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I L R EGNO - ATTUALITÀ 20/2012 719 tichino anche oggi la «benedizione» e spesso in forme nuove rispetto allo schema ripetitivo che ci viene dalla tradizione familiare: «Papà dammi la benedizione», diceva il figlio, e il padre rispondeva: «Dio ti benedica». Riprendo i racconti abbozzati in apertura e ne aggiungo altri somi- glianti. Il malato grave e il mendicante: si tratta di Stefano Bellan, di Casale Monferrato, che muore per tumore a 19 anni nel 2005 appena rientrato da Lourdes. Animatore dell’oratorio, Stefano vive da cristiano consapevole la veloce evoluzione della malattia. Narrando il viaggio a Lourdes, il papà Luciano che l’aveva accompa- gnato ricorda che nel tragitto dalla Grotta all’albergo «Stefano vide un mendicante, mi fece fermare: digli che lo benedico e che voglio la sua benedizione» (dalle pagine 53s del volumetto Stefano Bellan. Il fiore re- ciso di Porta Milano, Portalupi, Ca- sale Monferrato 2009). Benedire qualcuno significa invo- care su di lui la «benedizione» del Signore. Chi è vicino a morire e com- pie quell’avvicinamento sulle orme di Cristo ha chiaro quale sia la «be- nedizione» più preziosa: quella di chi meglio assomiglia al Signore. Da qui la scoperta della valenza evangelica del mendicante. E in che cosa egli, il malato, potrà ricambiare quel dono sacramentale se non invocando a sua volta sul mendicante la divina bene- dizione? Il secondo fatto, che attesta un’a- naloga intuizione da parte di una persona semplice che apprende dalla vita, riguarda il vescovo trentino Guido Zendron, missionario in Bra- sile (vescovo di Paulo Afonso – Ba- hia): investe con la sua automobile un uomo in bicicletta che muore sul colpo. Il fatto avviene senza respon- sabilità da parte del vescovo che tut- tavia l’avverte come «ingiusto» e così in una lettera del 18 giugno 2010 al settimanale Vita trentina narra la conclusione della conversazione con colei che aveva reso vedova: «Ab- biamo pianto insieme, ma dopo aver chiesto la mia benedizione lei stessa ha voluto darmi la sua. È il ricono- scimento che alla radice della vita e della morte, alla radice di tutte le cir- costanze, non c’è il caso, ma un dise- gno buono del nostro Dio ricco in misericordia». «PORTA LA MIA BENEDIZIONE A GIOVANNI PAOLO II» Il vecchio amico che veniva dalla Germania si chiamava Klaus H. Arntz: è venuto l’ultima volta nel- l’anno 2000. Era un uomo del di- ritto e della finanza e veniva a Roma una volta all’anno – intorno a Pen- tecoste – per «aggiornamento». Qualcuno gli aveva suggerito di par- lare con me per avere un aiuto a in- terpretare ciò che avveniva in Vati- cano. Quell’ultima volta il Parkinson l’aveva costretto all’uso del bastone: «Se cado, cado in piedi», mi disse al momento di salutarci. «Sei cristiano Klaus?» gli ho chiesto. «Certo che lo sono. Quando incontri il papa digli che lo benedico». Io poco dopo vidi il papa ma non sapevo come dargli la benedizione di Klaus. Tutti chie- dono la benedizione del «santo pa- dre», Klaus invece gliela dava: cioè invocava il Signore perché lo pro- teggesse. Un’azione appropriata. Ma come dirla? Non la sappiamo dire perché abbiamo fatto della benedi- zione un gesto rituale ed ecclesia- stico. La prima volta che mi trovai vicino a Giovanni Paolo – che era stanco e piegato su se stesso, a ogni evidenza bisognoso di benedizione – dissi a mezza voce: «Santità, Klaus H. Arntz la benedice». «Grazie», mormorò il papa tirando su un oc- chio. «Benedicimi» La benedizione come liturgia quotidiana del cristiano comune IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO n morente vede un mendicante, lo benedice e vuole esserne benedetto. Un prete chiede la benedizione all’infermiera che l’assi- ste. Una brasiliana trovandosi a un colloquio drammatico con il vescovo gli chiede di benedirla e gli dà la sua benedizione. Un anziano amico che veniva dalla Germania, in occasione dell’ultima venuta mi disse: «Porta al papa la mia benedizione». Vado a fare visita a un collega morente e ai saluti gli dico: «Dammi la tua bene- dizione» e gli do la mia. Sono del parere che vada rimessa in onore la «benedizione» come li- turgia quotidiana del cristiano co- mune: non solo quella dei genitori ai figli, già frequente e oggi rara, ma ogni benedizione da persona a per- sona, nella coppia e in ogni relazione, compresi i figli che benedicono i ge- nitori o il cristiano comune che be- nedice un consacrato. Comprese le relazioni della blogosfera. BENEDIRE CIOÈ INVOCARE IL SIGNORE SU QUALCUNO Questa convinzione mi è cresciuta dentro narrando i «fatti di Vangelo» e scoprendo come tanti cristiani pra- U

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tichino anche oggi la «benedizione»e spesso in forme nuove rispetto alloschema ripetitivo che ci viene dallatradizione familiare: «Papà dammila benedizione», diceva il figlio, e ilpadre rispondeva: «Dio ti benedica».

Riprendo i racconti abbozzati inapertura e ne aggiungo altri somi-glianti.

Il malato grave e il mendicante: sitratta di Stefano Bellan, di CasaleMonferrato, che muore per tumore a19 anni nel 2005 appena rientratoda Lourdes. Animatore dell’oratorio,Stefano vive da cristiano consapevolela veloce evoluzione della malattia.Narrando il viaggio a Lourdes, ilpapà Luciano che l’aveva accompa-gnato ricorda che nel tragitto dallaGrotta all’albergo «Stefano vide unmendicante, mi fece fermare: digliche lo benedico e che voglio la suabenedizione» (dalle pagine 53s delvolumetto Stefano Bellan. Il fiore re-ciso di Porta Milano, Portalupi, Ca-sale Monferrato 2009).

Benedire qualcuno significa invo-care su di lui la «benedizione» delSignore. Chi è vicino a morire e com-pie quell’avvicinamento sulle ormedi Cristo ha chiaro quale sia la «be-nedizione» più preziosa: quella di chimeglio assomiglia al Signore. Da quila scoperta della valenza evangelicadel mendicante. E in che cosa egli, ilmalato, potrà ricambiare quel donosacramentale se non invocando a suavolta sul mendicante la divina bene-dizione?

Il secondo fatto, che attesta un’a -naloga intuizione da parte di unapersona semplice che apprende dallavita, riguarda il vescovo trentinoGuido Zendron, missionario in Bra-sile (vescovo di Paulo Afonso – Ba-hia): investe con la sua automobile unuomo in bicicletta che muore sulcolpo. Il fatto avviene senza respon-sabilità da parte del vescovo che tut-tavia l’avverte come «ingiusto» e così

in una lettera del 18 giugno 2010 alsettimanale Vita trentina narra laconclusione della conversazione concolei che aveva reso vedova: «Ab-biamo pianto insieme, ma dopo averchiesto la mia benedizione lei stessaha voluto darmi la sua. È il ricono-scimento che alla radice della vita edella morte, alla radice di tutte le cir-costanze, non c’è il caso, ma un dise-gno buono del nostro Dio ricco inmisericordia».

«PORTA LA MIA BENEDIZIONEA GIOVANNI PAOLO II»

Il vecchio amico che veniva dallaGermania si chiamava Klaus H.Arntz: è venuto l’ultima volta nel-l’anno 2000. Era un uomo del di-ritto e della finanza e veniva a Romauna volta all’anno – intorno a Pen-tecoste – per «aggiornamento».Qualcuno gli aveva suggerito di par-lare con me per avere un aiuto a in-terpretare ciò che avveniva in Vati-cano. Quell’ultima volta il Parkinsonl’aveva costretto all’uso del bastone:«Se cado, cado in piedi», mi disse almomento di salutarci. «Sei cristianoKlaus?» gli ho chiesto. «Certo che losono. Quando incontri il papa digliche lo benedico». Io poco dopo vidiil papa ma non sapevo come darglila benedizione di Klaus. Tutti chie-dono la benedizione del «santo pa-dre», Klaus invece gliela dava: cioèinvocava il Signore perché lo pro-teggesse. Un’azione appropriata. Macome dirla? Non la sappiamo direperché abbiamo fatto della benedi-zione un gesto rituale ed ecclesia-stico. La prima volta che mi trovaivicino a Giovanni Paolo – che erastanco e piegato su se stesso, a ognievidenza bisognoso di benedizione– dissi a mezza voce: «Santità, KlausH. Arntz la benedice». «Grazie»,mormorò il papa tirando su un oc-chio.

«Benedicimi»La benedizione come liturgia quotidiana del cristiano comune

IO NON MI VERGOGNODEL VANGELO

n morente vedeun mendicante, lobe nedice e vuole

esserne benedetto. Un prete chiede labenedizione all’infermiera che l’assi-ste. Una brasiliana trovandosi a uncolloquio drammatico con il vescovogli chiede di benedirla e gli dà la suabenedizione. Un anziano amico cheveniva dalla Germania, in occasionedell’ultima venuta mi disse: «Porta alpapa la mia benedizione». Vado afare visita a un collega morente e aisaluti gli dico: «Dammi la tua bene-dizione» e gli do la mia.

Sono del parere che vada rimessain onore la «benedizione» come li-turgia quotidiana del cristiano co-mune: non solo quella dei genitori aifigli, già frequente e oggi rara, maogni benedizione da persona a per-sona, nella coppia e in ogni relazione,compresi i figli che benedicono i ge-nitori o il cristiano comune che be-nedice un consacrato. Comprese lerelazioni della blogosfera.

BENEDIRE CIOÈ INVOCAREIL SIGNORE SU QUALCUNO

Questa convinzione mi è cresciutadentro narrando i «fatti di Vangelo»e scoprendo come tanti cristiani pra-

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Nel condurre la mia indaginesulle benedizioni ho chiesto aiuto –come faccio spesso – ai visitatori delmio blog e uno di essi, che si firmaMattlar (Matteo Lariccia), mi ha se-gnalato un altro caso di qualcuno chebenedice un papa: don Andrea San-toro nella lettera privata al papa Be-nedetto XVI, pubblicata dopo il suomartirio: «Santità, mi unisco a questetre donne (la lettera è preceduta dauno scritto di tre donne georgianeche chiedono al papa di andare aTrabzon in occasione della visita inTurchia del 2006, ndr) per invitarladavvero da noi (…). La saluto e laringrazio di tutto. I suoi libri mi sonostati di nutrimento durante i mieistudi di teologia. Mi benedica. E cheDio benedica e assista anche lei».

GLI RISPOSI CHE BENEDIREERA COMPITO DEI PRETI

In un’altra lettera – questa indi-rizzata agli amici – don Andrea mo-tiva così la benedizione da cristiano acristiano, siano o no le nostre maniconsacrate: «Ogni “cristiano”, comedice il nome, ha in sé lo “spirito diCristo” perché partecipa della sua“unzione”, che lo consacra figlio diDio e portatore della salvezza di Cri-sto. Per questo i genitori possono be-nedire i figli, i membri di una comu-nità possono benedire i propri fratellie tutti possiamo benedirci a vicenda,invocando gli uni sugli altri la graziadi Dio e la potenza dello SpiritoSanto» (Lettere dalla Turchia, Cittànuova, Roma 2006, 18s).

Qui è l’infermiera che cura peranni un prete a narrare come ungiorno sia stata richiesta di benedirlo:«Gli risposi che dare le benedizioniera compito dei preti (…). Quandodon Lorenzo è morto, ripensando aquella richiesta, ho capito. Ho capitoche dobbiamo essere benedizione gliuni per gli altri. Io mi sono sentita be-nedetta da lui, che è stato per me, neltempo della malattia, un padre e unsaggio consigliere» (così Letizia Re-gazzoni a p. 178 del volume di Ar-turo Bellini Don Lorenzo Mazzola, ilgusto della parola. Appunti per unabiografia, Gamba, Verdello 2012).

Accennavo in apertura a un casocapitato a me con il collega Dome-

della porta. “Tu sei in pena”, m’ha ri-sposto. “Tocca a te benedirmi”. E hapreso la mia mano nella sua, l’ha al-zata rapidamente sino alla sua fronte,e se n’è andato» (Oscar Mondadori,Milano 1984, 216).

Ci può essere benedizione anchetra persone di diversa fede. Ecco unprete che la chiede a un ebreo: è diFerrara, si chiama don Giovanni Ca-marlinghi e l’ebreo – Giorgio Bian-chini – è anch’egli ferrarese. Chia-mato alle armi nel 1915 il giovaneGiorgio era andato dal rabbino chegli aveva imposto le mani e avevapronunciato la preghiera che nel Be-nedizionale degli ebrei il nonno re-cita alla partenza del nipote e chedice all’incirca: «Angelo di Dio tucondottier del viver mio, guidalo eportalo tu sul sentier della virtù». Nel1985 don Giovanni dovendo cam-biare parrocchia va a salutare l’amicoebreo novantenne alla casa di riposoe gli chiede una benedizione. Giorgiocommosso e lusingato mette la kip-pah, pone le mani sulla testa del pretee gli ripropone la benedizione che ilrabbino aveva un tempo invocato sudi lui: «Angelo di Dio tu condottierdel viver mio, guidalo e portalo tu sulsentier della virtù».

«BENEDITECOLORO CHE MALEDICONO»

Vedi lettore quanto territoriosiamo venuti ispezionando raccon-tando questa e quella benedizionedei nostri giorni. Tornerò sull’argo-mento, ché c’è altro da dire. C’è il Be-nedizionale della CEI, che è una mi-niera e andrebbe esplorata. E c’è lapratica della benedizione dei geni-tori ai figli, che ha una quantità dimodi tradizionali e rinnovati. Ci sonole benedizioni negli epistolari, daLeopardi ai condannati a morte dellaResistenza, ad Aldo Moro e a IngridBetancourt nelle lettere dal carceredelle Brigate Rosse e dalla giungladelle FARC. E le benedizioni cheognuno di noi può dare – e dà – a ri-medio delle maledizioni che vedescagliate intorno: «Benedite coloroche maledicono».

Luigi Accattoliwww.luigiaccattoli.it

nico Del Rio quando gli feci visitaper l’ultima volta al Gemelli e par-lammo per tre ore con i toni esplicitidel commiato. Mimmo era sereno espesso sorridente. Gli ho detto:«Posso tornare». Mi ha risposto:«Questo era l’ultimo saluto». «Alloradammi la tua benedizione», gli hodetto e l’ha fatto con un gesto dellamano. Sulla porta mi sono fermato asalutarlo con la mano e gli ho detto:«Addio Mimmo, anch’io ti bene-dico». Ha ricambiato il gesto dellamano, visibilmente contento e ha ri-petuto: «Saluta tutti».

QUANDO È UN EBREOA BENEDIRE UN PRETE

Altro mio caso con il vescovo Al-berto Ablondi, dimissionario da tem -po e con Parkinson avanzato. Nel-l’ultimo incontro – era il 2010, l’annodella sua morte – non riuscivo a ca-pire che cosa mi dicesse dalla sedia arotelle, agitato e balbettante. In forzadell’antica amicizia gli presi il visotra le mani e gli dissi lentamente:«Scenda su di te, vescovo Alberto, labenedizione del Signore». Poi glipresi le mani per tenerle ferme, miinginocchiai davanti alle ruote dellasedia, posi quelle mani indocili sullamia testa e gli dissi guardandolo ne-gli occhi: «Grazie della tua benedi-zione». Era raggiante.

Il mendicante, il sofferente, il mo-rente sono ministri privilegiati dellabenedizione. Questa intuizione è an-che nel Diario di un curato di cam-pagna di George Bernanos, in questopasso che è stato segnalato anche nelblog: «“Vi prego di benedirmi”, hocontinuato (…). Eravamo sulla soglia

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