovi strumenti per la loro produzione e
condivisione.
57 Gemini 2008:21-22
51
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
2.4. Immaginario e immaginario turistico
Concordando, da un lato, con le posizioni di Edensor e di Gemini, che ci parlano
di una percezione e rappresentazione multisensoriale dello spazio, di un immaginario
capace di trasformare e performare la realtà, e dall’altro mantenendo fermo il fatto che il
turismo si configura come un fenomeno sociale in cui si incontrano e interagiscono
attori sociali diversi che giocano, nella specifica arena sociale, forze di diversa natura e
peso, è possibile intuire la necessità di approfondire queste complesse dinamiche tramite
un approccio antropologico. L’obiettivo sarà, dunque, quello di indagare gli aspetti
specifici di un contesto peculiare, come quello di Zanzibar, nell’ottica, da un lato, di
individuare caratteri assimilabili ad altre situazioni, e dall’altro di far emergere
specificità, criticità, contraddizioni che permettano di andare oltre tipizzazioni e
categorizzazioni rigide.
Per poter fare ciò ritengo utile, se non indispensabile, delineare brevemente come
l’antropologia si sia approcciata allo studio dell’immaginario collettivo (o sociale) e,
nello specifico, dell’immaginario di viaggio.
I contributi dell’antropologia allo studio della dimensione immaginifica si sono
moltiplicati negli ultimi due decenni. Qui di seguito riporterò il punto di vista di tre
autori (due antropologi e un filosofo) che saranno funzionali per delineare il concetto di
immaginario che utilizzerò e che applicherò all’ambito del turismo.
Come ci suggerisce Appadurai (2001:50), l’immaginazione sembra acquisire oggi
un rinnovato ruolo nella vita sociale, determinato da un sistema mondiale di immagini
eterodiretto, complesso, costruito in maniera transnazionale. L’immaginazione, oggi,
non può più essere relegata alla sfera della sola fantasia né pura via di fuga o
passatempo élitario. Al contrario, si configura come:
“un campo organizzato di pratiche sociali, una forma di opera (nel duplice senso di
lavoro fisico e di pratica culturale organizzata), e una forma di negoziazione tra siti
d’azione (individui) e campi globalmente definiti di possibilità […] L’immaginazione
è oggi essenziale a tutte le forme d’azione, è in sé un fatto sociale, è l’elemento
cardine del nuovo ordine globale.” 58
58 Appadurai (2001:50)
52
L’immaginazione, in un certo senso, sembra tenere insieme teoria e pratica,
sembra essere prodotto e produttrice di punti di vista, di immaginari, di riappropriazioni
e ‘indigenizzazioni’ che saranno a loro volta elementi centrali di una produzione
immaginifica, di un panorama simbolico condiviso, mediatizzato e, a sua volta,
formante e trasformante. I flussi culturali globali sono ordini complessi e disgiuntivi,
irriducibili a modelli rigidi o statici. La proposta dell’antropologo indiano è quella di
analizzare questi flussi culturali globali attraverso categorie ‘panoramiche’ che ne
restituiscano la dimensione irregolare e fluida, che quindi rendano conto della loro
molteplicità prospettica, della loro declinazione contingente e contestuale.
Panorami che Appaduari identifica come mattoni di quelli che chiama “mondi
immaginati”, un’estensione planetaria, globale, transnazionale del concetto
andersoniano di comunità immaginata.
L’immaginario ha un aggancio forte e necessario con la pratica anche per il
filosofo Charles Taylor, che con il concetto di immaginario sociale intende:
“something much broader and deeper than the intellectual schemes people may
entertain when they think about social reality in a disengaged mode. I am thinking
rather, of the ways people imagine their social existence, how they fit together with
other, how things go on between them and their fellows, the expectation that are
normally met, and the deeper normative notions and imagines that underlie
expectations”. 59
L’immaginario, per Taylor, ha a che fare con le rappresentazioni con cui le
persone ordinarie immaginano il loro ambiente sociale, inquadrato in storie, leggende,
immagini. Non è regolato da alcuna teoria predominante: la sua forza sta nella
condivisione da parte della maggioranza (o della totalità) della popolazione, il che rende
possibile una comune comprensione e un ampio e condiviso senso di legittimità.
Ancora: incorpora un senso di normali aspettative che abbiamo rispetto agli altri,
permettendoci di portare a termine le nostre pratiche collettive; crea un complesso
intreccio tra la percezione di come le cose vanno e di come crediamo debbano andare,
andando in questo modo a influenzare le nostre scelte, le nostre azioni, sia individuali
che sociali. Tuttavia Taylor sottolinea che il modo in cui intende l’immaginario sociale
non è assimilabile al nostro background di sapere che da senso alle nostre specifiche
59 C. Taylor (2004:23)
53
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
pratiche (“the immediate background that […] make sense of our particolar practices”).
Si tratta invece di una più ampia comprensione della nostra situazione nel suo
complesso, che deriva da una relazione non unilaterale tra pratiche e sapere di sfondo,
una comprensione dello spazio sociale non teoretica ma implicita e informale.
In Immaginative Horizons (2004) Vincent Crapanzano parte proprio dalla
concezione tayloriana dell’immaginario, tuttavia non segue l’approccio temporale
intrapreso dal filosofo, bensì accosta la dimensione immaginativa a quella spaziale,
focalizzando la sua attenzione sul concetto chiave di frontiera, da intendersi non nel
senso di confine fisico, geografico o politico, bensì come orizzonte
“that extend from the insistent reality of the here and now into optative space or
time – the space-time – of the imaginary. It is this the realm that gives us an edge,
at times wrenching and painful, at times relieving and pleasurable, on the here and
now in all its vicious immediacy. It allows us to escape from the insistent pull of
reality” 60
Si tratta di un immaginario concepito come dimensione, tanto fattuale quanto
psicologica, che permette di fuggire dalla pressione della realtà e che allo stesso tempo
segna ciò che sta al di là, definisce le distanze attraverso la costruzione di
rappresentazioni simboliche del mondo (in cui siamo inclusi noi stessi). Si tratta a
questo punto di stabilire cosa c’è oltre l’orizzonte, al di là di frontiere che risultano
invalicabili, che marcano un cambiamento ontologico, che prefigurano un altrove
irraggiungibile. È necessario capire quali siano le possibilità immaginative che si
nascondono dietro questo orizzonte, continuamente costruito e distrutto attraverso la
nostra produzione di immagini, sogni, calcoli, proiezioni e profezie. Reale e irreale,
realtà e immaginazione non possono essere separate, si trovano in uno stretto rapporto
dialettico.
Concentrandosi sul polo immaginativo, l’autore lo tratta attraverso la figura
retorica dell’entroterra (arrière-pays, hinterland) e i suoi correlativi al di là e altrove. Il
concetto di arrière-pays evoca un mondo violento, arretrato, in un certo senso fuori dal
tempo, una dimensione altra, una terra in cui si mescolano le sfere del primitivo e
dell’intimo: un luogo ‘altrove’ ma causalmente connesso con il qui e ora, ovvero con
ciò che lo definisce, che lo genera.
60 Crapanzano, 2004:14
54
Prendendo spunto dalle considerazioni di questi autori, intenderò per immaginario
una modalità di costruzione simbolica tanto della realtà quanto della percezione di sé e
degli altri. Lungi dal restare relegato nella sfera della pura rappresentazione, sarà inteso
come vera e propria attività performante, che articola esperienza, conoscenza,
costruzione identitaria, precomprensioni, pulsioni e compulsioni, senso di spaesamento
e capacità definitoria.
Si tratterà allo stesso tempo di una dimensione sociale e individuale che,
attraverso una produzione di immagini fisiche e mentali, produce comportamenti che
vanno a interagire con l’ambito simbolico del sé che riguarda la costruzione/percezione
dell’alterità, con quel senso di altrove che si trova oltre un orizzonte irraggiungibile, che
infine si esplicitano in una serie di atteggiamenti, scelte, decisioni che finiscono per
avere un ruolo fondamentale nel determinare un determinato contesto sociale e di
relazioni.
L’immagine è un elemento centrale nei diversi momenti che riguardano un
viaggio, dalla sua preparazione fino al ritorno a casa: dal veicolare le scelte del luogo
fino alla riproduzione del luogo (sotto varie forme) nel proprio contesto domestico.
Come suggerisce Barberani (2006:214) possiamo pensare l’immaginario turistico
come un complesso insieme di immagini, simboli e figure che, oltre ad avere un ruolo
attivo nella scelta della meta del proprio viaggio, svolge anche una seconda azione:
creare negli individui un “orizzonte di attesa” che avrà la funzione di interpretare
l’esperienza vissuta. Si configura dunque come nozione fluida che rende conto di uno
spazio simbolico costruito tra quello quotidiano e quello altro. Questa serie di immagini
hanno anche il compito di fornire una pre-interpretazione della nuova situazione in cui
l’individuo si troverà, rendendo meno traumatica la transizione dal contesto della
quotidianità a quello dell’alterità.
Amirou (1995:241-44) delinea l’immaginario turistico attraverso cinque elementi.
Anzitutto, sostiene l’autore francese, ha a che fare con una sorta di desiderio-pulsione di
‘ritorno alla natura’: si tende ad attribuire un valore sacro allo spazio opposto a quello
della vita ordinaria, lo si pensa e lo si agisce come se ci trovassimo in un contesto
primigenio, profondamente distante e separato da quello quotidiano. Allo stesso modo
la proiezione del modello di socialità in cui si andrà, temporaneamente, a immergersi è
55
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
immaginata come più spontanea, meno carica di sovrastrutture, meno ‘ammorbata’ da
criteri e categorie che regolano le relazioni sociali all’interno della propria comunità.
Altro punto fondamentale, secondo Amirou, è la costruzione di una sorta di identità
condivisa, la creazione di un ‘noi’ (contrapposto a un ‘loro’) fondato sulla
compartecipazione a una ‘medesima’ esperienza, di un ‘sentire insieme’. A questo si
lega un altro aspetto, quello che l’autore francese fa derivare dalla ‘società del
pellegrinaggio’. L’identificazione in un noi, dettato dall’esperienza compartecipata,
lascia una sorta di segno nella mente/memoria di chi ha vissuto tale circostanza. Questo,
nella confusione definitoria e categoriale del tempo delle vacanze (soprattutto nei
villaggi turistici), travalica altri tipi di possibili identità e si esplicita in un comune
sentimento di nostalgia per l’extra-ordinario esperito, che si esprime in rituali come
scambio di contatti o promesse di rivedersi. Infine Amirou identifica un elemento ludico
a completare il profilo dell’immaginario di viaggio, una sorta di gioco di maschere per il
quale si tende a comportarsi “come se”, ad agire in virtù di una nuova, temporanea
identità.
Nel libro di Amirou (ivi: 135), inoltre, viene sottolineato un aspetto che ritengo
molto importante ai fini degli obiettivi che mi sono posto intraprendendo questo lavoro:
nella formazione dell’immaginario turistico svolgono un ruolo sicuramente rilevante
media come libri, fotografie e film, che attraverso una pluralità di linguaggi riescono a
creare mondi estetici autosufficienti capaci di erotizzare, e quindi rendere attraente, una
località, più di quanto riesca a fare la pubblicità, che si limita a ritualizzare determinati
ideali sociali. A questo elenco di strumenti comunicativi mi sembra opportuno
aggiungerne uno che, all’epoca dell’opera di Amirou, ancora non aveva raggiunto le
dimensioni e le peculiarità odierne: internet, forse oggi il mezzo principe attraverso cui
si esprimono una pluralità di attori con la loro pluralità di linguaggi, oggi più che mai
anche in forma dialogica. Capaci di contribuire al processo di esotizzazione di un luogo,
sembra che questi attori ne possano fornire connotazioni talmente personali che
sfuggono ai rigidi schemi essenzializzanti di media (come quelli sopracitati) che,
concettualmente, mettono in atto una comunicazione di tipo unilaterale.
Simonicca (1997:121-127), dal canto suo, analizza l’importanza dell’immagine
(ancora con un accezione ampia del termine), sia della componente umana che del
luogo, all’interno del processo turistico. Il suo punto di partenza è una suddivisione del
56
concetto in tre diverse accezioni, determinate dalle teorie di riferimento: stereotipo,
schema mnestico-visuale e configurazione mentale oppositiva rispetto a una realtà
‘autntica’.
Per stereotipo si intende una dimensione che mette insieme la pubblicità, il
consumo, le aspettative e la memoria relativamente a un sito e alla sua popolazione. Si
crea così una mappa mentale che, organizzata secondo termini di spazio fisico-sociale,
produce una forte uniformazione dell’oggetto. Uno degli oggetti che contribuiscono in
maniera decisiva alla creazione di un immaginario stereotipato, sono le brochures,
ubique e standardizzanti. Personalmente credo, e sarà uno dei punti che cercherò di
dimostrare nel prossimo capitolo, che la comunicazione telematica, attraverso i vari
strumenti offerti dal World Wide Web, giochi oggi un ruolo determinante in questo
processo di stereotipizzazione, ma allo stesso tempo lasci spazi molto più ampi ad un
processo di continua smentita, personalizzazione, decostruzione e ricostruzione delle
stesse, dando vita a processi eterogenei e polifonici.
Le immagini concepite come schemi mnestici afferiscono a una sfera di uso
quotidiano visuale: la produzione di immagini e di simboli prodotti all’interno del
processo turistico possono essere analizzate da un punto di vista semiotico,
identificando nei loro contenuti un complesso sistema di significati che generano
“immagini di nuove identità ed esperienze”, creando a loro volta una nuova richiesta di
oggetti.
Infine l’immagine può essere legata a un altro concetto che, nell’ambito del
processo turistico, rappresenta una nozione chiave: quella di autenticità. Le immagini,
infatti, possono essere concepite anche come elemento oppositivo della realtà, di cui
costituiscono una rappresentazione adeguata o meno.
Anche negli studi di Marco Aime (2005) il ruolo dell’immaginario di viaggio ha
un peso importante. Focalizzandosi sulle dinamiche dei momenti e degli spazi
dell’incontro tra visitatori e visitati, l’autore mette da subito l’accento sul fatto che tale
momento/spazio è caratterizzato da un fondamentale equivoco: quello di “vedere cose
diverse”. Il turista, in un mondo lontano dal suo, proietta sul luogo e sui suoi abitanti i
significati che gli arrivano dalle sue immagini, precedentemente costruite e
processualmente ricostruite sul sito stesso in base all’esperienza che sta vivendo. Il
turismo, secondo l’antropologo torinese, si inserirebbe dunque in una rete di “flussi
57
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
globali” che mette in contatto persone e idee e di cui i turisti stessi costituiscono una
componente importante, danno vita a nuovi scenari culturali non più fondati sul legame
con il territorio d’origine, ma sulla base di realtà (più o meno) immaginate. È forse con
un velo di ‘nostalgia’, ma anche di acuta lucidità, che la sua analisi identifica il viaggio
odierno non più teso alla scoperta, bensì alla verifica di ciò che già sappiamo, tanto che
chi fornisce ospitalità spesso diventa quello fotografato, immortalato, reificato e
pubblicizzato sulle guide. Questo processo, argomenta Aime, non si limiterebbe tuttavia
alla produzione e alla proiezione delle immagini mentali dei turisti. La loro
performatività, dovuta, se vogliamo, anche al potere politico-economico dei turisti, ha
un effetto trasformativo sulla popolazione locale, che può arrivare perfino a ricostruire
le proprie strutture sociali, a rifondare, rivitalizzare, modificare i propri rituali in virtù
dei comportamenti, dei desideri e delle aspettative dei turisti.
Quello di Aime, dunque, sembra essere un immaginario performativo e allo stesso
tempo aberrante, che non permette alla ‘popolazione turistica’ di rendersi conto
dell’impatto trasformativo che produce la loro presenza sul luogo in quanto turisti.
Duccio Canestrini (2004), dal suo canto, mette l’accento su un altro aspetto
dell’immaginario che nel processo turistico illumina le dinamiche di produzione di
immagini, credenze e stereotipi. Focalizzandosi sulla sicurezza, l’antropologo conduce
un’analisi ad ampio raggio sul modo in cui la riproduzione dell’immaginario di viaggio
subisca un forte influsso da parte di determinate dinamiche di potere e controllo sociale,
che da un lato trasformano la percezione degli individui di ‘sentirsi sicuri’ e dall’altro
contribuiscono a generare comportamenti adeguati a tale sentimento, tanto nei visitatori
quanto nei visitati. Se dunque le questioni politiche internazionali, adeguatamente
veicolate, raccontate, mediatizzate o non mediatizzate, contribuiscono ad alimentare o a
sopire il senso di insicurezza che un viaggio ‘naturalmente’ provoca nell’individuo che
lascia la propria domesticità per un luogo tendenzialmente sconosciuto, è vero che i
comportamenti che ne seguono, dalle strutture di accoglienza fortificate alla rinuncia al
viaggio, producono comportamenti e situazioni nella popolazione degli hosts che
possono andare a loro volta ad alimentare tale panorama di immagini di insicurezza.
Canestrini dunque identifica nella stesso immaginario dell’insicurezza e nella sua, forse
inevitabile, ostentazione, la principale causa di quella che chiama, senza troppa
astrazione, turistomachia.
58
In conclusione, il concetto di immaginario turistico che utilizzerò nel proseguo del
mio lavoro si può configurare come un insieme di immagini mentali e precomprensioni
prodotte nell’individuo e condivise con il suo gruppo di riferimento. Queste immagini
non sono neutre, appaiono cariche di senso, si posizionano in un ambito di costruzione
di appartenenza. La loro origine è decisamente eterogenea e si costituisce di fonti più o
meno strutturate e formalizzate. L’immaginario turistico, di fatto, si fonda tanto sulle
immagini fisiche che vengono proposte dal mercato, quanto dal proprio background
storico-culturale, sui racconti degli amici e sulle questioni politiche internazionali, sul
desiderio di confronto con l’alterità e sull’incognita di abbandonare la sfera domestica,
sul desiderio di fuga e su quello di ricerca di una presunta autenticità. Gli attori che si
inseriscono nel processo produttivo di queste rappresentazioni, dunque, si collocano,
oggi più che mai, in un panorama globale, sono i viaggiatori e i locali, i tour operator e
le agenzie di viaggio, le politiche nazionali sul turismo e le agenzie internazionali, le
catastrofi naturali e i terroristi, le guide turistiche e gli antropologi.
Tuttavia l’aspetto, forse, più interessante dell’immaginario turistico è quello di
avere intrinsecamente un carattere trasformativo e performativo, di essere
continuamente ricostruito e di agire sul contesto, di avere un ruolo nei processi di scelta,
di cambiamento, di resistenza, di costruzione identitaria, di sviluppo economico. Il
turista, infatti, dotato di questo bagaglio di immagini, di aspettative, di desideri non
potrà in alcun modo non avere un impatto sulla società e sul luogo che visita, non tanto
in quanto singolo individuo, quanto piuttosto come parte di un sistema invasivo, sia
perché generatore di incontri tra mondi culturalmente lontani, sia perché innestato
all’interno di un sistema economico-produttivo che ha ormai dimensioni e ripercussioni
planetarie.
Utilizzando gli strumenti delineati nelle pagine precedenti e tenendo a mente le
informazioni che ho raccolto sul contesto turistico di Zanzibar, nel prossimo capitolo
cercherò di analizzare due momenti specifici all’interno del processo di costruzione
dell’immaginario dell’isola. Procedendo secondo una distinzione degli attori in turisti e
operatori di vario genere, la mia indagine tenterà di articolare la produzione di immagini
di entrambi.
59
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Il canale mediatico che ho utilizzato è internet, dove la pluralità di voci si fonde e
si disgrega attraverso strumenti e linguaggi diversi. Dunque il mio intento è stato quello
di analizzare in che modo e misura le immagini, le narrazioni, le informazioni, le
promozioni dell’isola, prodotte attraverso questo mezzo, contribuiscano ad alimentare il
suo immaginario paradisiaco, ma anche a creare nuove rappresentazioni. Mi chiedo
dunque come le esperienze raccontate, fotografate, filmate e quindi distribuite
potenzialmente in tutto il globo senza alcuna barriera (l’unica potrebbe essere quella
linguistica nei casi dei racconti di viaggio) da un lato inducano specifici comportamenti
e scelte tanto nei turisti quanto nella popolazione locale, quindi abbiano un carattere
fortemente trasformativo; dall’altro contribuiscano a creare una sorta di comunità
virtuale, di rete all’interno della quale i turisti possono mettere in atto (e in
condivisione) una produzione e un consumo simbolico che contribuisce in larga misura
alla costruzione di nuove forme di ‘identità turistica’, quindi abbiano allo stesso tempo
un carattere performativo.
Tenendo presente il contesto particolare dell’isola, dove di fianco a uno sviluppo
esplosivo del turismo che ostenta ricchezza e benessere vive una maggioranza della
popolazione che non ha accesso alle stesse risorse, nonostante si trovi inevitabilmente
integrata nel processo turistico, cerco di capire in che modo questa criticità sia percepita
e riprodotta dai diversi attori, quali siano le immagini prodotte, come agiscano sui
comportamenti di chi opera all’interno del processo e quali siano gli effetti
dell’interazione con il complesso di immagini positive che forniscono invece una
visione dell’isola depurata da ogni criticità.
60
3. VIRTUALITÀ - Antropologia e turismo in Internet
3.1. Turismo e internet
Come ho ripetuto più volte nel corso delle precedenti pagine, la mia ricerca si è
svolta in un ambito che non appartiene all’etnografia convenzionale che, secondo la
definizione di Christine Hine (2000a:3), vede al centro dell’indagine gli attori umani e
mentre l’etnografo è impegnato in un’osservazione e analisi dei modi di ‘costruzione del
mondo’ da parte dei soggetti, per poi presentarla sotto una nuova luce. Il mio ambito di
ricerca, infatti, è stato quello dell’Ampia Rete Mondiale (World Wide Web): il mio
‘campo’ sono stati siti, blog, forum e social network. In breve: la mia indagine credo
possa definirsi una virtual ethnography (Hine, 2000b) o, come la chiama Evans (2010),
una webnography.
La scelta di uno studio di questo tipo pone di fronte, come minimo, a due
interrogativi preliminari, cui tenterò di dare una risposta nelle prossime pagine.
Anzitutto credo sia indispensabile interrogarsi su cosa comporti, da un punto di vista
metodologico, fare ricerca nel web, in che modo ‘interrogare’ le fonti, quali strumenti di
analisi utilizzare, quale status assegnare ai nostri oggetti di studio. A questo punto
sarebbe lecito comprendere l’importanza di svolgere una ricerca sull’immaginario
turistico su e attraverso internet.
La risposta al secondo punto è abbastanza semplice e dovrebbe apparire chiara da
quanto emerso finora. Il mondo del virtuale ha avuto negli ultimi vent’anni
un’esplosione dall’andamento esponenziale (e questo credo sia sotto gli occhi di tutti),
sia in termini di diffusione del suo utilizzo che di potenza dei mezzi messi a
disposizione: si stima che, nel 2010, circa due miliardi di persone nel mondo abbiano
avuto accesso a internet61. La possibilità, per un qualsiasi individuo dotato di una
connessione, di condividere potenzialmente con tutto il mondo dati e informazioni
61 Il sito www.internetworldstats.com riporta che al 30 giugno 2010 si possono contare 1,966,514,816 World Internet Users.
61
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
personali, oggi è sempre più semplice e veloce, anche e soprattutto grazie agli strumenti
del web 2.0. Il mondo virtuale62, che dal 1984 inizia a farsi strada nel lessico e
nell’immaginario comune come Cyberspoazio63, si configura oggi come un’arena in cui
viene espressa una pluralità di voci e di punti di vista sempre più ampia e riguardante
pressoché ogni tipo di argomento.
Il turismo, nel suo complesso, non è estraneo da tale tendenza, anzi, si avvale
sempre più degli strumenti che Internet mette a disposizione64: sul web si trovano
‘spazi’ che ci riferiscono dell’esistenza di una molteplicità di attori integrati, a loro
modo, nel sistema. Dai ministeri del turismo (o istituzioni similari) dei vari stati alle
associazioni di turismo responsabile, dalle agenzie di viaggio agli affittacamere, dai
viaggiatori alle guide turistiche, dai ricercatori che studiano il fenomeno da vari punti di
vista agli studenti che cercano informazioni.
Coerentemente con la caratteristica eteromorfica del medium, le modalità con cui
il ‘sistema turistico’ si pone all’interno dello spazio virtuale sono ampiamente
diversificate: un medesimo strumento (sito internet, blog, ecc.) può essere utilizzato per
esprimere contenuti diversi, magari diametralmente opposti, sia nella forma che nel fine.
La possibilità di comunicare a un pubblico ampio e per lo più sconosciuto apre nuovi
scenari di indagine: si ha a che fare con nuove produzioni culturali, nuove forme di
rappresentazione e di identificazione. Il turismo stesso si trasforma, poiché cambiano le
modalità di approccio al viaggio, le possibilità, le informazioni in circolo, le
motivazioni, le finalità, la percezione delle distanze, le tempistiche. Evidentemente non
voglio indicare internet come unico responsabile di un processo di trasformazione in cui
il turismo è solo un elemento. Tuttavia penso che la comunicazione che passa attraverso
il Web, veloce, delocalizzata, non (o poco) mediata e (elemento da non sottovalutare)
dal grado di anonimato modulabile, possa essere identificato come un elemento
fondamentale per tentare di comprendere certe dinamiche sociali dell’uomo
62 Il concetto di virtuale deriva dal latino medievale virtualis, utilizzato dai filosofi scolastici e a sua volta derivante da virtus (virtù, facoltà, potenza). Il suo significato, in filosofia, è sinonimo di potenziale, di esistente in potenza (contrapposto ad attuale, reale, effettivo). L’accezione che qui ci interessa è quella legata al termine realtà virtuale, in cui assume il significato di cosa o attività frutto di un’elaborazione informatica che, pur seguendo modelli realistici, non riproduce una situazione reale. (www.treccani.it)
63 Il termine è coniato da William Gbson nel suo romanzo Neuromancer, pubblicato appunto nel 198464 Per dare un’idea della dimensione del fenomeno ‘turismo e internet’ basti ricordare che già nel settembre 1999 (quando
ancora il Web aveva una dimensione più contenuta), durante la tredicesima Assemblea Generale della World Tourist Organization, tenutasi a Santiago del Chile, fu organizzata una conferenza dal titolo Tourism and Cyberspace: The Internet Revolution (Buhalis, 2001).
62
contemporaneo e, nello specifico, le dinamiche immaginative, relazionali e identitarie
che si innescano nel sistema turistico.
Considerando per il momento solo i viaggiatori, il ruolo di Internet nel processo
turistico è particolarmente evidente sia nella fase di preparazione che in quella del
rientro (raccolta di informazioni, prenotazioni, ma anche pubblicazione di racconti, di
foto, ecc.). Tuttavia, come suggerisce Giovanna Mascheroni (2007:95) il suo valore nel
turismo non si esprime solo in questi due momenti: la presenza sempre più frequente di
strutture di accoglienza connesse a internet e la diffusione degli internet point anche
presso molte mete turistiche in paesi economicamente meno avanzati, permette ai turisti
di sfruttare la rete anche durante il viaggio, per continuare ad acquisire informazioni,
modificare i propri itinerari, raccontare le proprie esperienze, o anche solo per
‘controllare cosa sta succedendo a casa’. Addirittura Sørensen sosteneva (2003:860), per
quanto riguarda i viaggiatori cosiddetti backpacker65, che
“[t]he impact of pretravel internet use upon actual backpacker tourism may be
modest, but on the road it is profound. Internet cafes abound at backpacker
destinations and the importance of this availability is evident in the latest guidebook
editions, where internet access and prices are treated evermore thoroughly.
Backpackers use the Internet for tourism information and for news sites from back
home. Additionally, some use it to check bank accounts, file tax returns, and similar
practical matters. But above all, backpackers use it for email communication”. 66
65 La categoria di backpeacker (‘zaino in spalla’) identifica quei viaggiatori che preferiscono organizzare la loro vacanza autonomamente, senza appoggiarsi ad agenzie di viaggio o tour operator.
66 Sørensen 2003:860
63
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
3.2. Antropologia e internet: webnografia
Chiarita, spero, la pertinenza e l’importanza di uno studio che coniughi
l’immaginario turistico e internet, cercherò adesso di mettere in luce alcuni aspetti
critici in cui ci si imbatte nel compiere una ricerca nel mondo virtuale.
Partendo dal quadro proposto da Hine (2000a), secondo la quale l’etnografia
virtuale rappresenterebbe una risposta al bisogno di studiare le comunità che fanno un
uso abituale delle tecnologie telematiche e di rete, credo sia utile chiarire, anzitutto, che
questo approccio si propone di presentare un modo per focalizzare, da un lato, gli
assunti fondamentali dell’etnografia, dall’altro le tematiche inerenti all’uso di strumenti
tecnologici. Tuttavia un’etnografia virtuale implica una serie di presupposti
metodologici che, in un certo senso, contrastano gli aspetti più peculiari della ricerca
antropologica convenzionale: non ci si può immergere nella vita sociale del contesto
studiato, non si ha un rapporto faccia a faccia né una conoscenza diretta degli individui
che producono quegli elementi culturali che vengono scambiati, fatti circolare
all’interno della Rete e che si stanno analizzando.
Detto ciò restano ancora irrisolte molte questioni metodologiche ed etiche sulla
possibilità di condurre un’etnografia in internet:
“Ahora bien, ¿qué significa hacer una etnografía de internet o en internet?
¿Podemos hablar de una etnografía de foros electrónicos, páginas web, chats o
blogs? ¿Podemos aplicar el método etnográfico para el estudio de YouTube,
Flickr, Ortkut o MySpace? ¿Cómo adaptar las técnicas de la observación
participante o la entrevista a la comunicación mediada por el ordenador? ¿Cómo
tratamos la mediación tecnológica en nuestras relaciones en "el campo"?
¿Podemos limitarnos al estudio de las relaciones online o debemos incluir también
la vida fuera de la pantalla?” 67
Personalmente ritengo che l’equivoco maggiore che un’etnografia virtuale possa
portare con sé sia quello di una virtualizzazione dell’etnografia. In poche parole, credo
sia necessario tenere a mente che i particolari contesti nel cyberspazio non sono repliche
virtuali di possibili realtà. Ritengo sia molto più plausibile pensare a questi scenari come
a una vera e propria produzione culturale a sé stante, un ‘mondo’ totalmente nuovo e
costruito, fatto di relazioni e produzioni culturali. 67 Estalella & Ardèvol, 2007:3
64
Dunque il mondo virtuale, a mio avviso, dovrebbe essere visto come un prodotto
che genera situazioni peculiari che danno vita a relazioni, acquisizioni di conoscenze,
nuove costruzioni identitarie, nuove comunità che non sarebbero possibili nella vita
quotidiana. In breve: non tratterò il cyberspazio come una proiezione della vita reale su
una piattaforma virtuale che, secondo le sue regole, tenta di produrre un nuovo mondo
plausibile, bensì come una sorta di ‘cultural artifact’ 68, modellato da moltissime mani,
che attraverso le sue caratteristiche permette agli attori di crearsi un vero e proprio
ambiente sociale altro. Infatti, come sostiene Walther (2002), condurre una ricerca in/su
internet non significa avere a che fare con esseri umani.69 In parte per necessità e in
parte per scelta, la mia si può identificare come una “distanced research”, che si fonda
“by the evaluation of sources such as texts, images, or emoticons and the
observation (but not participation in) of social interactions in online spaces”. 70
Il mio lavoro, come qualsiasi altra etnografia virtuale, non si è basato su una
interazione faccia a faccia con i soggetti protagonisti delle relazioni studiate, che come
suggerisce Hine (2000b:43-9) è uno degli assunti fondamentali che contraddistingue la
ricerca antropologica. Tuttavia, sebbene in qualche caso sia possibile triangolare i
risultati di un’indagine condotta su internet con l’incontro faccia a faccia con i propri
‘informatori’, nella maggior parte delle ricerche questo porrebbe
“the ethnographer in an asymmetric position, using more varied and different
means of communication to understand informants than are used by informants
themselves […] The symmetry here is that of the ethnographer using the same
resources and the same means of communication as available to the subjects of
research” 71
In fin dei conti la maggior parte degli ‘abitanti’ del cyberspazio non si sono mai
incontrati e probabilmente non hanno né intenzione né interesse nel farlo, quindi
sebbene sia più che plausibile ritenere appropriata un’interazione faccia a faccia nelle
etnografie ‘tradizionali’,
68 “The internet is as much a discursively created object as a single, given artifact” (Hine, 2000b:27)69 “The analysis of Internet archives is not human subjects research if a researcher does not record the identity of the
message poster and if the researcher can legally and easily access such archives”. (Walther, 2002:207)70 Evans, 2010:371 Hine, 2000b:48-9
65
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
“ a more sceptical and symmetrical approach suggests that it should be used with
caution, and with a sensitivity to the ways in which informants use it” 72
Appuntato ciò, a questo punto ritengo necessario esplicitare quali possano essere
gli oggetti di studio di un’etnografia virtuale, come possano essere studiate le relazioni
costruite nel cyberspazio, quali siano le caratteristiche delle ‘comunità virtuali’ che le
rendono contesti interessanti per l’antropologia e, infine, in che modo le informazioni e
i beni scambiati al loro interno abbiano un impatto nel mondo reale.
Per cercare di argomentare la pertinenza di uno studio antropologico su internet e
delinearne le caratteristiche partirei da un dato che reputo fondamentale: la parola
chiave che determina le motivazioni alla connessione è ‘condivisione’. Secondo lo
studio condotto da Aime e Cossetta, nel connettersi al web ci si aspetta che i suoi
frequentatori mettano a disposizione dei contenuti da poter acquisire in modo rapido,
comodo e gratuito (Aime e Cossetta, 2010:43-4). La cooperazione è il concetto chiave
di ogni sistema complesso e la rivoluzione di internet ha prodotto una “non marked
networked economy” (Carlini, 2009). Il Web, quindi, risulta essere un vastissimo terreno
di scambio. A mio avviso, da un punto di vista antropologico, l’aspetto più interessante
consiste nel tentativo di individuare i processi di collaborazione, condivisione,
cooperazione e scambio che avvengono all’interno di reti che si sviluppano a partire da
relazioni che hanno caratteristiche spaziali e temporali non coincidenti con quelle del
mondo reale. In questo modo il pericolo di perdere di vista l’hic et nunc è sicuramente
dietro l’angolo: è palpabile l’impossibilità di definire un campo di ricerca che sia
delimitato nello spazio e contenga un gruppo più o meno identificato di individui che
condividono lo stesso contesto.
Nel ‘mondo di internet’ lo spazio non si identifica tramite coordinate geografiche
(anche se in realtà le indicazioni locali sono tendenzialmente sempre rintracciabili). Gli
‘abitanti di internet’ vivono e si spostano all’interno di ‘luoghi’ dalle diverse
caratteristiche e potenzialità: siti, blog, forum, social network, newsgroup, ecc. Immersi
nel World Wide Web, gli utenti hanno il dono dell’ubiquità, possono appartenere a
comunità diverse, costruirsi identità diverse, intrattenere relazioni sociali e scambi con
persone geograficamente molto distanti. Tutto ciò, che nel mondo reale richiederebbe
72 Ivi:49
66
una quantità di energie e di spostamenti, lo si può fare stando comodamente seduti
davanti a un computer73.
Questo pone un antropologo di fronte a soggetti che si legano in relazioni sociali
attraverso internet la cui identificazione sfugge ai più classici concetti di gruppo,
comunità, etnia, ecc. Chi si immerge nel mondo di internet entra a far parte di quelle che
vengono chiamate ‘comunità virtuali’, che dunque non avranno la forma di un gruppo
chiuso, dotato di un’esistenza chiara e ben delineata, bensì potranno essere identificate
come un network, che si ramifica in ogni direzione e si estende in modo indefinito e le
cui caratteristiche variano da persona a persona (Srinivas e Béteille, 1964:166). Il senso
di appartenenza e la costruzione identitaria si riproducono, dunque, anche in base alle
esperienze vissute in questi contesti. In particolare, come sottolineano Palfrey e Gasser
(2008:20), per i digital natives 74 non c’è rottura tra identità online e offline, poiché si
tratta di forme simultanee di costruzione identitaria, strettamente connesse l’una
all’altra.
Tuttavia la nozione stessa di comunità, nell’accezione data da studiosi come
Antony Cohen e Bnedict Anderson, concettualmente si avvicina molto a quella di
comunità virtuale.
“Secondo Cohen la comunità va intesa non nel suo senso lessicale ma in quello
dell’utilizzo. […] La comunità, secondo Cohen, quell’entità a cui uno appartiene, più
grande della famiglia e più ridotta di quell’astrazione che chiamiamo società. […]
Anderson riflette sul fatto che è possibile diffondere l’idea di una comunità o di una
nazione anche tra individui che non hanno nessun contatto face to face”. 75
Tuttavia, un elemento che sicuramente accentua la differenza tra le comunità reali
e quelle virtuali è la non necessità di instaurare relazioni. Lo scambio all’interno del
Web, infatti, può tranquillamente avvenire senza che il donatore e il ricevente si
conoscano o abbiano intenzione di farlo. Anzi, un certo grado di anonimato in questo
tipo di scambi è decisamente frequente. Questo può portare gli individui a elaborare un
73 L’idea di movimento (fittizio) è, in ogni caso, il concetto che meglio identifica il mondo virtuale, basti pensare alla terminologia del lessico comune che per descrivere le azioni degli utenti di internet utilizza parole come navigare,visitare, andare su (un determinato sito).
74 I Digital Natives vengono definite da Palfrey e Gasser come coloro che “were all born after 1980, when social digital technologies […] came online. They all have access to networked digital technologies. And they all have the skills to use those technologies” (Palfrey e Gasser, 2008:1)
75 Aime e Cossetta (2010:98-9)
67
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
senso di appartenenza, rispetto alle comunità virtuali su cui si affaccia, ‘occasionale’,
labile, sfuggevole.
Radunando le idee espresse fin qui, credo emerga abbastanza chiaro il fatto che
internet possa essere un ambito di ricerca antropologica, tuttavia le sue peculiarità
portano il ricercatore a fare i conti con oggetti di studio atipici. Analizzando siti, forum,
blog e altre piattaforme simili si ha a che fare con le proiezioni espressive di individui
sconosciuti e perlopiù non conoscibili. In un certo senso si ha a che fare con oggetti
soggettivati: dietro a una frase, una richiesta, una foto c’è l’atto di un individuo,
determinato dalle sue motivazioni e dai suoi presupposti culturali. Tenendo fermo il
concetto di una spazializzazione altra rispetto a quella reale, questi individui e i loro
‘prodotti digitali’ possono essere considerati attraverso la rete di relazioni (più o meno
complesse) in cui si attivano. Ciò permette di andare a indagare in maniera pertinente
soprattutto le dinamiche che portano alla formazione di ambiti particolari di sapere, di
conoscenza, di informazione. Infatti, ciò che viene immesso in internet dai suoi utenti
sono soprattutto informazioni. Ecco, dunque, che appare chiara la potenza del Web, in
quanto media particolare, nella formazione di punti di vista, di conoscenze condivise, di
immaginari. Un esempio, quello dei forum, ce lo danno ancora una volta Aime e
Cossetta:
“Ci sono poi forum di carattere tematico ai quali si può partecipare per ottenere
informazioni su un determinato argomento: […] dal giudizio su un hotel
all’informazione su dove reperire un certo oggetto. In questo caso si tratta di
scambi di conoscenze finalizzati, […] come nel caso di giudizi su alberghi o
venditori, a creare una controinformazione dal basso, non ufficiale, alternativa alla
pubblicità” 76
Quella che i due studiosi chiamano ‘controinformazione dal basso’ è, a mio
avviso, una parte ampiamente significativa di quell’immaginario che ho cercato di
definire nel capitolo precedente. Si tratta nello specifico di una produzione di immagini
mentali, di conoscenze e informazioni che derivano da un’esperienza (quella individuale
o collettiva di chi mette a disposizione l’informazione) e che diventa potente grazie a un
altro tipo di esperienza, attribuibile a tutti coloro che, connessi in internet, fanno proprio
76 Aime e Cossetta, 2010:77
68
il contenuto ricercato. Se da un lato si determina una sorta di affiliazione dell’utente a
qualcosa che assomiglia a una rete virtuale, formata da coloro che possiedono un
determinato sapere o informazione, che padroneggiano una particolare competenza o,
che la pensano in un certo modo su un determinato argomento; dall’altro, in senso più
ampio, viene riprodotto un certo approccio rispetto all’argomento in questione, si
mantiene vivo un determinato comportamento, approvato dalla ‘società virtuale’ (o da
una parte che risulta significativa per l’utente) e, in ultima istanza, si innescano processi
che rendono autorevoli modelli di comportamento.
Come ho già in parte accennato, queste piattaforme virtuali, che permettono lo
scambio di informazioni, hanno una diffusione e una rilevanza importante anche
all’interno del processo turistico. L’immagine mentale di una località, costruita
attraverso i resoconti e le diverse produzioni espressive di chi ne ha fatto esperienza,
diventa la base con cui qualcun altro inizia il proprio viaggio, con cui inizia a muoversi
nel contesto turistico e attraverso cui inizia a metabolizzare le informazioni che la
propria esperienza del luogo gli fornisce. È la specificità del mezzo (blog di viaggiatori,
forum in cui si discute di turismo, ecc) che contribuisce a conferire autorevolezza
all’informazione, insieme al suo status pubblico e quindi sempre passibile di smentita,
di riappropriazione, di revisione.
In quest’ottica, Laura Gemini sottolinea, per esempio, l’adeguatezza dei blog alla
narrazione di viaggio:
“il blog si presenta molto bene alla resa narrativa dell’esperienza di viaggio in cui la
performance si struttura come pratica di costruzione di spazi di discorso, come
ridefinizione dei tempi, come possibilità di risposta immediata, per la creazione di
circuiti di relazione adeguati alle esigenze che una certa comunità di viaggiatori
esprime”. 77
Questa componente processuale dell’immaginario turistico va ad aggregarsi in
modo abbastanza organico con quella, più strutturate e programmata, giocata da
istituzioni e attori commerciali, che puntano proprio sulla riproduzione di una
determinata immagine del luogo funzionale ai loro interessi politico-economici.
77 Gemini, 2008:159
69
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Come sostiene Ugo Volli, da un lato il turista è una chiave estremamente utile per
comprendere un intero immaginario collettivo, fatto di miti e stereotipi, dall’altro
“per essere visitato e ‘consumato’, un luogo deve prima essere raccontato: da chi
ci è già stato – altri viaggiatori e turisti –, dalle agenzie di viaggio e dalla pubblicità,
ma anche dai media e dalla letteratura, e non da ultimo da chi vi abita”. 78
Internet offre a tutti questi attori spazi adeguati a raccontare le peculiarità di un
luogo, a dipingerne un’immagine mentale che finisce per concretizzarsi nei
comportamenti turistici.
Ricollegandomi, a questo punto, a quanto detto nel capitolo precedente circa
l’immaginario, in particolar modo al suo valore performativo, appare evidente come
internet sia uno strumento comunicativo a disposizione dell’uomo e, in quanto tale, la
sua funzione non è limitata al passaggio di informazioni, alla descrizione di una realtà.
Riprendendo le teorie di Austin (1962), Matera afferma che ogni qualvolta
comunichiamo, compiamo delle vere e proprie azioni, dunque il linguaggio finisce per
essere uno strumento attraverso il quale la realtà si costruisce. L’importanza di studiare
un contesto comunicativo, dunque, implica anche e soprattutto studiare il modo in cui
gli individui, da un lato, partecipano, agiscono, costruiscono e usano tale contesto,
dall’altro mettano in atto forme di comportamento e di apprendimento proprio a partire
da ciò che in tale contesto viene comunicato (Matera, 2006:67-86). Gli strumenti che
internet mette a disposizione, dunque, risultano particolarmente interessanti in quanto
fenomeni comunicativi non verbali che, come ho già avuto modo di sottolineare,
sottostanno a un complesso di regole diverse da quelle degli strumenti di comunicazione
più ‘classici’.
78 Bonadei e Volli, 2003:7
70
4. ESPRESSIONI - Zanzibar nei racconti dei turisti e i turisti nei
racconti di Zanzibar
4.1. “La gente si fida della gente come lei”
Un sabato mattina, mentre ero nella fase centrale della mia analisi, ricevo una
telefonata dalla mia compagna che mi suggerisce di accendere la radio, perché su Radio
Popolare79 sta andando in onda una trasmissione in cui parlano di turismo e secondo lei
potrebbe risultare utile per la mia ricerca. Riesco a sintonizzarmi in tempo per ascoltare
le ultime battute dell’intervista che Claudio Agostoni, speaker dell’emittente, sta
conducendo con Alberto Solenghi, direttore di Turistipercaso Magazine, per la
trasmissione Onde Roads. Colgo subito la pertinenza delle tematiche affrontate fra i due
con quelle da me trattate: la puntata verte infatti su come ci si informa prima di partire
per un viaggio, quali strumenti si utilizzano, se si usa internet oppure guide e riviste.
L’intervista verte pressoché sul topos ‘internet ha fagocitato tutto e molte riviste
cartacee sono in crisi’. L’eccezione tuttavia sembra essere proprio il magazine diretto da
Solenghi, il cui punto di forza è la raccolta e la selezione dei racconti di viaggio inseriti
sul loro sito internet dagli utenti e quindi pubblicati all’interno dei vari numeri del
periodico cartaceo.
“Le riviste più importanti non sono andate a intercettare quello che i lettori
andavano cercando […] La gente si fida della gente come lei, ci si riconosce, se
uno legge un diario di uno che è stato nel deserto prova le stesse emozioni” 80
79 Radio popolare è una testata radiofonica registrata al tribunale di Milano il 24 dicembre 1975
“Fin dal 1976 Radio Popolare vuol dire informazione libera e comunicazione indipendente, perché autonoma da entità editoriali e politiche. Radio Popolare è controllata dalla Cooperativa dei lavoratori e dei collaboratori, nonché da un diffuso azionariato popolare: sono le componenti principali di Errepi S.p.A. la società per azioni che edita dal 1990 Radio Popolare. Dal 1992 è collegata in network con altre radio italiane e dal 2001 il segnale di Radio Popolare si può ascoltare in tutta Europa e parte dell’Africa e del Medio Oriente attraverso il satellite” (www.radiopopolare.it/chisiamo/storia/sintesi).
80 Alberto Solenghi (estratto dall’intervista radiofonica andata in onda su Radio Popolare il 19 febbraio 2011)
71
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
“La gente si fida della gente come lei”. Questo sarà uno dei temi-chiave con cui
leggere le prossime pagine. La condivisione dell’esperienza, delle emozioni provate, ma
anche degli strumenti usati per esprimerle porta a una circolazione di immagini che
seguono percorsi creativi e generativi del tutto singolari, finendo per delineare un
immaginario di Zanzibar che diventa reale, che induce a tenere comportamenti, a
trovarsi in situazioni, a leggere contesti attraverso griglie prestabilite.
I siti internet dedicati a raccontare (secondo le diverse forme espressive) i propri
viaggi sono innumerevoli, senza considerare i blog personali di chi preferisce uno
spazio interamente proprio per descrivere a tutto il mondo il viaggio appena concluso.
Spesso questi siti, che forniscono uno spazio per la narrazione dei viaggi, hanno anche
un forum dedicato allo scambio di informazioni e sezioni dove pubblicare le proprie
foto. Per i filmati, infine, la risorsa più consistente è certamente YouTube.
La quantità del materiale disponibile è tale da rendere appropriata una selezione
preliminare. Internet, da questo punto di vista, in un certo senso assomiglia a un museo,
dove i ‘manufatti’ vengono conservati ed esposti in ‘vetrine’ secondo determinati criteri.
Questo permette di aver a che fare con un panorama di materiali prodotti in momenti e
luoghi diversi, per cui la necessità di delimitare il proprio campo acquista un duplice
significato: cercare di circoscrivere la comunità che si intende studiare, in modo da
raggiungere esiti significativi dal punto di vista della produzione culturale; riuscire a
fare in modo che la vastità dei contenuti significativi disponibili non dia luogo a una
ricerca dispersiva, che finirebbe per perdere le sue coordinate di base. Così ho ritenuto
opportuno fare una prima selezione di spazi virtuali che fosse numericamente limitata e
geograficamente circoscritta a un’utenza italiana. La scelta di una delimitazione simile
non è stata dettata solamente dalla possibilità di una miglior comprensione degli
argomenti trattati, spesso espressi attraverso forme linguistiche decisamente informali.
La principale motivazione, infatti, è da ricercarsi nel fatto che la maggior parte dei
turisti che atterrano a Zanzibar, come ho già accennato nel primo capitolo, proviene
proprio dall’Italia. Invece non ho ritenuto fruttuoso tentare di restringere ancora il
campo prendemdo in considerazione solo racconti di determinati ‘tipi’ di turisti (fai da
te piuttosto che all inclusive, leisured piuttosto che esperienziali, ecc.) perché ho
ritenuto più coerente analizzare il quadro complessivo dell’immaginario che producono
i racconti di viaggio, dal momento che saranno una fonte conoscitiva per ogni turista
72
che decida di acquisire informazioni attraverso internet, a prescindere dalla tipologia
con cui lo si vuole categorizzare.
Gli italiani a Zanzibar, tuttavia, non sono solo turisti: molti albergatori, cuochi o
ristoratori provengono infatti dalla nostra penisola. Questo contesto, indubbiamente,
non può non essere messo in relazione con quel senso di spaesamento sempre minore
che caratterizza il turismo postmoderno. Nel caso di Zanzibar la bolla ambientale
sembra andare oltre una semplice condizione determinata dai diversi mediatori che
accompagnano il turista (dal tour operator alla guida locale) per attenuare lo shock
dell’incontro, sembra mettere in gioco una maggior condivisione di valori culturali, di
senso di appartenenza, di valori ma anche di sapori, di esperienze condivisibili, di
possibilità di nuove conoscenze. La percezione del ‘sentirsi come a casa’ è spesso
evidenziata e la frequentazione di ristoranti dalla cucina italiana, piuttosto che la
compagnia di compatrioti sembra agevolare tale sentimento.
Emblematico è il diario di viaggio di Enzo di Roma:
“Il titolo "Zanzibar come a casa propria" è legata proprio a quest'aspetto...
La cordialità e simpatia dei proprietari Tony (ex tassista romano originario dell'isola
di Ponza), la moglie Carla e i loro 5 figli si è amalgamata con tutte le 8 coppie ospiti
trasformando il concetto di soggiorno in un resort ad un soggiorno presso una casa
di amici...“ 81
Anche quando non si ritrovano espressioni così esplicite, sembra che comunque
l’avere a che fare con italiani (sia che si tratti di turisti che di ricettori) o comunque con
elementi che attutiscano il senso di distacco dal proprio contesto abituale, non lasci mai
indifferenti, tanto da produrre un evidente bisogno di comunicare questo confronto con
la propria, lontana, domesticità. In alcuni casi questo incontro assume una valenza
chiaramente positiva, come nell’esempio precedentemente mostrato, o come in quello di
Daniela e Diego, riportato qui di seguito.
“Per finire e chiudere il buco lasciato dal Dolphin: LA FENICE (zona Shangani).
Ristorante tipico italiano, gestito da una coppia di italiani. La figlia organizza safari
ad Arusha. Abbiamo preso solo una macedonia di frutta con una pallina di buon
gelato (6000tsh) E il dolce Tiramisù (buonissimo come lo mangereste in Italia).
Vero ristorante italiano,si nota il tocco europeo,il proprietario è gentile,pronto a
81 Enzo di Roma, 2/9/2008 ( www.turistipercaso.it)
73
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
parlare e disponibile ad aiutare, ci ha dato la possibilità di aggregarci a lui il giorno
dopo per visitare il mercato locale. Ottimo caffè espresso pagato 2000tsh (1 euro =
1800tsh).
[…]
Nell'attesa dell'aereo e pausa relax nella terrazza del ristorante: AMORE MIO
(zona Shangani dopo la Fenice e il Plaza). Gestito da italiani ma mantenendo lo
stile zanzibarino. Alla Fenice sembra di uscire dall'Africa e tornare in Italia... in
questo ristorante rimani a Zanzibar”. 82
Anche Emmegi e Mara Speedy, nei loro racconti, mettono in relazione un
soggiorno positivo con riferimenti a gestione e frequentazione italiana:
“Zanzibar è stupenda!... profumi, colori, mare, spiagge... Ero al Ventaclub Karibu
sulla spiaggia Kiwengwa. E' un villaggio frequentato per la maggior parte, da turisti
italiani, cuochi italiani, animazione superlativa (Vito è un mito!) alloggi dignitosi,
puliti e spaziosi”. 83
“Il ristorante come tutte le costruzioni del resort sono di muratura bianca con tetto
in paglia. La gestione è italiana e quindi anche la cucina, che non ci farà
rimpiangere casa.” 84
Il desiderio di ritrovare elementi conosciuti, capaci di rievocare la propria
quotidianità e attutire in questo modo il distacco da essa, non è condiviso da tutti e si
trovano molte testimonianze, come per esempio quella di Peppone72 o delfinoblu55,
che lamentano l’eccessiva presenza di elementi riconducibili all’Italia o comunque a
qualcosa di conosciuto al quale, malgrado la distanza presa, si sente di appartenere.
“La situazione non sarebbe male, peccato che tale mucchietto di sabbia sia pieno
di gente che, non proprio nello spirito del posto secondo noi, schiamazza
rumorosamente…e gioca a racchettoni! Neanche a dirlo sono tutti italiani”. 85
“Una nota negativa è stato il tour dei delfini a Kizimkasi dove barche cariche di
turisti (italiani) inseguivano le povere bestie spaventandole e impedendole di
prendere il largo solo per permettere ai vacanzieri di gettarsi al volo dalle
imbarcazion per provare l'ebrezza di un tuffo tra i delfini.. Assurdo!” 86
82 Daniela e Diego, 2008 (www.markos.it)83 Emmegi, 2009 (www.markos.it)84 Mara Speedy, 30/12/2009 ( www.turistipercaso.it)85 Peppone72, 25/1/2011 (www.turistipercaso.it)86 delfinoblu55, 2/9/2010 (www.turistipercaso.it)
74
Anche il racconto di alex79bis sembra testimoniare la volontà di attuare un netto
distacco da tutto ciò che può ricondurre a una percezione del quotidiano:
“9 giorni girando l'isola in bicicletta e con i bus locali, lontani dai villaggi turistici
italiani!! Le cose più belle da vedere o fare? Vagare per Stone Town, mangiare ai
giardini Forodiani, visitare le spiagge in bicicletta fermandosi nei villaggi interni,
bere un aperitivo a Jambiani (Bahari bar), passeggiare nella solitaria e
meravigliosa spiaggia di Matenwe, giocare con le onde a Bweju...” 87
La massiccia presenza di turisti e operatori italiani, dunque, sembra non essere
indifferente agli stessi turisti, tanto che in alcuni racconti si scorge una certa
consapevolezza di come questo fenomeno di massa implichi una trasformazione del
luogo e del suo immaginario. Gli autori di alcuni diari hanno evidentemente elaborato il
concetto secondo il quale coloro che sull’isola operano nel turismo sono portati a
proporre un’offerta ai loro clienti che risulta fortemente determinata dal fatto che la
‘popolazione’ italiana sul suolo zanzibarino ha dimensioni considerevoli. Sembra che
chi lavora nel turismo tenti di evocare nel cliente italiano una sorta di sensazione di
quotidianità, processo che, come abbiamo visto, non lascia indifferenti gli stessi turisti,
tanto che reputano la cosa meritevole di essere raccontata a qualcuno, andando ad
alimentare, di fatto, l’aspettativa di ritrovare quello stesso scenario e quella stessa
sensazione in potenziali o prossimi viaggiatori verso Zanzibar. Come sottolinea
giannian, il contesto, spesso, viene costruito appositamente nell’ottica di attenuare il
distacco:
“Siamo solo italiani e questo fa sì che ogni cosa sia fatta per gli italiani. La cucina
(italiana ma con costante presenza di quella zanzibarina, entrambe veramente
ottime), l'animazione, il personale.” 88
Allo stesso modo il racconto di Brunella e Maurizio ci testimonia la
‘colonizzazione’ dell’isola da parte dei turisti italiani
“La presenza dei turisti italiani è veramente massiccia e sta condizionando
Kiwengwa: passeggiando per la spiaggia non si sente che parlare italiano, l’eco
87 alex79bis, 2007 (www.viaggiscoop.it)88 giannian, 6/4/2010 (www.turistipercaso.it)
75
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
dell’animazione da un villaggio o da quello seguente si spegne solo quando ci si
distanzia un pochino.” 89
Parlando dei beach boys (ragazzi locali che offrono servizi turistici) Jonathan1982
ci racconta come l’impatto provocato dalla presenza degli italiani si esprima in
particolar modo in quell’interfaccia che mette in contatto turisti e una parte della
popolazione locale:
“Alla fine facciamo amicizia con alcuni di loro con nomi d’arte del tipo: Giovanni
Paolo III, Felipe Massa, Luca Cordero di Montezemolo, Pecorino Sardo e i loro
negozi, che si trovano lungo la spiaggia, si chiamano Gucci, Armani, Sampey, La
Rinascente ecc. Sanno parlare benissimo l’italiano e le altre lingue più parlate dai
turisti. 90
In conclusione l’associazione tra Zanzibar e l’Italia appare decisamente forte,
l’immagine dell’isola che esce da questo primo sguardo è quella di un luogo
relativamente ‘vicino’, dove poter ritrovare elementi che permettono al turista di non
sentirsi troppo spesato. La costanza con cui questo aspetto ricorre nei racconti, in
termini positivi o negativi, non fa altro che riprodurre questa immagine dell’isola e la
vacanza di chi si reca a Zanzibar, informato attraverso siti internet, risulterà determinata
da queste informazioni: il comportamento tenuto, le scelte effettuate e esperienze
ricercate dai turisti sull’isola saranno in parte influenzate anche dal fatto di sapere che
l’isola non è un posto così ‘lontano’. Tuttavia la complessità dell’immaginario di
Zanzibar, come cercherò di mostrare nelle prossime pagine, ‘nasconde’ molteplici
contraddizioni e sfaccettature, che emergono grazie proprio alla pluralità di voci che, in
modo autorevole in quanto ‘testimoni oculari’ (o meglio multisensoriali), parlano di
essa all’interno della descrizione dell’esperienza personale di un viaggio.
89 Brunella e Maurizio Piacentini, 2006 (www.cisonostato.it)90 jonathan1982, 2/2/2011 (www.turistipercaso.it)
76
4.2. Lontani da casa
L’approccio con cui si possono leggere le prossime pagine segue quel filone
teorico dell’antropologia del turismo che vede il viaggio come una struttura di
esperienza in cui l’individuo prima lo immagina, poi lo vive, quindi lo racconta (una
tripartizione, che come abbiamo visto ricalca la struttura del rito di passaggio). La terza
fase, il racconto di un’esperienza di viaggio, implica anzitutto il mettere in evidenza la
particolarità, le peculiarità, la straordinarietà (nel senso più letterale del termine, ovvero
extra-ordinario, fuori dall’ordine comunemente esperito) dei luoghi visitati. È così dai
tempi del Milione di Marco Polo (o probabilmente da prima ancora) e neanche lo spazio
virtuale si sottrae a questa regola non scritta. Chi si appresta a scrivere un diario di
viaggio su Zanzibar, dunque, lo fa soprattutto per sottolineare l’esperienza di un
contesto che si colloca decisamente lontano da quello della quotidianità: una
testimonianza che sancisce definitivamente il mutamento di status e la trasformazione
esistenziale che il turista subisce a seguito della propria esperienza di viaggio.
Tuttavia, come ho sottolineato poche righe sopra, da un certo punto di vista i
turisti italiani a Zanzibar si trovano ad avere a che fare, volenti o nolenti, con molti
elementi che attutiscono la distanza percepita dall’isola rispetto ad alcuni aspetti della
loro quotidianità. Allo stesso modo, però, nei vari diari di viaggio lo scarto tra le due
realtà è ribadito pressoché costantemente. Zanzibar, prendendo spunto proprio dal titolo
di uno di questi, diventa una sorta di “porta dell’Africa”,91 anzi, molte volte
nell’immaginario di chi ne ha fatto esperienza arriva a coincidere con essa e viene
associata, attraverso una finzione metonimica, all’intero continente. Ciò che è esperito
sull’isola e poi raccontato, ciò che si vede, si sente, si odora e si mangia diventano allo
stesso tempo elementi zanzibarini e africani: da un lato e in un certo grado questi
cedono parte della loro peculiarità contestuale (Zanzibar) a favore di un’attribuzione di
appartenenza più estesa e generalista, ovvero vengono rappresentati prima di tutto come
africani; dall’altro lato la loro esistenza viene contrapposta alla propria quotidianità, si
sottolinea la diversità rispetto al ‘proprio mondo culturale’. Questi due aspetti, in realtà,
non sono mai separati, anzi, si ritrovano inevitabilmente intrecciati, dal momento che la
‘distanza’ tra l’Italia e l’Africa, nell’immaginario dei turisti, sembra essere ben
maggiore di quella tra l’Italia e Zanzibar. 91 alzappav, 25/1/2009 (www.turistipercaso.it)
77
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Di seguito, grazie al supporto di alcuni esempi, cercherò di mostrare attraverso
quali processi discorsivi e narrativi questa percezione e questo immaginario vengano
generati e riprodotti.
La fase di distaccamento dal contesto quotidiano termina all’arrivo a Stone Town.
Qui il turista inizia a esperire la distanza che c’è tra ‘casa’ e ‘Zanzibar’: ai suoi occhi già
l’aeroporto appare ben lontano dal modello standardizzato ‘occidentale’, in cui il
viaggiatore sa muoversi, sa cosa aspettarsi, cosa trovare e dove cercare ciò di cui ha
bisogno, il tutto senza la necessità di essere mai stato in quello specifico hub. Come
testimoniano jonathan1982 Stefano e Angela, quello di Zanzibar, invece è un aeroporto
africano…
“L’aeroporto di Zanzibar è piccolissimo e ci fa subito capire di essere in un paese
del terzo mondo!” 92
“Immaginate la ressa di quasi 200 italiani (erano arrivati quasi contemporaneamente
tre aerei) davanti ad un unico tavolino che mostrava una valigia alla volta. A quel
punto chi stava davanti urlava il nome appeso sul bagaglio e poi si passava il fardello
sopra alle teste di tutti. Ma d'altronde siamo in AFRICA NERA”. 93
Mettere a confronto gli aeroporti europei, che così bene incarnano il concetto di
nonluogo di Augé (1993), con quello della capitale zanzibarina, sembra un’attività a cui
non sfuggono nemmeno quei turisti che, come Tabata75, sono già stati sull’isola.
“Ricordavo il caratteristico aeroporto di Stone Town, una costruzione alquanto
‘atipica’ rispetto ai nostri moderni hub europei. E il ricordo non mi tradisce, ritrovo
infatti un insieme di persone, odori e rumori che danno l’idea di caos e disordine,
ma che invece, a ben guardare, sono perfettamente organizzati fra loro” 94
La ‘distanza’ percepita nei confronti dell’Italia viene espressa anche attraverso
riferimenti a odori e sapori differenti, del tutto diversi da quelli che si trovano ‘a casa
propria’. Come sottolineato nel capitolo precedente, l’immaginario si costruisce a
partire da esperienze non riducibili alla sola vista: i turisti postmoderni, quali
dimostrano di essere blu_oltremare e Stefano e Angela, vivono la propria vacanza
attraverso tutti i loro sensi: l’esperienza che fanno è totale.
92 jonathan1982, 2/2/2011 (www.turistipercaso.it)93 Stefano e Angela, 2007 (www.makos.it)94 Tabata75, 4/1/2011 (www.turistipercaso.it)
78
“Arriviamo a Uroa...Siamo sperduti in mezzo all’isola… Entriamo nell’hotel…
Meraviglioso… Capanne fiori... Masai… Finalemnte il profumo dell’africa…
Di nuovo per me essendo la seconda volta in continente africano.
[…]
Iniziamo col pezzo forte… Il mercato... Mercato del pesce e della carne... Che
fanno un po’ raccapricciare in quanto a pulizia... Ma superato ciò… C’è quello delle
spezie… Dei tessuti... Ecc. Girare per i vicoli è immergersi in un mondo nuovo.
Profumi odori… Puzze anche… Ma questa è l’africa ragazzi..” 95
“La frutta ha tutto un altro sapore rispetto a quella che arriva da noi. Ananas e
cocchi sono delicati e buonissimi”. 96
Come nel racconto di Tabata75, tutte le esperienze che i turisti fanno, attraverso
tutti i loro sensi, sembrano essere i testimoni inequivocabili della propria presenza nel
continente africano:
“L’odore del legno e dell’umidità ma soprattutto la bianca zanzariera posta sopra il
letto mi ricordano che sono in Africa, sotto l’Equatore, e che in queste zone la
malaria è ancora endemica e la gente muore.” 97
Quest’ultima citazione ci pone di fronte a un ulteriore elemento che contribuisce a
far percepire ai turisti il senso di distanza e di distaccamento dalla quotidianità e dal
proprio contesto ‘occidentale’: quello delle condizioni di vita. Questo, in realtà,
rappresenta una componente piuttosto complessa dell’immaginario di Zanzibar, che sarà
approfondita più avanti. Per il momento ciò che mi interessa sottolineare è il fatto che i
turisti italiani siano portati a rappresentare la percezione della diversità di Zanzibar
anche attraverso considerazioni e osservazioni circa la vita quotidiana della popolazione
locale. Questo tema narrativo non rappresenta certo una sorpresa: è facile aspettarsi che
chi racconta un viaggio in un contesto tanto diverso dal proprio finisca per contribuire
ad alimentare un tema di confronto tra il ‘proprio mondo’ e quello ‘altro’ in cui si trova.
Ecco come coniuga questo argomento Rachele Bruschi nel suo diario on-line:
95 blu_oltremare, 4/1/2010 (www.turistipercaso.it)96 Stefano e Angela, 2007 (www.markos.it)97 Tabata75, 4/1/2011 (www.turistipercaso.it)
79
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
“Quella purtroppo è la vera Africa che il mondo non guarda. Il turista non se ne può
stare chiuso nel villaggio del grande tour operator o al più starsene nella grande
spiaggia di Kiwengwa e non fare lo sforzo di girare l'angolo e vedere. Lì in quel
villaggio arroccato nelle colline sopra la spiaggia dove non arrivano i regali dei
turisti, si vive all'africana senza il minimo accenno a quello che può essere definito
umano. Amos mi ha fatto vedere realmente le loro condizioni. Laggiù sulla spiaggia
è il lavoro e quello che il turista deve vedere nella sua vacanza, ma non è in quel
modo che si vive, che i bimbi vivono”. 98
Dal canto suo, Erica, esprime invece una vaga eco di evoluzionistica memoria: il
confronto sembra portare a una proiezione sull’altro della propria purezza perduta:
“A Zanzibar abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare le bellezze dell'Africa
e ad osservare le contraddizioni di questa area. Le ricchezze della natura e del
suolo si scontrano con la povertà di un notevole numero di persone che, tuttavia,
sono sempre sorridenti e felici. Qualche volta conviene lasciare le nostre certezze
per scoprire com’era il mondo una volta”. 99
Il contrasto tra le condizioni di vita della popolazione locale e quelle degli stessi
turisti, considerati sia nel loro contesto quotidiano che in vacanza, sembra non lasciare
indifferente Mary:
“La discrepanza fra il trattamento riservato a noi turisti, e la povertà assoluta degli
autoctoni è, come in altre zone del mondo, molto forte. Nei villaggi vacanze ci
abbuffiamo di ogni ben di Dio culinario e facciamo la vita da "snob", mentre nei
villaggi veri si combatte per la sopravvivenza. L’Africa interpella le nostre
coscienze”. 100
In questi passi e in altri non citati si riscontra la necessità di raccontare una
differenza che in qualche modo appare strettamente connessa al processo turistico. Il
contrasto tra turista e vita dei locali, in alcuni casi, sembra essere predominante rispetto
a quello tra italiani e gli stessi zanzibari. Fare esperienza delle condizioni di vita della
popolazione zanzibarina in veste di turista in molti casi sembra provocare una sorta di
scollamento tra la propria identità temporanea (quella di turista appunto) e il proprio
senso di appartenenza a un sistema culturale e di valori più ampio e costruito nel tempo
98 Rachele Bruschi, 31/10/2004 (www.turistipercaso.it)99 Erica, 2009 (www.cisonostato.it)100 Mary, 2007 (www.cisonostato.it)
80
(l’essere italiano, un’identità che potremmo chiamare nazionale, ma in senso lato).
Forse una chiave di lettura che possa spiegare meglio questa situazione ce la da il diario
di Robimir quando dice:
“la prima sensazione provata nell’attraversare le casette di fango e pietra è quella di
trovarsi davvero in Africa, ed un misto di tristezza e inadeguatezza ci pervade” 101.
L’elemento che in questa frase cattura maggiormente la mia attenzione è
l’espressione “trovarsi davvero in Africa”. La complessità e criticità di questa
affermazione probabilmente meriterebbe uno studio a sé. Il punto su cui vorrei porre la
mia riflessione è il fatto che il turista si esprime come se ciò che ha visto e che ha
esperito, la percepita ‘africanità’ fatta di casette di fango e pietra, di fatto fosse frutto di
una costruzione, di una finzione (nell’accezione più letterale del termine, da fictio),
come se il contesto in cui si è trovato fosse lì per lui (e non il contrario). L’impressione
che suscita questa frase, quanto meno nell’interpretazione che riesco a darne io, è quella
di una persona in visita a un parco divertimenti o a un set cinematografico, dove la
riproduzione del contesto è talmente ben fatta da sembrare di essere ‘davvero’ in Africa.
Come dice Augé (1999), il turista cerca sempre meno ‘l’autentico’, o meglio, lo
costruisce nel proprio immaginario e lo tende a confrontare con le ‘simulazioni’ che
esperisce. In questo caso Zanzibar, evidentemente, non è un parco giochi, ma
l’approccio che sembrano avere i turisti è del tutto simile: ricercare ciò che gli propone
la propria immagine mentale di Zanzibar. Se questa può essere una chiave di lettura
utile a spiegare la priorità dell’identità turistica rispetto a quella nazionale nel confronto
con la popolazione locale, riprendendo il concetto proposto da Aime di incontro
mancato, si può ipotizzare che il turista si trovi in una duplice ‘bolla ambientale’: da un
lato ci sono tutta una serie di elementi contestuali che mediano l’incontro ed evitano il
trauma del distacco, dall’altro sembra che un elemento di mediazione del tutto simile
consista nell’immagine mentale che gli stessi turisti hanno tanto di loro stessi quanto di
Zanzibar. Mi spiego meglio. Di fatto sembra che il turista utilizzi il proprio immaginario
finendo con l’astrarre la propria esperienza rendendola un oggetto, reificandola ed
essenzializzandola. L’impressione di trovarsi davvero in Africa, dunque, ci mostra il
turista all’interno di un contesto che è altro sia rispetto a quello della propria
quotidianità, sia a quello della popolazione locale: un contesto che sembra costruito sul 101 Robimir, 10/04/2007 (www.ilgiramondo.it)
81
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
rapporto che si crea necessariamente tra le immagini mentali che i turisti possiedono del
luogo e l’esperienza che fanno di quest’ultimo.
Questa che propongo è un’ipotesi che necessiterebbe sicuramente uno studio più
approfondito e una quantità maggiore di informazioni. I prossimi paragrafi tratteranno
altri aspetti legati all’immaginario turistico di Zanzibar, tuttavia sono convinto che
aiuteranno a chiarire meglio anche questo punto ancora piuttosto critico.
82
4.3. “Destinazione Paradiso” 102
Il tema appena trattato mi porta necessariamente ad aprire un altro capitolo legato
all’immaginario di Zanzibar, forse uno tra i più rappresentati all’interno dei racconti di
viaggio e, allo stesso tempo, controversi: la costruzione paradisiaca dell’isola.
Prima di addentrarmi nell’analisi della ricerca, vorrei mettere subito sul ‘tavolo’
alcune riflessioni che ne costituiranno il substrato necessario. Abbiamo già visto, nel
capitolo precedente, come nella costruzione degli immaginari turistici, soprattutto per
quel che riguarda le destinazioni più ‘esotiche’, si sia andato delineando il concetto di
‘paradiso’ legato al viaggio e in particolar modo a certe isole della fascia tropicale.
Prendendo questo come punto di partenza, è evidente come tale concetto, che da forma
a immagini di luoghi altamente desiderabili al di là di ogni possibile idea di piacere,
abbia poco di universale. Su questa immagine più che ogni altra, credo sia doveroso
sottolineare come la sua origine è determinata e contestuale, i parametri di riferimento
sono relativi: se l’immagine di un contesto viene costruita attraverso il concetto di
paradiso è perché un gruppo (in questo caso molto ampio) condivide determinati valori
di desiderabilità rispetto a particolari condizioni di fruibilità del luogo stesso. In breve,
credo sia necessario sottolineare, sebbene forse possa apparire piuttosto scontato, che
sono i turisti a mettere Zanzibar in relazione al concetto di paradiso, quei turisti che
provengono da un determinato ambiente culturale in cui tale concetto ha una particolare
valenza e connotazione. Quella di paradiso, di fatto, si tratta di una categoria utilizzata e
riprodotta dal polo dei guest, mentre quello degli host, al contrario, non necessariamente
la condividerà, in quanto molto probabilmente non condividerà quel complesso di valori
ed esperienze che, in un’ottica storica e processuale, l’hanno generata. Ciò indica che le
proiezioni mentali che un determinato gruppo di persone ha rispetto a un luogo e il tipo
di comportamento che è portato a tenervi sono strettamente legati a presupposti,
aspettative e possibilità diverse a seconda del gruppo in questione. Detto ciò, vediamo
in che modo Zanzibar viene definita e rappresentata dai turisti come un paradiso.
L’idea sembra gettare le sue radici prima della partenza e rafforzarsi con
l’esperienza sul posto. Digitando “Zanzibar” su un qualsiasi motore di ricerca,
operazione plausibilmente simile a quella che compie chi inizia a ricercare informazioni
in internet, il risultato ottenuto è lampante: la maggior parte dei risultati trovati si 102 Il titolo del paragrafo ricalca quello del diario di viaggio di linbo666, 2007 (www.viaggiscoop.it)
83
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
riferisce all’isola da un punto di vista turistico (siti di tour operator, resort, guide di
vario genere, racconti di viaggio, informazioni generali, ecc.). Senza addentrarmi
troppo, poiché non è questo il mio ambito di indagine, in tutti questi siti si trovano
facilmente riferimenti a un’immagine di Zanzibar ‘eccezionale’, paradisiaca. Gli
esempi, come detto, sono innumerevoli, a partire dal sito della commissione turistica di
Zanzibar.
“Le spiagge paradisiache di Zanzibar sono esotiche come il suo nome”. 103
Tra le informazioni generali circa l’isola, che trovano su un sito di un Stefano
Molinari, fotografo-viaggiatore di professione, si può leggere:
“Zanzibar, paradiso con spiagge bellissime, piccole isole e isolotti dispersi nel mare
turchese. Zanzibar, il posto ideale per le vacanze al mare”. 104
Ancor più evocative e con forti riferimenti all’immagine di una Zanzibar
paradisiaca sono alcuni siti di promozione turistica:
“Zanzibar, il sognante arcipelago della Repubblica Unita della Tanzania, che si
compone delle due isole principali, Unguja e Pemba, ma anche di tantissime altre
isolette secondarie tutte bagnate da un mare di cristallo e punteggiate di atolli
paradisiaci, reef di pesci colorati e spettacolari spiagge di sabbia bianca”. 105
“Le spiagge di Zanzibar sono incantevoli, incontaminate e paradisiache: luoghi
dove rilassarsi al sole lasciandosi cullare dalle onde del mare”. 106
Particolarmente prolifico, all’interno del processo di riproduzione dell’immagine
paradisiaca di Zanzibar, è il sito di promozione turistica www.turistmo.it, che propone
gli articoli di Cognazzo Francesco Salvatore, Giurato Flaminia, e Martino Cecilia
“Era il 2010. E’ il 2010: sono trascorsi 42 anni quando lo scrittore John Brunner
scrisse il piccolo capolavoro. La società descritta nel romanzo "Stand on Zanzibar"
non è (ancora) quella temuta dall’autore. Per fortuna. E rimane un piccolo ed
103 www.zanzibartourism.net/it/coastaltourism.php 104 www.stefanomolinari.com/tanzania-zanzibar-363-info-generali105 www.inspiaggia.com/2010/12/06/il-paradiso-vi-aspetta-sulle-spiagge-di-zanzibar106 www.migliori-offerte-viaggi.it/zanzibar-spiagge-e-divertimenti-per-tutti-1623
84
autentico paradiso terrestre. Le spiagge e le foreste, i colori e gli odori, ed un surplus
ricco di cultura rendono l’isola una meta per una vacanza indimenticabile”. 107
“Accanto alle attrattive culturali, storiche ed architettoniche si affiancano
armoniosamente spiagge bellissime, mare cristallino, vegetazione lussureggiante e
paradisi naturali tutti da scoprire”. 108
“Distese di sabbia da vero paradiso esotico sono quelle che si estendono a nord
est della costa dell’Unguja: Matemwe, Uroa, Kiwenga e Mapenzi”. 109
“Ad essere ritenuto il paradiso subacqueo dell’Africa Orientale è l’isola di Misali,
adagiata all’interno del canale di Pemba e venerata come una preziosa area di
conservazione marina. Non da meno è l’isola di Chumbe e la sua barriera
corallina” 110
Altri esempi si trovano nei titoli di proposte di viaggio di tour operator, resort o
siti di promozione turistica, come: “Volo+Hotel Zanzibar: Paradiso tropicale
dell'Oceano Indiano”111, “Il paradiso a Zanzibar”112, “Un paradiso chiamato
Zanzibar”113, “Zanzibar, il tuo angolo di paradiso”114. Le fotografie che questi siti
associano alle loro descrizioni o promozioni esplicitano quale sia l’idea di Zanzibar
paradisiaca che intendono promuovere. I soggetti di queste raffigurazioni sono
pressoché sempre il mare, le palme, la spiaggia e gli alloggi: elementi che vengono
percepiti dal target a cui tale pubblicità fa riferimento come un connubio perfetto tra
relax ed ‘esoticità’. Il paradiso sembra essere quindi un posto dove rilassarsi, prendere il
sole su una bianca distesa di sabbia, potersi immergere in un mare dai colori più azzurri
che mai. Tutto ciò appare decisamente lontano dall’immagine di ‘casa’, di ‘quotidiano’
che hanno i turisti: il paradiso è sì affascinante ed esotico, ma è anche affascinante
perché è esotico.
107 Cognazzo Francesco Salvatore, 15/10/2010 (www.turismo.it)108 Giurato Flaminia, 20/02/2008 (www.turismo.it)109 Martino Cecilia, 13/07/2006a (www.turismo.it)110 Martino Cecilia, 13/07/2006b (www.turismo.it)111 viaggi.excite.it/volohotel-zanzibar-paradiso-tropicale-delloceano-indiano-N13380.html112 www.atrapalo.it/viaggi/il-paradiso-a-zanzibar_v17716.html113 www.regalo-idee.it/donato/index.php/614/un-paradiso-chiamato-zanzibar114 www.veratour.it/zanzibar-sunset-beach
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TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Sopra: immagine della slide show del sito della Commissione per il turismo di Zanzibar (www.zanzibartourism.net)
In alto a sinistra: foto della recensione di Zanzibar di
Francesco Salvatore Cognazzo sul sito www.turismo.it
In alto a destra: una delle immagini della slide show del
sito del resort Veraclub di Zanzibar (www.veratour.it)
A sinistra: foto della pagina internet dedicata a Zanzibar
sul sito www.regalo-idee.it
Infine alcuni resort dell’isola, accodandosi a questa immagine, si sono dati nomi
come Next paradise, Ocean Paradise resot o Zanzibar Dolphin View Paradise 115; allo
stesso modo l’isola privata di Changuu, conosciuta anche come Prison Island, è stata
ribattezzata Changuu Private Island Paradise. Anche in questi casi vengono associate
fotografie assolutamente in linea con il concetto di ‘paradisiacità’ sopra riportato.
Foto in testata della pagina principale del sito dello Zanzibar Dolphin View Paradise (www.zdvp.com)
115 Rispettivamente www.zanzibar.it, www.oceanparadisezanzibar.com e www.zdvp.com
86
In alto: foto della pagina principale del
sito del resort Next Paradise
(www.zanzibar.it)
A sinistra: una delle foto della slide
show della pagina principale del sito
dell’Ocean Paradise Resort
(www.oceanparadisezanzibar.com)
Chi cerca informazioni su Zanzibar, dunque, si imbatterà necessariamente con la
costruzione di questa immagine, protesa a mostrare l’isola (o parte di essa) come una
summa di elementi estetici e rilassanti che tendenzialmente dovrebbero coincidere (o
fare in modo che così sia) con quanto ricercato dai potenziali o futuri turisti.
Se queste azioni di marketing inducono a instillare nell’immaginario di Zanzibar
questo elemento paradisiaco, ciò che sembra essere maggiormente rilevante per la sua
riproduzione sono ancora una volta le espressioni discorsive dei turisti. Il tema ricorre
numerose volte già dai titoli dei diari di viaggio: “Un angolo di paradiso”116,
“Destinazione paradiso”, “Un viaggio paradisiaco che ci ha cambiato la vita”, “Zanzibar
paradiso oppure no?”, “Il paradiso esiste”, “Ritorno in paradiso”, “Zanzibar, il paradiso”117,
“Zanzibar, passaporto per il paradiso”118, “Zanzibar: benvenuti in paradiso!!!!!”, “Zanzibar:
il mio paradiso”, “Vacanze a Zanzibar…benvenuti in paradiso”, “Zanzibar: un paradiso da
116 Lettore_992020, 2009 (viaggi.corriere.it)117 Linbo666, 2007; HakunaMatata, 2006; robscan, 2005; cri.dan, 2005a, 2005b; mrdga, 2004 (www.viaggiscoop.it)118 Pier Luigi Montali, 2003 (www.cisonostato.it)
87
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
sogno”, “Una fetta di paradiso… Zanzibar” 119, “Zanzibar, un’isola, un paradiso” 120,
“Zanzibar: un paradiso dai mille colori” 121, ecc.
La forma ricorrente di associazione tra Zanzibar e il paradiso già nel titolo lascia
presagire una sorta di omologazione, di stereotipizzazione. Vediamo brevemente come si
presentano i contenuti degli stessi diari per cercare di capire in che modo questa immagine
si relazioni, da un lato, con il contesto e, dall’altro, con il complessivo immaginario
dell’isola.
Il diario di sfigatto, dal titolo “Impressioni su Zanzibar”, si mostra interessante per
come riesce a mettere in relazione, attraverso ‘pennellate’ altamente evocative, molti aspetti
dell’isola, che alimentano l’immaginario turistico, con il concetto di paradiso, che arriva
proprio alla fine, come a suggellare e a sigillare il quadro di Zanzibar:
Zanzibar è un caldo abbraccio che ti prende alle spalle quando scendi dall'aereo;
non aggressivo e prepotente come quello d'Egitto, ma avvolgente, lento,
suadente...
E' la strada asfaltata, eppure polverosa, che si perde dritta ed uguale tra palme,
eucalipti, alberi di spezie profumate; che sorpassa casupole dal tetto di lamiera, e
si lascia a destra e a sinistra sentieri sterrati che si inoltrano nel verde dove donne
accucciate intrecciano foglie di palma.
E' la spiaggia bianca che si allunga nel mare ad ogni cambio di marea e lascia allo
scoperto conchiglie granchietti alghe, e sorregge barche scure coricate languide
sul fianco, in attesa del ritorno delle onde per riprendere vita.
E' una frotta di bimbi che insegue il "dalla-dalla" del resort, coi piedi nudi, gli occhi
scintillanti e l'allegria di un nuovo gioco.
E' il masai, statua d'ebano di un Michelangelo nero, dalle treccine raccolte sul capo
- e poi lunghe sulla schiena - che dondolano aggraziate ad ogni movimento, come
la coda di un puledro che scalpita nel pomeriggio assolato o contro un tramonto
languido di nubi rosse.
E' una donna solitaria che cammina sulla spiaggia, il shari al vento, la cesta
ricolma di legna sul capo, il braccio sottile ripiegato a sorreggerla, lo sguardo perso
verso l'infinito.
E' il rumoroso, polveroso agitarsi del traffico e della gente di StoneTown, dei vicoli
scuri, delle bottegucce ricolme di merce accatastata nelle ceste, dell'incessante
offrire qualcosa in cambio di poco. 119 IlariaT., 28/10/2010; ZanzibarHeart, 7/7/2009; renatour, 11/3/2009; Emanuela Sassarego, 20/10/2004; Serena Lastrico,
3/9/2004 (www.turistipercaso.it)120 Viviana, 2004 (www.paesionline.it)121 robimir, 2007 (www.ilgiramondo.net)
88
Zanzibar è il sogno di un Paradiso perduto e il rimpianto di non averlo scoperto e
vissuto all'inizio della vita.122
Una descrizione come questa, che tende a evocazione immagini, è forse il miglior
esempio di come un individuo, nella fattispecie un turista il cu viaggio è già terminato,
contribuisca a produrre un determinato contesto comunicativo in cui la propria
espressione si lega a doppio filo con l’azione. Il dettaglio ‘pittorico’ con cui avviene la
descrizione riporta inequivocabilmente a un’esperienza compiuta e, allo stesso tempo, a
ogni capoverso l’autore costruisce un ‘pezzetto di realtà’, da forma alla sua immagine
paradisiaca di Zanzibar in modo che i potenziali lettori possano afferrarla, farne in un
certo senso esperienza ancor prima di visitare l’isola stessa. Questo esempio è utile
anche per accennare al fatto che, come vedremo anche attraverso altri casi, la profondità
descrittiva è la modalità preferita attraverso cui comunicare un’immagine paradisiaca,
che si lega anzitutto a fattori estetici, ma che sottende allo stesso tempo anche valori
etici e fattori emozionali. In questo processo, infatti, la descrizione non agisce mai da
sola, al contrario sembra accompagnarsi sempre a un certo investimento e ‘trasporto’
emotivo, al tentativo di esprimere le proprie sensazioni, di esplicitare ciò che si è
provato (o l’immagine che si ha di ciò che si è provato) in un determinato contesto.
A supporto di quanto detto riporto tre brevi testimonianze, ovvero i diari
pubblicati da HakunaMatata, linbo666 e cri.dan su www.viaggiscoop.it, che mostrano
come un connubio tra descrizione ‘pittorica’ ed emotiva contribuiscano a creare
un’immagine ben definita o comunque immediatamente fruibile da parte di chi sta
cercando informazioni su Zanzibar.
“Un viaggio paradisiaco che ci ha cambiato la vita!!!
Un paradiso del quale non sai neanche l'esistenza...una cultura che ti meraviglia, ti
incuriosisce...ti fa innamorare. L'Africa mi ha sorpreso...mi ha lasciato senza
parole, a volte con un pò di amaro in bocca, a volte mi ha fatto piangere, a volte mi
ha fatto ridere e sognare...Vivere e sorridere è per gli africani una prerogativa
molto importante...prima di scoprire tutto ciò riuscivo solo a sopravvivere...Se ora
ho imparato a vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo lo devo solo all'Africa...” 123
“Destinazione paradiso
122 sfigatto, 9/12/2010 (www.turistipercaso.it)123 HakunaMatata, 2006 (www.viaggiscoop.it)
89
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
vacanza da sogno dove la poplazione sorride sempre....un salto indietro nel tempo,
i beach boys (ragazzi della spiaggia) che offrono escursioni a prezzi vantaggiosi
sono simpaticissimi......è chiaro ke molto dipende anche da voi nel senso di
adattamento...........e poi....gli aiutate e create un fonte di guadagno x loro....” 124
“Il paradiso esiste!
Tutto ha inizio perchè io e la mia amica Vale abbiamo deciso di concederci una
settimana al mare quando qui era inverno.... subito l'idea era per i Caraibi, poi però
la mia amica in agenzia ci ha proposto Zanzibar!!.... così siamo partite alla volta di
questo posto per noi sconosciuto!!!
Cosa dire... appena arrivate ci rendiamo conto della povertà che si trova fuori da
villaggi e alberghi, ma anche della bellezza del posto!!
I colori di quella terra e i visi di quelle persone credo che rimarranno per sempre
nel mio cuore... un posto così non si può dimenticare... ti rapisce e ti conquista...
quando vai via ti rendi conto di cosa significa "mal d'Africa"...
Io l'ho provato tanto che appena rientrata sono andata a prenotare nuovamente
per qualche mese dopo... dovevo tornare... dovevo riassaporare quei luoghi...
rivedere quei colori e godere di nuovo di quei sorrisi... Le persone li hanno poco e
niente, ma hanno dei sorrisi così veri e genuini che fanno capire le cose importanti
della vita... riescono ad essere felici senza perdersi dietro a cose inutili e superflue
come facciamo noi... sembrano luoghi comuni, ma è verità!!
Se volete concedervi una settimana in paradiso io vi consiglio decisamente
Zanzibar... se poi volete assaporare appieno la vita e le bellezze del luogo non
chiudetevi in un villaggio... Io sono stata a NUNGWI sulla punta più a nord
dell'isola in quella che è considerata la spiaggia e il tramonto più bello dell'isola! Li
non ci sono villaggi chiusi, ma alberghi che ti permettono di fare la formula
bed&breakfast visto che proprio sulla spiaggia c'è uno stupendo villaggio di
pescatori con caratteristici ristorantini sul mare e con pochi dollari puoi mangiare
pesce e gustosi piatti locali (fidatevi... io non riesco molto ad adattarmi per quanto
riguarda il mangiare, ma li era tutto molto buono...) Senza considerare la possibilità
di conoscere gli abitanti del villaggio...soprattutto ragazzi rasta o masai che
proporranno qualsiasi tipo di souvenirs senza però essere invadenti o
particolarmente insistenti... perchè come dicono loro... Hakuna Matata!!!” 125
124 linbo666, 2007 (www.viaggiscoop.it)125 cri.dan, 2005a (www.viaggiscoop.it)
90
Di quest’ultimo diario, per cercare di fornire un quadro più completo, riporto
anche delle immagini che sono state inserite a suo corredo. Per non trasformare le
prossime pagine in un ‘album fotografico delle vacanze’ ho dovuto necessariamente
sceglierne solo alcune (cri.dan ne ha allegate ben 43!) che ho ritenuto più interessanti
rispetto a quanto espresso dal racconto. Si tratta dunque della selezione di una selezione,
della mia interpretazione di ciò che cri.dan ha ‘interpretato’ essere più ‘bello’ o
rappresentativo o coerente rispetto quanto visto, esperito e fotografato.
Le fotografie, soprattutto utilizzate a corredo di un diario, sono un ulteriore
elemento espressivo che si aggiunge al processo di creazione e riproduzione
dell’immaginario. I soggetti fotografati possono ricalcare le immagini precedentemente
formate nella mente dell’individuo, possono derivare da particolari sensazioni esperite o
da entrambe le cose contemporaneamente. In ogni caso sono un eccellente supporto
visivo per costruire e fissare la memoria di una particolare situazione e in questo caso la
scelta di pubblicare fotografie, affianco a un diario che descrive una vacanza in un
91
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
luogo paradisiaco, che ritraggono il mare di Zanzibar, il tramonto, i bambini, le palme,
le capanne, i negozietti sulla spiaggia, lascia pensare a una complessità di finalità ed
effetti: testimonianza della propria presenza nel luogo, resa visiva di ciò che si è voluto
intendere nel racconto, rappresentazione di una realtà, fissaggio di determinati ricordi.
Il racconto di cri.dan, preso come esempio tra le decine di diari che ho consultato
e di cuoi ho riscontrato un’impostazione molto simile, mi permette di proporre la tesi
per cui l’immagine del paradiso zanzibarino viene espressa attraverso diverse modalità e
facendo riferimento a un’esperienza che si sviluppa su molteplici livelli: si raccontano le
proprie emozioni, ciò che si vede, ciò che si assaggia o che si odora, le persone che si
incontrano, ma anche alcuni comportamenti e approcci alla vacanza in genere,
determinate scelte, determinati ‘modi di vedere’ Zanzibar. Il tutto si traduce in una serie
di consigli, anzitutto esplicitati nel testo, ma che nascondono una forza comunicativa
che va oltre il messaggio in sé. La trasmissione della propria immagine di Zanzibar,
legata a quella di paradiso, permette a chi consulta un diario di viaggio di avere
l’impressione di essere di fronte a un’incarnazione, una personificazione, una proiezione
dell’esperienza dello scrittore: la molteplicità dei sensi in gioco porta alla percezione di
avere a che far con un’esperienza che va oltre la virtualità del contesto, fino a evocare
un ‘vero’ dialogo con chi scrive, una ‘vera’ visita ai luoghi rappresentati, un ‘vero’
assaggio delle pietanze cucinate, una ‘vera’ conoscenza dell’isola e del suo aspetto
paradisiaco. Allo stesso tempo, però, mette in luce anche una dinamica di condivisione
dei valori che sottendono a questa stessa costruzione immaginifica.
A supporto di questa tesi introduco un altro elemento molto importante: i
commenti ai diari di viaggio da parte di altri utenti. Si tratta forse di una tipologia di
comunicazione che meglio ci aiuta a capire in che modo un tipo di racconto così
costruito agisca nei confronti di chi legge e, quindi, di come il lettore stesso elabori e
metabolizzi il messaggio che gli viene passato. Per dare un esempio concreto riporto qui
di seguito, per intero, la risposta di ely80 al diario di tabata75
“Lo chapeau te lo meriti tu....bellissimo ed intenso diario complimenti...mi hai fatto
tornare in mente un diario di un viaggio fatto in Kenya nel 2005, letto sul web,
bellissimo, ogni tanto me lo rileggo e piango sempre....a primo impatto mi
sembrava la tua "mano".......ma il mondo sarebbe troppo piccolo...
Condivido molti dei tuoi pensieri....in particolare questo:
92
«Chi dice che il paradiso deve essere fatto di comodità, agiatezza e progresso?
Chi dice che il paradiso profuma di deodorante per ambienti o di Chanel numero 5?
Io il mio paradiso l’ho sempre immaginato così, pieno di verità e libertà, quella
verità che non nasconde le difficoltà della vita e la libertà di essere me stessa,
amata o odiata per quella che sono, un posto dove il rispetto per quella terra che ti
fa sopravvivere è pieno e totale. Questo è il paradiso per me»
Parole sante le tue
Grazie di aver riportato anche me ai ricordi di quel bellissimo viaggio fatto in Kenya
l'anno scorso
...paese ricco di contraddizioni...i polli da spennare..hè hè...la povertà....la
miseria...gli "ovattati villaggo all inclusive"...ma alla fine qualcosa dentro ti resta...ti
resta per sempre!
Elisa” 126
Nella maggior parte dei casi i commenti possono essere visti come una sorta di
co-partecipazione all’esperienza letta, una modalità di interazione con chi racconta il
proprio viaggio, un tentativo di creare un legame. Possiamo concepire i commenti come
un effetto della produzione di un’immagine nella mente di chi legge, che proprio
attraverso il commento si esplicita. Esprimendo le proprie impressioni in questo modo si
comunica un certo grado di coinvolgimento empatico, emotivo, esperienziale e
valoriale. Chi lascia un commento, come quello di ely80, su un diario di viaggio,
anzitutto, dice qualcosa di sé e della propria identità: di turista (o aspirante tale), di
internauta, di individuo che virtualmente si sente appartenente a un gruppo di persone
che condivide (o rifiuta) un certo pensiero, una certa immagine. In secondo luogo ci da
indicazioni sul processo di costruzione immaginifica che un diario di viaggio produce: il
commento è una sorta di cartina di tornasole che da un lato mostra quali siano le
immagini che vengono recepite e in che modo vengano elaborate e metabolizzate e
quali siano le modalità espressive più ‘efficaci’ in questo processo. Dall’altro lato
mettono in evidenza in che modo l’aver compiuto (o essere in procinto di compiere)
esperienze simili e condividerne il racconto e la memoria porti a produrre un panorama
di immagini comuni, costantemente rivitalizzate e modellate, che hanno la forza di
126 Tabata75, 2/1/2011 (www.ilgiramondo.net)
93
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
determinare specifici comportamenti e atteggiamenti, far prendere decisioni, stimolare
determinate sensazioni, sensibilizzarsi nei confronti di determinate esperienze. Gli
interventi di Monia74 e cocarum al già citato diario di robimir dimostrano proprio come
la narrazione e la condivisione di esperienze comuni porti ad esprimere il proprio
trasporto e la propria co-partecipazione, quasi a voler testimoniare che l’esperienza di
Zanzibar è unica (nel senso di una sola possibile), o per lo meno è unica per coloro che
riconoscono nei racconti altrui la restituzione di immagini, emozioni ed esperienze
proprie.
“Monia74
complimenti per il diario e per le bellissime fotografie. Io sono stata a Zanzibar
l'anno scorso e vedendo le vostre foto mi viene la voglia di ritornarci. Ero stata
qualche anno fa in Kenya e sono d'accordo col fatto che l'Africa ha un fascino
unico, che ti resta nel cuore. Peccato non poter viaggiare tutto l'anno!!!”
“cocarum
ho preso spunto dai reportage presenti in vari forum per una vacanza a Zanzibar,
sono rientrato mercoledì 5.12.07. Leggendo il tuo racconto ho vissuto tutti i
momenti di una fantastica vacanza, questo scorcio d'Africa mi resterà impresso per
sempre. Appena troverò un pò di tempo scriverò il mio racconto, con il desiderio
che possa servire a chi, dovendo programmare un viaggio, avesse ancora qualche
dubbio sulla scelta della meta. Per il momento ho messo un pò di foto nel mio blog,
già ho convinto molti che Zanzibar merita di essere vista! Ciao ingegnere
viaggiatore!
www.cocarum.spaces.live.com
Andrea” 127
Quando cocarum dichiara di aver “convinto molti che Zanzibar merita di essere
vista!”, esplicita molto bene quello che è l’esito finale di quel processo che è la
costruzione di un immaginario turistico attraverso la narrazione, ovvero partecipare alla
formazione di un certo pensiero che a sua volta induce a un certo ambito di
comportamenti, che nella fattispecie si traduce nel convincersi della bellezza di
Zanzibar e magari sceglierla come prossima meta delle proprie vacanze.
Ancor più espliciti sono i commenti al diario di Marco Ciccone su
www.cisonostato.it, che ha unito l’esperienza del safari in Tanzania con la tranquillità e
127 robimir, 10/04/2007 (www.ilgiramondo.net)
94
i relax del mare di Zanzibar. I suoi lettori infatti esprimono un condivisione di
esperienze che testimonia piuttosto chiaramente come la circolazione dei racconti
implichi allo stesso tempo una condivisione di valori, ricordi e immagini che tendono a
diventare elemento che segna una certa appartenenza e determina un certo status.
“Grazie Bea (ci troveremo per scambio foto ;-)) e Federico ... credo che tutti e tre
condividiamo le stesse sensazioni e la stessa filosofia di viaggio, Ciao Marco”
Tremal Naik il 20/10/2005”
“Che bello ricordare gli splendidi colori di Zanzibar: grazie Marco ;-)
BEA il 18/10/2005”
“Grande Marco, nella "tua" Tanzania ho ritrovato molto della "mia" (vd. diario "Un
tocco di magia africana"); abbiamo fatto più o meno lo stesso viaggio e, mi sembra
di capire, condiviso anche alcune delle grandi emozioni che ti dà quello splendido
Paese, compresa l'esperienza terrorizzante e paralizzante degli animali fuori dalla
tenda. Che voglia di tornare!!
Federico il 14/10/2005” 128
Nelle prossime pagine tenterò di rispondere a una serie di domande al fine di
chiarire certe dinamiche della costruzione dell’immaginario di una meta turistica:
esistono racconti che esprimono un contraddittorio rispetto alla maggioranza? Come
interagiscono con il resto delle narrazioni? In che modo esperienze comuni e
immaginario si influenzano a vicenda e come questo processo viene raccontato? In che
modo i consigli e i pareri di altre persone determinano queste stesse esperienze?
128 Marco Ciccone, 2005 (www.cisonostato.it)
95
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
4.4. “Zanzibar controversa” 129
Il processo di costruzione dell’immaginario di una meta turistica, e di Zanzibar
nello specifico, è certamente cosa ben più complessa di un insieme di racconti di
viaggio in cui i viaggiatori esprimono i loro ricordi in modo entusiastico facendo
apparire tutto stupendo e paradisiaco.
Ho già accennato, nel paragrafo, precedente al fatto che Zanzibar è associata a un
ideale di paradiso da coloro che condividono un certo tipo di valori estetici e
determinate aspettative: in poche parole Zanzibar è un paradiso limitatamente alla
percezione dei i turisti, mentre la popolazione locale, che sull’isola ci vive
quotidianamente, non ne avrà una medesima visione. Nel primo capitolo, grazie a ciò
che ho potuto leggere sulla bibliografia che sono riuscito a recuperare, ho cercato di
mettere in luce alcuni aspetti critici che il processo turistico ha innescato nei confronti
della popolazione e dell’ecosistema zanzibarino. Le condizioni di vita degli zanzibari,
sicuramente, non si accordano al concetto di paradiso inteso dai turisti, che nell’usare
tale espressione sembrano riferirsi, oltre che a un contesto distinto da quello quotidiano,
soprattutto al panorama, all’ambiente circostante o, al massimo, a un approccio alla vita
più ‘sereno’ che riscontrano nella popolazione locale. Una certa assenza di criticità
sembra interessare il turista, sembra essere una sua caratteristica ontologica: l’essere
guest, vivere una temporalità differente, tanto dalla popolazione locale quanto da quella
del proprio contesto quotidiano, conduce a una percezione della meta del tutto peculiare,
che dipende direttamente dalla propria condizione e dalle proprie aspettative, finendo
per non considerare la possibilità di altri punti di vista. È anche in questo modo che una
meta turistica diventa un paradiso, perché vissuto in una particolare situazione: il turista
a Zanzibar percepirà la bellezza del panorama in modo strettamente connesso al fatto di
trovarsi in una condizione di relax, di distacco dal tempo della quotidianità e delle
obbligazioni che il proprio status sociale impone nell’agire di tutti i giorni. Il turista
italiano a Zanzibar, nella maggior parte dei casi, è portato a valutare ciò che lo circonda
e ciò che esperisce in termini ‘positivi’ anche circostanze che, a un’analisi più attenta,
forse potrebbero indurre a riflessioni maggiormente critiche, perché si trova egli stesso
in una condizione di mentale di abbandono di ogni questione opprimente, che invece di
129 Anche il titolo di questo paragrafo è tratto da quello di un diario di viaggio, ovvero bobpisto, 15/6/2006 (www.turistipercaso.it)
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solito contraddistinguono la quotidianità. I turisti sembrano spesso apprezzare
l’approccio alla vita quotidiana dei locali, descrivendolo come sempre sorridente e ‘alla
giornata’: hakuna matata (nessun problema) e pole pole (piano piano) sono le
espressioni swahili che maggiormente ricorrono nei racconti, sia utilizzate in prima
persona dai narratori che attribuite agli zanzibari. I vacanzieri, nella maggior parte dei
casi, sembrano non contemplare la possibilità che il turismo (e i turisti) possano invece
portare con sé una serie di elementi critici che attivano un processo di riadattamento
della popolazione locale. Non sembra essere percepita la possibilità per cui i locali
mettano in scena un comportamento che non appartiene alla loro ‘essenza’ (quella
attribuita dai turisti stessi), ovvero abbiano, nei confronti dei turisti, atteggiamenti
indotti dalla stessa di questi ultimi.
Anche per quel che riguarda il panorama e la permanenza nei resort sembra non
esserci una percezione del fatto che il turismo sia intervenuto sull’isola attraverso
modalità che hanno generato criticità non poco importanti per il contesto locale. La
maggior parte degli alberghi e dei ristoranti sono di proprietà straniera, mentre la
popolazione locale riesce a inserirsi nell’industria turistica solo come mano d’opera o, al
massimo, come guide turistiche (alcuni di questi, tuttavia, dopo anni di lavoro sono
riusciti ad avviare piccole attività di accoglienza o ristorazione). I grandi villaggi-
vacanze offrono comodità per nulla sostenibili rispetto all’ecosistema locale (si veda il
primo capitolo) e decisamente lontane rispetto alle condizioni di vita della popolazione
zanzibarina. Quest’ultimo aspetto, come già accennato, in realtà è percepito in alcuni
casi come elemento di criticità, tuttavia, come vedremo meglio più avanti, il ‘problema’
sembra essere solo parzialmente avvertito come strutturale e sembra più che altro una
proiezione etnocentrica sulla popolazione locale di un bisogno di praticare sostegno e
carità tipico di una certa etica ‘occidentale’ (questo aspetto sarà trattato più
approfonditamente nel prossimo paragrafo).
L’immagine di Zanzibar che si riproduce all’interno del processo turistico per
opera dei vacanzieri (evidentemente influenzati dalla pubblicità e da altre informazioni
recuperate autonomamente che circolano all’interno dei circuiti del processo stesso) si
mostra dunque controversa agli occhi di chi la analizza dall’esterno, fatta di proiezioni e
reificazioni che nascondono (o storpiano) agli occhi dei turisti stessi determinati aspetti
che, nonostante siano esperiti, vengono percepiti in un’ottica aproblematica. Tuttavia
97
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
non è solo in questo che consiste il carattere controverso dell’immaginario turistico di
Zanzibar. Talvolta, infatti, sembra esserci discrepanza anche tra la percezione di ciò che
i turisti esperiscono e raccontano, quindi degli elementi che si ‘gettano’ all’interno del
processo di creazione dell’immagine. L’immaginario di Zanzibar è dunque qualcosa di
complesso, che si determina da discorsi differenti, anche quando si tratta comunque
della voce dei turisti. Inoltre questo evidenzia come la percezione dell’unicità
dell’esperienza risulti essere un argomento critico, a sua volta costruito nel momento in
cui l’immaginario stesso si modella (anche su questo argomento mi dilungherò
maggiormente nel prossimo paragrafo).
Il caso più emblematico che ho riscontrato rispetto a questo tema è dato dai diari
di viaggio di Fabio Z 1, Chiara Ceolaro e bobpisto, apparsi su www.turistipercaso.it nei
primi mesi del 2006 e che riporto di seguito in forma integrale.
“Zanzibar isola della spazzatura
Anch'io di ritorno da Zanzibar, Sea Club Francorosso. Il villaggio è gradevole, con
una bella struttura centrale sotto un suggestivo tetto in makuti, e bungalow a due
piani con 8 camere sparsi in un giardino curato. Scendendo si arriva alla piscina
(con bar e punto snack per pranzo e aperto fino alle 18) e poi alla spiaggia, con
lettini in legno e corda e altri in plastica. Le stanze sono abbastanza grandi, ma
certamente non di lusso; i bagni hanno bisogno di qualche ristrutturazione. Camere
abbastanza pulite (ma i copriletti dovrebbero essere lavati urgentemente), con aria
condizionata, frigobar (vuoto), niente televisione (evviva!) e balconcino.
L'elettricità manca spesso e volentieri (non a caso ci sono candele in camera!).
Ristorante centrale a buffet, niente di eccezionale e piuttosto ripetitivo. Con tutto il
pesce e la frutta che ci sono a Zanzibar, tutti i giorni trovavamo il solito maiale (in
un paese musulmano) e il solito ananas... C'è anche un ristorante africano, su
prenotazione, buono e più intimo, piatti adatti a tutti.
L'animazione (a me non interessa) è sul genere imbecille-falso simpatico. Ho visto
organizzare cose non molto originali, elezione mister spiaggia, torneo di freccette,
torneo di beach volley. Mi sono perso tutti gli spettacoli serali, su cui l'opinione
generale era "volgari".
Escursioni: noi le abbiamo fatte con i beach boys, tutto ok, piccoli gruppi, si può
organizzare secondo i propri comodi. Non credete alla inutilissima ragazza delle
escursioni Francorosso, che cercherà di spaventarvi per poi vendervi escursioni
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"gruppo vacanze piemonte" con settanta dico settanta persone in barca, o cento
dico cento persone tutte insieme al mercato di Stone Town!
IL PUNTO SCANDALOSO (e mi meraviglio che nessuno ne abbia mai parlato):
Zanzibar è una pattumiera a cielo aperto! Ovunque, ovunque sia passata almeno
una persona, c’è spazzatura. Ovunque, ovunque ci sono bottiglie di plastica e gli
immancabili sacchetti blu pieni di rifiuti buttati al sole, lungo le strade, lungo la
spiaggia, ovunque! Non rispondetemi: “ma l’Africa è così”!
All’isola del Safari Blu, frequentata solo da turisti, quintali di spazzatura e grossi
topi. All'ingresso del Bravo club (letteralmente due passi oltre il cancello) un campo
di immondizia lasciata lì a marcire, abbiamo visto gli altri villaggi ed è così
dappertutto. E'incredibile che questi tour operator non si curino minimamente
dell'ambiente che li circonda, non è certo piacevole per gli ospiti fare lo slalom tra il
pattume, e sicuramente non è igienico! Altro che malaria, si rischia di più l’epatite o
il tetano!
Per me sarà impossibile dimenticare tanta sporcizia e tanto menefreghismo, mi
chiedo come facciano altri turisti a continuare a scrivere frasi come "isola
profumata di spezie", "gente povera ma dignitosa" ... Possibile che si scambi la
puzza di pattume per profumo? e che dignità c'è a vivere con occhiali da sole e
cellulare in mezzo alla discarica, come fanno i finti masai della spiaggia di
kiwenga?
Rispetto la povertà e la sofferenza di chi vive con niente ma... Non scadiamo nella
retorica, per favore! o vogliamo illuderci a tutti i costi di essere stati in vacanza in
paradiso?
Quanto al comportamento dei tour operator, lo ripeto, è scandaloso. Eppure
avrebbero tutto l'interesse commerciale, non solo l'obbligo morale, di fare qualcosa
per questo problema. Il salario medio mensile a zanzibar è meno di 50 dollari...
Quanto costerebbe tenere pulito almeno nei dintorni del villaggio? Si può fare il
cambio, e ci guadagnerebbero tutti (anche i turisti): un animatore imbecille-falso
simpatico in meno e venti “operatori ecologici” in più! Tanto qualunque turista,
anche il più pigro, farà una passeggiata sulla spiaggia o un'escursione, e non può
non vedere lo schifo appena oltrepassato il cancello del ghetto-villaggio.
Un consiglio: se non siete mai stati a Zanzibar e fantasticate di un’isola da sogno,
ricca di storia, di vegetazione lussureggiante, di mare incantevole, di una
99
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
popolazione genuina e amichevole... Non andateci!! È molto meglio continuare a
sognarla così, che vedere come è ridotta attualmente!” 130
“Zanzibar? che delusione!
CIAO a tutti. Eh si, già dal titolo avrete capito che la mia vacanza a Zanzibar non è
stata delle migliori. In effetti, sono rimasta delusa da quest'isola pubblicizzata come
paradiso, come isola profumata, come luogo dove la gente è ospitale e sorridente
dove i bambini ti regalano sorrisi per una caramella...
Ma fatemi una cortesia: finitela con questa falsa carità, con la convinzione di
portare felicità con caramelle e penne, con l'idea di pulirsi la coscienza portando ai
bambini in spiaggia le bibite dell'all inclusive!!!!!!
Sulla spiaggia di Kiwengwa ho visto comportamenti ridicoli, gente che si fa
fotografare mentre regala una bic a bimbi di tre anni, gente che finita la vacanza
porta in spiaggia gli avanzi degli shampoo e dei doccia schiuma, gente che dice la
classica frase "certo che sono poveri ma sono sempre sorridenti". Finiamola con
questo falso buonismo!
E poi Zanzibar, come un altro viaggiatore ha scritto, è una discarica a cielo aperto.
La gente del posto guarda i turisti come dollari che camminano, non hanno nessun
interesse a parlare con noi per conoscerci meglio, ma solo per sborsare qualche
dollaro; si accontentano di 5 dollari al giorno, ma in questo modo non li aiutiamo a
progredire un pochino, rimarranno sempre dei mendicanti!!!!.
Le società che gestiscono i villaggi si limitano ad occuparsi del perimetro che gli
appartiene, e girato l'angolo è uno schifo. Insomma sono convinta che vi siano
molti luoghi nel mondo migliori di Zanzibar, luoghi da dove torni con esperienze
che rimangono dentro di te.
Zanzibar ha un mare bellissimo e spiagge immacolate ma il rovescio della
medaglia è troppo strong. Jambo!” 131
130 Fabio Z 1, 18/1/2006 (www.turistipercaso.it)131 Chiara Ceolaro, 9/4/2006 (www.turistipercaso.it)
100
“Zanzibar controversa
Leggo con interesse e con tanta tristezza i resoconti tipo: "zanzibar che delusione",
"zanzibar isola della spazzatura", e non oso pensare cosa dira' l'eventuale turista
europeo nordico in visita nella nostra bella Italia, quando attraversandola si
imbattera' lungo le strade in montagne di rifiuti e discariche a cielo aperto,
montagne di lavatrici ,materassi,letti ecc. Ecc. E pensare che noi italiani ci
riteniamo una forza della natura! Posso esser d'accordo su tanti falsi buonismi,
comportamenti ridicoli, e falsa carita' che spesso contraddistinguono noi italiani
quando siamo all'estero e che così bene sono stati raccontati da chiara e redpills
(ma credeteci:non ne sono esenti neppure gli altri popoli) , ma non per questo mi
sento di esortare i miei simili a disertare quei posti meravigliosi!!!-anzi credo
fermamente che proprio la frequentazione sia il vero modo di poter scambiare
cultura e educazione e che a lungo andare sia la vera scuola di vita e per noi
popolo "sviluppato", e per loro "popoli sottosviluppati ".
ho frequentato dieci volte il kenya, due volte zanzibar, due volte la tanzania (non
perdetevi il parco di selous, il piu' grande del mondo e il fiume rufiji),e
fortunatamente molti altri paesi, ho lasciato per sempre un amico di viaggio in un
villaggio di zanzibar (chissa' ... Forse piacerebbe anche a me andarmene in una
terra così vera), ho visto la somalia prima della guerra e ho visto cio' che la stessa
ha spazzato via di cio' che avevamo costruito, ho visto poverta' e ricchezze
giustizie e ingiustizie (come in ogni altra parte del mondo), ma mai e poi mai mi
sentirei di erigermi a "picconatore" delle brutture altrui. A chi invita gli altri a non
andare chiedo solo se con loro la vita è stata così dura da renderli aridi e sterili...A
chi invece vorra' viaggiare , anche in mezzo allo sporco e alle stranezze della vita
con un minimo di comprensione, auguro ogni bene del mondo perchè credo (è una
convinzione personale) sia il vero modo di migliorarci tutti e di ridurre in futuro tutte
quelle brutture che così sapientemente qualcuno è riuscito a cogliere a zanzibar...
Buon viaggio.
andateci, andateci e godetevela e a chi gli fa proprio schifo ... Stia a casa, ma da
qualsiasi viaggio onde evitare di far brutte figure andando in paesi piu' evoluti!!!!” 132
Questi tre diari mettono in mostra un senso critico diverso rispetto a quello
espresso generalmente dai racconti degli altri viaggiatori. Oltre a mostrare quella
percezione di determinate criticità presenti nel contesto che poche righe prima ho negato
132 bobpisto, 5/6/2006 (www.turistipercaso.it)
101
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
alla maggioranza dei diari di viaggio, evidenziano platealmente anche una differente
attribuzione di valore al panorama, o meglio, a essere diverse sembrano le priorità
percettive che la propria esperienza mette in gioco. Non si tratta di un’altra isola rispetto
a quella descritta da altri viaggiatori, ad essere altra è la predisposizione del turista che
compie l’esperienza133. Questi tre viaggiatori sembrano accostarsi molto bene al
concetto di turista esperienziale, per il quale il valore principale della vacanza non è
legato al leisure e al temporaneo abbandono delle obbligazioni quotidiane, bensì alla
possibilità di compiere un’esperienza tanto straordinaria quanto performante: le loro
aspettative reagiscono con la loro esperienza del contesto (ma anche con le esperienze
turistiche pregresse) in modo differente da altri viaggiatori il cui investimento sembra
più concentrato sul relax e sulla separazione dal quotidiano e che, infine, raccontano le
loro esperienze in modo maggiormente omologato. L’immagine del paradiso
zanzibarino, dunque, è messa in crisi non tanto perché non vengono raccontate la
bellezza del mare, delle spiagge o delle sue attrazioni visitabili attraverso le escursioni
organizzate, ma piuttosto perché questi elementi vengono sopraffatti da altri, tanto nel
momento della vacanza che in quello del racconto. In questo modo le conclusioni del
diario, dove solitamente si riassume la forza comunicativa della propria costruzione
immaginifica, sono decisamente diverse dagli altri racconti: nei primi due casi si esorta
a non considerare Zanzibar un paradiso e quindi a non recarvisi con quell’aspettativa. Il
terzo caso, che in realtà è una sorta di risposta ai primi due, non si pone in
contrapposizione con questi, sostenendo che raccontano una ‘falsa’ Zanzibar, non
ritiene che le loro parole non siano corrette, non nega che le descrizioni fatte possano
avere attinenza con la sua esperienza personale, al contrario, ciò che critica è il modo in
cui vengono espressi giudizi definitivi e perentori. In breve: non si oppone all’immagine
proposta, bensì all’uso che ne viene fatto, alla sua finalità comunicativa e quindi alla
forza attiva che sprigiona nel momento in cui viene condivisa.
Un ultimo aspetto che vorrei sottolineare circa la complessità e l’eterogeneità del
processo di costruzione dell’immaginario turistico di Zanzibar è pertinente al fatto che,
nella fase di ‘preparazione al viaggio’, quando cioè si raccolgono informazioni sul
luogo dove ci si sta per recare, si ha a che fare con una serie di input decisamente vario. 133 Questo al di là della questione della spazzatura, che potrebbe essere anche un fattore contingente, dal momento che solo
in questi diari è emerso tale problema, quindi è possibile che si sia trattato di una vicenda riferibile a un particolare periodo storico.
102
Se la consultazione dei diari di viaggio è utile al futuro turista per capire cosa lo aspetta
da un punto di vista esperienziale, altri tipi di informazioni passano per lo più attraverso
forum specifici, un’arena più ‘democratica’, dove chiunque può intervenire ponendo
domande, rispondendo a questioni specifiche, commentare, dirottare l’argomento su
aspetti ritenuti più interessanti, ecc. Per la maggior parte dei casi si tratta di
informazioni, consigli, pareri che riguardano la sfera pratica: fare o non fare
l’antimalarica, quale moneta utilizzare, fare le escursioni con i beach boys o con le
guide del resort, quale stagione ha il clima migliore, quale zona è più bella, quale
albergo più accogliente, se andare a Zanzibar o in un’altra località, ecc. Una sorta di
“controinformazione dal basso”, come la chiamano Aime e Cossetta (2010), che ha una
forza attiva non indifferente e che, di fatto, ha un peso importantissimo nell’indurre
scelte e comportamenti a loro volta veicolanti l’esperienza. Un sito in cui si trova un
forum particolarmente visitato e con numerosi interventi è www.cisonostato.it
(collegato a sua volta a www.turistipercaso.it). In questo spazio virtuale sono centinaia
le persone che, nel corso di circa 8-10 anni, hanno parlato di Zanzibar, anche in topic134
che avevano come argomento un altro paese: ho contato circa una sessantina di
discussioni in cui l’isola è citata almeno una volta, tuttavia la più frequentata e in cui si
discute maggiormente di Zanzibar è sicuramente quella intitolata “INFORMAZIONI
ZANZIBAR!!!”, aperto da elypisi il 13 aprile 2006. Al suo interno, nell’arco di cinque
anni, sono stati prodotti oltre 250 messaggi da autori che si sono succeduti, accentrando
l’attenzione sulla convenienza di fare o meno la profilassi antimalarica piuttosto che su
quale valuta fosse più conveniente utilizzare, sul racconto di aneddoti particolari o
pareri su una escursione piuttosto che un’altra, senza tralasciare interventi in cui
raccontare brevemente la propria emozione nell’aver visitato Zanzibar o l’impazienza di
essere sul punto di partire. Insomma, certamente i forum di viaggio non sono perentori
come i diari, dove una descrizione piuttosto densa, fatta da una persona che racconta le
proprie esperienze e sensazioni, determina in modo molto più forte la costruzione di
un’immagine efficace. I forum sono una sorta di arena in cui ognuno gioca il proprio
punto di vista e alla fine, chi legge, sarà portato a farsi un’idea, rispetto a ciò che stava
cercando, più legata al suo modo di interpretare determinati consigli e pareri. Tutta
questa serie di informazioni è una parte assolutamente centrale dell’immaginario di 134 L’espressione topic è generalmente tradotta con discussione e identifica uno spazio virtuale, più o meno pubblico, in cui
gli utenti scambiano opinioni e commenti sull’argomento preposto. La forma di partecipazione a un forum è molto simile a una sorta di scambio epistolare tra un numero indefinito di persone e con tempistiche infinitamente più brevi.
103
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Zanzibar, che come ho più volte ripetuto, non può essere considerato solamente come
una rappresentazione visuale dell’isola, ma deve essere pensato come una serie di
‘saperi’ e ‘conoscenze’ che riguardano tanto il colore della sabbia quanto il cambio
valuta più vantaggioso. Il forum, tuttavia, spesso non restituisce un’idea certa sul fatto
che a Zanzibar sia necessario fare la profilassi antimalarica o meno, se sia più
conveniente usare i dollari, gli euro o la valuta locale, se i beach boys siano affidabili
oltre che più economici, se sia possibile prenotare direttamente dall’isola un safari nei
parchi della Tanzania, ecc. Questo aspetto di fluidità delle informazioni si inserisce
molto bene in quel processo di costruzione dell’immaginario turistico di Zanzibar,
mostrando proprio il suo aspetto polimorfico, determinato da una pluralità di voci che,
se appaiono maggiormente omologate in un racconto più rigido e ‘ufficiale’ come un
diario di viaggio135, mostrano invece maggior eterogeneità quando si tratta di dare il
proprio parere in un’arena pubblica più informale e impersonale come quella di un
forum.
135 Si prenda questa espressione in senso lato, poiché il diario di viaggio è pur sempre da considerarsi una comunicazione afferente alla sfera dell’informalità.
104
4.5. Approdi, sens-azioni, escursioni e incontri a Zanzibar
Fare turismo a Zanzibar non sembra essere un’attività ‘monolitica’: la scelta che
l’isola offre pare essere abbastanza ampia su molti aspetti della vacanza. Decidere di
recarsi a Nord piuttosto che a Sud, scegliere il tipo di struttura di accoglienza, decidere
cosa visitare, a chi affidarsi, ecc. sono tutte azioni che determinano l’impressione
iniziale dell’isola, che si intrecciano con le aspettative e le pre-conoscenze acquisite
attraverso i vari canali mediatici dando luogo a un immaginario che, quando condiviso
attraverso forme discorsive, diventa sempre più collettivo. Tuttavia, nonostante a
Zanzibar si possano praticare ‘diverse forme di turismo’, leggendo i diari di viaggio e
comparandoli con fotografie e filmati, uno degli aspetti che emerge immediatamente è
che si possono individuare al loro interno tematiche ed esperienze ricorrenti, così come
espressioni e pareri su argomenti che puntualmente si ritrovano, talvolta solo come
accenno, altre volte con descrizioni più corpose. Da un lato si tratta dei racconti delle
esperienze vissute visitando le varie sightseen, le diverse ‘cose da vedere’ (ovvero le
escursioni che si decide di ‘fare’) e in questo emergono chiaramente alcune attività che
sembrano dei must, che ‘non si possono non fare’. Dall’altro si ritrovano invece
considerazioni su aspetti particolari che, facendo turismo a Zanzibar, difficilmente si
potranno evitare (il mare, la spiaggia, i beach boys, i bambini, l’albergo, il cibo, ecc.).
Distinguo questi due aspetti solo per chiarezza espositiva, in realtà nei racconti (come
presumibilmente anche durante la vacanza stessa) il flusso dell’esperienza è unico e non
viene suddiviso in sottocategorie.
Procederò dunque a illustrare in che modo i viaggiatori raccontino queste loro
esperienze e in che modo, attraverso le loro forme discorsive, contribuiscano a creare
un’immagine di Zanzibar che di fatto si compone di tutti questi piccoli frammenti.
Il momento del viaggio di andata è uno degli argomenti con cui i diari vengono
iniziati con maggior frequenza: talvolta dal momento della partenza, altre volte a partire
dall’atterraggio e dal recupero dei bagagli. Se è vero che questo aspetto è quasi sempre
presente nei racconti, è necessario sottolineare che non compaiono mai immagini
relative a tale momento. Nella fase del racconto il turista è già tornato a casa e finalizza
la razionalizzazione dell’esperienza fatta per poterla restituire al suo potenziale pubblico
105
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
di lettori. In quel momento il viaggio di andata sembra essere percepito come parte
integrante della vacanza, come fase iniziale dell’esperienza. In quel momento, quando il
viaggio è concluso e l’esperienza fatta ha trasformato il turista, il tragitto di andata viene
finalmente riconosciuto come primo stadio di quella struttura che identifica il viaggio in
tre momenti analoghi al rito di passaggio. Al contrario, si potrebbe ipotizzare che prima
di partire il turista ritiene che la propria vacanza inizierà dal momento in cui sarà fuori
dall’aeroporto, ovvero da quando si troverà a contatto con la ‘vera vita africana’, in
poche parole dal momento dell’esperienza in senso stretto. Come detto, la mancanza di
immagini di tale momento ritengo sia un elemento a favore di questa tesi. Certamente i
motivi possono essere anche contingenti, tuttavia diventa un dato rilevante se
consideriamo che le immagini, così come i souvenir, hanno proprio la funzione di
testimoniare la propria esperienza significativa e straordinaria, il proprio ‘essere là’ a
fare e vedere cose che durante la vita di tutti i giorni non sono accessibili. Questo
accade nonostante talvolta alcuni turisti dichiarino, proprio nelle prime righe del
racconto, di essersi informati, di essere stati preparati dalla lettura di altri racconti di
viaggio. Quindi sembra non essere sufficiente la forza comunicativa di questi ultimi nel
costruire un immaginario del viaggio che contempli, da subito, anche lo spostamento
verso la meta, verso Zanzibar. Questa fase sembra entrare nel processo solo attraverso
l’esperienza e, soprattutto, attraverso il suo racconto. Il turista è preparato a ciò che gli
accadrà durante il tragitto (8-9 ore di viaggio, qualche ritardo, piccoli inconvenienti
all’aeroporto, niente nastri trasportatori, guardie aeroportuali che chiedono la mancia,
ecc.), tuttavia sembra essere solo una variante al modo in cui è preparato ad affrontare
un qualsiasi altro volo che lo porta in una località turistica. Dunque sembra che questo
momento del viaggio entri a ‘far parte di Zanzibar’ (del suo immaginario) solo nel
momento in cui ci si accinge a raccontare.
Solitamente ciò che nei racconti segue il momento del viaggio di andata è l’arrivo
al villaggio in cui il turista alloggerà e al rispettivo albergo. Molto spesso in questo
frangente (ma non solo qui) si possono trovare considerazioni sulle strutture di
accoglienza, sulle camere o sui bungalow. Questo di fatto è uno tra gli argomenti più
‘gettonati’ dagli internauti, che sui forum comunicano soprattutto la necessità di avere
informazioni su questo o quell’albergo, piuttosto che sul villaggio più o meno
106
‘turistico’. Il narratore, invece, spesso trascura questo aspetto, o meglio, ne da una
descrizione il più delle volte frettolosa e sbrigativa, del tipo: “L'albergo è molto
semplice ma carino, pulito e si mangia benissimo!” 136 oppure “La camera del Chwaka
sono molto semplici ma sicuramente pulite! A disposizione troviamo un frigo e
ovviamente l’aria condizionata!” 137. In altri casi invece, sapendo che probabilmente la
‘recensione’ dell’albergo e delle camere è un argomento che desta molto interesse,
alcuni turisti come Tabata75 si sono dilungati maggiormente:
“Vengo accolta dal personale dell’Hotel, una piccola struttura italiana sulla spiaggia
di Nungwi. E’ semplice ma curata, il personale è quasi tutto locale, sono cordiali,
parlano italiano meglio dei miei concittadini altoatesini! Mi offrono una bevanda di
benvenuto, un succo di ananas fresco, non di quelli allungati con l’acqua, è ananas
fresco frullato, mi dicono. Eh già, qui in effetti la frutta non manca, rispondo io. E ci
ridiamo su! Già, ridiamo, sorridiamo, come se fosse diventato strano per noi
occidentali sorridere delle piccole cose.
La mia camera è al piano terra, alla fine di un bel vialetto accompagnato da ibiscus
in fiore e alberi di tiarè; alla porta finestra ci sono delle splendide bougainvillées
fiorite, color viola e bianco. Gli stessi fiori li trovo adagiati sul letto, come segno di
benvenuto”. 138
Che quello dell’albergo sia un tema percepito come rilevante anche dai turisti lo
testimonia il fatto che non mancano mai immagini che raffigurano il luogo dove essi
alloggiano, sia attraverso fotografie che filmati (anche se poi la maggior parte di questi
sono sequenze di fotografie con una musica di sottofondo).
Una tendenza, in questa fase narrativa, si può forse individuare nel fatto che chi si
dilunga maggiormente in descrizioni delle strutture di accoglienza sono quei turisti che
vi investono maggiormente, ma non in termini economici bensì emotivi, ovvero coloro
che non si affidano a grandi strutture alberghiere, che preferiscono un posto più
tranquillo, riservato e meno standardizzato. Al contrario i turisti che tendono a scattare
più fotografie del loro alloggio sono proprio quelli che si recano nei grandi villaggi
136 IlariaT., 28/10/2010 (www.turistipercaso.it)137 Juxy, 04/02/2011 (www.ilgiramondo.it)138 Tabata75, 4/1/2011 (www.turistipercaso.it)
107
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
turistici. Sotto alcuni esempi di tre mega-resrto immortalati da loro avventori e una
camera di un piccolo albergo a gestione famigliare.
In alto a sinistra: piscina del Neptun Hotel di Kiwengwa
In alto a destra: bungalow del Karibu Club di Kiwengwa
In basso a sinistra: stanza al WhiteSand di Kendwa
In basso a destra: piscina del Dongwe Club di Bwejuu
Fonte: www.viaggisscoop.it
Nell’immaginario di Zanzibar, dunque, entrano dalla ‘porta di servizio’ anche le
sue strutture di accoglienza, in quanto parti cruciali dell’esperienza dell’isola di chi
racconta. Da un punto di vista analitico, dunque, descrivere la propria ‘dimora’
attraverso parole e immagini ha una doppia valenza: da un lato emerge la volontà di
esplicitare una propria scelta, legata sia a una serie di valori che di immagini mentali
pregresse, dall’altro si evince la possibilità di dare informazioni utili ai lettori, che sono
alla ricerca di pareri, di rappresentazioni già metabolizzate da altri e pronte per essere
consumate.
108
Passiamo quindi a un altro elemento cruciale della costruzione dell’immaginario
di Zanzibar,anch’esso espresso frequentemente all’interno dei diari di viaggio: la
percezione dei sapori e degli odori. Come già detto precedentemente, l’immaginario
turistico si compone non soltanto di immagini visuali: sono tutti i sensi ad entrare in
gioco nel produrre un’esperienza che possa essere reputata straordinaria e performante.
Il turista si reca a Zanzibar per compiere un’esperienza che va oltre alla percezione della
sua estetica, ne vuole apprezzare sapori, profumi, suoni, entrarne in contatto
fisicamente. Immancabili nei racconti, dunque, sono gli accenni (anche in questo caso
più o meno dettagliati) al gusto della frutta, delle grigliate di pesce, ma anche dei cibi
internazionali. Non mancano mai riferimenti ai profumi delle spezie, agli odori del
mercato o della muffa nella stanza. Si può leggere del suono del mare, dei tamburi delle
feste dei beach boys e degli schiamazzi dei turisti. Alcune esperienze sensoriali
ricorrono molto spesso: sicuramente le due immagini più ricorrenti a proposito sono il
profumo delle spezie e la puzza del mercato, come si legge per esempio nei diari di
migliorinia, delfino_blu e Brunella e Maurizio Piacentini.
“Il mercato generale dove si vende di tutto sono una boutique di fraganze diverse,
profumi orientali nel mercato delle spezie, aromi tropicali nel settore della frutta e
verdura, puzza e ronzio di mosche e altri insetti nel mercato del pesce e della
carne”. 139
“Sarà impossibile dimenticare […] Il profumo intenso delle spezie che sembravano
odorare l'aria con mille bastoncini d'incenso alla cannella o alla vaniglia o ai chiodi
di garofano”. 140
“Il profumo di spezie non sempre compensa quello che vedono gli occhi, cioè la
sporcizia nelle strade e nei cortili delle case.” 141
Anche il cibo è un elemento che viene descritto molto spesso, talvolta associato ad
altri aspetti dell’esperienza di Zanzibar, come nei casi di Irene Fiore e di Peppone72
139 migliorinia, 9/11/2010 (www.turistipercaso.it)140 delfinoblu55, 2/9/2010 (www.turistipercaso.it)141 Brunella e Maurizio Piacentini, 2008 (www.turistipercaso.it)
109
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
“Tornati alla spiaggia la marea ha cominciato a calare e noi ci siamo mangiati una
grigliata di calamari e gamberoni...poverini, loro non hanno la felice sorte dei
delfini. Ma sono buonissimi!” 142
“Scegliamo uno tra questi ultimi, è molto bello e il rumore del mare a pochi metri da
noi è sempre una splendida colonna sonora per una cena. Ci serve una cameriera
che probabilmente è al suo primo giorno di lavoro. Non capisce praticamente
niente in inglese e non si capacita che possiamo prendere una bottiglia di vino in
due (continuando a ripetere, gesticolando, “due bicchieri?”…”no, una bottiglia,
grazie!”). La bistecca è buona e tra brindisi e autoscatti (anche con la cameriera!) è
una bellissima cena. Facciamo le poche decine di metri al buio per tornare al bar
della nostra spiaggia e finiamo la sera con un bel cocktail sui comodi divanetti”. 143
L’importanza che questi aspetti hanno nella percezione dell’isola è in pieno
accordo con quel concetto di immaginario che ho tentato di identificare nel primo
capitolo, che partendo dalla performatività proposta da Laura Gemini (2008), si
sviluppa attraverso uno strettissimo legame con l’esperienza fatta durante il viaggio
attraverso tutti i sensi, che diventa elemento fondamentale del proprio esperire l’alterità.
In questa direzione sembrano andare le parole di Simmy22, che al contrario di altri
decide di non raccontare la peculiarità delle sue esperienze.
“Tante cose ho tralasciato volontariamente di raccontarvi perchè credo che il gusto
di un viaggio sia anche nella scoperta di un angolo particolare, di un'usanza strana,
di un profumo intenso, di un cibo strano e quindi non mi resta che augurarvi un
buonissimo soggiorno in questa bellissima isola” 144
Queste esperienze, che appunto coinvolgono tutti i sensi, probabilmente vengono
considerate dai narratori come uno degli elementi ‘essenziali’ di Zanzibar. Dalle
testimonianze si evince l’importanza che esse hanno avuto per i turisti stessi nel
determinare la loro soddisfazione o meno circa la vacanza, ma anche il ricordo che si
porteranno a casa e, quindi, il racconto che ne faranno. Tuttavia lo statuto di queste
esperienze raccontate appare piuttosto ambiguo: i turisti riescono a far capire la
rilevanza che esse hanno avuto, tuttavia molto spesso sembra quasi che non abbiano un
bagaglio espressivo adeguato per descriverle a pieno. La narrazione in questi casi risulta
142 Irene Fiore, 2006 (www.markos.it)143 Peppone72, 25/01/2011 (www.turistipercaso.it)144 Simmy22, 24/9/2010 (www.turistipercaso.it)
110
più sfumata, talvolta evocativa, sfuggevole o ‘incompiuta’. Naturalmente questo non le
impedisce di avere un peso rilevante all’interno del processo di costruzione
dell’immaginario: sembra costituirsi l’immagine di una sorta di atmosfera esperienziale
unica, assolutamente peculiare e intrigante. In particolare l’olfatto è il senso che sarà
maggiormente esortato a ‘produrre rappresentazioni’, a fronte del fatto che le spezie, di
cui Zanzibar è ‘regina’, profumano. Impossibile recarsi sull’isola e non sentire quegli
odori, evocati (o veicolati) prima di tutto dalla loro immagine, che li precede e li
presenta ai turisti ancor prima della loro partenza.
A sinistra: il mercato del pesce di Stone Town
A destra: barbecue organizzato per i turisti da un beach boy
Fonte: www.cisonostato.it
Oltre agli aspetti descritti nelle pagine precedenti, l’immaginario di Zanzibar si
costruisce attraverso altre due tematiche discorsive, che potremmo schematicamente
sintetizzare in escursioni e rapporto con la popolazione (turistica e soprattutto locale).
Il primo tema rappresenta ciò che il turista ha fatto e visto durante la sua
permanenza a Zanzibar rispettivamente ad attività che non sono esclusivamente
assimilabili al relax (ovvero che implicano un elemento aggiuntivo rispetto al consumo
di mare, spiaggia, aperitivi, animazione, ecc.). Quasi la totalità dei racconti e delle
immagini si esprimono circa tale argomento, anzi, direi che rappresenta un po’ il nucleo
di ciò che il narratore vuole raccontare, ovvero le proprie esperienze. Zanzibar non è
un’isola molto grande, stando a quanto letto sembra che si possa percorrere tutto il suo
111
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
perimetro nell’arco di una giornata … e poi avere anche tempo di farsi una nuotata
nell’oceano. La quasi totalità dei diari di viaggio ci raccontano di turisti italiani che non
si accontentano di rilassarsi in un contesto dal sapore decisamente esotico e così diverso
da quello esperibile durante il loro tempo della quotidianità. Si evince facilmente che
chi va a Zanzibar ha voglia di conoscere l’isola, di esplorarla, come fece David
Livingstone nel 1866 (dopo che per centinaia di anni l’isola era stata ampiamente
‘esplorata’ da autoctoni, omaniti, indiani, ecc.). Una fatto è abbastanza chiaro, un turista
italiano che scrive un diario di viaggio è stato a Zanzibar per visitarla, per godere della
sua ‘esoticità’ e dei suoi ‘angoli di paradiso’. Detto questo è altrettanto evidente che le
esperienze fatte e i luoghi visti sono sempre pressoché gli stessi. Appuntamento
immancabile, anche per i più pigri e refrattari all’esplorazione, è la parte antica della
capitale: Stone Town. Da Stone Town il turista ci passa, per forza, sia perché nella
capitale ci atterra con l’aereo, sia perché sembra essere realmente una delle attrattive
irrinunciabili e ciò malgrado circolino pareri e giudizi sulla sua bellezza e sul suo
fascino alquanto discordanti.
Nei racconti di viaggio l’esperienza di Stone Town, in effetti, è un elemento che
presenta alcune criticità. Sicuramente si scorgono gli echi delle informazioni acquisite
attraverso guide turistiche o altri materiali informativi nella fase di preparazione al
viaggio. Ciò di cui il turista parla si può racchiudere fondamentalmente in alcuni temi
ricorrenti: il mercato, le ‘viuzze strette’ con i ‘negozietti’, le porte in legno decorate
(uno dei soggetti preferiti per gli scatti fotografici), qualche accenno alla vita quotidiana
dei suoi abitanti, il tramonto, la casa di Freddy Mercury e altri importanti palazzi storici.
Difficilmente si troveranno descrizioni che non testimoniano l’esperienza di almeno uno
di questi argomenti, inoltre è assai frequente abbinare la visita a Stone Town con il ‘tour
delle spezie’, dal momento che le piantagioni si trovano nella località di Kidichi, a circa
15 km dalla capitale145. Nei racconti di Simmy22, IlariaT, migliorinia, Irene Fiore e
Marco Ciccone ritroviamo qua e là tracce di alcuni di questi elementi.
“Siamo ritornati a Stone Town, dove col sindaco abbiamo fatto un giro per vicoli e
vicoletti, passando attraverso il mercato del pesce e della carne, che a dir la verità,
non è tanto ripugnante come qualcuno ha scritto e secondo me val la pena un
passaggio veloce poi siamo andati in giro ancora un po’ e abbiamo preso un
aperitivo all'African House da dove nuvole permettendo si assiste ad un
145 http://www.zanzibarviaggi.it/it/visita-della-capitale-stone-town-e-delle-piantagioni-delle-spezie
112
incantevole tramonto. All'interno di queste viuzze ci sono i Bagni Persiani, ed i
palazzo delle meraviglie che però non meritano la visita,sono posti fatiscenti che
per quanto importanti sono tenuti malissimo” 146
“Oggi pomeriggio partiamo per il tour delle spezie e Stone Town. Al tour delle
spezie ci fanno vedere le piante del pepe, della vaniglia, della cannella, l'albero del
pane, ecc.. Poi però comincia a piovere e partiamo per Stone Town. Qui visitiamo i
luoghi più importanti come il Palazzo delle Meraviglie, la cattedrale anglicana, e poi
andiamo al mercato. Il mercato è diviso in tre parti, quella della frutta, del pesce e
della carne oltre alla zona in cui si vendono oggetti di artigianato. L'odore è molto
forte e al mercato del pesce fanno addirittura l'asta per aggiudicarsi i vari pesci!!
Vediamo poi la casa di Freddy Mercury e infine torniamo a Pwani Mchangani”. 147
“Arriviamo quindi nei pressi dei mercati generali frequentati dagli zanzibarini, […] le
strade sono brulicanti di gente di varie razze, che entrano nei negozi per acquistare
oggetti per la vita di tutti i giorni tutti rigorosamente made in China o in India. Dopo
aver visitato i vicoli della città dove le due donne si fermavano ad ogni negozi ci
dirigiamo a vedere il palazzo delle meraviglie,niente di che va solo ricordato per
essere stato il primo palazzo d'Africa ad avere un ascensore, e la casa natale di
Freddie Mercury diventata un negozio di cianfrusaglie gestito da Indiani.
[…]
Commento su Stone Town:
Stone Town […] viene descritta nei cataloghi delle escursioni dei vari tour operator
come un misto di poesia, multietnicità e aromi di spezie. L'unica cosa che ho
trovato e' la multienticita', convivono tranquillamente nelle strette strade dove a
stento passa una macchina mussulmani, la maggioranza, indiani, una buona parte
e cristiani una minoranza. Il mercato generale dove si vende di tutto sono una
boutique di fraganze diverse, profumi orientali nel mercato delle spezie, aromi
tropicali nel settore della frutta e verdura, puzza e ronzio di mosche e altri insetti
nel mercato del pesce e della carne. A parer mio non è possibile girare la città da
soli in quanto non sono presenti indicazioni, affidatevi ad una guida. Merita essere
di fronte al palazzo delle meraviglie verso l'ora del tramonto in quanto sul giardino
inaugurato appena un anno fa sorge un ristorante all'aperto con pietanze
multietniche” 148
146 Simmy22, 24/9/2010 (www.turistipercaso.it)147 IlariaT., 28/10/2010 (www.turistipercaso.it)148 migliorinia, 9/11/2010 (www.turistipercaso.it)
113
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
“Stonetown è deludente, tenuta malissimo, cadente, fatiscente. Ma gli scorci di
mare blu con le barche a vela..ed i vicoletti intrisi del profumo delle spezie, i
negozietti di batik e foulard, tutti quei dipinti ad olio con le donnine masai e le
danze, e dammeli per 5 dollari, no 10, no no, 3 se vuoi se no me ne vado, ok 4
dollari ed è tuo, oh no, ho speso troppo, mia sorella si frega.. Invece alle spezie ho
ceduto. Zenzero, zafferano, chiodi di garofano, cardamomo, coriandolo..li sapessi
usare sarebbe anche più soddisfacente. Vabbè, troverò qualcuno che mi insegna.
Abbiamo fotografato qualche portone intarsiato, un paio di palazzi bianchi e
qualche gatto”. 149
“La città è veramente affascinante, ricca di nobile, ma a volte sanguinosa storia,
tanto che questo sito designato patrimonio dell’umanità dell’Unesco per il miscuglio
di razze che l’hanno nel corso dei secoli popolata, viene da più parti definita come
la città africana più bella a sud del Sahara. Più che nei musei, la storia si respira
per strada, nei vicoli tortuosi della parte vecchia dove gli scorci di un passato
lussureggiante sono infiniti; l’alloggiare a Baghani House, una casa patrizia
restaurata ad arte ha dato un tocco in più al nostro soggiorno sull’isola.
L’emblema che abbiamo assunto a simbolo di Stone Town è stata la Tippu Tip’s
House. Trovare l’edificio non è semplice, visto che non è affatto segnalato, ma
basta chiedere in giro per far materializzare un sedicente discendente della
famiglia di questo ricchissimo mercante schiavi”. 150
Per quel che riguarda il ‘tour delle spezie’, gli elementi che sembrano essere
maggiormente ricorrenti, ovvero che si imprimono con maggior efficacia
nell’esperienza del turista, sono: vedere per la prima volta alcune piante prima
conosciute soltanto nella loro forma macinata (o comunque lavorata) e messa in un
barattolo; l’arrampicata a mani nude di un ragazzo del posto su una pianta di cocco
(solitamente alte circa 25 metri) per cogliere e offrire ai turisti un frutto fresco.
Analizzando i racconti di viaggio si viene a conoscenza che il ‘turismo fai da te’
nudo e puro a Zanzibar non esiste (o è decisamente sporadico e occasionale). Con
questo intendo dire che tutte le escursioni, ivi compresa la ‘gita’ a Stone Town e il ‘tour
delle spezie’, vengono fatte tramite guide locali, fornite dall’albergo oppure trovate in
spiaggia (nel caso della capitale talvolta anche direttamente sul posto). Queste
esperienze, in entrambi i casi, risultano pressoché identiche, i racconti sono di fatto
sempre molto simili tra loro (al di là di quella che è il giudizio del turista).
149 Irene Fiore, 2006 (www.markos.it)150 Marco Ciccone”, 2005 (www.cisonostato.it)
114
La considerazione che in questa circostanza vorrei proporre è una riflessione sulle
dinamiche che determinano l’esperienza, cioè ‘cosa vedere’ (e quindi cosa non vedere)
a Zanzibar151. Le gite organizzate da alberghi o tour operator impostano l’esperienza
secondo criteri legati al mercato: selezionare (creare) un’offerta (un percorso
esperienziale) in base a ciò che si ritiene (o che si vuole) essere di interesse per il turista
(gli aspetti dell’immaginario turistico di Zanzibar che sembrano essere più forti o su cui
si è deciso di puntare). Gli zanzibari, inserendosi in questo mercato senza però
possedere una forza di stabilire cosa i turisti ‘debbano’ vedere pari a quella di un tour
operator o di un resort, probabilmente finiscono per allineare le loro proposte alle prime
(ma a prezzi decisamente più bassi). Si crea in questo modo un meccanismo di
definizione di ‘luoghi da vedere’ ed ‘esperienze da fare’ piuttosto stabile, che nei
racconti diventa, per la maggior parte dei casi, la parte preponderante dell’esperienza, di
ciò che il turista vuole testimoniare di aver fatto. Ecco quindi che ritorna il tema
dell’unicità delle’esperienza, ovvero di una sola possibile. Da un lato ciò che si
può/deve fare e vedere a Zanzibar è stabilito a priori da meccanismi che trascendono il
turista, al quale spetta solo la scelta tra le varie proposte: ancora una volta si evidenzia
come sia il complesso immaginario dell’isola a determinare il comportamento dei
vacanzieri. Dall’altro lato la forza di questo immaginario sta anche nel generare una
condivisione di modi in cui ‘vedere’, sguardi turistici, forme di interpretazione e
costruzione della realtà zanzibarina.
Nei diari, quindi, le escursioni vengono raccontate come esperienze che definirei
da ‘prendere’ e far proprie, ovvero oggetti precostituiti che ognuno sceglie e modella
secondo un meccanismo dialettico tra un punto di vista personale e contingente e uno
sguardo predeterminato dall’immaginario . Oltre alla già menzionata gita a Stone Town
con annesso ‘tour delle spezie’, la lista di ‘attrattive’ non è molto lunga: il tour dei
delfini, che suscita sensazioni controverse, divise tra la premura di non spaventarli e
l’emozione di poter nuotare vicino a questi mammiferi, viene spesso associato
all’escursione nella foresta di Jozani, dove entrare in contatto con le scimmiette rosse152
e altri animali ‘esotici’. C’è quindi il Safari Blu, ovvero una gita in barca che ha come
destinazione una lingua di sabbia dove le attività principali sono fare snorkeling e
mangiare pesce fresco cotto al barbecue. Ecco quindi la tappa a Prison Island, su cui si
151 Quello di Stone Town è un esempio emblematico, ma il meccanismo è lo stesso per ogni tipo di escursione.152 Secondo quanto letto sui diari le Red Colobos Monkey sembra che siano diffuse solo sull’isola di Zanzibar.
115
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
può ammirare una colonia di tartarughe giganti: questo dato e alcune informazioni circa
la storia dell’isoletta sono tutto ciò che si può leggere di questa escursione. Queste sono
sicuramente le più gettonate, alle quali va aggiunto, occasionalmente, un mini-safari nel
continente, organizzato però direttamente da Zanzibar.
Certamente non tutti i turisti decidono di fare tutte queste esperienze, anzi molti
sembrano operare una selezione, sia riguardo a quali escursioni effettuare, sia rispetto a
cosa raccontare di esse. Ciò che emerge, dunque, è un’immagine dell’isola che mette a
disposizione un ventaglio di opportunità ben chiare e definite da esperire attraverso i
propri sensi ma anche tramite modelli interpretativi dati, in cui mettere in gioco le
proprie emozioni e il proprio sguardo turistico. Accanto alle ‘cose da vedere’, i racconti
dei turisti lasciano emergere anche una percezione di flessibilità, si possono fare
esperienze ‘nuove’, personali, che esulano dal carnet delle offerte delle guide. In
definitiva, quella di Zanzibar appare sia come un’unica esperienza (condivisa e
omologata rispetto all’immaginario) e un’esperienza unica (peculiare e performante).
Di seguito il monologo di un beach boy, estrapolato da un video ‘promozionale’
pubblicato su www.youtube.com, mentre presenta le escursioni che propone ai turisti.
“Bongiorno a tutti, bongiorno a chi mi vede, ecco… buongiorno… a tutti. Io mi
chiamo Hamis ma un nome famoso che mi hanno dato i turisti che vengono qui a
Zanzibar, famoso come toscanaccio, sono un grande procuratore di spiaggia, un
zanzibarino vero, mi hanno dato un nome toscanaccio perché parlo fiorentino, io
sono sempre qua a spiaggia che provo a rompe’ i ‘oglioni a quei italiani che
vengono a Zanzibar. allora sai cosa faccio: sono qua questa spiaggia è il mio
ufficio, qua si vede un piccolo ristorante così posso organizzare un po’ cena e
pranzo, ma il mio ufficio e sul spiaggia perché organizzo le gite, ho un prezzo
stracciato po’o ma buono, perché io non voglio fare un prezzo… caro caro… basta
poco tanto… ‘osta ‘ara perché… non si ‘ompra, si ‘ompra ‘osta po’o. Quindi
organizzo le gite, prima gita che si chiama Safari Blu, questa gita bellissima,
perché lì si mangia da dio, eh… Safari Blu, tipo di mangiare che abbiamo un piatto
il pranzo è aragoste, cicale, gamberetti, calamari, polipi, pesce griglio, riso patatine.
Prezzo.. prezzo qualcosa da bere, si beve anche la ‘o‘a ‘ola ‘on la ‘annuccia ‘orta
‘orta … Allora un’altra gita se volete andare che vi offro… un gita che si chiama
Regno di delfini, compreso scimmie rosse, red colobos monkey, questo si vede si
trova a Sud, proprio Sud dell’isola… che ci sono un regno lì prendiamo la barca e lì
come venticinque minuti con barca fino lì dove ci sono… regno delfini… quando
arriviamo il capitano fa un fischio che i delfini fanno tuf, allora, quei delfini vengono
116
vicino alla barca e guardano voi turisti pelle bianca perché vedono meravigliosa,
quindi potete, se voi potete nuotare bene, puoi toccare delfini senza problemi, poi
torniamo per fare snorkeling, alla fine andiamo ristorante per mangiare poi
entriamo in pulmino e andiamo a vedere scimmie rosse, red colobos monkey, che
li puoi toccare non scappano sono sem… sempre vicino. Poi pomeriggio torniamo
in albergo. Un’altro gite fato gite che si chiama Kendwa, nord-est dell’isola
conosciuta per la bellissima spiaggia questa spiaggia molto più bello di Zanzibar
che io non abbia mai visto, loro hanno il mare sempre alta marea, non ha bassa
marea lì, chi vuole fa il bagno puoi fa il tuffo fa il doccia, ti trova tutte le s… spiaggia
libera, non dobbiamo pagare niente, libero chi può fare quello che vuole. Un’altra
gite che volete andare a S…chia… famoso questa città di Zanzibar, ma no ho…
n… nuovo, quello vecchio si chiama Stone Town la città di pietra, hanno costruito
con materia propr vere, quando c’era sultano, primo sultano di Zanzibar, che noi
fino a ora che usiamo questo città si chiama Stone Town, non lo cambiamo mai
mai, rimane sempre come città vecchia, lì quando arriviamo vi faccio vedere
palazzo del sultano, casa della meraviglia, casa natale Freddy mercury, l’Africa
House, mercato di pesce frutta, merc… dove c’era mercato di schiavi, la chiesa
anglicane e la chiesa cattolica, e poi a fine pomeriggio finiamo al bar che si chiama
Africa House in terrassa così aspettiamo il tramonto, un romantico, e poi
torniamo… buoi torniamo in albergo per… stare sempre in albergo. Bah, italiano
m’ho imparato in spiaggia qua quando vengono i turisti a spiaggia così mi
insegnano quelle che non conosco… tutti… non parlan mai scuola, sempre così mi
insegnano tutte le ‘ose qui giù a spiaggia. I prov… i proverbi ho un sacco ma mi
vengono pochi che in memoria ora… pero così se ti dico uno vengono tutti non
bisogna fare il passo più lungo della gamba, tanto la va la gatta al lardo che ci lasci
il zampino, non dire gatto se non ce l’hai nel sa… tantissimi che conosco. Ha email
facile anche posso lasciare anche anche il numero di telefono così subito subito chi
mi vuole mi manda sms o mi chiama subito direttamente… allora, telefono […]
email [….] si trova subito toscanaccio… questo è un nome che mi piace che
quando uno mi chiama toscanaccio… che è un nome… che io parlo fiorentino.. ah,
mi dice aaaaahhhh… mi piace anche quando mi vedono i fiorentini tutti i tos.. tutti i
tos… tutti sono miei amici i toscanac… tutti i fiorentini, loro che appena io ho visto
già contento, anche se non fanno niente io già contento così. Hakuna matatissima
che significa nessun problema tante che vengono a Zanzibar non sanno cos’è
hakuna matata? Perché questo è un primo parola in zanzibarino… hakuna
matata.” 153
153 “zanzibar beach boys”, video pubblicato da felix7197 su www.youtube.com
117
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
I beach boys sono generalmente tra i primi Zanzibari che un turista incontra non
appena sistemato nell’alloggio. Sembra proprio impossibile non far la loro conoscenza:
nei racconti vengono descritti come ragazzi del posto che parlano benissimo l’italiano
(oltre che altre lingue europee) e che non appena vedono un turista lo braccano per
convincerlo a comprare oggetti e soprattutto a fare le escursioni con loro. Le
informazioni che si ricavano su questi giovani tour operator in proprio (o talvolta al
servizio di piccole agenzie locali) sono tra le più controverse e spesso gli stessi turisti-
scrittori ammettono di essere ‘preparati’ al loro incontro, avendone letto su altri diari di
viaggio o sulle guide. Per lo più sono visti di ‘buon occhio’ dai turisti, hanno prezzi più
economici, sono simpatici, affidabili, bene organizzati, tanto che sembrano soffrire solo
in minima parte della forte, quanto ovvia, pubblicità negativa che gli alberghi e i tour
operator fanno di loro, additandoli come inaffidabili e illegali. Qualcuno sembra fidarsi
di tale pubblicità, la maggior parte invece prenota le escursioni con loro. Gli alter ego
dei beach boys, ma assoldati dai grandi resort, sono i masai, ragazzi immigrati dal
continente, vestiti in ‘abiti tradizionali’, che svolgono la funzione sia di guardia del
corpo che di guida turistica. Tanto gli uni che gli altri entrano di diritto
nell’immaginario di Zanzibar, essendo punti di riferimento fondamentali per le
esperienze sull’isola. Stringere un buon rapporto con questi ragazzi può avere un
ulteriore rilevanza per i turisti, ovvero ottenere l’accesso a una porzione della vita
‘privata’ di un villaggio locale.
In quasi tutti i diari si può leggere di bambini bellissimi e di turisti che si
incontrano come la calamita col ferro, gli uni attratti dagli altri reciprocamente
(ovviamente con interessi ben diversi). Questa sembra essere una delle esperienze che
più colpisce, che provoca maggiori emozioni e alla quale nessuno tralascia di fare un
accenno. Entrare in confidenza con un locale, da quanto si legge, può determinare
un’esperienza che non viene di solito proposta come turistica, ma che comunque ricorre
spesso: quella al villaggio, dove incontrare decine di bambini e, in alcuni casi entrare
nelle case degli zanzibari. La ricerca della ‘vita vera’ dei locali, del backstage degli
host, prende forma in questo frangente e la sua ricorrenza nei racconti mette in mostra la
forza con cui tale esperienza si produce nei turisti. Il senso di appagamento e di
soddisfazione sembra compiersi, nella maggior parte dei casi, distribuendo agli abitanti
del villaggio (e ai bambini in particolare) magliette, cappelli, calzature, penne e
118
pennarelli o perfino lo shampoo e il dentifricio avanzati prima di ripartire. Molto spesso
si leggono vere e proprie esortazioni a tenere questo tipo di comportamento, a recarsi a
Zanzibar con questi materiali appositamente da donare alla popolazione locale. Ciò che
si ottiene in cambio sono decine di sorrisi, che sembra essere la moneta preferita con cui
i turisti vogliono essere ripagati.
L’incontro tra turisti e popolazione locale è, come ho specificato nel secondo
capitolo, il nucleo su cui si sviluppa tutta l’antropologia del turismo. L’immaginario
anche qui gioca un ruolo fondamentale nel veicolare l’esperienza e il comportamento,
da entrambi i lati. Analizzando i racconti penso di poter affermare che mentre i turisti a
Zanzibar, immersi come sono nel pensare a godersi il relax e le possibili esperienze
esotiche, impossibili nella vita di tutti i giorni, cercano di instaurare un contatto con la
vita privata dei locali, questi, a loro volta, abituati a vedere orde di turisti riversarsi sulle
spiagge della ‘loro’ isola, mettono in atto comportamenti adeguati a ricavare il maggior
profitto possibile da questo incontro. I comportamenti indotti dalla presenza dei
vacanzieri finisce per diventare una parte importante della loro vita. La rappresentazione
nei diari di viaggio, tuttavia, è esclusivamente incentrata sul turista, sulla propria
esperienza, tendenzialmente non sembra essere molto rilevante una comprensione delle
dinamiche sociali delle persone con cui si ha a che fare, è decisamente più rilevante
essere convinti di aver avuto un incontro, un vero incontro, con gli abitanti del villaggio
e di aver aiutato decine di bambini poveri, che vivono in baracche di lamiera, senza
acqua e spesso senza corrente elettrica, proprio come quelli dei documentari.
Alcuni turisti, nei loro racconti, mettono in evidenza determinate contraddizioni
che la loro esperienza filtrata da proprie griglie interpretative, quindi da un immaginario
precedentemente acquisito, permette loro di vedere. I masai sulla spiaggia, vestiti in
abiti tradizionali, parlano al cellulare, oggetto che sembra essere posseduto dalla
maggior parte della popolazione adulta di Zanzibar. I beach boys girano in spiaggia con
ciabatte ricavate da copertoni o pneumatici, mentre la sera sfoggiano scarpe da
ginnastica, magari di marca. Nelle case, come detto, spesso manca l’acqua corrente e
talvolta salta l’elettricità, ma si trovano abbastanza frequentemente antenne della
televisione e talvolta anche parabole satellitari. Naturalmente non tutti i villaggi sono
uguali e le condizioni e le attitudini di vita degli zanzibari possono certamente variare
da contesto a contesto, tuttavia non è in questo che consiste la forza dell’immaginario,
119
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
non è nello specificare, nell’indagare le differenze e nello spiegare le contraddizioni.
Consiste piuttosto nel trovare punti di vista uniformanti, griglie che permettano di
comprendere prima di esperie e dalle quali, dunque, dipenderà il comportamento del
turista. La popolazione locale entra nel processo di costruzione dell’immaginario di
Zanzibar portandosi dietro una serie di immagini probabilmente troppo complesse da
esaminare in questa sede, fatte di colonialismo e schiavitù, cooperazione e missioni
cattoliche, documentari ed esoticizzazione, etnografie e racconti di viaggio. Ciò che al
turista sembra interessare, tuttavia, non è incontrare e comprendere questo mondo, bensì
verificare o trovare discrepanze con quanto ‘conosciuto’ precedentemente. Nel racconto
di jonathan1982 si legge abbastanza chiaramente un’attribuzione di intenzioni e di
valori ai comportamenti della popolazione locale, una pre-comprensione che non gli
permette di intuire la possibilità di tipo di incontro meno mediato e meno ‘mancato’.
“Verso sera, con un animatore del villaggio e un gruppo di altri turisti, andiamo a
visitare un villaggio locale pieno di bambini del posto che quando ci vedono ci
vengono subito incontro! C’è davvero tanta umanità nelle loro facce e nei sorrisi
degli altri abitanti del villaggio; sembrano felici anche se non hanno proprio nulla!
[…]
Verso le 17.00 andiamo con altri ospiti del villaggio a fare una passeggiata lungo la
spiaggia fino alla scuola di un villaggio locale. La mattina avevamo fatto una scorta
di confezioni di marmellata nel buffet a colazione perché sapevamo che avremmo
trovato un sacco di bambini al villaggio: indescrivibile la loro gioia quando abbiamo
distribuito i dolcetti e le penne colorate che avevamo portato dall’Italia!” 154
La straordinarietà dell’esperienza riguarda anche la popolazione locale, i cui
individui e in particolar modo i bambini acquistano tratti eccezionali, elevati alla
massima potenza, come nel racconto di Simmy22, che non tralascia commenti dal forte
sapore ‘colonial-missionario’
“I bambini di questi villaggi dove a volte non c'è acqua ne luce hanno gli occhi più
grandi e belli che io abbia mai visto, hanno la pelle scurissima ed i denti
bianchissimi, le bimbe sono vestite come delle bamboline e fin da piccole rifiutano
di farsi fotografare,ognuna di loro però meriterebbe un intero albun fotografico, ed
alcuni di loro con quegli sguardi, quelle manine protese, li porterò sempre nel
cuore. Ho potuto regalare dei pennarelli colorati e dei quaderni, ed ho visto la gioia
nei loro volti, ho regalato dei vestiti ad un inserviente del villaggio addetto alla 154 jonathan1982, 2/2/2011 (www.turistipercaso.it)
120
piscina,ed ho visto la commozione sul suo viso, un sorriso immenso ed un tremore
nelle mani strette alle mie per ringraziarmi, ho visto il mio compagno regalare le
sue scarpe da ginnastica ad un ragazzo sulla spiaggia,ed essere felice di questo
gesto forse più di colui che lo ha ricevuto....Zanzibar è anche questo, ho cercato d
fare un resoconto di ciò che è stato il viaggio ma ora che sono alle battute finali
non posso esimermi dal dire che quest'isola è l'essenza del terzo mondo, è
povera,.e la gente ha bisogno di tante cose, il turismo aiuta sicuramente,ma ancora
tanta strada deve esser fatta”. 155
Un incontro apparentemente meno mediato lo descrive Morak14, che descrive il
loro (i protagonisti del racconto sono due) essere riusciti a entrare in contatto con il
‘retroscena’, con la vita privata di una famiglia del villaggio vicino al quale
soggiornavano. Tuttavia, anche in questo caso, sembra che l’esperienza in qualche
modo sia stata attesa e desiderata e, interpretando certe espressioni come “non ci
facciamo sfuggire questa occasione”, “si va di mani chiaramente” o “questa è vita
quotidiana”, sembra proprio che il loro ‘sguardo’ abbia costruito la realtà esperita a
partire da griglie ben presenti nella loro mente.
“Mattinata a prenderci tutto il sole possibile sempre in compagnia di Mussa dal
quale riceviamo l’invito a cena a casa sua. Non ci facciamo sfuggire questa
straordinaria esperienza. Gli diamo qualche soldino per acquistare la farina per
fare il loro pane e qualche coca-cola. Al tramonto lo attendiamo davanti alla nostra
spiaggia (i zanzibarini non possono accedere oltre il limite del villaggio) poi ci
incamminiamo verso casa sua. Siamo eccitati. Tutta la famiglia ci sta aspettando.
Entriamo: un panno steso al centro di questa stanza spoglia con tutti i
fratelli/sorelle seduti per terra in attesa di noi. Ci adagiamo mentre Mussa e la
sorella maggiore posano le pietanze al centro. Una ciotola è colma di riso, un’altra
è piena di una specie di piadine (il loro pane), un’altra con il pollo (praticamente
tutt’ossa e grasso) e l’ultima con del pesce. Che ospitalità! Si và via di mani
chiaramente, e i primi a partire sono proprio gli ospiti (noi). Nella stanza il buio più
totale, solo una piccola pila permette di vederci. Durante la cena al piccolo
bambino seduto fra noi scappa il bisognino, e di colpo il rigolo bagnato arriva ai
nostri piedi. Questa è vita quotidiana”.156
Anche descrivere il panorama del villaggio visitato, mettendo in luce elementi che
sono percepiti come contraddittori, denota una preconoscenza che lascia poco spazio
155 Simmy22, 24/9/2010 (www.turistipercaso.it)156 Morak14, 23/2/2011 (www.turistipercaso.it)
121
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
alle reinterpretazioni, come nel racconto di migliorinia
“Il villaggio di Uroa, e le sue contraddizioni, tutte le case sono prive di acqua
corrente, alcune sono dotate di un pozzo altre invece attingono l'acqua dalle
fontane pubbliche, quasi tutte le baracche sono invece dotate di una rudimentale
antenna televisiva, alcune dispongono anche della parabola satellitare, e quasi tutti
gli abitanti, bambini esclusi, girano con un cellulare in mano. Hanno poco vivono
ancora con le galline e le capre che razzolano nell'unica stanza dove dormono e
mangiano, ma comunque sembrano felici 157.
Più esortativi e ricchi di consigli sono invece il racconto di Katia e il rispettivo
commento di Erika, esprimendo tuttavia immagini che, nonostante ricondotte
esplicitamente a un’esperienza, denotano una conoscenza superficiale e dettata
principalmente dal proprio ‘sguardo’, dal proprio immaginario.
“Vi raccomando una cosa: non date biscotti e caramelle ai bambini in spiaggia
perchè il dentista costa e loro non possono permetterselo. I dolci non costituiscono
un'alimentazione con principi nutritivi necessari alla crescita. Lo so perchè l'ho
vissuto, fanno una pena immensa, ma piuttosto che dargli cose che gli
danneggiano l'intestino e i denti, già in condizioni disastrose, portate giochi, penne,
pennarelli, carta e giocate con loro, saranno più felici. Purtroppo non si devono
dare nemmeno soldi perchè si contribuisce a trasformare in accattoni quei poveri
bambini che già soffrono alla vista di bambini della loro stessa età con ogni tipo di
accessorio, cibo a volontà e genitori che li seguono. Li vedrete vagare sulle
spiaggie ma molte volte li vedrete sorridere e giocare con altri bambini di altre
nazionalità sotto gli occhi stupiti dei genitori.
Quante cose abbiamo a casa in un angolo? Quanto miglioreremmo la vita di
qualcuno disfandoci di qualcosa che per noi è inutile, ma che per loro costituisce
sostentamento? Queste sono domande alle quali ognuno di noi risponderà in se
stesso”.158
“come ha detto katia vi trovate in africa e il disagio della popolazione è molto
evidente percui se volete fare una bella cosa portate con quaderni e penne e
anche qualche indumento tipo t-shirt o pantaloncini da lasciare presso il villaggio
dove molto spesso c'è una persona incaricata a portare gli oggetti presso le
scuole.
157 migliorinia, 9/11/2010 (www.turistipercaso.it)158 Katia, 2008 (su www.paesionline.it)
122
Erika” 159
Vorrei concludere questo capitolo con un ultimo tema che riguarda l’immaginario
turistico di Zanzibar, ma assolutamente non meno importante: tutti quegli aspetti che
hanno a che fare, da un lato, con il ‘pittoresco e il caratteristico’ e, dall’altro, con il
relax. Già, perché a Zanzibar si va soprattutto per rilassarsi e per assaporare scenari
esotici che non si possono ‘avere’ nel contesto della vita quotidiana.
Anzitutto il sole, il mare e la sabbia, che in un certo senso ho già trattato parlando
della concezione paradisiaca di Zanzibar, che in parte racchiude questi due elementi. Le
descrizioni dei turisti pongono questi come elementi imprescindibili, assolutamente da
descrivere, da raccontarne i colori: gli azzurri dell’oceano, il chiarore accecante della
sabbia (che in più circostanze è associata al borotalco), i colori ogni volta tanto belli
quanto indescrivibili del sole al tramonto (ma i ‘calori’ del sole durante il giorno).
Associati alle rappresentazioni cromatiche di questi tre ‘cardini’ dell’immaginario, si
possono leggere spesso approfondimenti contestuali. La flora e fauna marina: i pesci e
la barriera corallina, che vengono talvolta paragonati a quelli del Mar Rosso; le alghe,
abbondanti in tutta l’isola, talvolta non apprezzate dai turisti, ma che la popolazione
raccoglie per vendere alle ditte di cosmesi; i ricci, che sembrano lasciare i loro aculei
solo nei piedi dei turisti. Le spiaggia: soprattutto il fenomeno delle maree, che
regolarmente fa avanzare e ritrarre il mare anche di qualche centinaio di metri,
generando scontento in quei turisti più desiderosi di bagnarsi nell’oceano, provocando al
contrario lo stupore di chi si ‘accontenta’ di un panorama particolarmente suggestivo;
ma anche la ‘popolazione’ che sulla spiaggia vive, dai già citati beach boys ai
granchietti bianchi, dalle conchiglie che assolutamente non si possono ‘esportare’ (e in
alcuni racconti nemmeno ‘asportare’), ai turisti, dai comportamenti dei quali spesso si
prendono le distanze. Infine il sole: tanto pericoloso, ma allo stesso tempo agognato,
quello diurno, da meritare creme solari a protezione variabile da 30 a 60, quanto
emozionate e romantico quello che ‘cola a picco nel mare’ e che per apprezzarne al
meglio la dipartita è necessario trovarsi nei posti giusti. A questi elementi si aggiungono
le condizioni atmosferiche, oggetto di tante richieste di consigli quanto di pareri
discordanti: pioggerelline (al di fuori della stagione delle piogge), nubi e un vento
159 Ibidem
123
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
costante sono spesso oggetto di malumore nei racconti e di conseguenza si giunge
spesso alla conclusione che in quel determinato periodo, a Zanzibar, si incorrerà sempre
in quelle stesse condizioni.
Per quanto riguarda il ‘pittoresco’ e il ‘caratteristico’, Zanzibar sembra essere una
fucina di elementi. Anzitutto non mancano mai accenni alle tipiche palme e ad altra
rigogliosa vegetazione, gli animali sono oggetto di attenzioni particolari sia durante il
viaggio che in fase di racconto e, infine, tutta una serie di altri ‘oggetti’ caratteristici
vengono citati spessissimo nei propri diari e soprattutto immortalati attraverso le
fotografie: i dalla dalla, tipici pulmini locali che collegano i vari villaggi dell’isola; i
dhow, piccole e tradizionali barche a vela (tra i soggetti più fotografati), che i locali
costruiscono e aggiustano sulla spiaggia e con cui svolgono ogni attività legata al mare
(dalla pesca al turismo); le Vespe e altri veicoli simili a due ruote che popolano Stone
Town, generando curiosità e stupore in molti turisti.
Scarsi, invece, sono gli accenni alle pratiche islamiche. Questo elemento della
società zanzibarina spesso sembra non rientrare nel ventaglio di esperienze che
colpiscono a tal punto da essere raccontate. Eppure i colori del ‘veli’ indossati dalle
donne di Zanzibar spiccano nelle fotografie dei turisti; allo stesso modo sembra passare
inosservato ai più il fatto che sull’isola i cibi più consumati derivano dal mare o dalle
piante, mentre minoritario, o comunque riservato ai turisti, è il consumo di carne di
maiale, il che evidentemente non dipende soltanto dall’abbondanza dei primi. Alcuni
accenni a questi elementi culturali, che data la scarsità di attenzioni che ricevono
finiscono per essere trattati come tratti caratteristici ed esotici dell’isola, si concentrano
in alcune descrizioni che riguardano Stone Town, dove probabilmente il contrasto
dettato dalla multietnicità risulta di maggior impatto.
Questo è ciò che i turisti dicono di aver visto a Zanzibar, e questo è anche ciò che
altri turisti nuovi vedranno e racconteranno. Il processo di costruzione dell’immaginario
si alimenta continuamente e modella l’isola in modo da essere consumata e
metabolizzata dai turisti che si apprestano a trascorrervi il loro tempo delle vacanze, il
loro tempo ‘vacuo di problemi e pensieri’, bramando esperienze esotiche e rilassanti tali
da poter essere raccontate.
124
In alto da sinistra:
beach boys sulla spiaggia;
bambini in un villaggio;
scorcio di Stone Town
In mezzo da sinistra:
tipica dhow in mezzo al mare;
spiaggia con palme
A sinistra:
masai in un resort con abiti tradizionali e occhiali
da sole
fonte: www.tripadvisor.com
125
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
CONCLUSIONI
Le domande alle quali ho tentato di dare una risposta, per quanto parziale,
attraverso questa ricerca erano molte, non di meno le criticità incontrate, sia dal punto di
vista metodologico che analitico. Ho cercato di indagare la produzione
dell’immaginario turistico di un’isola come Zanzibar che, in tutta la sua storia, recente o
più remota, ha sempre subito un processo di costruzione di immagini che ne ha
caratterizzato la percezione e l’esperienza a coloro che la attraversavano. Allo stesso
tempo, tuttavia, Zanzibar è stato un esempio, per quanto peculiare, attraverso il quale ho
tentato di allargare la prospettiva per comprendere meglio quali meccanismi sottendono
alla produzione immaginifica in ambito turistico, concentrandomi su quello che è il
ruolo dei turisti stessi, mettendo in luce le dinamiche che intercorrono tra l’esperienza,
la percezione e la rappresentazione del viaggio. Infine, elemento non privo di criticità,
ho voluto spingere la mia ricerca esclusivamente nel cyberspazio, un terreno che,
nell’ambito dell’antropologia, sta iniziando ora a delineare le sue peculiarità
metodologiche e teoriche e con cui, prevedo, gli antropologi dovranno confrontarsi
sempre più frequentemente, in quanto sta erigendosi a elemento sempre più centrale e
problematico di una buona parte dell’umanità.
Ma andiamo con ordine, anzitutto l’immaginario di Zanzibar. La sua complessità
mi è stata evidente fin dalle prime letture: un’arena fatta di simboli, immagini, azioni,
politiche, comportamenti, ma anche esclusioni, occultamenti e, quindi, narrazioni. La
trasformazione di Zanzibar in meta turistica, come abbiamo visto ha avuto un inizio ben
preciso e una matrice ben definita: i discorsi messi in campo dal governo non lasciavano
dubbi nel voler puntare sulle bellezze naturali dell’isola per stimolare un turismo votato
al leisure, al relax, senza tuttavia tralasciare una componente culturale, ovvero
sfruttando e promuovendo l’esoticità e il fascino di Stone Town. Zanzibar, quindi,
appare soprattutto come paradiso tropicale, in cui spiccano più che mai le spiagge
bianchissime, le palme e il mare dai colori incredibili: una spinta al ‘consumo’ dell’isola
126
che non tarderà a trasformarla in una meta da turismo di massa. Questa promozione, più
formale e ufficiale, non resterà una voce isolata: come abbiamo visto i turisti esprimo in
svariati modi e molteplici forme una percezione dell’isola che dimostra di aver
metabolizzato questa immagine. Le aspettative con cui partono e attraverso le quali
fanno esperienza di Zanzibar sono griglie che veicolano il loro comportamento e
diventano, da un lato, modalità interpretative con cui ‘vedere’ ciò che li circonda,
mentre dall’altro sono strumenti con cui trasformare le immagini mentali in oggetti da
consumare. Naturalmente non tutti arrivano a trarre le medesime conclusioni, non tutti i
turisti percepiscono Zanzibar come il paradiso tropicale che era nel proprio
immaginario, certamente le aspettative possono essere verificate o disattese o anche
ribaltate, ridefinite, modificate in corso d’opera. Tuttavia non è questo il punto centrale.
La questione che ritengo più importante rispetto a questo tema è il fatto che con questa
immagine dell’isola tutti i turisti si confrontano, tutti la mettono in relazione con la
propria esperienza e con quelle precedenti, tutti subiscono di fatto la sua influenza.
L’immagine che viene costruita e riprodotta agisce anzitutto nel momento in cui un
potenziale turista inizia a raccogliere informazioni sul luogo che intende visitare. È in
questa fase che sembra essere fondamentale confrontarsi con l’esperienza di qualcun
altro. Il turista, ormai da tempo, è abituato a documentarsi circa il luogo che visiterà,
l’elemento di avventura e di scoperta che caratterizza il viaggio si assottiglia sempre
più. Non tragga in inganno tale affermazione, infatti il turista si troverà sempre in un
contesto altro, che come abbiamo visto si configura tale non solo per la lontananza
geografica e/o culturale rispetto al contesto della propria quotidianità, ma soprattutto per
la diversità temporale con cui si entra a contatto con le comunità che lo abitano.
Tuttavia il turista non viaggia semplicemente munito da categorie interpretative
generate dal substrato culturale in cui vive e dal proprio bagaglio di esperienze, o
meglio, queste categorie non vengono applicate prioritariamente nel momento
dell’esperienza del luogo in senso stretto, bensì serviranno al viaggiatore per
relazionarsi con l’immaginario della sua stessa meta. È così che l’esperienza, in un certo
senso, viene anticipata: il consumo preventivo di immagini del sito di destinazione
creerà una serie di aspettative concrete con le quali il turista non potrà fare a meno di
relazionarsi e che ne determineranno il comportamento.
127
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
Comportamento turistico che inizia con la decisione di partire, di andare in
vacanza, di lasciar il tempo della quotidianità per entrare in un tempo vacuo di
costrizioni. L’investimento emotivo (ma anche economico e temporale) che solitamente
interessa questa attività fa si che la scelta della località sia una fase cruciale, proprio per
questo per i turisti sembra sempre più necessario cercare informazioni diversificate e di
cui potersi fidare. La consultazione di canali informativi di varia natura appare quindi
sempre più determinate e uno tra i più diffusi sembra essere Internet. In particolare i
turisti ‘navigano’ in quei siti dove vengono raccolti i racconti di altri viaggiatori e in cui
sono presenti forum tematici dove vengono fatte circolare informazioni e consigli
preziosi. In questo modo si genera un meccanismo di scambio che crea relazioni virtuali
fondate sulla condivisione di un certo ambito esperienziale, sul fatto di aver visitato (o
essere in procinto di visitare) un luogo su cui si ha qualcosa da dire, su cui si condivide
una certa gamma di immagini, di sensazioni, di ricordi, ma anche di interrogativi, di
incertezze e di punti di vista differenti.
Nel caso di Zanzibar tutto questo si traduce in una condivisione di esperienze da
fare (o non fare) e cose da vedere (o non vedere), in una pre-conoscenza delle escursioni
possibili, delle dinamiche con cui approcciare i beach boys, degli odori delle spezie e
del mercato di Stone Town, dei colori del mare, del tramonto, delle spiagge. Ma il
complesso dell’immaginario dell’isola, le informazioni che il turista acquisisce prima di
arrivare a destinazione, agiscono anche prima della partenza, facendo decidere se fare o
meno la profilassi antimalarica, in che periodo prenotare, quale valuta portare, che
oggetti mettere in valigia da donare alla popolazione locale e in particolar modo ai
bambini, se portarsi una felpa per la sera oppure no, ecc. il turista che va a Zanzibar,
come in un’altra qualsiasi meta, sembra più propenso a partire spinto da aspettative
piuttosto che interrogativi.
Chi parte per Zanzibar, in ogni caso, va alla ricerca dell’esotico, del diverso dal
quotidiano, cerca un’esperienza che lo colpisca, cerca il mare dalle mille tonalità di
azzurro, cerca l’Africa con la sua ‘vita vera’, cerca il relax, cerca i sorrisi dei ‘poveri
bambini africani’, cerca la storia di una capitale diventata patrimonio dell’UNESCO,
cerca i profumi delle spezie. In breve, il turista cerca tutto questo perché sa di poterlo
trovare a Zanzibar. Tuttavia cerca anche qualcosa di nuovo, cerca un’esperienza che
possa essere significativa, extra-ordinaria, un’esperienza che valga la pena di fare e,
128
soprattutto, di raccontare. Attraverso la testimonianza del suo viaggio si completerà il
rientro a casa e verrà investito di un nuovo status. È questo nuovo status che conferisce
al turista l’autorevolezza necessaria a far circolare informazioni tanto sulla sua meta
quanto sulla sua esperienza.
In questo modo raccontare il proprio viaggio diventa uno strumento fecondo, un
modo per mettere sul tavolo le proprie ‘carte’, il proprio punto di vista e condividerlo
con chi dimostra di appartenere al suo stesso gruppo per aver fatto le stesse esperienze,
aver ammirato le stesse spiagge, alloggiato nello stesso albergo o conosciuto lo stesso
beach boy. Diventa un modo per radicare un certo modo di ‘vedere’ e un certo modo di
percepire uno stesso contesto, di identificarsi in un’univocità esperienziale, ma al
contempo sottolineare gli aspetti peculiari del proprio viaggio, mettere in luce i propri
gusti e le proprie vicende, le scelte e le contingenze. In questo modo il racconto sembra
diventare un oggetto, un manufatto che dipinge una situazione che vive di immagini
prodotte e riprodotte in modo processuale; fotografie che immortalano situazioni e
panorami già esistenti all’interno di un ‘album immaginato’ dell’isola e che lo
arricchiscono con un nuovo punto di vista.
Da quando Internet è diventato uno strumento condiviso praticamente dalla
totalità di quella parte del mondo in cui si pratica il turismo, l’immaginario di Zanzibar
passa necessariamente attraverso i suoi canali e, in modo ancor più peculiare, attraverso
le sue molteplici voci ed espressioni, frutto di un’esperienza che sembra non poter fare a
meno di essere veicolata da questo stesso meccanismo. Come ha detto Alberto Solenghi,
“la gente si fida della gente come lei”. Il vecchio ‘passaparola’ cambia faccia e trasporta
i suoi presupposti in uno spazio virtuale, più anonimo ma non per questo meno
accreditato. Anzi, l’apparente democraticità del Web sembra essere una delle molle che
fa scattare un meccanismo di autorevolezza attribuita: la reiterata prossimità fisica, che
innesca la fiducia e che permette uno scambio significativo di informazioni vis a vis,
viene sostituita da una percezione di appartenenza condivisa che si fonda su altri
presupposti. Quello che il turista legge di Zanzibar sui diari di viaggio o sui forum,
diventa ‘vero’, diventa ipotesi che deve solo trovare conferma, quindi questo ‘angolo’
del cyberspazio si configura come strumento prioritario tanto per iniziare quanto per
concludere un viaggio, diventa un ‘luogo’ dove esprimere la propria trasformazione, che
129
TRAIETTORIE - Spezie, schiavi e turismo a Zanzibar
a sua volta si diventa prerogativa necessaria per la rivitalizzazione del processo di
costruzione dell’immaginario.
Voglio concludere questo lavoro citando il testo di una canzone160 che sembra
essere ‘l’inno di Zanzibar’ e del suo essere meta turistica, un canzone che accompagna
ogni turista nel suo viaggio a sull’isola tanzaniana tanto da essere molto spesso colonna
sonora di moltissimi dei ‘filmini delle vacanze’ pubblicati in Internet.
Jambo, jambo bwana
Habari gani, mzuri sana.
Wageni, wakaribishwa
Kenya161 yetu, Hakuna Matata.
Kenya nchi nzuri, (Hakuna Matata)
Nchi ya maajabu, (Hakuna Matata)
Nchi yenye amani, (Hakuna Matata)
Hakuna Matata, (Hakuna Matata)
Watu wote, (Hakuna Matata)
Wakaribishwa, (Hakuna Matata)
Hakuna Matata, (Hakuna Matata) 162
160 La versione originale di questa canzone, dal titolo “Jambo bwana”, è stata scritta dal kenyota Teddy Kalanda Harrison e fu pubblicata per la prima volta nel 1982 dal suo gruppo, i Them Mushrooms. La versione qui riportata invece è un riadattamento del 1999, con testo semplificato, da parte del gruppo Safari Sound Band, versione che si è imposta come standard nell’industria turistica keniota e tanzaniana.
161 Naturalmente Kenya viene sostituito con Zanzibar quando viene cantata da sull’isola.162 Il testo recita: Ciao, ciao signore / Come stai? Molto bene. / Stranieri, siete i benvenuti / nel nostro Kenya non c'è nessun
problema. / Il Kenya è un paese bellissimo (non c'è nessun problema) / un paese meraviglioso (non c'è nessun problema) / un paese tranquillo (non c'è nessun problema.) / Non c'è nessun problema (non c'è nessun problema) / Chiunque (non c'è nessun problema) / è benvenuto (non c'è nessun problema).
130
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