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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M.FANNO” CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA E DIRITTO TESI DI LAUREA IL REPORT INTEGRATO: L’EVOLUZIONE DELLA CORPORATE REPORTING Il caso Marks & Spencer RELATORE: CH.MO PROF. GIACOMO BOESSO LAUREANDA: MARTINA BROCCARDO MATRICOLA N. 1108373 ANNO ACCADEMICO 2015-2016

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M.FANNO”

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA E DIRITTO

TESI DI LAUREA

IL REPORT INTEGRATO: L’EVOLUZIONE DELLA CORPORATE REPORTING

Il caso Marks & Spencer

RELATORE:

CH.MO PROF. GIACOMO BOESSO

LAUREANDA: MARTINA BROCCARDO

MATRICOLA N. 1108373

ANNO ACCADEMICO 2015-2016

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Il candidato dichiara che il presente lavoro è originale e non è già stato sottoposto, in tutto o in

parte, per il conseguimento di un titolo accademico in altre Università italiane o straniere.

Il candidato dichiara altresì che tutti i materiali utilizzati durante la preparazione dell’elaborato

sono stati indicati nel testo e nella sezione “Riferimenti bibliografici” e che le eventuali citazioni

testuali sono individuabili attraverso l’esplicito richiamo alla pubblicazione originale.

Firma dello studente

_________________

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Ai miei genitori, a Federica e ad Alessio

per esserci, sempre.

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INDICE

INTRODUZIONE .................................................................................................................... 9

CAPITOLO 1

IL CONTESTO

1.1 L’azienda: l’evoluzione del concetto .................................................................................. 13

1.2 La Corporate Social Responsability ................................................................................... 17

1.3 Gli Stakeholders ................................................................................................................. 21

1.4 Il vantaggio competitivo e la CSR ...................................................................................... 25

1.5 La CSR e la politica europea ed internazionale .................................................................. 29

1.6 Le linee guida per la rendicontazione ................................................................................. 39

1.7 Verso il Bilancio Integrato ................................................................................................. 47

1.8 Definizione della domanda di ricerca ................................................................................. 49

CAPITOLO SECONDO

IL BILANCIO INTEGRATO: IL NUOVO STADIO DI CORPORATE REPORTING

2.1 L’informativa non finanziaria e il suo grado di diffusione ................................................. 53

2.2 L’IIRC e la nascita del Framework .................................................................................... 65

2.3 Finalita’ del Report Integrato e struttura del Framework ................................................... 67

2.4 Benefici e criticita’ del Report Intergato ............................................................................ 81

2.5 Auditing e assurance ........................................................................................................... 87

2.6 La materialità’ secondo l’IIRC ........................................................................................... 91

2.7 La regolamentazione verso il Report Integrato in Europa: la Direttiva 2014/95 UE ......... 93

2.8 La formulazione dei quesiti e metodi di ricerca ................................................................. 97

CAPITOLO TERZO

L’ESEMPIO DI MARKS & SPENCER

3.1 La prima domanda di ricerca ............................................................................................ 107

3.2 La seconda e terza domanda di ricerca ............................................................................. 143

3.3 Discussione dei risultati ottenuti: un quadro generale delle evidenze empiriche ............. 159

CONCLUSIONI, LIMITI ED IMPLICAZIONI ............................................................... 163

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................. 173

SITI CONSULTATI ............................................................................................................. 185

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INTRODUZIONE

“Non ciò che è bene per l’impresa è bene per la società,

ma ciò che è bene per la società è bene per l’impresa”.

Kofi Annan

Il tema della presente tesi riguarda l’Integrated Reporting, un sistema di rendicontazione,

recentemente emerso, che ha suscitato interesse in diverse aziende consapevoli della rilevanza

della responsabilità sociale nel contesto attuale vittima della complessità.

Il sistema in questione sviluppa un reporting che tratta al contempo l’informazione finanziaria

e non finanziaria (ambientale, sociale e di governance) in modo integrato. Poiché la disclosure

esterna di un’impresa si svolge prevalentemente attraverso i bilanci d’esercizio o consolidati,

recanti quasi esclusivamente l’informativa finanziaria e correlati solo su base volontaria da un

report di sostenibilità, questo nuovo strumento ha come obiettivo quello di dare una visione

olistica non più basata sull’idea di gerarchia del valore economico bensì sull’eterarchia dei

valori dove valore sociale ed ambientale sono presupposto e condizione per la creazione di

quello economico.

Sulla scia di quanto sopra affermato, l’elaborato si divide in tre capitoli.

Il primo capitolo si occupa di definire il contesto in cui nasce e si afferma il tema della

Responsabilità Sociale di Impresa (RSI) o Corporate Social Responsability (CSR) e la sua

rilevanza assunta nelle logiche manageriali, delineando un nuovo modello di gestione e governo

dell’impresa predisposto al bilanciamento degli interessi di tutti gli stakeholders1 (par. 1.2 e

1.4). La sua diffusione è dovuta ad una nuova percezione del ruolo dell’organismo aziendale

all’interno del sistema più ampio all’interno del quale essa viene collocata e si trova d operare

(par. 1.1). L’agente aziendale, prima visto solo come mero generatore di profitto nel breve

periodo, è invece vincolato interdipendentemente all’ambiente esterno che condiziona e al

quale si deve adattare per poter sopravvivere. Esso si trova ora a dover rispondere delle proprie

responsabilità di fronte a tutti gli interlocutori sociali, prendendo coscienza che ogni azione

legata alla vita aziendale ha delle ripercussioni su quella dei soggetti che con essa interagiscono

e, in generale, sull’ambiente e la società. Con l’affermazione e la successiva evoluzione della

CSR, si è determinata l’importanza oramai più che necessaria di un cambiamento da parte delle

imprese nelle politiche di reporting, per mezzo delle quali l’azienda crea la propria immagine

e reputazione nei confronti del pubblico. Negli ultimi anni, infatti, il mondo del Corporate

1 Termine di derivazione anglosassone con cui vengono definiti tutti gli interlocutori sociali portatori di interesse nei confronti di un’organizzazione.

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Reporting sta vivendo una fase di profondo e repentino mutamento: le informazioni elaborate

per essere trasmesse agli interlocutori esterni, nonché quelle destinate ad un uso più prettamente

interno, risultano più numerose, articolate e sofisticate. In particolar modo, si affermano nuovi

ambiti a cui esse si rivolgono, ponendosi ben oltre la tradizionale prospettiva economico –

finanziaria. Ciò proprio per il fatto che le attività di ogni organizzazione aziendale non sono

monitorate in maniera avveduta solo dagli shareholders2, desiderosi di avere informazioni sulle

performance economiche-finanziarie ottenute dalla propria impresa, bensì da tutti gli

stakeholders rappresentati da dipendenti, clienti, fornitori, finanziatori, la comunità locale e

collettività in generale e quindi tutti quei soggetti legittimati al conoscimento dell’andamento e

dei risultati aziendali (a cui è dedicato il par. 1.3).

Il capitolo fornisce nell’ultima parte (par. 1.5, 1.6 e 1.7) un breve elenco delle iniziative e le

modalità principali di comunicazione di Corporate Social Responsability, proposte nel corso

degli anni dall’Unione Europea e da istituzioni internazionali e antecedenti la nascita del primo

Framework IIRC, soffermandosi principalmente sul tema della rendicontazione e del suo

sviluppo. In tal modo, è possibile comprendere il perché, il come e il quando l’idea definire la

disclosure di Integrated Reporting (IR) si sviluppa e, conseguentemente, si afferma.

Nel secondo capitolo si presenta pertanto il sistema di l’Integrated Reporting, proponendo

prima una breve premessa sul significato di “informazione non finanziaria” e sulla diffusione

di tale forma di comunicazione nella società attuale a livello mondiale (par. 2.1).

Successivamente dedicati un paio di paragrafi (2.2 e 2.3) all’inquadramento teorico della nuova

modalità di rendicontazione integrata, illustrandone il percorso effettuato dalla

regolamentazione fino alla costituzione dell’IIRC e l’affermazione del Framework3.

Quest’ultimo, viene descritto ed esaminato nella sua finalità e nella sua struttura.

Per produrre una descrizione adeguata, si considerano i benefici e le criticità che tale tipo di

rendicontazione può apportare in generale rispetto a quella tradizionale “finanziaria” (par. 2.4),

la crescente necessità di Assurance (par. 2.5) e di come la rendicontazione integrata possa essere

in grado di rispondere alle esigenze di materialità4 (par. 2.6).

Relativamente alla crescente attenzione riposta dai governi alla divulgazione di informazioni

non financial parte delle organizzazioni e del ambito applicativo che ci interessa più da vicino,

2 Termine di derivazione anglosassone con cui vengono definiti gli azionisti, quotisti, proprietari, portatori di un interesse meramente economico-patrimoniale. 3 Nel corso dell’elaborato verrà più volte fatto riferimento a tale documentazione o solo con il termine “Framework” oppure “Framework <IR>” o “Framework dell’IIRC”. 4 La Materialità è una componente di rilevanza. L'informazione è rilevante se la sua omissione o errata presentazione può influenzare la decisione economica degli utilizzatori (IASB, 2015).

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viene messa in luce la recente approvazione della direttiva europea sulla rendicontazione non

finanziaria, la 2014/95/CE, sulla quale si propone un breve sguardo essendo essa una delle più

recenti novità in ambito di non financial reporting e di prossima applicazione (dal 1° gennaio

2017) (par. 2.7).

Succede ai primi due capitoli di matrice prettamente teorica, un terzo capitolo di matrice pratica.

In esso, sulla base di quanto trattato in precedenza, viene, infatti, approfondito analiticamente

il tema dell’Intergated Reporting, in relazione all’evoluzione della reportistica aziendale verso

l’assunzione della forma integrata.

L’analisi svolta è di tipo empirico, prevalentemente di carattere descrittivo e nasce con lo scopo

di valutare il processo di trasformazione della Corporate Reporting verso l’implementazione

completa dell’integrazione.

Per procedere in tale direzione, si fa ricorso alla metodologia dell’analisi longitudinale, della

quale si fornisce una breve riflessione riguardante la letteratura a riguardo (par. 2.8, p. 99).

La suddetta analisi verrà riproposta in due scenari diversi:

o Il primo, più generale, in cui si studia il livello di conformità della forma di disclosure

in considerazione con i principi cardine del Framework <IR>, attraverso l’esame delle

sue componenti e delle modalità con cui l’azienda le tratta nel corso dell’anno

finanziario. In questo modo, ponendo a confronto quanto richiesto dal Framework con

quanto effettivamente comunicato, è possibile fornire un giudizio sulla compliance (par.

3.1).

o Il secondo, più specifico, in cui ci si occupa, di valutare il livello di efficacia

comunicativa dei Key Performance Indicators, grazie alle modalità adottate di

comunicazione di essi e la capacità dell’impresa di allineare gli obiettivi (qualunque sia

la loro natura) con gli indicatori, mantenendoli nel tempo, esaminandone la loro

trattazione (par. 3.2)

L’analisi si conclude con la discussione dei risultati ottenuti fornendo un quadro generale delle

evidenze empiriche (par. 3.3).

Di seguito, viene proposta una tabella (tabella A) che individua DOMANDA e METODO della

ricerca, suddivisa nei due scenari sopra descritti.

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Tabella A: La struttura dell’analisi empirica-descrittiva oggetto del terzo capitolo

DOMANDA METODO 1°

SC

EN

AR

IO

1° Il livello di compliance con le componenti chiave

del Report Integrato

Analisi longitudinale sulla

base dei dati riscontrati in

seguito ad un’analisi di

rilevazione effettuata tramite

lo studio delle disclosures.

2° S

CE

NA

RIO

2° Il livello di efficacia comunicativa dei KPIs scelti

Analisi longitudinale sulla

base dei dati rilevati

dall’esame delle modalità di

comunicazione dei KPIs nelle

sezioni dedicate e delle

informazioni ad essi correlate.

3° La capacità di allineamento KPIs e obiettivi e

conseguente mantenimento nel tempo

Analisi longitudinale grazie

alla descrizione delle capacità

di comunicare obiettivi e KPIs

secondo il principio della

coerenza e quindi

comunicandoli in modo

continuo, anche se negativi.

Fonte: elaborazione propria

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CAPITOLO 1

IL CONTESTO

1.1 L’AZIENDA: L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO

Il Codice Civile all’articolo 2555 definisce il concetto di azienda5 quale strumento di cui si

avvale l’imprenditore per il regolare svolgimento della propria attività. Nel tempo si sono

susseguite diverse teorie, ciascuna delle quali ha tentato di fornire una propria analisi su tale

entità.

Le diverse definizioni di azienda proposte nel tempo dai vari Maestri di Ragioneria ed

Economia Aziendale non devono essere concepite come definitive ma come opportunità per

poter interpretare il dinamico adattamento dell’azienda al sistema economico in ci essa è

inserita e per comprendere i presupposti culturali, politici e giuridici che presiedono alla vasta

comunità sociale (Catturi, 1983, p.62). Esse, infatti, rappresentano “una prova indiscutibile del

mutare delle situazioni e dei tempi e del fecondo progredire delle dottrine alle quali le

definizioni stesse si riferiscono”.

Una pima definizione viene proposta da Cerboni (1886), il quale descrive il concetto di azienda

come un sistema di più elementi rappresentati da, in senso oggettivo, la sostanza amministrabile

(il patrimonio) e l’azione amministrativa e, in senso soggettivo, il proprietario,

l’amministratore, gli agenti e i corrispondenti (Catturi, 1983, p.64). Benché il contributo

cerboniano si sia rivelato senza dubbio di un certo spessore, come opportunamente fa notare

Catturi (1983) sia tale studioso che il suo allievo Bertini poco dopo (1990) non hanno saputo

sviluppare organicamente il concetto di azienda evidenziandone gli aspetti rilevanti della vita

aziendale.

Un apporto significativo, invero, deriva da Fabio Besta, il quale definisce l’azienda come “la

somma dei fenomeni, negozi, o rapporti da amministrare relativi ad un cumulo di capitali che

formi un tutto a sé, o a una persona singola, o a una famiglia, o a un’unione qualsivoglia, o

anche soltanto una classe distinta di quei fenomeni, negozi o rapporti”. In questa definizione

inizia ad essere evidente come sia l’elemento patrimoniale (cumulo di capitali) che quello

personale siano fattori indispensabili per l’individuazione dell’azienda (Contraffatto M., 2009,

p.17).

Besta pone le basi teorico-concettuali che porteranno alla svolta per gli studi economico

aziendali ad opera di Gino Zappa. Il suo pensiero, coerente con il mutato contesto operativo,

rappresenta un punto di partenza per successive ri-definizioni necessarie al verificarsi del

5 “[…] complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa […]”

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continuo cambiamento di condizioni sociali, politiche e culturali di riferimento. In questo modo

genera una concettualizzazione dinamicamente evolutiva di azienda (Contraffatto M., 2009,

p.18) definendola (Zappa, 1927, p. 30) come la “coordinazione economica in atto, che è istituita

e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani”.

Catturi (1983) dal suo conto, nella dicitura “coordinazione” proposta da Besta, intravede

l’unicità delle diverse operazioni economiche svolte al fine di soddisfare uno scopo definito.

La concettualizzazione dell’azienda come un sistema costituito da elementi interconnessi tra

loro ci viene fornita da Zappa (1950) quando la definisce come un’unità economicamente

coordinata equivalente a qualcosa di più della semplice somma delle sue componenti. Nelle sue

opere che susseguono, egli (1956) rivede il concetto di azienda esaltandone i caratteri strutturali

dell’istituto economico, gli aspetti organizzativi, il continuo dinamismo e la finalità quale il

soddisfacimento dei bisogni umani, perseguibile solamente attraverso la continua capacità di

adattamento alle naturali mutazioni, amplificazioni e diversificazioni delle esigenze umane.

Pietro Onida (1965, p. 4), studioso del pensiero zappiano, definisce l’azienda quale “mobile

complesso o sistema dinamico nel quale si realizzano in sintesi vitale l’unità nella molteplicità,

la permanenza nella mutabilità”. Egli individua nel sistema unitario “azienda” il luogo al quale

le azioni individuali sono coordinate al soddisfacimento dei bisogni umani.

Un altro discepolo di Zappa, Amaduzzi (1978), propone una diversa visione della finalità

aziendale sostenuta dal proprio maestro prima e da Onida dopo di questo, ossia dell’operare a

favore del soggetto economico aziendale e anche degli individui che vi cooperano sottolineando

l’idea di azienda come sistema “aperto”, che opera in un ambiente più ampio di cui è parte

complementare e da cui non si può prescindere (Contraffatto M., 2009, p.20).

Rilevante il contributo di Masini (1970) nel porre le basi dell’idea della “persona umana” quale

complessa realtà con bisogni materiali e spirituali da soddisfare. A partire da tale concetto, lo

studioso termina per considerare gli istituti (individuati in famiglia, imprese e Pubblica

Amministrazione) come parti integrati del sistema economico dell’intera società umana. Egli

afferma che l’azienda essendo un istituto vincolato interdipendentemente all’ambiente esterno

rispetto ad essa dovrà pertanto operare non soltanto adattandosi alle mutevoli condizioni

ambientali, ma anche come fattore attivo e di stabilità dell’ambiente secondo le condizioni del

suo dinamismo. Il sistema aziendale non è più solo visto nella sua dimensione economica ma

nella sua caratteristica di influenzare il benessere umano (Contraffatto M., 2009, p.23).

Il primo invece a fornire una teorizzazione completa del sistema d’azienda è Bertini (1990,

p.18,19), il quale si distanzia definitivamente dal definire tale istituto come un sistema

finalizzato al mero interesse del singolo che l’ha istituita, introducendo il concetto di impresa

sociale.

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Con questa sintetica esposizione si evidenzia che la visione sistemica di azienda, come unità

economica e sociale, permette di cogliere la responsabilità che tale agente economico ha nei

confronti dei suoi interlocutori sociali e più in generale nel contesto in cui opera. Inoltre, ciò

permette di riflettere sul fatto che i Maestri sopra citati non hanno mai parlato di

massimizzazione del profitto come scopo aziendale, bensì hanno indicato i presupposti

necessari per il fine principale che consiste nella durabilità dell’azienda, vista come sistema,

ottenibile mediante l’equilibrio economico nel tempo che, a sua volta, porta alla creazione e

all’accrescimento del valore (De Toni et al., 2014, p. 11).

Ma cosa si intende per valore? Per definire il concetto di “valore”, quale finalità preminente

dell’istituto aziendale, si propone una visione più ampia del termine partendo dalla definizione

di Zanda (1992) in “valore è ciò che è degno di essere preso in considerazione” (Zanda G.,

1992, p. 1). Il tema della creazione di valore è un argomento di grande rilievo per gli studiosi

di economia aziendale e, sebbene in teoria vi siano delle convergenze su quale debba essere

l’obiettivo finale cui dovrebbero essere preordinate le decisioni aziendali, nella pratica l’unico

obiettivo perseguibile è quello di bilanciare gli interessi dei diversi interlocutori sociali e di

indirizzare la gestione verso un sentiero di continua crescita (Sicoli G., 2008, p. 17).

Internamente all’azienda, talvolta, convergono una pluralità di interessi tra loro conflittuali,

frutto delle diverse preferenze espresse dai cosiddetti stakeholders. Al fine di comprendere le

differenti preferenze è necessario individuare due elementi fondamentali ovvero:

o il soggetto di riferimento per il valore

o le modalità e gli strumenti per la misurazione di esso.

Le accezioni di “valore” mutano a seconda della classe di portatore di interesse a cui si fa

riferimento e di conseguenza varieranno anche le metodologie di misurazione, dalle quali è

possibile, per mezzo di algoritmi (di cui non si fa riferimento in questa sede), ricondurre il tutto

ad un valore economico.

I soggetti interessati alla creazione di valore possono essere indentificati in vari gruppi: azionisti

(shareholders), dipendenti, fornitori, clienti, sindacati, banche, concorrenti, comunità in

generale. Il suddetto elenco non è esaustivo nel riportare tutti i possibili portatori di interesse

dell’istituto aziendale, in quanto a seconda del settore in cui si opera e dell’output prodotto si

presentano variazioni specifiche. Per quanto attiene all’azionista, il valore assume forme nel

dividendo che si aspettano di percepire e dal valore delle azioni in possesso. Diverso per i

dipendenti per i quali si traduce in valore lo stipendio/salario percepito in commisurazione alle

prestazioni fornite, in linea con i livelli retributivi garantiti da aziende similari ma non solo: la

sicurezza sul lavoro, la continuità del rapporto lavorativo sono ad esempio fattori altamente

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influenzanti per il valore totale. Altri esempi sono i dipendenti e i clienti, per quali si traduce in

valore rispettivamente la certezza dei pagamenti e il rapporto qualità/prezzo relativo al bene

acquistato.

Come predetto ed evidenziato meglio ora, il valore generato dall’azienda assume diverse

sfaccettature in relazione ai soggetti che dimostrano avere aspettative diverse dallo svolgimento

della sua attività e per ciascuna delle quali è necessario definire le modalità e gli strumenti di

misurazione (De Toni et al., 2014, p. 13).

In sostanza, come espresso da Onida (1954, p. 395), la creazione o l’accrescimento di valore da

parte dell’azienda è portatore di maggiore benessere per tutti i soggetti che hanno relazioni

dirette e indirette ed il maggior benessere in un determinato tempo e luogo è una misura della

sua ricchezza.

.

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1.2 LA CORPORATE SOCIAL RESPONSABILITY

Per Corporate Social Responsability (o Responsabilità Sociale d’Impresa) si intende

l’integrazione di aspetti etici all’interno della visione strategica di impresa (Farné S., 2012, p.

23). Come riporta l’Autore, tale comportamento consiste nella manifestazione di volontà delle

imprese di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico al loro interno e

nei territori in cui svolgono i loro processi e le loro attività. La RSI è un modello di gestione e

governo impostato in modo tale da soddisfare le aspettative degli stakeholders (di cui si

approfondisce al paragrafo successivo), l’adempimento degli obblighi di legge e i

comportamenti etici individuali. L’implementazione della RSI richiede l’integrazione di tutti

gli ambiti di gestione aziendale in modo da guidare le strategie e le politiche delle

organizzazioni.

L’origine del concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa, e quindi del legame tra imprese e

responsabilità sociale, si colloca nel periodo del secondo dopoguerra, periodo caratterizzato da

un ritorno di fiducia nei confronti delle grandi corporations che fecero registrare due decenni

di crescita ininterrotta. Il pensiero di Charlie Wilson, ex presidente della General Motors6,

sintetizza perfettamente le strategie e le finalità rispettivamente utilizzate e perseguite in quegli

anni dalle grandi aziende. In quest’ottica si affermò la teoria degli shareholders (Shareholder

Value Approach) secondo cui la dimensione dell’eticità restava, per così dire, esterna alla sfera

di azione dell’impresa e, più in generale, dell’agire economico. Milton Friedman (1962, p. 133),

sostenitore di tale teoria, scrisse a proposito che vi era un’unica responsabilità sociale d’impresa

ovvero quella basata sull’aumento dei profitti perché il dovere morale di un’impresa è quello di

ottenere più elevati ritorni finanziari e che così facendo, in un mercato aperto, corretto e

competitivo, si avrebbe prodotto ricchezza e lavoro per tutti nel modo più efficiente possibile.

La teoria degli shareholders dimostrò tutti i suoi limiti alla fine degli anni Ottanta e negli anni

Novanta, allorché il mercato si rivelò inadeguato ad affrontare i problemi sorti nella relazione

tra le aziende e la società. L’attenzione verso i portatori di interessi, istituzionali e non, e verso

l’ambiente divenne allora una leva strategica importante, fondamentale per rispondere a una

nuova e critica acquisizione di consapevolezza da parte dei consumatori e della società in

generale. Il passaggio allo Stakeholder Approach, nuova teoria basata sulla gestione bilanciata

degli interessi degli stakeholders è frutto di una serie di fattori che hanno determinato questa

evoluzione (Farné S., 2012, p. 25). Uno tra questi è, ad esempio, la nuova spinta alle imprese

ad investire in asset immateriali o intangibili, quali ad esempio la reputazione e l’etica negli

affari; l’origine del fatto è da ricondurre anche ad un mutato atteggiamento del consumatore

6 “Ciò che va bene per la General Motors, va bene per il Paese”.

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finale, sempre più attento al modus operandi delle aziende produttrici di cui ne sono alcune

dimostrazioni le campagne di boicottaggio orchestrate negli ultimi anni7 e il successo dei fondi

etici. La nuova prospettiva spinse sempre maggiormente le grandi aziende a introdurre

spontaneamente dei correttivi “più responsabili” al loro operato avviando nuovi programmi di

Corporate Social Responsability definiti da organizzazioni europee e internazionali, i più

importanti analizzati nel corso del capitolo (paragrafo 1.5).

Riprendendo il concetto iniziale di azienda e integrandolo con la visione della Responsabilità

Sociale d’Impresa, si può definire la suddetta istituzione come un’entità collocata all’interno di

un sistema in cui gli individui interagiscono tra loro con diversi meccanismi, organizzandosi al

fine di soddisfare i propri bisogni, ma prestando attenzione alla collettività, alla comunità, al

territorio e a chiunque possa essere coinvolto dalle azioni messe in atto per raggiungere

determinati obiettivi, qualunque sia la loro natura. La presa di coscienza del legame di

reciprocità sempre più forte tra impresa e società, quale contesto in cui l’impresa opera e dalla

quale è condizionata, ha portato alla necessità di una condotta socialmente responsabile poiché

ogni azione legata alla vita aziendale ha delle ripercussioni sulla vita dei soggetti che con essa

interagiscono e, in generale, sulla società. Pertanto, si può intendere il ruolo sociale dell’impresa

quale istituzione finalizzata alla creazione di valore non solo meramente economico, dati i

diversi bisogni dell’uomo che essa si prefigge di soddisfare. La RSI così descritta e definita

coinvolge tutti i soggetti portatori di interesse nei confronti dell’impresa, riguarda i valori e lo

stile manageriale, concerne la strategia, le prassi e le modalità di governance influenzandone

alla fine i risultati.

All’evoluzione del concetto di Corporate Sociale Responsability ha preso parte il principio di

Elkington (1997) cosiddetto della “Triple Bottom Line”, secondo cui le organizzazioni devono

implementare nella propria strategia obiettivi di prosperità economica, di qualità ambientale e

di giustizia sociale (figura 1.1). L’ultima riga del conto economico, che evidenzia il solo

risultato economico (the bottom line), deve essere, dunque, integrata con aspetti sociali ed

ambientali, affinché si possa misurare il valore reale sostenibile che produce l’impresa (triple

bottom line. Figura 1.2).

7 A titolo di esempio, si pensi al caso della Nike: dopo aver subito la denuncia da parte di alcune associazioni di consumatori per lo scandalo del lavoro minorile mal pagato in India e Pakistan, il suo titolo precipitò clamorosamente (dai 66 dollari dell’agosto 1997 ai 39 dollari del gennaio 1998). Esperienze analoghe sono capitate alla Reebook e alla Nestlé.

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Figura 1.1. Evoluzione del concetto di CSR

Fonte: Brogonzoli L. (2005, p. 8)

Figura 1.2 Triple Bottom Line

Fonte: Elaborazione propria

Elkington afferma che l’organizzazione sarà in grado di generare risultati, conseguendo un

vantaggio competitivo nel medio periodo, implementando una strategia frutto del “mix” delle

suddette tre variabili chiamate “le 3P”: Profitto, Pianeta e Persone. Secondo l’Autore, solamente

una volta integrate nel sistema core dell’azienda, le 3P potranno generare il successo

dell’organizzazione.

L’impresa socialmente responsabile pertanto deve basare la propria comunicazione sulla teoria

della Triple Bottom Line realizzabile per mezzo di una nuova e diversa rendicontazione che

superi la classica e fornisca all’interlocutore informazioni sulla sostenibilità economica,

ambientale e sociale che tale organizzazione persegue nell’attuazione della strategia aziendale

per la realizzazione di valore.

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1.3 GLI STAKEHOLDERS

L’espressione “stakeholders” significa letteralmente “colui che ha un interesse” nell’attività di

impresa, includendo il concetto più limitato di “stockholders” o “shareholders”

(azionista/possessore di azioni della società). Si definisce “stakeholders” qualsiasi gruppo o

individui che influenzano o sono influenzati dal comportamento e dal raggiungimento degli

scopi di un’organizzazione (Farnè, 2012, p. 31). Secondo la definizione di Stanford Research

Institute (1963)8, gli stakeholders sono “quei gruppi senza il cui contributo l’impresa non

potrebbe sopravvivere” mentre per Freeman (1984) e la sua “Stakeholder Theory” sono

“qualsiasi gruppo o individuo che può influenzare o è influenzato dal raggiungimento degli

obiettivi dell’organizzazione”, ovvero quei soggetti che hanno un interesse rilevante nella

conduzione dell’impresa o che possono influire in modo significativo su di essa.

Sebbene siano passati più di trent’anni dalla pubblicazione di Freeman, sono ancora largamente

dibattute l’entità e la considerazione che i predetti dovrebbero ricevere nel processo decisionale.

Ciò che si è invece affermata (o meglio largamente condivisa) come regola è la

concettualizzazione dell’impresa secondo lo schema proposto dall’autore sviluppato

nell’impresa come fulcro di una ruota e gli stakeholders come raggi della stessa (figura 1.3).

Tale metodo viene infatti considerato adeguatamente descrittivo delle relazioni impresa-

stakeholders (Jones et al. 2002).

Figura 1.3 Il modello in teoria degli stakeholders

Fonte: Jones et al. (2002).

Nella sua opera, Freeman (1984) critica la mera visione manageriale dell’impresa in quanto non

in grado di offrire nessun metodo unificante di comprendere i cambiamenti che sono avvenuti

8 Citato da Freeman R. E., (1984).

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o che avverranno. La “Stakeholder View” dell’impresa difesa da Freeman, pertanto, si

contrappone al modello convenzionale input-output dell’impresa in cui questa è concepita

principalmente come un’attività economica in cui risorse economiche sono raccolte alla scopo

di fare profitti per il proprietario/azionista, sostenendo che l’impresa non è la rappresentazione

di una serie di transazioni di mercato ma uno sforzo cooperativo (e competitivo) che coinvolge

un ampio numero di individui e gruppi organizzati in vario modo, con i quali si sviluppano

diverse relazioni. La definizione di Freeman, comunque, è considerata dai ricercatori una delle

più ampie tra quelle proposte, in quanto può includere di fatto chiunque: esclusi dall’avere un

interesse nell’impresa infatti sono solo quegli individui o gruppi che non possono influenzare

(in quanto privi di potere) e non sono influenzati dall’impresa (in quanto non hanno una pretesa

nei suoi confronti o una relazione con essa).

Su questo tema si sono espressi studiosi come Brenner (1993) e Clarckson (1995) i quali,

esponendo la loro idea, hanno limitato l’area degli stakeholders, considerando tali solo i

soggetti necessari alla sopravvivenza dell’impresa ovvero coloro che partecipano direttamente

all’economicità del core business. Diversamente da tale definizione, basata meramente sulla

pragmatica realtà delle risorse limitate a disposizione sia in termini di tempo sia di limiti

cognitivi (Boesso G., 2012, p.31,32), si propone la visione più “allargata” di Atkinson (1997)

e Savage (1991). Quest’ultimi indicano come stakeholders tutti i portatori di interesse in grado

di influenzare ed essere influenzati dall’impresa, diversi tra loro perché diverse sono le

aspettative e le loro connessioni con la sopravvivenza dell’impresa, l’economicità, i rischi e le

opportunità di ogni relazione.

Sicuramente una visione più ampia implica un maggior impegno per il management (e

conseguente affermarsi della teoria dello Stakeholder Management) che deve riconoscere e

saper comprendere le relazioni nel momento in cui le include nel processo decisionale di

allocazione delle limitate risorse aziendali in una maniera che esso percepisce come consistente

con la moltitudine di aspettative espresse dai molteplici portatori di interesse (Ibidem, p. 32).

Per identificare classi diverse di stakeholders si possono considerare tre attributi (Mitchell R.K.

et. al., 2007): legittimità, potere dello stakeholders e urgenza della sua pretesa. Tale

classificazione costituisce la base della cosiddetta teoria della Stakeholder Salience, proposta

da Mitchell, Angle e Wood nel 1997 per spiegare come i manager procedono a ordinare

secondo priorità le relazioni con i vari interlocutori societari. Secondo la suddetta teoria il ruolo

centrale è svolto proprio dal manager, colui il quale dovrà determinare, attraverso l’attribuzione

o meno degli attributi, quali siano gli stakeholders salienti e di conseguenza meritevoli di

attenzione. Dalle diverse combinazioni dei tre attributi derivano sette classi di stakeholders

raggruppabili in tre categorie: tre classi con uno solo dei tre attributi, denominati stakeholders

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“latenti”, tre classi con due attributi, denominati stakeholders “in attesa”, e una classe con tutti

e tre gli attributi, denominata “stakeholders definitivi”. Sulla base dei risultati ottenuti, si

adatterà la strategia aziendale dell’organizzazione in riferimento agli stakeholders ritenuti

meritevoli di interesse.

Sul tema si è espresso, ad esempio, anche Phillips (2003) classificando, questa volta, gli

stakeholders in due gruppi: quelli legittimi come normativi, sulla base di un diretto obbligo

morale, e i restati come derivati, distinti invece per obblighi morali derivanti solamente dai

rapporti con la prima tipologia di soggetti. La suddivisione si basa sul rispetto del principio di

equità, ritenuto fondamentale dall’autore nella propria visione dell’impresa basata sugli

stakeholders.

Si fa riferimento alla necessità di saper prendere coscienza del fatto che l’impresa esiste nella

società e non accanto ad essa e che il manager, nel momento in cui gli stakeholders non sono

più visti semplicemente come oggetti dell’azione manageriale ma piuttosto come soggetti con

loro proprio scopi, classificabili per mezzo di uno dei modelli teorici9, ha un ruolo assai più

importante che in passato da svolgere (D’Orazio, 2005).

Ad oggi, infatti, non è ancora stato elaborato un modello univoco di interazione con e tra gli

stakeholders ma si è assistito ad un’evoluzione dal punto di vista dell’engagement. Cambiano

le relazioni esistenti tra i portatori di interesse e tra questi e l’impresa, viste in un’ottica di

network in cui i rapporti non sono più gestiti unilateralmente ma coinvolgendo i soggetti in

modo interattivo.

Un modello rappresentante l’accrescimento del livello di engagement delle imprese con gli

stakeholders nel corso del tempo è quello proposto dal “Manuale dello Stakeholders

Engagement” (AccountAbility, 2005) in cui vengono identificate cinque fasi lungo le quali si

descrivono i passaggi, gli strumenti e le fonti per un vero coinvolgimento e non solo una

semplice gestione degli stakeholders (Castelloni G., 2015, p. 181). Lo Stakeholders

Engagement è così strutturato:

o 1ª fase: individuare gli obiettivi strategici dell’impresa e i legami tra questi e gli

stakeholders per definirne le priorità;

o 2ª fase: riporta i livelli di engagement sulla base di un’analisi delle relazioni attuali,

delle risorse disponibili e dei legami organizzativi. Guida, inoltre, nel decidere quale

tipo di relazione si vuole sviluppare con gli stakeholders (ed eventuali rappresentanti);

9 Di cui è stato fatto riferimento solamente a due dei diversi affermati nel corso dell’ultimo ventennio: il primo di Mitchell, Angle e Wood (1997) e il secondo di Phillips (2003).

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o 3ª fase: esame delle competenze interne ed esterne relativamente alle capacità di

engagement;

o 4ª fase illustra le tecniche di engagement;

o 5ª fase: una guida su come gestire i risultati e come rassicurare gli stakeholders sulla

qualità del lavoro compiuto. (AccountAbility, 2005, p. 12).

In questa ultima visione proposta, lo stakeholders management viene abbandonato in favore

dello stakeholders engagement in quanto capace di garantire reciprocità e riconoscere un

network di entità correlate in cui ogni organizzazione si colloca (Castelloni G., 2015, p. 181).

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1.4 IL VANTAGGIO COMPETITIVO E LA CSR

Porter e Kramer (2002 e 2006) hanno contribuito all’approccio di Corporate Social

Responsability mettendo in luce come questa possa essere fonte di opportunità, innovazione e

vantaggio competitivo per l’impresa. Gli Autori propongono una nuova visione del rapporto tra

business e società, nella quale non viene considerato il successo delle aziende e il bene sociale

come gioco a somma zero, bensì un modello utilizzabile dalle imprese per identificare tutti gli

effetti che hanno sulla società, determinando quali tra questi sono da ritenersi meritevoli di un

loro intervento e successivamente identificando un modo efficace per intervenire.

In primo luogo, essi introducono il concetto di interdipendenza tra business e società, fino a

quel momento considerate due entità con interessi contrapposti, e in secondo luogo, evidenzia

i limiti della teoria degli stakeholders, in quanto soggetti mai in grado di capire pienamente le

caratteristiche dell’azienda, il suo posizionamento competitivo o le scelte che essa deve

effettuare (Porter e Kramer, 2006, p. 6).

Come evidenziato, le teorie affermate in precedenza hanno posto solo un fondamento teorico

generico, senza indicazioni più specifiche per strategie, attività e luoghi diversi, pertanto le

imprese non sono state in grado di apportare alla propria struttura quel cambiamento tale che,

nel rispetto delle proprie specificità, li consentissero di perseguire l’obiettivo di business in

modo sostenibile. Per fare sì che ciò avvenga, è essenziale una diffusa consapevolezza della

relazione che intercorre fra un’azienda e la società e allo stesso tempo trovi un radicamento

delle strategie e nelle attività delle singole imprese (Ibidem, p. 7). Stante alla base l’assunzione

che un’impresa di successo per poter essere tale necessita di una società “sana” e viceversa, ciò

implica che le decisioni di business e le politiche sociali debbano seguire entrambe il principio

di “valore condiviso”.

Per “valore condiviso” Porter e Kramer intendono “l’insieme delle politiche e delle pratiche

operative che rafforzano la competitività di un’azienda migliorando nello stesso tempo le

condizioni economiche e sociali delle comunità in cui opera. La creazione di “valore condiviso”

si focalizza sull’identificazione e sull’espansione delle connessioni tra progresso economico e

progresso sociale” (Porter e Kramer, 2011), possibile con l’integrazione in base ad una

prospettiva sociale degli schemi già utilizzati dall’impresa per analizzare la concorrenza e la

governance.

Quanto appena descritto costituisce una premessa per poter descrivere l’influenza che il legame

“interno-esterno” e il “contesto competitivo” abbiano nel legame di interdipendenza tra impresa

e società. Le imprese, invero, impattano sulla società con lo svolgimento delle proprie attività

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arrecando conseguenze positive e negative delle quali non sono sempre pienamente consapevoli

(figura 1.4).

Figura 1.4: Dall’esterno all’interno: l’impatto sociale sulla competitività

Fonte: Porter M.E. e Kramer R. (1985, p. 11)

L’adozione interna di un processo accurato di identificazione degli effetti sociali, in corso ma

anche in via di evoluzione, può permetterne la sopravvivenza nel futuro. Anche le condizioni

sociali esterne (i “rapporti esterno-interno” chiamati dagli Autori “contesto competitivo”)

influenzano a loro volta le aziende e vengono suddivise in quattro macro aree (figura 1.5).

Anche per quest’ultimo fattore esterno, gli Autori evidenziano come “un buono stato di salute

del contesto competitivo” possa generare “valore condiviso”.

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Figura 1.5: Dall’interno all’esterno: la mappatura dell’impatto sociale della catena del valore10

Fonte: Porter M.E. e Kramer R. (1990, p.10)

Sulla base di quanto visto finora, l’approccio, inoltre, guida le imprese a seguire una precisa

logica di scelta delle questioni sociali di cui occuparsi perché intersecanti con la propria area di

business specifico. Tale piano d’azione sociale di supporto, prevede la distinzione dei temi

sociali in le questioni sociali generiche, gli impatti sociali della catena del valore e le dimensioni

sociali del contesto competitivo; ogni questione apparterrà ad una delle predette categorie a

seconda dell’impatto potenziale che quella può avere su una specifica impresa, un insieme di

imprese o un settore.

In conclusione, le aziende non hanno la responsabilità di tutti i problemi del mondo, né le risorse

necessarie per risolverli tutti: ogni impresa può identificare il set specifico di problemi sociali

(secondo il piano d’azione precedentemente proposto) rispetto ai quali è in grado di dare il

contributo più risolutivo, e dai quali può trarre il maggior vantaggio competitivo. La risoluzione

10 La catena del valore è un modello che permette di descrivere la struttura di una organizzazione come un insieme limitato di processi. Questo modello è stato teorizzato da Michael Porter nel 1985 nel suo best-seller Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance. Secondo questo modello, un'organizzazione è vista come un insieme di 9 processi, di cui 5 primari e 4 di supporto.

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dei problemi sociali tramite la creazione di valore condiviso vede le risorse, l’esperienza e le

conoscenze di cui è dotata un’impresa al servizio della società, producendo un impatto duraturo

sulla vita delle persone e contribuendo allo sviluppo economico e sociale (Porter e Kramer,

2007).

La creazione di “valore condiviso” (CSV) differisce dalla Corporate Social Responsability,

CSR) nel guidare gli investimenti effettuati dalle aziende nelle comunità in cui operano. I

programmi di CSR si focalizzano principalmente sulla reputazione e hanno solo un

collegamento limitato con il business, il che rende difficile giustificarli e mantenerli nel lungo

termine. Per contro, la CSV è funzionale alla profittabilità e alla posizione competitiva

dell’azienda. Sfrutta le risorse specifiche e l’expertise specifico dell’azienda per creare valore

economico attraverso la creazione di valore sociale

Il valore condiviso deve diventare parte integrante della strategia, la cui essenza è scegliere un

posizionamento unico e una catena del valore distintiva su cui fa leva: i vantaggi competitivi

che emergeranno dalla sua creazione saranno spesso più sostenibili dei miglioramenti

convenzionali apportati ai costi e alla qualità, facendo emergere molti nuovi bisogni da

soddisfare, molti nuovi prodotti da offrire, molti nuovi clienti da servire e molte nuove modalità

per configurare la catena del valore (Porter e Kramer, 2011. Si veda figura 1.6).

Figura 1.6: Creating Shared Values vs Corporate Social Responsability

Fonte: Porter M.E. e Kramer R. (2011, p.83)

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1.5 LA CSR E LA POLITICA EUROPEA ED INTERNAZIONALE

Nel corso degli anni ad oggi, sono intervenuti più volte istituzioni come l’Unione Europea per

promuovere la diffusione della cultura della Corporate Social Responsability all’interno delle

organizzazioni. La crisi finanziaria globale che ha investito l‘economia nel biennio 2007-2009

individua le cause principalmente in un’inadeguata valutazione e gestione del rischio, in una

governance aziendale inefficace e, in particolar modo, in una strategia basata sul

raggiungimento di meri obiettivi di breve termine. In tale contesto quello che già esisteva come

concetto di “sostenibilità” in ambito di etica dell’ambiente e ecologia, entra a far parte, in un

ruolo centrale, nel mondo del business. Su tale tema, si sono raggiunti livelli di interesse

altissimi che hanno coinvolto istituzioni anche a livello internazionale rendendosi promotori di

innumerevoli iniziative in questa direzione. Si è così permesso alle organizzazioni

l’oggettivizzazione della propria responsabilità sociale, ovvero di rendere il proprio operato

visibile, misurabile e tangibile agli occhi dei propri stakeholders. In particolare, si è resa

possibile la comunicazione a tutti gli interlocutori dell’operare sostenibile dell’impresa, non

limitandosi ad informare gli shareholders del valore creato e dando vita così al filone si studi

in materia di reporting socio-ambientale11. La suddetta tipologia di reporting si afferma, in un

primo momento, con la sua inclusione nell’annual report (bilancio d’esercizio o bilancio

civilistico o consolidato), assumendo a partire dagli anni ’90 una veste autonoma di documento

di disclosure separato, più vasto e corposo (come mostra la figura 1.7).

Figura 1.7: Tendenze evolutive della Corporate Reporting (1)

Fonte: Riccaboni (2014, slide 2)

11 Di cui si farà riferimento anche come “reporting non finanziario”.

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L’evoluzione degli studi in materia di reporting socio-ambientale conducono ad alcune

proposte operative di reporting supportate da frameworks affermati a livello internazionale; gli

approcci principali sono di seguito proposti (Incollingo A., 2014, p.20):

o Intellectual Capitale Reporting: basato sull’utilizzo di tecniche metodologiche e di

valutazione diverse e separate per i beni intangibili, in quanto risorse determinanti per

la creazione di innovazione e quindi di valore;

o Balanced Scorecard: tale approccio studia le modalità di misurazione delle

performance aziendali anche con indicatori non finanziari, per definire le aree aziendali

di creazione del valore e poter delineare una strategia di lungo termine;

o Triple Bottom Line: come visto in precedenza (par. 1.2), si tratta dell’inserimento delle

variabili ambientale e sociale nella rendicontazione proponendo tre bottom line di

resoconto (le “3P”);

o Sustainability Accounting (o Accountabilility): si intende il reporting socio- ambientale

(evoluto in reporting di sostenibilità) nato come mezzo di comunicazione per tutti gli

stakeholders finalizzato ad informarli in modo responsabile e trasparente sulle

performance non finanziarie.

Ad oggi, sulla base di tali approcci (che si ricordano essere i principali) sono molteplici i tools

che le aziende possono utilizzare per trasformare un’idea astratta come quella della Corporate

Social Responsability in un qualcosa di concreto e materiale, mostrando ai propri stakeholders

un quadro organico delle proprie interrelazioni tra impresa e ambiente, evidenziandone, in tutto

o in parte, l’impatto sociale delle attività aziendali e il livello etico dei comportamenti assunti

sulla base delle finalità statutarie, delle strategie adottate e delle attese esterne.

Verranno di seguito esaminate le iniziative proposte dall’Unione Europea, prima, e a livello

internazionale, dopo.

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1.5.1 Gli obiettivi della politica europea

In questo paragrafo, si vuole inquadrare il tema della sostenibilità e della Responsabilità sociale

d’Impresa (RSI) quali obiettivi primari della politica dell’Unione Europea, ripercorrendo, in un

primo momento, il percorso effettuato da quest’ultima nei punti salienti. Come premessa a

questo excursus trova luogo la prima definizione di Responsabilità Sociale d’Impresa (o

Corporate Social Responsability) ritenuta essere “l’integrazione volontaria delle

preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro

rapporti con le parti interessate” dal Libro Verde dell’UE (CE, 2001, p. 7).

Il tema della RSI e del comportamento socialmente responsabile si trova al centro delle

preoccupazioni dell’Unione Europea fin dai primi anni del nuovo millennio, come evidenziato

a Lisbona nel 2000. Durante tale vertice, è stato definito l’obiettivo strategico europeo

(Consiglio Europeo, 2000, p. 2), realizzabile grazie alla diffusione e condivisione della condotta

socialmente responsabile all’interno di tutte le organizzazioni.

L’excursus storico parte dal trattato di Roma del 1957 quale documento fondamentale dell’UE

e considerato la fonte originaria da cui ha avuto inizio l’azione europea in ambito di RSI. Esso

infatti, successivamente soggetto ad integrazioni con la versione consolidata del 1999, enuncia

i principi cardine: sostenere uno sviluppo equilibrato e armonioso basato sull’aumento del

livello occupazionale, su una buona protezione sociale, sulla coesione economia e sociale, sul

miglioramento della qualità della vita, sulla tutela della salute e la protezione del consumatore.

Con il susseguirsi degli anni, altri documenti hanno segnato positivamente il cammino verso il

concetto di sostenibilità e Responsabilità Sociale d’Impresa come ad esempio il Libro Bianco

di Delors (CE, 1993); il nuovo obiettivo europeo, secondo Delors, è la ricostruzione

dell’economia generale su nuovi pilastri puntando su: “capitale umano, la risorsa principale, e

sulla superiore competitività rispetto agli altri paesi, valorizzando congiuntamente il senso di

responsabilità individuale e di responsabilità collettiva, elementi questi che caratterizzano quei

valori di civiltà europea che vanno conservati e adattati al mondo di oggi e di domani” (Ibidem,

p. 22). Il Libro Bianco indica come necessari per il raggiungimento dell’obiettivo europeo degli

investimenti nella tecnologia, nella qualità e nel capitale umano.

Con il Consiglio d’Europa di Lisbona del marzo del 2000, viene esposta la nuova strategia che

vede il realizzarsi di una cosiddetta “economia della conoscenza”. L’ideale stilato dal Consiglio

è quello di un’economia più competitiva e dinamica in grado di crescere in modo sostenibile.

L’autorevole obiettivo altro non poteva essere raggiunto se non per mezzo della Responsabilità

Sociale d’Impresa, la cui implementazione veniva vista come strategicamente funzionale al

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raggiungimento della nuova economia. Fu in tale sede, per la prima volta, che il settore privato

viene considerato rilevante al contributo totale al raggiungimento dell’obiettivo.

Si giunge in seguito, con il Libro Verde del luglio 2001, prima citato, ad avviare un vero e

proprio dibattito in tema di Corporate Social Responsability. Attraverso tale documento si

individuano due campi di applicazione della responsabilità sociale: la cosiddetta “dimensione

interna”, legata alla gestione delle risorse umane, alla tutela della salute e della sicurezza,

all’adattamento alle trasformazioni nelle ristrutturazioni aziendali e alla gestione degli effetti

dell’attività aziendale sull’ambiente, e quella “esterna”, legata invece ai rapporti con le

comunità locali, alla costruzione di partnership commerciali, ai rapporti con fornitori e

consumatori, al rispetto dei diritti umani nella catena di fornitura ed, inoltre, a una serie di

preoccupazioni ambientali a livello planetario. Ciò che emerge da tale definizione sono tre

elementi che contraddistinguono il fenomeno (De chiara A., 2015, p. 20):

1. la volontarietà, l’adozione di comportamenti responsabili deve derivare da una scelta

consapevole dell’impresa e non da un’imposizione di legge;

2. l’approccio triple bottom line, secondo il quale la performance dell’impresa deve essere

valutata non solo in termini economici, ma anche sociali ed ambientali;

3. il riferimento agli stakeholders e quindi il suggerimento alle imprese di adottare

atteggiamenti di apertura al dialogo ed alla cooperazione.

In seguito il Parlamento Europeo redige la proposta di Risoluzione sul Libro Verde rilancia il

tema della RSI, proponendo la sua regolamentazione e l’integrazione in tutte le politiche

europee (prevedendo anche forme per la standardizzazione dei bilanci sociali e dei codici di

condotta attraverso la costituzione di un organismo di consultazione, il “Foro Forum per la

Responsabilità Sociale di Impresa”, come luogo di dibattito tra i Paesi membri).

Nell’aprile-giugno 2002, la DGOAS (Direzione Generale Occupazione e Affari Sociali), avvia

tre Tavole Rotonde (Round Table) sulla Responsabilità Sociale d’ Imprese. Le materie oggetto

di tale dibattito sono i codici di condotta, gli standards e sistemi di gestione e il social reporting.

Al termine delle tre Tavole Rotonde, il cui obiettivo era facilitare un confronto diretto tra diversi

stakeholders (imprese, ONG, consumatori, no-profit).

Il percorso europeo procede poi con l’emanazione di tre comunicazioni, in seguito riassunte:

1. la Comunicazione della Commissione al Consiglio Euopeo di Primavera del febbraio

2005, nella quale viene ripreso l’obiettivo definito a Lisbona (ovvero il realizzarsi di

uno sviluppo sostenibile e di un’economia della conoscenza) perseguibile grazie

all’integrazione tra iniziativa privata e RSI;

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2. la Comunicazione della Commissione Europea del 200612, sul sostegno ad un’alleanza

tra i paesi membri dell’Unione Europea i quali collaborino nel mettere a disposizione

risorse e capacità;

3. la Comunicazione Europe 202013, la quale riprende i tre pilastri, economico, sociale e

ambientale definiti a Lisbona, ponendo al centro la dimensione sociale dal punto di vista

di occupazione, povertà e disparità sociale. Lo scopo di tale ultima Comunicazione è

quello di delineare la strategia per uscire dalla crisi e attuare una crescita intelligente,

sostenibile e inclusiva.

Ci pensa la Commissione Europea con la Comunicazione di ottobre 201014 a delineare una

nuova strategia dell’Europa sulla CSR, ora definita come “la responsabilità delle imprese per il

loro impatto sulla società” e l’obiettivo delle imprese è “fare tutto il possibile per creare un

“valore condiviso” tra i proprietari/azionisti, tra le parti interessate e la società in generale;

identificare, prevenire e mitigare i possibili effetti negativi” (EC, 2011, p. 7). Con questa nuova

definizione si supera l’approccio soggettivo dato a Lisbona nel 2001 e si richiede una maggiore

adesione ai principi promossi dalle organizzazioni internazionali (successivamente riportate).

La nuova strategia della Commissione mette in primo piano il ruolo del consumatore, taciuto

nella definizione di Lisbona, ma che contribuirà nel tempo alla diffusione della Responsabilità

Sociale d’Impresa. Inoltre, di certo, la suddetta nuova strategia proposta dall’Europa delinea un

nuovo approccio lontano da quello del Libro Verde: mentre quest’ultimo rimetteva all’impresa

la decisione di adottare o meno una condotta socialmente responsabile, ora l’Unione Europea

punta ad introdurre nuovi elementi più vincolanti, anche sotto forma di autoregolamentazione.

12 Il partenariato per la crescita e l’occupazione: fare dell’Europa un polo di eccellenza in materia di Responsabilità Sociale delle Imprese. 13 Strategy for smart growth, sustainable and inclusive. 14 A Renewed EU Strategy 2011-2014 for Corporate Social Responsability.

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1.5.2 Sostenibilità e linee guida internazionali

Finora si è fatto più volte riferimento al concetto di sviluppo sostenibile, di cui l’Unione

Europea si fa promotrice nei vari documenti e comunicazioni sopra citati.

Tale concetto può essere contestualizzato delineandone il percorso a livello internazionale. Le

tappe principali per giungere alla definizione di “sviluppo sostenibile” possono essere così

riassunte (tabella 1.1):

Tabella 1.1. Le tappe principali per il concetto di sviluppo sostenibile

1980 – Rapporto World Conservation Strategy

presentato dall’International Union for the

Conservation of Nature and Natural Resources

(IUCN), dall’United Nations Environment

Programme (UNEP), dall’World Wildlife Fund

(WWF).

Sustainable Development è il mantenimento degli

essenziali processi ecologici e sistemi di supporto

vitali, la preservazione della diversità genetica e

l’utilizzo sostenibile di specie ed ecosistemi.

1987 – Rapporto Brutland delle Nazioni Unite

Sustainable Development è definito “uno sviluppo

che soddisfa i bisogni del presente senza

compromettere la possibilità delle generazioni future

di soddisfare i propri bisogni”

2000 – Millennium Summit

2002– World Summit on Sustainable Development

Allargamento della nozione dello sviluppo

sostenibile: da un’iniziale focalizzazione sulla

dimensione ambientale, oggi si compone di una

dimensione economica, una dimensione sociale ed

una ambientale.

2002-OECD

“Consumption of goods and services that meet basic

needs and quality of life without jeopardizing the

needs of future generations”.

2010-Center for Sustainable Enterprise “A way of doing business that creates profit while

avoiding harm to people and the planet”.

Fonte: De Chiara A. (2015, p. 17).

Inoltre, è rilevante fare riferimento alle iniziative del Segretario Generale delle Nazioni Unite

che:

o nel 1983, ha costituito la World Commission on Environment and Development

finalizzata all’elaborazione di un’agenda globale del cambiamento;

o nel 1999 ha permesso la creazione di una sorta di “patto globale” chiamato Global

Compact allo scopo di creare un’economia globale più incisiva e sostenibile.

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In seguito, nel 2000, aggiornate nel 2011, sono state emanate le “Linee guida dell’OCSE

destinate alle imprese multinazionali” ed è stata emessa la “Dichiarazione tripartita di principi

sulle imprese multinazionali e la politica sociale”.

Queste sopra citate sono alcune delle iniziative internazionali di sostenibilità promosse dalle

istituzione internazionali, delle quali e di altre si troverà in seguito un’analisi delle linee guida.

Accumunate dallo scopo di promuovere un’economia mondiale sostenibile, salvaguardando

l’ambiente e la società, hanno ad oggetto framework normativi che possono favorire la

comparazione tra esse, migliorarne la pratica e garantire, a volte, un’assurance15 efficace.

Il Global Compact delle Nazioni Unite

Il Global Compact è un’iniziativa volontaria di adesione ai principi fondamentali per uno

sviluppo sostenibile di lungo tempo. Proposto nel 1999 dall’allora Segretario delle Nazioni

Unite, Kofi Annan, durante il forum mondale a Davos, ha come idea di fondo quella per cui le

imprese che hanno una visione strategica di lungo periodo orientata alla CSR, all'innovazione

e all'accountability16 possono contribuire ad una nuova fase della globalizzazione caratterizzata

da sostenibilità, cooperazione internazionale, partnership in una prospettiva multi-stakeholders

con impatti positivi sulle persone impiegate nell'impresa, su tutte le fasi della catena del valore

e sulla società. In questo caso, l’approccio non è di tipo Triple Bottom Line, poiché i riferimenti

principali riguardano la sfera etico-sociale e l’ambiente mentre i principi economici non

vengono, infatti, trattati direttamente. In ogni caso, ciò non esclude un ritorno positivo indiretto

dovuto all’applicazione del Global Compact e dei suoi principi (tabella 1.2). Per quanto

riguarda il report esterno, le imprese aderenti si impegnano a redigere ogni anno un documento,

la Communication on Progress (COP), rivolto agli stakeholders, per mostrare i progressi

ottenuti dall’applicazione dei principi. La presenza, ad oggi, di dieci principi volutamente

generici, permette l’applicazione di tale strumento in modo relativamente facile, ma al

contempo non permette un assurance significativa tra le diverse applicazioni date le realtà

profondamente differenti.

15 Con tale termine si intende l’attività di verifica del reporting (rendicontazione) da parte di un ente esterno all’impresa. 16 Il termine, di origine anglosassone, indica quell’insieme di azioni che svolgono la funzione sociale di “rendere conto”, delle quali non si trova adeguata traduzione nelle grandezze contabili espresse nella rendicontazione finanziaria obbligatoria.

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Tabella 1.2 Le tappe principale per il concetto di sviluppo sostenibile

AREA LINEE GUIDA

DIRITTI UMANI 1. Supportare e rispettare la protezione dei diritti umani. 2. Assicurarsi che la società non compiano abusi verso i diritti umani.

LAVORO

3. Sostenere la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva. 4. Eliminare tutte le forme di lavoro forzato e obbligato. 5. Abolire effettivamente il lavoro minorile. 6. Eliminare le discriminazioni relative all’impiego e all’occupazione.

AMBIENTE 7. Supportare un approccio precauzionale alla sfida ambientale. 8. Promuovere iniziative per una maggiore responsabilità ambientale. 9. Sviluppare e diffondere tecnologie pulite.

CORRUZIONE 10. Impegnarsi a contrastare la corruzione in ogni sua forma, incluse

l’estorsione e le tangenti.

Fonte: De Chiara A. (2015, p. 20).

La dichiarazione tripartita dell’International Labour Organization (ILO)

Nel 2011, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) formula la cosiddetta

“Dichiarazione Tripartita” con lo scopo di implementare la sostenibilità in ambito sociale, in

particolar modo cercando di tutelare i diritti dei lavoratori di tutto il mondo. L’OIL persegue lo

scopo di garantire, come minimo, i bisogni fondamentali dei lavoratori e delle loro famiglie

(Gallino, 2007), contrastando sia le multinazionali in cerca di lavoro a basso costo nei Paesi in

via di sviluppo, sia le istituzioni presenti in questi ultimi interessate a mantenere un costo basso

per attrarre investitori esteri.

L’obiettivo di giustizia sociale, essenziale per la pace universale e duratura e per la prosperità

e il progresso, viene messo in pratica riunendo governi, datori di lavoro e lavoratori

rappresentanti (sindacati) di 187 Stati membri, per fissare standards di lavoro, sviluppare

politiche e mettere a punto programmi di promozione del lavoro dignitoso per tutte le donne e

gli uomini (OIL).

Principi Guida su imprese e diritti umani delle Nazioni Unite

I Principi Guida su Imprese e Diritti Umani delle Nazioni Unite “hanno lo scopo di affrontare

il crescente divario tra la portata e l’impatto degli attori economici e finanziari e la capacità

della società di gestire i loro impatti negativi sui diritti umani” […] “I governi devono fare

passi avanti per colmare le lacune che hanno giocato una parte così grande nel facilitare e

sostenere l’attuale crisi economica e le imprese devono collaborare con gli sforzi dei governi

in questo senso. Dare attuazione ai Principi Guida sarà un grande passo nella giusta

direzione” (Pillay N., 2012).

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Nel giugno 2011 il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità

tale documento definendo un insieme di regole di comportamento in materia di diritti umani sia

per le imprese sia per gli Stati che hanno il compito di controllarle. Nonostante il carattere non

vincolante, i Principi Guida sono un fondamentale punto di riferimento a livello internazionale,

che permettono alle organizzazioni di dare risposte più efficaci sul proprio impatto attuale e

potenziale sui diritti umani e di darne comunicazione agli stakeholders.

Principi direttivi dell’OCSE destinati alle imprese multinazionali

Essi sono un insieme di raccomandazioni ed orientamenti per le imprese che vogliono

implementare alla propria condotta aziendale un criterio di responsabilità sociale. Questi

principi non hanno, pertanto, carattere vincolante dal punto di vista legislativo ma, essendo le

multinazionali significativamente influenti al progresso economico, ambientale e sociale, un

loro cambiamento in tal senso non potrebbe che stimolare un contributo positivo nei vari ambiti.

In sostanza, le multinazionali dei Paesi membri (42 in totale tra i governi OCSE e non) si

impegnano a rispettare le raccomandazioni previste dall’OCSE (aggiornate nel 2011)

riguardanti:

o il comportamento in ambito di diritti umani, lotta alla corruzione ed alla concussione,

interessi del consumatore, fiscalità e concorrenza;

o la struttura e l’attività idonea ad una corretta diffusione ed applicazione delle Linee

Guida. (OCSE, 2011).

Le Linee Guida ISO 26000

Le Linee Guida ISO 26000 non rappresentano il risultato di una volontà espressa di definire

una certificazione bensì sono una guida frutto del confronto e del dibattito tra più di 40 Paesi e

50 organizzazioni internazionali che rappresentano sei categorie di parti interessate:

consumatori, associazioni, sindacati, organizzazioni non governative, imprese ed esponenti

della comunità in generale. Esse forniscono una metodologia per identificare e implementare la

CSR e comunicarne la performance. Non essendo una norma di gestione pertanto il rispetto del

modello ISO potrà essere valutato e confermato solamente dalle parti interessate delle sei

categorie prima citate. I principi ISO riguardano: trasparenza, etica, responsabilità, rispetto

degli stakeholders, della legge, dei diritti umani e degli standards di comportamento

internazionali.

La norma ISO 26000, ad oggi, si suddivide in sette parti, di cui la quarta tratta anche la

“responsabilità di rendere conto” (accountability) espressa come “un’organizzazione dovrebbe

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essere responsabile di rendere conto dei propri impatti sulla società, sull’economia e

sull’ambiente (…). La responsabilità di rendere conto implica anche il farsi carico di

responsabilità in caso di azioni scorrette, adottando adeguate misure allo scopo di porvi

rimedio e intraprendendo azioni volte ad impedirne la reiterazione” (Vecchiato, 2012).

Due Diligence Guidance for Responsible Supply Chain Management of Minerals from

Conflict-Affected and High Risk Areas - OCSE 2010

Questa iniziativa dell’organizzazione internazionale dell’OCSE (in inglese Organization for

Economic co-operation and Development) consiste in un documento che promuove il rispetto

dei diritti umani da parte delle imprese evitando che, attraverso la gestione di attività minerarie

e oro, contribuiscano ai conflitti presenti in determinati Paesi dove la suddetta si svolge.

Sostanzialmente trattasi di una guida, applicabile a tutte le società operanti nella catena di

fornitura dei minerali allo scopo di alimentare la trasparenza delle supply chain e il

coinvolgimento sostenibile delle imprese nel settore minerario, garantendo anche il rispetto del

diritto internazionale e nazionale (nel caso in cui fosse disciplinato il commercio illegale di

minerali).

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1.6 LE LINEE GUIDA PER LA RENDICONTAZIONE

A partire dagli anni novanta del secolo scorso, in seguito al vertice di Rio de Janeiro del 199217

e al V Programma di Azione Comunitario18 in tema di ambiente, la dimensione sociale ed

ambientale delle aziende hanno acquisito sempre più rilevanza, ampliando progressivamente il

dovere di accountability delle imprese. Tale dovere è stato assolto per mezzo della redazione

di documenti complementari e collaterali a quelli obbligatori di impronta finanziaria,

economica e patrimoniale come il bilancio d’esercizio e le relazioni integrative. Il bilancio

d’esercizio non è mai stato in grado di rappresentare la realtà aziendale nelle relazioni con la

società e l’ambiente, anche a causa delle finalità informative necessarie a destinatari come

proprietari e gestori di imprese. Le voci risultano pertanto non chiare e complesse per un

soggetto esterno inesperto o per avere un’idea del contesto generale in cui l’impresa si colloca.

La necessità di avere informazioni complete, comparabili e esaustive non è stata soddisfatta

nemmeno dal documento rappresentato dalla “nota integrativa” e dalla “relazione sulla

gestione” (strumenti di supporto per una migliore interpretazione del bilancio d’esercizio), le

quali ancora non forniscono una “visione circolare”, data da una conseguente analisi degli

effetti generati sull’attività dell’impresa dal contesto sociale e ambientale all’interno del quale

è chiamata ad operare (Persico e Rossi, 2016, p. 86).

In questo contesto si sono così affermati e affiancati al bilancio d’esercizio e agli strumenti di

supporto prima citati, altri strumenti frutto del lavoro di policy maker, in particolar modo del

legislatore europeo. In primo luogo si è affermata la centralità del tema ambientale, pertanto si

sono sviluppate politiche volte all’integrazione dell’approccio di rendicontazione obbligatoria

con strumenti volontari come il bilancio ambientale, i report ambientali e gli eco-bilanci. Questi

ultimi hanno rappresentato l’iniziale significativa evoluzione della tradizionale dimensione

economico-finanziaria dell’accounting, verso la soddisfazione del crescente bisogno di

accountability.

L’iniziale interesse alla dimensione ambientale ha successivamente funto da mezzo per

l’affermazione di un approccio più allargato: l’impresa comincia ad assumere responsabilità

anche di profilo sociale oltre che ambientale come la sicurezza sul lavoro, l’equità, l’etica e la

coesione.

17 Luogo in cui venne ospitata la seconda Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo. 18 Il Quinto programma di azione a favore dell'ambiente è stato preparato come principale risposta della Comunità Europea al vertice di Rio (1992), il quale ha invitato la comunità internazionale ad elaborare nuove politiche per indirizzare la società verso forme di sviluppo sostenibile.

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Nel seguente paragrafo si vuole riprendere i passi avanti dello strumento di bilancio d’esercizio

per essere più completo nell’adempiere alla sua funzione informativa, ottenendo una visione

più chiara e esaustiva dell’azienda nel contesto in cui opera, ambientale e sociale.

1.6.1 La Raccomandazione n. 453 del 2001 della Commissione Europea e l’informativa in

materia ambientale

Il primo contributo importante è rappresentato dall’intervento dell’Unione Europea con la

Raccomandazione della Commissione Europea n. 453 del 30 maggio 2001. Attraverso tale

documento il reporting socio-ambientale si evolve, suggerendo un’integrazione delle

informazioni ambientali importanti per comprendere la situazione finanziaria alle informazione

financial obbligatorie in sede di redazione del bilancio annuale (CE, 2001). In questo modo, si

è cercato di introdurre delle regole esplicite che permettessero di fornire informazioni in materia

ambientale sufficienti a rispondere alle esigenze di tutti gli stakeholders, in particolare a quelle

degli investitori, particolarmente interessati a sapere come la posizione finanziaria dell’impresa

sia influenzata dall’impatto dei rischi e degli oneri ambientali e quale comportamento assumano

nei confronti delle questioni ambientali in generale.

Il lavoro della CE ha lo scopo di armonizzare i dati relativi alle questioni ambientali da

divulgare nei conti annuali e nelle relazioni sulla gestione delle imprese nell’Unione Europea.

Per garantire la quantità, la trasparenza e la comparabilità dei dati ambientali, la Commissione

ha sviluppato un orientamento sugli aspetti della rilevazione, valutazione e divulgazione di

quest’ultimi nei suddetti documenti, suddivisibili in tre macro aree (CE, 2001):

o l’area relativa allo stato patrimoniale, riguardante gli accantonamenti e gli oneri

ambientali (quest’ultimi indicati separatamente nel prospetto contabile);

o l’area relativa alla relazione annuale e consolidata della gestione, in merito alle politiche

perseguite e il loro stato di attuazione, ai benefici apportati, al livello di efficienza nella

gestione di risorse ambientali (energia, acqua, rifiuti) relativamente all’attività di

protezione ambientale;

o l’area relativa all’allegato ai conti annuali e consolidati. Tale area si occupa di fornire

diverse tipologie di informazione ovvero l’inclusione di: dettagli riguardanti la voce

“altri accantonamenti”, metodi usati nella valutazione delle questioni ambientali e stima

delle rettifiche di valore, spiegazione in merito alla registrazione di sopravvenienze

passive legate all’ambiente di rilievo, valore delle passività senza attualizzazione e del

tasso applicato nel caso fosse stato usato il metodo di attualizzazione, politica

ambientale, importo delle spese ambientali e il valore di quelle capitalizzate,

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registrazione separata di eventuali multe per questioni legate all’aspetto ambientale,

incentivi statali di protezione ambientale di cui l’azienda ha diritto.

1.6.2 La nuova Relazione sulla gestione: la Modernization Directive e il recepimento in

Italia con il d. lgs. 32/2007

Con la cosiddetta Modernization Directive, ovvero la direttiva 51 del 2003 ad opera della

Parlamento e del Consiglio Europeo, sono state apportate importanti modifiche alle precedenti

direttive quali: la 78/660/CEE (o chiamata IV direttiva) in materia di bilancio d’esercizio, la

83/349/CEE (o anche VII direttiva), relativamente al bilancio consolidato e le direttive

86/635/CEE e 91/674/CEE in ambito di istituti finanziari ed assicurativi.

La suddetta direttiva ha principalmente lo scopo di armonizzare il contesto delle direttive

comunitarie a quella di prassi delle istituzioni internazionali, per non far emergere disparità tra

le imprese. Essa comporta alcune modifiche riguardanti sia aspetti formali che di contenuto dei

documenti di bilancio (come quelli sugli accantonamenti), alcune variazioni in merito alla

valutazione delle poste di bilancio (delle passività, delle immobilizzazioni) e al controllo legale

dei conti, ma in particolare per il tema che la tesi affronta, sono state apportate modifiche sulla

stesura della relazione sulla gestione. Per quanto riguarda quest’ultimo documento, in ambito

di bilancio d’esercizio è l’articolo 14 che modifica il 46 della IV direttiva, mentre nel caso del

bilancio consolidato è l’articolo 10 che modifica il 36 della VII direttiva.

In Italia, la direttiva è stata recepita con il decreto legislativo n. 32 del 2007, solamente per la

parte riguardante il controllo legale dei conti e la relazione sulla gestione. La relazione sulla

gestione, normata dall’articolo 2428 del Codice Civile, è un documento obbligatorio per tutte

le società di capitali19, sebbene siano previsti dalla legge dei casi di esclusione, infatti, le società

che non emettono titoli negoziati in mercati regolamentati e non superano nel primo esercizio

o, successivamente, per due esercizi consecutivi due dei parametri previsti dall’art. 2435-bis,

comma 1, modificati dal d. lgs 173/200820, sono esonerate dalla redazione della Relazione sulla

gestione, qualora forniscano nella nota integrativa le informazioni richieste dai numeri 3 e 4

dell’art.2428 (CNDCEC, 2009).

19 Ciò indipendentemente dal fatto che redigano il bilancio in conformità alle norme civilistiche o ai principi contabili internazionali (IAS/IFRS). 20 Ai sensi dell’art. 2435-bis c.c., modificato dall’art. 1 del d. lgs. 173/2008, le società di capitali non quotate possono redigere il bilancio in forma abbreviata quando nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti: - Totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro - Ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro - Dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità

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L’articolo 2428, in seguito al recepimento della direttiva di “modernizzazione contabile” si è

così modificato come segue al comma 1° e 2° (tabella 1.3):

Tabella 1.3: Le modifiche all’art. 2428 C.C.

Articolo 2428 c.c. Prima d. lgs. 32/2007 Dopo d. lgs 32/2007

1° comma

Il bilancio deve essere corredato da

una relazione degli amministratori

sulla situazione della società e

sull'andamento della gestione, nel

suo complesso e nei vari settori in

cui essa ha operato, anche attraverso

imprese controllate, con particolare

riguardo ai costi, ai ricavi e agli

investimenti.

Il bilancio deve essere corredato da una relazione

degli amministratori contenente un'analisi

fedele, equilibrata ed esauriente della società e

dell'andamento e del risultato della gestione, nel

suo complesso e nei vari settori in cui essa ha

operato, anche attraverso imprese controllate, con

particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli

investimenti, nonché una descrizione dei

principali rischi e incertezze cui la società è

esposta.

2° comma

L'analisi di cui al primo comma coerente con

l'entità e la complessità degli affari della società

e contiene, nella misura necessaria alla

comprensione della situazione della società e

dell'andamento e del risultato della sua

gestione, gli indicatori di risultato finanziari e,

se del caso, quelli non finanziari pertinenti

all'attività specifica della società, comprese le

informazioni attinenti all'ambiente e al

personale. L'analisi contiene, ove opportuno,

riferimenti agli importi riportati nel bilancio e

chiarimenti

aggiuntivi su di essi.

Fonte: elaborazione propria

Attraverso queste modifiche, il legislatore ha voluto fornire un documento più completo agli

interlocutori esterni, allo scopo di integrare l’informativa di bilancio e offrire una visione della

situazione aziendale più allargata, grazie alla presenza di dati non desumibili dalla contabilità

generale. Infatti, il legislatore comunitario richiede di riportare, nei casi di non esclusione visti

in precedenza, sia “financial indicators” che “non financial indicators”, quest’ultimi originati

da fonti diverse dal bilancio. Le suddette informazioni sono fornite “nella misura necessaria

alla comprensione della situazione della società e dell'andamento e del risultato della sua

gestione”, per cui, nel momento in cui con gli indicatori finanziari si fosse già compiuto tale

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scopo, la società non sarebbe più tenuta a fornire ulteriori informazioni non finanziarie (in

quanto “solo del caso”).

Per quanto concerne le informazioni relative all’ambiente e al personale si distinguono quelle

obbligatorie per tutte le imprese, da quelle facoltative, valide solamente per alcune tipologie di

impresa21.

1.6.3 Le iniziative dell’IASB e la costituzione del SASB

L’International Accounting Standard Board (IASB), quale organo deputato all’emanazione dei

principi contabili internazionali IAS/IFRS, ha rivisitato il contenuto del Management

Commentary, una guida che l’organismo ha redatto per dare indicazioni pratiche sulla redazione

della Relazione degli amministratori al bilancio. In questo modo, tutte le società obbligate alla

redazione del report annuale secondo i principi contabili internazionali dovranno rispettare il

nuovo contenuto più fornito di informazioni di natura strategica e di looking-forward. Infatti il

Framework del Management Commentary (IASB, 2010) riportato il principio che sta alla base

del reporting integrato per cui tale documento dovrebbe fornire agli interlocutori le

informazioni finanziarie con la redazione del bilancio d’esercizio, correlato da informazione

integrative riguardanti il contesto in cui le prime si manifestano. Ad esempio, gli impatti positivi

o negativi di una certa attività economica, come il perché e le implicazioni future.

Successivamente, è stato fondato il Sustainable Accounting Standard Board (SASB),

un’organizzazione non profit finalizzata alla definizione e diffusione di standard per la

sustainability accounting all’interno delle imprese in modo da supportarle nella capacità di

comunicare informazioni concrete e decision-useful per gli investitori.

1.6.4 Il World Intellectual Capital Initiative

Nel 2007 nasce il World Intellectual Capital Initiative (WICI), un’iniziativa portata avanti da

imprese, analisti, investitori, rappresentanti della professione contabile e del mondo

universitario per studiare la necessità di una variazione nel Corporate Reporting, in particolare

relativamente all’allocazione del capitale. Gli obiettivi del WICI sono i seguenti:

o creare un framework per permettere la misurazione delle performance aziendali e la

successiva comunicazione a shareholders e stakeholders;

21 Ossia quelle aziende che superano alla chiusura del primo esercizio o poi per due esercizi consecutivi due dei seguenti limiti (il CNDCEC ritiene idonei i parametri usati dal legislatore comunitario): - Totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 43.000.000; - Totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni 50.000.000 €; - Numero dipendenti: 250.

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o sviluppare linee guida per poter avere KPIs (Key Performance Indicators) specifici di

settore;

o semplificare lo sviluppo di XBLR (Extensible Business Reporting Language) ovvero di

uno strumento in formato telematico idoneo a gestire la complessità di informazioni

presenti (di cui si rimanda per completezza di contesto, al capitolo successivo).

1.6.5 Le linee guida Global Reporting Initiative: il Report di Sostenibilità

Il Global Reporting Inititive è sia un processo multi-stakeholders22 che un’istituzione

indipendente fondata nel 1997 dalla “Coalizione per le Economie Ambientali Responsabili”

(CERES) in collaborazione con l’UNEP, il Programma Ambiente delle Nazioni Unite, la cui

mission è quella di definire delle linee guida per delineare una struttura comune al report di

sostenibilità (Sustainability Reporting Guidelines), utilizzabile globalmente. Il modello vuole

rappresentare un riferimento valido per tutte le aziende, predisponendo una struttura

relativamente flessibile ma che preveda dei requisiti minimi (core indicators) (ad esempio in

termini di sicurezza, emissioni in atmosfera, ecc.) da presentare nel report dalle aziende che lo

adottano, indipendentemente dal settore di provenienza. Invece, per fornire un quadro

esplicativo e coerente di ogni singolo settore, è richiesto l’utilizzo di additional indicators, da

adottarsi in aggiunta ai primi. Le linee guida del GRI presentano una metodologia basata su un

approccio auto-valutativo strutturato secondo la triple bottom line, in quanto gli indicatori sono

scomposti nelle tre principali aree di impatto: economica, ambientale e sociale.

Le linee guida per il reporting di sostenibilità sono costituite da:

o i principi guida generali per la stesura del reporting, per individuare il contenuto del

report e garantire la qualità delle informazioni fornite, riconducibili ai principi di

reporting di materialità, inclusività23 degli stakeholders, contesto di sostenibilità e

completezza, equilibrio, comparabilità, accuratezza, tempestività, affidabilità e

chiarezza;

o l’informativa standard di comunicazione, comprendente la strategia e il profilo, le

modalità di gestione e gli indicatori di performance economica, ambientale e sociale in

grado di valutare l’interdipendenza settoriale (cosiddetti Key Performance Indicators –

KPIs);

22 Approccio basato sul consenso di tutti gli stakeholders grazie ad un continuo confronto con questi. 23 Sforzarsi per raggiungere l’inclusività significa che un’organizzazione è impegnata a riflettere, in tutte le fasi di un processo, su quali siano i punti di vista e le necessità di ogni gruppo di stakeholders. I punti di vista degli stakeholders si rilevano grazie ad un processo di coinvolgimento che permette che questi vengano espressi senza paure o costrizioni. L’inclusività richiede che vengano considerati anche gli stakeholders “senza voce” incluse le generazioni future e l’ambiente”.

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o le indicazioni tecniche specifiche sul processo di redazione (GRI, 2011).

Figura 1.8 Panoramica delle Linee Guida per il reporting di sostenibilità.

Fonte: elaborazione propria

Il GRI rimangono le linee guida più utilizzate per la rendicontazione non finanziaria. Nel suo

report, KPMG ipotizza che il leggero declino che si nota nell’utilizzo del GRI sia dovuto

all’introduzione del GRI424 (spesso considerata più complessa da seguire) o dal fatto che le

imprese si allontanano dal GRI per rendicontare le informazioni non finanziarie nel report

annuale o in un report integrato (per esempio nei paesi che lo hanno reso obbligatorio) (KPMG,

2015. Figura 1.9).

Figura 1.9: Utilizzo delle Linee Guida GRI nel mondo

Fonte: KPMG (2015, p. 42)

24 Si tratta del sistema di revisione del modello GRI, attualmente giunto alla quarta, operante al fine di migliorare l’applicabilità per ogni tipologia di organizzazione. La versione G4, lanciata nel maggio del 2013, è adottabile dal 01/01/2016.

REPORT DI SOSTENIBILITA' MIRATO

INFORMATIVA STANDARD

Profilo Modalità di gestione Indicatori di performance

PRINCIPI GUIDA AL REPORTING

Guida alla definizione del contenuto del report

Principi di definizione del contenuto del report

Principi di garanzia della qualità del report

Guida alla definizione del perimetro del report

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1.6.6 Il Gruppo di studio per il Bilancio Sociale (GBS)

Il gruppo di studio di Bilancio Sociale, in collaborazione con “l’Istituto Europeo per il Bilancio

Sociale” e con il Comitato Scientifico del “Social & Ethical, Auditing & Accounting Network”,

è un’iniziativa italiana per la promozione di linee guida per la redazione del bilancio sociale.

La ricerca prodotta avevo la finalità di realizzare un documento di unione tra il bilancio sociale

di provenienza internazionale e quello di matrice europea e nazionale, volendo adottare un

approccio multi-stakeholders su modello del GRI.

Tale strumento di rendicontazione consente alle aziende di realizzare una strategia di

comunicazione diffusa e trasparente grazie all’apporto informativo, collaterale all’informativa

finanziaria obbligatoria, in merito alla quantità e alla qualità degli effetti dell’attività aziendale

nei confronti della società e dell’ambiente. Il documento presenta le linee programmatiche che

verranno realizzate dall’organizzazione nel futuro rivolgendosi a tutti interlocutori

sociali (stakeholders) e alla collettività in generale25.

Lo standard GBS è costituito da:

o una prima parte di principi di redazione del bilancio sociale del GBS (17);

o una seconda parte in cui si definisce la struttura e il contenuto del bilancio sociale

attraverso il modello a tre blocchi: 1) identità aziendale, 2) produzione e distribuzione

del valore aggiunto, 3) relazione sociale.

Inoltre, sono fissati una serie di postulati che devono caratterizzare il documento, il suo processo

di redazione e le sue finalità. Il bilancio sociale deve pertanto:

o essere redatto con scadenza periodica, magari annuale come il bilancio d’esercizio;

o essere pubblico e reso disponibile per tutti gli stakeholders;

o fare riferimento all’intera azienda;

o costruire indicatori di dialogo con gli stakeholders;

o essere consuntivo, come il bilancio d’esercizio, ma riferire sia sugli effetti sociale

previsti che prodotti (Mio C., 2005, p. 168).

25 Si veda http://www.gruppobilanciosociale.org/associazione-gbs/bilancio-sociale/

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1.7 VERSO IL BILANCIO INTEGRATO

Indipendentemente dal modello di comunicazione non finanziaria adottato, i pilastri del

reporting non finanziario sono così riassumibili (Supino e Sica, 2011, p. 86):

o fornire un quadro completo delle performance, comunicando agli stakeholders quali

impatti economici, sociali ed ambientali l’attività dell’organizzazione provochi;

o orientare l’organizzazione al miglioramento continuo delle prestazioni;

o permettere una comparazione dei risultati conseguiti nel corso del tempo da una stessa

organizzazione, oppure tra differenti organizzazioni, agli stakeholders cosicché possano

migliorare e ampliare le loro possibilità di analisi e valutazione.

I filoni che si sono affermati e succeduti, così come descritti, hanno contribuito a sviluppare

positivamente la tematica del reporting, mettendo in luce però aspetti non esentabili da critiche

(tabella 1.4).

Tabella 1.4: Critiche agli approcci per il reporting prima del Bilancio Integrato

APPROCCIO CRITICITA’

INTELLECTUAL CAPITAL Trascurano le istanze

ambientali, sociali e di

sostenibilità.

Non mettono sullo stesso

piano tutti gli stakeholders

ma lasciano agli shareholders

il ruolo predominante tra gli

interlocutori a cui rispondere.

BALANCED SCORECARD

TRIPLE BOTTOM LINE Non danno adeguato rilievo

alla prospettiva strategica,

alle tematiche di governance

e all’analisi dei rischi. SUSTAINABLE ACCOUNTING

Fonte: elaborazione propria sulla base di Incollingo (2014, p. 24).

Lo sviluppo del paradigma dei modelli di accountability descritti, spinto dall’insorgere della

necessità di una nuovo forma di reporting, ha condotto all’affermarsi del report unico26, nuova

modalità di rendicontazione in cui trovano allocazione sia i risultati finanziari che quelli non

26 Di cui si farà riferimento anche come “Integrated Reporting”, “Report Integrato” e “Bilancio Integrato”.

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finanziari (Environmental, Social e Governance- ESG). L’eterogeneità dei tools apre la strada

all’idea di fondere più documenti, superando la mera combinazione (reporting annuale

tradizionale e reporting socio-ambientale o di sostenibilità) e poter fornire in questo modo una

rappresentazione unitaria e sistematica dell’impresa in modo che riesca a catturare,

integrandole, le diverse prospettive di analisi della gestione e le molteplici metodologie di

misurazione dei risultati (Elkington, 1997 citato da Incollingo, 2014, p. 24).

Una rappresentazione sintetica delle tendenze evolutive della Corporate Reporting viene

offerta dalla figura 1.10.

Figura 1.10: Tendenze evolutive della Corporate Reporting (2)

Fonte: Conti E. (2015, slide 3)

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1.8 DEFINIZIONE DELLA DOMANDA DI RICERCA

Il presente capitolo ha avuto lo scopo di definire la Corporate Social Responsability, secondo

la quale diventa imprescindibile non rendere conto a tutti gli stakeholders delle performance

aziendali, per cui anche relativamente all’operato sostenibile dell’impresa nella prospettiva

presente e futura. Al fine di inquadrare il tema, è stata proposta un’analisi dello sviluppo del

concetto di “azienda”, riprendendo i maggiori contributi della dottrina e facendo un breve

excursus storico, fino ad arrivare alla sua visione di istituzione legata indissolubilmente da un

rapporto reciproco con l’ambiente e la società, generatrice di valore non solo per gli

shareholders ma per una vasta gamma di stakeholders.

Per comprendere come si sia sviluppata la complessa e sfaccettata disciplina della CRS vengono

esposte le principali tappe evolutive, soffermandosi sul passaggio avvenuto dalla teoria dello

“Shareholder Approach” a quella dello “Stakeholder Approach”, fino alla “Triple Bottom line”.

A questo punto, la rilevanza degli stakeholders percepita dagli studi in materia ha portato a

dedicare un paragrafo a tali soggetti per analizzarne il cambio di ruolo avvenuto nel corso degli

ultimi anni nel rapporto tra loro ma soprattutto nel rapporto con l’azienda. Da qui si ricollega

la visione di Porter e Kramer (2002, 2007, 2011) e il nuovo obiettivo di creazione di “valore

condiviso” (Corporate Shared Value), diverso da quello di Responsabilità Sociale d’Impresa in

cui “il collegamento con il business è limitato”. Il modello di Porter e Kramer, infatti, mette al

centro delle decisioni sui programmi di CSR il rapporto interno-esterno e esterno-interno

(ovvero il contesto competitivo) tra impresa e società.

La spinta degli stakeholders ha portato l’impresa a ricercare degli strumenti che permettessero

l’implementazione della Corporate Social Responsability a livello di Performance, Reporting

e Assurance al proprio interno per poterne successivamente dare una comunicazione esterna.

Il conseguente esame delle principali iniziative a livello europeo ed internazionale, intercorse

negli anni, ha permesso di comprendere la reale necessità che sussiste di dotare le imprese di

un modello di rendicontazione integrata.

La ricerca ha lo scopo di descrivere il documento rappresentato dall’Integrated Reporting, quale

evoluzione positiva del supporto decisionale di cui le imprese necessitano, essendo esso un

mezzo per comunicare contemporaneamente la stabilità finanziaria e le pratiche aziendali

sostenibili. I modelli di reporting socio-ambientale e di sostenibilità, materializzandosi in

documentazioni allegate, e quindi separate dal bilancio d’esercizio, hanno, da una parte,

contribuito a rendere la comunicazione più esauriente e completa anche se complessa e spesso

discordante, ma, dall’altra parte non sono state in grado di trasmettere la relazione che intercorre

tra gli aspetti sostenibili e gli aspetti finanziari. Così facendo, lo stakeholder non è capace di

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percepire una visione completa dell’impresa, tanto da renderne difficile la comprensione di

quale modello di business e quale strategia abbia adottato. Tali strumenti si dimostrano

“inadeguati per presentare il vero percorso di creazione del valore, ovvero di cogliere gli effetti

dell’impatto aziendale sulla società” (Incollingo, 2014, p .24), in particolare viste le seguenti

criticità:

o c’è carenza di una prospettiva looking-forward, sottovalutata per lasciare spazio

principalmente all’analisi delle performance passate;

o la mancanza di una prospettiva futura impedisce di evidenziare i rischi e le incertezze e

di conseguenza non sussiste una strategia e un modello di business strutturati per

affrontarli;

o non è possibile dare una valutazione a 360° al modello di business adottato, in quanto

risulta difficoltoso, in un’ottica ristretta, evidenziarne i punti di forza e i punti di

debolezza.

Il Bilancio Integrato nasce proprio per assolvere tali lacune e permettere alle imprese di dare

una visione completa della propria strategia nel breve, medio e lungo periodo, per cui

governance e analisi dei rischi hanno un ruolo centrale nell’adempimento del dovere di

sostenibilità. Allo stesso tempo, gli stakeholders, avranno la possibilità di confrontare le diverse

imprese e le loro condotto socialmente responsabili, grazie ad un metro unico di valutazione.

Nel prossimo capitolo si procederà, prima, con un approfondimento sull’informativa non

financial, soffermandosi in seguito sull’esame del Framework <IR> redatto dall’IIRC nel

dicembre del 2013.

Il contesto di riferimento presentato vuole essere una base teorica per definire le domande di

ricerca, sulle quali si fondano le analisi empirico-descrittive (presentate nel paragrafo

“Introduzione”).

Il lavoro compiuto dall’IIRC rappresenta il primo vero framework sul Report Integrato che si

struttura in una serie di principi che le imprese adottanti tale forma di disclosure devono

rispettare per vedersi riconoscere il titolo. Come sarà possibile vedere, i diversi principi

dell’IIRC si distinguono tra linee guida, elementi rilevanti e concetti fondamentali e richiedono

che la loro implementazione sia frutto di un processo interno di intergated thinking, il quale si

materializzerà, infine, nel Report Integrato. Tale conclusione, però, non è scontata e richiede

tempo, a volte anche diversi anni.

Si vuole in tale sede mettere in luce il tema dell’evoluzione della reportistica aziendale verso

l’assunzione della forma integrata, esaminando i passi avanti compiuti in tale ambito e

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constatando il livello di compliance, riscontrabile ad oggi, con i principi dell’IIRC (prima

domanda di ricerca).

In particolare, tale struttura, contraddistinta da principi, non impone alle organizzazioni di

adottare precisi Key Performance Indicators bensì concede una certa “libertà” di decidere quelli

più idoneamente rappresentanti il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

La predisposizione di un Report Integrato prevede che i KPIs comunicati nel corso degli anni

abbiano una certa efficacia per permetterne l’utilizzo come indice di performance dell’impresa

nel perseguimento dei propri obiettivi e quindi nell’attuazione della propria strategia. Per tale

ragione, la seconda domanda di ricerca si pone sull’intenzione di valutare proprio il livello di

efficacia comunicativa espressa dai predetti indicatori. Inoltre, si vuole fornire una risposta ai

seguenti quesiti rappresentati la terza domanda di ricerca, relativi alla capacità del soggetto

di allineare KPIs e obiettivi nella propria forma di disclosure e di mantenerli nel tempo:

1) È possibile comprendere il collegamento tra gli obiettivi comunicati e i KPIs, anche

in seguito a cambiamenti avvenuti nel business model? C’è coerenza?

2) La scelta di comunicazione dei KPIs nel corso degli anni si mantiene costante,

qualunque sia la performance misurata?

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CAPITOLO SECONDO

IL BILANCIO INTEGRATO: IL NUOVO STADIO DI CORPORATE

REPORTING

2.1 L’INFORMATIVA NON FINANZIARIA E IL SUO GRADO DI DIFFUSIONE

2.1.1 Premessa

Come accennato, il Report Integrato fonda le proprie radici sulla sentita esigenza di un

cambiamento informativo in merito alla performance aziendale, nei confronti non solo degli

shareholders ma di tutti gli stakeholders. Le relazioni intrattenute con gli interlocutori

contribuiscono alla creazione di valore per l’azienda e all’affermarsi della cosiddetta

Stakeholder Theory. Successivamente, con l’insinuarsi del tema di Corporate Social

Responsability, sboccia il filone di studi sul reporting ambientale, sociale, socio-ambientale e

di sostenibilità, documenti separati dal report annuale, nati per essere una risposta delle imprese

alla pressione che gli interlocutori esterni esercitano, in modo così da ottenere la legittimazione

sociale ad operare. Da qui ne consegue lo sviluppo di diverse proposte provenienti da organismi

regolatori e standard setter, i quali però, utilizzando approcci eterogenei tra loro, non riescono

a soddisfare pienamente l’esigenza informativa degli stakeholders attraverso la redazione di un

unico report.

L’Integrated Reporting (IR) rappresenta, infatti, un ulteriore passo avanti nel campo della

rendicontazione e un’evoluzione al bilancio di sostenibilità (o bilancio sociale o socio-

ambientale), finalizzato a mettere in luce le variabili Environmental, Social e Governance (le

cosiddette variabili “ESG”) integrandole al bilancio civilistico. L’innovazione rappresentata

dall’IR si basa sulla sussistenza di informazioni finanziarie e non finanziarie, non risultati da

una semplice somma ma al contrario dall’unione e dalla fusione di queste in un unico report.

La rappresentazione unitaria permette di mettere in luce l’interrelazione tra l’informativa

finanziaria e non finanziaria, dimensioni finora trattate solo separatamente. In particolare,

l’Integrated Reporting offre una nuova visione d’insieme dell’azienda perché in grado di

evidenziarne la sinergia scaturente da tale integrazione informativa, risultante in creazione di

valore per l’impresa. L’arco di tempo che non coincide solamente con il breve termine, ma

anche con il medio-lungo, si concentra sulla realizzazione di valore sostenibile nel tempo.

Infatti, come anche Eccles e Krzus affermano (2012, p. 24), il Report Integrato è sia uno

strumento che una rappresentazione simbolica dell’impegno dell’impresa verso la sostenibilità.

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2.1.2 L’informativa non finanziaria e il suo grado di diffusione

Nel corso del primo capitolo, si è visto come l’impresa rappresenti un sistema “vitale” che

necessita di un continuo interscambio positivo con l’ambiente e la società, pena l’estinzione.

Tale interscambio rappresenta l’opportunità per l’azienda di comunicare la propria mission e il

modus operandi ai propri stakeholders e, perché ciò avvenga in modo più esauriente, sempre

più imprese pubblicano, in allegato al bilancio d’esercizio, un report di sostenibilità,

informando volontariamente gli interlocutori sulle variabili non finanziarie.

Secondo una ricerca compiuta da KPMG (2015) nel campione N100, ovvero comprendente le

100 aziende più grandi di 45 Paesi a livello mondiale, il 75 % di queste pubblicano

(volontariamente o perché obbligate dalla normativa interna) informazioni non finanziarie: 3 su

5 lo fanno includendo dati non financial nei loro report annuali (1 su 5 nel 2011) però non

integrandoli. Ad ogni modo, il driver di diffusione della rendicontazione di sostenibilità,

secondo la società di revisione, è da ricondurre all’estensione delle legislazioni che ne

prevedono l’obbligo.

Nell’ultimo decennio, infatti, la percentuale delle società quotate del Global Fortune 250 che

pubblicano un reporting di sostenibilità è passata dal 64% del 2005 al 92% del 2015, mentre

per il campione delle N100, si è passati dal 41 % al 73% (figura 2.1).

Figura 2.1: La percentuale di aziende che pubblicano un report di sostenibilità

Fonte: KPMG (2015, p. 30).

Sebbene circa il 60 % delle aziende inserisca informazioni non finanziarie nel proprio report

annuale (figura 2.2), quelle che dichiarano di pubblicare un Report Integrato sono circa 1 su 10

(figura 2.3). Il caso di maggior diffusione di Integrated Reporting è quello sudafricano, paese

in cui è previsto l’obbligo per legge per tutte le società quotate alla borsa di Johannesburg di

tale tipologia di rendicontazione.

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Figura 2.2: Tasso di inclusione di informazioni finanziarie nel report annuale (non integrato)

Figura 2.3: Numero attuale di report integrati

Fonte: KPMG (2015, p. 36).

Fonte: KPMG (2015, p. 38)

A livello mondiale, in generale, la rendicontazione integrata rallenta un po’ a diffondersi sia per

la necessità di ulteriori legislazioni in merito che ne impongano il vincolo obbligatorio sia

perché, trovandosi ad uno stadio iniziale di espansione necessitano di tempo per

l’implementazione. In alcuni casi però, numerosi interventi hanno portato all’acquisizione di

requisiti obbligatori e volontari rispetto all’informazione non finanziaria, specialmente in Asia

(figura 2.4), in cui si è passati da un tasso complessivo del 49 % nel 2011 a un 73 % nel 2015.

I tre Paesi in cui i tassi di reporting di sostenibilità sono cresciuti significativamente negli ultimi

due anni sono: India (+27%), Taiwan (+21%) e Corea del Sud (+25%).

Figura 2.4: La rendicontazione non finanziaria nel mondo

Fonte: KPMG (2015, p. 31).

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La terza posizione dell’Europa nel ranking è giustificata dalla netta disparità tra il tasso di

rendicontazione nell’Europa dell’ovest, equivalente al 79%, e quello nell’Europa dell’est,

corrispondente al 61%. Si prevede, comunque, che con l’introduzione della Direttiva Europea

2014/95/CE (di cui si rimanda al paragrafo 2.7) tale gap dovrebbe tendere a ridursi.

Globalmente, il tasso medio di rendicontazione non financial coincide con circa il 75%: 2 su 3

superano la media, tra cui l’Italia, mentre solo 8 mostrano tassi superiori al 82% fino al 100%,

ricompresi tra India, Indonesia, Malesia, Sudafrica, Regno Unito, Francia, Danimarca e

Norvegia.

L’introduzione legislativa in tema di rendicontazione non finanziaria può differenziarsi per

istituzione introduttrice (governo o borse) o per ambito di interesse socialmente responsabile.

Nello specifico (KPMG, 2015):

o India (100%): SEBI (Securities Exchange Board), l’autorità regolatrice dei mercati

finanziari indiana istituita nel 1992, e il Companies Act (1956), legge sul mercato del

capitale, hanno imposto a tutte le società di riportare l’informativa non finanziaria nel

report annuale;

o Malaysia (99%): è obbligatorio per le società ad azionariato diffuso (non quotate)

riportare informazione di CSR nel report annuale. La borsa malaysiana obbliga,

invece, le società quotate a descrivere in che modo sono gestiti opportunità e rischi

derivanti dalle variabili economica, ambientale e sociale;

o Indonesia (99%): sia le società quotate che quelle a responsabilità limitata sono

obbligate a riportare l’informativa non finanziaria nel report annuale;

o Sud Africa (99%): tutte le società sono spinte ad attuare una rendicontazione

integrata, secondo il King III Code of Governance Principles, mentre le imprese

quotate sono obbligate a redigerla; infatti, dal 2010, la rendicontazione integrata è

diventata uno dei requisiti per l’ammissione alla Borsa di Johannesburg.

o Francia (93%): la legge Grenelle II (2012) obbliga tutte le grandi imprese private e

quotate (il cui numero di dipendenti sia superiore a 500) a fornire anche informazioni

non finanziarie nel loro report annuale e dal 2016 è richiesta anche una disclosure in

tema ambientale-climatico;

o Regno Unito (90%): tutte le imprese quotate nel principale mercato della borsa di

Londra dovranno riportare i loro livelli di emissione dei gas serra dal 2013;

o Norvegia (86%): dal 2013, le società ad azionariato diffuso e quotate devono

obbligatoriamente integrare il bilancio annuale con le informazioni non finanziarie;

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o Danimarca (83%): circa 1.100 società danesi sono obbligate a inserire informazioni

non financial nel report annuale, in particolare a proposito di clima e diritti umani. Il

primo Bilancio Integrato viene redatto volontariamente da un’azienda danese di

biotecnologie, la Novozymes.

Dalla parte degli investitori, si dimostra, secondo l’ultimo rapporto della Global Sustainable

Investment Alliance (GSIA, 2015), che il mercato degli investimenti sostenibili è passato da

13.300 miliardi di dollari a inizio 2012 a 21.400 miliardi a inizio 2014. Essi cercano, sempre

più frequentemente forme di investimento che rispettino i criteri ESG, ovvero ambientali,

sociali e di governance societaria, ragione per cui società di informazione economico-

finanziaria come Bloomberg e Thomas Reuters provvedano oggi a fornire dati relativi a tali

variabili e alle loro performance nelle loro analisi.

2.1.3 Cos’è l’informativa non finanziaria

In dottrina, non si trova sempre una separazione tra il concetto di informativa financial (inteso

quella obbligatoria) e non financial (riferendosi a quella volontaria). Questo è dovuto al fatto

che il contesto normativo varia a seconda del Paese in cui opera l’azienda e di conseguenza le

imposizioni legislative mutano per determinati fattori economico-finanziari e per la possibilità

di adottare volontariamente o meno l’informativa legata alla sfera qualitativa. Come proposto

da Massari (2013, p. 220) l’informativa finanziaria è da ricondurre al bilancio d’esercizio

mentre con “informativa non finanziaria” ci si riferisce alla sostenibilità, in particolare

all’ambiente e la società. Quest’ultimo raggruppamento include anche la reputation, il capitale

intellettuale e la gestione del rischio.

Come è stata visto nel capitolo precedente, le aziende possono adottare i diversi approcci

comunicativi di sostenibilità mantenendo la libertà sull’approccio di collegamento tra

l’informativa financial e non financial; in questo modo il livello di interconnessione tra

l’informativa finanziaria e non finanziaria comunicato varia mostrando un’assenza di

coordinamento qualora le due informative vengano concepite separatamente dando luogo, in

questo modo, ad una comunicazione allargata ma non coesa. Oppure può presentarsi il caso in

cui, nonostante l’azienda si rivolga a stakeholders diversi, riproponga l’informativa nella stessa

forma, senza evidenziare gli aspetti principali che interessano a quei particolari interlocutori.

Ciò accade perché la difficoltà di progettare, predisporre e pubblicizzare documenti separati ma

coordinati tra loro e, quindi, in grado di essere una risposta efficiente ai diversi stakeholders è

significativamente alta. L’informativa integrata nasce proprio dalla necessità di un

coordinamento tra i due livelli informativi capace di integrare pienamente le variabili

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economica, ambientale e sociale. In questo modo, l’integrazione informativa permette

all’azienda di considerare l’interazione tra environmental e social non solo a livello di reporting

ma anche nei processi decisionali (Ibidem).

Trai i vantaggi di una comunicazione aziendale integrata l’Autore segnala:

o il rapporto bidirezionale con gli stakeholders, grazie ai feed-back;

o l’informativa multipla a livello di contenuto (analisi strategica, di contesto competitivo,

economico-finanziaria, sociale e ambientale);

o la diacronia, per la prospettiva temporale (passato , presente e futuro);

o la doppia natura delle informazioni: qualitativo-narrativa (l’informativa non finanziaria

in cui si valutano gli impatti qualitativi sulla società e sull’ambiente) e quantitativo-

finanziaria (l’informativa finanziaria del bilancio d’esercizio).

Secondo uno studio condotto negli USA nel 2008, dal CIFR per la SEC (Securities and

Exchange Commission), le cause generali che hanno condotto nel corso degli anni a intravedere

l’urgenza di un sistema integrato sono da ricondurre principalmente all’uso di standard rule-

based (US GAAP) piuttosto che principle-based (IFRS) e la carenza di un approccio olistico

nella comunicazione di impresa, eccessiva nella rendicontazione prodotta. Sebbene si sia

tentano di ridurre la complessità generale attraverso l’XBRL (Extensible Business Reporting

Language)27, questo strumento, in formato elettronico, ha aiutato le imprese nella gestione delle

informazioni ma senza ridurne di fatto le criticità preesistenti. Tale complessità se non risolta

può innescare un meccanismo di percezione di relativa trasparenza e di conseguente chiusura

da parte di quegli stakeholders che richiedono informazioni diverse da quelle economico-

finanziarie. Le informazioni non finanziarie, riconducibili alle variabili ambientale, sociale e di

governance costituiscono un’ampia categoria che, sulla base della proposta di Massari (Ibidem,

p.222), può essere suddivisa in tre sotto gruppi:

o Il primo ricomprende gli asset intangibili. Le cause che a maggior ragione conducono

all’Integrated Reporting sono da ricondurre alla nuova natura e al nuovo valore che

l’informazione ha assunto nel corso degli ultimi anni. I beni intesi come risorse tangibili,

risorse fisiche e finanziarie, stanno lasciando sempre più spazio ai cosiddetti

“intangibles” (16% dei primi contro l’84% dei secondi nel 2015), ovvero ai beni

immateriali o intangibili, come la reputazione, il capitale intellettuale e la gestione del

27 XBRL è uno standard internazionale utilizzabile volontariamente per strutturare il processo di business reporting in formato digitale e aumentarne trasparenza e accesso alle informazioni grazie all’uniformità del formato. Tale standard si avvale di una propria tassonomia consentendo la formalizzazione e codificazione uniforme delle informazioni non financial. Grazie anche a criteri per la misurazione e la classificazione, viene favorita l’armonizzazione della disclosure in forma digitale della reportistica integrata internazionalmente (Gasperini A., 2013, p. 214).

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rischio, per i quali non è possibile compiere una misurazione e pertanto nemmeno

attribuirne un valore di mercato (si veda figura 2.5).

Figura 2.5: Components of S&P 500 Market Value

Fonte: OCEAN TOMO (2015)28

La crescente complessità nelle dinamiche competitive globali, dovuta ad esempio ai

progressi tecnologici e alle fluttuazioni dei tassi di sviluppo dei mercati, ha

progressivamente costretto le imprese a dover puntare sull’accumulazione di risorse e

capitale intangibili per affermarsi come operatori di successo. Questo perché le risorse

immateriali sono meno flessibili di quelle materiali o tangibili (Chatterjee, Wernerfelt,

1991) a causa delle loro caratteristiche: non facile accumulazione, non trasferibilità e la

natura idiosincratica all’impresa e ai membri di questa. Ecco che l’imitazione di una

risorsa o competenza intangible diventa così difficile per i competitors da poterla

qualificare come una fonte privilegiata di performance differenziali e di lungo termine.

o Il secondo gruppo include i Key Performance Indicators, un insieme di indicatori

parametro-obiettivo qualitativi e quantitativi che si occupano di misurare i fattori critici

di rischio e di successo dell’azienda. L’adozione di questi strumenti permette la

misurazione delle diverse performance aziendali supportando il management nelle

decisioni di integrazione in ottica strategica (Impronta Etica, 2013). I KPIs sono

parametri che riguardano ad esempio la qualità del prodotto, il tasso di rotazione dei

dipendenti, i tassi di successo dello sviluppo di nuovi prodotti, la fidelizzazione dei

clienti.

28 Disponibile in: http://www.oceantomo.com/about/intellectualcapitalequity, [data accesso 20/09/2016].

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o Il terzo e ultimo gruppo contiene i parametri ESG (Environmental, Social e

Governance), i quali permettono una misurazione delle performance aziendali in ambito

ambientale, sociale e di governance. È fondamentale per l’agente economico essere

consapevole degli impatti che lo svolgimento delle proprie attività può avere sui suddetti

ambiti in modo da orientare le decisioni in un’ottica allargata per evitare i rischi, ma

anche per far emergere delle opportunità strategiche, come il sorgere di asset intangibili

(un esempio è la reputazione di un’azienda nel territorio in cui opera).

Per avere una visione delle principali differenze tra l’informazione finanziaria e l’informazione

non finanziaria, si propone la seguente tabella 2.1.

Tabella 2.1: Informativa finanziaria vs informativa non finanziaria

Aspetti diversi Informativa finanziaria Informativa non

finanziaria

Orizzonte temporale Backward Forward

Confini di riferimento Giuridico-contabili

Oltre i confini imposti dalla

legge, verso un’ottica life-cycle

thinking.

Principio della

rilevanza/materialità

Legata all’impatto

quantitativo-monetario sul

bilancio d’esercizio.

Legata all’impatto qualitativo e

quantitativo che un evento

aziendale può causare

internamente o nei rapporti

esterni.

Principio della verificabilità

Sempre grazie alla

ricostruzione del procedimento

contabile.

Processo ad itinere alla luce

dei progressi degli standard per

la redazione del report di

sostenibilità.

A chi si rivolge Rivolto a azionisti (attuali e

potenziale) e creditori.

A tutti gli stakeholders, ovvero

quei soggetti legittimati a

conoscere i risultati e

l’andamento dell’istituzione.

Fonte: Rielaborazione propria di Massari (2013, p. 223)

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2.1.4 La scelta dei Key Performance Indicators

Nella predisposizione dell’Integrated Reporting un’organizzazione si trova ad affrontare il

problema di quali informazioni siano rilevanti o, per riprendere il termine anglosassone

“material”. Il Framework richiede esplicitamente che il report, redatto secondo i propri principi,

debba essere, tra gli altri requisiti, materiale, sintetico e conciso, evitando di comunicare

attraverso la disclusure esterna informazioni che, relativamente alla società e alle sue

caratteristiche, si palesano come irrilevanti o anche ridondanti e che potrebbero costituire causa

di confusione per il lettore.

L’impresa, quando espone i dati relativamente alla propria situazione finanziaria o non

finanziaria attuale, si rivolge ad una pluralità di utenti che include sia i clienti, che gli investitori,

che gli shareholders ovvero categorie di stakeholders decisamente diverse sotto il punto di vista

degli interessi di cui sono portatori nei confronti dell’organizzazione.

L’One Report, quale forma di disclosure capace di saper comunicare la creazione di valore

sostenibile a tutti gli interlocutori, si avvale dell’uso di strumenti che possano aiutare qualsiasi

lettore a capire quali siano i dati importanti o rilevanti, permettendogli di visualizzare in

maniera facile ed immediata i progressi fatti dall’organizzazione nel corso degli anni: tali

strumenti sono gli indicatori di performance.

I Key Performance Indicator sono una serie di indicatori qualitativi e quantitativi che hanno la

finalità di misurare determinate prestazioni all’interno di un processo. Tale metodo consente di

compiere una misurazione interna delle attività messe in atto per il raggiungimento degli

obiettivi prefissati dall’organizzazione e, allo stesso tempo, anche una forma di controllo

esterno grazie al fatto che i KPIs rappresentano delle grandezze che permettono di aggregare i

risultati rendendoli più chiari e concisi della mera narrativa. Gli indicatori, ad ogni modo, per

poter assolvere alla predetta doppia funzione di monitoraggio e, in particolare di controllo

esterno, devono essere semplici da interpretare e, quindi, essere in grado di “distillare” diversi

dati, fornendo una diagnosi immediata dei risultati raggiunti.

Come brevemente evidenziato, gli indicatori di performance oltre a rappresentare uno

strumento di supporto per tutti gli stakeholders, costituiscono un aspetto molto vantaggioso

anche per l’impresa stessa che, se mette in atto un’attività di monitoraggio e gestione ripetuta,

può avere un continuo controllo delle performance e comprendere i progressi fatti o le aree in

cui si necessitano azioni di miglioramento e, a quel punto, delineare le prossime sfide ed

opportunità.

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Per le ragioni finora esposte, la scelta per un’azienda dei giusti indicatori “material” è

significativamente importante e a tal proposito, viene proposto un modello per l’identificazione

di essi proposto da Lydenberg e Rogers (2010, pp. 244-250).

Tale modello, sviluppato i sei stadi diversi descrive il processo decisionale che conduce

un’impresa a riporre la propria scelta su un certo tipo di indicatore piuttosto che su di un altro.

Il processo si sviluppa nelle seguenti fasi.

1. Individuazione di un ampio insieme di fattori di rischio ed opportunità che potrebbero

essere riferiti a qualunque settore industriale.

2. Dopo aver definito un certo criterio di classificazione dei settori industriali, viene

individuato il gruppo di fattori di rischio ed opportunità appropriato per il settore in cui

opera l’impresa oggetto di analisi.

3. La terza e quarta fase consistono nel percepire quali indicatori possono essere “material”

per l’impresa considerata e quindi occorre definire la “materialità” applicata all’ambito

non finanziario (si tratta di individuare gli indicatori che potrebbero avere un impatto in

termini finanziari, i fattori importanti per gli stakeholders, quelli che interessano i

regolatori e quelli che potrebbero essere vantaggiosi per l’opportunità offerta

all’impresa dall’innovazione).

4. A questo punto gli indicatori vengono sottoposti ad una valutazione basata

sull’attribuzione di un punteggio e a seconda del livello ottenuto, si determinano i Key

Performance Indicators.

5. Infine, vengono determinate le misure per gli indicatori chiave che permettano il

confronto tra le varie imprese appartenenti agli stessi settori o tra le diverse disclosures

di una stessa impresa.

Secondo gli autori, gli indicatori per essere in grado di svolgere al meglio la propria funzione,

devono essere correlati da una metrica chiara che sia comprensibile per lettore, altrimenti si

rischia di perdere il fine che giustifica la sua invenzione.

Infine, la presentazione dei KPIs deve sempre essere accompagnata da dati riferiti ai periodi

passati e dati previsionali, o obiettivi/prospettive future, consentendo un’analisi andamentale

dell’impresa.

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I requisiti dei KPI

Per perseguire lo scopo definito dalla Norma Uni 11097:200329 di “[…] associare un

determinato fenomeno o risultato a informazioni qualitative e/o quantitative sotto osservazione

[…]” tutti gli indicatori, indipendentemente dalla tipologia settoriale in cui una certa

organizzazione è inserita, devono avere alcune caratteristiche (CEPAS, 2007, p. 72-74), ovvero

la:

o Semplicità nella rilevazione, elaborazione e interpretazione e in modo rapido (se

possibile);

o Misurabilità/verifica in maniera facile ed oggettiva per mezzo di dati sotto forma di

percentuali, quantità o rapporti e attraverso l’uso di grafici o tabelle;

o Significatività e rispondenza con gli obiettivi prefissati e quindi chiaramente espressi;

o Confrontabilità con degli standard (valore di riferimento e tolleranza/scostamento

accettabile);

o Chiarezza, relativamente ai progressi fatti o alle aree che necessitano di azioni di

miglioramento.

29 La norma Uni 11097, pubblicata nel 2003 e elaborata dalla Commissione nazionale per la Qualità e l’Affidabilità, fornisce le linee guida per l’individuazione, la selezione e la rappresentazione degli indicatori della qualità e dei quadri di gestione (detti anche di governo) di essa.

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2.2 L’IIRC E LA NASCITA DEL FRAMEWORK <IR>

Nel 2009, la Global Reporting Initiative, in collaborazione con altri enti internazionali come il

Prince’s Accounting for Sustainability Project (A4S), l’International Federation of

Accountants (IFAC) e l’International Accounting Standard Board (IASB), ha per prima

proposto di dare origine al predetto unico documento globale ed integrato di reporting,

superando la fase dei bilanci separati e riportando unitamente i risultati financial (fino a quel

momento solo sotto forma di bilancio annuale, di esercizio o consolidato), environmental,

social e governance (oggetto di report separati, diversi a seconda della scelta volontaria di

comunicazione non finanziaria che il management vuole perseguire). La chiamata esigenza di

armonizzare le diverse forme di reportistica aziendale, verso il raggiungimento di coerenza e

convergenza dei diversi frameworks esistenti, porta nell’anno successivo alla nascita di un

autorevole organismo, l’International Reporting Council (IIRC). Tale organo, composto da

rappresentati di organismi regolatori, investitori, aziende, standard setter, professioni contabili

e organizzazioni non governative, ha lo scopo di definire un framework in grado di

standardizzare a livello internazionale principi e criteri per l’elaborazione dell’integrated

reporting (IR). In questo modo, è possibile avere un nuovo modello di comunicazione aziendale

sul processo di value creation nel tempo che va a definire un nuovo stadio di Corporate

Reporting.

Il percorso dell’IIRC verso il Framework ha avuto inizio a partire dal settembre 2011, mese in

cui venne pubblicato il Discussion Paper “Toward Integrated Reporting – Communicating

value in the 21th Century” in modo da avere un primo riscontro. Successivamente, nel luglio

del 2012 venne emesso il Draft Outline of the Integrated Reporting <IR> Framework, nel

novembre dello stesso anno il Prototype of the International Integrated Reporting Framework

e, in ultima, nell’aprile del 2013 il Consultation Draft of the International <IR>Framework,

per il quale si diedero due mesi di tempo per far pervenire i commenti. Solo in seguito venne

pubblicata la versione finale dell’International <IR> Framework e precisamente nel dicembre

del 2013. In allegato al predetto documento, ne vennero emessi altri due con riferimento al

principale: Basis for Conclusions e Summary of Significant Issues. Entrambi espongono la

posizione dell’IIRC in merito ai commenti sul Consultation Draft, mentre solo il secondo

illustra lo sviluppo da quest’ultimo al Framework finale.

Particolare rilevanza assumono in seguito altre due iniziative: l’IIRC Pilot Programme for

reporters e i Technical Collaboration Groups (TCG). Il primo, che verrà ripreso nel terzo

capitolo del presente elaborato, è un progetto del 2011 in cui 100 aziende di tutto il mondo si

sono rese disponibili a sviluppare un Report Integrato secondo il Framework mentre la seconda

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iniziativa riguarda la formazione di gruppi di enti ed esperti in discipline diverse per il dibattito

sui temi principali, elaborando i cosiddetti Background Papers for <IR> e contribuendo al

miglioramento del lavoro dell’IIRC.

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2.3 FINALITA’ DEL REPORT INTEGRATO E STRUTTURA DEL FRAMEWORK

2.3.1 L’approccio principle-based

L’integrated reporting costituisce il tema cruciale dell’elaborato sia perché rappresenta il punto

primo di arrivo verso l’informazione “integrata”, e quindi la fusione tra informazione financial

e non financial, sia perché rappresenta il punto di partenza per la parte empirica descritta

successivamente nel terzo capitolo.

L’IIRC ritiene che l’essenza dell’informativa integrata sia la rappresentazione della creazione

di valore, definendo l’IR come “a concise communication about how an organization’s

strategy, governance, performance and prospects, in the context of its external environment,

lead to the creation of value over the short, medium and long term” (IIRC, Framework, 1.A-

1.1, 2013) (figura 2.6).

Figura 2.6: L’essenza dell’informativa integrata secondo l’IIRC

Fonte: IIRC30

Tale documento nasce con lo scopo di definire i principi guida e gli elementi di contenuto

necessari per poter idoneamente redigere un Bilancio Integrato, rivolgendosi a tutte le società,

private a scopo di lucro, pubbliche e organizzazioni non-profit31. Solamente nel rispetto del

Framework, un Report Integrato può essere considerato tale32, e può così permettere agli

interlocutori la valutazione del processo di value creation.

L’approccio di redazione scelto dall’IIRC segna un punto di particolare interesse: l’IR si basa

su principi, riprendendo la matrice anglosassone, allontanandosi dalle regole rigide e vincolanti

30 http://integratedreporting.org/what-the-tool-for-better-reporting/ [data di accesso: 29/09/2016]. 31 IIRC, 2013. Framework: 1.B: parr.1.3, 1.4. 32 IIRC, 2013. Framework: 1.A: par.: 1.2.

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del sistema rule-based33. L’IIRC preferisce questa impostazione per garantire una certa

flessibilità nell’adozione del modello, permettendo che si tenga così conto sia della specificità

delle singole organizzazioni sia della necessità di garantire la comparabilità tra queste per le

informazioni più rilevanti34.

Si tratta di un incoraggiamento alle imprese a saper identificare i driver specifici di creazione

di valore, evidenziando nella comunicazione l’abilità nel conseguirli. Il saper riconoscere tali

fattori, talmente specifici che si possono considerare unici, non può derivare da regole di

categorizzazione o simili, pertanto un approccio principle-based appare più appropriato anche

in considerazione del fatto che il Framework si rivolge ad aziende di tutto il mondo e

appartenenti a settori diversi.

La scelta di redigere un documento basato su principi può alzare critiche relativamente alla

praticità di un approccio del genere. Tale affermazione deriva da alcuni punti del Framework

di carattere per lo più generico. In primo luogo, il Framework non prescrive di rappresentare

gli indicatori chiave di performance (KPIs) né di rispettare precisi metodi di misurazione e di

comunicazione di determinati aspetti, per cui si chiede a coloro responsabili della preparazione

e presentazione del Bilancio Integrato di esaminare le specifiche circostanze aziendali, allo

scopo di identificare35:

• gli aspetti più materiali da rappresentare36;

• le forme di comunicazione più idonee alla loro divulgazione.

In secondo luogo, relativamente alla natura delle informazioni da rendere, quantitative-

finanziarie e qualitative-non finanziarie, viene data la precisa istruzione di riportare sempre gli

indicatori financial a differenza di quelli non financial. Infatti, la combinazione di indicatori

quantitativi (finanziari) e qualitativi (non finanziari) è necessaria solamente se ritenuta essere

la modalità più idonea a comunicare la capacità dell’organizzazione di creare valore37. In terzo

luogo, la rappresentazione della creazione di valore e degli strumenti utilizzati non deve

avvenire attraverso una sua quantificare in termini monetari (aspetto ripreso in seguito nel

paragrafo dedicato agli “elementi di contenuto”) ed in ultima, in riferimento ai requisiti minimi

obbligatori, l’IIRC deroga in alcuni casi il rispetto di essi questi, precisamente nei seguenti

due38:

33 IIRC, 2013. Framework: 1.D. 34 IIRC, 2013. Framework: 1.B, par.: 1.9. 35 IIRC, 2013. Framework: 1.D, par.: 1.10. 36 Di cui si tratterà il tema in seguito nel paragrafo “Elementi di contenuto”. 37 IIRC, 2013. Framework: 1.D, par.: 1.11. 38 IIRC, 2013. Framework: 1.F, par.: 1.17.

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69

o quando la non disponibilità di dati affidabili e l’esistenza di regole specifiche non

permettono la comunicazione di informazioni materiali39;

o qualora la competizione potrebbe risentire della divulgazione delle predette

informazioni40.

Nel secondo caso, l’IIRC si è preoccupato di precisare che “it was intended that all material

matters be disclosed, but that the depth of those disclosures and information provided will

depend on the availability of reliable data and likelihood of compromising competitiveness”

(IIRC, Summary of Significant Issues, p. 10, 2013), per cui la divulgazione di informazioni

minime obbligatorie può essere derogata per superare il trade-off tra informare gli stakeholders

e divulgare informazioni che possano compromettere la competitività dell’organizzazione.

Si può concludere affermando che lasciando ampio spazio di discrezionalità alle organizzazioni

nella redazione del Bilancio Integrato, si rischia che la completezza e la comparabilità dei

bilanci ne risulti compromessa.

2.3.2 Destinatari e concetti fondamentali

Il Framework individua i destinatari principali del Report Integrato tra i fornitori di capitale

finanziario, i quali devono essere informati di come l’azienda crea valore nel tempo, attraverso

informazioni finanziare ma anche non finanziarie. Ad ogni modo, un Report Integrato permette

anche a tutti gli altri interlocutori interessati di avere dei riscontri sulla predetta capacità di

generare valore41. La scelta di “privilegiare” i fornitori di capitale finanziario rispetto agli altri

stakeholders nasce dalla concezione dell’IIRC del ruolo strategico, assunto dai primi rispetto ai

secondi, nella scelta di allocazione delle risorse da parte di tutte le organizzazioni. Grazie alla

disclusure integrata, i fornitori di capitale finanziario possono avvalersi di uno strumento di

aiuto per indirizzare quanto si vuole investire nel sostenimento di iniziative sostenibili.

Solamente per questa funzione di tramite nella scelta di investimento delle aziende, si rende

tale reportistica più rivolta ad una classe di stakeholders rispetto a tutti gli altri. A sostegno di

tale posizione, l’IIRC ne riporta la ragione in Basis for Conclusion (Issues 3, p.6): il reporting

integrato, infatti, persegue l’obiettivo di informativa sul processo di creazione di valore e non

su tutti gli impatti che quest’ultimo possa avere a livello sociale e ambientale (obiettivo invece

del report di sostenibilità).

39 In questo caso, l’omissione di informazioni non esenta dal comunicare la loro natura e la ragione di tal esclusione. 40 Nel seguente caso di deroga, non è richiesta alcuna spiegazione sull’omissione di precise informazioni (IIRC, 2013. Framework: 1.F, par.: 1.18). 41 IIRC, 2013. Framework: 1.C, par.: 1.7 e 1.8.

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70

Per quanto riguarda i “concetti fondamentali” il Framework ne individua tre e sono:

o il valore;

o i capitali;

o il processo di creazione del valore.

Secondo l’IIRC (2013), il valore creato da un’organizzazione si manifesta attraverso gli

aumenti, le diminuzioni e le trasformazioni dei capitali, provocati sia dalle attività aziendali sia

dai relativi output e presenta due aspetti interconnessi: il valore creato per sé stessa e quello per

gli stakeholders e la società in generale42. Nel primo caso si fa riferimento ad un valore

economico-finanziario, sotto forma di ritorni economici per i fornitori di capitale finanziario, i

quali hanno un interesse sia per il valore che l’azienda crea per sé sia per quello destinato ad

altre entità qualora vi fosse un’influenza positiva sulla capacità di crearne per sé43. Secondo il

Framework, l’abilità di creare valore per sé è strettamente legato alla capacità di crearlo per

“others” per cui anche le attività aziendali, le relazioni con gli stakeholders e le interazioni con

l’ambiente esterno hanno un’influenza sulla creazione di valore44. La loro influenza troverà

luogo nel Report Integrato45 solamente qualora esse abbiano un impatto significativo sull’abilità

dell’azienda di creare valore per sé46. Se ne deduce che la creazione di valore, così come intesa

dall’IIRC, consiste in quella per l’impresa stessa, congiuntamente al suo mantenimento o alla

sua distruzione.

Una rappresentazione delle fonti di valore viene fornita dall’IIRC e riproposta in tale sede

(figura 2.7).

Figura 2.7: Valore creato per l’organizzazione e per le altre entità.

Fonte: IIRC (2013, p. 10)

42 IIRC, 2013. Framework: 2.B, par.: 2.4 43 IIRC, 2013. Framework: 2.B, par.: 2.5. 44 IIRC, 2013. Framework: 2.B, par.: 2.6. 45 IIRC, 2013. Framework: 2.B, par.: 2.7. 46 IIRC, 2013. Framework: 2.B, par.: 2.8.

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Per capire se il valore debba essere inteso in termini economico-finanziari o in un più ampio

raggio, è necessario esaminare la seconda categoria di concetti fondamentali rappresentata,

appunto, dai capitali.

Il Framework tratta i “capitali” quali scorte di valore che possono aumentare, diminuire o

trasformarsi attraverso le attività e gli output dell’azienda. Quest’ultimo individua una

sommatoria di sei diverse tipologie di capitale: finanziario, produttivo, intellettuale, umano,

sociale e relazionale, naturale47 (figura 2.8).

Sebbene sia stato criticato il termine “capitali” in sede di consultazione pubblica del Draft,

l’IIRC ha mantenuto inalterata tale nomenclatura, preferendola al termine proposto “risorse”.

La scelta di questo nome è importante per l’organo internazionale perché più idoneo a

enfatizzare tutti i capitali, non solo quello finanziario, in quanto rappresentanti ognuno, a

proprio modo, di una parte del valore complessivo e pertanto meritevoli di attenzione,

perlomeno per essere mantenuti nel tempo (e poter ottenere flussi di benefici futuri)48.

Figura 2.8: Schema dei capitali

Fonte: IIRC, “Bozza di consultazione del Framework <IR> internazionale” (2013, p. 12-13)

Secondo le definizioni dell’IIRC (2013):

o il capitale finanziario è la somma dei fondi, interni o esterni, che l’impresa può

utilizzare per la produzione di beni o la prestazione di servizi;

o il capitale produttivo è costituito dalle risorse fisiche tangibili necessarie la produzione

di beni o la prestazione di servizi;

47 IIRC, 2013. Framework: 2.C, par.: 2.15. 48 IIRC, 2013. Summary of Significant Issues. Questions 5 e 6, p. 15.

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o il capitale intellettuale è formato dalle risorse intangibili dalle quali dipendono

vantaggi competitivi, come la proprietà intellettuale, la reputazione, il brand;

o il capitale umano è dato dalle esperienze, dalle competenze, dalle capacità e dalla

motivazione ad innovare degli individui;

o il capitale sociale e relazionale, costituito dalle istituzioni, dalle relazioni inter e intra

comunità, gruppi di stakeholders e dalla capacità di diffondere informazioni per

l’aumento del benessere individuale e collettivo;

o il capitale naturale, ovvero l’insieme di tutte le risorse e i processi ambientali,

rinnovabili o meno necessarie per il successo presente, passato e futuro

dell’organizzazione.

Il capitale finanziario e produttivo, prendono in considerazione i dati relativamente alle

informazioni finanziarie, mentre, i rimanenti quattro rientrano nella categoria degli asset

intangibili, la cui misurazione incontra delle difficoltà per la trattazione di informazioni non

finanziarie.

Il capitale intangibile è stato oggetto di diverse metodologia di misurazione (ancora oggi in

evoluzione) da cui è possibile proporre (Sveiby, 2001) una classificazione dei modelli prodotti

distinguendoli in quattro categorie:

1. i metodi diretti (DIC), per stimare il valore sia complessivo del capitale che quello

delle sue componenti;

2. i metodi a capitalizzazione di mercato (MCM), calcolando la differenza tra book

value e market value;

3. il calcolo del ROA (return on asset) per asset intangibili;

4. i metodi di score card (SC), caratterizzati da indicatori di capitale intangibile da usare

per monitorare variazioni in aumento e diminuzione.

Il Framework mette in evidenza come tutti i capitali non siano fissi nel tempo a causa del

continuo processo produttivo aziendale che li incrementa, diminuisce e trasforma. Pertanto

un’azienda potrà creare valore solamente quanto aumenterà lo stock di capitale complessivo,

costituito da quelle forme di capitale rilevanti per la specifica impresa. L’IIRC, infatti, prevede

l’esclusione dal Report Integrato di quei capitali irrilevanti relativamente al caso specifico in

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oggetto 49, sottolineando però l’aspetto importante delle esternalità50, che alla pari di altri

elementi materiali, influiscono sul valore creato per l’organizzazione51.

Lo “scheletro” dell’organizzazione si può dire sia rappresentato dall’insieme dei capitali

rilevanti di un’impresa, base di partenza per predisporre il Report Integrato. Anche se la

disposizione dell’IIRC non ha carattere vincolante ma trattasi di una mera linea guida, grazie

alla sua applicazione le imprese potranno essere in grado di registrare le variazioni di valore di

ogni capitale, senza trascurare alcun effetto che possa influenzare o essere influenzato dal

processo produttivo dell’impresa.

Questi capitali appena descritti costituiscono sia un input che un output del business model di

un’organizzazione (figura 2.9). Sotto forma di input, essi entrano nel processo produttivo e si

trasformano in output dai quali è possibile ricavarne outcomes (ovvero aumento del valore). Il

processo di creazione di valore, terzo e ultimo tra i concetti fondamentali del Framework, segue

un iter in cui, sinteticamente, si identificano, prima, i fattori da cui dipende il processo di

creazione del valore esplicitandone, dopo, le reciproche relazioni. Per far sì che tutti i fattori

intervenuti vengano identificati, è necessario descrivere il business model e gli altri elementi

influenzanti il business e la sua strategia.

Questa parte del lavoro dell’IIRC mette in evidenza l’enfasi data al modello di business, quale

mezzo di trasformazione di capitali e input in output attraverso il processo aziendale, che

permette l’ottenimento di risultati e quindi l’aumento del valore creato.

Figura 2.9: Il processo di creazione del valore

49 IIRC, 2013. Framework: 2.C: par. 2.16. 50 “[…] i.e.,they may result in a net increase or decrease to the value embodied in the capitals,[…]”. 51 IIRC, 2013. Framework: 2.B: par. 2.8.

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Fonte: IIRC (2013, p. 13)

Il carattere distintivo, la forma e la relazione con le altre modalità di disclosure esterna

Un Bilancio Integrato, per definizione, deve assumere una forma definita e identificabile come

tale52. Sebbene esso racchiuda informazioni provenienti da diversi documenti informativi

aziendali, non deve essere considerato come una sintesi dell’insieme dei dati riportati nelle altre

comunicazioni (bilancio annuale, report di sostenibilità, analyst calls, o sito web aziendale)

piuttosto una forma di comunicazione diversa e autonoma, capace di rendere esplicita la

connettività delle informazioni 53per informare su come viene creato il valore nel tempo54.

Questo nuovo approccio con cui le informazioni vengono rese è il segno distintivo del Report

Integrato, con il quale si passa da uno analitico a quello sistemico.

L’approccio sistemico si basa sull’integrare tutte le diverse informazioni mettendole in

relazione tra esse in modo da rappresentare il valore creato dall’azienda a differenza

dell’approccio analitico, più focalizzato sui singoli elementi che sulla loro interconnessione (si

veda tabella 2.2 per il confronto tra i due approcci).

52 IIRC, 2013. Framework: 1.E: par. 1.12. 53 “La connettività delle informazioni” rappresenta uno dei “principi guida” del Framework, sezione esaminata al paragrafo successivo. 54 IIRC, 2013. Framework: 1.E: par. 1.13.

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Tabella 2.2: Confronto tra approccio analitico e approccio sistemico

APPROCCIO ANALITICO APPROCCIO SISTEMICO

Preoccupazioni nel definire le singole parti Interesse nel comprendere l’intero

Focus sugli elementi piuttosto che sulla loro

interazione

Focus più sull’interazione

Focus sulla struttura interna Stesso focus sulla struttura interna e sulle sue

interazioni con l’ambiente del sistema

Produce un modello statico Genera un modello dinamico

Cerca di coprire la complessità Abbraccia la complessità

Fonte: Fonte: Centre for Tomorrow’s Company, Pwc e Cima (2011, p. 9).

Pertanto il Bilancio Integrato così descritto altro non può essere che rappresentate un report

autonomo e addizionale a quelli già esistenti di comunicazione esterna, capace di illustrare, per

mezzo anche di dati e informazioni provenienti da altri documenti, la value creation.

Tema collegato al tipo di approccio distintivo del Report Integrato è quello relativo al rapporto

di questo con le altre forme di comunicazione aziendale: il Framework prevede che esso possa

essere redatto sia come documento autonomo sia come “sezione distinguibile, rilevante e

disponibile di un altro report o di un altro tipo di comunicazione societaria”55. È, inoltre,

possibile che il Bilancio Integrato assuma una forma di entry point per accedere a informazioni

più dettagliate non appartenenti alla comunicazione in oggetto ma di cui può costituire un

raccordo, come ad esempio la comunicazione interattiva. In aggiunta, un documento

informativo aziendale è idoneo ad essere considerato un Bilancio Integrato qualora, anche se

nascesse per rispondere a particolari obblighi locali normativi di comunicazione, fosse

conforme al Framework56.

In questi ultimi casi e in quelli in cui il Report Integrato può non assumere la forma di un

documento autonomo, è possibile nuovamente affermare che la comparabilità

dell’informazione integrata risulterebbe altamente compromessa e giudicabile solamente

attraverso l’analisi delle pratiche in modo da poter definirne l’entità della criticità57.

2.3.3 I Principi guida

Finora è stato analizzato lo “scheletro” del Bilancio Integrato, definendone lo scopo,

l’approccio basato sui principi, gli obiettivi, i destinatari, la forma, i concetti fondamentali, il

55 IIRC, 2013. Framework: 1.E: par. 1.15. 56 IIRC, 2013. Framework: 1.E: par. 1.14. 57 Il Framework implica anche una dichiarazione di responsabilità da parte dei componenti della governance in cui si richiedono informazioni su specifici elementi (si veda IIRC, 2013. Framework: 1.G: par. 1.20).

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rapporto con le altre forme di disclosure esterna e i casi di esonero. La seconda parte del

Framework tratta sia i “principi guida”, ovvero i criteri generali da seguire per redigere il Report

Integrato e rispondere alla domanda “come deve essere costruito”, sia gli elementi di contenuto,

ovvero il “cosa deve contenere”. In questo paragrafo verranno trattate le linee guida, lasciando

i content elements al paragrafo successivo.

Come previsto dall’IIRC, i principi guida statuiti sono considerati tutti del medesimo livello

gerarchico (non esistono principi di rango superiore come previsti dallo IASB) e si possono

così illustrare:

1. Focus strategico e l’orientamento al futuro: in base a tale principio, un Report

Integrato deve fornire informazioni dettagliate riguardanti la strategia aziendale e di

come questa strategia influisce sulla capacità di creare valore nel breve, medio e lungo

tempo, sull’uso dei capitali e sugli impatti su questi ultimi58. Ciò significa: illustrare

chiaramente in che modo disponibilità, qualità e accessibilità di capitali rilevanti in

modo continuativo contribuiscano alla capacità dell’organizzazione di raggiungere gli

obiettivi strategici in futuro e creare valore59. Il Framework, inoltre, precisa che gli

elementi di contenuto, di cui deve essere fatto riferimento, non si possono limitare a

“strategie e allocazione delle risorse” e “prospettive”60. Nella sezione in oggetto le linee

guidano nella selezione e nella presentazione mentre sarà la sezione dedicata agli

“elementi di contenuto” a fare richieste più specifiche al Report Integrato.

2. Connettività delle informazioni: di cui è già stato fatto un accenno, è il criterio che più

di tutti caratterizza l’identità del Report Integrato. Secondo tale principio, un esso deve

rappresentare le combinazioni, le correlazioni e le dipendenze fra gli elementi che

influenzano la capacità di un’organizzazione di creare valore nel tempo61. Tale aspetto

presuppone la presenza anche di un integrated thinking: senza un’azione gestoria

unitaria non sarebbe possibile connettere le informazioni prodotte (Incolligo A., 2014,

p. 54).

Il Framework propone dei casi per capirne il principio e l’applicabilità: esso prevede

che le più rilevati forme di connettività di informazioni avvengono tra: gli elementi di

contenuto, il periodo passato e futuro, i capitali, le informazioni quantitative/finanziarie

e qualitative/non finanziarie, informazioni manageriali e presentate esternamente,

58 IIRC, 2013. Framework: 3.A: par. 3.3. 59 IIRC, 2013. Framework: 3.A: par. 3.5. 60 IIRC, 2013. Framework: 3.A: par. 3.4. 61 IIRC, 2013. Framework: 3.A: par. 3.6.

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informazioni contenute nel Report Integrato e quelle in altre forme di disclosure

esterna62.

3. Relazioni con gli stakeholders: la finalità di questo principio è quella di rendere un

Report Integrato fornito di informazioni dettagliate riguardanti la natura e la qualità

delle relazioni con gli interlocutori sociali, considerando le loro esigenze ed interessi

legittimi63.

I prossimi principi guida presentano una natura differente dai primi: essi si basano sui principi

di auditing e sono stati ricompresi nel Framework per ragioni specifiche quale, in primo luogo,

il supporto al giudizio professionale richiesto ai redattori del Report Integrato. In questo modo,

l’IIRC conferma l’ampia discrezionalità lasciata ai redattori del Bilancio Integrato, vista la

conseguente vastità di linee guida per indirizzarne l’uso.

4. Materialità: un Report Integrato deve fornire informazioni sugli aspetti che

influenzano significativamente sulla capacità dell’organizzazione di creare valore nel

breve, medio e lungo periodo64. Tale principio sottolinea l’aspetto pratico di scelta tra

quali fenomeni includere o meno nel bilancio.

5. Sinteticità: un Report Integrato deve essere conciso includendo i seguenti aspetti:

strategia, governace e prospettive per il futuro65.

6. Attendibilità e completezza: per l’IIRC, l’attendibilità è perseguibile grazie alla

completezza, all’obiettività e all’assenza di errori materiali. In sostanza è quel principio

che rende un bilancio credibile agli occhi di chi lo legge (si veda richiamo del faithful

representation66).

7. Coerenza e comparabilità: la coerenza riguarda le modalità di presentazione delle

informazioni che ne permette la comparabilità nel tempo. In senso stretto, si fa

riferimento al possibile confronto con altre aziende, non facile da ottenere con un

approccio principle-based e la tipologia di informazioni da comunicare.

Esplicitamente il Framework fa riferimento al fatto che ogni azienda crea valore in

modo unico e, pertanto, i dati specifici variano da impresa a impresa. Ad ogni modo,

l’IIRC ritiene salva la comparabilità se si dà risposta alle domande relative ai content

elements, invariate e standard per tutte le organizzazioni.

62 IIRC, 2013. Framework: 3.A: par. 3.8. 63 IIRC, 2013. Framework: 3.C: par. 3.10. 64 IIRC, 2013. Framework: 3.D: par. 3.17. 65 IIRC, 2013. Framework: 3.E: par. 3.37. 66 IIRC, 2013. Framework: 3.F: par. 3.40.

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2.3.4 Gli Elementi di contenuto

Gli elementi di contenuto vengono presentati nel Framework, quasi nella totalità (8 su 9),

attraverso la formulazione di una precisa domanda. Ad ognuno di queste, il Report Integrato

deve essere in grado di rispondere attraverso le informazioni (non finanziarie e finanziarie) in

esso contenute in modo adeguato. Al fine di orientare il redattore, è prevista una serie di

dettagliati esempi di riposta efficace alle domande del Framework, nonché indicazioni rispetto

alle modalità di riportare le informazioni e alle caratteristiche che il report deve possedere per

descrivere i suddetti elementi.

Questa sezione dedicata agli elementi di contenuto abbandona leggermente l’approccio

principle-based fornendo indicazioni più esaustive, senza il potere però di imporle, proprio a

favore della comparabilità. In ogni caso, l’ordine di comparsa non definisce una struttura

standard: ciò che andrà incluso dipenderà dalle singole circostanze dell’organizzazione. Inoltre,

viene ribadito il concetto della connettività delle informazioni ovvero del legame intrinseco

esistente tra i vari elementi di contenuto, che deve trovare rappresentazione nel Report

Integrato67.

Gli elementi di contenuto, e le relative domande (proposte in tabella 2.3), sono i seguenti68:

1. Panoramica organizzativa e contesto operativo (organizational overview and

external environment): questo primo elemento si occupa di presentare l’azienda e

l’ambiente esterno al fine di comprendere la capacità dell’azienda di creare valore nel

tempo. Sono numerose le indicazioni esemplificative e ad esempio sono: mission,

vision, il contesto competitivo, posizione di mercato, contesto politico, legislativo, sfide

ambientali69.

2. Governance: le indicazioni in merito sono molte e approfondite70 e riguardano in

generale la descrizione della struttura governance (di supervisione) e la sua idoneità a

sostenere la capacità dell'organizzazione di creare valore.

3. Modello di business (business model): questo elemento viene prima definito nella sua

essenza quale “il sistema adottato per trasformare gli input in output e risultati per

mezzo delle attività aziendali al fine di raggiungere gli obiettivi strategici e creare

67 IIRC, 2013. Framework: par. 4.2. 68 IIRC, 2013. Framework: par. 4.1. 69 Tutte le esemplificazioni son comprese in: IIRC, 2013. Framework: 4.A: parr. 4.4-4.7. 70 Tutte le esemplificazioni son comprese in: IIRC, 2013. Framework: 4 B: parr. 4.10-4.11.

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valore nel breve, medio e lungo termine“71 e successivamente vengono individuati i

quattro fondamenti ovvero input, attività aziendali, output e impatti72.

4. Rischi e opportunità (risks and opportunities): è opportuno, in modo diverso per ogni

tipologia di azienda, identificare i rischi e le opportunità, in particolare quelli collegati

alla disponibilità qualità e accessibilità dei capitali73. Le indicazioni esemplificative

riguardano: origine dei rischi e opportunità, la valutazione della probabilità di verifica

e gli effetti di questi e le azioni messe in pratica per gestire i rischi o per creare valore

dalle opportunità74.

5. Strategia e allocazione delle risorse (strategy and resource allocation): data la vastità

dell’argomento, il Framework lascia ampia discrezionalità alle aziende, identificando

solo i quattro fattori che costituiscono l’elemento (obiettivi, strategie, piani di

allocazione delle risorse e modalità di misurazione di obiettivi e risultati)75.

6. Performance: qui è necessario riprendere il tema della finalità del Report Integrato.

Esso infatti, secondo l’IIRC, non mira a quantificare in termini quantitativo-monetari il

valore creato, gli aumenti o diminuzioni di questo e gli utilizzi o effetti sui capitali bensì

misurando le performance, ovvero i risultati aziendali. Nella descrizione di questo

elemento di contenuto, il Framework fornisce gli strumenti da utilizzare per dare conto

delle performance ovvero informazioni sia di carattere qualitativo che quantitativo76. In

tema di capitali, la rilevanza delle informazioni qualitative è riportata nell’ultimo

elementi di contenuto (Guida generale del reporting)77. È, inoltre, prevista la

combinazione di misure di natura diversa per poter rappresentare il rapporto tra risultati

finanziari e relativi a altri capitali.

Il Framework, ribadendo la sua natura di approccio basato sui principi e non sulle

regole, non fornisce un elenco di strumenti, finanziari o meno, da utilizzare per la

misurazione delle performance se non delle indicazioni di appropriatezza per gli

indicatori quantitativi78.

71 IIRC, 2013. Framework: 4.C: par. 4.11. 72 IIRC, 2013. Framework: 4.C: par. 4.12.Tutte le esemplificazioni son comprese in: IIRC, 2013. Framework: 4.C: parr. 4.14-4.20. 73 IIRC, 2013. Framework: 4.D: par. 4.24. 74 IIRC, 2013. Framework: 4.D: par. 4.25. 75 IIRC, 2013. Framework: 4.E: par. 4.28. 76 IIRC, 2013. Framework: 4.F: par. 4.31. 77 È specificato che, qualora non fosse possibile una misurazione quantitativa della variazione materiale dei capitali, occorre fornire informazioni qualitative. IIRC, 2013. Framework: 4.I: par. 4.55. 78 In “Guida generale del reporting”: 4.I: par. 4.53.

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7. Orientamento futuro (outlook): si tratta sostanzialmente di descrivere le aspettative

future dell’impresa nel breve, medio e lungo termine, come verranno affrontate e in che

modo influenzeranno l’organizzazione.

8. Basi di preparazione e presentazione (basis of preparation and presentation): si tratta

dell’assistenza del Framework, in particolare in ambito di processo di determinazione

della materialità.

9. Guida generale del reporting (general reporting guidance): anche in questo caso il

Framework offre assistenza, segnatamente in tema di disclosure e capitali.

Tabella 2.3: La filosofia alla base degli elementi di contenuto del Framework

ELEMENTI DI

CONTENUTO DOMANDE

Panoramica

organizzativa e contesto

operativo

Che cosa fa l’organizzazione e in quali condizioni opera?

Governance In che modo la struttura di governace dell’organizzazione sostiene la sua

capacità di creare valore nel breve, medio, lungo termine?

Modello di business Qual è il modello di business dell’organizzazione?

Rischi e opportunità

Quali sono gli specifici rischi e le opportunità che concernano la capacità

dell’impresa di creare valore nel breve, medio, lungo terme, e come li sta

affrontando l’impresa?

Strategia e allocazione

delle risorse Quali sono gli obiettivi strategici dell’impresa e come intende conseguirli?

Performance Come ha agito l’impresa rispetto ai suoi obiettivi strategici e quali sono i

principali risultati dell’attività svolta?

Orientamento futuro

Quali sono le sfide e le incertezze che l’impresa potrebbe incontrare nel

perseguire gli obiettivi strategici e quali sono le potenziali implicazioni per il

business model e le future performance?

Basi di preparazione e

presentazione

Come l’impresa determina quali tematiche rilevanti includere nell’Integrated

Report e come le misura e le valuta?

Fonte: Lenoci F. (2014, p. 315).

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2.4 BENEFICI E CRITICITA’ DEL REPORT INTERGATO

La procedura di realizzazione del Framework per la rendicontazione integrata costituisce sia

una sfida sia una fonte di opportunità. Lo sviluppo di un unico documento comprendente sia le

informazioni finanziarie (provenienti dai bilanci d’esercizio) che non finanziarie (derivanti dai

report socio-ambientali o di sostenibilità) rappresenta la prima vera possibilità di superare

l’autonomia delle due documentazioni nelle fasi di realizzazione, asseverazione, pubblicazione

e divulgazione.

A parere di KPMG (2011, p. 6) i vantaggi che possono derivare dall’adozione del Report

Integrato, sia per l’impresa che per gli stakeholders, sono così riassumibili:

o Possibilità per l’impresa di comunicare gli stakeholders gli obiettivi prefissati,

la vision e la strategia attuata per raggiungerli e altri fattori influenzanti la

performance globale;

o Creazione di un “ponte” tra i diversi programmi (ambientale, sociale e di

governance) e le performance finanziarie;

o Permettere agli investitori l’accesso a informazioni di sostenibilità dell’impresa,

oltre che a quelle finanziarie.

In particolare, Gasperini (2013) individua, sulla base del feedback di alcune società aderenti al

Framework dell’IIRC, una serie di benefici e criticità relativamente all’implementazione

aziendale del processo di “intergated thinking79”.

I benefici che possono scaturire dal processo di realizzazione di un Report Integrato sono, oltre

a quelli più generali riconosciuti da KPMG, i seguenti:

o Consente la comprensione degli impatti interni. Redigere un Report Integrato

richiede una profonda comprensione della strategia aziendale e delle interrelazioni tra

le informazioni finanziarie e non finanziarie, pertanto è indispensabile avere un quadro

preciso di quali conseguenze e impatti esterni abbiano gli obiettivi perseguiti (finanziari,

economici, ambientali e sociali). Questo meccanismo favorisce la comprensione degli

impatti interni che i fattori esterni hanno sull’azienda.

o Allinea la disciplina che proviene dalla rendicontazione esterna a quella dalla

rendicontazione interna.

o Permette una valutazione più precisa. La visione olistica garantita dal Report

Integrato permette agli stakeholders di apprezzare o meno la capacità di

79 Si tratta della “cultura gestionale” caratterizzante la capacità di pensare in modo integrato del management e di tutta l’organizzazione (Pwc, 2014).

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un’organizzazione di generare valore nel tempo. Per cui la conseguente migliore

capacità di attrarre investitori, partner commerciali, finanziatori e gestire le loro

aspettative.

o Sviluppo di un alto livello di collaborazione con le componenti esterne

dell’organizzazione grazie allo stakeholders engagement. In questo modo si permette

il dialogo e il confronto per comprendere le aspettative, gli interessi e le problematiche

più rilevanti. Il coinvolgimento è promosso anche grazie al fattore interattivo.

o Aumenta la fiducia e la reputazione agli occhi degli stakeholders grazie all’inclusione

sia di aspetti positivi che negativi (come le sfide da affrontare). Il dialogo inoltre

permette all’organizzazione di percepire le variazioni di aspettative e convinzioni,

riuscendo a gestire più efficientemente il rischio reputazionale.

o Migliora il processo di risk management. L’organizzazione è chiamata a valutare i

rischi e le opportunità in una prospettiva integrata.

o Aumentare efficacia operativa o permette la differenziazione del brand o consente

l’innovazione. Questo perché la predisposizione del Report Integrato permette una

conoscenza e comprensione maggiore delle più rilevanti necessità operative aziendali

per conseguire un vantaggio competitivo e sulla scia di questo verranno allocate le

risorse più efficientemente e efficacemente nel limite del capitale disponibile.

o Sviluppo di una cultura dell’innovazione nell’organizzazione.

o Sviluppo di un alto livello di collaborazione all’interno dell’organizzazione, tra

funzioni, rami aziendali, business unit. Una visione più allargata, che vada oltre il

proprio comparto, aiuta a comprendere quali conseguenze le proprie decisioni possono

avere sugli altri.

o Aumento della competitività aziendale. La sfida con l’ambiente esterno consente alle

imprese di essere più competitive.

o Migliore capacità di sfruttare e identificare le opportunità. Comprendere l’ambiente

esterno permette di sviluppare la capacità di riconoscere le opportunità ma anche i rischi.

o Diminuire i costi del lavoro. Lavorare in un’organizzazione dalla reputazione elevata

è preferibile dai dipendenti, i quali dimostrano più fedeltà e di conseguenza si traduce

in meno costi.

o Aumenta la validità dell’aspetto sostenibile. L’adozione del Report Integrato e non

solo di un bilancio di sostenibilità prova la reale intenzione dell’impresa di perseguire

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una strategia sostenibile prendendo una posizione nell’affrontare rischi e cogliere

opportunità che permettano anche un miglioramento della società.

Per quanto riguarda le criticità, esse si possono considerare conseguenza principalmente della

complessità della coesistenza di informazioni (finanziarie e non finanziarie) che, come

riassunto in tabella 2.1, sono caratterizzate da peculiarità diverse. Un ulteriore elemento di

problematicità è la difficile comprensione delle relazioni implicite esistenti tra performance

finanziarie e non finanziarie risultante in una rappresentazione di indicatori di performance

non rilevanti, ovvero non considerevoli in relazione alla strategia dell’organizzazione, e nel

focus solo su alcune sezioni (in particolare sulla sezione finanziaria, di sostenibilità, di

governance e operations tralasciando le altre).

La lunghezza rappresenta ancora un fattore di criticità, che va contro la capacità di essere

sintetico e conciso richiesta dal Framework nei principi guida, non dilungandosi in

informazioni non rilevanti o rilevanti ma non contestualizzate.

Non sono meno importanti la trascuratezza delle problematiche rilevate dallo stakeholders

engagement e la mancanza di una struttura innovativa ovvero l’utilizzo di un linguaggio

appropriato e della tecnologia per permettere una descrizione dei contenuti più chiara.

A questi vantaggi e svantaggi esaminati da Gasperini si possono aggiungere quelli più suddivisi

per macro classi riscontrati da Eccles et al. (2012, p. 198), i quali affermano che il Report

Integrato apporta quattro benefici principali all’organizzazione che lo redige (figura 2.10) e

sono:

1. Maggiore chiarezza sulle relazioni e sugli impegni;

2. Aiuta a migliorare l’attività di decision making;

3. Aumenta il livello di engagement degli stakeholders;

4. Riduce il rischio reputazionale.

Secondo gli autori, insieme questi quattro benefici permettono lo sviluppo di una strategia

sostenibile, che implementata e rendicontata rende possibile il raggiungimento di una società

sostenibile.

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Figura 2.10: I benefici della rendicontazione integrata

Fonte: Eccles, Kruzus e Casadei (2012, p. 205).

In sintesi, l’organizzazione per redigere un Report Integrato deve prima di tutto comprendere

quale sia il collegamento tra e performance finanziarie e non finanziarie; in questo modo le

informazioni a disposizione saranno caratterizzate da più precisione e grado di dettaglio,

permettendo un miglioramento del processo di decision making. Questo non basta perché è

necessaria anche una maggior coesione tra i comparti aziendali e uno svolgimento di

stakeholders engagement che consenta il percepimento di aspettative e convinzioni in modo da

gestire meglio il rischio reputazionale.

Quanto appena descritto, però, mette la rendicontazione integrata di fronte a diverse sfide, date

sia dal connotato innovativo che dalla intensa attività che l’organizzazione dovrebbe mettere in

atto per la sua implementazione.

In particolare Eccles et al. (2012, pp. 220-227) riprendono i principali dissensi in teoria

all’utilizzo del Report Integrato, secondo tre prospettive diverse:

o Prospettiva del mercato dei capitali: secondo cui l’efficienza del mercato non richiede

un cambiamento di rendicontazione perché esso tiene già conto di tutte le informazioni,

finanziarie e non. Si ritiene che gli utenti, in modo autonomo, possono integrare i dati

finanziari con i parametri ESG già messi a diposizione del pubblico.

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o Prospettiva delle aziende: secondo questa visione, il Report Integrato non costituisce un

beneficio reale perché se realmente lo fosse, le imprese sarebbero già dotate di tale

strumento.

o Prospettiva degli stakeholders: questa teoria sostiene che la rendicontazione integrata

verrà utilizzata solamente per scopi strumentali, a discapito dello sviluppo sostenibile

tanto acclamato. Il rischio è quello di adottare strategie sostenibili solamente per creare

valore per gli azionisti.

Da aggiungere, vi è il fattore costo e l’aumento di esso provocato dalla necessaria mole di

informazioni da includere nel Report Integrato per soddisfare tutti gli stakeholders. Roger Cowe

(CorporateRegister.com, 2011, p. 30), contrario alla diffusione della rendicontazione integrata,

riconduce i propri timori legati ai costi, in primo luogo, alla produzione di un documento

cartaceo di esagerate dimensioni e, secondariamente, al difficile coordinamento interno tra i

diversi comparti aziendali.

Sebbene la realizzazione e l’implementazione del Framework presenti diversi elementi di

criticità e di costo, inevitabili qualora si vogliano includere fattori come la sostenibilità, i rischi

e le opportunità nella propria strategia e nelle operazioni aziendali, esso rappresenta lo

strumento di evoluzione del Corporate Reporting, un nuovo modello di comunicazione

societaria, concorde con il paradigma della sostenibilità, del quale ne permette la traduzione in

piani operativi e la realizzazione di benefici.

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2.5 AUDITING E ASSURANCE

Un ulteriore elemento di criticità è il modello del processo di auditing. Ad oggi, la revisione

contabile del bilancio di esercizio fa riferimento a postulati di redazione, principi e logiche

condivise e standardizzate a livello internazionale il cui rispetto ne aumenta l’attendibilità e la

veridicità delle informazioni in esso contenute. Ma il Report Integrato, oltre a contenere

informazioni finanziarie, riferisce in merito a dati non financial e per tale ragione il sistema di

revisione assume una forma diversa chiamata azione di assurance80 per distinguerla da quella

effettuata per i bilanci finanziari e relativi documenti allegati. L’assurance, come l’auditing,

può essere sia interna che esterna, ovvero effettuata da un organo o soggetti interni

all’organizzazione oppure da un ente indipendente (come le società di revisione).

La verifica di enti indipendenti sull’informativa non financial appare diffusa, come evidenziato

da KPMG (2015): il 63% del campione G250 e il 43% di quello N100 investono in organi

indipendenti per la revisione. Si può affermare che il tasso di verifica dell’informativa in

oggetto (contenuta nell’annual report) da parte di enti esterni sia cresciuto dell’8% dal 2013.

Lo scopo è quello di poter garantire la qualità agli stakeholders anche relativamente alle

informazioni sui fattori ESG, sebbene non ne sia obbligatoria la revisione. Nello specifico, la

figura 2.11 individua l’ambito di assurance esterna per la responsabilità d’impresa: per metà

del campione (N100) si investe su un ente esterno per la revisione dell’intero report mentre

l’altra metà si divide tra la verifica di soli indicatori di corporate responsability (34%), di una

combinazione di capitoli ed indicatori (11%) e di solo alcuni capitoli (5%).

Figura 2.11: l’ambito di assurance esterna per la responsabilità d’impresa

Fonte: KPMG (2015, p. 40).

80 Letteralmente significa “assicurazione” o “controllo della qualità”. Viene tradotto anche come “asseverazione” o “attestazione”.

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Pur non esistendo standard internazionali rigorosi in materia di assurance per l’integrated

reporting, ne sono stati pubblicati due, l’ISAE 3000 e AccountAbility 1000 AS (AA1000AS),

come risposta al tema di asseverazione per la rendicontazione di sostenibilità.

Il primo, emesso dallo IAASB (International Auditing and Assurance Standard Board), ente di

diretta emanazione dell’International Federation of Accountants (IFAC), nasce per essere

utilizzato nella verifica delle informazioni non finanziarie con il fine di “to establish basic

principles and essential procedures for, and to provide guidance to, professional accountants

in public practice for the performance of assurance engagements other than audits or reviews

of historical financial information covered by International Standards on Auditing (ISAs) or

International Standards on Review Engagements (ISREs)” (IFAC, 2005, p.to 1).

Figura 2.12: Sistemi di revisione per le informazioni finanziarie e non finanziarie

Fonte: Pwc (2010, p. 5).

Il secondo, pubblicato per la prima volta nel 2003 dall’Istitute of Standard and Ethical

Accountability (ISEA), nasce come standard basato sui principi della rilevanza (materiality),

della completezza (completeness) e della rispondenza (responsiveness) con lo scopo di garantire

la credibilità e la qualità delle performance e della rendicontazione di sostenibilità.

Successivamente nel 2008, si afferma la sua seconda edizione fornendo una piattaforma più

completa per allineare gli aspetti non finanziari della sostenibilità con il reporting e la verifica

finanziari.

Secondo lo standard ISAE 3000 (Pwc, 2010), gli elementi principali che costituiscono un

processo di assurance sono:

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o Relazione trilaterale: tra Practitioner (società di revisione), Intended users

(shareholders e stakeholders) e Responsible party (Consiglio di amministrazioni e

funzioni coinvolte);

o Subjet Matter: un oggetto di revisione identificabile (bilancio o report);

o Criteria: criteri di riferimento adottati per la rendicontazione;

o Evidenze: sufficienti, appropriate, materiali.

o Attestazione: indicazione sul livello di confidence che può essere di due tipi: reasonable

e limited (figura 2.13).

Figura 2.13: Livelli di affidabilità

Fonte: Pwc (2010, p. 8).

Ad oggi, il processo di assurance per la rendicontazione non finanziaria sta muovendo dei passi

avanti per definire degli standard sempre più chiari e implementabili dalle organizzazioni più

attente all’aspetto sostenibile del proprio operato nel breve, medio e lungo termine, allo scopo

di saper essere in grado di rispondere all’esigenza di approccio più olistico anche per

l’assurance, ovverosia della adozione di un one audit sulla scia dell’one report.

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2.6 LA MATERIALITÀ’ SECONDO L’IIRC

La definizione universalmente riconosciuta di “materialità” è quella proposta nel Framework

dall’IIRC in cui precisa che "un Report Integrato dovrebbe comunicare le informazioni

riguardanti gli aspetti che influenzano sostanzialmente la capacità dell’organizzazione di creare

valore nel breve, medio e lungo periodo”81.

Per cui è evidente che la materiality è considerata applicata solo se le informazioni relative agli

impatti sulla “ability to create value” non si fermano al breve periodo ma vanno oltre.

Il processo di determinazione della materialità in un Report Integrato consiste in quattro

passaggi82:

o RILEVANZA: identificare gli aspetti relevant (ovvero quelli che influiscono sulla

creazione di valore);

o IMPORTANZA: valutare gli aspetti rilevanti in base agli effetti noti o potenziali sulla

creazione di valore;

o PRIORITA’: dare una priorità agli aspetti più rilevanti, definendo una scala di

importanza;

o DECISIONE: tracciare il perimetro di rendicontazione sulla base degli aspetti

considerati materiali e determinarne le informazioni da fornire.

Tutti i fattori che potrebbero influenzare il valore futuro creabile devono essere oggetto di tale

processo, che siano positivi o negativi, fonte di rischio o di opportunità, finanziari o non

finanziari. Vi deve essere integrazione tra il processo e management dell’organizzazione,

altrimenti non sarà possibile comprendere quali siano realmente gli aspetti rilevanti.

Si propone di seguito un’analisi più precisa dei quattro passaggi del processo di determinazione

della materialità.

La prima fase, chiamata di “identificazione degli aspetti rilevanti” si occupa di individuare

tutti quegli aspetti che nel passato, presente e futuro hanno influenzato, influenzano ed

influenzeranno la capacità di un'organizzazione di creare valore e fare delle considerazioni sula

possibilità che questi possano avere degli impatti sulla strategia, sulla governance e sulla

performance.

La seconda fase fa riferimento alla “valutazione di importanza degli aspetti individuati” alla

fase precedente. Per capire se gli aspetti siano o meno rilevanti per l’organizzazione è

necessario valutare l’entità dell’impatto o almeno la probabilità del suo verificarsi.

81 IIIRC, 2013. Framework: 3.D, par. 3.17. 82 IIRC, 2013. Materiality. Background Paper for <IR>, p.2.

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Il processo di valutazione non può fare riferimento solamente a fattori quantitativi, spesso

insufficienti, ma anche a fattori qualitativi per poter stimare le conseguenze finanziarie,

operative, strategiche, reputazionali e normative. Inoltre, è indispensabile considerare l’area

dell’impatto, se interna o esterna o entrambe e la prospettiva sul tempo (manifestazioni a breve,

medio o lungo termine)83.

La terza fase di “assegnazione delle priorità agli aspetti importanti” consiste nel mettere in

ordine, assegnando delle priorità, tutti gli aspetti individuati rispettando le considerazioni di

valutazioni della fase precedente.

La quarta e ultima fase riguarda la “determinazione delle informazioni da fornire”, ovvero

tracciare il perimetro di reporting. Le informazioni di cui si fa richiamo sono sia quelle attinenti

la parte finanziaria sia quelle non finanziarie relative ai rischi e alle opportunità ricollegabili a

stakeholders diversi dagli interlocutori del financial reporting e che influiscono sulla creazione

di valore (figura 2.14).

Figura 2.14: Il confine del Report Integrato secondo l’IIRC

Fonte: IIRC (2013, p. 20)

83 IIRC, 2013. Materiality. Background Paper for <IR>, p.25.

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93

2.7 LA REGOLAMENTAZIONE VERSO IL REPORT INTEGRATO IN EUROPA: LA

DIRETTIVA 2014/95 UE

Una novità di grande interesse per l’Unione Europea è la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale

della Direttiva 2014/95/UE del Parlamento e del Consiglio Europeo. Emanata il 22 ottobre del

2015 e pubblicata il 15 novembre dello stesso anno, codesta direttiva nasce per modificare la

precedente, la 2013/34/UE, per la parte concernente la comunicazione di informazioni non

finanziarie e la diversità per alcune tipologie di imprese e gruppi di grandi dimensioni.

Come è stato affrontato del primo capitolo, al paragrafo 1.4.1, l’Unione Europea, a fronte di un

aumento di sensibilità ed interesse comune per l’etica, la società e l’ambiente, si è adoperata al

fine di poter ottenere maggior qualità e trasparenza nella comunicazione informativa non

finanziaria. Il percorso, di cui la nuova direttiva rappresenta il momento finale, ha visto diversi

traguardi, di cui quelli finali possono essere così ricordati:

o A Reneview EU Strategy: si tratta della “strategia rinnovata dell'UE” per il periodo 2011-

14 adottata dall’Unione Europea il 25 ottobre del 2011 in materia di Responsabilità

Sociale d’Impresa allo scopo di diffondere una modalità di comunicazione che

permettesse agli stakeholders di riconoscere i rischi per la sostenibilità imputabili alle

attività aziendali;

o Nelle risoluzioni del parlamento europeo del 6 febbraio 2013 sulla «Responsabilità

sociale delle imprese: comportamento commerciale trasparente e responsabile e crescita

sostenibile» e sulla «Responsabilità sociale delle imprese: promuovere gli interessi della

società e un cammino verso una ripresa sostenibile e inclusiva» viene riconosciuto il

valore delle informazioni sulla sostenibilità (come i fattori sociali e ambientali) per

accrescere la fiducia di consumatori e investitori.

Per il Parlamento e il Consiglio Europeo (par. 3), “la comunicazione di informazioni di

carattere non finanziario è fondamentale per gestire la transizione verso un'economia globale

sostenibile coniugando redditività a lungo termine, giustizia sociale e protezione dell'ambiente.

In tale contesto, la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario contribuisce a

misurare, monitorare e gestire i risultati delle imprese e il relativo impatto sulla società”.

Pertanto a conclusione dei suddetti passaggi, il Parlamento Europeo ha invitato la Commissione

a presentare “una proposta legislativa sulla comunicazione di informazioni di carattere non

finanziario da parte delle imprese, che preveda un'elevata flessibilità di azione al fine di tenere

conto della natura multidimensionale della responsabilità sociale delle imprese (RSI) e della

diversità delle politiche in materia di RSI applicate dalle imprese, garantendo nel contempo un

livello sufficiente di comparabilità per rispondere alle esigenze degli investitori e di altri

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portatori di interesse, nonché alla necessità di assicurare ai consumatori un facile accesso alle

informazioni relative all'impatto delle imprese sulla società”.

La Direttiva risultate dal mandato è applicabile (par. 14) alle imprese di grandi dimensioni che

costituiscono enti di interesse pubblico e agli enti di interesse pubblico che sono imprese madri

di un gruppo di grandi dimensioni, in ciascun caso aventi in media più di 500 lavoratori, nel

caso di un gruppo, da calcolarsi su base consolidata84. Le imprese, soggette a tale Direttiva,

sono libere di scegliere la modalità di comunicazione delle informazioni non finanziarie tra

(par. 9):

o Standard nazionali;

o Standard unionali (il sistema di eco-gestione e audit EMAS85);

o Standard internazionali (il Patto mondiale Global Compact delle Nazioni Unite, i

principi guida su imprese e diritti umani delle Nazioni Unite Guiding Principles on Business

and Human Rights), gli orientamenti dell'OCSE per le imprese multinazionali, la norma

ISO 26000 dell'Organizzazione internazionale per la normazione, la dichiarazione tripartita

di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale dell'Organizzazione

internazionale del lavoro, la Global Reporting Initiative o altri standard internazionali

riconosciuti.

Gli Stati membri devono recepire nel proprio ordinamento tale Direttiva entro il 6 dicembre

2016, con applicazione decorrente dal 1 gennaio 2017 o durante l’esercizio (art. 4).

In sostanza, essi dovranno regolare, sulla base di quanto delineato dal Parlamento e il Consiglio

Europeo, le modalità di comunicazione in materia di informativa non financial, ovvero la

Relazione sulla gestione. In essa, le informazioni di carattere non finanziario che dovranno

essere incluse devono essere almeno quelle “ambientali, sociali, attinenti al personale, al

rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria

84 “Ciò non dovrebbe impedire agli Stati membri di chiedere la comunicazione di informazioni di carattere non

finanziario a imprese e gruppi diversi dalle imprese che sono soggette alla presente direttiva”. (D. 2014/95/ UE

par. 14).

85 Il sistema di eco-gestione e audit (EMAS) dell’Unione europea (UE) mira a incoraggiare le imprese e altre

organizzazioni a migliorare continuamente le loro prestazioni ambientali. È aperto a qualsiasi organizzazione

all’interno o all’esterno dell’UE, riguarda tutti i settori economici e servizi e può essere applicato in tutto il mondo.

Il regolamento 1221/2009 del Parlamento e del Consiglio Europeo istituisce il sistema su base volontaria, quale

strumento di gestione ambientale all’avanguardia per la valutazione, le relazione e il miglioramento delle

prestazioni ambientali degli utilizzatori (EU, 2009).

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alla comprensione dell'andamento dell’impresa/gruppo, dei suoi risultati, della sua situazione

e dell'impatto della sua attività” (art. 1) tra cui:

1. una descrizione del business model dell'impresa/gruppo;

2. una descrizione delle politiche applicate dall'impresa/gruppo comprese con le procedure

di due diligence applicate;

3. il risultato di tali politiche;

4. i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività dell'impresa/gruppo, nonché

le relative modalità di gestione adottate dall'impresa/gruppo;

5. gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario (ovvero i KPIs di

carattere non finanziario) rilevanti per l'attività specifica dell'impresa/gruppo86.

Inoltre, la dichiarazione di carattere non finanziario contiene, ove opportuno, riferimenti agli

importi registrati nei bilanci d'esercizio annuali e ulteriori precisazioni in merito.

Il paragrafo 4 dell’articolo 1 prevede i casi in cui gli Stati membri possono esonerare alcune

imprese dall’obbligo di redigere la dichiarazione di carattere non finanziario, qualora esse

preparino una relazione distinta, pubblicata però unitamente alla Relazione sulla gestione (a

norma dell’art. 30) e messa a disposizione del pubblico entro e non oltre i sei mesi dalla data di

bilancio.

Concludendo, è possibile constatare che anche in Europa è evidente il riconoscimento giuridico

ai principi del Framework su cui si fonda il Report Integrato.

86 Per le imprese che non applicano politiche in relazione a uno o più dei predetti aspetti, la dichiarazione di carattere non finanziario fornisce una spiegazione chiara e articolata del perché di questa scelta (approccio report o explain).

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97

2.8 LA FORMULAZIONE DEI QUESITI E METODI DI RICERCA

In questo secondo capitolo è stato presentato l’Integrated Reporting o Report Unico, ultimo

stadio raggiunto in materia di Corporate Reporting in grado di connettere tra loro le

informazioni economico-finanziarie con quelle non finanziarie, con un focus particolare sulla

sostenibilità ambientale e sociale e sulla corporate governance. L’obiettivo dell’One Report

(così chiamato da Eccles & Kruzus, 2010) è quello di fornire informazioni relativamente alla

strategia aziendale, alla governace, e alle performance considerando l’ambiente esterno

all’interno del quale la società si trova ad operare e quindi il contesto commerciale, politico

sociale, in modo da definire le modalità con le quali si genera un valore sostenibile nel breve,

medio e lungo periodo. Grazie a questa evoluzione in ambito di reporting, il focus della

disclusure tradizionale (annual report o bilancio d’esercizio o civilistico), incentrato

prevalentemente sulle dimensioni economico-finanziarie lasciando spazio a quelle non

financial nei documenti volontari di report di sostenibilità (o altri descritti nel corso

dell’elaborato), muta grazie ad una nuova modalità di individuazione dei principali aspetti di

cui si deve comporre la disclusure non financial all’interno del Report Integrato (Gasperini A.,

2013, p. 235).

Nel corso del capitolo, pertanto, si sono acquisite informazioni che hanno permesso di

apprendere, dal punto di vista teorico lo strumento di rendicontazione integrata, oltre che

conoscere il significato che può assumere l’“informazione non finanziaria” e di avere un

riscontro sulla diffusione della rendicontazione di tale informativa e nello specifico di quella

integrata, a livello mondiale, con un focus particolare sull’Europa con la direttiva 2014/95.

Ciò che emerge dallo studio in tale ambito sono le prospettive positive che l’oggetto della

presenti tesi ha di crescita futura, principalmente per due ragioni: in primo luogo, la diffusione

di un modello unico internazionale adottato volontariamente già in gran parte dei Paesi del

mondo (il Framework dell’IIRC) e, in secondo luogo, i sempre più numerosi cambiamenti

normativi all’interno dei singoli Stati in cui l’introduzione di requisiti obbligatori rispetto

all’informativa non finanziaria è divenuta inderogabile. Inoltre, la conformità ai principi

dell’IIRC ha l’indubbio vantaggio di rendere la società che li adotta credibile di fronte agli

stakeholders, sia dal punto di vista strategico, sia operativo che relazionale, inteso come

soddisfazione delle attese degli interlocutori sociali “chiave”.

La trasparenza, oggi, non è più considerata meramente un rischio ma anche un’opportunità e,

viste le recenti iniziative normative, obbligatorie o a libera adozione a sostegno della

divulgazione dell’informativa non financial a livello mondiale, essa è destinata a crescere

ancora e, probabilmente nel futuro, anche a costituire un vincolo formale da soddisfare.

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Al fine di rispondere alla prima domanda di ricerca posta (paragrafo 1.8), ovvero di valutare

il grado di compliance complessivo che la rendicontazione aziendale ha assunto in veste di

Report Integrato con i principi dell’IIRC, si ricorre all’analisi delle sue componenti e delle

modalità con cui l’azienda le tratta nel corso di un certo periodo di tempo.

Sulla base del suddetto quesito di ricerca, l’analisi empirica ha lo scopo, pertanto, di individuare

le aree di componentistica che hanno segnato il maggior grado di compliance con i principi

dell’IIRC, perseguito attraverso un approccio metodologico basato sull’analisi longitudinale

che prevede (Menard S., 2002, p. 2):

o una raccolta di dati corrispondenti a due o più periodi e successivi tra loro;

o un oggetto di analisi univoco o comunque che risulti confrontabile tra i diversi periodi;

o lo scopo di comparare dati acquisiti in periodi diversi.

La ricerca si sviluppa sulla determinazione di quesiti basati sull’analisi di dati riproposti

invariatamente per diversi periodi, atti a comparare e valutare l’evoluzione di Corporate

Reporting che avviene all’interno di un’azienda dal momento in cui sceglie di implementare i

principi del Framework <IR> al proprio Annual Report e quindi, di misurare il livello di

compliance raggiunto con i suddetti principi dell’IIRC, evidenziando gli aspetti più o meno

conformi la variazione avvenuta.

Per procedere in tale direzione sono state individuate le variabili, in seguito presentate secondo

l’approccio longitudinale (tabella 2.4).

Tabella 2.4: Le basi dell’analisi longitudinale(1)

VARIABILI VARIABILI SCELTE

Dati Le “componenti chiave del

Report Integrato”

Periodi

1) 2008

2) 2013

3) 2015

4) 2016

Oggetto Annual Report della

Società Marks & Spencer

Fonte: elaborazione propria

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Relativamente all’oggetto di analisi, la ricerca si basa sullo studio della reportistica prodotta

dalla società inglese retailer Marks & Spencer suddividendola in due periodi: il pre

Framework <IR>, ovvero il periodo antecedente della sua formulazione definitiva (2008 e

2013), e il post Framework <IR>, periodo di adozione da parte della società dei principi

dell’IIRC nell’Annual Report dopo la diffusione del formato definitivo (2015 e 2016).

I risultati relativi al 2016 vengono presentati separatamente per mettere in primo piano i

progressi più significativi nell’ambito ricercato dall’analisi e per evidenziare i progressi

raggiunti ad oggi.

Per poter dare un giudizio oggettivo e complessivo a quello che rappresenta il lavoro compiuto

dalla società, nel corso del periodo predefinito, di implementazione dei requisiti e delle modalità

previste dal Framework <IR>, è stata utilizzata una scheda di valutazione in cui vengono

riportate, suddivise per macro aree (in totale dieci), le “componenti chiave del Report

Integrato”.

I principali items utilizzati per l’analisi del Report Integrato, costituenti le guidelines della

scheda di valutazione, hanno un riferimento metodologico all’interno di tre documenti:

o International Integrated Reporting Council (IIRC), 2011. Toward Integrated Reporting

– Communicating Value in the 21th century, Discussion Paper;

o Deloitte, 2012. Integrated Reporting Navigating your way to a truly Integrated Report;

o International Integrated Reporting Council (IIRC), 2013. The international <IR>

Framework.

In particolare per la definizione della tavola valutativa, la ricerca condotta da Deloitte (2012),

è stata integrata con aspetti frutto delle altre documentazioni citate, in modo tale da realizzare

e utilizzare uno strumento in grado di misurare il grado di compliance con i principi <IR>

dell’IIRC di qualsiasi società che li adotti per la redazione del proprio Annual Report.

La seconda domanda di ricerca pone un quesito diverso dal primo che conduce alla

valutazione del grado di efficacia comunicativa che la reportistica aziendale ha assunto nella

sezione dedicata ai Key Performance Indicators prima e dopo l’implementazione dei principi

del Framework <IR>. Per rispondere ha luogo lo svolgimento analitico longitudinale della

sezione “KPIs” allo scopo di poter attribuire un giudizio complessivo, espresso sotto forma di

commento, sull’evoluzione inerente il grado di efficacia comunicativa nei periodi in esame.

L’analisi seguirà il medesimo procedimento sopra descritto, basato sull’individuazione delle

variabili dati, periodi e oggetto. Anche in questo caso, la ricerca si sviluppa sulla formulazione

di quesiti basati sull’analisi di dati e riproposti invariatamente per diversi periodi, atti a

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comparare e valutare l’evoluzione comunicativa dei KPIs che avviene all’interno di

un’impresa dal periodo pre Framework a quello in cui essa sceglie di implementare i principi

dell’IIRC al proprio Annual Report.

Per procedere in tale direzione sono state individuate le tre variabili, indispensabili per poter

procedere secondo l’approccio longitudinale (tabella 2.5).

Tabella 2.5: Le basi dell’analisi longitudinale(2)

VARIABILI VARIABILI SCELTE

Dati I Key Performance

Indicators

Periodi

1) 2008

2) 2013

3) 2015

4) 2016

Oggetto

Annual Report della

Società Marks & Spencer

(sezione KPIs)

Fonte: elaborazione propria

Concernente all’oggetto di analisi, la ricerca si basa sullo studio della sezione dedicata ai KPIs

specifica della reportistica prodotta dalla società Marks & Spencer, relativa ai periodi 2008,

2013, 2015 e 2016. La valutazione, per essere oggettiva, si avvale di un ulteriore strumento

valutativo che permette di indagare sul grado di efficacia comunicativa dei KPIs rappresentati

nel corso del periodo complessivo. Tale strumento, sviluppato da Pwc (2007, p. 8,9) sulla base

del Reporting Statement relativo all’Operating and Financial Review (OFR)87, viene ritenuto

efficace perché comprensivo dei requisiti essenziali per la comunicazione di un KPI e, pertanto,

utilizzabile per studiare le disclosures in esame, atte a costituire la reportistica pre e post

Framework <IR> in cui, soprattutto nel secondo periodo, la comunicazione efficace è

imprescindibile.

87 L’Operating and Financial Review (OFR) è un documento non obbligatorio più previsto per società quotate applicabile da qualsiasi organizzazione per le imprese del Regno Unito, descrittivo delle performance e dello sviluppo della società in modo da poter valutare esternamente la strategia attuata dalla stessa, anche relativamente all’uso dei KPIs. Ad oggi, tale documentazione è stata sostituita dallo Strategic Report, interno all’Annual Report, emesso dal FRC nel 2014 e obbligatorio per alcune società anche nel comunicare i KPIs finanziari e non finanziari.

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L’ultimo e terzo quesito di ricerca posto si ricollega per alcuni aspetti al secondo, con la

differenza che, in questo caso, si vuole indagare sulla capacità dell’organizzazione di allineare

nella propria reportistica aziendale i KPIs e gli obiettivi prefissati e di saperli mantenere,

rispondendo alla seguenti domande:

1) È possibile comprendere il collegamento tra gli obiettivi comunicati e i KPIs, anche

in seguito a cambiamenti avvenuti nel business model? C’è coerenza?

2) La scelta di comunicazione dei KPIs nel corso degli anni si mantiene costante,

qualunque sia la performance misurata?

Le annualità esaminate sono sempre il 2008 e 2013 per il periodo pre Framework e il 2015 e

2016 per il periodo post Framework. L’obiettivo è quello di verificare se la società in oggetto,

ancora una volta Marks & Spencer, utilizzi i KPIs come strumento di valutazione delle

performance in modo trasparente e coerente con gli obiettivi prefissati, mantenendoli nel tempo

anche se negativi e non ricorrendo alla comunicazione ristretta e scollegata limitandosi ad un

reporting “à la carte”. Il confronto tra i due periodi viene posto perché ci si aspetta significativi

cambiamenti nel periodo post, dovuta alla costanza richiesta dal Framework <IR> nella

rappresentazione dei KPIs proprio per garantire la comparabilità con i periodi precedenti e

posteriori e una reale visione dei passi avanti compiuti dall’impresa nel perseguimento degli

obiettivi posti.

Per procedere in tale direzione sono state individuate le variabili, in seguito presentate secondo

l’approccio longitudinale (tabella 2.6).

Tabella 2.6: Le basi dell’analisi longitudinale(3)

VARIABILI VARIABILI SCELTE

Dati I KPIs e gli obiettivi

Periodi

1) 2008

2) 2013

3) 2015

4) 2016

Oggetto

Annual Report della

Società Marks & Spencer

(sezione KPIs e sezione

definizione degli obiettivi)

Fonte: elaborazione propria

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Perché la scelta è ricaduta sulla società Marks & Spencer?

In primo luogo, vista la premessa di adesione al Pilot Programme e la confermata volontà di

integrazione a livello di reporting, essa si presta ad essere una tra le società oggetto di analisi.

Inoltre, oggi le imprese del settore “Retail” come M&S, in relazione al contesto fortemente

competitivo in cui si trovano ad operare, si mostrano essere interessanti per compiere

un’indagine dal punto di vista dell’evoluzione di rendicontazione aziendale. In base a quanto

risulta dalla ricerca svolta da KPMG (2015) sul campione N10088, il settore Retail figura essere

quello con il tasso più basso e in decrescita rispetto al 2013 in materia di rendicontazione non

finanziaria (58%) a confronto con settori, in particolare quello minerario e delle utilities, che

mostrano avere tassi di rendicontazione superiori al 75%.

Da queste rilevazioni si può desumere che il suddetto settore non sia supportato da un numero

consistente di società promotrici di forme di disclosure non finanziaria e, di conseguenza,

nemmeno operative in ambito di Integrated Reporting. Pertanto, Marks & Spencer dimostra

di essere un esempio di evoluzione comunicativa di creazione di valore sostenibile nel lungo

periodo in un settore ancora non coeso dal punto di vista della reportistica che non sia

principalmente quella financial.

88 Il campione è costituito dalle 100 società più grandi comprese in 45 Paesi di tutto il mondo.

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L’analisi longitudinale e la letteratura in merito

Prima di procedere con il terzo capitolo in cui verrà presenta l’intera analisi empirica-

descrittiva, appare del tutto considerevole riservare una breve parte descrittiva di tale

metodologia di analisi con una sguardo alla più recente letteratura esposta in merito.

Uno studio di analisi longitudinale è uno studio di ricerca che effettua ripetute osservazioni del

medesimo oggetto in un certo periodo di tempo. Con il termine “longitudinale” si distingue il

particolare tipo di relazione tra soggetti che si sviluppano nel corso del tempo e prendono il

nome di relazioni diacroniche (Ruspini E., 2004, p. 19). Uno studio diacronico mira a effettuare

osservazioni multiple su di un oggetto o un gruppo di soggetti (quest’ultimo caso accade per le

ricerche effettuate prevalentemente in ambito sociologico) a differenza del suo opposto, lo

studio trasversale, basato su dati sincronici, ovvero riferibili ad un solo periodo di tempo.

L’analisi longitudinale, quale analisi diacronica, prevede che:

o I dati raccolti corrispondano a due o più periodi e successivi tra loro;

o L’oggetto analizzato è lo stesso o comunque risulta confrontabile tra i diversi periodi;

o L’analisi ha lo scopo di comparare dati acquisiti in periodi diversi (Menard S., 2002, p.

2).

Le modalità di raccolta dati in ambito di analisi longitudinali possono condurre a tipi di ricerche

differenti che, per semplicità, si distinguono in tre categorie: gli studi trasversali ripetuti (o

cross-sectional) distinguibili per non avere un campione definito ma variabile di anno in anno,

gli studi longitudinali prospettici (di panel) che, invece, mantengono lo stesso campione nel

corso dell’indagine e gli studi longitudinali retrospettivi, ritenuti quasi-longitudinali e svolti

prevalentemente in ambito sociologico, che si sviluppano raccogliendo informazioni tramite

interviste a determinati soggetti su eventi passati (Ruspini E., 2004, p. 20).

Le indagini longitudinali, pertanto, presentano un doppio studio prospettico: lo studio

retrospettivo (studi longitudinali retrospettivi basati sulla memoria dei soggetti intervistati) e lo

studio prospettico (cross-sectional e panel) che si basa su dati raccolti simultaneamente al loro

sviluppo. In ogni caso, lo scopo di una ricerca longitudinale è duplice:

1. descrive il percorso di cambiamento;

2. ne stabilisce la direzione (che sia positiva o negativa, che vada da X a Y o da Y a

X) (Menard S., 2002, p. 3).

Come già accennato, la peculiarità di questi studi è risultata particolarmente adatta a compiere

ricerche in ambito sociale, tanto che già a partire a da Comte (1892, p. 268) si individua nella

comparazione longitudinale diacronica lo strumento base per l’indagine sociologica, di cui

oggi, a livello micro condotti in Italia, ne costituiscono un esempio l’indagine della Banca

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d’Italia sui Bilanci delle famiglie Italiane (dal 1965 al 1987 con rilevazioni indipendenti e dal

1989 con un nuovo campione definito per permettere l’analisi evolutiva nel tempo), l’European

Community Household Panel (Echp) dal 1994, e l’Indagine Longitudinale sulle Famiglie

Italiane (Ilfi) caratterizzata da rilevazioni progressive nel tempo ma non conseguenti dal 1997

al 2005.

Un’analisi di questo tipo, longitudinale e diacronica, può essere utilizzata in ambiti anche

diversi da quello sociologico (Ruspini E., 2004, p. 99), sebbene non ve ne sia un largo uso, in

cui si presenti un determinato oggetto del quale si vuole valutare un certo cambiamento

relativamente a specifiche variabili, avvenuto nel corso di un periodo di tempo superiore ai due

anni e progressivamente ordinato.

Questa concisa descrizione della ricerca longitudinale ha lo scopo di fornire un’idea di quale

metodologia verrà seguita nello studio dell’evoluzione reportistica di Marks & Spencer, della

cui società, appunto, si vuole analizzare il cambiamento intervenuto nella modalità di disclusure

di determinati aspetti ovvero:

o le “componenti chiave del Report Integrato”;

o il grado di efficacia dei Key Performance Indicators;

o la capacità di allineamento dei KPIs con gli obiettivi e il conseguente mantenimento di

tali relazioni nel tempo.

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CAPITOLO TERZO

L’ESEMPIO DI MARKS & SPENCER

Presentazione della società e percorso verso l’Integrated Reporting

Fondata nel 1884, Marks & Spencer (M&S) è nata come azienda retailer operante a livello di

mercato nazionale affermandosi, successivamente, a livello internazionale attraverso una

distribuzione multi-channel. Quotata allo Stock Exchange di Londra, essa registra un valore

azionario di 329,55 GBX89 e fa parte del gruppo di società costituenti l’indice FTSE 10090. A

livello mondiale, M&S si afferma come uno dei maggiori nel suo settore, disponendo di 1.382

negozi, di cui 914 in Gran Bretagna (222 di proprietà e 349 in franchising) e i restanti tra

Europa, Asia e Medio Oriente. Ad oggi, la società vende prodotti a 33 milioni di clienti solo

attraverso le vendite nel mercato locale e la piattaforma di e-commerce, esistente dal 2014.

M&S si distingue per due divisioni: Food, che conta per il 58% del ritorno totale e General

Merchandise (abbigliamento uomo, donna e bambino, reparto beauty e prodotti home), dal

quale ne deriva il rimanente 42%.

L’azienda, particolarmente attiva in ambito di Responsabilità Sociale d’Impresa già a partire

dal 2007 attraverso l’elaborazione del cosiddetto “Plan A” (e ampliato nel 2014 con il “Plan A

2020”), è membro dell’International Integrated Reporting Council e del Prince’s

Accounting for Sustainability Project (A4S), oltre che essere stata una delle società pioniere

nello sviluppo del Report Integrato secondo il Framework grazie al progetto Pilot Programme

(PP). Quest’ultimo, istituito dall’IIRC nel 2011, raccolse adesioni da parte di cento aziende di

tutto il mondo volontariamente rese disponibili alla sperimentazione dell’IR. All’interno di

questa iniziativa, inoltre, risultava nel 2013 una percentuale di aziende appartenenti al settore

Consumer Goods (in cui viene inclusa Marks & Spencer) pari al 11%, classificandosi come

terzo settore aderente al progetto, dopo Financials e Industrials (figura 3.1).

89 Al 30.09.2016 quindi vale 3.2955 £. 90 È un indice azionario che raggruppa le 100 società quotate allo Stock Exchange di Londra con il più alto tasso di capitalizzazione sul mercato.

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106

Figura 3.1: I settori aderenti al Pilot Programme dell’IIRC e relative percentuali nel 2013

Fonte: IIRC Pilot Programma Yearbook (2013, p. 11).

Oltre ad aderire al progetto di Pilot Programme, Marks & Spencer diviene membro dell’IR

Business Network nel 2014, una rete di organizzazioni impegnate nell’adozione dell’Integrated

Reporting che sostengono il thinking integrated e l'innovazione nel reporting aziendale. La sua

partecipazione in entrambi i casi è dovuta principalmente all’esplicitata volontà di comunicare

le modalità di creazione di valore sostenibile di lungo termine sia agli shareholders che a tutti

gli stakeholders, dimostrando l’uso efficace di risorse e relazioni esterne.

Il purpose delineato dalla società, già a partire dall’iniziativa di PP, è quello di lavorare per

definire un Integrated Reporting che sappia rimanere rilevante per i propri stakeholders

ponendo la giusta attenzione sul come applicare i principi dell’IIRC (Framework) al proprio

business model. Come affermato dall’IIRC, l’IR è un viaggio che ha bisogno di tempo per

raggiungere dei risultati significativi per l’azienda, per questo, M&S, internamente, ha formato

un IR Working Party in modo da supportare i continui sforzi verso l’obiettivo di integrazione,

portati avanti anche grazie alla partecipazione, già accennata, all’IR Business Network e la

consultazione con la società Deloitte. Per Marks & Spencer tutto ciò risulta necessario per

poter dare il giusto rilievo a quanto già costruito come le varie attività e gli impegni costituenti

il “Piano A”.

Come accennato al termine del capitolo precedente, lo scopo del presente è quello di

approfondire la modalità di disclosure intrapresa dal colosso Marks & Spencer, analizzandone

l’evoluzione avvenuta a partire dal 2008, passando per il 2013 fino al 2015 ed evidenziarne gli

aspetti assunti in conformità con il Framework dell’IIRC e quindi con il Report Integrato. Sarà

presa in esame anche la reportistica del 2016, in quanto essenziale per apprendere l’ultimo

grado evolutivo dell’impresa in materia di Corporate Reporting.

Come sarà possibile vedere dagli ultimi Annual Report (2015 e 2016), sempre più basati sui

principi dell’IR, è stata ulteriormente rafforzata la disclosure di Responsabilità Sociale (“Plan

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107

A”) e quella di Risk Management. In particolare, è stato introdotto il focus sullo sviluppo del

business model in modo da poter chiaramente spiegare “cosa rende differente M&S” e

migliorato la connettività delle informazioni attraverso l’uso di icone info-grafiche e aiuti chiari

per la navigazione.

In sostanza, per Marks & Spencer è stato portato a termine il presupposto per cui è nato il

Framework <IR>, ovvero l’essere in grado per un’organizzazione di comunicare, in modo

sintetico, la strategia, la governance, le performance e le prospettive che le consentono di creare

valore all’interno del contesto in cui opera, nel breve, medio e lungo periodo.

3.1 LA PRIMA DOMANDA DI RICERCA

Procedura di analisi

La prima ricerca empirica verrà condotta attraverso una doppia metodologia, l’analisi di

rilevazione prima e l’analisi longitudinale poi, distinta quest’ultima, come predetto, per la sua

capacità di permettere un confronto tra una certa entità nel corso del tempo e quindi la sua

evoluzione.

Il campione di analisi, per il caso in oggetto del presente elaborato, è formato da quattro Annual

Report & Financial Statement della società retailer Marks & Spencer, di cui precedentemente

è stata fornita una breve descrizione anche relativamente all’attività di Integrated Reporting.

Acquisiti per mezzo del sistema informativo aziendale, i Report, considerati quali parti del

campione di analisi, sono i seguenti: 2008, 2013, 2015 e 2016.

La doppia attività di analisi permette di raggiungere un duplice obiettivo: poter valutare la

volontà dell’impresa di comunicare particolari azioni o peculiarità richieste dal Framework

<IR> ma, soprattutto (e se queste ultime sono presenti), di studiare l’evoluzione in atto per il

raggiungimento della conformità con i principi dell’IIRC.

A questo punto si procede con la descrizione dell’analisi nel suo complesso, suddivisa in tre

fasi distinte e conseguenti tra loro:

1. Fase di ricerca

In questa prima parte di esame si è proceduto all’attenta lettura degli Annual Report &

Financial Statement e, qualora redatto, della sezione “Plan A Report”91, ottenuti grazie

al sistema informativo aziendale e al sito dell’IIRC nella sezione “<IR> Reporters”92;

91 Si tratta della sezione riguardante gli impegni di sostenibilità assunti con il “Plan A” e “Plan A 2020” e il loro livello di integrazione all’interno del sistema aziendale. 92 http://examples.integratedreporting.org/all_reporters

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di seguito riproposti, tali documentazioni si presentato correlate dalla motivazione per

cui sono state scelte a far parte del campione di analisi:

o Annual Report & Financial Statement 2008 (composto da 104 pagine)

relativi all’anno finanziario 2007/200893.

La scelta di iniziare l’analisi da questa annualità deriva principalmente da due

ordini di ragioni: il primo riguarda il fatto che, per poter comprendere come si

sia evoluta la reportistica è necessario che il confronto sia fatto anche con una

disclosure che preceda il sorgere dell’idea del progetto di Framework <IR>, e

il secondo, invece, è per mettere in luce l’avvio di attività sostenibili da parte

dell’impresa (“Plan A” definito nel 2007), integrate in essa, che contribuiscono

a capire la direzione intrapresa sotto il punto di vista della creazione di valore

nel lungo periodo.

Relativamente a quest’anno, non è stato riscontrato il documento di sostenibilità

separato “Plan A Report”.

o Annual Report & Financial Statement 2013 (composto da 120 pagine) e Plan

A Report 2013 (strutturato in 56 pagine) relativi all’anno finanziario

2012/201394.

Questa annualità è significativa perché precede di un anno la diffusione del

Framework <IR> (reso definitivo e pubblicato nel dicembre del 2013)

fotografando la forma di disclosure assunta, soggetta all’influenza

dell’iniziativa di Pilot Programme.

o Annual Report & Financial Statement 2015 (composto da 132 pagine) Plan

A Report 2015 (strutturato in 48 pagine) relativi all’anno finanziario

2014/2015.

Per l’analisi oggetto del presente elaborato tale annualità rappresenta il punto di

prima svolta nell’implementazione dei principi del Framework <IR> per la

redazione dell’Integrated Reporting.

93 Dal 1/4/2007 al 29/03/2008. 94 Dal 1/4/2012 al 30/3/2013.

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o Annual Report & Financial Statement 2016 (composto da 132 pagine) e Plan

A Report 2016 (strutturato in 48 pagine) relativi all’anno finanziario

2015/201695.

Questi report hanno costituito una fonte da diversi punti di vista: in primo luogo

per individuare gli obiettivi (dichiarati raggiunti) relativamente agli aspetti

informativi rilevanti per Marks & Spencer; in secondo luogo per evidenziare

in alcuni punti, nel corso delle diverse analisi svolte, i progressi riscontrati nel

Report 2016, concernenti la conformità ai principi del Framework in materia di

Integrated Reporting.

In ultima (paragrafo 3.1.5) l’Annual Report in oggetto, viene analizzato per

evidenziare in che modo, ad oggi, si valuta la conformità o meno raggiunta della

reportistica integrata della società ai principi dell’IIRC attraverso l’esame degli

aspetti principali.

2. Fase di analisi di rilevazione delle “componenti chiave del Report Integrato”

La seconda fase si occupa di descrivere la prima indagine, chiamata “analisi di

rilevazione”, atta a constatare la presenza all’interno dei report 2008, 2013 e 2015 di

determinati aspetti riguardanti la struttura e i requisiti essenziali dell’Integrated

Reporting denominati le “componenti chiave”, la cui conformità è necessaria perché

una forma di disclusure possa essere identificata come “Report Integrato”96.

La suddetta parte di “analisi di rilevazione” è condotta in due differenti steps: il primo

consiste nel valutare la quantità, intesa come presenza o meno delle “componenti

chiave del Report Integrato” secondo l’IIRC nei diversi report, e il secondo in un’analisi

della qualità delle predette (se presenti), attribuendo un giudizio personale sul grado di

compliance delle stesse e delle informazioni correlate.

Le “componenti chiave”, così definite, sono frutto dell’insieme dei requisiti essenziali

del Report Integrato esposti nei seguenti documenti:

o International Integrated Reporting Council (IIRC), 2011. Toward Integrated

Reporting – Communicating Value in the 21th century, Discussion Paper.

95 Dal 29/3/2015 al 26/3/2016. 96 La disclosure del 2016 in questa fase non viene considerata e sarà ripresa nell’analisi longitudinale (paragrafo 3.3) ed in particolar modo per la sezione “KPIs e obiettivi” (paragrafo 3.4) e il paragrafo conclusivo dedicato alla descrizione più analitica del Report Integrato di M&S ad oggi (3.5).

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o Deloitte, 2012. Integrated Reporting Navigating your way to a truly Integrated

Report97.

o International Integrated Reporting Council (IIRC), 2013. The international

<IR> Framework.

In base a queste documentazioni, sono stati, infatti, estrapolati gli aspetti (“items”) che

hanno assunto la qualifica in tale sede di “componenti chiave del Report Integrato”,

dando vita ad una scheda di valutazione, ovvero una griglia suddivisa in dieci aree e

comprendenti gli aspetti essenziali richiesti dal Framework <IR> per la conformità del

Report Integrato.

Di seguito è rappresentata la scheda di valutazione con gli items ricercati e indagati (Le

componenti chiave del Report Integrato – tabella 3.1).

Tabella 3.1: Le componenti chiave del Report Integrato

Macro classi Componenti chiave

1 Il profilo del Gruppo

Breve introduzione sulla società, settore e mercati in cui opera, il tipo

di attività, i prodotti, la struttura organizzativa del Gruppo e

dell’azienda.

2 Connettività delle

informazioni

Focus sul livello di connettività tra l’informativa finanziaria e non

finanziaria.

3 Le caratteristiche chiave Requisiti chiave previsti dal Framework, tra cui la sinteticità,

l’individuazione delle obiettivi strategici e degli stakeholders chiave.

4 I valori legati alla vision

strategica

Questa parte deve comprendere i valori dell’azienda, descrivere gli

scopi strategici e gli obiettivi in modo comprensibile per il lettore.

5 I capitali

Il Framework tratta i “capitali” quali scorte di valore che possono

aumentare, diminuire o trasformarsi attraverso le attività e ne individua

sei diverse tipologie diverse. In questa sezione si indaga sulla capacità

dell’impresa di comunicare come, per mezzo del processo produttivo

aziendale, essi variano e, in tal modo, creano valore.

97 La scelta di definire delle linee guida, per valutare la conformità di Marks & Spencer ai principi del Framework, considerando ricerche svolte per mano della società di revisione e consulenza Deloitte, deriva anche dal fatto che la società inglese si sia servita in questi anni proprio della sua consulenza per l’implementazione dei requisiti di Integrated Reporting previsti dall’IIRC.

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111

6 Struttura di governance

Definire la struttura sia del Gruppo che della società, compreso il CdA,

fornire informazioni sui direttori, delineare gli strumenti di governance

per il risk management e la sostenibilità. La parte relativa alla

governance deve fornire un quadro chiaro della performance del

Board98 e delle commissioni.

7 Stakeholders

L’IR si rivolge ai “key stakeholders” pertanto è necessario saperli

individuare per fornirgli informazioni rilevanti e materiali.

L’individuazione di essi non basta: devono essere descritti anche i

principali interessi e le preoccupazioni espresse (e quindi le modalità

di ascolto) e come queste ultime vengono considerate dalla società. In

sostanza, si deve descrivere la strategia e la metodologia per l’efficace

comunicazione con gli interlocutori chiave.

8 I rischi rilevanti/materiali

e le opportunità

Individuare rischi e opportunità del business in generale, indicare le

attività di risk management per la riduzione dei rischi e le modalità di

investimento sulle opportunità. Inoltre, assicurare un equilibrio tra

rischi finanziari e rischi di altra natura e le opportunità.

9 KPIs e gli obiettivi

Identificare i KPIs, relativamente a strategia, rischi, tematiche rilevanti

per gli stakeholders, creare un bilanciamento tra gli indicatori di natura

finanziaria e non finanziaria. Ogni KPIs è collegato a obiettivi

misurabili che devono essere identificati e comparare con l’esercizio

precedente per riferire sul raggiungimento o meno degli obiettivi

prefissati.

10 Remunerazione

Strategia di remunerazione: come viene utilizzata per il

raggiungimento degli obiettivi aziendali e informazioni sugli incentivi,

finanziari o di altra natura.

Fonte: Deloitte, 2012 e in parte rielaborazione propria sulla base della documentazione precedentemente

riportata.

A seconda del grado di sviluppo dell’analisi di rilevazione, si distinguono due modalità

di valutazione attribuibili. Nel primo step il fattore che influenza la valutazione è la

ricorrenza, la sporadicità o l’assenza degli items individuati nei diversi report, pertanto

è apparso più appropriato utilizzare un “Sì” o un “No” come tipologie di risposta,

tralasciando allo step successivo la valutazione più approfondita del grado di conformità

di quella componente e del dettaglio informativo correlato.

Infatti, per quanto concerne il secondo step, l’oggetto di osservazione è la sostanziale

compliance delle informazioni all’interno dei diversi Annual Report & Financial

98 Inteso come Consiglio di Amministrazione.

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Statement con le “componenti chiave del Report Integrato”, per cui il punteggio

assegnabile segue una scala con tre tipi di giudizio attribuibili. Come presentato in

tabella 3.2, il giudizio può essere espresso come “non rilevata” (qualora già al

precedente step fosse risultato come “No”), “non conforme”, nel caso in cui non venga

percepita alcuna conformità, o “conforme”; quest’ultima forma di giudizio, a sua volta,

si può articolare in due livelli a seconda del grado di aderenza dell’aspetto studiato con

le “componenti chiave del Report Integrato”: nel caso in cui la particolare sezione

presenti aspetti conformi e altri no verrà incluso in “mediamente conforme” mentre,

nella migliore delle ipotesi, si tratterà di “pienamente conforme”.

Di seguito è rappresentata la griglia di valutazione con la scala per l’attribuzione dei

punteggi.

Tabella 3.2: Griglia di valutazione dei componenti chiave del Report Integrato

Componenti chiave del

Report Integrato Punteggio

Non rilevata 0

Non conforme 1

Mediamente conforme 2

Pienamente conforme 3

Fonte: elaborazione propria

3. Fase di analisi longitudinale

Come detto inizialmente, sebbene l’analisi utilizzi una doppia metodologia, essa si

concentra maggiormente sullo svolgimento dello studio longitudinale, il quale considera

le diverse annualità (2008, 2013, 2015 e 2016) e le rispettive disclusure sopra

identificate confrontandole seguendo l’ordine progressivo temporale.

Grazie all’analisi di rilevazione è stato possibile identificare la presenza e in che grado

di compliance delle “componenti chiave del Report Integrato” ma le informazioni

ottenute in modo così isolato non permettono di evidenziare il progresso della

conformità ai principi del Framework <IR> attuata dalla società Marks & Spencer in

materia di Integrated Reporting. A tale fine trova compimento la terza fase di analisi

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113

messa in atto attraverso una comparazione tra i risultati ottenuti nella seconda fase di

analisi di rilevazione (rappresentati nelle tabelle 3.6, 3.7, 3.8 e riassunti in tabella 3.9).

A questo punto, relativamente ad ognuna delle singole dieci sezioni in cui sono

suddivise le “componenti chiave”, è stato prodotto un commento in merito al grado

evolutivo di compliance avvenuta dal 2008 al 2016, sulla base dei Report 2008, 2013,

2015, e degli ultimi e futuri progressi sulla base del Report 2016.

3.1.1 L’analisi di rilevazione

Come predetto, la parte di analisi di rilevazione è condotta in due differenti steps:

o il primo consiste in un’indagine nell’ambito delle diverse disclusure del

campione definito (le annualità 2008, 2013 e 2015) per valutarne la quantità,

intesa come presenza o meno di una determinata “componente chiave del Report

Integrato”;

o il secondo in un’analisi di tipo qualitativo rispetto alla conformità delle

informazioni riportate nei report in comparazione a quelle previste per le

“componenti chiave” richieste per considerare un Report “Integrato” (in tabella

3.1). Per ogni annualità viene, in un primo momento, valutato il grado di

compliance specifico per ognuna delle dieci sezioni individuate e, in un secondo

momento, calcolato quello complessivo procedendo alla somma dei singoli.

Prima che abbia luogo la presentazione dei risultati ottenuti dalle predette analisi, viene fornita

una panoramica dei temi affrontati dalla società Marks & Spencer nelle diverse disclusure

considerate, attraverso l’esposizione degli indici delle stesse (tabella 3.3).

Ogni indice è stato riportato nelle diverse sezioni così come da bilancio, evidenziando però i

topic, ovvero i temi chiave trattati in quella precisa parte e le successive modifiche (si veda

“Legenda”), oggetto di successivi approfondimenti data la rilevanza posta dalla società nei loro

confronti.

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Tabella 3.3: Ordine di trattazione degli aspetti nel bilancio nelle diverse annualità

2008 2013 2015

SEZIONE TOPIC SEZIONE TOPIC SEZIONE TOPIC

1 About us Obiettivi

strategici e piano

Overview

Obiettivi strategici e

piano.

Our

Business

Obiettivi strategici e Business Model

(Con descrizione dei capitali e delle

attività del processo di

creazione del valore)

Business Model

2

Key performance

Indicators

(KPIs)

Strategy

Review

KPIs

+

Risk Management

+

Plan A

Our

Performance

KPIs

+

Financial Review

+

Risk Management

3 Business Review

Prodotti, mercato, struttura

organizzativa

+

Plan A

Financial Review

Principali indici

finanziari Governance

Struttura e attività del

Board

+

Accountability

+

Stakeholders Engagement

+

Report di Remunerazione

4 Your Board

Descrizione dei membri del

CdA Governance

Struttura e attività del

Board

+

Accountability

+

Engagement (Shareholders)

+

Report di Remunerazione

Financial Statement

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5 Financial Review

Principali indici

finanziari

Financial Statement & other

information

Shareholders information (Directors’

Report)

6 Governance Report di

Remunerazione

Legenda

7 Financial Statement

8 Shareholders information

Fonte: elaborazione propria

Primo step: L’analisi quantitativa

Come affermato in precedenza, questa prima parte della fase di analisi di rilevazione ha

l’obiettivo di rilevare la presenza o meno delle “componenti chiave del Report Integrato”,

esprimendo meramente con un “Sì” la presenza (anche parziale) dell’elemento e con un “No”

la sua totale assenza, con l’esclusione, in questo momento, di considerare il grado di compliance

dell’aspetto con i principi dell’IIRC e dell’informativa correlata al dato.

I risultati vengono riassunti nella tabella sottostante (3.4).

Tabella 3.4: Risultati dell’analisi quantitativa

1 2 3 4 5

Anno Profilo del

Gruppo

Connettività delle

informazioni

Peculiarità chiave

Valori vision

strategica I capitali

2008 Sì No Sì Sì Sì

2013 Sì No Sì Sì Sì

2015 Sì Sì Sì Sì Sì

6 7 8 9 10

Anno Governance Stakeholders Rischi e

opportunità KPIs Remunerazione

2008 Sì Sì Sì Sì Sì

2013 Sì Sì Sì Sì Sì

2015 Sì Sì Sì Sì Sì

Fonte: elaborazione propria

Appare evidente, di fronte all’esito ottenuto, che gli Annual Report & Financial Statement delle

diverse annualità trattino gli aspetti riguardanti le “componenti chiave del Report Integrato”

Parti comuni dal 2008 al 2015

Parti modificate dopo il 2008

Parti nuove dopo il 2008

Parti invariate dopo la modifica dell’anno precedente

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116

(conclusione quanto meno supportata dell’evidenziata presenza di informazioni al riguardo). I

risultati ottenuti presentano una società che, almeno dal 2008 (perché questo è l’anno da cui è

partita la ricerca) redige disclosures che riprendono in parte o appieno temi chiave per il Report

Integrato dell’IIRC, anche se non è possibile, a questo punto dell’analisi, affermare che la loro

presenza significhi anche l’assunzione della forma che ne dichiara la conformità al Framework

<IR>. I risultati inerenti l’annualità 2008 e 2013 di certo non possono significare l’assunzione

dei principi di Integrated Reporting emessi dall’IIRC ma, sia per volontà sia per obbligo

normativo nazionale, simboleggiano la scelta di adottare una forma di disclosure più congrua a

comunicare la creazione di valore sostenibile.

Per poter avere più informazioni in questa direzione e valutare il grado di compliance

attribuibile nei diversi anni, è necessario procedere con il prossimo step dell’analisi, e quindi

con l’esame del grado descrittivo delle “componenti chiave”.

Secondo step: L’analisi qualitativa

In questa seconda parte della seconda fase è stata compiuta un’analisi di tipo qualitativo tra le

informazioni rilevate (ovvero quelle risultate presenti e valutate con un “Sì” nella tabella 3.4) e

le “componenti chiave del Report Integrato” (rappresentate e definite in tabella 3.1). Ad ognuna

delle sezioni di ogni annualità è stata attribuita una valutazione sotto forma di punteggio e breve

descrizione, sulla base della sostanziale conformità rilevata tra quanto richiesto dall’IIRC e

quanto riscontrabile dai report di Marks & Spencer. Per quanto concerne il punteggio

attribuibile sono previsti tre tipi di giudizi a seconda del grado di sussistenza e di rispetto delle

“componenti chiave” all’interno degli Annual Report & Financial Statement. Il giudizio può

sfociare in un “non rilevato” (qualora già al precedente step fosse risultato come “no”), in un

“non conforme”, se non viene percepita alcuna aderenza o in “conforme” articolandosi in questo

caso su due livelli a seconda del grado di conformità rilevata (come già evidenziato anche in

tabella 3.2).

Di seguito vengono presentati i risultati ottenuti per singola annualità (da tabella 3.5 a 3.7),

correlati da una breve descrizione delle “componenti chiave” riscontrate, e complessiva (tabella

3.8) quale base di partenza per l’analisi longitudinale (paragrafo 3.1.2).

Tabella 3.5: Analisi qualitativa anno 2008

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2008 Giudizio

medio Breve descrizione

1 Profilo 2

La descrizione iniziale è relativamente scarsa anche se le informazioni chiave sono presenti. Nel corso del report vengono descritti i prodotti, l’ambito e le modalità in e con cui opera la società.

2 Connettività delle informazioni 0

Non vengono proposti collegamenti tra informazioni finanziarie e non finanziarie, la connettività richiesta dall’IIRC non è rilevata.

3 Peculiarità 2

Gli obiettivi principali sono individuati ma non appropriatamente messi in luce (predisposti in punto elenco) mentre gli stakeholders chiave non vengono propriamente classificati. L’aspetto della “sinteticità” si ritiene più opportuno valutarlo nell’analisi successiva longitudinale a confronto con le altre disclosures.

4 Valori e vision strategica 1

Obiettivi e valori strategici vengono espressi nella parte iniziale con media rilevanza (i valori sono definiti in: qualità, valore, sevizio, innovazione e fiducia). Non viene presentato un business model e quindi nemmeno la descrizione dei capitali come input e output del processo di creazione di valore sostenibile per gli stakeholders.

5 I capitali 1

Il business model non è presentato e quindi non ha luogo nemmeno la descrizione dei capitali quali, secondo l’IIRC, input e output del processo di creazione di valore. Nel corso del Report si fa comunque riferimento ai capitali, alcuni in forma molto breve, non sufficiente e complessivamente in modo scollegato tra loro.

6 Governance 2

La struttura di governance viene descritta, in particolare modo la composizione del Board e l’individuazione dei comitati. Sono rilevate le informazioni sull’attività di gestione dei diversi tipi di rischio (si veda “rischi e opportunità”), anche relativamente agli obiettivi di sostenibilità “Plan A”. Non viene fornito, però, un feedback sulle performance del Board.

7 Stakeholders 1

Gli stakeholders chiave non vengono identificati in modo chiaro e nemmeno la descrizione delle aspettative con i relativi impatti futuri che possono avere sul loro comportamento. Non vengono comunicate le attività in atto legate a questo tipo di aspetto se non gli impegni assunti dalla società in riferimento al “Plan A”.

8 Rischi e opportunità 2

L’approccio di risk management viene brevemente descritto. Per quanto riguarda l’attività di individuazione, valutazione e mitigazione del rischio viene presentata una lista di “rischi e incertezze” suddivisi per macro classi, ognuna correlata da una serie di attività di mitigazione in atto.

9 KPIs 1

Il collegamento tra i KPIs e gli obiettivi (esposti come punto elenco nella parte iniziale) non è chiaro. Viene presentato un riassunto delle performance (finanziarie e non finanziarie) dimostrando i risultati ottenuti senza un esplicito confronto con obiettivi operativi prefissati. Non tutti gli indici sono forniti di

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una descrizione ma la comparabilità con i risultati dei periodi precedenti sì.

10 Remunerazione 1 Fornisce un collegamento tra il raggiungimento degli obiettivi strategici è l’attività di remunerazione. Non sussiste lo stesso per i risultati di sostenibilità (come richiesto è richiesto).

Fonte: elaborazione propria

Tabella 3.6: Analisi qualitativa anno 2013

2013 Giudizio

medio Breve descrizione

1 Profilo 3

Il profilo del gruppo è ben descritto in tutte le sue parti con un formato facilmente comprensibile e leggibile. La descrizione è supporta dalla “overview” del presidente di Cda per un riassunto dei fatti principali avvenuti nel corso del periodo e della società in generale, in modo da contestualizzare l’operato dell’impresa.

2 Connettività delle informazioni 0

Non viene fornita una descrizione delle modalità di connessione delle due informative (financial e non financial) e nemmeno gli impatti positivi che da essa scaturiscono.

3 Peculiarità 3

Gli obiettivi strategici vengono riassunti in una tabella chiamata “our plan”. Nel corso del report si trovano le descrizioni di essi e le attività atte al loro perseguimento. Le immagini e i grafici guidano il lettore a un più chiaro messaggio. Anche gli stakeholders chiave sono identificati. Per la capacità di essere sintetico e conciso si rimanda al paragrafo dedicato all’analisi longitudinale (3.1.2).

4 I valori legati alla vision strategica 2

I valori sono definiti in: qualità, valore, sevizio, innovazione e fiducia, sui quali si basano gli obiettivi strategici esposti, supportati anche da indicatori finanziari e non finanziari, ma non messi in primo piano.

5 I capitali 1

Il business model viene presentato ma non è conforme al Framework <IR>: gli input e gli output non sono descritti sotto forma di capitali e sono troppo generici. Ad ogni modo, il Report riporta la maggior parte dei capitali ma come entità statiche, non collegate al perseguimento degli obiettivi strategici e all’intero processo di creazione di valore sostenibile.

6 Governance 3

È riscontrabile una descrizione breve e concisa della struttura governativa, inclusi i comitati, in cui vengono i ruoli di responsabilità nel guidare la strategia, monitorare i rischi e promuovere i talenti. Tutti i membri del consiglio (executive e non-executive) vengono presentati in modo dettagliato riportandone i ruoli, gli ambiti di competenza promuovendo comunque la cooperazione. Le attività del consiglio vengono presentate accuratamente suddivise per temi chiave (strategia, governance & rischio, fiducia e valori, leadership & lavoratori, clienti, shareholders engagement). Inoltre, è previsto anche il report per i principali comitati, i quali supportano il consiglio per definire valore sostenibile agli stakeholders.

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7 Stakeholders 2

Gli stakeholders “chiave” sono identificati nel “Plan A Report 2013”. Vengono riportate le attività perseguite per lo stakeholders engagement (ovvero lo modalità di ascolto) e le esigenze espresse a seconda della tipologia di interlocutore chiave. Non trovano luogo, invece, le attività poste in essere dalla società per il sostenimento delle richieste.

8 Rischi e opportunità 3

La società utilizza un approccio di risk management basato sull’identificazione e la valutazione dei rischi significativi per il raggiungimento degli obiettivi strategici e la creazione di valore sostenibile. Grazie ai grafici, è possibile capire:

- il grado di similitudine di un certo rischio con quelli già manifestati e l’impatto potenziale sulla società;

- i rischi individuati e la loro natura (esterni, emergenti o probabili nel futuro, quotidiani nello svolgimento delle attività aziendali e relativi a cambiamenti di business).

L’attività di mitigazione è descritta, suddivisa per tipo di rischio (12 rischi individuati, alcuni relativamente generici) e collegata agli obiettivi strategici che si vogliono raggiungere. Inoltre, viene rappresentata, supportata da grafici, L’interdipendenza dei rischi individuati e le misure per la gestione e controllo di essi.

9 KPIs 2

Il collegamento tra i KPIs e gli obiettivi strategici (esposti nel “piano”) sussiste ma la presentazione non è molto chiara. Viene presentato un riassunto delle performance (finanziarie e non finanziarie) suddivise per area di obiettivo dimostrando così i risultati ottenuti in confronto agli obiettivi operativi prefissati. Ogni dato è correlato da una descrizione e da un confronto con i risultati dei periodi precedenti.

10 Remunerazione 3

Fornisce un collegamento chiaro e comprensibile tra i risultati (anche di sostenibilità) e la remunerazione del amministratore delegato. La presenza di grafici e tabelle facilita ulteriormente la lettura.

Fonte: elaborazione propria

Tabella 3.7: Analisi qualitativa anno 2015

2015 Giudizio

medio Breve descrizione

1 Profilo 3

Formato facilmente comprensibili e leggibile anche grazie all’ausilio di una breve e chiara rassegna dei dati finanziari (in particolare anche quelli collegati agli obiettivi strategici primari), grafici e illustrazioni. La descrizione è supportante dalla lettera del presidente di Cda per un riassunto dei fatti principali avvenuti nel corso del periodo e della società in generale.

2 Connettività delle informazioni 2

La connettività delle informazioni comincia ad intravedersi nelle prime pagine dove è possibile trovare una legenda rappresentata da una serie di icone, che poste su determinati paragrafi dedicati ad un tema, rendono più comprensibili i collegamenti tra l’informativa finanziaria e non finanziaria. Ciò

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rappresenta un passo avanti ma non è sufficiente per la piena conformità con l’IR.

3 Peculiarità 3

Gli obiettivi strategici dell’anno sono collocati già nella prima pagina come “strategic priorities for the year”. Vengono utilizzati ampi spazi per comunicare al lettore gli obiettivi raggiunti sulla base dei programmi in atto e grafici e illustrazioni per guidarlo ad un più chiaro messaggio. Gli aspetti rilevanti trovano ampio spazio di trattazione nel corso del report 2015 rispetto alle annualità precedenti; ciò può evidenziare la capacità dell’impresa di aver saputo riconoscerli e di aver attuato una strategia per renderli conformi ai principi del Framework, oltre che alle “componenti chiave” (tabella 3.1). Per coerenza, la sezione inerente la sinteticità e la capacità del Report di essere conciso, è trattata al paragrafo 3.1.2.

4 Valori legati alla vision strategica 2

Gli obiettivi e i valori sono collegati con la strategia di sostenibilità (“Plan A”). La società fornisce informazioni relativamente al business model basato su quattro nuovi valori chiave che vengono definiti considerando le aspettative degli stakeholders e per i quali si mettono in atto attività che, così facendo, determinano un vantaggio competitivo. Ciò dovuto perché oltre a sostenere il rapporto con gli stakeholders permette l’individuazione dei principali rischi/opportunità per la società. Sia le risorse e le relazioni su cui la società fa riferimento sia l’approccio con cui la stessa soddisfa determinati bisogni e esigenze vengono descritte. Il business model non è rappresentato, però, così come richiesto dal Framework: le varie componenti sono presenti ma è necessario fornire un ulteriore collegamento al lettore tra: strategia, input, attività/business model, rischi, governance, output, KPIs e risultati/performance.

5 I capitali 2

Il business model si sviluppa rispetto agli anni precedenti: i capitali sono rappresentati come richiesto dal Framework <IR> correlati da una breve descrizione di come il loro utilizzo generi valore. La rappresentazione dell’intero processo di creazione del valore, del quale i capitali costituiscono gli input e gli output, non è ancora pienamente conforme a causa delle ragioni al punto precedente.

6 Governance 3

È riscontrabile una descrizione breve e concisa della struttura governativa, inclusi i comitati. Tutti i membri del consiglio (executive e non-executive) vengono presentati in modo dettagliato riportandone i ruoli, gli ambiti di competenza promuovendo comunque la cooperazione. Le attività del consiglio vengono presentate accuratamente suddivise per temi chiave (strategia, governance & rischio, fiducia e valori, leadership & lavoratori, clienti, shareholders engagement) e esaminate in tre punti: descrizione attività, azioni emergenti, progressi ottenuti. Ogni tema vieni affrontato attivamente da tutti i membri assicurando un’alta qualità decisionale in tutti i topic. Inoltre, è previsto anche il report per i principali comitati, i quali supportano il consiglio per definire valore sostenibile agli stakeholders.

7 Stakeholders 3 Gli stakeholders chiave sono chiaramente identificati ma nel documento “Plan A Report 2015”. Essi vengono suddivisi per tipologia e correlati dalle loro esigenze espresse, dalle modalità

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di ascolto attuate dalla società ed, in aggiunta, dalle attività della stessa per il loro sostenimento. L’Annual Report riporta un business model con una struttura del tutto nuova, basato sul perseguimento di quattro valori derivanti dalle espresse esigenze dei clienti.

8 Rischi e opportunità 3

La società utilizza un approccio di risk management basato sull’identificazione e la valutazione dei rischi significativi per il raggiungimento degli obiettivi strategici, in cui ogni area aziendale identifica i propri attraverso dei criteri. Grazie ai grafici, è possibile capire:

- il grado di similitudine di un certo rischio con quelli già manifestati e l’impatto potenziale sulla società;

- i rischi individuati e la loro natura (esterni, emergenti o probabili nel futuro, quotidiani nello svolgimento delle attività aziendali e relativi a cambiamenti di business).

L’attività di mitigazione è accuratamente riportata, suddivisa per tipo di rischio (12 rischi individuati) e collegata agli obiettivi strategici che si vogliono raggiungere. Inoltre, viene rappresentata, supportata da grafici, l’interdipendenza dei rischi individuati e le misure per la gestione e controllo di essi. In linea di massima, molto simile al 2013.

9 KPIs 2

I KPIs seguono la parte espositiva della strategia, degli obiettivi e dei piani in atto. Il collegamento viene fatto, oltre che tra i KPIs e gli obiettivi finanziari, anche con gli obiettivi del “Plan A” e la politica di remunerazione, grazie all’introduzione di una serie di icone che rende l’interconnessione più è chiara e lineare (miglioramento della connettività delle informazioni finanziarie e non finanziarie). Il riassunto delle performance sia finanziarie che non finanziarie è suddiviso per area finanziaria, non finanziaria e strategica; per ogni indice si riporta un chiaro collegamento tra l’obiettivo perseguito che si vuole misurare, una breve descrizione del suo significato e un confronto con i risultati ottenuti nel/i periodo/i precedenti precedente/i per verificarne i progressi. Solo nel Report 2016, gli indici riferiti al periodo 2015/2016 sono correlati anche dalla motivazione della loro presenza (indice di rilevanza). Grazie a questo aspetto, si prevede la piena conformità alla “Componente chiave” trattata nel 2016, mentre nel 2015 il giudizio è inferiore.

10 Remunerazione 3

Delinea un collegamento specifico tra performance (anche di sostenibilità) e la remunerazione del amministratore delegato, rafforzato da grafici e tabelle. In questo anno, il Report Remuneration è stato rivisto e si presenta più chiaro, rispetto alle annualità precedenti, per quanto riguarda il suo collegamento con gli obiettivi (di ogni natura).

Fonte: elaborazione propria

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Tabella 3.8: Totale per annualità

Macro classi 2008 Fonte 2013 Fonte 2015 Fonte

1 Profilo 2 AR 3 AR 3 AR

2 Connettività delle informazioni 0 AR 0 AR 2 AR

3 Peculiarità 2 AR 3 AR 3 AR

4 Valori vision 1 AR 2 AR 2 AR

5 I capitali 1 AR 1 AR+PR 2 AR+PR

6 Governance 2 AR 3 AR 3 AR

7 Stakeholders 1 AR 2 PR 3 PR

8 Rischi e opportunità 2 AR 3 AR 3 AR

9 KPIs 1 AR 2 AR 2 AR

10 Remunerazione 1 AR 3 AR 3 AR

Totale 13/30 22/30 26/30

Conformità media 1.3 2.2 2.6

Fonte: elaborazione propria

Legenda

Non ancora raggiunta la piena conformità

AR: Annual Report PR: Plan A Report

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3.1.2 L’analisi longitudinale

Questa fase si occupa di apprezzare il grado evolutivo di compliance che ha caratterizzato la

società Marks & Spencer in relazione alle guidelines rappresentate in tabella 3.1. Lo scopo è

quello di evidenziare il progresso della conformità ai principi del Framework dell’IIRC attuato

dalla società in materia di Integrated Reporting. Il periodo di analisi non varia rispetto alla

prima analisi e si estende dal 2008, anno significativo per comprendere in che direzione si stesse

dirigendo la società rispetto alla comunicazione delle modalità di creazione di valore sostenibile

nel tempo (ancora prima dell’adesione al Pilot Programme dell’IIRC nel 2011) al 2015,

passando per il 2013. Per alcune delle “componenti chiave”, risultati non “pienamente

conformi” nell’analisi di rilevazione (paragrafo 3.1.1), il Report 2016 mostra i progressi in atto

e ottenuti non visibili in quello dell’anno precedente e, per tale ragione, segnalati ove presenti.

L’analisi trova compimento attraverso una comparazione tra le disclusures delle diverse

annualità precedentemente riportate, ponendo come base di partenza i risultati ottenuti dalle

seconda fase di analisi di rilevazione (tabelle 3.5, 3.6, 3.7, 3.8) e procedendo ad integrare quanto

rilevato (anche relativamente allo studio del Report 2016) con un commento personale,

segnatamente agli aspetti più rilevanti per la società e, pertanto, quelli più soggetti ad attenzione

da parte della politica aziendale di implementazione dei principi del Framework.

In accordo con i suddetti esiti, è possibile constatare, ad oggi, le aree migliorate e in

miglioramento.

La discussione dei risultati

I risultati esposti nelle tabelle 3.4, 3.5, 3.6 e 3.7 che riportano l’assenza o la presenza e in che

modalità delle “componenti chiave del Report Integrato”, consentono di esprimere un giudizio

sulla qualità delle informazioni non financial comunicate dalla società Marks & Spencer, oltre

che la quantità di esse.

Di seguito vengono commentati i risultati ottenuti dalla comparazione delle disclosures,

richiamando ciascuna delle macro categorie in tabella 3.1. In particolare viene posto il focus

sui risultati riscontrati e le aree migliorate nel corso del tempo o quelle ancora da arricchire per

quanto riguarda l’apporto informativo o il collegamento con gli aspetti essenziali.

Disclosure n.1: il profilo del Gruppo (contesto aziendale)

Questa prima categoria ha lo scopo di descrivere come vengono fornite le informazioni

relativamente alla storia della società e a come queste vengano comunicate agli stakeholders.

Si tratta di una descrizione generica dell’azienda comprendente la descrizione dei prodotti e

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servizi principali, i mercati (marketplace), una rassegna dei dati finanziari essenziali e la

struttura caratterizzante l’intera organizzazione. La società ha svolto un lavoro soddisfacente

nella predisposizione di questa parte nel corso del periodo, intensificando l’aspetto di chiarezza,

leggibilità e comprensibilità anche grazie all’ausilio di sempre più numerose illustrazioni e

grafici e in particolare nel 2015 (ulteriormente intensificato nel 2016), con l’introduzione del

tutto nuova dell’utilizzo di icone per collegare i diversi temi con gli obiettivi strategici, con la

remunerazione, con il “Plan A 2020”, con il risk management oppure con altre parti del report

(indicazione delle pagine) o con un simbolo dal significato di “guardando al futuro” qualora, al

termine di un certo tema, si delineassero le prospettive future in relazione agli obiettivi

strategici.

L’area informativa è decisamente migliorata nel corso del periodo analizzato, ora capace di

fornire agli stakeholders una presentazione completa della società.

Disclosure n.2: La connettività delle informazioni

Questa è la sezione dedicata in particolare alla capacità dell’impresa di comunicare il livello di

connettività delle informazioni finanziarie e non finanziarie, ovvero la capacità di un’impresa

di comunicare in che modo le performance finanziarie influenzino quelle non finanziarie e

viceversa. Solo nel 2015 il livello di compliance è accresciuto, risultante non solo “non

conforme” ma nemmeno “rilevato” nella annualità precedenti. Ciò che viene introdotto è un

sistema di icone info-grafiche che permette il collegamento tra informazioni di carattere

finanziario con altre non finanziarie (obiettivi del “Plan A”, il sistema di gestione del rischio, il

sistema di remunerazione e gli obiettivi strategici). Sicuramente ciò permette un grado di

chiarezza maggiore, riposta nel comunicare il collegamento tra informativa finanziaria e non

financial, anche se ancora non sufficiente per rappresentare anche il valore che tale connessione

produce. La conformità relativamente all’aspetto della connettività delle informazioni è molto

migliorato ma non profila pienamente quanto richiesto dal Framework <IR>.

Tale sezione è oggetto di progresso evidenziato nel Report 2016, anno in cui, grazie alla

rappresentazione di come la connessione delle informazioni generi valore sostenibile99, il

livello di compliance con i principi dell’IIRC si avvicina di molto alla piena conformità.

99 Marks & Spencer 2016, sezione “Connected value”, pp. 12,13.

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Disclosure n.3: Le caratteristiche chiave

In questa sezione ci si occupa di verificare il grado di conformità con i requisiti essenziali del

Report Integrato, ed in special modo in tale sede si fa riferimento alla sinteticità e al saper

individuare e comunicare gli obiettivi di ogni natura e gli stakeholders di riferimento (questi

ultimi aspetti sono ripresi successivamente, rispettivamente nella sezione “valori legati alla

vision strategica” e “stakeholders”).

Per quanto riguarda la sinteticità, in linea di massima, si può affermare che l’Annual Report di

Marks & Spencer abbia incrementato di gran lunga il contenuto della propria disclosure dal

2008 al 2015, sfociando anche in un aumento delle pagine totali. Indagando sui contenuti

finanziari e non finanziari è possibile trarre la conclusione che le disclosures della società in

oggetto abbia dimostrato di non aver compiuto dei progressi nel rispettare il requisito della

sinteticità, aumentando con il passare degli anni il numero delle pagine dedicate all’informativa

non finanziaria anche se, relativamente a tale aspetto è necessario valutare la rilevanza delle

informazioni trattate. Solamente nel 2016 la società dichiara quali sono gli aspetti più rilevanti

e conseguentemente soggetti a strategie di progresso, in modo tale da rendere più chiaro se la

lunghezza del report sia determinata dalla trattazione di temi material o non material. A tale

proposito è stato riscontrato un livello maggiore di “conciseness100” nel 2016 rispetto al 2015,

apparentemente frutto di una maggiore capacità di identificare le informazioni materiali e

concentrare il report (relativamente alla sezione non finanziaria) su di esse.

Di seguito, in tabella 3.9, viene presentato il calcolo analitico delle pagine totali e di quelle

restanti una volta sottratta la sezione finanziaria (ovvero la parte in indice di “Financial

Statement” o “Financial Statement & other information”), oltre alla percentuale di presenza di

informativa non financial sul report totale (numero pagine parte non finanziaria rapportata al

numero di pagine totali).

Tabella 3.9: Numero di pagine totali e relative alla parte non finanziaria

PAGINE

TOTALI

Annual Report

PAGINE

disclosure

finanziaria

PAGINE

disclosure non

finanziaria

Rapporto

disclosure non

finanziaria/totale

2008 104 48 56 52 %

2013 120 42 78 65 %

100 Sinteticità secondo l’IIRC.

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2015 132 42 90 68 %

2016 132 46 86 65 %

Fonte: elaborazione propria

Raffrontando il numero di pagine relative alla sezione informativa non financial degli Annual

Report 2015 e 2016 con i risultati ottenuti da Deloitte (2012, p. 27. Figura 3.2), si può

ulteriormente evidenziare il fatto che M&S raggiunga il grado del gruppo di imprese

mediamente performanti (80-100 pagine) in materia di sinteticità (nel caso di Marks &

Spencer bilanciata dalla coerenza negli aspetti rilevanti nel 2016).

Figura 3.2: Indagine sul numero di pagine (parte non finanziarie) presenti nella disclusure annuale

Fonte: Deloitte (2012, p. 27).

L’essere conciso implica che il Report Integrato non tratti temi o informazioni non rilevanti, il

che non significa che un report relativamente breve sia in automatico conciso nei suoi contenuti.

Ad ogni modo, secondo un’indagine condotta da EY nel 2015, la tendenza degli ultimi anni

dimostra che il numero delle pagine si stia riducendo, includendo la maggior parte delle imprese

con un Report Integrato analizzate nel gruppo con un contenuto compreso tra le 80 e le 139

pagine totali (figura 3.3), come Marks & Spencer.

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Figura 3.3: La lunghezza del Report Integrato dal 2012 al 2014

Fonte: EY (2014, p. 19).

Ciò significa che, a livello di lunghezza il Report di Marks & Spencer (2015 e 2016) rientra

tra le medie rilevate, ma per quanto concerne la capacità di trattare informazioni materiali e non

quelle non rilevanti, si prospettano ulteriori progressi dal 2017.

Disclosure n.4 e 5: I valori legati alla vision strategica e i capitali

Nell’anno 2015, gli obiettivi strategici, finanziari e non finanziari e la loro descrizione occupano

più spazio rispetto agli anni precedenti (2013 e 2008): già dalla prima pagina di presentazione

le priorità vengono riportate per un quadro sintetico (crescita dei ricavi del ramo Food,

miglioramento del margine lordo e delle performance del ramo GM e aumento del flusso di

cassa).

In questa sezione, inerente in particolare l’esame della vision strategica aziendale comunicata,

si descrive, appunto, la visione futura dell’impresa, che per Marks & Spencer si traduce nel

2015 nell’assumere le vesti di un leader mondiale nel settore retail, in grado di affrontare le

sfide e le opportunità per la sostenibilità (“Plan A” e “Plan A 2020”) e poter così generare valore

nel lungo periodo per i propri stakeholders. Nel complesso la strategia dimostra di basarsi su

obiettivi strategici ponderati con una valutazione dei rischi e delle opportunità future

(approfondita al paragrafo “i rischi e le opportunità rilevanti”).

Già nel 2008, con l’avanzamento del “Plan A” attivato nel 2007, la società ha espresso i propri

obiettivi strategici puntando anche sul soddisfacimento di particolari impegni per la

salvaguardia dell’ambiente, delle risorse non rinnovabili, della salute delle persone e il

benessere della società e definendo un piano che permettesse la creazione di valore sostenibile

per i propri stakeholders. L’impegno ad integrare il suddetto piano in tutti gli aspetti

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dell’operabilità dell’azienda viene reso definitivamente possibile e comunicato nel 2015.

Sebbene anche nel 2013 la società avesse cominciato a descrivere tale integrazione

rappresentando il business model aziendale, la comprensione dei collegamenti tra gli obiettivi

strategici e i valori perseguiti è risultata più difficile. Nel 2015 Marks & Spencer, esprime

chiaramente l’obiettivo di “creare valore sostenibile per gli shareholders” e “migliorare la vita

di tutti ogni giorno” dando vita ad un business model in cui il centro è rappresentato dai predetti

scopi sostenuti da quattro valori chiave (in touch, inspiration, integrity e innovation), definiti

sulla base delle esigenze espressa dagli stakeholders e perseguiti attraverso una serie di attività

mirate al loro soddisfacimento.

Inoltre, per quanto riguarda i “capitali”, elemento essenziale per l’IIRC, sono rappresentati per

la prima volta all’interno del business model, e così come richiesto dal Framework <IR>, solo

nel 2015, forniti di una breve descrizione di come essi vengano utilizzati all’interno del

processo di creazione di valore sostenibile dell’IIRC.

In sostanza, però, il progresso dimostrato da Marks & Spencer relativo alla sezione “i valori

legati alla vision strategica” e “capitali” portato avanti fino al 2015 non è stato decisivo per

rendere pienamente conforme tale informativa ai principi dell’IR.

Il Report 2016 dimostra un ulteriore passo avanti relativamente a queste sezioni che permette

di raggiungere la piena compliance con la reportistica integrata: il business model del 2016 non

strutturalmente diverso rispetto a quello dell’anno precedente, si differenzia per essere, in un

secondo momento, rappresentato all’interno dell’intero contesto aziendale e ambientale/sociale

che permette il funzionamento del processo di creazione di valore sostenibile, chiamato “valore

connesso” e viene suddiviso in tre parti: finanziaria, non finanziaria e strategica. Ognuna di

queste categorie viene descritta nei seguenti aspetti: definizione degli obiettivi chiave, input

(capitali), le attività che conducono alla creazione di valore (il business model), i fattori di

rischio associati, l’accountability, gli output e infine i risultati (M&S Annual Report 2016, pp

12-13).

Grazie a questo tipo di rappresentazione gli elementi fondamentali del Report Integrato secondo

l’IIRC (creazione del valore, capitali e modello di business) sono presenti e descritti come

richiesto per dimostrare come l’intero sistema aziendale, all’interno del sistema ambientale e

sociale, generi valore per tutti gli stakeholders, nel lungo periodo.

Il progresso, dunque, non si è fermato al 2015 ma ha continuato a svilupparsi nel 2016 verso

una forma di disclusure sempre più completa, chiara e pienamente conforme all’Integrated

Reporting.

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Disclosure n.6: La struttura della governance

La presente sezione si occupa di delineare i modi con cui la governance sostiene gli obiettivi,

anche in riferimento ai programmi di remunerazione (di cui si tratta alla sezione

“remunerazione”). La governance, nello svolgimento del ruolo di controllo e gestione dei rischi

e delle opportunità per il raggiungimento degli obiettivi, è uno degli aspetti più importanti per

la società, come definito dal presidente del Cda nella parte “Chairman’s Statement” dell’Annual

Report 2015. Per tale ragione, viene fornita una sempre più chiara e concisa descrizione della

struttura organizzativa, nel 2008 priva di grafici e illustrazioni la cui presenza, invece, nel 2013

e 2015 facilita la lettura del report. L’ultimo bilancio dimostra di aver raggiunto un ottimo grado

di conformità in materia di Integrated Reporting secondo i principi del Framework, sulla base

del rispetto pieno delle “componenti chiave” descritte in tabella 3.1.

Disclosure n.7: Stakeholders

La descrizione delle relazioni intrattenute tra l’organizzazione e i stakeholders “chiave” e di

come essa sia in grado di rispondere alle loro esigenze, ma anche di comprendere le loro

aspettative sapendo soddisfarle per tempo, ha avuto uno sviluppo interessante: nel 2008,

l’informativa inerente lo stakeholders engagement non è presentata, sebbene risulti che la

società fosse attivamente operativa, anche in relazione al “Plan A” al coinvolgimento degli

interlocutori chiave ma non c’è traccia di una comunicazione che descriva l’esistenza di contatti

o confronti con essi. Nel 2013 e, in particolare, nel 2015 lo scenario cambia radicalmente e ne

è una chiara dimostrazione il nuovo modello di business incentrato sui valori derivanti dalle

espresse esigenze dei clienti, per la cui soddisfazione corrisponde un focus sul miglioramento

dei prodotti, dei canali di vendita, di rafforzamento del brand e del coinvolgimento degli stessi

stakeholders.

Gli stakeholders “chiave” sono identificati sia nel 2013 che nel 2015 (nel documento “Plan A

Report”) attraverso una tabella che prevede, per ognuno di essi, una descrizione delle modalità

con cui agisce la società per il loro engagement (“how we listen”) e delle attività poste in essere

per comprendere le loro esigenze e aspettative (“what they’ve told us”). Solamente nel 2015 (e

in seguito anche nel 2016), però, è presente anche una terza sezione riferita alle attività

realizzate da Marks & Spencer per cercare di soddisfare le suddette esigenze espresse (“what

we did”).

Dato che, l’Integrated Reporting richiede di sviluppare, in aggiunta alle componenti interne

anche quelle esterne, la capacità di coinvolgere gli stakeholders è necessaria per captare le loro

esigenze e aspettative e affinare il processo decisionale interno volto a pianificare delle attività

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per soddisfarle. L’Annual Report 2015 ottiene la conformità piena (attribuito un punteggio di

3/3) alla presente sezione delle “componenti chiave” per l’adozione del Framework IIRC.

Per quanto riguarda il 2016 e i futuri progressi, la sezione in Figura 3.4 rappresenta un passo

avanti ulteriore rispetto al 2015 per la comunicazione dei key stakeholders e nello specifico per

coloro rappresentanti i “clienti”: essi, infatti, vengono identificati in tre gruppi sulla base dei

risultati ottenuti da uno studio in merito alle loro caratteristiche di genere, d’età e di abitudini

di acquisto. L’attenzione riposta dimostra che la sezione è ritenuta sempre più rilevante per la

società M&S, che dimostra un sempre maggior interesse sulle caratteristiche e abitudini di un

gruppo di stakeholders “chiave”.

Figura 3.4: L’identificazione dei “clienti chiave” per Marks & Spencer

Fonte: Marks & Spencer Annual Report 2016 (p. 8).

Disclosure n.8: I rischi e le opportunità rilevanti

La sezione provvede a fornire una descrizione del contesto in cui opera l’impresa, relativamente

alle risorse chiave e le relazioni da cui dipende la disponibilità delle prime per far luce sui rischi

e le opportunità che possono influenzare l’attività aziendale. Marks & Spencer dimostra

attraverso le tre disclusures esaminate di aver compiuto importanti pasi avanti verso l’approccio

di risk management, incluso nel 2008 solamente nella parte di governance (quale organo

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competente) e finanziaria. Negli Annual Report 2013 e 2015, invece, è possibili constatare la

più conforme comunicazione al Framework in cui si producono informazioni

sull’identificazione, la valutazione e la mitigazione dei rischi significativi per il raggiungimento

degli obiettivi strategici. I grafici rendono il collegamento con gli obiettivi e con il contesto

interno/esterno all’impresa significativamente più trasparente. L’attività di mitigazione è

accuratamente riportata, suddivisa per tipo di rischio (dodici rischi individuati) e collegata agli

obiettivi che si vogliono raggiungere. Trovano spazio anche l’individuazione delle opportunità

collegate ad essi e correlata da una descrizione del parere del Comitato di Controllo della

possibilità di raggiungimento delle stesse, una volta valutati i possibili rischi.

Date le “Component chiave del Report Integrato” di questa categoria e i risultati raggiunti, si

può considerare conseguita la conformità al Framework <IR>.

Ciò nonostante, nel Report 2016 è stato possibile riscontrare un’ulteriore progresso in tale

sezione, consistente nel collegamento tra i rischi e il business model, entrambi rappresentati

all’interno del processo di generazione di valore (“connected value”) per comunicare più

direttamente il rapporto tra perseguimento degli obiettivi -attività messe in atto per il

conseguimento di essi-rischi connessi.

Disclosure n.9: I KPIs e gli obiettivi

In questa sezione, distinta dalle altre per la volontà di compiere una più profonda analisi

longitudinale, si presentano i KPIs scelti dall’impresa, scelta che, secondo il Framework, deve

essere sostenuta da un certo criterio di materialità evidenziato dall’espresso collegamento

diretto di essi con gli obiettivi.

Pertanto, per quanto riguarda questa sezione, si rimanda al paragrafo 3.2.

Disclosure n.10: La remunerazione

In questa ultima sezione trova luogo l’approccio remunerativo e le politiche retributive. Un

Report Integrato, per definirsi tale, deve saper comunicare le modalità con cui le suddette

componenti trovino un certo allineamento agli obiettivi. Si può affermare che l’Annual report

di Marks & Spencer (escludendo la disclosure relativa all’anno 2008) sia conforme con le

“componenti chiave” nella sezione riguardante la remunerazione, in grado nel 2015 di delineare

un collegamento specifico tra performance di sostenibilità e la remunerazione dei membri del

Board, rafforzato ulteriormente da grafici e dalle tabelle. Inoltre, il Report Remuneration è stato

oggetto di più rivisitazioni che lo hanno reso nell’ultimo anno (il 2015) più chiaro per quanto

riguarda il suo collegamento con gli obiettivi strategici.

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La conformità alle “componenti chiave” è piena, frutto di un’evoluzione comunicative che ha

puntato sugli aspetti rilevanti tra cui anche il collegamento tra la remunerazione e i KPIs, e

quindi il raggiungimento degli obiettivi strategici.

3.1.3 L’Assurance di Marks & Spencer

Nella prassi (Lenoci F., 2014, p. 316), i Report Integrati pubblicati contengono due forme di

assurance: la prima dedicata ai dati finanziari (bilancio d’esercizio e consolidato) più

propriamente chiamata “Audit” e la seconda riguardante le informazioni non finanziarie101

emessa secondo i principi esaminati nel paragrafo 2.5, ovvero l’ISAE 3000 e l’Accountability

1000 AS (AA1000AS).

Non tutto il Report Integrato è soggetto alla forma di assurance e nel caso di Marks & Spencer

si fa riferimento, nel presente elaborato, a quella rilevata dall’analisi del documento “Plan A

Report” relativo agli anni 2013, 2015 e 2016 (il 2008 è escluso in quanto solo successivamente

a tale anno la società ha cominciato a predisporre il predetto documento).

Per migliorare la credibilità e l’integrità dei propri reporting, la società si avvale sia di un

approccio interno, basato su un sistema di internal audit nel processo di gestione e

comunicazione di informazioni sia di un’assurance esterna del reporting di sostenibilità (la

sezione dell’Annual Report dedicata al “Plan A”) in modo da avere una certificazione sulla

qualità delle informazioni contenute nella disclosure.

Il documento “Plan A Report”, separato e allegato all’Annual Report di ogni anno, riporta in

modo più chiaro tutte le informazioni e i dati relativi all’andamento del progetto “Plan A” e

quindi delle performance, dello stakeholders engagement e anche delle modalità e del livello

di assurance per quanto riguarda le informazioni non financial, ovvero ESG rilevanti per M&S.

Dall’analisi della documentazione citata, è stato rilevato che nel 2013 e 2015 il sistema di

assurance adottato è quello in accordo con i principi ISAE3000 e AA1000AS, ricorrendo, per

il primo dei due in entrambi gli anni, al livello di “limited assurance”, e di Global Reporting

Initiative (GRI) per le linee guida del Report di Sostenibilità.

Nel 2016 il ruolo di organo indipendente di assurance viene affidato per la prima volta (fino al

2015, per dodici anni, attribuito alla società Ernst e Young) alla società DNV GL102 attraverso

l’utilizzo della metodologia chiamata VeriSustainTM, basata sempre principi internazionali di

101 Identificate dal revisore come le performance Environmental, Social e Corporate Governance (ESG) che costituiscono il Bilancio di Sostenibilità. 102 DNV GL (Business Assurance Services UK Limited) è uno dei principiali enti di certificazione al mondo, cha lavora con aziende di tutti i settori per assicurarne la qualità e l’efficienza alimentandone la crescita sostenibile.

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assurance AA1000 3000 e ISAE 3000 e di Global Reporting Initiative (GRI) per le linee guida

del Report di Sostenibilità.

Ad ogni modo, il processo di assurance indipendente supporta l’affidabilità delle informazioni

non finanziarie riportate nell’Integrated Reporting ed in particolare nella sezione dedicata alla

sostenibilità, evitando l’autoreferenzialità dello stesso. Infatti, anche la capacità di garantire

l’affidabilità delle informazioni non finanziarie, al pari di quelle finanziarie, influenza

largamente il valore generato da un’azienda quanto la gestione proattiva dei rischi legati alle

variabili ESG e la capacità di comunicare al mercato le performance conseguite.

Concludendo, si può affermare che la società Marks & Spencer, sulla base delle reportistiche

analizzate e della disponibilità di informazioni inerenti l’attività di assurance, rispetti appieno

(dal 2013) il principio richiesto dal Framework (IIRC, 2013, p. 21, par. 3F: 3.40) “The

reliability of information is affected by its balance and freedom from material error. Reliability

(which is often referred to as faithful representation) is enhanced by […] and independent,

external assurance”.

3.1.4 Commento complessivo

Come è stato possibile riscontrare dall’analisi delle diverse disclosures e, in modo particolare,

dall’ultimo Annual Report, la società retailer Mark & Spencer ha assunto una forma di

comunicazione esterna sempre più conforme ai principi dell’Integrated Reporting, ovvero del

Framework <IR>. In modo evidente è stata rafforzata la disclosure di Responsabilità Sociale,

riprendendo e ridefinendo il piano “Plan A”, nel 2014 chiamato “Plan A 2020”, e predisponendo

il documento “Plan A Report”, quale strumento di sostenibilità.

Da evidenziare a fine 2015 è il progresso nell’area di Risk Management, l’introduzione del

focus sullo sviluppo del business model in modo da poter chiaramente spiegare “cosa rende

differente M&S” e il miglioramento della connettività delle informazioni attraverso la

rappresentazione del processo di creazione di valore sostenibile e l’uso di icone info-grafiche e

aiuti chiari per la navigazione.

In quest’anno, per Marks & Spencer è stato portato quasi a termine il presupposto per cui è

nato il Framework <IR>, ovvero l’essere in grado per un’organizzazione di comunicare, in

modo sintetico, la strategia, la governance, le performance e le prospettive che le consentono

di creare valore all’interno del contesto in cui opera, nel breve, medio e lungo periodo.

È infatti nel 2016 che la società risulta pienamente conforme alle “componenti chiave” delineate

e adoperate quale metro di valutazione per il livello di compliance raggiunto dall’impresa

inglese Marks &Spencer in relazione alle linee guida dell’IIRC. Il punteggio massimo è

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dovuto al progresso avvenuto nella sezione “KPIs e obiettivi” ma anche alla capacità di

rappresentare la connessione delle informazione e il processo di creazione di valore includendo

gli aspetti richiesti dall’IIRC in modo breve e conciso ovvero: gli obiettivi strategici, gli input,

le attività di creazione di valore che influenzano i “sei capitai”, i rischi, l’accountability, gli

output e le performance finali.

Per l’anzidetta ragione, il prossimo paragrafo (3.2) mette in luce l’evoluzione comunicativa

relativa alle “componenti chiave” “KPIs e obiettivi”, in modo da analizzare più analiticamente

lo sviluppo intervenuto dal 2008 al 2016.

Prima, viene proposta una presentazione, nelle parti più caratteristiche dell’Integrated

Reporting, dell’Annual Report 2016. Grazie a quest’ultimo passo, è possibile fornire un quadro

completo dell’avanzamento compiuto da Marks & Spencer in materia di Corporate Reporting

(di cui è stato già prodotto un anticipo nell’analisi longitudinale), fornendo la prova della sua

conformità ai principi dell’IIRC.

3.1.5 Marks & Spencer: il Report Integrato oggi

Quest’ultima parte è interamente dedicata all’esame della struttura dell’ultimo Annual Report

di Marks & Spencer, relativo all’anno finanziario 2015-2016.

Affermata la sua piena conformità ai principi dell’IIRC, studiata attraverso le tre fasi che hanno

caratterizzato l’analisi empirica del presente paragrafo, tale disclosure viene presentata sotto

tre punti di vista, ossia assumendo come Eccles et al. (2015, p. 103) che il documento di Report

Integrato delineato dal Framework <IR> sia contraddistinto dalle altre tipologie di reportistica

per tre obiettivi principali, ovvero:

1. Il FOCUS STRATEGICO: la spiegazione della strategia aziendale messa in atto per

la creazione di valore e in che modo essa influenzi i “sei capitali” (finanziario,

infrastrutturale, intellettuale, naturale, umano, sociale);

2. La CONNETTIVITA’ DELLE INFORMAZIONI: una chiara e precisa descrizione

delle modalità di “connettività” delle informazioni finanziarie e non finanziarie (ESG);

3. La MATERIALITA’: l’identificazione e presentazione dei rischi materiali e delle

opportunità a cui si affaccia la società e delle altre forme con cui M&S tratta la

materialità all’interno della disclosure.

È compreso che, rispetto alla scheda di valutazione (tabella 3.1) utilizzata nell’analisi di

rilevazione e longitudinale per dare una valutazione sulla qualità dell’intero documento di

reporting, tale ricerca si focalizza solamente su alcune delle sezioni, fornendo un quadro che

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presenti gli ultimi progressi più significativi compiuti dalla società in materia di Integrated

Reporting.

Il focus strategico

“A sustainable strategy is one that enables a company to create value for its shareholders over

the long term while contributing to a sustainable society” (Eccles, 2014, p. 80). Un Report

Integrato non esplicita solamente la strategia di sostenibilità ma adatta la governance (Board e

management accountability) alla creazione di valore nel lungo periodo per tutti gli stakeholders.

Nel corso del periodo esaminato, Marks & Spencer ha dimostrato di aver adottato (già dal

2007/2008) una strategia basata anche sull’integrazione degli obiettivi definiti dal “Plan A”

(insieme degli impegni sociali e ambientali presi dal 2007 e rinnovati nel 2014), migliorando

di anno in anno il ruolo assunto dai fattori ESG (ovvero le informazioni non finanziarie)

all’interno della strategia stessa. Per fare un esempio, la strategia dal 2015 e, in particolare

messa i luce nel 2016, punta sull’innovazione del prodotto (M&S Annual Report 2016, p. 15),

che permette una riduzione del consumo di risorse naturali (salvaguardate grazie alle diverse

attività promosse di sostenibilità).

In questo modo è possibile comunicare agli stakeholders la capacità dell’impresa di operare

all’interno del contesto attuale e di generare valore nel breve ma anche nel medio e lungo

periodo rappresentandone le modalità nell’Annual Report 2016 (sezione “our business”) grazie

all’illustrazione dell’intero processo. La società, così, comunica non solo quali obiettivi voglia

raggiungere (suddivisi in finanziari, non finanziari e strategici) ma anche in che modo e perché

li persegue, evidenziando i risultati finali collegati ai “sei capitali” che, direttamente o non,

influenzano. Essa lo fa attraverso le seguenti parole: “We are committed to delivering

sustainable value for stakeholders. Here, we summarise how our business model drives value

creation, how the process is managed, and how we measure the value created” (M&S AR 2016,

p. 12). Si propone un esempio di tale rappresentazione (figura 3.5).

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Figura 3.5: Il focus strategico per Marks & Spencer (2016)

Fonte: Marks & Spencer Annual Report 2016 (p. 12).

Come risultato, i lettori possono comprendere come lo sforzo della società nel perseguire le

attività sostenibili messe in atto (come la riduzione delle emissioni, dei rifiuti e l’innovazione

del prodotto) e l’aumento delle vendite, del profitto e del flusso di cassa derivino da un quadro

strategico unitario in modo che sia gli shareholders che la società (intesa come comunità

sociale) si sentano di occupare una posizione di vantaggio (non preferendo uno all’altro).

Sebbene non sussista una descrizione dei capitali così come intesa dall’<IR> Framework,

Marks & Spencer ha evidenziato l’utilizzo dei “sei capitali” per la creazione di valore,

fornendo una descrizione per ognuno di essi relativamente alla loro gestione (Figura 3.6).

Figura 3.6: I “sei capitali” di Marks & Spencer Annual Report 2016

Fonte: Marks & Spencer Annual Report 2016 (p. 10, 11).

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Grazie alla distinzione di ogni capitale attraverso l’apposizione di un simbolo, è stato possibile

per la società comunicare in modo chiaro e rapido quali siano i capitali influenzati dal

raggiungimento degli obiettivi perseguiti, e quindi dal valore generato (anch’esso suddiviso in

finanziario, non finanziario e strategico) (figura 3.7).

Figura 3.7: La creazione di valore e i “sei capitali”

Fonte: Marks & Spencer Annual Report 2016 (p. 10, 11).

La Connettività delle informazioni

Come è stato visto, la “Connettività delle informazioni” consiste nella capacità di un’impresa

di comunicare in che modo le performance finanziarie influenzino quelle non finanziarie e

viceversa. Tali interdipendenze, come inteso dall’IIRC, possono essere espresse con modalità

diverse ma, in tale sede, la connettività è intesa come la rappresentazione della connessione tra

gli otto “Elementi di contenuto” (panoramica organizzativa e contesto operativo, governance,

modello di business, rischi e opportunità, strategia e allocazione delle risorse, performance,

orientamento futuro e basi di preparazione e presentazione). Secondo Eccles et al. (2015, p.

109), gli “Elementi di contenuto” devono essere illustrati in un modo tale da mostrare la

connessione con il contesto in cui l’azienda opera. Marks & Spencer, a partire dal 2015 ma in

particolare dal 2016, ha adottato un sistema di connessione delle informazioni attraverso

l’utilizzo di icone che dimostrano l’integrazione tra business model, performance, principali

rischi e “Plan A”. Il Report è in grado di fornire informazioni integrate nel corso della

disclosure, offrendo al lettore uno schema iniziale in cui esse vengono sintetizzate (sezione

“Connected Value”103) e ricollegate con i capitoli trattanti la strategia, il business model, i KPIs

e i rischi.

103 Marks & Spencer Annual Report 2016 (pp. 12-13).

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Materialità

Quale principio guida definito nel Framework <IR>, la materialità prevede che ogni rischio

(che sia a breve, medio o lungo termine), anche se considerato a basso impatto ma fondamentale

per la capacità di un’impresa di creare valore (perché potrebbe costituire nel futuro una

conseguenza estrema per la stessa) debba essere determinato e soggetto a valutazione. Pertanto

il “come” una società determini la materialità avviene per mezzo di una chiara visione della

gestione dei rischi e delle opportunità.

Eccles et al. (2015, p. 110) propone l’utilizzo di cinque fattori per la valutazione dell’efficacia

con cui un’impresa definisce la propria visione della materialità, ovvero:

1. Se, e in che grado di dettaglio, il Report spiega i rischi materiali e le opportunità in

termini di effetti diretti o potenziali sia sulle variabili finanziarie sia su quelle ESG;

2. La sussistenza di un sistema che stabilisce l’ordine di priorità dei rischi sulla base

dell’importanza assunta da essi;

3. La trasparenza del processo di stakeholders engagement (saper fornire una spiegazione

sulla considerazione di un certo stakeholders come “chiave”);

4. La spiegazione su come sono stati valutati gli stakeholders “chiave”;

5. Se il ruolo del Board è determinante nel processo di materialità.

La sezione “Risk management” del Report 2016 viene presentata dalla seguente citazione: “As

with any business, we face risks and uncertainties on a daily basis. Effective risk management

places us in a better position to be able to achieve our strategic objectives”.

Pe permettere una visione olistica dei rischi e delle incertezza a cui si affaccia la società, la

stessa considera quattro tipologie di essi: esterni al proprio business, ordinari nello svolgimento

delle attività caratteristiche, relativi a cambiamenti nelle attività aziendali e i possibili emergenti

nel futuro. Attraverso l’uso di una mappa, vengono tracciati i suddetti principali rischi

contestualizzandoli all’interno del business model (figura 3.8). Per mezzo di tale strumento,

viene fornito un quadro dei rischi suddivisi relativamente al contesto in cui opera l’impresa.

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Figura 3.8: Rischi e Business Model di M&S (2016)

Fonte: Marks & Spencer Annual Report 2016 (p. 27).

Successivamente, vengono elencati uno a uno tutti i rischi (esclusi i rischi esterni trattati

separatamente) e descritti sulla base di:

o Livello di rischio (classificati in basso, alto, normale e nuovo);

o Descrizione del rischio;

o “Change in 15/16” ovvero i possibili effetti sulle variabili finanziarie e ESG;

o Le attività di mitigazione del rischio, fase che succede l’identificazione e la valutazione

di esso.

Per quanto attiene ai rischi prettamente finanziari, il Report rinvia alla sezione apposita nella

quale essi vengono descritti nella loro sostanza e nelle modalità con cui vengono gestiti104.

Sulla base delle ultime considerazioni è possibile affermare che la società Marks & Spencer

con il Report 2016 confermi il rispetto dei primi due profili di Eccles: la materialità è messa in

luce attraverso la rappresentazione e la descrizione dei principali rischi, ognuno dei quali (fatta

eccezione per quelli esterni) evidenziati da un livello di rischiosità e dai possibili effetti sulle

variabili finanziarie e non. Inoltre, il fatto che la società fornisca una spiegazione aggiuntiva

generale, a proposito dei rischi che fino all’anno prima erano compresi nell’elenco dei principali

104 “Further information on the financial risks we face and how they are managed is provided on pages 113-116” (M&S Annual Report 2016, p. 29).

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ma che ad oggi non ne fanno più parte, è indice di continua valutazione di essi nel loro grado

di rilevanza per il successo delle performance finanziarie e non finanziarie.

Relativamente alle opportunità, invece, il Report non fornisce una chiara visione d’insieme

quanto quella dei rischi e delle incertezze.

Il processo di stakeholders engagement segue due punti di vista: il primo, ripreso dall’Annual

Report 2016 (p. 49), spiega il valore base su cui si fonda il rapporto con ognuno dei gruppi di

interlocutori “chiave” ovvero il mantenere vivo il contatto (“In touch”) e il secondo (la cui fonte

è il documento “Plan A Report 2016”, p. 40) presenta in forma tabellare uno ad uno gli

stakeholders identificati come rilevanti (o “chiave”) attraverso la descrizione delle modalità di

engagement messe in atto dalla società. La loro valutazione è basata sulle esigenze da questi

espresse oppure dalla aspettative comunicate attraverso le attività “di ascolto”.

Anche il terzo e quarto aspetto appaiono soddisfatti, pertanto si procede di seguito con

l’esamina dell’ultimo profilo: il ruolo del Board nel processo di materialità.

Come descritto (ibidem, p. 35), il Board di M&S si occupa direttamente della valutazione dei

rischi, coadiuvato dal Comitato di Controllo, organo indipendente che si occupa di assicurare

che i rischi individuati e inclusi tra i materiali dal Board riflettano gli obiettivi strategici della

società. Pertanto, la determinazione del Board nel processo di materialità è rilevata e

ulteriormente confermata dalla connessione descritta tra le responsabilità relative agli

impegni/obiettivi (anche di sostenibilità) a capo di ogni direttore membro del Board e la diretta

remunerazione percepita (basata sul grado di raggiungimento dell’obiettivo). Ogni membro del

Board ha assegnati una serie di obiettivi individuali “target”, tra cui i non financial, il cui

ottenimento prevede, secondo la mappa di allineamento dei pagamenti di M&S (figura 3.9),

una serie di incentivi descritti dall’Annual Bonus Scheme (figura 3.10).

Figura 3.9: L’allineamento strategico di pagamento

Fonte: Marks & Spencer Annual Report 2016 (p. 58).

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Figura 3.10: Annual Bonus Scheme 2015/16

Fonte: Marks & Spencer Annual Report 2016 (p. 60).

Ogni obiettivo “target”, rappresentante una responsabilità per il Board, è misurato da un

indicatore KPI che, a seconda del risultato raggiunto, decreterà la tipologia di remunerazione

(Figura 3.9). Tale collegamento tra i KPIs e a remunerazione rafforza ulteriormente la

materialità espressa.

Come ultimo aspetto, non previsto dalla descrizione di Eccles ma significativo nel caso di

Marks & Spencer per quanto riguarda la materialità, i Key Performance Indicators (KPIs)

hanno dimostrato un progresso evolutivo che ha condotto all’introduzione, nell’Annual Report

2016, di una nota chiamata “performance” in cui la società fornisce una spiegazione del risultato

ottenuto e rappresentato da ogni misuratore e un’indicazione sulle risorse e relazioni influenzate

dal perseguimento dello stesso. Così strutturata, la sezione dei KPIs è in grado di comunicare

agli stakeholders cosa rende rilevanti per la società stessa gli indicatori scelti.

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143

3.2 LA SECONDA E TERZA DOMANDA DI RICERCA

Procedura di analisi

Sulla base di quanto affermato al paragrafo 2.1.4, si procede con l’esame dei Key Performance

Indicators scelti da Marks & Spencer per essere inclusi nella disclosure di Corporate

Reporting e quindi comunicati ai propri stakeholders, a partire dalle annualità 2008 e 2013, non

ancora soggetta al Framework <IR> dell’IIRC, fino alle più recenti (2015 e 2016).

Le reportistiche e, in particolare, le sezioni trattanti i “Key Performance Indicators” oggetto di

analisi sono le seguenti:

1) Annual Report 2008, pp. 2,3;

2) Annual Report 2013, pp.12,13;

3) Annual Report 2015, pp. 14-21;

4) Annual Report 2016, pp. 18-21.

L’analisi empirica è suddivisa i due steps:

o Il primo step concerne la verifica del rispetto di determinati requisiti (a breve descritti),

nel corso del periodo individuato, necessari per promuovere una comunicazione

efficace dei KPIs all’interno delle disclosures di Corporate Reporting;

o Il secondo step, elaborato in forma narrativa, si sviluppa in un commento personale,

rispondendo ai quesiti di ricerca proposti (al paragrafo 1.8) per indagare sulla capacità

dell’impresa di allineare gli obiettivi strategici, finanziari e non finanziari con i KPIs

nel proprio reporting aziendale e di essere in grado di mantenere negli anni questi ultimi

per fornire una comunicazione coerente, trasparente attraverso la costanza della loro

rappresentazione.

3.2.1 Il primo step: la conformità dei KPIs al modello di comunicazione efficace

Come anzidetto, la presente fase riguarda, sostanzialmente, la ricerca di conformità dei KPIs

scelti e rappresentati da Marks & Spencer nel corso del periodo predefinito con dei requisiti,

sviluppati da Pwc (2007, p. 8,9) sulla base del Reporting Statement relativo all’Operating and

Financial Review (OFR)105 emesso dall’Accounting Standard Board (ASB) nel 2006

105 L’Operating and Financial Review (OFR) è un documento non più obbligatorio previsto per società quotate applicabile da qualsiasi organizzazione per le imprese del Regno Unito, descrittivo delle performance e dello sviluppo della società in modo da poter valutare esternamente la strategia attuata dalla stessa, anche relativamente all’uso dei KPIs. Ad oggi, tale documentazione è stata sostituita dallo Strategic Report, interno all’Annual Report, emesso dal FRC nel 2014 e obbligatorio per alcune società anche nel comunicare i KPIs finanziari e non finanziari.

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144

(organismo operativo all’interno del Financial Reporting Council quale promotore di fiducia

in ambito di Corporate Reporting e Governance nel Regno Unito).

I requisiti che rendono una disclusure efficace, sotto il punto di vista dei KPIs descritti, sono

così identificati (tabella 3.10).

Tabella 3.10: I requisiti necessari per una comunicazione efficace dei KPIs

REQUISITI DESCRIZIONE

1 Collegamento con

la strategia

Il primo scopo per il quale vengono inclusi i KPIs all’interno del Corporate Report è di

comunicare chiaramente la strategia adottata dall’organizzazione e il suo potenziale di

successo. Pertanto, i KPIs devono essere presentati in modo che sia comprensibile il

collegamento con la obiettivi strategici.

2 Definizione e

calcolo

È necessario fornire una breve e concisa descrizione di cosa misura un KPI, cosicché il

lettore possa confrontare quell’indice con quelli di altre società del settore (laddove siano

previste determinati standard) e, nel caso di assenza di standard specifici, anche di

un’esplicitazione delle componenti che ne hanno definito la metrica utilizzata.

3 Scopo È importante spiegare cosa rende un determinato KPI rilevante.

4 Fonte, assunzioni

e limitazioni

Si tratta di identificare da dove provengano i dati utilizzati per il calcolo del KPI ed eventuali

limitazioni considerate. Tutte le assunzioni devono essere comunicate.

Un’eventuale indicazione del livello di assurance indipendente (qualora fosse previsto)

costituisce un valore aggiunto.

5 Obiettivi futuri

(target)

Una visione forward-looking è essenziale per il lettore per valutare il progresso ottenuto

dalla strategia attuata dalla società quindi, l’inclusione di un valore target o di un commento

aggiunge valore al KPI e agli obiettivi prefissati.

6 Riconciliazione

eventuale con I

GAAP

Qualora l’indicatore misuri valori finanziari non includibili tra i “tradizionali” (richiesti da

standards internazionali o nazionali), è una buona pratica spiegare la differenza tra di essi,

come anche quella tra standard internazionali e nazionali nel caso, invece, si trattasse di

quelli tradizionalmente usati.

7 Il trend evolutivo

Isolare un KPI non produce nessuna informazione utile per il lettore mentre è necessario a

tale fine rappresentare il trend e fornire una spiegazione al riguardo, correlata

dall’esplicitazione di quali azioni il management abbia posto in essere per

mantenere/cambiarlo.

8 Segmentazione

Tale requisito è più attinente a società costituenti un società o un gruppo, di cui dati

consolidati non fornirebbero informazioni dettagliate, soprattutto se operativo in differenti

settori industriali (dati i - presumibili - strategie e obiettivi diversi).

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145

9 Cambiamenti nei

KPIs

La comparabilità nel corso degli anni è il principio chiave per un efficace Corporate Report,

pertanto per supportarla, nel caso in cui alcuni tra i KPIs subissero delle modifiche, ogni

cambiamento relativo alla sua struttura o metrica devono essere esplicitati.

10 Benchmarking

Si intende la possibilità grazie a quel KPI di avere un confronto con un indice medio

calcolato considerando gli indici relativi a società operanti nello stesso settore. Questa

informazione permette di capire quali siano considerati i competitors e quale posizione

occupi la società relativamente alle performance nel ranking generale.

Fonte: Pwc (2007, pp. 8-9).

I risultati del primo step sono riassunti in tabella 3.11.

Tabella 3.11: Quali aspetti del modello sono inclusi negli Annual Report?

Periodo di riferimento 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Annual Report 2008

2007/2008 X X X X

Annual Report 2013

2012/2013 X X X

Annual Report 2015

2014/2015

X X X X X

Annual Report 2016

2015/2016

X X X X X X

Fonte: elaborazione propria

L’evidenziazione in grigio chiaro apportata alla sezione “Cambiamenti nei KPIs” serve a

differenziarla dalle altre in quanto, la non presenza del requisito relativo ai KPIs in alcune delle

disclusure di Marks & Spencer è dovuta non alla mancata comunicazione della variazione ma

della variazione in sé. Infatti è stata riscontrata la sua trattazione una sola volta nell’Annual

Report 2008 relativamente all’indice di market share value (per il Food).

Le Aree segnalate in grigio scuro, invece, riguardano rispettivamente le sezioni

“Riconciliazione eventuale con i GAAP” e “Benchmarking”, di cui in entrambi i casi, non è

stata rilevata alcuna informazione in merito riportata nella sezione dedicata ai KPIs delle

diverse annualità studiate.

L’area, invece, evidenziata in blu riguardante la sezione “Fonti, limitazioni e assunzioni” è stata

precedentemente trattata sotto il punto di vista generale dell’assurance, ovvero del grado di

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146

affidabilità delle informazioni e dei dati forniti (al paragrafo p. 133-134). Non avendo

riscontrato riferimenti agli elementi citati nelle sezioni dedicate ai KPIs degli Annual Report

studiati, si assumono, anche per il presente passaggio, le considerazioni fatte in precedenza.

I temi oggetto dell’analisi successiva saranno, dunque, le restanti sei sezioni dei requisiti

(collegamento alla strategia, definizione e calcolo, scopo, obiettivi futuri, il trend evolutivo e la

segmentazione) valutati sulla base del progresso nella forma comunicativa dal 2008 al 2016.

L’analisi longitudinale

Il 2008 rappresenta principalmente KPIs in relazione a performance finanziarie, non

chiaramente collegate agli obiettivi strategici, delineati con un mero punto elenco nelle prime

pagine dell’Annual Report e consistenti nel:

o Investimento e crescita del ramo retail nel Regno Unito, introducendo nuovi prodotti e

servizi;

o Rafforzamento delle proprietà e definizione del portale e-commerce;

o Espansione del business internazionale;

o Integrazione del “Plan A” in ogni aspetto aziendale.

Gli indici individuati sono in tutto 13, 8 prettamente relativi a performance finanziarie e i

restanti a quelle non finanziari (di cui 3 in riferimento agli obiettivi del “Plan A”).

Complessivamente, il quadro fornito dall’impresa, non trova nessun collegamento agli obiettivi

strategici e nemmeno definisce lo scopo materiale della loro rappresentazione. Sebbene sussista

per ognuno di essi il trend evolutivo dai tre anni precedenti (o solo con l’anno precedente per i

KPIs inerenti il piano di sostenibilità) all’anno del report, e, ove necessario, via sia la

segmentazione tra i diversi settori (abbigliamento/calzature e Food) oppure per le vendite (nel

Regno Unito o a livello internazionale) non c’è alcun indicazione in rapporto a che significato

un certo trend simboleggi nel perseguimento degli obiettivi strategici e, pertanto, nemmeno il

target futuro che l’impresa si impegna a raggiungere. Ciò ad esclusione dei KPIs relativi al

“Plan A”, ovvero:

1) l’indice di emissione di Co2 (in tonnellate), di cui si punta ad una sostanziale riduzione

però non definita;

2) l’indice di consumo di energia efficiente (in kWh/sq ft) di cui viene riportato l’obiettivo

di ridurne i consumi di circa il 28%;

3) l’indice di produzione di rifiuti destinati alle discariche (in tonnellate) di cui, in questo

caso, si mira alla riduzione totale.

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147

Essendo i tre target definiti riferiti a obiettivi che la società si prospetta di ottenere nel periodo

2011/2012, è stata presa in considerazione, a tal fine, anche la disclosure del 2012 (Annual

Report 2012, pp. 12-13), allo scopo di verificare il mantenimento delle promesse/target sopra

riportate. In tutti e tre i casi è possibile riscontrare che, dal punto di vista degli obiettivi target,

le promesso sono state mantenute.

Nel 2013, gli obiettivi strategici vengono delineati in modo più chiaro rispetto al 2008, suddivisi

per tipologia e per anno in cui vi si prospetta il conseguimento (Figura 3.11). Inoltre, in

riferimento agli obiettivi, vengono definite delle macro aree, correlate ognuna da una

descrizione delle attività poste in essere per il loro perseguimento. Le aree individuate sono:

o Focus on UK,

o Multi-channel,

o International,

o Plan A.

Figura 3.11: Il piano strategico di Marks & Spencer nel 2013

Fonte: Marks & Spencer Annual Report 2013 (p. 8).

.

La rappresentazione dei Key Performance Indicators segue la suddivisione sopra elencata,

dimostrando di mantenere un certo collegamento tra gli obiettivi strategici e gli indicatori che

ne misurano i progressi. Ciò nonostante, è possibile comprendere che le macro aree

rappresentano gli obiettivi prefissati solamente qualora la lettura della sezione “KPIs” avesse

succeduto tutte le pagine precedenti. Con questo si vuole intendere che non sussistono

icone/note che contestualizzino, dal punto di vista strategico, i KPIs e che, in assenza di esse

appaiano scollegati.

Eccetto i KPIs riguardanti la parte finanziaria e il “focus on UK” non si riscontrano rilevanti

differenze dal confronto con la sezione riportata nella disclosure del 2008, se non per l’aggiunta,

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148

nella seconda parte, di una breve descrizione del significato dei KPIs trattati nel contesto

competitivo e all’interno della strategia dell’impresa stessa.

I più significativi cambiamenti sono individuati nelle ultime due sezioni strategiche, ovvero

quelle riguardanti l’obiettivo di diventare un leading multi-channel retailer e di portare a

termine tutti gli impegni presi con il “Plan A”.

La rappresentazione dei passi avanti degli obiettivi strategici prefissati attraverso i KPIs,

rispetto al 2008 è complessivamente più lineare: il quadro fornito ha una struttura piò ordinata

e chiara ma ancora sprovvista di requisiti importanti come una precisa definizione dell’indice

stesso e del metodo di calcolo usato per ottenerlo, la spiegazione della rilevanza dei KPIs scelti

ed, in particolare, non c’è una visione forward-looking se non per due degli indicatori relativi

al “Plan A” per cui, come nel 2008 ma in riferimento a indici diversi, viene segnalato il target

per il 2015.

Nella disclosure 2013 gli indici rappresentanti gli obiettivi di sostenibilità, ovvero quelli

inerenti il compimento del “Plan A”, sono suddivisi in tre nuovi gruppi: “our operations”, “our

products” e “our people”. Il primo fa riferimento agli obiettivi di riduzione delle emissioni di

gas serra (espressi prima in tonnellate e poi in tonnellate per metro quadro di superficie di

vendita), il secondo dell’aumento della qualità dei prodotti (rendendoli più attraenti per il cliente

anche grazie ad una catena di produzione e distribuzione più flessibile e efficiente) e il terzo

sulla crescita del KPI relativo al coinvolgimento dei dipendenti, considerato importante vista

la diretta correlazione tra quest’ultimo e le performance finali. Sono gli ultimi due gruppi ad

essere provvisti di un target da raggiungere per il 2015 (esaminato al prossimo paragrafo il loro

raggiungimento).

L’anno 2015 è quello in cui Marks & Spencer promuove appieno l’implementazione dei

principi fondamento del Framework dell’IIRC a partire dal 2016, come espresso chiaramente

nel documento rappresentante il “Plan A Report 2015” (p. 12), di cui in tale sede si cerca di

identificare i cambiamenti atti dalla società in tale direzione.

Per avere una visione più completa dei cambiamenti avvenuti nelle modalità di comunicazioni

dei KPIs, si mettono a confronto i KPIs del periodo 2014/2015 e i KPIs del 2015/2016.

Rispetto agli anni precedenti analizzati, in entrambi i casi la struttura di presentazione è

significativamente più ordinata e coerente con gli obiettivi strategici, immediatamente

identificabili grazie all’introduzione di una serie di icone che permettono la connettività tra le

informazioni (oltre che con le priorità strategiche anche con la remunerazione e il “Plan A”).

Condivisa è anche la suddivisione dei KPIs in tre gruppi: obiettivi finanziari di gruppo, obiettivi

non finanziari e obiettivi strategici.

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149

Gli indicatori si presentano più numerosi rispetto al 2008 e il 2013, anche se le informazioni

correlate, nel 2015, variano ma relativamente poco. La variazione più interessante da

evidenziare, oltre a quelle sopra esposte, è l’introduzione di una nota di definizione per ogni

indicatore.

Per quanto riguarda i target indicati nel 2013 per il 2015, è possibile constatare che uno di questi

è stato ampiamente raggiunto, come testimoniato dal KPI “percentuale di prodotti M&S muniti

della qualità descritta nel Plan A” comunicato in quell’anno, mentre il secondo “livello di

coinvolgimento dei dipendenti” viene presentato conseguito nel 2016.

Il 2016, invece, evidenzia la svolta che mette in luce un aspetto richiamante i principi del

Framework richiesti per la rendicontazione integrata: l’introduzione, in riferimento ad ogni

KPIs, di una nota chiamata “performance” in cui la società fornisce una spiegazione del risultato

ottenuto e rappresentato da un indicatore. Quest’ultimo, inoltre, è fornito di un’indicazione

simbolica, diversa e in aggiunta a quella introdotta nel 2015 (la quale si occupa di creare una

connessione tra gli obiettivi strategici e i KPIs), che indica quali risorse e relazioni siano

influenzate dal perseguimento di determinati indici, ovvero degli obiettivi strategici. In questo

modo, ogni KPI rappresenta e descrive cosa implica un certo risultato per l’azienda e se quanto

raggiunto possa avere influenze finanziarie, sui prodotti e canali di distribuzione, sul capitale

intellettuale, sui dipendenti, sugli stakeholders, sulle risorse naturali o se direttamente sulla

remunerazione.

Anche se non letteralmente evidenziato, attraverso la comunicazione delle “performance”, la

società spiega cosa rende rilevante quel determinato KPI, requisito necessario per il Framework

<IR> nella rappresentazione dei KPIs nel Bilancio Integrato e rispettato solamente per gli indici

2015/2016.

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150

3.2.2 Il secondo step: valutazione della capacità di allineamento tra KPIs e obiettivi e rispetto dei requisiti di coerenza, trasparenza e costanza nella comunicazione di essi

L’ultima domanda di ricerca si ricollega per alcuni aspetti alla seconda, con la differenza che,

in questo caso, si vuole indagare sulla capacità dell’organizzazione di allineare nella propria

reportistica aziendale i KPIs e gli obiettivi prefissati e di mantenerli nel tempo. Per procedere

in tale direzione si propongono per ogni annualità in esame le seguenti domande:

3) È possibile comprendere il collegamento tra gli obiettivi comunicati e i KPIs, anche

in seguito a cambiamenti avvenuti nel business model? C’è coerenza?

4) La scelta di comunicazione dei KPIs nel corso degli anni si mantiene costante,

qualunque sia la performance misurata?

Le annualità esaminate sono ancora una volta il 2008 e 2013 per il periodo pre Framework e il

2015 e 2016 per il periodo post Framework. L’obiettivo è quello di verificare se la società in

oggetto, ancora una volta Marks & Spencer, utilizzi i KPIs come strumento di valutazione

delle performance in modo trasparente e coerente con gli obiettivi prefissati, mantenendoli nel

tempo anche se negativi e non ricorrendo alla comunicazione ristretta e scollegata limitandosi

ad un reporting “à la carte”. Il confronto tra i due periodi viene posto perché ci si aspetta

significativi cambiamenti nel periodo post, dovuta alla costanza richiesta dal Framework <IR>

nella rappresentazione dei KPIs proprio per garantire la comparabilità con i periodi precedenti

e posteriori e una reale visione dei passi avanti compiuti dall’impresa nel perseguimento degli

obiettivi posti.

Per rispondere ai quesiti proposti, si presentano in seguito (tabella 3.12), suddivisi per anno, i

diversi obiettivi e KPIs rappresentati nell’Annual Report. In questo modo è possibile fornire un

primo quadro della capacità di allineare obiettivi e KPIs e di mantenerli nel corso dei diversi

periodi.

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151

Tabella 3.12: Gli obiettivi e i KPIs delineati da Marks & Spencer

2008

Obiettivi106:

o Investimento e crescita del ramo retail nel Regno Unito, introducendo nuovi prodotti e servizi;

o Rafforzamento delle proprietà e definizione del portale e-commerce;

o Espansione del business internazionale;

o Integrazione del “Plan A” in ogni aspetto aziendale.

KPIs:

2008

Performance finanziarie

Ricavi di

gruppo

(UK +

international)

Profitto

operativo di

gruppo

(UK +

international)

Profitto

ante

imposte

Profitto

per azione

Margine

lordo di

gruppo

Valore e volume del mercato

azionario

9,022 £m 1, 089.3 £m 1, 007.1

£m 43.6 p 38.6 %

General

Merchandise

Valore: 11%

Volume:

11.2%

Food

Valore: 4.3 %

Performance di sostenibilità

Emissioni

ridotte di

Co2

operative (in

tonnellate)

Efficienza

energetica

(kWh/sq ft)

Rifiuti

presso le

discariche

(in

tonnellate)

Entrate

medie

settimanali

della

clientela

Legenda 2008

469 65 51 21.4 m

106 Unicamente in tal caso, gli obiettivi, non riportati nella sezione KPIs dell’Annual Report 2008, sono stati individuati in quella iniziale di contesto e prospettive future.

KPIs presentati solo nel 2008

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152

2013: Obiettivi e KPIs

2013

Obiettivi KPIs Valore e variazione P

erfo

rman

ce f

inan

ziar

ie

Ricavi di gruppo (UK +

international) 10, 026.8 £m

Profitto “sottostante” ante

imposte (UK + international) 665.2 £m

Profitto ante imposte 564.3 £m

Profitto di gruppo per azione 29.2 p

Profitto “sottostante” per

azione 32.7 p

ROCE 15.9 %

Foc

us s

u U

K

Valore e volume del mercato

azionario (UK)

General Merchandise

Valore: 11.2 %

Volume: 12 %

Food

Valore: 3.8 %

Crescita annuale dello spazio

di vendita 2.8 %

Entrate medie settimanali della

clientela 20 m

Mu

lti-

chan

nel

reta

iler

Ricavi multi-channel 651.8 £m

Ricavi internazionali 1, 075.4 £m

Pla

n A

Our Operations

Riduzione emissioni di Co2 (in

tonnellate)

569

Riduzione emissioni di Co2

operative (in tonnellate per

metro quadro di superficie di

vendita)

34

Our Product

Percentuale di prodotti sul

totale con la qualità del Plan A

45 %

Our people

Indice di coinvolgimento dei

dipendenti

78 %

Legenda 2013

KPIs mantenuti dal 2008 al 2013 (i restanti sono di nuova introduzione rispetto al 2008)

Variazione positiva dal 2008

Variazione negativa dal 2008

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153

2015 e 2016: Obiettivi e KPIs

2015 2016

Obiettivi KPIs Valore e

variazione Obiettivi KPIs

Valore e

variazione

Ob

iett

ivi f

inan

ziar

i di g

rup

po

Incremento dei

ricavi di

gruppo

Ricavi di

gruppo 10.3 £bn

Incremento dei

ricavi di

gruppo

Ricavi di

gruppo 10.4 £m

Incremento del

profitto

Profitto

“sottostante”

ante imposte

661.2 £m

Incremento del

profitto

Profitto

“sottostante”

ante imposte

684.4 £m

ROCE 14.7 % ROCE 15 %

Profitto

“sottostante”

per azione

33.1 p

Profitto

“sottostante”

per azione

34.8 p

Dividendi per

azione 18.0 p

Dividendi per

azione 18.7 p

Aumento del

flusso di cassa

Free Cash Flow

(ante dividendi) 524.2 £m

Aumento del

flusso di cassa

Free Cash Flow

(ante dividendi) 539.3 £m

Ob

iett

ivi n

on f

inan

ziar

i

Miglioramento

della

sostenibilità dei

prodotti

Prodotti con la

qualità del Plan

A

64 %

Coinvolgere,

servire e

trattenere i

clienti

Food

Clienti totali

Acquisti medi

all’anno per

pers.

20.1 m

22.5

General

Merchandise

Clienti totali

Acquisti medi

all’anno per

pers.

24.7 m

7.6

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154

Incoraggiare i

dipendenti

capaci e

motivati

Indice di

coinvolgimento

dei dipendenti

78 %107

Rifornirsi di

prodotti con

una supply

chain

sostenibile

Percentuale di

prodotti sul

totale con la

qualità del Plan

A

73 %

Riduzione

dell’impatto

Emissioni di

Co2 operative

(in tonnellate)

592

Mantenere

efficienti e

responsabili le

attività

aziendali

(operations)

Emissioni di

Co2 operative

(in tonnellate)

566

Emissioni di

Co2 operative

(in tonnellate

per metro

quadro di

superficie di

vendita)

30

Emissioni di

Co2 operative

(in tonnellate

per metro

quadro di

superficie di

vendita)

29

Ob

iett

ivi s

trat

egic

i

Guidare la

crescita

Vendite in UK

(Food) 5.2 £bn

Guidare la

crescita

Vendite in UK

(Food) 5.4 £bn

Vendite in UK

(General

Merchandise)

4.0 £bn

Vendite in UK

(General

Merchandise)

3.9 £bn

Vendite

M&S.com 636.5 £m

Vendite

M&S.com 791.5 £m

Vendite

internazionali 1.1 £bn

Vendite

internazionali 1.1 £bn

Raggiungere il

cliente

Aumento delle

vendite (Food) 0.6 %

Raggiungere il

cliente

Aumento delle

vendite (Food) +0.2 %

Aumento dello

spazio di

vendita UK

Food

+3.9 %

107 In questo caso il confronto è posto con lo stesso indice del 2013, dato che nel 2015 tale KPI non è stato presentato.

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155

Aumento delle

vendite

(General

Merchandise)

-3.1 %

Aumento delle

vendite

(General

Merchandise)

-2.9 %

Visitatori

settimanali del

portale e-

commerce

6.1 m

Visitatori

settimanali del

portale e-

commerce

7.8 m

Aumento dello

spazio di

vendita a livello

internazionale

7.1 %

Aumento dello

spazio di

vendita a livello

internazionale

1.4 %

Migliorare la

profittabilità

Profitto lordo

UK (Food) 32.8 %

Migliorare la

profittabilità

Profitto lordo

UK (Food) 32.8 %

Profitto lordo

UK General

Merchandise)

52.6 %

Profitto lordo

UK General

Merchandise)

55.1 %

Profitto

“sottostante”

operativo

(internazionale)

92.3 £m

Profitto

“sottostante”

operativo

(internazionale)

55.8 %

Fonte: elaborazione propria

Legenda 2015

Legenda 2016

KPIs mantenuti dal 2013 al 2015

Variazione positiva dal 2013

Variazione negativa dal 2013

KPIs nuovi dal 2015 al 2016 (il resto tutti mantenuti dal 2015)

Variazione positiva dal 2015

Variazione negativa dal 2015

Nessuna variazione dal 2015 (o 2013) al 2016

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156

Dal primo punto di vista della ricerca di armonia tra gli obiettivi prefissati dalla società e le

modalità di rappresentazione delle performance ottenute attraverso precisi KPIs, si può

affermare che il progresso c’è ed è evidente.

Nel 2008, non sussiste alcun collegamento tra le due variabili, infatti gli obiettivi non vengono

riproposti nemmeno nella sezione dei KPIs. Da ciò ne deriva la conclusione che la loro

rappresentazione è il risultato di una comunicazione ristretta e scollegata che si limita ad un

reporting “à la carte”. Ad ogni modo, ciò non stupisce, perché il periodo esaminato è rientrante

nel pre Framework.

Il 2013, per via della presenza di un nuovo business model e quindi della definizione di nuovi

obiettivi più specific, è segnato da un numero maggiore di KPIs rappresentati (il 50 % del totale

sono indicatori mantenuti dal 2008). Gli obiettivi sono chiaramente indicati anche in sede di

sezione KPIs ma ancora tendenzialmente generali.

Nel complesso, il periodo pre Framework si presenta con obiettivi e KPIs non allineati (2008)

o allineati ma ancora troppo generali con una percentuale di indicatori mantenuti del 50%

(2013).

Come è possibile già vedere dalla tabella 3.12 (2015 e 2016: obiettivi e KPIs), la

rappresentazione cambia in modo significativo.

Nella ricerca compiuta per la seconda domanda di analisi è stato riscontrato come, a partire da

dal 2015, l’efficacia comunicativa dei KPIs sia, in generale, migliorata e, in particolare, dal

punto di vista del collegamento tra i suddetti indicatori e gli obiettivi prefissati.

Il business model subisce un nuovo riadattamento, infatti gli obiettivi sono completamente

ridefiniti e, di conseguenza, anche i KPIs. Tra questi ultimi, la percentuale di indicatori di

performance mantenuti dal 2013 è del 30% ma, essendo questo Annual Report il primo

esaminato post Framework, il ridimensionamento non è dovuto all’incapacità di saper essere

costante nel tempo piuttosto all’aver implementato il processo di integrated thinking all’interno

dell’azienda, risultante in una nuova definizione del modello di business e, conseguentemente,

degli obiettivi e degli strumenti valutativi.

Gli obiettivi definiti nel 2015 sono ripresi anche nel 2016, corrispondenti con il business model

che non varia da questo punto di vista, e, in entrambi i casi si può affermare che la società è

stata in grado di allineare in modo chiaro e coerente gli obiettivi, qualsiasi sia la loro natura, e

i Key Performance Indicators.

È nel 2016 che la percentuale di KPIs mantenuti ha un significato più attinente alla terza

domanda di ricerca: sul totale di 24 KPIs rappresentati, 21 di essi sono mantenuti (quasi il 90%)

e tra questi sono stati rilevati anche indicatori negativi o a pareggio.

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157

Pertanto, si può concludere confermando che nel periodo post Framework, la reportistica

aziendale prodotta dalla società Marks & Spencer ha apportato significativi cambiamenti nella

sezione KPIs e obiettivi dovuta alla coerenza tra gli indicatori di performance e gli obiettivi

prefissati e la costanza richiesta dal Framework <IR> nella rappresentazione dei KPIs

(dimostrata dal 2015 al 2016) proprio per garantire la comparabilità con i periodi precedenti e

posteriori e una reale visione dei passi avanti (o indietro) compiuti dall’impresa nel

perseguimento degli obiettivi posti e comunicati.

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158

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159

3.3 DISCUSSIONE DEI RISULTATI OTTENUTI: UN QUADRO GENERALE DELLE

EVIDENZE EMPIRICHE

L’indagine sviluppata nel presente lavoro è stata volta a verificare se, ed in quale misura,

l’impresa Marks & Spencer, contraddistinta dall’adesione al Pilot Programme dell’IIRC nel

2011 e quindi da una propensione alla rendicontazione in forma di una disclosure esterna

maggiormente completa, integrata ed indicativa di un più elevato grado di inclusione di obiettivi

di sostenibilità all’interno della strategia di medio-lungo periodo, effettivamente abbia

raggiunto con la propria reportistica la conformità ai principi dell’IIRC.

Come è stato evidenziato, la suddetta finalità è stata perseguita cercando di rispondere a tre

domande di ricerca.

La prima domanda di ricerca ha condotto ad un’analisi empirica sviluppata in tre fasi distinte:

o L’analisi di rilevazione “esplorativa” (quantitativa) per constatare l’effettiva presenza

negli Annual Report delle “componenti chiave” individuate nella scheda di valutazione

proposta in tabella 3.1;

o L’analisi di rilevazione (qualitativa) di attribuzione di punteggio in relazione al grado

di integrazione e conformità con quanto richiesto dal Framework (“componenti chiave”

individuate nella scheda di valutazione proposta in tabella 3.1);

o L’analisi longitudinale o di confronto per valutare il percorso evolutivo compiuto da

Marks & Spencer in ambito di compliance che caratterizza le diverse disclosure in

relazione alle guidelines richieste per il Report Integrato (le “componenti chiave” in

tabella 3.1);

La seconda e terza domanda di ricerca riguardano il tema dei Key Performance Indicators e le

ricerche effettuate sono, rispettivamente, le seguenti:

o L’analisi longitudinale relativamente ai KPIs, sulla base dei requisiti proposti in tabella

3.10 per il grado di efficacia comunicativa:

o L’analisi longitudinale relativamente al grado di capacità dell’impresa di saper allineare

gli obiettivi con i KPIs e di dimostrare un certo grado di costanza nella loro

rappresentazione nel corso del tempo.

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160

Prima analisi di ricerca: il grado di compliance con i principi del Framework <IR>

Sulla base dei risultati ottenuti dalla fase di analisi di rilevazione è possibile constatare che la

società Marks & Spencer, già a partire dall’Annual Report 2008, ha adottato una forma di

disclosure non sviluppata solamente nella sezione finanziaria. Piuttosto, dovuto sia a

obbligatorietà regolamentari sia a forme di volontaria scelta comunicativa, l’informativa va

oltre, tanto che nove sezioni su dieci delle così chiamate “componenti chiave del Report

Integrato”, relativamente ai requisiti essenziali specifici di ognuna di esse, direttamente o

indirettamente, vengono richiamati. A parere di chi scrive, ciò non significa che la società fosse

già indirizzata verso una forma comunicativa integrata, che, come anzidetto, non era ancora

stata prodotta, in quanto, e come verificabile dai risultati ottenuti in tabella 3.8, la conformità

ai principi dell’IIRC (effettuata a posteriori dalla redazione del bilancio) in materia di

Integrated Reporting oscilla tra il “non conforme” e il “mediamente conforme”. Grazie

all’esame di questa disclosure, è ragionevole sostenere che nel 2008 Marks & Spencer ha

sviluppato una forma di reportistica indirizzata alla comunicazione della creazione di valore

sostenibile, supportato dal “Plan A”, ovvero il piano di sostenibilità tracciato dalla società ma

evidentemente non integrato all’interno della strategia, della valutazione dei rischi/opportunità,

della governance, degli indici di misurazione delle performance e del meccanismo di

remunerazione.

Questa prima parte di analisi pre Framework ha permesso di giungere alla conclusione che la

società, già prima del progetto di Pilot Programme nel 2011, avesse intrapreso una direzione

diversa sotto il punto di vista della comunicazione della creazione di valore nel lungo periodo,

grazie all’avvio di attività sostenibili ma anche all’inclusione nel Report di informazioni relative

ai rischi collegati ad esse e al sistema di governance che li valuta e controlla.

L’adesione al progetto di Pilot Programme sostenuto dall’IIRC nel 2011 mette in luce la

volontarietà di Marks & Spencer di essere tra le prime 100 società al mondo a sviluppare

internamente una disclosure in forma integrata secondo i principi del Framework, in quell’anno

ancora in fase di assestamento. Per evidenziare la situazione appena pre Framework (reso

definito nel dicembre del 2013), il secondo Annual Report esaminato è stato quello del 2013.

Da un primo punto di vista, soprattutto data la premessa di iscrizione al PP dell’IIRC ancora

nel 2011, Marks & Spencer presenta la piena conformità in alcune delle “componenti chiave

del Report Integrato” ma, relativamente agli aspetti più importanti, ovvero la capacità di

connessione tra le diverse forme informative, la comunicazione della vision strategica collegata

anche ai KPIs e l’identificazione della attività per lo stakeholders engagement non è raggiunto

un grado di compliance soddisfacente con i principi dell’IIRC (tabella 3.6).

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161

In particolare dal punto di vista della vision strategica, il business model rappresentato non

include né i capitali, quali input e output del processo di creazione del valore aziendale e

sostenibile, né vi è un collegamento con gli obiettivi strategici né con i rischi associabili e le

performance ottenibili. In sostanza, esso non è in grado di spiegare come l’azienda genera

valore attraverso l’aumento o diminuzione dei capitali all’interno del processo.

Il 2015 è il secondo anno dopo la pubblicazione del Framework <IR> e per M&S è quello in

cui comincia ad intravedersi una prima forma di Report Integrato, anche se per rilevare la vera

svolta in tale ambito bisogna aspettare il 2016 (in tabella 3.8 è evidenziato come la piena

conformità non sia ancora raggiunta nel 2015). Infatti l’Annual Report 2015 di Marks &

Spencer mette in luce due aspetti in miglioramento dal 2013 relativamente al grado di

compliance con il Framework: la connettività delle diverse informative e le attività di

stakeholders engagement (come evidenziato in tabella 3.7).

Nonostante quanto appena descritto è proprio l’Annual Report 2016 ad assumere pienamente

la forma di Bilancio Integrato: le quattro sezioni risultanti, ancora non pienamente conformi

dall’analisi di rilevazione e longitudinale dell’Annual Report 2015, sono oggetto di progresso

nella reportistica dell’esercizio successivo.

Il Report 2016 viene, dunque presentato nelle sue componenti principali per evidenziare in che

modo è stata raggiunta la piena conformità con i principi del Framework <IR>.

Grazie all’intera analisi empirica-descrittiva svolta è stato possibile sia argomentare a livello

teorico lo sviluppo di M&S in materia di conformità ai principi del Framework <IR> dell’IIRC,

sia fornire la prova pratica dell’avanzamento in materia di Integrated Reporting ad oggi.

Seconda analisi di ricerca: il grado di efficacia comunicativa dei KPIs rappresentati

Dalle informazioni rilevate è possibile esprimere un commento mettendo in luce il significativo

progresso avvenuto dal pre al post Framework. Nel periodo antecedente la definizione dei

principi dell’IIRC, lo strumento dei Key Performance Indicators viene utilizzato ma nel

complesso si presenta privo di efficacia comunicativa. Questo è dovuto alla bassa conformità

con le variabili della scheda valutativa (tabella 3.10) sia nel 2008 che nel 2013.

Dal 2015 e, in particolare nel 2016 in cui il rispetto del principio della rilevanza emerge, i KPIs,

grazie all’integrazione della reportistica in atto, si rendono più conformi al tipo di

comunicazione ricercata. Ciò è dovuto ad un importante cambiamento a livello di business

model, il quale a partire dal 2015, ha portato ad un aumento degli indicatori.

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Terza analisi di ricerca: valutazione della capacità di allineamento tra KPIs e obiettivi e

rispetto dei requisiti di coerenza, trasparenza e costanza nella comunicazione di essi

Nella seconda analisi, propedeutica alla terza, è stato evidenziato come lo strumento dei KPIs

abbia raggiunto la conformità con la comunicazione efficace, basandosi anche sulla verifica che

i KPIs incusi all’interno del Corporate Report siano in grado di comunicare chiaramente la

strategia adottata dall’organizzazione e il suo potenziale di successo, ovvero la comprensibilità

del collegamento con gli obiettivi.

La terza ricerca approfondisce il suddetto aspetto, mettendo a confronto due variabili (coerenza

e costanza) nella capacità dell’impresa di utilizzare al meglio e secondo i principi dell’IIRC, i

KPIs. Rispondendo ai quesiti posti, nel periodo post Framework, la reportistica aziendale

prodotta dalla società Marks & Spencer ha apportato significativi cambiamenti nella sezione

KPIs e obiettivi rispetto al pre Framework, dovuta alla maggiore coerenza/allineamento tra gli

indicatori di performance e gli obiettivi prefissati e la costanza richiesta dal Framework <IR>

nella rappresentazione dei KPIs (dimostrata dal 2015 al 2016) proprio per garantire la

comparabilità con i periodi precedenti e posteriori e una reale visione dei passi avanti (o

indietro) compiuti dall’impresa nel perseguimento degli obiettivi posti e comunicati.

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163

CONCLUSIONI, LIMITI ED IMPLICAZIONI

Come afferma Lenoci (2014, p. XI), ad oggi i private equity, gli istituti di credito, il

management e gli stakeholders ritengono che il Financial Reporting dello IASB sia spesso

troppo lungo e privo delle informazioni adeguate e necessarie per prendere le loro decisioni con

cognizione di causa.

Emerge, pertanto, la critica al sopra menzionato sistema di reporting, sostenendo invece un

nuovo modello che permetta l’inclusione di informazioni quali-quantitative di natura non

finanziaria relative alla capacità dell’impresa di generare valore sostenibile e ai rischi connessi.

Lo sviluppo sostenibile, così come trattato al paragrafo 1.5.2, mette in luce la partire dal XXI

secolo la profonda divergenza di informazioni: da un lato indicative di miglioramenti della vita

di molte persone e dall’altro allarmanti per l’ambiente e il livello di povertà della società in

generale. In un contesto del genere l’esigenza di un nuovo modo di pensare diventa

imprescindibile, soprattutto all’interno dell’organizzazione aziendale.

La crescita economica ha condotto l’entità aziendale a sviluppare conoscenze e tecnologie che

hanno permesso il riconoscimento delle potenzialità della stessa nel gestire i rischi e le minacce

nei confronti dell’ambiente e della società e il ripensamento dei propri output e operazioni a

seconda dell’impatto sull’esterno. Si afferma il Sustainability reporting, il cui attore principale

è il Global Reporting Inititive – GRI, quale rappresentazione delle performance di sostenibilità

dell’impresa, inclusi gli impatti positivi e negativi prodotti dal suo operato.

Se fino a prima l’impresa veniva assimilata ad un albero e nel valutare la sua capacità di crescita

si guardava la parte visibile sopra il terreno (tronco, foglie e frutti), oggi il vero valore si può

valutare solo focalizzando l’attenzione verso le sue radici (Lenoci, 2014, p. XII). Con questa

nuova visione dell’azienda si definiscono due nuove tipologie di reporting: il Business

Reporting prima, come il World Intellectual Capital Initiative – WICI (paragrafo 1.6.4), e

l’Integrated Reporting dopo.

Quest’ultimo costituisce il terminale nell’insieme delle reportistiche citate, ovvero l’ultimo

stadio della Corporate Reporting, raggiunto grazie ai principi emanati dall’organo

internazionale IIRC (International Integrated Reporting Council), in modo definitivo nel

dicembre del 2013.

Il Report Integrato si basa sull’Intergated Thinking ovvero sulla capacità dell’impresa di capire

e far capire la relazione che intercorre all’interno di essa tra capitali, attività e strategia.

Non si pensa più “a compartimenti stagni” ma con un approccio “sistemico” in modo

“integrato” grazie al sua forma di documento unico contenente sia le informazioni finanziare

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164

del bilancio d’esercizio (o Financial Reporting), che quelle non finanziarie del report di

sostenibilità (o Sustainability Reporting).

L’One Report permette alla società di comunicare a tutti gli azionisti (e anche agli stakeholders,

i dipendenti, i clienti e le organizzazioni non-profit) una visione a trecentosessanta gradi

dell’azienda, in modo da informare i lettori sulle modalità con cui i diversi aspetti del business

interagiscono tra loro e qual è l’impatto reciproco.

Grazie all’integrazione delle principali informazioni presentate normalmente in

documentazioni separate (Financial e Sustainability Reporting) è possibile mostrare la

connessione tra quelle esterne e interne indicandone gli impatti reciproci e la capacità

dell’impresa stessa di generare valore sostenibile nel breve, medio e lungo periodo come

evidenziato dall’IIRC (2012) “[…] What the Integrated Reporting Framework will do for the

Corporate Reporting process is to enable investors and other stakeholders to understand better

the ways in which companies create sustainable value […]”.

In questo modo, si può affermare che il Report Integrato si propone come soluzione al “outdated

approach to value creation” (Porter e Kramer, 2011, p. 4) che ancora permane in molte aziende

spinte solo a conseguire performance finanziarie di breve termine.

Tale strumento, indirizzato agli stakeholders principali, ovvero coloro che hanno un interesse

a valutare l’azienda e la sua capacità di creare valore, deve includere informazioni materiali e

integrate che trasmettano un certo significato strategico dal quale dipendono le scelte di

investimento. Un Report Integrato, infatti, comprende le informazioni rilevanti provenienti da

documenti separati inerenti la strategia, la governance, le performance, i rischi e le opportunità

e le informazioni financial, contestualizzando l’ambiente commerciale, politico e socio-

ambientale nel quale l’impresa opera e illustrando il processo di creazione di valore sostenibile.

L’evoluzione di Corporate Reporting ha condotto ad una reportistica che comincia ad essere

sempre più implementata in aziende di diversi Paesi del mondo, per due ordini di motivi: in

primo luogo, per la maggiore considerazione del valore generato dalla connessione

dell’informativa finanziaria e non finanziaria e il conseguente riscontro positivo dalla sua

comunicazione e, in secondo luogo, per l’introduzione di alcune normative locali vincolanti a

favore dell’informativa non finanziaria (ad oggi, il Report Integrato è obbligatorio solo per le

imprese sudafricane quotate alla borsa di Johannesburg).

Certo è che, il programma di Pilot Programme, organizzato dall’IIRC nel 2011 e, in seguito, di

<IR> Business Network nel 2014, hanno costituito un primo banco di prova essenziale per le

imprese aderenti per comprendere come adattare efficacemente alla propria struttura il Report

Integrato secondo i principi del Framework <IR>. Una tra queste è l’impresa retailer inglese

Marks & Spencer, dotata, ad oggi, di un’Annual Report & Financial Statement che integra

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165

informazioni provenienti da diversi report (il report strategico, il report della governance, il

report di sostenibilità “Plan A”, il report sulla remunerazione e il report finanziario/bilancio

consolidato) in un sistema coerente con il Framework <IR>.

A partire dal 2014, la società si è attivata per redigere un bilancio sempre più integrato, anche

se già in precedenza (in particolare nel 2013 e per alcuni aspetti nel 2008) la propria reportistica

richiamava alcuni concetti chiave di integrazione, testimoniando una particolare attenzione alla

sostenibilità (“Plan A”), alla struttura di governance, alla gestione dei rischi e alla conoscenza

dei propri stakeholders “chiave”.

La vera evoluzione ha avuto luogo negli ultimi due anni, il 2015 e il 2016, quest’ultimo decisivo

per i progressi delle sezioni non ancora pienamente conformi nell’anno precedente.

Relativamente a quest’ultima reportistica, il paragrafo 3.1.5 è stato sviluppato in modo da

fornire una descrizione degli aspetti più significativi per l’Integrated Reporting (il focus

strategico, la connessione delle informazioni e la materialità) così da fotografare l’evoluzione

raggiunta.

La definizione delle domande di ricerca del presente elaborato compiute sul Report Integrato

nel suo complesso e sulla sezione dei KPIs si è basata sulla formulazione di quesiti riproposti

invariatamente per diverse annualità, atti a valutare l’evoluzione della Corporate Reporting

avvenuta all’interno dell’azienda Marks & Spencer a partire dal periodo antecedente la

formulazione del Framework <IR> (2008 e 2013) fino al momento in cui comincia ad

implementarne i principi nel proprio Annual Report (2015 e 2016). Le analisi longitudinali

effettuate (tabella 3.13) hanno condotto ai seguenti risultati (tabella 3.14).

Tabella 3.13: Le tre analisi dell’elaborato

Fonte: elaborazione propria

PRIMA ANALISI SECONDA ANALISI TERZA ANALISI

Variabili Variabili scelte Variabili scelte Variabili scelte

Dati Le “componenti chiave

del Report Integrato”

I Key Performance

Indicators I KPIs e gli obiettivi

Periodi

1) 2008 2008 2008

2) 2013 2013 2013

3) 2015 2015 2015

4) 2016 2016 2016

Oggetto Annual Report di Marks &

Spencer

Annual Report di Marks

& Spencer (sezione KPIs)

Annual Report di Marks

& Spencer (sezione KPIs

e obiettivi)

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Tabella 3.14: Risultati delle tre analisi dell’elaborato

RISULTATI FINALI

1° ANALISI

Ad oggi (2016) l’evoluzione sommaria di Corporate

Reporting è PIENAMENTE conforme a quella necessaria

per assumere la forma di Intergated Reporting secondo il

Framework dell’IIRC.

Tabella 3.8: Risultati prima analisi

Macro classi 2008 2013 2015 2016

1 Profilo 2 3 3 3

2 Connettività della informazioni

0 0 2 3

3 Peculiarità 2 3 3 3

4 Valori e vision strategica

1 2 2 3

5 I capitali 1 1 2 3

6 Governance 2 3 3 3

7 Stakeholders 1 2 3 3

8 Rischi e opportunità

2 3 3 3

9 KPIs 1 2 2 3

10 Remunerazione 1 3 3 3

Totale 13/30 22/30 26/30 30/30

Conformità media

1.3 2.2 2.6 3.0

Fonte: elaborazione propria

2° ANALISI

I KPIs hanno raggiunto un’efficacia comunicativa

significativa, in particolare dal 2015 e 2016. In

quest’ultimo anno, lo strumento valutativo ha assunto la

forma conforme con il principio dell’IIRC della materialità

(al numero 3 della tabella sottostante 3.11).

Come è possibile constatare, il confronto tra il periodo pre

Framework e post Framework mette in luce il significativo

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167

progresso nella rappresentazione dei KPIs nell’Annual

Report.

Tabella 3.11: I risultati della seconda analisi

Periodo di riferimento 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Annual Report 2008

2007/2008 X X X X

Annual Report 2013

2012/2013 X X X

Annual Report 2015

2014/2015

X X X X X

Annual Report 2016

2015/2016

X X X X X X

Fonte: elaborazione propria

3° ANALISI

Con questa analisi è stato possibile verificare che:

- Gli obiettivi definiti dalla società si presentano

allineati con i KPIs dal 2013 (anche se ancora non

in modo chiaro e coerente) ma in particolare dal

2015 e successivamente nel 2016;

- È stato riscontrato il rispetto della costanza dei

KPIs rappresentati negli anni, dal 2015 al 2016

(quasi per il 90%).

Fonte: elaborazione propria

Per tutte le tre ricerche effettuate, è possibile affermare che ad oggi, quindi con il Report 2016

(relativo all’anno finanziario 2015/2016) di Marks & Spencer, la società ha compiuto

importanti passi avanti nella propria struttura di Corporate Reporting verso l’implementazione

dei principi del Framework <IR>, valutata come pienamente conforme ad essi.

L’Annual Report 2016, assunta la forma di Integrated Report, ovvero di disclosure capace di

saper comunicare la creazione di valore sostenibile a tutti gli interlocutori, si avvale dell’uso

degli strumenti KPIs che sono in grado di aiutare qualsiasi lettore a capire quali siano i dati

importanti o rilevanti, permettendogli di visualizzare in maniera facile ed immediata i progressi

fatti dall’organizzazione nel corso degli anni. Inoltre, l’allineamento tra gli obiettivi, di natura

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finanziaria, non finanziaria e strategica, e gli indicatori KPIs (ripreso in modo quasi identico

dal 2015) evidenziano la rilevanza posta su di essi dalla società.

I risultati dell’analisi empirica si scontrano inevitabilmente con alcuni limiti del lavoro, in

particolare il focus sull’evoluzione di una sola società con un numero limitato di report

esaminati. Attraverso studi successivi si potrebbe, ad esempio, ampliare il campione analizzato,

considerando ulteriori società del settore Retail quotate impegnate nella rendicontazione

integrata. In questo modo, il confronto tra le diverse modalità scelte per la comunicazione del

valore sostenibile per mezzo della disclosure integrata permetterebbe anche di fornire

un’ulteriore valutazione sulla società indagata. Infatti, l’analisi formulata e applicata si

concentra meramente sullo studio interno della società e del suo cambiamento di Corporate

Reporting, avvenuto con la scelta di implementazione dei principi del Framework <IR>,

isolandola, ovvero senza considerare i progressi compiuti in tale ambito da altre società.

Per irrobustire la significatività dei risultati, ricerche future potrebbero considerare, ad esempio,

tutte le società retailer o consumer goods attive in materia di Report Integrato, oppure, per

un’analisi decisamente più impegnativa ma altrettanto significativa, analizzare tutte le società

aderenti al Pilot Programme del 2011 e indagare sulle diverse evoluzioni avvenute o meno fino

all’ultima reportistica redatta e disponibile. Allo stesso tempo, anche fare riferimento a Report

Annuali divulgati in un arco temporale più ampio (tutte le reportistiche dal 2008 al 2016),

tenendo conto di tutte le variazioni intervenute a livello di contenuto e di struttura.

Anche le schede di valutazione (rappresentate in tabella 3.1 e 3.10) possono essere oggetto di

diverse rappresentazioni, più particolareggiate e focalizzate su aspetti caratteristici del Report

Integrato come, ad esempio per la prima domanda di ricerca, il focus strategico, la connettività

delle informazioni e la materialità.

La scelta di analizzare per il settore Retail quattro documenti di bilancio (comprensivi sia della

parte finanziaria che non finanziaria) solo relativi ad una società è collegata alla difficoltà di

rilevare il non standardizzabile. Sebbene l’IIRC abbia redatto un Framework apposito per

sostenere e guidare le imprese nell’implementazione del Report Integrato, esso si basa su

principi che non le vincolano strettamente a rispettare specifici contenuti e formati come, in

particolare esaminato nel presente elaborato per i KPIs ma anche tutti gli aspetti la cui

componente è qualitativa e soggettiva (informazioni non finanziarie); per cui diventa difficile

ricondurli ad una misurazione che permetta un confronto preciso e oggettivo tra le diverse

società. Per tale ragione, l’analisi si è basata sullo studio della reportistica di una sola società

per un certo periodo di tempo, in modo tale da poter valutarla in ambito di integrazione

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approfondendo l’evoluzione delle proprie modalità utilizzate per la comunicazione di valore

sostenibile, nel rispetto dei principi dell’IIRC.

Marks & Spencer è stata scelta, oltre che per le motivazioni anzidette, anche perché ritenuta

in grado di guidare lo sviluppo della rendicontazione integrata nel settore Retail o Consumer

Goods, dove tale forma di reporting risulta, dalle ricerche compiute da Pwc (2016), ancora poco

diffusa. La società, infatti, potrebbe costituire una fonte di apprendimento e incoraggiamento

per le altre imprese, indotte a loro volta a delineare una strategia integrata con la Responsabilità

Sociale d’Impresa (“Plan A” per M&S) rivalutando lo strumento di bilancio come mezzo per

potenziare la competitività aziendale e garantire la propria durabilità nel tempo, non

fermandosi, ad esempio, alla redazione di un report di sostenibilità.

Una volta chiarito come i risultati ottenuti dall’analisi, e dalle diverse fasi che la compongono,

abbiano permesso di rispondere alle domande di ricerca, considerando i limiti prima descritti,

vengono ora valutate le implicazioni degli esiti ottenuti per la società retailer Marks &

Spencer.

Il Framework <IR> dell’IIRC appare idoneo ad essere un modello efficace per le imprese che

scelgono di redigere un Report Integrato, e ancor prima ad entrare nel processo di Integrated

Thinking. Nell’insieme, le variazioni avvenute e rilevate nelle pratiche di reporting, all’interno

della società M&S nel corso del periodo analizzato, hanno dimostrato che il contenuto da esso

proposto si considera appropriato per le società retailer in generale, e nello specifico per la

società in oggetto, le quali necessitano di tutelare il contesto in cui operano e, soprattutto, di

garantirsi una certa solidità finanziaria sicura. Per le società di tale settore che pubblicano, ad

oggi, un Sustainability Reporting oppure solamente un Financial Reporting, il Report Integrato

rappresenta, per il primo caso, la naturale evoluzione di reporting (così come lo è stato per

Marks & Spencer) e, per il secondo, uno stimolo per un percorso più consapevole sia

internamente che esternamente. Infatti, Marks & Spencer ha dimostrato già nel 2008 di godere

di una certa consapevolezza in merito alle conseguenze economiche, sociali e ambientali del

proprio modo di agire, integrando alla propria strategia obiettivi diretti alla riduzione del proprio

impatto su tali variabili (“Plan A”). Grazie allo step successivo di implementazione dei principi

del Framework <IR>, per tale società è stato possibile mettere in atto operazioni di

misurazione, valutazione e monitoraggio delle azioni strategiche, delle risorse (tangibili e

intangibili) e degli outcomes conseguiti nei diversi ambiti (economico, sociale e ambientale) in

modo sistematico e coerente, nel rispetto dei requisiti di chiarezza e sinteticità.

Così facendo, si è potuto contabilizzare e comunicare agli investitori finanziari e agli

stakeholders in generale tali elementi che, anche se contraddistinti da una certa rilevanza

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strategica, non trovano una regolare coincidenza nei tradizionali parametri di misurazione

contabile.

A conclusione dell’elaborato, si è voluto delineare quali siano i benefici che Marks & Spencer

ottiene a partire dal 2016, grazie all’implementazione nella propria reportistica del sistema

integrato definito dall’IIRC.

In primo luogo, il processo di Integrated Thinking messo in atto a partire dal 2011 con il PP, ha

consentito alla società di comprendere la natura e l’entità degli impatti interni attraverso lo

studio degli impatti esterni che essa provoca perseguendo i propri obiettivi. Assumendo

coscienza di quali conseguenze l’attuazione della strategia possa avere sull’ambiente, la società

e le variabili economiche, si ottiene un quadro di come queste, a loro volta, influenzino

positivamente o negativamente la società stessa, mettendo in luce il sistema di influenza

reciproca tra azienda e ambiente/società.

Delineare gli impatti interni significa conoscere le proprie aree di forze ma anche le proprie

aree critiche (o punti di debolezza), dai quali non può non prescindere la strategia o la vision

strategica dell’impresa. Infatti, per definire una strategia che, nel tempo, sia capace di garantire

la generazione di valore sostenibile, c’è bisogno di aumentare la fiducia e la reputazione agli

occhi degli stakeholders grazie all’inclusione sia di aspetti positivi che negativi (come le sfide

da affrontare). Marks & Spencer punta sulla centralità di tali soggetti, sviluppando un alto

livello di collaborazione con loro (stakeholders engagement), promosso anche grazie al fattore

interattivo, e sul sistema di risk management, gestito da una governance efficace e organizzata.

Conoscere la propria azienda e l’ambiente in cui essa opera, permette di individuare in che

modo si possono raggiungere gli obiettivi di lungo termine e quindi di quali risorse, relazioni,

attività, sistema di risk management e di governance e indicatori di performance si deve fare

ricorso ma, prima ancora, si deve salvaguardare. M&S ha dimostrato di aver compreso in che

modo la propria azienda crea valore, rappresentando il business model e il processo di creazione

dello stesso (perseguito nelle diverse forme: finanziario, non finanziario e strategico),

considerando gli aspetti rilevanti per la propria attività. In questo modo, l’informativa non

finanziaria e quella finanziaria vengono rappresentate unitamente rafforzando la connettività

tra di loro.

L’adozione del Report Integrato e non solo di un bilancio di sostenibilità prova la reale

intenzione dell’impresa di perseguire una strategia sostenibile prendendo una posizione

nell’affrontare rischi e cogliere opportunità che permettano anche un miglioramento della

società stessa, grazie alla conseguente migliore capacità di attrarre investitori, partner

commerciali, finanziatori e gestire le loro aspettative. Inoltre, avere una visione a

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trecentosessanta gradi della propria azienda e dell’ambiente esterno le permette di essere più

competitiva.

Concludendo, prediligere la forma integrata per la propria Corporate Reporting comporta

benefici diversi, tra cui anche una migliore capacità di attrarre investimenti a lungo termine.

Una ricerca compiuta dal professor George Serafeim (gennaio 2014) ha riscontrato un

collegamento tra gli investimenti a lungo termine e le società attive nel processo di Integrated

Reporting: dall’analisi di un campione di 1066 società americane operative in materia di Report

Integrato, è risultato che un’alta percentuale di queste hanno beneficiato di investimenti a lungo

termine dal momento in cui hanno ridefinito la struttura della propria disclosure. Inoltre, vi è

un’associazione positiva tra società che redigono il Report Integrato e tipologia di investitore:

in questi casi il numero degli investitori a lungo termine aumenta, attratti dalle informazioni

rilevanti finanziarie e non finanziarie che delineano più chiaramente le prospettive future,

mentre diminuiscono i cosiddetti investitori “transitori”, per i quali l’investimento (decisione

basata meramente sulle informazioni finanziarie) diventa poco attrattivo.

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