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14 Quando la società non era ancora “liquida” Cenni di storia del lavoro e del tempo libero nel quadro delle tradizioni civiche e della pastorale sociale in Emilia-Romagna PRIMA PUNTATA Nella storia del complesso e articolato quadro di relazioni tra Stato ed Enti Lo- cali, un ruolo di particolare importanza è unanimemente assegnato al fenome- no della municipalizzazione dei servizi pubblici. E’ dei primi anni del ‘900 l’e- manazione della legge (presentata dal- l’allora Ministro Giolitti) che legittima gli Enti locali a produrre ed erogare di- rettamente tali servizi. Quando, al ter- mine del secondo conflitto mondiale, il paese lacerato da profonde ferite del tessuto politico-istituzionale ed econo- mico-sociale avvierà le operazioni di ri- costruzione, queste si legheranno ad obiettivi di evidente contenuto sociale. Anche la municipalizzazione dei servizi non sarà legata soltanto al progressivo ingrandirsi delle città, ma alla qualità della vita urbana con la conseguente evoluzione dei bisogni espressi da tali importanti aggregazioni ed alla necessi- tà di garantirne il soddisfacimento da parte di tutte le fasce sociali. A partire dall’immediato dopoguerra le precarie condizioni abitative e la diffi- coltà nello sgombero delle macerie au- mentano un disagio aggravato dal pro- blema dei senza tetto e reso drammatico dal mancato rientro dei profughi nei paesi di provenienza. Ma il tessuto sociale ed economico dell’I- talia stava cambiando rapidamente. Il Piano Marshall, tra il 1948 e il 1951 aveva emesso a favore dell’Italia autorizzazioni di acquisto per ingenti somme, grazie alle quali giunsero gratuitamente ai nostri porti milioni di tonnellate di merci di pri- ma necessità e macchinari [1]. In Emilia-Romagna buona parte di que- sti fondi vennero impiegati per la rico- struzione ferroviaria, per lavori pubblici e per interventi di ricostruzione edilizia. Il 6 luglio 1948 il Ministro del Lavoro (Fanfani) presenta un disegno di legge – approvato poi nel febbraio 1949 – che prevede un piano per incrementare l’oc- cupazione operaia, agevolando la co- struzione di case per lavoratori. Il gran- de flusso migratorio interno che aveva spostato nelle fabbriche gran parte del- la popolazione contadina, aveva dato luogo ad una disordinata crescita urba- nistica : nei nuovi quartieri che sorgeva- no alla periferia mancavano adeguate strutture assistenziali, luoghi di ritrovo, impianti sportivi. Nella dilagante espan- sione urbana che vede le periferie popo- larsi di famiglie immigrate si avverte la necessità di costituire “da dentro” una ragione alla comune appartenenza. Es- sendo il “disordine edilizio… un riflesso del disordine economico, della mancan- za di ideali sociali”, occorreva che “le nuove aree insediative della città sentis- sero la necessità della nascita di una identità di luogo che servisse a dotare gli abitanti di una coscienza umana e abitativa; contribuisse a formare cioè questi brandelli di abitato in parti di cit- tà ed i “residenti” in comunità capaci di autorigenerarsi come coscienza comuni- taria. In questo senso diventa fonda- mentale la relazione tra le istituzioni so- ciali del territorio e quindi tra le forme dell’agire politico : le associazioni, i par- titi, i sindacati, le Aziende (in particolare quelle di servizio pubblico). In questo processo si presenta una pecu- liare fusione tra istanze sociali di eman- cipazione e progetti educativi/pedago- gici delle culture politiche antagoniste (democratica e socialista in particolare) La "Società liquida"di Zigmunt Bauman Secondo ZIGMUNT BAUMAN - uno dei più apprezzati sociologi a livello mon- diale - la società di oggi è “liquida” . Ciò che è liquido non ha e non può avere la stessa forma per lungo tempo, ed è soltanto il passaggio da un recipiente al- l'altro che ne ridetermina la forma. Questo si applica ad ogni aspetto della forma lavorativa, economica, politica, alle grandi questioni sociali, a quello che inte- ressa alla gente, ma soprattutto alla "rete di connessioni personali", quella che porti in giro in tasca nella memoria del tuo telefonino. Ti basta semplicemente premere dei tasti per creare nuove connessioni o per romperne altre in maniera irreparabile. Ecco il punto chiave: le relazioni possono nascere facilmente, ma altrettanto facilmente possono rompersi. Ci si può connettere e disconnettere dal- la rete di connessione personali senza obbligo di continuità. Tale dinamica non è che un esempio di ciò che Bauman intende per società liquida. Giovanni Giolitti Giacomo Lercaro La società civile

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Quando la società non era ancora “liquida”

Cenni di storia del lavoroe del tempo libero nel quadro delletradizioni civiche e della pastorale socialein Emilia-Romagna

PRIMA PUNTATA

Nella storia del complesso e articolatoquadro di relazioni tra Stato ed Enti Lo-cali, un ruolo di particolare importanzaè unanimemente assegnato al fenome-no della municipalizzazione dei servizipubblici. E’ dei primi anni del ‘900 l’e-manazione della legge (presentata dal-l’allora Ministro Giolitti) che legittima

gli Enti locali a produrre ed erogare di-rettamente tali servizi. Quando, al ter-mine del secondo conflitto mondiale, ilpaese lacerato da profonde ferite deltessuto politico-istituzionale ed econo-mico-sociale avvierà le operazioni di ri-costruzione, queste si legheranno adobiettivi di evidente contenuto sociale.Anche la municipalizzazione dei servizinon sarà legata soltanto al progressivoingrandirsi delle città, ma alla qualitàdella vita urbana con la conseguenteevoluzione dei bisogni espressi da taliimportanti aggregazioni ed alla necessi-tà di garantirne il soddisfacimento daparte di tutte le fasce sociali. A partire dall’immediato dopoguerra leprecarie condizioni abitative e la diffi-coltà nello sgombero delle macerie au-

mentano un disagio aggravato dal pro-blema dei senza tetto e reso drammaticodal mancato rientro dei profughi neipaesi di provenienza. Ma il tessuto sociale ed economico dell’I-talia stava cambiando rapidamente. IlPiano Marshall, tra il 1948 e il 1951 avevaemesso a favore dell’Italia autorizzazionidi acquisto per ingenti somme, grazie allequali giunsero gratuitamente ai nostriporti milioni di tonnellate di merci di pri-ma necessità e macchinari [1].In Emilia-Romagna buona parte di que-sti fondi vennero impiegati per la rico-struzione ferroviaria, per lavori pubblicie per interventi di ricostruzione edilizia.Il 6 luglio 1948 il Ministro del Lavoro(Fanfani) presenta un disegno di legge –approvato poi nel febbraio 1949 – cheprevede un piano per incrementare l’oc-cupazione operaia, agevolando la co-struzione di case per lavoratori. Il gran-de flusso migratorio interno che avevaspostato nelle fabbriche gran parte del-la popolazione contadina, aveva datoluogo ad una disordinata crescita urba-nistica : nei nuovi quartieri che sorgeva-no alla periferia mancavano adeguatestrutture assistenziali, luoghi di ritrovo,impianti sportivi. Nella dilagante espan-sione urbana che vede le periferie popo-larsi di famiglie immigrate si avverte lanecessità di costituire “da dentro” unaragione alla comune appartenenza. Es-sendo il “disordine edilizio… un riflessodel disordine economico, della mancan-

za di ideali sociali”, occorreva che “lenuove aree insediative della città sentis-sero la necessità della nascita di unaidentità di luogo che servisse a dotaregli abitanti di una coscienza umana eabitativa; contribuisse a formare cioèquesti brandelli di abitato in parti di cit-tà ed i “residenti” in comunità capaci diautorigenerarsi come coscienza comuni-taria. In questo senso diventa fonda-mentale la relazione tra le istituzioni so-ciali del territorio e quindi tra le formedell’agire politico : le associazioni, i par-titi, i sindacati, le Aziende (in particolarequelle di servizio pubblico). In questo processo si presenta una pecu-liare fusione tra istanze sociali di eman-cipazione e progetti educativi/pedago-gici delle culture politiche antagoniste(democratica e socialista in particolare)

La "Società liquida"di Zigmunt Bauman

Secondo ZIGMUNT BAUMAN - uno dei più apprezzati sociologi a livello mon-diale - la società di oggi è “liquida” . Ciò che è liquido non ha e non può averela stessa forma per lungo tempo, ed è soltanto il passaggio da un recipiente al-l'altro che ne ridetermina la forma. Questo si applica ad ogni aspetto della formalavorativa, economica, politica, alle grandi questioni sociali, a quello che inte-ressa alla gente, ma soprattutto alla "rete di connessioni personali", quella cheporti in giro in tasca nella memoria del tuo telefonino. Ti basta semplicementepremere dei tasti per creare nuove connessioni o per romperne altre in manierairreparabile. Ecco il punto chiave: le relazioni possono nascere facilmente, maaltrettanto facilmente possono rompersi. Ci si può connettere e disconnettere dal-la rete di connessione personali senza obbligo di continuità. Tale dinamica non èche un esempio di ciò che Bauman intende per società liquida.

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che ambiscono ad influenzare le formee i valori non solo della vita di relazionema anche degli strumenti istituzionalidi decentramento. Le conseguenze non tardano a farsi sentireanche in ambito ecclesiastico. I giovanicattolici costretti ad abbandonare le par-rocchie dove erano stati formati ed educa-ti alla fede, arrivavano in città, provandouna sensazione di smarrimento e di sradi-camento fortissima. E le condizioni in fab-brica non erano certo delle migliori. Larealtà bolognese che il card. Lercaro (Arci-vescovo di Bologna dal 1952 al 1968) in-contrò nel corso del suo Magistero presen-tava un carattere fortemente ideologico esicuramente “non molto aperto” nei con-fronti del clero [2].

Nonostante l’impegno di sacerdoti illu-minati che si dedicavano con energia almondo del lavoro, alla cooperazione, alsindacato i tempi erano veramente diffi-cili. Le aggressioni erano all’ordine delgiorno e l’accanimento fu contro sinda-calisti e cooperatori, nonché contro iprimi accenni di dialogo tra imprendito-ri e lavoratori. L’uccisione di Giuseppe Fanin (giovane di-rigente delle ACLI) nel 1948, l’invasione divarie sedi delle organizzazioni cattoliche,centinaia dipersone feritee aggredite te-s t i m o n i a n odella dimensio-ne storica as-sunta da que-sto problema. Ifatti di Bolo-gna divennerofra il ‘45 e il ‘50un “caso nazionale”. In quel periodo (giu-gno 1948) attraverso il riscatto dalla So-cietà Nazionale Gasometri ed Acquedottinasce l’Azienda Municipalizzata Gas Acquadi Bologna con la denominazione AMGA.

La rinascita delle tradizioni associativerepresse dal regime fascista [3] divieneuna delle componenti della solida basesu cui fondare la tradizione civica regio-nale. In Emilia-Romagna – ma con ruoliinvertiti rispetto al quadro nazionale,dove il mondo cattolico e la DC guidanola rinascita democratica e la ricostruzio-ne economica – si assiste al confronto diciviltà antagoniste, attraverso la denun-cia di comportamenti indicati comeestranei a questa tradizione civica. Inrealtà, contendendosi un medesimo spa-zio associativo e simbolico, si finisce peradattare le più efficaci forme di socializ-

lavoro. La disordinata crescita urbanisti-ca coinvolgeva direttamente anche laChiesa. Da una parte c’era il centro sto-rico, dentro la cerchia delle mura, con lapresenza di molte e capienti chiese, masempre meno fedeli, perché la zona sistava spopolando a favore della concen-trazione di negozi e uffici; dall’altra sta-va crescendo la periferia ma mancavanogli edifici sacri. E’ in questo contesto chesi colloca una tra le iniziative di Lercaroche fecero particolarmente discutere eprovocarono polemiche e reazioni con-trastanti in città : la “Fraternitas”. Unaventina di religiosi tra i vari ordini ven-nero scelti e ricevettero il mandato diandare tra la gente e portare il Vangelo.La stampa ribattezzò l’iniziativa con iltermine “Volante” e “frati volanti” i suoimembri. I “frati volanti” andavano per levie e le piazze a celebrare la Messa. Par-tivano a bordo di un camion furgoneadibito permanentemente a cappellacon tutto l’occorrente: sul posto veniva-no aperte le porte ed era una cappellaall’aperto.

Marco MalagoliGruppo animatori cristiani

ambiente di lavoro

zazione e di auto rappresen-tazione dell’avversario [4]. E’ l’immagine trasmessa informe esemplificate nellafortunata serie di film deldopoguerra incentrati sullefigure del sindaco comunistaPeppone e di Don Camillo. E nella realtà delle aziende,l’attacco contro la presenzadel sacerdote iniziava spessoper ragioni in buona parte dinatura ideologica. Con ilproposito di avvicinare lemasse operaie, in gran parteindifferenti se non ostili alla religione edalla Chiesa cattolica, venne costituita(nei primi anni ’20, a Roma) l’Opera Na-zionale Assistenza Religiosa e Moraleagli Operai (ONARMO). Era in corso un acceso dibattito circa lemodalità dell’evangelizzazione del mon-do del lavoro. In Francia si era comincia-to a parlare di preti-operai quando lamassiccia deportazione di lavoratori inGermania durante il secondo conflittomondiale, pose il problema dell’assisten-za religiosa di questi esuli e a molti gio-vani sacerdoti e seminaristi quello diuna doverosa solidarietà e partecipazio-ne alla loro tragica esperienza. Numero-si sacerdoti francesi divennero operai efurono mandati a lavorare in Germania. A Genova, nel 1955, per volontà delCardinale di quella città (Card. Siri) sitenne un incontro tra i preti operaifrancesi e i cappellani del lavoro che mi-se in evidenza la grande diversità dellasituazione italiana da quella d’oltralpeanche in relazione alle modalità di pre-senza dei sacerdoti nei luoghi di lavoro.Il loro avvicinamento alle persone nonera un problema solo negli ambienti di

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PER SAPERNE DI PIU’[1] a cura di R.Balzani, A.Raggi

“Qualcosa è cambiato” Acqua, gas e igiene urbana a Forlì 1945-2000, Ed. Franco Angeli

[2] A.M.Cremonini “Giacomo Lercaro e il suo magistero sociale” Ed. Conquiste

[3] S.Rocca “Se 60 anni vi sembran pochi 1934-1994” Volume pubblicato dal Circolo Ricreativo Culturale A.Co.Se.R. nel 60° della sua costituzione

[4] a cura di M.Montanari, M.Ridolfi e R.Zangheri “Storia dell’Emilia Romagna” 2. Dal Seicento ad oggi, Editore Laterza

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Nel periodo a cavallo tra anni ‘50 e ‘60 ilruolo dello Stato come imprenditore era as-sai forte e destinato a crescere nel tempo. Lanascita dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi),che rilanciò l’impresa pubblica come stru-mento di generale politica industriale accen-tuò la tendenza che assegnava allo Stato lafunzione di determinare caratteristiche etempi dello sviluppo economico del paese. Inquesto quadro, il biennio 1960-62 vide com-piersi il processo che avrebbe condotto allacollaborazione governativa tra DC e PSI non-ostante il clima internazionale (scontro USA-URSS a livelli preoccupanti, costruzione delmuro di Berlino, “crisi dei missili” provocatadal tentativo sovietico di installare missilinucleari a Cuba, etc..) non facilitasse le cose.I socialisti considerarono punto ineludibiledell’accordo la nazionalizzazione dell’indu-stria elettrica (Legge del 1962) in quantostrumento necessario per avviare, sotto ilcontrollo dello Stato, una politica energeticanazionale a favore dello sviluppo delle areearretrate, altrimenti svantaggiate dalla logi-ca del massimo profitto che difficilmente viavrebbe destinato investimenti privati per lacostruzione di nuovi impianti. Venne cosìcancellato il forte potere dei monopoli priva-ti dell’energia ma le modalità con le qualivenne condotta la nazionalizzazione porta-rono all’assegnazione di un lauto indennizzodirettamente nelle casse delle stesse aziende,che continuarono ad operare godendo diun’enorme disponibilità finanziaria. I gruppiex elettrici costituirono un nuovo monopolio(quello della Montedison) nel settore petrol-chimico, che si sarebbe rivelato un gigantedai piedi di argilla, salvato solo grazie all’in-tervento dello Stato attraverso l’ENI (fineanni ‘60). Di quale potere avessero goduto le

società elettriche in Italia apparve tragica-mente chiaro con il disastro del Vajont, avve-nuto a nazionalizzazione appena conclusa.Per certi versi tale disastro assume un valoreparadigmatico del “miracolo” italiano fattodi sviluppo senza troppe regole con vittimapredestinata l’Italia contadina e montanaraspazzata via dall’onda del progresso. Taleprogresso aveva un chiaro modello di riferi-mento. Nel mondo del lavoro si era impostoquello americano cosiddetto fordista-taylo-rista basato sulla produzione in grande scaladi prodotti standardizzati (fordismo) associa-ta alla cosiddetta organizzazione scientificadel lavoro (taylorismo) consistente nella rigi-da divisione tra progettazione ed esecuzione,nella scomposizione del lavoro in atti ele-mentari e nella identificazione della “via mi-gliore” relativa alla loro realizzazione. L’imporsi ed il diffondersi di stili di vita con-sumistici hanno poi costituito l’evoluzionesociale complementare ed il presuppostostesso per il successo su scala mondiale di ta-le modello. In Italia, nel decennio 50-60,non si ebbero perciò soltanto un progressoeconomico senza precedenti e un’enorme ri-dislocazione della popolazione sul territorioma si completarono le profonde trasforma-zioni sociali e culturali, che ne ridisegnaronoidentità, modi di vivere, consumi, linguaggi,rapporti sociali, familiari e di genere. L’Italiafece il suo ingresso nell’era della motorizza-zione di massa. La conquistata mobilitàcambiò le abitudini di vita e il tempo liberodegli italiani, offrendo loro l’opportunità divisitare luoghi sconosciuti e di uscire dalmondo in cui erano sempre vissuti. L’auto-mobile, insieme alla televisione ed agli elet-trodomestici, può essere a ragione conside-rata uno dei simboli più rappresentativi del“miracolo” economico. Tutti desideravano, progettavano e progres-sivamente acquistavano l’automobile, dall’o-peraio all’impiegato, dal settentrionale al-l’immigrato, con l’oggetto del desiderio chemutava, promettendo sempre di più a unprezzo sempre più abbordabile, dalla FIAT

600 (1955) alla 500(1957), fino ad arri-vare con il 1960 avetture di media ci-lindrata come la FIAT1100 e la Giuliettadell’Alfa Romeo.Dietro quest’avvenu-ta mutazione c’è l’I-talia dei treni popo-lari, delle escursionidi massa, l’Italia deglioperai e degli impie-gati che mandano ifigli nelle colonie

Quando la società non era ancora “liquida”

Cenni di storia del lavoroe del tempo libero nel quadro delletradizioni civiche e della pastorale socialein Emilia-Romagna

SECONDA PUNTATA

CANZONE DEL MAGGIO

(F. De Andrè – G.Bentivoglio)

Anche se il nostro maggio ha fatto ameno del vostro coraggio, se la pauradi guardare vi ha fatto chinare il men-to, se il fuoco ha risparmiato le vostre1100, anche se voi vi credete assolti,siete lo stesso coinvolti. E se vi sietedetti non sta succedendo niente, lefabbriche riapriranno, arresterannoqualche studente, convinti che fosseun gioco a cui avremmo giocato poco,provate pure a credervi assolti, siete lostesso coinvolti. Anche se avete chiusole vostre porte sul nostro muso la not-te che le “pantere” ci mordevano il se-dere, lasciandoci in buona fede massa-crare sui marciapiedi, anche se ora vene fregate, voi quella notte voi c’era-vate. E se nei vostri quartieri tutto èrimasto come ieri, senza le barricate,senza feriti, senza granate, se avetepreso per buone le verità della televi-sione, anche se allora vi siete assoltisiete lo stesso coinvolti. E se credeteora che tutto sia come prima perchéavete votato ancora la sicurezza, la di-sciplina, convinti di allontanare lapaura di cambiare verremo ancora al-le vostre porte e grideremo ancora piùforte per quanto voi vi crediate assoltisiete per sempre coinvolti.

(canzone tratta dal concept album “Storiadi un impiegato” ispirato agli avvenimentidel Maggio francese con gli scontri tra po-lizia e studenti sulle barricate di Parigi edalla contestazione giovanile del 68)

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marine a spese del Dopolavoro. Ed è sicuramente in questo ambito che si col-loca la storia del Dopolavoro Officina del gasdi Bologna (nato nel lontano 1934). Ai tempidel fascismo l’organizzazione dopolavoristicaera stata rigidamente determinata dall’OperaNazionale Dopolavoro (O.N.D.) ente diretta-mente controllato dai vertici del regime e fi-nalizzato ad indirizzare l’impiego delle ore li-bere dei lavoratori nello spirito di incondizio-nata adesione ideologica. Con la liberazionedell´Italia dal nazifascismo rinasce la possibili-tà per i cittadini di autoorganizzarsi in associa-zioni politiche, culturali, sportive, ricreative. Icittadini, i lavoratori sono impegnati al restau-ro e alla ristrutturazione degli immobili uscitifatiscenti dall´incuria e dalla guerra. Non-ostante le cattive condizioni economiche, laforte volontà di creare centri di vita democra-tica si esprime attraverso una grande mobilita-zione che comporta sottoscrizioni e lavoro vo-lontario. I beni immobili del regime e delle as-sociazioni create in quel periodo, erano passa-ti allo Stato producendo una situazione di in-certezza del diritto di proprietà che consentiràallo Stato di avviare una azione multiformecontro il movimento associativo. E´ in questocontesto che, mentre le sinistre cercano diconservare l´unitarietà del movimento circoli-stico nell´ENAL (nuova denominazione dell’OND) puntando alla sua democratizzazione, i

cattolici prima ed i repubblicani poi,costituiscono proprie organizzazionidel tempo libero fondando le ACLI el´ENDAS alle quali vennero ricono-sciuti tutti i benefici di legge e con-cesso l´utilizzo di impianti e attrezza-ture. Nel 1955 il Ministro Scelba fir-mando il nuovo statuto dell´ENAL,che non accolse nessuna delle istanzedi democratizzazione, spinse i circoli,le case del popolo e le Società di Mu-tuo Soccorso verso la costituzione diun’unica organizzazione nazionale(Associazione Ricreativa Culturale Ita-liana : ARCI). La decisione di dar vita ad una orga-nizzazione unitaria nel campo cul-turale e ricreativo non fu solo le-gata al desiderio di contrastare letendenze centralizzanti dell´ENAL edi competere con la vasta azionesvolta dai circoli confessionali e conle iniziative ricreative dei grandicomplessi aziendali, ma anche allosviluppo di nuove possibilità di uti-lizzo del "tempo libero", che inter-cettassero i segni del cambiamento sociale. Negli anni 60 l‘ARCI comincia così il suo la-voro di trasformazione da movimento di di-fesa ad organizzazione culturale prefiggen-dosi di contribuire al superamento della se-parazione esistente nel paese fra "la culturadei semplici" e "la cultura degli intellettuali".Siamo nel periodo in cui la censura imper-versa sulla produzione culturale di massa (ci-nema, musica, TV, ecc.). “C’era un ragazzo che come me amava iBeatles e i Rolling Stones”, scritto da Mi-gliacci per Gianni Morandi, incappò nellascure della censura televisiva per i versi “mihan detto va nel Vietnam e spara ai Viet-cong”, e un po’ per tutta l’atmosfera antia-mericana che vi si leggeva. Su Morandi eranostate esercitate vere e proprie pressioni per-ché abbracciasse il movimento beat e dices-se “qualcosa di protesta”. Quella protesta cheben riassume il copione di Hair (musical cheesordì nel 1968 a Broadway). Hair raccontala storia di un gruppo politicamente attivo di“capelloni”, “hippies dell’età dell’Aquario”,che combattono la coscrizione alla guerradel Vietnam e conducono insieme una vitada bohemien a New York. La loro lotta ruotaintorno al tentativo di creare un equilibriotra l’armonia della vita comunitaria e i nuovi

valori promossi dalla rivoluzione sessuale, daun lato, e la ribellione pacifica contro laguerra e i valori conservatori dei genitori edella società, dall’altro. Ed è proprio forse lamusica a chiarire il carattere ambivalentedell’universo giovanile di quegli anni. In Ita-lia questi caratteri di ambiguità si ravvisaro-no nell’atteggiamento dei giovani di frontealla politica. Da una parte vi fu l’imporsi diatteggiamenti individualistici che portaronoad un crescente distacco dal “sistema deipartiti” e al disinteresse per la partecipazionepolitica, dall’altra nuove tensioni conflittua-li soprattutto tra i giovani operai, che inizia-rono a mobilitarsi autonomamente per otte-nere non solo salari più alti ma anche carichidi lavoro più sopportabili. Furono proprio le nuove tensioni sviluppate-si nel mondo giovanile, studentesco e ope-raio, a scatenare la stagione dei movimentialla fine degli anni 60.Il movimento studentesco raggiunse il suoapice nella primavera del 1968 con l’occupa-zione dell’Università di Roma. Fu un punto disvolta nella parabola del movimento, che apartire da quel momento si fece più politi-cizzato e disposto allo scontro con l’estremadestra e con la polizia. Dopo un mese di oc-cupazione arrivò lo sgombero violento del-l’università da parte delle forze dell’ordine ein seguito lo scontro aperto con cariche del-la polizia e reazione degli studenti che in-cendiarono i mezzi della polizia e mandaronoall’ospedale decine di poliziotti. Inizia da quil’accettazione della violenza da parte di unmovimento che fino ad allora era stato so-stanzialmente pacifico e che ora decideva dicontrastare lo Stato e il suo monopolio dellaforza. Le istanze libertarie e dissacranti deiprimi mesi lasciarono spazio a un rapido pro-cesso di iperpoliticizzazione che portò allaframmentazione del movimento in tantigruppuscoli e partitini spesso in contrastol’uno con l’altro.Il movimento si istituzionalizzava attraversoformazioni che cercavano una propria strut-turazione organizzativa in grado di consen-tire quell’azione politica che prima era espli-

PREGHIERA IN GENNAIO

(F. De Andrè)

Lascia che sia fiorito Signore il suosentiero quando a te la sua anima e almondo la sua pelle dovrà riconsegnarequando verrà al tuo cielo là dove inpieno giorno risplendono le stelle.Quando attraverserà l’ultimo vecchioponte ai suicidi dirà baciandoli allafronte venite in Paradiso là dove vadoanch’io perché non c’è l’inferno nelmondo del buon Dio. Fate che giungaa voi con le sue ossa stanche seguitoda migliaia di quelle facce bianche, fa-te che a voi ritorni tra i morti per ol-traggio che al cielo ed alla terra mo-strarono il coraggio. Signori benpen-santi spero non vi dispiaccia se in cie-lo, in mezzo ai santi, Dio fra lesue braccia soffocherà il sin-ghiozzo di quelle labbra smorteche all’odio e all’ignoranza pre-ferirono la morte. Dio di miseri-cordia il tuo bel Paradiso lo haifatto soprattutto per chi non hasorriso per quelli che han vissu-to con la coscienza pura l’infer-no esiste solo per chi ne ha pau-ra. Meglio di lui nessuno mai tipotrà indicare gli errori di noitutti che puoi e vuoi salvare.Ascolta la sua voce che ormaicanta nel vento. Dio di miseri-cordia vedrai sarai contento.

(Canzone dedicata da Fabrizio De Andrè a Luigi Tenco subito dopo il suo suicidio)

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citamente rifiutata. L’obiettivo era orientareuna classe operaia già in movimento, rilan-ciarne la predisposizione rivoluzionaria emettersi alla testa di una alleanza sociale ingrado di affrontare lo scontro con lo stato edi farsi motore di un profondo mutamentosociale. Il riuscito e prolungato collegamentotra movimento studentesco e lotte operaie èun carattere distintivo del 68 italiano. Un’ al-tra particolarità è rappresentata dalla pre-senza significativa dei cattolici. Il movimentostudentesco aveva preso le mosse dagli am-bienti cattolici della facoltà di sociologiadell’Università di Trento e dalla Cattolica diMilano e aveva poi trovato una delle suecomponenti essenziali nelle elaborazioni delcosiddetto cattolicesimo del dissenso. Sonoanni in cui più alte diventano le defezionisacerdotali, soprattutto di giovani preti cheavvertono la crisi del ruolo del clero in unasocietà che si sta secolarizzando. (Per controsi rafforza la presenza di preti operai, checercano di condividere l’esperienza di vita edi lavoro dei soggetti più emarginati e affi-dano alla testimonianza la loro missione.) Apartire dal 1966-67 nacquero aggregazionicattoliche che si ponevano in esplicito e ra-dicale dissenso con le gerarchie ecclesiasti-che, giudicate troppo timide e conservatrici.Si costituirono delle “comunità di base” cheriunivano sacerdoti e laici intenzionati amuoversi senza il vincolo di obbedienza alleautorità ecclesiastiche. La contestazione ec-clesiale tendeva a leggere lo stesso ConcilioVaticano II (1962,1965) come una rivoluzio-ne democratica della Chiesa, magari sottol’influsso del dialogo marxismo-cristianesimoe con una forte attenzione al discorso elabo-rato dalla teologia della liberazione. I feno-meni rivoluzionari che andavano sviluppan-dosi nel mondo, dall’America Latina all’Asia,venivano interpretati come importanti mani-festazioni di una rivoluzione che si stava tra-sferendo nei paesi occidentali. Ecco allora ilsuccesso dei guerriglieri sudamericani, deipreti rivoluzionari dell’America Latina, di Fi-del Castro, Che Guevara e dell’esperienza cu-bana, dei combattenti vietnamiti e di Ho ChiMinh impegnati contro il Golia americano, diMao Tsetung e della rivoluzione culturale inCina. Rispetto ai nemici “storici” e visibili(come il comunismo o il liberalismo), la Chie-sa scopre di avere di fronte il pericolo di unanuova sensibilità popolare tendente a ridur-re l’importanza dei valori religiosi. La grandemaggioranza degli italiani manteneva sì unorientamento cristiano, ma tale radicamentosembrava essere più di facciata che di so-stanza. Il processo di modernizzazione delpaese, pur non sradicando i riferimenti reli-giosi, li rendeva più deboli e incerti proprionel momento in cui si stavano diffondendoaltre forme e movimenti di spiritualità. Gliordini e le congregazioni religiose venneromessi a dura prova dalle tensioni interne allaChiesa e da quelle esterne della contestazio-ne studentesca. Le stesse attività conciliarispingevano i religiosi a scoprire il fascinodell’impegno pastorale e sociale sul territorioe a interrogarsi sul modo più adeguato di in-terpretare il carisma dell’ordine e della con-gregazione di appartenenza. Il clima socialeche attribuiva grande valore ad un impegnosociale e politico tra la gente dei quartieri,nelle periferie urbane, negli ambienti di la-

voro ha sicuramente pesato sulla crisi di ri-conoscimento della vita consacrata, tant’èche il difficile passaggio del post-Concilio edella contestazione studentesca sembra averindebolito più gli istituti religiosi che laChiesa delle diocesi e delle parrocchie. Il Concilio aveva richiamato la Chiesa ad unapresenza più spirituale e pastorale nella so-cietà, meno coinvolta nelle specifiche sceltepolitiche dei diversi contesti in cui operava.L’inizio di questo nuovo corso avvenne sottoil pontificato di Paolo VI che, con scelte co-raggiose e sofferte, cercherà di tenere unitauna Chiesa sempre più divisa tra conservato-ri e progressisti. La ripresa dei temi e dei di-battiti spirituali segnò la fine dello strettocollateralismo tra associazioni cattoliche eDC. L’Azione Cattolica se ne distanziò pro-gressivamente, fino a compiere la cosiddetta“scelta religiosa” che portò ad un minore im-pegno in politica a vantaggio di un aumen-tato sforzo in ambito religioso, spirituale epastorale. Le ACLI, al decimo congresso(1966) misero in discussione l’unità politicadei cattolici, ponendo fine alla propria di-pendenza dalle gerarchie ecclesiastiche e ac-centuando la propria collocazione a sinistra.Nel blocco cattolico settori sempre più ampiguardavano apertamente a sinistra, in con-sonanza con temi che erano statimessi in rilievo dallo stesso Concilio,come quello della “chiesa dei pove-ri”. Il culmine della saldatura tra cul-tura cattolica e nuova sinistra si toc-cò con la diffusione del libro di DonMilani “Lettera a una professoressa”(1967). Anche grazie al contributoche venne dalle analisi di Don Mila-ni, alcuni Comitati e circoli dell´AR-CI (in particolare a Firenze) speri-mentarono forme di doposcuola ela costruzione di occasioni e sedi diiniziativa per e con i ragazzi, capacidi fornire stimoli ed esperienze chela scuola non poteva dare loro.L´Istituzione Scolastica appariva, in-fatti, del tutto impreparata a rendere effetti-vo il diritto all’istruzione (la scuola mediaobbligatoria, con estensione dell´obbligoscolare fino ai 14 anni di età, diventa normadi legge nel 1962) ed emarginava molti ra-gazzi , quasi sempre, di estrazione operaia ocontadina. Possiamo dire che ci sono stati molti ’68. C’èovviamente il 68 degli studenti e del movi-mento operaio. Ma c’è anche il 68 della psi-chiatria e della medicina alternativa, dellamagistratura, del mondo della scuola, delmovimento femminista, del movimento con-ciliare, perfino di un certo fermento demo-cratico dentro la polizia. Tant’è vero chequando si tirano le somme della repressionegiudiziaria del movimento complessivo del1968-1969, si trovano accomunati in decinedi migliaia di denunce e processi studenti,operai, preti e laici, insegnanti, psichiatri,

medici,etc.. La domanda che sorge è la se-guente : c’è qualcosa che accomuna i molti68, una spinta profonda, un orizzonte disenso? Un orizzonte di senso sul quale, forse,Luigi Tenco si era già interrogato l’anno pri-ma (1967) quando il suo brano “Ciao amoreciao” non fu ammesso alla serata finale delFestival di San Remo (dodicesimo posto nelvoto popolare e fallito ripescaggio). Il suocorpo venne trovato nella camera dell’alber-go con un foro di proiettile alla testa. Un bi-glietto vergato a mano riportava: « Io ho vo-luto bene al pubblico italiano e gli ho dedi-cato inutilmente cinque anni della mia vita.Faccio questo non perché sono stanco dellavita (tutt'altro) ma come atto di protestacontro un pubblico che manda "Io tu e le ro-se" in finale e ad una commissione che sele-ziona "La rivoluzione". Spero che serva achiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. »Una significativa risposta della Chiesa alleattese del mondo contemporaneo era statapresentata nel 1966 con la “Gaudium etspes” (1966), che affrontava organicamente itemi della cultura, della vita economico-so-ciale, del matrimonio e della famiglia, dellacomunità politica, della pace e della comuni-tà dei popoli, alla luce della visione antropo-logica cristiana e della missione della Chiesa.

Tutto deve essere considerato a partire dallapersona e in direzione della persona : “la solacreatura sulla terra che Dio abbia voluto per sestessa”. Paolo VI, presentando lo sviluppo comepassaggio da condizioni di vita meno umane acondizioni più umane affermerà che sviluppo èil nuovo nome della pace (“Populorum Progres-sio” - 1967) e implica, per ogni persona , l’ac-quisizione della cultura, il rispetto della dignitàdegli altri, il riconoscimento dei valori spiritualie della loro sorgente. Nel 1967 Paolo VI istituiràla Pontificia Commissione “Iustitia et Pax” e, acominciare dal 1968, su sua iniziativa, la Chiesacelebrerà, il primo giorno dell’anno, la GiornataMondiale della Pace. In quello stesso anno(1968) a Bologna, tale giornata verrà celebratadal Cardinal Lercaro con una famosa e fermis-sima condanna della guerra del Vietnam.

Marco MalagoliGruppo animatori cristiani ambiente di lavoro

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PER SAPERNE DI PIU’[1] A.Di Michele “Storia dell’Italia repubblicana (1948-2008)”

Ed. Garzanti[2] Supplemento a MICROMEGA n.1/2008 “Sessantotto : Mito e realtà”[3] Storia dell’ARCI : www-arci.it[4] F. Garelli “La Chiesa in Italia” Il Mulino Farsi un’idea

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L’8 maggio 1971 il Consiglio Permanente del-la CEI, affermava in un comunicato che leACLI, per il loro impegno sociale e per le scel-te operate, non si potevano più enumerare trale Associazioni raccomandate dalla GerarchiaEcclesiastica; questa dichiarazione fu ripresada Paolo VI con aggravata deplorazione; laconseguenza fu il ritiro degli Assistenti Eccle-siastici dall’Associazione. Il comunicato affer-mava inoltre che la Chiesa Italiana assumevain proprio la pastorale del mondo del lavoro,senza più deleghe ad altri; e si decideva diistituire a livello nazionale, e in ogni diocesi, il“Gruppo sacerdotale della pastorale del lavo-ro”, con lo scopo di riunire in un unico organi-smo quei sacerdoti che, a vario titolo e con di-verse presenze, operavano in questo ambitopastorale. I Gruppi avrebbero dovuto costitui-re il coordinamento, con un sacerdote delega-to diocesano, della pastorale del mondo dellavoro ed essere i promotori del suo inseri-mento all’interno della pastorale ordinariadelle Chiese locali, a partire dalla parrocchia.L’ONARMO, già da tempo aveva cominciatoad “inventarsi” una presenza nelle fabbriche :con fantasia e sensibilità, il suo direttoreMons. Baldelli aveva cercato tutti gli stru-menti più adatti per evangelizzare quel mon-do. Promosse attività sociali e ricreative, orga-nizzando mense aziendali, dormitori, scuoleserali ma, soprattutto, è a lui che si deve l’i-dea dei cappellani del lavoro. In prima perso-na girò l’Italia intera bussando alle porte deiVescovi per chiedere di mandare sacerdoti co-me cappellani. Nacque in questo modo, a Bo-

logna una comunità costituita da un gruppet-to di sacerdoti che dovevano assistere a tem-po pieno i lavoratori e che vivevano insieme,si aiutavano a vicenda, si confrontavano permigliorare il loro apostolato. Nella città felsi-nea, il Seminario dell’ONARMO (che aveva ac-quistato la sua fisionomia e funzione già apartire dal 1949) era aperto a tutti e i giova-ni seminaristi arrivavano da tutte le diocesid’Italia per studiare materie quali : storia so-ciale della Chiesa, diritto del lavoro, malattiesociali, sociologia, economia politica, pedago-gia e psicologia. Il card. Lercaro riteneva chel’ONARMO dovesse svolgere essenzialmentedue servizi al mondo del lavoro : da una par-te, dare ai lavoratori casa e pane; dall’altra,offrire anche un sostegno di tipo spirituale. E’significativa la testimonianza di Mons. Maga-gnoli che racconta come il card. Nasalli Roc-ca, predecessore del card. Lercaro, gli avesseraccomandato di non stare né dalla parte de-gli operai, né da quella dei padroni, perché ilsuo compito era quello di fare il prete degliuni e degli altri. Il Seminario chiuse nel 1975per mancanza di vocazioni. Proprio in queglianni terminava il lungo ciclo di protesta ope-raia iniziata con la grande fase di mobilitazio-ne nazionale dell’autunno 1969 (il cosiddetto“autunno caldo”) per il rinnovo del contrattodei metalmeccanici conclusasi con importan-ti conquiste dei lavoratori, sia sul fronte retri-butivo sia su quello delle condizioni di lavoro.Sulla spinta delle dure lotte operaie e studen-tesche, era emersa violentemente l'esigenza diuna gestione diretta, in prima persona, deiproblemi della salute da parte dei lavoratori edi un modo diverso di fare medicina nella so-cietà. La difesa della salute sul lavoro divennea quel punto un nodo centrale dell'iniziativasindacale e politica, tanto che il Parlamentostesso si trovò costretto a riconoscerne l'im-portanza, approvando con la legge 300 del1970 "Statuto dei Lavoratori" l'art. 9 che, ro-vesciando la logica fino allora dominante, af-fermava: "I lavoratori, mediante loro rappre-sentanze, hanno diritto di controllare l'appli-cazione delle norme per la prevenzione degliinfortuni e delle malattie professionali e dipromuovere la ricerca, l'elaborazione e l'atti-vazione di tutte le misure idonee a tutelare laloro salute e la loro integrità fisica". Il rappor-to quindi, che prima avveniva quasi esclusiva-mente tra mondo medico-scientifico e padro-nato, cominciò ad avere un terzo interlocuto-re, un terzo soggetto: il lavoratore. Ma il cam-mino era ancora lungo ed impervio. Negli Sta-ti Uniti le industrie e le loro associazioni di ca-tegoria continuavano a sostenere che, quan-do tra il Natale 1973 e il gennaio 1974 si era-no accorte che gli operai del ciclo produttivoCVM-PVC (“ciclo produttivo della plastica”)morivano di tumore al fegato con troppa fre-quenza, era stato per loro come essere colpitida un fulmine a ciel sereno. Non era propriocosì. E il problema non riguardava solamentele aziende al di là dell’oceano. Nel corso deglianni sessanta l’oncologo bolognese CesareMaltoni si era cimentato con la complessa

problematica legata alla nocività delle mate-rie plastiche. Sapeva perfettamente dell’inesi-stenza in natura di molecole composte di clo-ro e di carbonio. E sapeva benissimo che , finoad allora, nessuno era ancora riuscito a verifi-care il loro impatto sull’ambiente e sull’uomo.Per le sue prime ricerche, aveva sfruttato leancora misere e inutilizzate strutture del ca-stello di Bentivoglio, situato a meno di ventichilometri da Bologna, sulla direttrice di Fer-rara. Nelle ultime fasi della seconda guerramondiale questo grande castello era statoadibito a ospedale militare britannico. Daquell’epoca, però, era rimasto in stato di se-miabbandono. Al suo recupero e a un suo piùadeguato utilizzo ci pensò il professore con lasua grande vitalità e con la voglia di trovarespazi sempre maggiori per le sue ricerchescientifiche. Gli approfondimenti bolognesi inmateria di CVM portarono alla conferma del-la sua cancerogenicità e contribuirono al rico-noscimento di questo problema da parte del-le multinazionali. Una storia che si ripeteràper un’altra materia ampiamente diffusa edutilizzata nei cicli produttivi: l’amianto. Il te-ma dell’informazione sulla pericolosità dellesostanze utilizzate in ambito industriale non-ché l’importanza di fornire a tutti una corret-ta e trasparente informazione assunse parti-colare rilevanza anche per l’attività legislativaeuropea in occasione dell’ incidente del 10 lu-glio 1976 alla ICMESA di Seveso. In Italia, l’o-pinione pubblica non aveva ancora comincia-to a rivolgersi con occhio critico ai grandi in-sediamenti industriali e a valutare il dannoche questi possono comportare nei termini dicoinvolgimento del tessuto socio-produttivo,delle attività preesistenti. Per quanto in ritar-do rispetto agli analoghi movimenti presentinegli Stati Uniti, si svilupparono velocementeanche in Europa fenomeni di opposizione agliinsediamenti industriali, in particolare se nu-cleari. In Italia questo avvenne in occasionedella costruzione della quinta centrale italiana(Montalto di Castro, nel viterbese). Nella po-polazione di Montalto l’opposizione divenneconsistente nel corso del 1976 e, soprattutto,del 1977, con l’occupazione della stazioneferroviaria di Capalbio e blocchi stradali. Pre-se così vigore in quegli anni il movimento an-tinucleare e le varie contestazioni a caratterelocale ed eterogeneo cominciarono a configu-rarsi come un movimento nazionale control’energia nucleare.L’ENEL (che, a cavallo del processo di nazio-nalizzazione delle imprese elettriche avevaassorbito le Società che avevano costruito le12

Quando la società non era ancora “liquida”

Terza puntata

Eppure soffia (Pierangelo Bertoli,1977)

E l'acqua si riempie di schiuma il cielo di fumi la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi uccelli che volano a stento malati di morte il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porteun'isola intera ha trovato nel mare una tomba il falso progresso ha voluto provare una bombapoi pioggia che toglie la sete alla terra che è vita invece le porta la morte perché è radioattiva

Eppure il vento soffia ancora spruzza l'acqua alle navi sulla prora e sussurra canzoni tra le fogliebacia i fiori li bacia e non li coglie

Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale ha dato il suo putrido segno all'istinto bestialeha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario e tutta la terra si è avvolta di un nero sudarioe presto la chiave nascosta di nuovi segreti così copriranno di fango persino i pianeti vorranno inquinare le stelle la guerra tra i soli i crimini contro la vita li chiamano errori

Eppure il vento soffia ancora spruzza l'acqua alle navi sulla prora e sussurra canzoni tra le fogliebacia i fiori li bacia e non li coglie eppure sfiora le campagne accarezza sui fianchi le montagnee scompiglia le donne fra i capelli corre a gara in volo con gli uccelli Eppure il vento soffia ancora!!!

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prime tre centrali nucleari italiane) alla finedel 1969 aveva dato segnali di un rinnovatointeresse per il nucleare e – dopo una pausadurata un decennio – deciso di avviare la co-struzione (1971) a Caorso della quarta cen-trale italiana. Il programma ENEL prevedeva,per il quadriennio 1970-1974, l’ordinazione,in media, di una unità nucleare da 800-1000MWe all’anno, ma vennero poi negati all’E-NEL, i necessari finanziamenti, con la conse-guente sosta forzata fino al 1972, quando ilprogramma fu ripreso. A partire dagli annisettanta la programmazione energetica a li-vello governativo (CIPE) prese forma con iPiani Energetici Nazionali. Il primo program-ma energetico fu il PEN 1975 che si propone-va il graduale superamento del formidabilesquilibrio dell’offerta, concentrata per oltre il70% su prodotti petroliferi, aumentando –nel breve periodo – l’utilizzo di fonti energe-tiche alternative (metano e carbone), nel me-dio-lungo periodo riprendendo la ricerca incampo geotermico, completando gli investi-menti sul settore idroelettrico e varando unprogramma elettronucleare di notevoli di-mensioni. Il nuovo interesse per il nucleareera sicuramente legato all’enorme crescitadel prezzo del petrolio che causò una gravecrisi economica su tutti i paesi industrializ-zati in particolare quelli, come l’Italia, più di-pendenti dal petrolio come fonte principaledi energia per la produzione e i trasporti escarsamente dotati di proprie risorse energe-tiche. Per la prima volta nell’economia mon-diale stagnazione ed inflazione, due fenome-ni ritenuti fino a quel momento incompatibi-li, si presentano assieme. Le industrie sonocostrette a lavorare notevolmente al di sottodelle loro possibilità e a licenziare il persona-le in esubero. Inevitabilmente una grave on-data di disoccupazione investe l’intero terri-torio nazionale. E’ la fine degli anni del boomeconomico. In Emilia- Romagna subiscono unnotevole ridimensionamento (e in parte ven-gono venduti ad altre società) i grossi im-pianti petrolchimici costruiti dalla Monteca-tini e dall’ENI negli anni 50-60 tra Ferrara eRavenna (Si tratta degli unici grossi insedia-menti provenienti da capitale e progettazio-ne extra-regionale, che proprio per questonon si sono mai ben integrati con il resto deltessuto produttivo locale, pur divenendoneuna parte non trascurabile). E con i primi il-leciti per la realizzazione di opere pubbliche,nel 1971, ebbe inizio la “stagione degli scan-dali”. Il maggiore impatto sull’opinione pub-blica lo ebbe però, nel 1974, lo scandalo deipetroli, che vide accusati petrolieri ed espo-nenti politici, tra i quali i segretari ammini-strativi dei quattro partiti di governo. L’eco-nomia pubblica, che in passato aveva svolto– seppure in maniera discontinua e contrad-ditoria – un innegabile ruolo positivo, risulta-va ormai incapace di produrre profitti. Di-venne possibile, e anche facile, che il ruolo disupporto prestato dalle imprese pubbliche al-le politiche governative degenerasse nel so-stegno economico ai partiti politici, prevalen-temente a quelli di governo. La collusioneche si creò in tal modo tra ceto politico e ce-to dirigente d’impresa, proprio nella fase dimassimo successo e riconoscimento,pose le premesse per la decadenzadell’impresa pubblica. A partire da-gli anni 70 il processo degenerativosi sviluppò con un’intensità tale danon poter più essere ignorato e dasuscitare una violenta reazione. Inquegli anni, la mobilitazione di

massa avviatasi con il ’68 iniziò a scemare.Proprio la fine del coinvolgimento delle mas-se nella protesta lasciò spazio a forme di ri-bellione individuali e violente. Secondo alcu-ni sociologi ogni “ciclo di protesta” conosce-rebbe sempre nella sua fase terminale unmomento in cui la tendenza naturale allaconclusione della mobilitazione verrebbecontrastata dall’azione di una minoranza or-ganizzata che, attraverso forme di violenza,cerca di mantenere in vita l’onda della pro-testa. E’ quanto avvenne in Italia, dove pro-prio intorno al 1972-73, di fronte al declina-re dell’azione collettiva, si assistette al mol-tiplicarsi di episodi isolati di violenza esplici-ta e mirata. Questa fase fu particolarmentelunga e virulenta e vide la violenza organiz-zata – che non fu un carattere proprio del’68, ma piuttosto il prodotto del suo esauri-mento – farsi brodo di coltura del terrorismo.In quegli anni, il giornalista De Mauro e loscrittore Pasolini, probabilmente avevano inmano le informazioni giuste per denunciarela presenza, in Italia, di un volto oscuro delpotere. Il primo stava preparando la sceneg-giatura del film di Francesco Rosi sulla mor-te di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni cheosò sfidare le compagnie petrolifere interna-zionali. Il secondo stava scrivendo il romanzoPetrolio, una denuncia contro la destra eco-nomica e la strategia della tensione. DeMauro e Pasolini furono uccisi. Entrambiavrebbero presentato una tesi piuttosto sco-moda: e cioè che con l’uccisione di Matteiavesse preso il via un'altra storia d'Italia, unintreccio perverso e di fatto eversivo, sul cuisfondo si intravedeva il ruolo della loggia P2e del "sistema Cefis" (controllo dell’informa-zione, corruzione dei partiti, rapporti con iservizi segreti, primato del potere economi-co su quello politico). L’attentato di PiazzaFontana (1969) – che inaugurava il lungoelenco di stragi (compiute fino al 1980 –quella con il bilancio più alto di vittime, il 2agosto, alla stazione di Bologna) contribuì inmaniera decisiva alla scelta, compiuta dagruppi rivoluzionari di estrema sinistra, di at-taccare lo Stato. Per circa quattro anni leBrigate Rosse, costituitesi nell’ottobre 1970,si erano dedicate a quella che essi stessi defi-nirono “propaganda armata”, ovvero adazioni dimostrative come sabotaggi in fab-brica, aggressioni ai danni di capireparto orapimenti di dirigenti industriali che si con-cludevano con il “processo” e il successivo ri-lascio. Si trattava di azioni che miravano acolpire bersagli individuali all’interno deglistabilimenti industriali e che ancora non siconcludevano con spargimenti di sangue. Mail momento culminante dell’attacco portatodalle BR ai vertici delle Istituzioni fu il rapi-mento di Aldo Moro, che rappresentava ilmassimo obiettivo possibile: era il leader delmaggior partito italiano e l’artefice del coin-volgimento del PCI nell’area di governo, cheaveva consentito il compatto arroccamentodel sistema politico in contrapposizione allacontestazione sociale. Tra la fine del ’76 e l’i-nizio del ’77 la ripresa terroristica – dopouna fase di quasi smantellamento operata

dal Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa - trassesostegno da una nuova eruzione sociale, chefece guadagnare centinaia di militanti e sim-patizzanti, senza per questo riuscire a con-quistare un consenso sufficientemente este-so da rendere immaginabile la trasformazio-ne del terrorismo in qualcosa che si avvici-nasse all’idea di un movimento rivoluziona-rio. Il movimento del ’77 praticò ampiamentee teorizzò il ricorso alla violenza diffusa, chesi concretizzò nello scontro cercato e siste-matico con le forze dell’ordine, nell’attaccostudiato a determinati obiettivi, sedi, edifici,in episodi di vera e propria guerriglia urbanacon la distruzione di negozi, vetrine, auto, at-traverso l’uso di molotov, spranghe, armi dafuoco. A Bologna, la mattina dell'11 marzo1977, alcuni appartenenti al movimento de-gli studenti avevano cercato di partecipare aduna assemblea di Comunione e Liberazioneche si teneva in un aula dell'istituto di anato-mia in via Irnerio; questo aveva provocato deitafferugli ed erano state fatte intervenire leforze dell'ordine. Incidenti si verificarono inseguito all'intervento della polizia e, in viaMascarella lontano dalla zona in cui vi eranogli scontri, vennero sparati i colpi di arma dafuoco che colpirono a morte lo studente emilitante di Lotta Continua Francesco Lorus-so. Dopo questa uccisione gli scontri si fece-ro sempre più duri, vennero erette barricate,vennero causati gravi danni a locali pubblici.La città venne posta in stato d'assedio conl'arrivo di mezzi blindati e carri armati. Leforze dell'ordine fecero irruzione a Radio Ali-ce, una delle radio che aveva dato voce almovimento e che trasmetteva in diretta gliscontri; la radio venne chiusa e le personeche conducevano le trasmissioni vennero ar-restate. Simbolo del ’77 divenne presto unafoto scattata a Milano il 14 maggio, quandoda un corteo studentesco si staccarono alcu-ne persone che fecero fuoco sulla polizia uc-cidendone un sottufficiale. La foto ritraevaun giovane in passamontagna, solo, in mezzoalla strada che, gambe divaricate e bracciatese, puntava la sua P38 contro la polizia.Nelle parole di Umberto Eco : “quella fotonon assomigliava a nessuna delle immagini incui si era emblematizzata, per almeno quat-tro generazioni, l’idea di rivoluzione. Manca-va l’elemento collettivo, vi tornava in modotraumatico la figura dell’eroe individuale…Questa immagine evocava altri mondi, altretradizioni che non avevano nulla a che vede-re con la tradizione proletaria, con l’idea di ri-volta popolare, di lotta di massa.” Il nuovomovimento aveva perso quasi completamen-te il carattere irriverente e sarcastico del ’68che inseguiva l’utopia di una società e di unprivato antiautoritari. Portava nelle piazze ladisperazione e la rabbia di giovani studenti edisoccupati colpiti dalla grave crisi economi-ca, marginalizzati nel degrado delle periferiedelle grandi città, che non vedevano alcunosbocco positivo alle proprie aspirazioni perso-nali e politiche.

Marco MalagoliGruppo animatori cristiani

ambiente di lavoro

PER SAPERNE DI PIU’[1] A.Di Michele “Storia dell’Italia repubblicana (1948-2008)” Ed. Garzanti[2] A.M.Cremonini “Giacomo Lercaro e il suo magistero sociale” Ed. ConquistE[3] F. Casson “La fabbrica dei veleni” Sperling&Kupfer[4] a cura di M.Montanari, M.Ridolfi e R.Zangheri “Storia dell’Emilia Romagna” 2. Dal Seicento ad oggi, Ed. Laterza[5] P.Fornaciari “Il petrolio, l’atomo e il metano” Edizioni 21°Secolo

La profondità del cambiamento vissuto dall’Italia neivent’anni a partire dall’inizio degli anni Settanta nonfu minore degli sconvolgimenti determinatisi nelventennio precedente a seguito della trasformazioneda paese agricolo a paese industriale: in quel perio-do si determina il passaggio da società industriale asocietà postindustriale, con la crescita del settore deiservizi, del settore impiegatizio e delle professioni,delle nuove attività legate agli enormi sviluppi delletecnologie informatiche e delle telecomunicazioni.Al lavoro manuale si sostituisce sempre più il lavorobasato sulla conoscenza, all’operaio il tecnico quali-ficato e la riorganizzazione del lavoro passa ancheattraverso la rideterminazione degli orari di lavoro,con il massiccio utilizzo degli straordinari e dei turni.A seguito di vari interventi legislativi, nei primi anni80, diventa possibile applicare contratti e modalitàdi lavoro più flessibili (contratti di formazione-lavo-ro, contratti di solidarietà, assunzioni a tempo par-ziale e determinato e chiamate nominative), dandoinizio a forme di lavoro “atipiche” se confrontate almodello di impiego che aveva dominato il mercatodel lavoro all’epoca del “fordismo maturo”, ovvero ilcontratto dipendente a tempo pieno e indetermina-to. Su iniziativa degli imprenditori avviene anche ilprogressivo abbandono dei principi organizzativitaylor-fordisti e la diffusione di una minore gerar-chizzazione interna, con ampliamento e rotazionedelle mansioni e l’introduzione di gruppi di lavorocon ampia autonomia organizzativa. Nelle industrie– specialmente in quelle piccole e medie - e nel va-riegato settore dei servizi, non di rado si eludevanogli obblighi contributivi ed assistenziali a favore deilavoratori [1], e nel terziario “tradizionale” si molti-plicavano lavori precari e poco pagati. Le grandiaziende, dal canto loro, proseguivano nelle strategiedi decentramento e nella fabbricazione del prodottofinito mediante tante fasi differenti, ciascuna facil-mente esportabile al di fuori dell’azienda. Non è uncaso che - novant’anni dopo la Rerum Novarum -Giovanni Paolo II dedicasse al lavoro, bene fonda-mentale per la persona, fattore primario dell’attivitàeconomica e chiave di tutta la questione sociale,l’enciclica Laborem Exercens. La Laborem Exercensdelinea una spiritualità e un’etica del lavoro, nelcontesto di una profonda riflessione teologica e filo-sofica che intende il lavoro non solo in senso ogget-tivo e materiale, ma anche nella sua dimensionesoggettiva, in quanto attività che esprime sempre lapersona. Oltre ad essere paradigma decisivo della vi-ta sociale, il lavoro ha tutta la dignità di un ambitoin cui deve trovare realizzazione la vocazione natu-rale e soprannaturale della persona. Ma la ristruttu-razione produttiva e la graduale assunzione da par-te dell’Italia dei caratteri propri di una società po-stindustriale determinarono una profonda trasfor-mazione della stratificazione sociale. Se nei decenniprecedenti la maggior parte degli italiani si era rico-nosciuta in una precisa classe sociale, nella qualeciascuno vedeva rispecchiare i propri interessi, lapropria cultura, le proprie aspirazioni, a partire daglianni 80 diviene sempre più difficile segnare dei con-fini precisi tra i diversi gruppi sociali. Alla “fine delleclassi” si accompagna il progressivo uniformarsi dimodelli di consumo, aspirazioni, stili di vita da partedi aree sociali crescenti e via via maggioritarie nelpaese: quella degli anni 80 fu una seconda rivolu-zione dei consumi dopo quella degli anni 60. Ma se il“miracolo economico” aveva offerto consumi in gra-

do soprattutto di rispondere ai bisogni di ogni gior-no, di alleviare le fatiche del lavoro quotidiano at-traverso i nuovi elettrodomestici, i consumi dell’Ita-lia postmoderna miravano a soddisfare aspirazioni dialtra natura, meno legate a necessità pratiche. Laricchezza degli italiani era enormemente aumentatae con essa le loro esigenze e i loro desideri. Era natoil culto della vacanza, del week end da trascorrere adogni costo fuori città, dei viaggi, della cena in risto-rante o almeno in pizzeria. Si erano moltiplicate leseconde case, le automobili, le roulottes, le moto digrande cilindrata e cominciarono ad entrare nel fra-sario televisivo e dei giornali espressioni come : in-gorgo, coda chilometrica, l’esodo dei vacanzieri. L’o-peraio Cipputi e l’impiegato Fantozzi, avviliti e fru-strati per tutta la settimana cercavano il loro riscat-to il sabato e la domenica. I modelli di comporta-mento di massa instaurati nel periodo di boom eco-nomico erano passati inalterati attraverso le ventatedella contestazione, i drammi crescenti della droga edel terrorismo ma la crisi petrolifera li mise drastica-mente in discussione. Alla fine del 1973, per fron-teggiare la crisi energetica, il governo italiano preseuna serie di provvedimenti volti a diminuire i consu-mi e destinati a imprimersi a lungo nel ricordo e nel-l’immaginario collettivo degli italiani (sospensionedel traffico nei giorni festivi; riduzione dell’illumina-zione pubblica ; conclusione degli spettacoli televisi-vi, cinematografici e teatrali entro le ore 23; chiusu-ra anticipata degli esercizi commerciali con obbligodi spegnere le insegne). Per gli italiani le conseguen-ze psicologiche di tali misure, quasi da economia diguerra, furono pesanti e gli effetti della crisi si fece-ro sentire più che altrove a causa della strutturaledebolezza dell’economia nazionale. A partire daglianni '70 un giovane cantante al culmine del succes-so e della popolarità discografica e televisiva avevacominciato a sentire il disagio del suo ruolo, avver-tendo il bisogno di un senso diverso e di un rappor-to più diretto col pubblico, unito alla voglia di espri-mere liberamente le sue idee senza i condiziona-menti tipici del mercato discografico e i limiti delmezzo televisivo. La sua scelta è difficile ma coeren-te e coraggiosa. Inizia un capitolo completamentenuovo della sua vita artistica: si allontana definiti-vamente dalla televisione e dal circuito discograficoe dà vita al cosiddetto "Teatro Canzone", una formu-la innovativa che alterna canzoni e monologhi. Sonospettacoli, scritti a quattro mani con l'amico pittoreSergio Luporini, che per 30 anni porta nei teatri ditutta Italia con sale sempre esaurite [2]. Sul palco-scenico Giorgio Gaber si presenta solo senza alcunascenografia cantando a volte con basi pre-registrate,altre volte con i musicisti nascosti dietro al sipario.Tutto ciò contribuisce a esaltarne il grandissimo ca-risma scenico. Nei suoi spettacoli Gaber descrive l'e-volversi della società italiana toccando i più svariatiargomenti: famiglia, amicizia, sessualità, solitudine,amore, coscienza individuale, ma anche politica,economia, istituzioni, religione, mass-media, ecc.Ogni argomento viene affrontato con grande onestàintellettuale e portato sul palco con un'energia co-municativa non comune. Gaber e Luporini scavanonella realtà quotidiana senza la presunzione di pro-porre soluzioni ma con il semplice intento di insi-nuare il "dubbio" in chi ascolta. Il loro bersaglio so-no le frustrazioni e le contraddizioni del cosiddettouomo moderno: quelle politiche e quelle erotichedegli anni di piombo, degli anni Settanta italiani. I

due spettacoli “Libertà obbligatoria” e “Polli di alle-vamento” sono insieme il punto di arrivo e la con-clusione, negativa, di un lungo viaggio fatto dai dueautori attraverso miti e realtà, sociali e politici, del-l’arco di tempo che va dal ’68 agli anni Settanta, dalsorgere di una speranza alla sua sconfitta. E infattitutte le canzoni dei due spettacoli sono scritte all’in-segna della sconfitta epocale ed esistenziale, politicae personale. Attraverso un’impietosa descrizione delpresente rivendicano anche, e rilanciano, la speran-za di quegli anni, dal ’68 alle Brigate Rosse escluse, esi oppongono con fermezza e sarcasmo alla meschi-nità e alla follia che chiude questo arco di anni.Questi spettacoli contengono una pedagogia cheeduca attraverso la magia dell’arte a sentimenti in-tensi. E dietro questa pedagogia c’è una visione an-tropologica forte dell’uomo, che rifiuta meschinità,compromessi e debolezze. Il tratto che dà unità alTeatro canzone di Gaber e Luporini è quello del pen-siero critico demistificante, l’irrisione polemica diogni falsa coscienza, di ogni meschinità ammantatadi ideali fasulli. Se la verità è il mito più alto dell’oc-cidente, la verifica caustica di Gaber-Luporini evi-denzia la forte carica d’illusione che ha questo mito:la verità,invece, secondo gli autori è che siamo “pol-li di allevamento” chiusi nelle gabbie di miti e idealifasulli, nelle nostre “libertà obbligatorie”. La causaultima di questa situazione, la radice di questo esse-re “una razza già finita senza neanche cominciare” ènel credere male. “No, non fa male credere / fa mol-to male credere male”. Ma il problema deriva anchedalla mancanza di lucidità politica e di coraggio,dalla mancanza di “rigore e precisione”. Obiettivodegli attacchi è il capitalismo, il dominio degli og-getti : “Nel frattempo gli oggetti erano andati al po-tere. La loro prima vittoria era stata il superamentodel concetto di utilità…” In questo contesto trovia-mo l’accusa all’americanizzazione della nostra socie-tà, contro una libertà che è costrizione, libertà che tiimpediscono di scegliere realmente. In un quadro dicrollo etico-civile non vengono risparmiati gli illusi-confusi della “sinistra degli anni Settanta” dipintiimpietosamente nella canzone “quando è moda èmoda” che è un’ulteriore provocazione scientemen-te costruita. L’ipocrisia, l’inganno, la “falsa coscien-za” esistono anche sul piano privato e la decisa esor-tazione a essere persona intera, individuo sociale, ètema ricorrente. E’ da una rifondazione individualeche bisogna ricominciare e questo, non solo è sem-pre possibile ma è sempre doveroso. Il pubblico, co-me il privato, per Gaber e Luporini (GL) sono cosealte, progetti che devono andare sotto il segno dellamoralità e forse anche dell’utopia (purchè sia “un’u-topia concreta” ). A fianco di una assoluta e lucidaconcretezza il richiamo aperto alla forza vivificantedell’utopia : ossia un richiamo forte a vivere la real-tà per quella che è, senza inutili ossequi al potere eal conformismo sociale, ma anche un invito forte avivere la vita senza paura del mistero che ne è parteintegrante, senza paura dell’ambiguità che ne è al-trettanto parte integrante. Nel richiamo a un agiremorale, concreto e responsabile, è inoltre la rispostadi GL ai dilemmi, agli aut-aut del presente : libertà ouguaglianza, individuo o masse, vero o falso, destrao sinistra, speranza o disperanza, impegno o qualun-quismo….Contro la concezione cartesiana e fonolo-gica di tanta filosofia moderna – “Penso dunque so-no” – GL lanciano una battuta fulminante e polemi-ca : “Io penso dunque sono…..un imbecille”, battuta 13

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daQuando la società nonera ancora “liquida”

Quarta e ultima puntata

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che sinteticamente afferma che la rifondazione delpensiero non è solo un altro modo di pensare, ma unaltro modo di essere “cuore e pensiero aperto”. Fon-damento di un corretto rapporto con la realtà è ilnostro essere Persona e insieme la percezione che, alfondo di noi stessi, vi sono gli altri considerati an-ch’essi Persona. L’intersoggetività, gli altri, sono co-stitutivi della nostra persona. Dice Gaber che questaè una nozione alta di individuo e che il deficit digran parte della sinistra novecentesca sia stato undeficit antropologico, una visione ridotta dell’essereumano. Gaber sostiene che la sua generazione haperso, ma l’ammissione di una sconfitta e la suaanalisi disincantata sono l’unica speranza, l’unicoreale contributo che possiamo ancora dare a chi vie-ne dopo di noi : “Noi, con i nostri slanci, i nostriideali e le nostre utopie, siamo riusciti davvero a mi-gliorare il mondo? Siamo stati padri migliori di quel-li che ci hanno preceduto? Siamo stati un riferimen-to attendibile, un esempio valido per i nostri figli?Purtroppo la mia risposta non riesce ad essere posi-tiva. La gente mi piace sempre meno e l’uomo misembra arrivato al suo minimo storico di coscienza.Alla dittatura del consumo non siamo stati in gradodi resistere: ne siamo stati forse complici inconsape-voli. Per noi era più facile essere pacifisti, antiautori-tari e democratici. I nostri padri avevano fatto la Re-sistenza. Forse avremmo dovuto farla anche noi.. laresistenza. E’ sempre tempo di resistenza.” Nel dis-orientamento sociale e politico della seconda metàanni 70, in un tempo in cui la Chiesa tenta di ridefi-nire una nuova presenza nella società [3], emergonoi primi sintomi di ripresa di quell’associazionismocattolico ufficiale, soprattutto giovanile, che era sta-to fortemente penalizzato dalla stagione della con-testazione studentesca e delle lotte operaie. La finedegli anni 70 è stata un periodo di rinnovato fer-mento, soprattutto per due tipi di gruppi: quelli piùorientati all’azione sociale e quelli caratterizzati daun maggior richiamo all’identità religiosa. La Chiesaavverte la necessità di una nuova mediazione cultu-rale (in termini di sana laicità) che renda intelligibilee interessante il messaggio evangelico anche in unasocietà ormai pluralistica, che ha perso i riferimentireligiosi del passato, aperta a istanze e orientamentidiversi. Era ancora aperto il dibattito sulle elezionipolitiche del 1976 quando si ebbe la presenza dicandidati di matrice cattolica nelle liste dei partitidella sinistra, anche comunista, nonostante i vesco-vi italiani avessero richiamato i cattolici all’incompa-tibilità tra la fede cristiana e l’appoggio a forze poli-tiche di orientamento marxista. Tutto questo rende-va evidente la necessità di un ripensamento del rap-porto fede/cultura/politica evitando sia di far di-scendere dalla fede un solo modello di comporta-mento (di tipo confessionale), sia di separare la fededalla cultura e dalle scelte politiche. In Emilia-Ro-magna, dai primi del 900, i comuni avevano indivi-duato nello spazio municipale e nelle istituzioni po-litico-amministrative le risorse prioritarie non soloper l’organizzazione del consenso nel territorio maanche per vincere la sfida di una grande ed equili-brata trasformazione industriale della società regio-nale (il cosiddetto “modello emiliano”). Con la na-scita delle Regioni come enti amministrativi (1970)si ha per certi aspetti la sanzione del processo di mo-dernizzazione del territorio e il terreno della sfida di-viene il governo dello sviluppo economico e la co-struzione di un’identità collettiva che si confronticon le nuove culture politiche territoriali, nell’inedi-to spazio compreso tra la comunità locale e l’oriz-zonte europeo. Ma la società nel suo complesso co-minciava a manifestare i primi segni di liquidità…..

Marco MalagoliGruppo Animatori Cristiani

Ambiente di lavoro

Non insegnate ai bambini (di Gaber – Luporini)

Non insegnate ai bambini / noninsegnate la vostra morale / ècosì stanca e malatapotrebbe far male / forse unagrave imprudenza / è lasciarliin balia di una falsa coscienza.Non elogiate il pensiero / che èsempre più raro / non indicateper loro / una via conosciutama se proprio volete / insegna-te soltanto la magia della vita.Giro giro tondo cambia il mon-do. / Non insegnate ai bambini/ non divulgate illusioni sociali/ non gli riempite il futuro / divecchi ideali / l'unica cosa sicu-ra è tenerli lontano / dalla no-stra cultura.Non esaltate il talento / che èsempre più spento / non li av-viate al bel canto, al teatro alladanza /ma se proprio volete / raccon-tategli il sogno di un'antica spe-ranza./ Non insegnate ai bambi-ni / ma coltivate voi stessi ilcuore e la mente /stategli sem-pre vicini / date fiducia all'amo-re il resto è niente.Giro giro tondo cambia il mon-do / Giro giro tondo cambia ilmondo.

“Non insegnate ai bambini” può esse-re visto come il testamento spirituale diGiorgio Gaber, e non è certo un caso chesia stata scelta come accompagnamentomusicale al funerale del signor G.

Guardatemi bene (di Gaber – Luporini, Polli di allevamento, 1978)

Guardatemi bene / eccomi da-vanti a voi / non per fare stranimischia menti / non per stareinsieme /non mi va la vostra scuola, lavostra famiglia / e di rispettarvinon ho nessuna voglia.Guardatemi bene / non credopiù a niente / non voglio più la-vorare / come un deficiente.Non ho più speranze / mi sonofregato / ma ormai me ne fotto./ Avete visto come sono ridotto.Pa pappà-parà-parà pappà-parà-parà / Pa pappà-parà-parà pap-pà-parà-paràGuardatemi bene / ora non neposso più /non ho più problemidi coscienza /ne ho le palle pie-ne.Me ne frego dei partiti / me nefrego dei gruppi / tentativi di-sperati / ne ho fatto già troppi.E ora andiamo a ballare / tantoper consolarci / su quello cherimane /sui circoli ARCI.Arriva la febbre / del sabato se-ra / e io mi ci butto. /Avete vistocome sono ridotto.Pa pappà-parà-parà pappà-parà-parà / Pa pappà-parà-parà pap-pà-parà-paràGuardatemi bene / eccomi da-vanti a voi / con lo stile arguto/ di un giullare gaio, originale /eccomi che mi esibisco e vi ridosul muso /fiero dei miei orec-chini e degli spilli nel naso.……….Guardatemi bene/ ho gli occhinel vuoto /drogati e corrotti.Avete visto come siete ridotti/avete visto come siete ridotti.Pa pappà-parà-parà pappà-parà-parà

Per saperne di più:

[1] A. Di Michele “Storia dell’Italia Repubblicana(1948-2008)” Ed. Garzanti

[2] P. Jachia “Giorgio Gaber 1958-2003 Il teatro e le canzoni” Ed. Riuniti

[3] F. Garelli “La Chiesa in Italia” Serie Farsi un’idea Ed. Il Mulino