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La demenza vascolare

Rita Moretti / Paola TorreRodolfo Antonello / Gilberto Pizzolato

Realtà cliniche, prospettive terapeutiche,identità biologiche

CLINICA DI NEUROLOGIA

DIPARTMENTO DI MEDICINA CLINICA E NEUROLOGIA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE

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ISBN 978–88–548–1461–5

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre 2007

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INDICE

Cap.1 INTRODUZIONE

Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato

Pag. 7

Cap. 2 VASCOLARIZZAZIONE CEREBRALE: ANATOMIA E FISIOLOGIA

Moretti, Torre, Vilotti

Pag. 22

Cap.3 LE ALTERAZIONI VASCOLARI NELL’ANZIANO

Moretti, Torre, Antonello

Pag. 34

Cap. 4 L’ISCHEMIA CEREBRALE

Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato

Pag. 41

Cap. 5 LA DEFINIZIONE OPERATIVA DI DEMENZA VASCOLARE

Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato

Pag. 51

Cap. 6 DEMENZA VASCOLARE MULTI-INFARTUALE

Moretti, Torre, Antonello, Vilotti

Pag. 61

Cap. 7 DEMENZA DA SINGOLI INFARTI STRATEGICI

Moretti, Torre, Antonello

Pag. 66

Cap.8 DETERORAMENTO COGNITIVO VASCOLARE SOTTOCORTICALE

Moretti, Torre, Antonello, Vilotti

Pag. 71

Cap. 9 IL CONTRIBUTO DELLA NEUROIMMAGINE NEL DETERIORAMENTO

COGNITIVO

Moretti, Torre, Antonello, Bratina, Ukmar

Pag. 80

Cap. 10 NEUROPSICOLOGIA DEL DETERIORAMENTO COGNITIVO VASCOLARE

Moretti, Torre

Pag. 88

Cap. 11 CASI CLINICI

Moretti, Torre, Vilotti, Antonello

Pag. 95

Cap. 12 TERAPIA DEL DETERIORAMENTO COGNITIVO VASCOLARE

Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato

Pag.

108

Cap. 13 RUOLO DELL’ACETILCOLINA NEL DETERIORAMENTO VASCOLARE

Moretti, Torre, Antonello

Pag.

123

Cap. 14 INIBITORI DELLA COLINESTERASI NEL TRATTAMENTO DELLA DEMENZA

VASCOLARE

Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato

Pag.

130

Cap.15 RIVASTIGMINA NEL TRATTAMENTO DELLA DEMENZA VASCOLARE

Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato

Pag.

140

Cap. 16 CONCLUSIONI Pag.

150

Cap. 17 BIBLIOGRAFIA Pag.

151

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INTRODUZIONE

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello, Gilberto Pizzolato Clinica Neurologica, Università di Trieste

Nel nostro Paese, la dinamica della popolazione anziana è una delle più

significative nel mondo intero; in Italia, la percentuale di ultrasessantacinquenni

(16%) ha superato quella dei soggetti con meno di 15 anni (15%). Considerato

che l'attuale speranza di vita alla nascita e a 65 anni sia significativamente

aumentata nelle ultime decadi, che la longevità sia una delle più elevate del

mondo, e che la fecondità sia una delle più basse del mondo (1.2 figli per

donna), si presuppone che si vada incontro ad una graduale “senilizzazione” della

popolazione.

Secondo un’estrapolazione, nel 2030 gli ultrasessantacinquenni saranno

14,4 milioni (il 27% della popolazione totale). In termini relativi, rapportando le

due code della distribuzione per età, ovvero gli ultrasessantacinquenni ai giovani

con meno di 15 anni di età, la trasformazione rispetto al recente passato sarebbe

ancor più straordinaria. Agli inizi degli anni '50 si contavano 3 giovani per ogni

anziano; nel 1991 il rapporto era di 1:1; oggi, è già diventato di 1,13:1.

Conformemente ai dati ISTAT, si osserva infatti che l’indice di vecchiaia (cioè il

numero degli ultrasessantacinquenni in rapporto alla popolazione di età compresa

tra 0 e 14 anni) va salendo, a partire dal 1990, con una velocità costante. Nel

1990 l’indice era pari a 87; nel 2010 si eleverà a quota 168. La composizione per

età della popolazione anziana è destinata ad invecchiare ulteriormente e già nella

seconda decade del prossimo secolo i "grandi vecchi", con più di 75 anni di età,

diverranno numerosi quanto i 65-74enni e ciascuna delle due fasce d'età

raggiungerà e supererà il 10% del totale della popolazione. Già intorno al 2020,

più di due persone su otto avranno più di 65 anni di età e, tra queste, una avrà tra

i 65 e i 74 anni e l'altra più di 75 anni di età (Vedi Tab. 1 e Fig. 1).

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Tabella 1. Speranza di vita alla nascita e a 65 anni (da: Relazione generale sulla condizione economica del paese, 1995).

Maschi Femmine Alla

nascitaA 65 anni Alla

nascitaA 65 anni

1962 67.2 13.4 72.3 15.3 1994 74.7 15.6 81.2 19.4

Fig. 1. Indice di vecchia delle Regioni Italiane

E' diffusa l'opinione che l'invecchiamento si accompagni inesorabilmente

alla perdita di numerose funzioni sia fisiche che mentali. Il deterioramento delle

capacità mentali - che una cultura obsoleta continua a considerare "naturale" - è

in realtà causato, più spesso di quanto non si creda, oltre che da numerose

malattie (alcune delle quali curabili), dall'abbandono, dall'emarginazione sociale,

dalla perdita di relazioni affettive, nonché dalla carenza di esercizio mentale e

fisico. Va sottolineato fin da ora che la grande maggioranza delle persone

anziane conserva un cervello in grado di funzionare in modo corretto. Sono

numerosi gli anziani che in età avanzata conservano la capacità di svolgere

compiti complessi e di rivestire incarichi sociali impegnativi.

Indice di vecchiaia delle Regioni italiane(>65 anni/0-14 anni)

050

100150200250300350400

Ven

eto

Lom

bard

ia

Piem

onte

Ligu

ria

Tosc

ana

Mar

che

Abb

ruzz

o

Cam

pani

a

Basil

icat

a

Sici

lia

1996 2030

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Introduzione 9

L’invecchiamento è un processo continuo e progressivo, che si caratterizza

per una estrema eterogeneità inter-individuale (le manifestazioni sono variabili in

qualità e in quantità tra individuo ed individuo) che intra-individuale (non tutti

gli apparati ed i sistemi sono interessati in maniera omogenea al processo di

senescenza). Da qui il principio fondamentale della geriatria: “l’anziano è

soggetto a massima individualità biologica, del quale non è possibile identificare

un modello paradigmatico di riferimento, espressione della normalità” (Senin,

1999).

L’invecchiamento è un processo che si sviluppa lungo l’intero arco della

vita di un individuo, ma che inizia a manifestarsi, fenotipicamente, dopo il

raggiungimento della maturità. Nell’uomo le modalità con cui esso si realizza

sono il risultato dell’interazione di numerosi fattori, biologici, psicologici,

ambientali, sociali ed economici.

I progressi della medicina, i miglioramenti della situazione igienica,

alimentare e lavorativa hanno prolungato la vita e sembrano aver protratto il

tempo della vecchiaia. “Mentre un tempo la vecchiaia era la fase della saggezza e

dell’equilibrio morale e l’anziano era la memoria storica della società, il custode

delle tradizioni e il detentore di un patrimonio di esperienze professionali

tramandabile alle generazioni future, la cultura dominante oggi è quella della last

information, della rincorsa all’ultima notizia, dell’aggiornamento continuo. Per

una società che sembra rinnegare o quanto meno dimenticare le sue origini,

l’anziano ha meno valore di un individuo in età attiva, in quanto al momento del

pensionamento si riduce il suo ruolo sociale ed economico. L’anziano inoltre può

perdere un condizione di salute ottimale e l’autosufficienza per il graduale

subentrare di malattie croniche invalidanti e di processi di deterioramento

cognitivo…..alle volte tutto ciò può interagire in modo conflittuale con il

contesto sociale e diventare ancora più grave ” (Lori, 1995).

Fisiologicamente, il cervello senile è caratterizzato da una serie di reperti

morfologici involutivi: si possono perciò osservare depositi citoplasmatici di

lipofuscine, che si accumulano tipicamente a livello di alcuni nuclei, in

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particolare dell’olivare inferiore, del nucleo dentato, del nucleo pallido. Si

osservano anche la comparsa di vescicole di 3-5microm di diametro, con core

centrale indefinito, forse contenenti proteine tau, neurofilamenti e microtubuli,

molto evidenti a livello dell’ippocampo, ma pure presenti a livello del nucleo

basale di Meynert, dell’amigdala, della corteccia frontale e del giro cingolato. Si

osservano inoltre corpi di Lewy, derivati da accumuli di proteine

neurofilamentari, dei corpi di Hirano (costituiti da actina degenerata, vinculina,

tropomiosina e proteine tau, evidenti soprattutto a livello dell’ippocampo) e dei

grovigli neurofilamentari, la cui formazione, espressione della distorsione e del

collasso dei microtubuli, potrebbe essere sinonimo di un’alterazione del flusso

citoplasmatico assonale. Queste alterazioni dei meccanismi di trasporto causano

il rallentamento del transito delle proteine verso le strutture assonali.

Fig. 2. Grovigli neurofibrillari (in alto a sinistra) e placche senili (frecce bianche) ed espressione di angiopatia congofila (frecce nere) (in alto a destra)

Nel cervello senile sano, i grovigli neurofibrillari si localizzano

esclusivamente nelle strutture mediali del lobo temporale (amigdala e

ippocampo), mai nella neocortex, come invece avviene di regola nella Malattia di

Alzheimer. Inoltre, si osservano accumuli di beta amiloide, diffusi, ma poco

strutturati presenti nell’archicortex (ippocampo, amigdala ed ipotalamo).

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Introduzione 11

Anche la glia si modifica e va ad aumentare il numero di astrociti corticali,

che determinano la cosiddetta gliosi senile.

Dal punto di vista fisiopatologico poi, il microcircolo va incontro ad una

degenerazione ialina, tipico risultato dello stress di parete esercitato dalla

corrente ematica. In più si osserva una riduzione dell’attività enzimatica della

fosfofruttochinasi e probabilmente dell’isocitrato sintetasi, enzimi coinvolti nel

ciclo di Krebs.

Nel cervello senile si verifica una riduzione della trasmissione neuronale,

correlata sia a modificazioni quantitative che qualitative, sia ad una ridotta

sensibilità recettoriale. Questo fenomeno viene ritenuto in parte responsabile

dell’alterata risposta clinica che si verifica negli anziani sottoposti a trattamenti

psicofarmacologici, con ipersensibilità agli effetti indesiderati dei farmaci

(Blennow et al., 1991; Blennow e Gottfries, 1998).

Anche dal punto di vista neurotrasmettitoriale vi è un impoverimento

dell’encefalo senile rispetto a quello dell’adulto; sembra che vi sia un deficit del

sistema colinergico, tant’è che un trattamento con scopolamina (antagonista

dall’acetilcolina per i recettori muscarinici) è causa di alterazione della

conservazione della traccia mnesica, con progressiva riduzione

dell’apprendimento di nuovo materiale (Ehlert et al., 1994).

Fig. 3. Proiezioni colinergiche cerebrali

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Con l’invecchiamento si osserva una progressiva riduzione di tutte le

attività enzimatiche legate al metabolismo delle catecoalmine: la dopamina

diminuisce a partire dal ventesimo anno di età, a livello dello striato,

dell’ippocampo, del nucleo accumbens e della substantia nigra. Inoltre, si osserva

una riduzione progressiva con l’età, dell’attività enzimatica biosintetica tiroxina-

idrossilasi, cui si affianca un incremento dei livelli di dopamina nei neuroni

residui (Palmer e DeKosky, 1993). I meccanismi alla base dell’invecchiamento

sono oscuri, ma le modificazioni neurbiologiche dell’invecchiamento, al pari del

coinvolgimento differenziale dei sistemi funzionali, possono influenzare il modo

di invecchiare (Coffey e Cummings, 2001).

Alterazione Area cerebrale colpita Diminuzione livelli di

acetilcolinesterasi Ippocampo, nucleo di Meynert

Diminuzione livelli di anidrasi carbonica Corteccia

Aumento dei livelli di catecolo O-metiltransferasi Ippocampo

Diminuzione dei livelli di colina O-acetiltransferasi Ippocampo, nucleo di Meynert

Diminuzione dei livelli dell’acido glutamico decarbossilasi Corteccia, talamo, gangli basali

Aumento dei livelli di monoamino ossidasi

Corteccia frontale, globo pallido, substantia nigra, striato

Aumento dei livelli del recettore tipo 2 della dopamina Tutti

Diminuzione dei livelli dei recettori muscarinici Corteccia, ippocampo

Diminuzione dei livelli dei recettori della serotonina Corteccia

Diminuzione dei livelli della neurotensina Substantia nigra

I livelli di somatostatina non cambiano Tutti Diminuzione dei livelli della sostanza P Putamen

Aumento dei livelli del poli-peptide vasoattivo intestinale Lobo temporale

Adattata da American Geriatrics Society: Geriatrics Review Syllabus, ed. 3, edited by Reuben DB, Yoshikawa TT, Besdine RW. New York, American Geriatrics Society, 1996, p. 17.

Tabella 2. Alterazioni neurotrasmetittoriali nel cervello senile

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Introduzione 13

I disturbi della memoria rappresentano uno dei motivi che più

frequentemente inducono l'anziano a rivolgersi al medico. La memoria è

influenzata dalla presenza di malattie sistemiche la cui cura consente un

completo recupero delle capacità di ricordare. Anche l'uso improprio di farmaci

può compromettere il buon funzionamento della memoria. La depressione e

l'ansia costituiscono una causa frequente e potenzialmente reversibile di disturbo

della memoria. E' opportuno sottolineare che in alcuni soggetti anziani

normali si può manifestare un disturbo della memoria, che non

compromette le abituali attività quotidiane. Una percentuale minoritaria di

anziani (10% degli ultra 65enni) soffre, invece, di disturbi della memoria

ingravescenti, tali da comportare la perdita dell'autosufficienza; in queste

situazioni la causa va studiata, diagnosticata e seguita nel tempo.

Le ricerche degli ultimi anni hanno identificato una condizione di

transizione tra la normalità e la demenza conclamata denominata Mild Cognitive

Impairment (MCI, deterioramento cognitivo moderato), con un corrispettivo

vascolare nella definizione di Vascular Cognitive Impairment No Dementia

(VIND, deterioramento cognitivo vascolare, di grado modesto, senza le

caratteristiche di demenza), nella quale si osserva un disturbo di memoria di

entità superiore a quello atteso per l'età, senza che siano presenti i criteri per la

diagnosi di demenza. Queste condizioni sono oggi considerate forme precliniche

di demenza, che nel 35% dei casi, evolvono nei successivi due anni in demenza

franca. Fino a non molto tempo fa, la demenza è stata considerata una normale

sequela del processo di invecchiamento cerebrale, una sorta di “conditio sine qua

non” della senescenza neuronale, cui si è data per molto tempo un’unica etichetta

“arteriosclerosi”, accomunando in questa condizione sia le patologie

dementigene degenerative che quelle vascolari. Oggi, un approccio

multidisciplinare e varie scale di valutazione consentono di poter stabilire in una

grande maggioranza di casi l’origine vascolare, degenerativa pura (per esempio,

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la malattia di Alzheimer, AD) o associata ad altre estrinsecazioni neurologiche

(quadri di deterioramento cognitivo associati, ad esempio, alla corea di

Huntington).

Il rischio di demenza negli anziani aumenta in maniera esponenziale con

l'età. Nei paesi occidentali la malattia colpisce circa il 5% dei soggetti

ultrasessantacinquenni, per arrivare ad interessare fino ad un terzo dei soggetti

oltre gli 80 anni. Ogni anno, circa l'1% dei soggetti sopra i 65 anni si ammala di

demenza. Le stime esatte della prevalenza della demenza variano a seconda della

definizione della soglia di età utilizzata nella valutazione, ma è dato

incontrovertibile il fatto che vi sia un aumento della prevalenza con l’aumentare

dell’età: colpisce il 5-8% dei soggetti sopra i 65 anni, il 15-20% dei soggetti

sopra i 75 anni e il 25-50% degli individui che hanno superato gli 85 anni di vita.

Ciò comporta una crescita esponenziale conseguente delle problematiche

sociali e sanitarie, con conseguente aumento delle spese di ospedalizzazione e di

carico diagnostico e terapeutico per queste unità. In Italia, vengono ritenute

valide stime approssimative di circa 127 nuovi casi di demenza l’anno, ogni

centomila abitanti di età superiore a 65 anni, ma anche qui si stima un

raddoppiamento dei casi di demenza nei prossimi 25 anni.

Fig. 4. Prevalenza del deterioramento cognitivo in rapporto all’età

PREVALENZA DELLA DEMENZA

0

10

20

30

40

50

60 65 70 75 80 85 90

Età

tasso

di

pre

vale

nza

%

M

F

M+F

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Introduzione 15

I dati dello studio ILSA indicano una prevalenza della demenza in Italia,

per i soggetti di età compresa tra i 65 e gli 84 anni, del 5,3% negli uomini e del

7,2% nelle donne. In Italia si calcola, dunque, che le persone affette da questa

patologia siano oltre 500.000. Ciò considerando, dati di semplice estrapolazione

consentono di affermare con ragionevole confidenza che si debba assistere ad un

progressivo incremento dei casi di demenza in tutto il mondo, tenendo conto del

graduale invecchiamento della popolazione.

L’età media della popolazione mondiale è in aumento e la fascia di

popolazione ottuagenaria è quella che cresce piu’ rapidamente rispetto al resto

della popolazione mondiale. L’impatto sociale della demenza diventa devastante:

le stime che provengono dall’estrapolazione dei dati USA sono, a dir poco,

eclatanti. Negli USA, infatti, il numero delle persone con demenza ospedalizzate

e/o istituzionalizzate è in costante aumento: nel 1990 le persone ricoverate erano

oltre un milione e mezzo. Nel 2005, esse hanno raggiunto quota due milioni e

seicentomila persone.

Di pari passo, le spese per l’istituzionalizzazione di questi soggetti sono

salite a valori pari a ventimila milioni di dollari nel 2000.

E’ stato stimato che attualmente, in Italia, per ogni paziente con malattia di

Alzheimer vengano spesi in media 45000 euro l’anno: ciò include costi diretti ed

indiretti. Infatti, le spese sociali globali comprendono non solo le cure offerte ai

pazienti (terapie mediche, fisioterapie, istituzionalizzazioni), ma anche i costi

derivati dalle ore di lavoro perdute e dalle eventuali terapie mediche offerte ai

“caregiver”.

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Fig. 5. Costi diretti dei deterioramenti cognitivi

I risultati di una ricerca sul tema realizzata dal Censis nel corso del 1999, su

un campione rappresentativo relativo all'intero territorio nazionale, di 802

caregiver di pazienti affetti da malattia di Alzheimer e non istituzionalizzati,

hanno dimostrato il forte coinvolgimento delle famiglia nella cura e

nell'assistenza del malato di Alzheimer. Il quadro emerso dall'indagine conferma

in modo drammatico il carattere "familiare" della malattia di Alzheimer: intanto

perché totale è risultato il coinvolgimento della famiglia nella cura, nelle

assistenza, nel sostegno psicologico e nella tutela del proprio congiunto, che la

progressione della malattia rende non solo sempre più dipendente ma anche

sempre più debole ed indifeso nei confronti di un mondo esterno che ignora o

stenta a comprendere e comunque teme gli effetti devastanti delle malattia; a ciò

si aggiunga la carenza dei servizi sanitari e socio-assistenziali di supporto ai

sempre più pressanti bisogni di assistenza, che configurano i tratti di una delega

praticamente totale alla famiglia nel trattamento di tali malati.

L'insufficienza delle risposte istituzionali accentua il peso e le richieste

esercitate dalla malattia sulla famiglia e acuisce il processo di isolamento di una

famiglia abbandonata a se stessa e, spesso ad un destino di impoverimento e

marginalizzazione. I familiari dei malati di Alzheimer dedicano mediamente sette

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Introduzione 17

ore al giorno all'assistenza diretta del paziente e quasi undici ore alla sua

sorveglianza. L'impatto dell'attività assistenziale è tanto più rilevante quanto più

essa finisce per sommarsi all'impegno legato allo svolgimento di altri ruoli,

professionali, familiari, genitoriali, con tutte le conseguenze che ciò comporta

sulla dimensione affettiva, la disponibilità di tempo, lo stress psicofisico. Infatti, i

caregiver sono in prevalenza donne con famiglia e figli che, soprattutto nei casi

di malattia grave, ospitano il malato in casa.

Il 74% dei caregivers è di sesso femminile e la percentuale di donne cresce

al crescere della gravità della malattia degli assistiti (coloro che assistono malati

gravi sono, per l'81,2%, donne); inoltre il 65% circa dei casi il caregiver convive

col malato, il che avviene in oltre 2/3 dei casi per le situazioni di malattia grave.

L’impegno per i “caregiver” diventa spesso insostenibile, soprattutto se lasciati a

se stessi, senza il supporto di strutture di riferimento. Dati molto recenti hanno

dimostrato che almeno il 50% dei caregiver soffre di episodi depressivi; essi

stessi riferiscono di essere impegnati una media di 69-100 ore settimanali per

accudire con costanza il proprio caro, riducendo le ore di sonno effettive, che

pure sono di scarsissima qualità. Il 40% dei caregiver occupati perdono piu’ di

diciassette giorni lavorativi all’anno e un 20% di essi cessa ogni impegno

lavorativo per affiancare il proprio congiunto.

Al contrario di altre patologie croniche, in cui comunque l’assistenza

continua risulta gravosa, onerosa e difficile; qui i familiari supportano l’impegno

fisico speso a curare, lavare e nutrire questi soggetti, anche dalla netta e precisa

sensazione del disgregarsi della personalità del loro congiunto; spesso

manifestazioni di aggressività fisica o verbale, apatia o indifferenza per i

problemi circostanti, agnosie anche per i volti più familiari non vengono

accettati come spia di condizione morbosa e vengono vissuti ed interpretati come

atti deliberati del congiunto e quindi non accettati oppure negati a viva forza.

Qui, più che altrove si rivela con costante ed incontrastata puntualità la sindrome

del “burn out”.

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 18

È noto che la causa principale di ricovero di persone anziane affette da

demenza in case protette o in residenze sanitarie assistite è rappresentata da

disturbi del comportamento. È altrettanto noto che l’assistenza domiciliare, in

buona parte dei casi non riesce a gestire in modo soddisfacente questi problemi.

Inoltre, i disturbi del comportamento nel paziente anziano affetto da demenza

sono responsabili di visite al pronto soccorso, di ricoveri in reparti medici,

riducono la qualità di vita sia dei pazienti che dei familiari. Le capacità di

funzionalità sociale e personale di questi pazienti sono significativamente

compromesse, rispetto a quanto lascerebbero prevedere la sola presenza dei

disturbi cognitivi.

L’osservazione e la valutazione clinica (anche delle eventuali comorbilità)

sono fondamentali; l’approccio al disturbo comportamentale deve prevedere la

valutazione dell’impatto sul paziente stesso (è nettamente differente l’approccio

clinico nei confronti di allucinazioni senza partecipazione emotiva e di

allucinazioni che siano terrifiche, o che incutano tensione, ansia e disagio) e sul

caregiver.

Per ottimizzare la sperimentazione e, la pratica quotidiana, obiettivo

primario del clinico deve essere quello di riconoscere i segni di alterazione

cognitiva e non, in pazienti con un sovrapporsi di altre patologie, quali ad

esempio alterazioni cerebrovascolari o disordini parkinsoniani. In quest’ottica,

assume un fondamentale riscontro la demenza vascolare, che è probabilmente il

secondo tipo, in ordine di frequenza, di decadimento cognitivo. Nei Paesi

Occidentali, essa è considerata come la responsabile di circa il 15 (7-21%) di tutti

i casi di demenza in casistiche autoptiche, laddove un altro 10% (4-15%) è

causato dall’associazione della Malattia vascolare con la Malattia di Alzheimer

(Rocca et al., 1991; Cazzullo e Clerici, 1999).

Numerose alterazioni cerebrali sono state associate alla demenza vascolare,

ma rimane a tutt’oggi mal definito in che termini esse siano causa diretta o

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Introduzione 19

sequenza logica del processo di decadimento cognitivo. Gli studi di Tomlinson

(Tomlinson et al., 1970) hanno ipotizzato che la demenza vascolare sia associata

alla perdita di volume di tessuto cerebrale, maggiore di una soglia limite di 50-

100ml. Questi dati non sono stati confermati da studi successivi, che invece

sembrano univocamente ritenere che il danno ipossico/ischemico/ metabolico

esteso alle porzioni encefaliche sottocorticali sia la caratteristica della demenza

vascolare, rispetto a quella di Alzheimer.

Globalmente, i pazienti che si presentano con quadri di demenza vascolare

mostrano alle neuroimmagini segni di molteplici lesioni ischemiche, cortico-

sottocorticali, più facilmente riscontrabili a sinistra, con un aumento del rapporto

volume ventricolare/volume cerebrale, con aree di leucoaraiosi e con un

allargamento maggiore del corpo dei ventricoli laterali, rispetto al normale

standard di invecchiamento cerebrale.

Le macroscopiche alterazioni della sostanza bianca rivestono un ruolo

didascalico nell’estrinsecazione del danno cognitivo, tipico della demenza

vascolare, con l’interruzione dei circuiti di proiezione cortico-sottocorticali,

indispensabili per la speditezza dell’esecuzione di tutti i compiti cognitivi.

Da ciò deriva che il quadro di più comune riscontro quindi, nell’ambito di

un decadimento vascolare è quello di una straordinaria lentezza nell’esecutività

delle funzioni superiori. Inoltre, se ne deduce che sia inaccettabile oggi parlare di

deterioramento vascolare come un unicum concettuale: un conto è il

deterioramento cognitivo sottocorticale, un conto il deterioramento da malattia

multiinfartuale, un altro ancora è quello determinato da alterazione vascolare di

singoli infarti strategici.

Tuttavia, secondo i criteri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (ICD-

10), il deterioramento cognitivo vascolare è una forma di decadimento in cui vi è

una compromissione costante, e quindi tipica, delle capacità mnesiche, mentre le

capacità di critica e di giudizio dovrebbero essere conservate. Sta di fatto, che

come per tutte le realtà scientifiche, l’empirismo dominante finisce per

ottenebrare le definizioni di una rigida categorizzazione, e quindi, anche i pochi

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 20

dati di certezza vengono oggi ribaltati: secondo la più comune classificazione

NINDS-AIREN, si è autorizzati a parlare di demenza vascolare probabile quando

vi è l’oggettività di un impairment cognitivo che compromette le attività comuni

del vivere sociale, con coesistenza di segni neurologici focali compatibili con una

diagnosi di ischemia cerebrale, associata ad un’evidenza neuroradiologica e

quando sia rispettato il nesso di correlazione temporale tra insorgenza di

demenza e cerebro-vasculopatia.

I vecchi criteri diagnostici, che sostenevano che un punteggio della scala di

Hachinski (Hachinski et al..,1975) superiore a 7 fosse indicativo di una sicura

diagnosi di demenza vascolare, sono oggi dibattuti; in una recente revisione della

scala, si è pensato di introdurre un punteggio “limbo” tra 4 (al di sotto del quale

si dovrebbe riconoscere un carattere degenerativo franco) e 7, come zona di

dubbio, o di sovrapposizione di un cono d’ombra clinico, che identifica, il

possibile e purtroppo frequente dilemma diagnostico tra una forma vascolare

pura e una a più tipico carattere degenerativo.

L’altro aspetto, definito canonico, della cosiddetta evoluzione a gradini,

tipica dell’andamento della demenza vascolare, non è più considerato

“patognomonico”, in quanto ampie revisioni, supportate dalla comune pratica

clinica, mettono spesso in risalto un inizio insidioso, e un’evoluzione progressiva

anche per i casi vascolari.

Da ultimo, anche uno dei cardini del NINDS-AIREN, delle alterazioni della

sostanza bianca, unicamente presenti nella demenza vascolare, è stato smentito

da due recenti studi (Englund, 1998; Wallin, 1998), in cui si è dimostrato a

chiare lettere un’alterazione evidente, anche se non eclatante, della sostanza

bianca anche in molteplici casi studiati di Malattia di Alzheimer, a tal punto da

poter far ipotizzare (sussurrando) un trait-d’union fra le due vie etio-

patogenetiche, sottintendenti la demenza vascolare e quella degenerativa.

Un’ultima spallata alle ataviche convinzioni è stata data da un lavoro

recentissimo (Meyer et al., 2000) che ha stabilito quali rischi di involuzione

verso forme franche di Alzheimer comportino, il repentino declino perfusionale

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Introduzione 21

cortico-cerebrale, l’ipertensione, l’iperlipidemia e il rischio di bassa portata da

alterazione della dinamica cardiaca; verrebbe così spiegato l’aumento effettivo

dell’incidenza della demenza, anche Alzheimer, nella popolazione anziana.

Il sovrapporsi e la possibile concomitanza della demenza degenerativa e di

quella vascolare sono due realtà non solo non impossibili, ma anzi altamente

probabili, anche se a tutt’oggi mancano gli elementi per la comprensione etio-

patogenetica del fenomeno.

Tenendo conto tuttavia dell’impatto invalidante delle forme vascolari, in cui

per la concomitante e succitata presenza di segni a focolaio, testimoni di

alterazioni lesionali cortico-sottocorticali importanti, con difficoltà nella

deambulazione, impaccio nei movimenti fini, perdita dell’equilibrio e cadute a

terra, diviene di primaria importanza il precoce riconoscimento, da parte del

clinico di sintomi prodromici. Una buona prevenzione primaria, e qualora questa

fosse impossibile, una corretta valutazione secondaria diventano un cardine nella

riduzione di almeno una parte di quei fattori di rischio noti, per evitare alterazioni

dinamiche della perfusione cerebrale. L’utilizzo di farmaci mirati, quali la

selegilina, o fattori nootropi è ancor oggi dibattuto; resta inteso che sono aperti

trials per verificare l’efficacia dei farmaci di più recente introduzione, quali gli

anticolinesterasici, nella terapia della demenza vascolare.

Del resto, una terapia risolutiva e mirata, è ancora materia per il futuro, ed

impone una attenzione da parte del mondo scientifico costante, anche per queste

forme, oggi in parte nell’ombra.

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VASCOLARIZZAZIONE CEREBRALE: ANATOMIA E FISOLOGIA

Rita Moretti, Paola Torre, Cristina Vilotti Clinica Neurologica, Università di Trieste

Ogni emisfero cerebrale viene irrorato da un’arteria carotide interna, che si

origina dall’arteria carotide comune, al di sotto dell’angolo mandibolare, penetra nel cranio attraverso il forame carotideo, attraversa il seno cavernoso, dando origine, a questo livello all’arteria oftalmica, passa attraverso la dura e si divide nelle arterie cerebrali anteriore e media.

Fig. 6. Circolazione cerebrale: visione sagittale

I grandi rami superficiali dell’arteria cerebrale anteriore irrorano la

corteccia e la sostanza bianca del lobo frontale inferiore, la superficie mediale dei lobi frontale e parietale e la parte anteriore del corpo calloso. I rami perforanti, più piccoli, irrorano regioni telencefaliche e di encefaliche profonde, quali le strutture limbiche, la testa del nucleo caudato e il braccio anteriore della capsula interna (Barnett, 1988).

I grandi rami superficiali dell’arteria cerebrale media irrorano la maggior parte della corteccia e della sostanza bianca della convessità degli emisferi, quali i lobi frontali, parietale, temporale e occipitale e l’insula. I rami perforanti più piccoli (arterie lenticolostriate) supportano le regioni della sostanza bianca più profonde e le strutture di encefaliche, oltre che il braccio posteriore della capsula interna, il putamen, il segmento esterno del globus pallidus, e il corpo del nucleo caudato. Dopo che l’arteria carotide interna fuoriesce dal seno cavernoso dà origine all’arteria corioidea anteriore, destinata alla parte anteriore dell’ippocampo e, a livello più caudale, il braccio posteriore della capsula interna.

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Vascolarizzazione cerebrale: anatomia e fisiologia 23

Ciascuna arteria vertebrale si origina dalla corrispondente arteria succlavia, penetra nel cranio attraverso il forame magno e dà origine all’arteria spinale anteriore e all’arteria cerebellare postero-inferiore. Dalla convergenza delle due arterie vertebrali, a livello della giunzione tra ponte e bulbo, si forma l’arteria basilare, che a livello del ponte dà origine all’arteria cerebellare inferiore e all’arteria uditiva interna e a livello del mesencefalo all’arteria cerebellare superiore. Poi l’arteria basilare si suddivide nelle due arterie cerebrali posteriori, che irrorano la parte inferiore del lobo temporale, la parte mediale del lobo occipitale e la parte posteriore del corpo calloso; i rami perforanti, più piccoli di questi vasi (arterie talamo-perforante e talamo-genicolata) irrorano strutture di encefaliche, come i nuclei talamici e subtalamici, e una parte del mesencefalo.

La vascolarizzazione dell’encefalo, dunque, è fornita dalle arterie vertebrali, basilare, carotidi interne con i loro rispettivi rami collaterali e terminali unite, in via funzionale, dal circolo arterioso del Willis. Questo sistema, detto anche poligono di Willis, è un importante anello anastomotico situato nella cisterna interpeduncolare, in rapporto con la faccia inferiore dell’encefalo, circonda il chiasma ottico e le formazioni della fossa interpeduncolare.

Il poligono del Willis è formato in avanti dal tratto iniziale delle due arterie cerebrali anteriori, unite tra loro dall’arteria comunicante anteriore; lateralmente esso è costituito dalle arterie comunicanti posteriori, che originate dall’arteria carotide interna, raggiungono l’arteria cerebrale posteriore dello stesso lato; posteriormente esso è originato dal tratto iniziale delle arterie cerebrali posteriori, derivanti dalla biforcazione del tronco basilare.

Fig. 7. Visione schematica del poligono funzionale-anatomico del Willis Attraverso i tratti anastomotici de poligono del Willis si attua il regolare

passaggio del sangue in varia direzione, ciò realizza un continuo controllo

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Moretti, Torre, Vilotti 24

omeostatico della pressione fra arteria carotide interna e arteria vertebrale con una uniforme distribuzione del sangue a tutto l’encefalo.

Sotto il controllo del circolo anastomotico dell’encefalo sono anche le arterie che forniscono l’apparato visivo (arteria oftalmica) e quelle dirette al labirinto membranoso (arteria uditiva interna). In particolare, esiste un’importante anastomosi tra l’arteria oftalmica e alcuni rami della carotide esterna, attraverso l’orbita, e a livello della superficie cerebrale, tra rami della cerebrale media, anteriore e posteriore (zone spartiacque). Le anastomosi sono classicamente distinte in pre- e post-poligono del Willis.

Le anastomosi pre-Willis sono:

1. fra la succlavia, la carotide e la vertebrale, attraverso i tronchi tireocervicale e costocervicale

2. fra i rami orbitari dell’oftalmica,collaterale intracavernosa della carotide interna ed i rami orbito-temporali e meningei della carotide esterna

3. fra la carotide interna e la basilare, attraverso l’arteria trigeminale primitiva, nei casi in cui questo vaso non sia obliterato.

Le anastomosi post-Willis sono: 1. fra la corioidea anteriore, ramo della carotide interna e la

corioidea posteriore, collaterale della arteria cerebrale posteriore, per mezzo del plesso sottoependimale

2. fra una cerebrale anteriore e l’altra attraverso rami a livello dei tratti precallosali di queste due arterie fra l’arteria mediale striata di Heubner, ramo dell’arteria cerebrale anteriore, e le arterie lenticolo-striate, rami dell’arteria cerebrale media

3. a livello emisferico vi sono anastomosi corticali superficiali fra i territori vascolari anteriore, medio e posteriore, costituiti da minuscoli rami arteriosi, in condizioni normali spesso non funzionanti, ma con una notevole capacità adattativi durante alterazioni della pressione di perfusione, e con importanza notevole nella vascolarizzazione retrograda in caso di occlusione di un tronco cerebrale.

I piccoli vasi penetranti che si originano dal circolo del Willis e dai tronchi

prossimali delle arterie principali non hanno tendenza a stabilire anastomosi (Brust, 1989).

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Fig. 8. Immagine schematica del poligono del Willis Le arterie cerebrali, per le loro caratteristiche di arterie terminali, non

consentono la supplenza vascolare e il distretto servito da ciascuna arteria, in caso di ostruzione arteriosa per eventi patologici, va incontro a deficit vascolare, qualora si verifichino determinate condizioni. In particolare, soggette a tale fenomeno sono le aree irrorate da arterie poste ai confini dei territori vascolarizzati dalle arterie cerebrali anteriori, medie e posteriori e cerebellari superiori e postero-inferiori, che possono essere soggette a danno ischemico in situazioni di rapida e grave ipotensione arteriosa.

Fig. 9. Rappresentazione funzionale di irrorazione dei singoli distretti cerebrali

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Moretti, Torre, Vilotti 26

A= arteria cerebrale anteriore P= arteria posteriore cerebrale C= nucleo caudato L= nucleo lentiforme IC= capsula interna I= territorio insulare M1= corteccia anteriore MCA M2= corteccia laterale MCA M3= corteccia posteriore MCA M4= corteccia antero-superiore M1, rostrale ai gangli basali M5= corteccia laterale-superiore M2, rostrale ai gangli basali M6= corteccia posteriore-superiore M3, rostrale ai gangli basali

Fig. 10. Panoramica del circolo venoso e del sistema di deflusso

Fig. 11. Fisiologia della supplementazione vascolare dell’encefalo

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Vascolarizzazione cerebrale: anatomia e fisiologia 27

Sebbene il sistema nervoso centrale dell’uomo abbia un peso pari al 2% del peso corporeo, riceve circa il 15% della gittata cardiaca totale ed ha un consumo di ossigeno pari al 20% del consumo totale, del 25% del consumo totale di glucosio ed ha necessità di una potenza equivalente a 20 Watt. Questi valori documentano l’elevato metabolismo e il notevole consumo di ossigeno del sistema nervoso centrale. Il fabbisogno energetico cerebrale è fornito quasi esclusivamente dal catabolismo ossidativo del glucosio. In un cervello adulto, in condizioni normali, il consumo d’ossigeno è di circa 170 mmol/g/min e l’utilizzo del glucosio di circa 30 mmol/g/min. A livelli normali il flusso ematico cerebrale è di 55 ml/100 mg/min; il cervello estrae circa il 50% dell’ossigeno e circa il 10% del glucosio arteriosi. L’ossigeno passa dal sangue al tessuto cerebrale per diffusione, mentre il glucosio attraversa la barriera ematoencefalica ed entra nei neuroni attraverso un carrier ad alta affinità. Il glucosio viene poi metabolizzato via glicolisi aerobia con un ricavo netto di 33 molecole di ATP per molecola di glucosio. Circa il 70% dell’energia prodotta viene destinata al mantenimento dei gradienti ionici, in particolare mediato dal corretto funzionamento delle pompe Na /K ;il resto dell’energia viene speso per la sintesi, il rilascio e il recupero dei neurotrasmettitori e per il mantenimento e il rinnovo delle strutture cellulari.

In relazione alla presenza dei corpi cellulari ed alla altissima densità sinaptica, il fabbisogno energetico cerebrale è più elevato nella grigia che nella sostanza bianca.

Il flusso ematico cerebrale totale è di circa 750-1000 ml/min; circa 350 ml fluiscono attraverso ciascuna carotide interna e circa 100-200 ml fluiscono attraverso il sistema vertebro-basilare. Il flusso, per unità di massa, della sostanza grigia è circa quattro volte più elevato di quello della sostanza bianca. La circolazione cerebrale possiede un meccanismo fondamentale denominato di autoregolazione, che consiste nella capacità di mantenere il flusso relativamente costante in condizioni di variabilità della pressione arteriosa sistemica o di pressione di per fusione cerebrale. Come detto, il flusso ematico si mantiene in media pari a 55 ml/100 mg/min (Obrist et al., 1984), ed è di solito maggiore nei bambini e negli adolescenti, decresce con l’età. Danni irreversibili neuronali si profilano allorché il flusso ematico scende sotto la soglia dei 10-15ml/100 mg/min, mentre un danno è ancora reversibile, qualora il flusso si abbassi a valori pari a 15-20 ml/100mg/min. (Torbey, 2003).

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Fig. 12. Dinamica dell’autoregolazione cerebrale

L’estrazione metabolica ossiemica cerebrale (CMRO2), il flusso ematico cerebrale (CBF) e il metabolismo cerebrale sono strettamente interdipendenti. Ciò può essere ben compendiato dall’equazione di Fick, qui sotto riportata:

CMRO2 = CBF x AVDO2

ove l’estrazione di ossigeno è direttamente proporzionale al flusso ematico cerebrale e al differenziale della concentrazione ossiemica artero-venosa (AVDO2).

In condizioni di riposo l’ AVDO2 è costante, ma si modifica repentinamente in condizioni di impegno metabolico cerebrale, in caso di modificazione della pressione di perfusione cerebrale e di modificazione della viscosità ematica.

I vasi cerebrali sono in grado di modificare il loro diametro e rispondono in modo particolare alle variazioni delle condizioni fisiologiche del circolo. Tre sono le teorie che spiegano l’autoregolazione, quella miogenica, quella metabolica e quella neurogena (Torbey, 2003).

Nell’ipotesi di un controllo miogenico dell’autoregolazione, le arteriole cerebrali si costringono quando la pressione arteriosa sistemica aumenta e si dilatano quando diminuisce. Ne deriva che i soggetti normali hanno un flusso ematico cerebrale costante per pressioni arteriose medie di circa 60-150 mm Hg. Per valori pressori superiori o inferiori il flusso cerebrale aumenta o diminuisce in modo lineare alle variazioni pressorie.

Il secondo tipo di autoregolazione, quello metabolico, è mediato dai gas e dal pH del sangue e del tessuto. Quando la pCO2 del sangue arterioso aumenta, le arteriole cerebrali si dilatano, e il flusso cerebrale aumenta. In caso di ipocapnia si ha vasocostrizione e riduzione del flusso ematico cerebrale. La sensibilità all’anidride carbonica è molto elevata: l’inalazione di CO2 al 5% provoca un aumento del 50% del flusso ematico e una concentrazione del 7% lo raddoppia (Kandel et al., 1994).Le variazioni di pO2 provocano risposte differenti, e, forse,

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Vascolarizzazione cerebrale: anatomia e fisiologia 29

meno pronunciate: respirando O2 al 100% si ha una diminuzione del flusso ematico di circa il 13%; l’O2 al 10% l’aumenta del 35%, ma il meccanismo che sta alla base di queste risposte non è stato ancora chiarito. L’influenza della pCO2 è probabilmente mediata da variazioni del pH extracellulare e le concentrazioni locali di K e di adenosina, che provocano vasodilatazione, possono avere una certa importanza.

L’ipotesi neurogena (Torbey, 2003) non ha ancora una collocazione molto precisa, ancorché le afferenze adrenergiche rivestano un ruolo importante nel controllo vasale; il ruolo di questo sistema è stato chiarito esclusivamente durante le crisi ipertensive, in cui si osserva una vasocostrizione cerebrale diffusa, da stimolo adrenergico.

In generale, queste risposte non solo proteggono il sistema nervoso centrale, aumentando l’apporto di ossigeno in caso di ischemia, ma consentono variazioni istantanee del flusso ematico cerebrale regionale per soddisfare rapidamente l’esigenza di una maggiore necessità di apporto ematico in zone neuronali funzionalmente attive.

Tuttavia, l’autoregolazione è effettiva in un range pressorio limitato ad una pressione media arteriosa tra i 60 e i 150 mmHg: al di fuori di questi range, il flusso ematico cerebrale (CBF) varia in misura direttamente proporzionale alla pressione di perfusione.

Al di sotto del limite inferiore di pressione, il flusso diminuisce non essendo più garantito dai meccanismi di vasodilatazione e la conseguenza è una lesione ischemica; al di sopra del limite pressorio superiore, la pressione intraluminale aumentata risulta in una dilatazione arteriolare sproporzionata (“luxury perfusion”) che spesso porta ad un danno di barriera e sottende un edema vasogenico e citototssico (Miller, 1988).

Poiché il tessuto cerebrale ricava energia esclusivamente dal metabolismo ossidativi del glucosio, e l’energia prodotta viene immediatamente consumata, l’attività e la sopravvivenza del tessuto sono strettamente dipendenti dalla costanza di perfusione. Se il flusso diminuisce al di sotto di determinati valori, si manifestano alterazioni ischemiche. Il punto di confine tra sofferenza tissutale ischemica e danno irreversibile è in funzione del flusso residuo, cioè del grado e della durata nel tempo dell’ischemia, ma soprattutto del raggiungimento del dato soglia di perfusione al di sotto dei 10-15 ml/100 mg/min.

In caso di ischemia cerebrale focale esistono aree solitamente situate al centro del territorio vascolare, il cui flusso è gravemente compromesso, ed altre aree, più periferiche che possono ricevere collaterali da territori vascolari limitrofi; in quest’area i neuroni non sono morti, ma si definiscono “stunned”, storditi. Il tessuto nervoso che si trova in queste aree è in condizioni di “penombra ischemica”, ossia in uno stato di stretta economia metabolica, caratterizzata da silenzio elettrico e blocco delle trasmissioni sinaptiche,

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Moretti, Torre, Vilotti 30

completamente reversibile, se si ristabilisce il flusso, con valori superiori alla soglia ischemica.

La fisiopatologia dell’ischemia cerebrale è caratterizzata da una complessa

cascata di processi emodinamici, elettrofisiologici e biochimici.

La diminuzione del flusso sanguigno cerebrale al di sotto di una soglia critica risulta in una insufficienza energetica, con acidosi tissutale, alterata omeostasi ionica, a causa di un aumentato efflusso cellulare di potassio e di un aumentato influsso di sodio e calcio, con conseguente depolarizzazione della membrana. Un significato fisiopatologico molto importante è stato attribuito alla massiva liberazione di aminoacidi eccitatori quali glutammato ed aspartato e all’attivazione di recettori al glutammato, inclusi i recettori NMDA. Ciò comporta un’ulteriore depolarizzazione della membrana con incremento ulteriore di ione calcio citosolico libero per influsso cellulare e per liberazione da compartimenti intracellulari e per alterati meccanismi di estrusione.

L’accumulo di Ca sembra avere un ruolo chiave nella propagazione del processo che conduce al danno neuronale irreversibile, dal momento che scatena l’attivazione di una serie di processi per sé potenzialmente neurotossici, quali la perossidazione lipidica, la generazione e l’attivazione di radicali liberi. Inoltre, alla base dell’eccitotossicità vi è un aumento della concentrazione degli aminoacidi eccitatori, che rappresenta la causa principale di penetrazione del Ca attraverso i canali propri, regolati strettamente dal glutammato. Le cause di induzione della quota glutammatergica sono principalmente la depolarizzazione di membrana, che con il conseguente aumento del K extracellulare incrementa la liberazione di glutammato dai neuroni presinaptici, e il danno intrinseco al sistema di reuptake, che in assenza di energia può essere addirittura invertito.

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Vascolarizzazione cerebrale: anatomia e fisiologia 31

Fig. 13. Link tra i recettori NMDA e la neurotossicità

Fig. 14. Recettori NMDA e meccanismo di danno neuronale

L’immediata conseguenza dell’aumento extracellulare del glutammato porta ad un incremento della stimolazione dei recettori post-sinaptici (compresi i metabotropici), in particolare per l’NMDA, per il quisquilato (AMPA) e per il kainato: ciò conduce invariabilmente, spesso per meccanismi non ancora chiariti, ad un aumento della concetrazione intracellulare del Ca .

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Fig. 15. Meccanismi di attivazione per il recettore AMPA e il recettore NMDA

Le strutture sinaptiche sono notoriamente quelle più vulnerabili all’evento ischemico e il danno che ne deriva è quello di un massivo rilascio di neurotrasmettitori accumulati in questa aree. Il rilascio massivo di catecolamine e di serotonina durante l’ischemia concorre ad un ulteriore alterazione del flusso, a causa del vasospasmo, e favorisce l’aggregazione piastrinica intravasale, tutti fattori potenzianti il danno da ipoperfusione. Inoltre, la liberazione presinaptica di catecolamine e serotonina può contribuire, per il cosiddetto “burst firing” ad un’attività eccitatoria neuronale, con ulteriore liberazione glutammatergica; ciò porta alla riduzione delle già critiche riserve energetiche neuronali.

Vi sono evidenze che l’ischemia cerebrale attivi anche dei sistemi endogeni di neuroprotezione e che l’adenosina sia uno dei neurotrasmettitori più importanti con questa funzione.

Una stimolazione della liberazione di aminoacidi eccitatori in seguito ad ischemia, può causare un aumento della liberazione di adenosina mediata da un’azione sui recettori NMDA e AMPA. L’adenosina inibisce la liberazione di molti neurotrasmettitori, specialmente del glutammato; questo effetto è mediato dai recettori presinaptici A1, collegati tramite G proteins ai canali sia del Ca che del K .

Nel neurone post-sinaptico l’adenosina aiuta a mantenere l’omeostasi intracellulare del calcio, fondamentale per i meccanismi di neuroprotezione. L’azione primaria dell’adenosina è apparentemente quella di limitare la depolarizzazione di membrana che previene l’apertura dei canali al calcio voltaggio-dipendenti ed anche della rimozione del blocco dei canali voltaggio dipenedenti al Mg legati al recettore NMDA. In questa maniera l’adenosina ostacola, durante l’ischemia, l’inevitabile depolarizzazione incontrollata di membrana e quindi il conseguente aumento del Ca . La prevenzione della depolarizzazione da parte dell’adenosina porta anche a determinare il blocco delle correnti K voltaggio sensibili, che favoriscono l’eccitabilità delle cellule

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Vascolarizzazione cerebrale: anatomia e fisiologia 33

nervose, determinando in questa maniera un’interferenza sul secondo meccanismo di induzione della depolarizzazione di membrana e conseguente aumento del Ca intracellulare. Altri meccanismi di probabile effetto neuroprotettivo dell’adenosina sono mediati dal recettore A2 cerebrovascolare e piastrinico, la cui stimolazione può aumentare l’ossigeno e favorire una vasodilatazione, oltre che avere un effetto antitrombotico.

L’adenosina intravascolare, sempre per azione attivante sui neutrofili, tende a ridurre la liberazione di radicali liberi dell’ossigeno e di altre sostanze citotossiche e prevenire l’evento trombotico.

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LE ALTERAZIONI VASCOLARI NELL’ANZIANO

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello Clinica Neurologica, Università di Trieste

L’invecchiamento non interessa in eguale misura le diverse aree cerebrali: studi morfometrici hanno infatti dimostrato un maggior interessamento della corteccia prefrontale, frontale e temporale, dell’ippocampo e di alcune formazioni sottocorticali, in particolare del nucleo basale di Meynert, il locus coeruleus, la substantia nigra e lo striato.

Tuttavia, dal punto di vista macroscopico il cervello senile si caratterizza per un minore peso, con solchi e ventricoli più ampi e per un minore volume degli emisferi, con una diminuzione di circa il 3% per decade del volume di grigia e che solo gradualmente interessa anche la sostanza bianca. Caratteristico è anche il progressivo ispessimento fibrotico delle meningi, con deposizione focale di sali di calcio sulle meningi stesse.

Una delle modificazioni più rilevanti nell’invecchiamento è il processo di “indurimento” dei grandi vasi, noto nel cosiddetto fenomeno di aterosclerosi.

La morte neuronale età-correlata costituisce l’evento finale di una sequenza di eventi degenerativi, che comportano una semplificazione graduale dell’albero dendritico, con una progressiva rarefazione dei contatti sinaptici, e concomitante diminuizione del volume cellulare (istologicamente noto come shrinkage) (Schneider e Brody, 1983).

Fig. 16. Danni di parete concomitanti all’infarto ischemico od embolico

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Fig. 17. Aterosclerosi e lesioni della sostanza bianca

Fig. 18. Progressiva sclerotizzazione dei vasi con tortuosità ed allungamento dei vasi, particolarmente evidente a carico dei rami ventricolofughi, o rami perforanti,

irroranti la capsula interna e i gangli della base, tipica della senescenza.

Il flusso arterioso cerebrale nell’anziano non differisce sostanzialmente da quello del giovane, se non per una minore efficienza dell’autoregolazione in condizioni di alterazioni pressorie estreme. Dal punto di vista fisiopatologico poi, il microcircolo va incontro ad una degenerazione ialina, tipico risultato dello stress di parete esercitato dalla corrente ematica. L’utilizzazione del glucosio si mantiene costante fino alla settima-ottava decade di vita (Hoyer, 1990), anche se si osserva una riduzione dell’attività enzimatica della fosfofruttochinasi e probabilmente dell’isocitrato sintetasi, enzimi coinvolti nel ciclo di Krebs.

L’encefalo, sebbene rappresenti il 2% del peso corporeo, riceve in condizioni di riposo, e a qualunque età, il 15% della gittata cardiaca ed è responsabile del 20% del consumo di ossigeno dell’intero organismo.

Ciò riflette l’importanza del metabolismo aerobio di quest’organo. L’encefalo può essere privato dell’ossigeno con differenti modalità:

anossia anossica: causata da bassa pO2 inspirata anossia anemica: in cui è il vettore dell’ossigeno, l’emoglobina ad

essere ridotta anossia istotossica: che insorge per blocco dei sistemi di accoppiamento

fosforilazione/ossidazione e blocco della catena mitocondriale, tipo nell’avvelenamento da cianuro

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anossia ischemica; causata da interruzione della portata ematica.

Queste differenti cause di anossia portano a manifestazioni di danno encefalico sostanzialmente equivalenti, simili a quelle dovute all’ipoglicemia spinta, che di fatto, riduce il metabolismo aerobio, quindi sottraendo il substrato fondamentale per il mantenimento del ciclo di Krebs.

Si potrebbe pertanto affermare con ragionevole approssimazione che l’ischemia rappresenta l’ultimo percorso comune di tutte le forme di ipossia.

Come già affermato, le cellule più vulnerabili all’ischemia sono i neuroni che subiscono un danno prima reversibile, poi irreversibile. Alcuni tipi di neurone, particolarmente le cellule del Purkinje del cervelletto e le cellule piramidali del settore di Sommer dell’ippocampo sono particolarmente suscettibili all’ischemia. Le alterazioni encefaliche in corso di ischemia dipendono dalla durata e dall’intensità della stessa.

Fig. 19. Area Ca1, particolarmente vulnerabile all’effetto ipossico-ischemico

Da quanto detto, risulta chiaro come il soggetto anziano sia il soggetto più vulnerabile al danno anossico cerebrale, per le frequenti degenerazioni della funzione di pompa miocardica, per le possibili e più abituali alterazioni metaboliche ed ematologiche.

Territorio Ca1

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Fig. 20. Oxfordshire Community Stroke project: si dimostra l’aumento logaritmico dei quozienti di incidenza di ictus cerebri, con l’aumentare dell’età

(Modificata da Gorelick e Sloan, 2003)

Fig. 21. Fattori non modificabili nella patologia vascolare: Età e pregresso ictus (Modificata da Gorelick e Sloan, 2003)

La patologia della sostanza bianca è una parte sottostimata delle malattie cerebrovascolari che causano deterioramento cognitivo.

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L’elevata suscettibilità della sostanza bianca all’ischemia può essere spiegata dalla sua particolare angioarchitettura arteriosa e anche dall’equilibrio critico tra flusso sanguigno e richieste metaboliche. In diverse entità clinico-patologiche del neonato e dell’adulto può essere dimostrata la vulnerabilià selettiva della sostanza bianca profonda periventricolare (De Reuck et al., 1980).

Alterazioni della sostanza bianca nelle zone di confine periventricolare si possono osservare post-mortem anche nel cervello di persone senza deficit neurologici o cognitivi. Mentre nell’infanzia la necrosi della sostanza bianca sembra essere legata ad un evento acuto, nell’adulto la sua comparsa è generalmente più tardiva e progressiva. Intorno alle aree necrotiche nelle regioni periventricolari vi è un’estesa demielinizzazione che risparmia le fibre arcuate. A volte le lesioni sono associate a foci necrotici nei gangli della base; le cellule principalmente colpite sono gli oligodendrociti. Quando queste cellule muoiono quest’evento è seguito dalla progressiva disintegrazione della guaina mielinica, che porta alla demielinizzazione e alla secondaria degenerazione assonale delle regioni più colpite. Le zone di confine arteriose periventricolari, anche se la loro esistenza viene messa in dubbio, sono la sede principale delle lesioni ischemiche.

Le alterazioni della sostanza bianca cerebrale rappresentano una manifestazione comune nelle immagini di risonanza magnetica (NMR) in soggetti adulti non dementi; la loro prevalenza varia tra il 5 e il 100% nei diversi studi.

Fig. 22. NMR encefalica: leucoencefalopatia periventricolare. Reperto occasionale in soggetto anziano sano

La patogenesi delle alterazioni della sostanza bianca resta tuttavia poco chiara, anche se l’età, l’ipertensione e la presenza di malattie cardiovascolari sono state identificate come potenziali fattori di rischio (De Leeuw et al., 2000). Nelle immagini di NMR le alterazioni della sostanza bianca sono iperintense sia nelle immagini in T2 pesate che in densità protonica, senza lesioni corrispondenti nelle immagini pesate in T1. In funzione della loro localizzazione vengono solitamente distinte in alterazioni periventricolari e sottocorticali profonde.

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Lo studio ARIC ha dimostrato una prevalenza di qualsiasi modificazione della sostanza bianca dell’85% tra i soggetti di età media intorno ai 62 anni (Liao et al., 1996). La maggior parte delle scale di valutazione classifica le alterazioni della sostanza bianca in funzione delle dimensioni. Alterazioni periventricolari risultano correlate a demielinizzazione perivascolare e gliosi (Marshall et al., 1988), aumento del liquido extracellulare e riduzione del numero e delle dimensioni degli assoni (van Swieten et al., 1991). Il substrato anatomico delle piccole alterazioni puntiformi della sostanza bianca corticale profonda che si osservano nelle immagini di NMR è rappresentato da lieve gliosi, demielinizzazione e dilatazione degli spazi periventricolari (Fazekas et al., 1993). Il Rotterdam Study (Bretler et al., 1994) ha riportato una prevalenza sostanzialmente più bassa rispetto allo studio ARIC (Liao et al., 1996), ma ha preso in considerazione solo le lesioni da moderate a gravi; sono state riscontrate alterazioni della sostanza bianca da moderate a gravi nell’11% dei soggetti tra i 65 ed i 69 anni e nel 54 % dei soggetti tra gli 80 e gli 84 anni.

Fig. 23. Risultati dello Studio Rotterdam (Bretler et al., 1993)

Il danno locale cerebrale estremo di tipo ischemico-vascolare della sostanza bianca è l’infarto completo; quando si verifica nella sostanza bianca, esso si manifesta come una lacuna, o una cicatrice gliale senza elementi neuronali funzionali. A differenza del danno nettamente delimitato nelle lesioni della sostanza grigia, l’infarto della sostanza bianca presenta una zona di transizione notevolmente più ampia di incompleta distruzione tissutale, che si normalizza gradualmente verso la periferia.

In tutte le direzioni a partire dal centro di un infarto incompleto, c’è un numero sempre crescente di assoni mielinici, nuclei oligodendrogliali e astrociti non reattivi, che si avvicinano a livelli normali.

In molti casi, questa zona di transizione comprende un volume che supera di molte volte quello dell’infarto completo centrale. Anche se in parte vitale, si tratta di sostanza bianca danneggiata che interrompendo le connessioni cortico-

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sottocorticali, pregiudica la trasmissione sinaptica e quindi riduce o rallenta il funzionamento neuronale.

La patologia della sostanza bianca è una parte sottostimata delle malattie cerebrovascolari che causano deterioramento cognitivo.

A sottendere l’alterazione della sostanza bianca è il fenomeno dell’arteriosclerosi, che interessa le arteriole (< 150 μm di diametro) ed un limitato numero di arterie perforanti. Il quadro di necrosi fibrinoide è caratterizzato dalla deposizione all’interno della media delle arterie intraparenchimali granulare, eosinofila; tale materiale necrotico deriva dalla parcellizzazione delle cellule muscolari lisce e stravaso di proteine plasmatiche. La presenza di necrosi fibrinoide è legata alla perdita del meccanismo di autoregolazione arteriolare e una marcata compromissione della permeabilità endoteliale.

Il Rotterdam Study (Bretler et al., 1994) ha valutato il ruolo della pressione arteriosa nelle categorie d’età tra i 65 e 74 anni e tra 75 ed 84 anni, riscontrando l’associazione tra ipertensione, pressione arteriosa sistolica e diastolica e presenza di alterazioni della sostanza bianca. Significativamente, è emerso che vi era una correlazione tra elevati valori pressori e alterazione della sostanza bianca unicamente nel gruppo d’età più giovane. Nel gruppo d’età più elevata è stata riscontrata un’associazione inversa, non significativa tra pressione arteriosa e presenza di alterazioni della sostanza bianca.

Ancora, il Rotterdam Study (Bretler et al., 1994) ha messo in evidenza che un aumentato spessore del complesso intima-media risultava associato ad una presenza di alterazioni della sostanza bianca (OR=1.5; IC 95%: 1.1-2.1, per aumento di 100 micron) e che la presenza di placche carotidee era associata alla presenza di alterazioni della sostanza bianca (OR=3.9; IC 95%: 1.0-14.5); lo studio ha indagato, ma senza risultati conclusivi, il diabete come fattore inducente alterazioni della sostanza bianca; ha dimostrato un’associazione tra aumentati livelli plasmatici di fibrinogeno e la presenza di alterazioni della sostanza bianca; non ha riscontrato alcuna associazione significativa tra fumo e simili alterazioni, mentre vi era un’inconfutabile correlazione tra anamnesi positiva per infarto al miocardio e presenza di alterazioni della sostanza bianca (OR=3.9; IC 95%: 1.1-14.1) e di pregresso ictus cerebri, sebbene la presenza di quest’ultimo sia stata indagata insieme alla presenza di infarto miocardio, come unica variabile (OR=4.4; IC 95%: 1.4-13.7).

Da ultimo, il Rotterdam Study (Bretler et al., 1994) ha messo in evidenza un’associazione tra l’aumento dei livelli di colesterolo e la presenza di alterazioni della sostanza bianca in soggetti di età compresa tra 65 e 74 anni (OR=2.2; IC 95%: 1.0-4.7), ma non nei soggetti di età superiore ai 75 anni.

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L’ISCHEMIA CEREBRALE

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello, Gilberto Pizzolato Clinica Neurologica, Università di Trieste

La circolazione cerebrale possiede un meccanismo fondamentale denominato di autoregolazione, che consiste nella capacità di mantenere il flusso relativamente costante in condizioni di variabilità della pressione arteriosa sistemica o di pressione di per fusione cerebrale. Come detto, il flusso ematico si mantiene in media pari a 55 ml/100 mg/min (Obrist et al., 1984), ed è di solito maggiore nei bambini e negli adolescenti, decresce con l’età. Danni irreversibili neuronali si profilano allorché il flusso ematico scende sotto la soglia dei 10-15ml/100 mg/min, mentre un danno è ancora reversibile, qualora il flusso si abbassi a valori pari a 15-20 ml/100mg/min. (Torbey, 2003). Al di sotto del limite inferiore di pressione, il flusso diminuisce non essendo più garantito dai meccanismi di vasodilatazione e la conseguenza è una lesione ischemica; al di sopra del limite pressorio superiore, la pressione intraluminale aumentata risulta in una dilatazione arteriolare sproporzionata (“luxury perfusion”) che spesso porta ad un danno di barriera e sottende un edema vasogenico e citototssico (Miller, 1988).

Fig. 24. Anatomia arteriosa

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Fig. 25. Fisiopatologia della tunica intima, media e avventizia

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L’ischemia cerebrale 43

La sostanza grigia e la sostanza bianca sottocorticali sostengono il peso maggiore della patologia vascolare, e la sostanza bianca può essere spesso quella più gravemente coinvolta (Englund, 2000). Le alterazioni della sostanza bianca cerebrale rappresentano una manifestazione comune nelle immagini di risonanza magnetica (NMR) in soggetti adulti non dementi; la loro prevalenza varia tra il 5 e il 100% nei diversi studi.

La patogenesi delle alterazioni della sostanza bianca resta tuttavia poco chiara, anche se l’età, l’ipertensione e la presenza di malattie cardiovascolari sono state identificate come potenziali fattori di rischio (De Leeuw et al., 2000). Alterazioni periventricolari della sostanza bianca risultano correlate a demielinizzazione perivascolare e gliosi (Marshall et al., 1988), aumento del liquido extracellulare e riduzione del numero e delle dimensioni degli assoni (van Swieten et al., 1991). Il substrato anatomico delle piccole alterazioni puntiformi della sostanza bianca corticale profonda che si osservano nelle immagini di NMR è rappresentato da lieve gliosi, demielinizzazione e dilatazione degli spazi periventricolari (Fazekas et al., 1993).

Il danno locale cerebrale estremo di tipo ischemico-vascolare della sostanza bianca è l’infarto completo; quando si manifesta nella sostanza bianca esso si manifesta come una lacuna, o una cicatrice gliale senza elementi neuronali funzionali. A differenza del danno nettamente delimitato nelle lesioni della sostanza grigia, l’infarto della sostanza bianca presenta una zona di transizione notevolmente più ampia di incompleta distruzione tissutale, che si normalizza gradualmente verso la periferia. In tutte le direzioni a partire dal centro di un infarto incompleto, c’è un numero sempre crescente di assoni mielinici, nuclei oligodendrogliali e astrociti non reattivi, che si avvicinano a livelli normali. In molti casi, questa zona di transizione comprende un volume che supera di molte volte quello dell’infarto completo centrale.

Anche se in parte vitale, si tratta di sostanza bianca danneggiata, che interrompendo le connessioni cortico-sottocorticali, pregiudica la trasmissione sinaptica e quindi riduce, o rallenta, il funzionamento neuronale. La corteccia e i nuclei sottocorticali sono in genere macroscopicamente risparmiati e le alterazioni morfologiche sono paragonabili a quelle che circondano un infarto completo della sostanza bianca, eccetto per la regolare concomitanza di un’angiopatia arteriolare.

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Fig. 26. Le placche ateromasiche e l’evoluzione clinica

Fig. 27. Serie complessa di modificazione dell’intima delle arterie, ad evoluzione necrotica, con proliferazione delle cellule muscolari liscie, linfociti T e monociti, un’aumentata formazione di matrice extracellulare, depositi di lipidi e sostituzione fibrosa della tonaca media

Fig. 28. Immagine al microscopio elettronico di un ateroma in formazione

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L’eziologia delle alterazioni della sostanza bianca non è ancora del tutto compresa, sebbene i risultati ottenuti negli studi epidemiologici, anatomici e neuropatologici suggeriscano una patologia a carico dei piccoli vasi (De Leeuw et al., 2000).

Nel caso di alterazioni diffuse senza infarti completi, c’è una distruzione tissutale subtotale, che elimina in misura subcompleta il sistema assonale. Nell’ambito clinico degli eventi ischemici e/o ipossici, e con l’associazione obbligatoria di un’arteriolosclerosi stenosante di tipo fibro-ialino, non amiloidosico, questa condizione è stata denominata infarto incompleto della sostanza bianca.

L’infarto incompleto della sostanza bianca si verifica con maggior frequenza e rilevanza nel lobo frontale; ciò è verosimilmente legato all’incremento dell’attività metabolica basale dei lobi frontali, stimata pari a un 20-25% in più, rispetto agli altri territori cerebrali.

Macroscopicamente, in molti casi ci sono pochi segni di infarti visibili; al contrario, vi sono tracce evidenti di una sostanza bianca retratta e leggermente decolorata. All’esame microscopico, gli infarti lacunari sono molto piccoli, di circa 1 mm di diametro, e, in genere, possono essere numerosi. Proprio per il coinvolgimento indiretto, gli infarti lacunari finiscono, per comprendere un volume tissutale, stimato (isto-patologicamente) 10-30 volte maggiore della lesione focale; questo dato giustifica, probabilmente, la sottostima del danno effettivo imputabile alle lacune, e la sua reale portata può in qualche modo sfuggire alle attuali tecniche di diagnostica per immagini. Un’importante caratteristica delle alterazioni della sostanza bianca è costituita dalla loro localizzazione; solitamente si distinguono una sede periventricolare e una sottocorticale profonda. L’importanza delle alterazioni puntiformi della sostanza bianca sottocorticale profonda e di quelle a tratto di matita sottile (“pencil thin lining”) della sostanza periventricolare è controversa e numerosi autori assegnano i pazienti con questo tipo di alterazioni al gruppo senza alterazioni della sostanza bianca (Lindgren et al., 1994).

Due anomalie tissutali sono comunemente associate all’arteriolosclerosi:

lacunespazi perivscolari dilatati.

Le lacune sono lesioni cavitarie di diametro <1.5 cm, che sono ritenute il risultato degli eventi occlusivi dei piccoli vasi: état lacunaire è il temine che si applica ad un’anomalia strutturale, che consiste in lesioni cavitarie o lacunari multiple, di piccole dimensioni.

Gli spazi perivascolari dilatati possono presentare un’analogia superficiale con le lacune; tuttavia, al centro di ciascuno spazio dilatato è presente una

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piccola arteria o un’arteriola. Inoltre, lo spazio perivascolare contiene uno scarso numero di cellule ed è di solito delimitato da un sottile orletto gliotico.

A sottendere l’infarto lacunare, dal punto di vista anatomo-patologico, è il fenomeno dell’arteriosclerosi, che interessa le arteriole (< 150 μm di diametro) ed un limitato numero di arterie perforanti.

Heistad et al. (1990) riferiscono che l’arteriolo-sclerosi si associa a :

ridotta superficie del lume, secondaria sia all’aumentato spessore della parete che alla riduzione del diametro esterno

risposte endotelio-dipendenti ridotte rispetto alla norma alle varie sostanze vasoattive

ridotta efficienza delle anastomosi inter-arteriolari.

Fisher (1982) ha introdotto il termine anatomo-patologico di lipoialinosi allo scopo di comprendere le alterazioni arteriolari. Esse includono:

necrosi fibrinoide arteriolosclerosi ialina aterosclerosi delle piccole arterie trasformazione ialina distruzione vascolare plasmatici ialinosisegni di angionecrosiarterite fibrinoide.

Il termine ialino descrive l’aspetto vitreo, acellulare, della parete vasale che assumono i preparati osservati al microscopio. La ialinizzazione coinvolge la tonaca media e può estendersi a tutte e tre le tonache arteriolari. Ciò rappresenta il risultato del progressivo processo di sostituzione delle cellule muscolari lisce da parte di una notevole quantità di fibre collagene. Questa trasformazione conferisce rigidità alla parete vasale e può indurre stenosi del lume o ectasia.

Fig. 29. Arterioslosclerosi di vasi profondi. A media gravità; B notevole gravità.

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In concomitanza alla lipoialinosi, può sussistere anche un quadro di necrosi fibrinoide, caratterizzata dalla deposizione di materiale granulare, eosinofilo, all’interno della media delle arterie intraparenchimali, che costituisce il materiale necrotico derivante dalla parcellizzazione delle cellule muscolari lisce e stravaso di proteine plasmatiche. La presenza di necrosi fibrinoide sottende la perdita del meccanismo di autoregolazione arteriolare e una marcata compromissione della permeabilità endoteliale.

Fig. 30. Stato cribroso dei gangli della base, più accentuato a sinistra.

Nel corso di tutto il 1800 e della prima metà del '900 la patologia cerebrovascolare viene considerata il substrato prevalente del decadimento intellettivo nel vecchio; solo negli anni più recenti il ruolo dementigeno della malattia cerebrovascolare va incontro ad un progressivo ridimensionamento (Bonavita e Sorrentino, 2000).

La demenza vascolare come entità autonoma si era andata, tuttavia, delineando già nell' opera di B. Rush (Medical inquiries and observation upon the diseases of the mind, 1812) e di G. Burrows (On disorders of the cerebral circulation and on the connection between affections of the brain and diseases of the heart, 1846). Per tutto il secolo XIX lo studio della demenza è anzi segnato dalla "teoria vascolare" in base alla quale tutte le affezioni mentali legate all'invecchiamento, e che andavano sotto il nome di demenza senile, condividevano un'alterazione cerebrovascolare.

Nell’ampia ricostruzione storica effettuata da Bonavita e Sorrentino (2000) si possono osservare alcune delle tappe fondamentali nel travagliato iter concettuale del deterioramento cognitivo vascolare. I primi lavori in cui ciò fu dimostrato furono quelli di Rokitansky, che descrisse un paziente che presentava

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demenza in associazione ad occlusione dei vasi cerebrali, e di Paget e Robin che descrissero alterazioni dei piccoli vasi cerebrali nei soggetti anziani. Successivamente altri autori come Deneway (1851), Proust e Parrot (1873) svilupparono tale teoria, ma furono Loomis nel 1881, con la pubblicazione del suo libro Senile cerebral atrophy ed un anno più tardi Demage, con l'Étude clinique et anatomopathologique de la vieillesse, che considerarono la malattia arteriosclerotica (termine coniato da Lobstein) dei vasi cerebrali il substrato neuropatologico della demenza senile. La teoria vascolare fu ulteriormente rafforzata dai lavori di Binswanger e di Pierre Marie che descrissero due specifiche forme di compromissione cerebrale su base vascolare.

Binswanger nel 1894, alla Riunione Annuale degli Psichiatri Tedeschi, delineò quattro tipi di demenza di origine vascolare. Uno di questi aveva la peculiarità di presentare lesioni confinate alla sostanza bianca. Gli altri tre tipi erano la paralisi progressiva, la degenerazione cerebrale arteriosclerotica e la demenza post-apoplettica.

Nel 1899 egli classificò i processi cerebrali associati ad arteriosclerosi in quattro tipi, distinguendo una demenza arteriosclerotica, un' encefalite subcorticale cronica (atrofia arteriosclerotica della sostanza bianca), una gliosi perivascolare ed una sclerosi senile. Infine formulò !'ipotesi che la demenza che si riscontrava nella arteriosclerosi cerebrale fosse il risultato non solo di infarti o emorragie, ma anche di un processo atrofico.

Nel 1913, Mingazzini per primo considerò la localizzazione ed il volume dell'infarto cerebrale come fattore in grado di influenzare la comparsa e la gravità della demenza.

Nel contesto dell’overlapping, spesso dibattuto, tra processo di deterioramento vascolare e degenerativo, tipo AD, è interessante osservare come Blocq e Marinesco, che nel 1892 per primi descrissero le placche senili, elemento ancora oggi ritenuto centrale per la comprensione istopatologica e molecolare della malattia di Alzheimer, ne attribuirono la formazione a cause vascolari.

La definizione di VaD è controversa, particolarmente perché "la VaD appare facile da definire, ma difficile da applicare come concetto" (Hachinski, 1992; Hachinski e Bowler, 1993), per cui si è considerata l'opportunità di abbandonare la definizione di VaD a favore del termine "vascular cognitive impairment" (declino cognitivo vascolare) (Hachinski, 1994).

Ora, dobbiamo ricordare che i criteri universalmente accettati dell’American Academy of Neurology (Knopman et al. 2001) raccomandano l’uso di un criterio di definizione preso dal Diagnostic and Statistical Manual. Sia la Terza Edizione Rivisitata, che la Quarta (American Psychiatric Association, 1993; American Psychiatric Association, 1994) indicano i medesimi criteri:

“Il criterio fondamentale ed intrinseco del concetto di demenza è una profonda alterazione della memoria a breve e lungo termine, associata ad un’alterazione nel ragionamento astratto, ad un’ alterata capacità di giudizio, e ad altre modificazioni delle funzioni corticali superiori o a modificazioni della personalità. Il complesso sindromico deve essere severo a tal punto da interferire

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significativamente con le normali attività del vivere quotidiano e con le attività inter-relazionali. ”

Da ciò deriva che il termine "demenza" non possa essere sempre applicato alla VaD, poiché tutti i criteri clinici per la diagnosi di demenza richiedono la presenza di un deficit di memoria, come abbiamo osservato, mentre il declino indotto dalla VaD ha un pattem di presentazione molto diverso, specie sul versante comportamentale (Bowler e Hachinski, 1995). Gli attuali criteri diagnostici per la VaD consentirebbero la diagnosi di demenza solo nella fase molto avanzata della malattia, quando il danno cerebrale è ormai molto esteso e assai poco si può fare per prevenire la compromissione cognitiva su base vascolare (Hachinski, 1997).

Questo dato trova conferma dal substrato anatomico del deterioramento cognitivo vascolare. I territori maggiormente colpiti dal deterioramento cognitivo vascolare dopo un ictus, vi è il dato epidemiologico che afferma che soltanto il 20% circa degli stroke colpisce il territorio dell'arteria cerebrale posteriore. Un dato molto recente, tuttavia smentisce, almeno in parte queste affermazioni: infatti, la Chui (2003) ha riportato che una sclerosi ippocampale, caratterizzata da una perdita selettiva neuronale, in assenza di vere e proprie cavitazioni cistiche, soprattutto nei settori CA1, para-subiculari, sia un reperto molto comune nei pazienti ultraottantenni con deterioramento cognitivo vascolare e nel 12% dei pazienti geronti con patologia cardiologia (Corey-Bloom et al., 1997). La patogenesi della lesione è tutt’altro che chiarita, ma si suppone sia intrinsecamente correlata alla suscettibilità della regione all’insulto ipossico/ o di ridotta perfusione.

Un'ulteriore difficoltà nella possibilità diagnostica deriva dall'accezione troppo generica del termine "vascolare". Infatti, non vi è accordo sul tipo, sulla localizzazione (Roman et al., 1993), sul grado delle lesioni ischemiche cerebrali della VaD, e si sta cercando di definire meglio la relazione temporale esistente tra eventi vascolari e declino cognitivo. Inoltre, sebbene i criteri clinici della AD escludano la presenza di fattori di rischio vascolari o della stessa malattia cerebrovascolare (Cerebrovascular Disease, CVD), molto spesso AD e CVD coesistono rendendo indistinti i confini di queste due entità cliniche.

Nonostante le controversie sull'eziologia della sindrome dementigena, vi è comunque accordo sul fatto che alcuni ben individuati fenomeni patologici di natura vascolare, quali lo stroke (Skoog et al., 1993; Tatemichi et al., 1992), la leucoaraiosi (White-Matter Lesions, WMLs) (Bretler et al., 1994; Longstreh et al, 1996), l'ipertensione arteriosa (Sloog, 1997), l'infarto del miocardio (Aronson et al., 1990; Bretler et al., 1994), l'aterosclerosi generalizzata (Hofman et al., 1997), la fibrillazione atriale (Ott et al., 1997 ) e il diabete mellito (Leibson et al., 1997), correlino con un aumentato rischio di demenza e di deterioramento cognitivo nell'età anziana (Skoog, 1988).

Da questi dati si desume che il deterioramento vascolare sia probabilmente uno dei capitoli più difficili della neurologia delle malattie degenerative, a causa della sua poliedricità e dell’eterogeneità di presentazione.

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La neuropatologia ad esso ascritta deve considerare alcune variabili: l’entità e la sede del danno e la sua patogenesi: una concettualizzazione delle differenti sindromi che portano al sintomo “deterioramento cognitivo vascolare” sottende, probabilmente, tanti perché rimasti insoluti, riguardo successi o insuccessi terapeutici, possibilità diagnostiche, scarsi o evidenti correlati di neuroimaging (Petersen e Corey-Bloom, 2003).

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LA DEFINIZIONE OPERATIVA DI DEMENZA VASCOLARE

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello, Gilberto Pizzolato Clinica Neurologica, Università di Trieste

La prevalenza della demenza vascolare (Vascular Dementia, VaD) varia nelle diverse popolazioni e tale variabilità può dipendere in parte dalle diverse metodologie di screening adoperate e dai diversi criteri diagnostici utilizzati.

Negli Stati Uniti e in Europa la VaD è, per frequenza, la seconda forma di demenza, con una prevalenza del 10-20% dei casi (Gorelick et al., 1994), mentre la malattia di Alzheimer (AD) è la più frequente, con una prevalenza del 50-60% dei casi. Nei Paesi Occidentali, essa è considerata come la responsabile di circa il 15 % (7-21%) di tutti i casi di demenza in casistiche autoptiche, laddove un altro 10% (4-15%) è causato dall’associazione della Malattia vascolare con la Malattia di Alzheimer (Rocca et al., 1991; Cazzullo et al., 1999). In Asia la VaD ha una frequenza pari a quella della AD, se non maggiore, probabilmente in relazione all'elevata prevalenza di eventi vascolari cerebrali (stroke) in quelle regioni (Ueda et al., 1992).

In Italia, vengono ritenute valide le stime approssimative di circa 127 nuovi casi di demenza l’anno, ogni centomila abitanti di età superiore a 65 anni, con una tendenza al raddoppiamento dei casi di demenza nei prossimi 25 anni (Winblad et al., 1999). Considerando l’aumento dell’età, e il correlarsi di questa con il danno vascolare, si può a ragione a affermare che il deterioramento cognitivo vascolare può essere ritenuto la seconda causa di impairment cognitivo, dopo la Malattia di Alzheimer.

Allo stato dei fatti, si ritiene che la definizione di demenza vascolare richieda che sia presente una sindrome dementigena e nello stesso tempo siano riscontrabili segni d’interessamento vascolare del sistema nervoso centrale.

I criteri del DSM-IV prevedono la presenza di una demenza (definita dal deterioramento di multiple funzioni neuropsicologiche di entità tale da determinare una riduzione dell'autonomia del soggetto) e di segni o sintomi di interessamento vascolare. Questi criteri si sono rivelati imprecisi, soprattutto per la definizione della componente vascolare.

CRITERI DSM-IV SUGGERITI PER LA DIAGNOSI DI DEMENZA VASCOLARE

A. Criteri per la diagnosi di demenza.

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B. Presenza di segni e sintomi neurologici focali (esagerazione dei riflessi tendinei profondi, stimolazione cutanea plantare positiva, paralisi pseudobulbare, disturbi della deambulazione, deficit di forza a una estremità)

oppurereferti strumentali indicativi della presenza di malattia cerebrovascolare

(infarti multipli che interessano le aree corticali o la sostanza bianca) ritenuti eziologicamente correlati con i deficit.

Sulla base delle caratteristiche cliniche predominanti si distinguono forme: con delirium

con deliri con depressione non complicata.

Due nuovi sistemi classificativi della demenza vascolare sono stati recentemente sviluppati: quelli degli State of California of Alzheimer's Disease Diagnostic and Treatment Centers (ADDTC) e quelli del National Institute of Neurological Disorders and Stroke-Association Internationale pour la Recherche et l'Enseignement en Neurosciences (NINDS-AIREN) (Chui et al., 1992; Roman et al., 1993).

In entrambi i casi i requisiti di base per poter porre la diagnosi di demenza vascolare sono:

presenza di demenza; evidenza di malattia cerebrovascolare dimostrata dalla storia

del paziente, dall'esame cliniche e dalle immagini radiologiche cerebrali;

una stretta correlazione tra i due disturbi.

I criteri NINDS-AlREN sono più precisi rispetto a quelli ADDTC e includono non solo la demenza su base ischemica, ma anche le forme emorragiche e ipossiche (Ransmayr, 1998).

Diamo seguito alla presentazione dei criteri NINDS-AIREN. In alcuni studi di correlazione clinico-patologica, i criteri NINDS-AIREN e quelli ADDTC hanno dimostrato una simile sensibilità (rispettivamente 0,58 e 0,63), mentre la specificità è risultata sensibilmente superiore per i criteri NINDS-AIREN (rispettivamente 0,80 e 0,64).

La classificazione neuropatologica della VaD secondo i criteri NINDS-AlREN include casi di demenza legati a lesioni cerebrali ischemiche ed emorragiche, ischemico-ipossiche, o conseguenti a un arresto cardiaco. Sono escluse le demenze causate da asfissia pura o da scompenso respiratorio (anossia ipossica)

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o da inalazione di monossido di carbonio (ipossia istotossica) (Bianchetti e Metitieri, 1999).

CRITERI NINDS-AIREN Requisiti di base:

1) presenza di demenza (secondo i criteri DSM-IIIR,DSM-IVo ICD-10); 2) evidenza di malattia cerebrovascolare dimostrata dalla storia del

paziente, dall'esame clinico e dalle immagini radiologiche cerebrali. La malattia cerebrovascolare è definita dalla presenza di segni neurologici focali consistenti con uno stroke, con o senza una storia positiva per stroke;

3) stretta correlazione tra i due disturbi. Deve esistere un'associazione temporale tra i due disturbi (insorgenza della demenza entro 3 mesi dallo stroke).

Caratteristiche cliniche che supportano la diagnosi di VaD

1) Improwiso deterioramento dello stato cognitivo, entro 3 mesi da uno stroke, e un peggioramento progressivo con decorso fluttuante o a gradini. Al contrario, la malattia di Binswanger ha un esordio graduale, declino lento o a gradini.

2) Storia di disturbo della marcia e di cadute frequenti. 3) Incontinenza urinaria precoce rispetto all'esordio della malattia. 4) All'esame neurologico le caratteristiche tipiche includono: a) presenza di

reperti focali come emiparesi, o deficit del facciale inferiore; b) perdita sensoriale (soprattutto alterazioni del campo visivo);c) sindrome pseudobulbare con incontinenza emotiva; d) segni extrapiramidali (rigidità e acinesia), soprattutto nella malattia di Binswanger e, molto più raramente, anche nella demenza vascolare; e) depressione, variazione del tono dell'umore e altri sintomi psichiatrici.

Da ciò, ne consegue che:

CRITERI PER LA DIAGNOSI DI VAD

I - I criteri per la diagnosi di demenza vascolare probabile includono tutti i seguenti punti:

1) la demenza è definita come un declino cognitivo rispetto a un livello cognitivo precedente più alto, che si manifesta attraverso un disturbo di memoria associato a deficit in altre due o più aree cognitive (orientamento, attenzione, linguaggio, funzioni visuospaziali, funzioni esecutive, controllo motorio e prassia), evidenziati dall'esame clinico e documentati attraverso una valutazione

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neuropsicologica testistica; i deficit devono essere tanto gravi da interferire con le funzioni della vita quotidiana indipendentemente dalle condizioni fisiche determinate dallo stroke solamente;

2) criteri di esclusione: casi con disturbo di coscienza, delirium, psicosi, afasia grave o con compromissione sensomotoria maggiore che precludano la valutazione testistica. Escludono la diagnosi anche disordini sistemici o altre malattie cerebrali che di per sé potrebbero giustificare la presenza di una demenza;

3) la malattia cerebrovascolare è definita dalla presenza, all'esame neurologico, di segni focali come emiparesi, debolezza del facciale inferiore, segno di Babinski, deficit sensoriali, emianopsia, disartria, compatibili con lo stroke (con o senza storia di stroke), e rilevante malattia vascolare cerebrale dimostrata alla TC o alla RM,che può essere rappresentata da: infarti multipli dei grossi vasi, o un singolo infarto in posizione strategica (giro angolare, talamo, proencefalo basale o territorio della PCAo della ACA), o lacune multiple nei gangli della base e nella sostanza bianca, o lesioni estese della sostanza bianca periventricolare;

4) deve essere presente anche una relazione tra i due disordini sopra menzionati, manifesta o dedotta dalla presenza di uno o più dei seguenti elementi: a) esordio della demenza entro 3 mesi dalla diagnosi di stroke; b) improvviso deterioramento delle funzioni cognitive, o progressione fluttuante, a gradini del disturbo cognitivo.

II - Le caratteristiche cliniche in accordo con la diagnosi di demenza vascolare probabile includono quanto segue:

a) presenza precoce di disturbi della marcia (marcia a piccoli passi, o andatura magnetica, aprassico-atassica o parkinsoniana);

b) storia di instabilità e di frequenti cadute inspiegabili; c) sintomi urinari precoci non dovuti a malattie urologiche; d) paralisi pseudobulbare; e) cambiamenti della personalità e dell'umore, abulia, depressione,

incontinenza emotiva o altri deficit sottocorticali, come un rallentamento psicomotorio e un'alterata funzione esecutiva.

III- Le caratteristiche che rendono la diagnosi di demenza vascolare incerta o improbabile includono:

a) esordio precoce dei disturbi di memoria e progressivo peggioramento della memoria e delle altre funzioni come il linguaggio (afasia transcorticale sensoriale), le abilità motorie (aprassia) e la percezione (agnosia) in assenza di lesioni focali corrispondenti alla TC o alla RM cerebrale;

b) assenza di segni neurologici focali diversi dai disturbi cognitivi; c) assenza di lesioni cerebrovascolari alla TC o alla RM cerebrale.

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IV- La diagnosi clinica di demenza vascolare possibile può essere postain presenza di demenza con segni neurologici focali in pazienti in cui

mancano esami di neuroimaging cerebrale che confermino una malattia cerebrovascolare definita;

o in assenza di una chiara relazione temporale tra la demenza e lo stroke; o in pazienti con esordio subdolo dei sintomi, con decorso variabile del disturbo cognitivo (plateau o miglioramento) e evidenza di una rilevante malattia cerebrovascolare.

V- I criteri per la diagnosi di demenza vascolare definita sono: a) i criteri clinici per la diagnosi di demenza vascolare probabile; b) evidenza istopatologica di malattia cerebrovascolare ottenuta tramite

autopsia o biopsia; c) assenza di placche senili e aggregati neurofibrillari più numerosi di

quanto ci si possa attendere considerando l'età del soggetto in esame; d) assenza di altre condizioni in grado di provocare demenza.

VI- La classificazione della demenza vascolare a scopo di ricerca può essere fatta sulla base delle caratteristiche cliniche, radiologiche e neuropatologiche, per sottocategorie, o per condizioni particolari come la demenza vascolare corticale, la demenza vascolare sottocorticale, la malattia di Binswanger e la demenza talamica.

Riassumendo, si può quindi affermare che:

Fig. 31. Criteri NINDS-AIREN per la diagnosi di VaD

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La demenza vascolare può essere ad esordio acuto nelle forme post-ictali, mentre nelle forme prevalentemente sottocorticali l'inizio della malattia è tipicamente insidioso.

L'evoluzione caratteristica "a gradini" si osserva soprattutto nelle forme multinfartuali, ma non sono infrequenti i casi in cui l'evoluzione è progressiva (Bianchetti e Trabucchi, 1998).

Osservazioni recenti suggeriscono che le modalità di progressione del declino cognitivo nella demenza vascolare non sono uniformi, ma vi possono essere soggetti con un quadro clinico relativamente stabile per periodi molto lunghi (anche alcuni anni) nei quali l'evoluzione avviene con il caratteristico pattern, accanto a soggetti nei quali la progressione del quadro clinico è simile a quella che si riscontra nella malattia di Alzheimer (Nyenhuis e Gorelick, 1998). Si ritiene che questo secondo gruppo sia rappresentato da forme in cui la malattia cerebrovascolare coesiste con la malattia di Alzheimer.

La presenza della malattia cerebrovascolare è evidenziata dalla presenza di segni neurologici focali compatibili con uno stroke, con o senza una storia positiva per stroke. Oltre all'evidenza clinica di malattia cerebrovascolare, è necessario stabilire una relazione causale tra questa e la sindrome demenziale: il criterio più affidabile sembra essere l'associazione temporale tra i due disturbi(insorgenza della demenza entro 3 mesi dallo stroke) (Roman et al., 1993).

La diagnosi di VaD è complessa soprattutto per la difficoltà di determinare se uno stroke documentato nella storia clinica di un paziente demente sia la causa vera e propria della demenza, o un fattore che ha solo contribuito all'aggravamento di una demenza degenerativa sottostante, o addirittura un semplice evento non correlato né con l'insorgenza né con l'aggravamento del decadimento demenziale. Le seguenti lesioni cerebrovascolari possono essere associate con sindromi legate a una demenza vascolare:

DEMENZA MULTINFARTUALE

Caratterizzata dalla presenza di infarti grandi, completi multipli, in genere dovuti all'occlusione di grossi vasi; coinvolgono aree corticali e sottocorticali, provocando una sindrome demenziale; riguardo alla demenza multi-infartuale, molti studi sono stati condotti, senza arrivare a risultati definitivi. Le ricerche di Tomlison et al. (1970), Tatemichi et al (1994) e Pohysvaara et al. (1997) hanno ipotizzato che la demenza vascolare sia determinata dalla quantità di materiale perso. In particolare, la perdita di volume di tessuto cerebrale maggiore di una soglia limite di 50-100ml conduceva invariabilmente al deterioramento cognitivo

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vascolare. Oltre a questo, ad essere importanti per il determinismo del deterioramento cognitivo vascolare da demenza multi-infartuale, risultano essere la sede dell’evento ischemico (Tatemichi et al., 1993; Pohysvaara et al., 1997), il volume di tessuto funzionalmente perduto (responsabile del processo di deafferentazione transcorticale, Mielke et al., 1992), l’età avanzata, la razza non-euroasiatica, la bassa scolarità, il diabete mellito, l’atrofia corticale preesistente (Loeb et al., 1992; Tatemichi et al., 1993; Gorelick, 1997) e le patologie concomitanti responsabili di ipossia/ipercapnia (Moroney et al., 1996; Chui, 2001).

DEMENZA DA INFARTI SINGOLI STRATEGICIE’ caratterizzata da piccole lesioni ischemiche, localizzate in aree corticali e

sottocorticali funzionalmente importanti; la sede della lesione spiega, inoltre, la presenza di danni cognitivi generalizzati, tali da potersi inquadrare nel concetto di deterioramento cognitivo/comportamentale vascolare diffuso.

DEMENZA IN CORSO DI MALATTIA DEI PICCOLI VASI

Le lesioni provocate dalla malattia dei piccoli vasi possono essere corticali o sottocorticali; queste ultime possono essere lacune, o alterazioni della sostanza bianca diffuse, che frequentemente si osservano anche in cervelli di soggetti anziani normali. Le manifestazioni cliniche della leucoencefalopatia senile possono essere comprese nella sindrome di deterioramento cognitivo sottocorticale, caratterizzata da disturbo di memoria, deficit delle funzioni esecutive e rallentamento psicomotorio e spesso accompagnata da alterazioni della personalità e del tono dell'umore. 1'eziologia della sindrome di demenza sottocorticale è varia e comprende diverse malattie che colpiscono i nuclei del talamo dorsomediale, il nucleo caudato, la corteccia frontale dorsolaterale, e le fibre bianche di connessione tra queste strutture. Gli stroke lacunari multipli (lacune) dei gangli della base possono presentarsi con il quadro di una paralisi pseudobulbare. Le lacune multiple della sostanza bianca frontale provocano una sindrome demenziale con prevalenti segni frontali e spesso è caratterizzata clinicamente da segni pseudobulbari, abulia, cambiamento di carattere e del tono dell'umore (agitazione, irritabilità, depressione, euforia), segni piramidali bilaterali, inattenzione, disturbo di memoria, rallentamento psicomotorio, e altri segni sottocorticali, come disturbo della marcia, incontinenza urinaria e segni parkinsoniani.

DEMENZA DA IPOPERFUSIONE

La demenza derivata da un’ipoperfusione cronica può conseguire a un'ischemia cerebrale globale, in genere secondaria ad arresto cardiaco o ad

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ipotensione profonda, o ancora ad un'ischemia localizzata in territori spartiacque, che comprendono la sostanza bianca periventricolare.

DEMENZA POST-EMORRAGICA

La demenza può essere conseguente a lesioni emorragiche, compresi l'ematoma subdurale cronico, le sequele di un'emorragia subaracnoidea, l'ematoma cerebrale (frequentemente associato nell'anziano ad angiopatia amiloidea), possono produrre una demenza vascolare.

ALTRI MECCANISMI

Una combinazione dei fattori sopra indicati, o qualche altro fattore non ancora conosciuto possono giocare un ruolo nella patogenesi della demenza vascolare.

Riassumendo, quindi, potremmo affermare che la demenza vascolare è ascrivibile a:

Fig. 32. Differenti etiologie del deterioramento cognitivo vascolare

Osservazioni recenti suggeriscono che le modalità di progressione del declino cognitivo nella demenza vascolare non sono uniformi, ma vi possono essere soggetti con un quadro clinico relativamente stabile per periodi molto

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lunghi (anche alcuni anni) nei quali l'evoluzione avviene con il caratteristico pattern a scalini, accanto a soggetti nei quali la progressione del quadro clinico è simile a quella che si riscontra nella malattia di Alzheimer (Nyenhuis e Gorelick, 1998).

La presenza della malattia cerebrovascolare è evidenziata dalla presenza di segni neurologici focali compatibili con uno stroke, con o senza una storia positiva per stroke. Oltre all'evidenza clinica di malattia cerebrovascolare, è necessario stabilire una relazione causale tra questa e la sindrome demenziale: il criterio più affidabile sembra essere l'associazione temporale tra i due disturbi (insorgenza della demenza entro 3 mesi dallo stroke) (Roman et al., 1993).

Per la diagnosi di demenza vascolare è necessario almeno un esame di neuroimaging cerebrale (Tomografia Computerizzata -TC - o Risonanza Magnetica - RM-). L'assenza di lesioni cerebrovascolari alla TC o alla RM è un' evidenza che tende a escludere l'eziologia vascolare della demenza secondo i criteri NINDS-AlREN.

Non ci sono immagini TC o RM patognomoniche per la demenza vascolare.

Perché si possano considerare indicativi di malattia cerebrovascolare, i reperti radiologici devono soddisfare dei valori minimi di gravità delle lesioni e avere una topografia definita.

Le lesioni della sostanza bianca periventricolare alla TC o alla RM, di per sé, non possono essere assunte come indici di malattia cerebrovascolare; per essere significative, devono essere estese e diffuse, e caratterizzate alla RM da un'iperintensità periventricolare irregolare sia in T1 che in T2, che si estende alla sostanza bianca profonda, ma risparmia le aree che non sono soggette al rischio di una insufficiente perfusione (ad esempio, le fibre a U sottocorticali, capsula estema-claustro-capsula estrema) (Frisoni, 1994).

Variazioni solo in T2 non sono considerate significative (Foster, 2003).

La prevalenza riportata per le alterazioni della sostanza bianca varia notevolmente; il CHS ha riportato una prevalenza di qualsiasi modificazione della sostanza bianca del 90% nei soggetti tra i 65 ed i 69 anni che aumenta fino al 98% nelle persone sopra gli 80 anni d’età (Longstreh et al., 1996; Salloway, 2003).

Perché si possano considerare indicativi di malattia cerebrovascolare, i reperti radiologici devono soddisfare dei valori minimi di gravità delle lesioni e avere una topografia definita.

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Fig. 33. Criteri neuro-radiologici di supporto e di notevole importanza clinica per la diagnosi di VaD

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DEMENZA VASCOLARE MULTI-INFARTUALE

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello, Cristina Vilotti Clinica Neurologica, Università di Trieste

L’associazione tra ictus e demenza è frequente e viene diagnosticata in due condizioni cliniche: nel corso dell'iter diagnostico di pazienti afferenti ad una centro di valutazione dei disturbi cognitivi, o nel corso del follow-up di pazienti affetti da ictus.

I termini "demenza vascolare" e "demenza post-stroke" vengono utilizzati per designare queste due situazioni cliniche. Il termine demenza post-stroke include qualunque tipo di demenza comparsa dopo un ictus, a prescindere dalla causa (Leys e Pasquier, 2000).

I tassi di prevalenza della demenza poststroke variano dal 13% (Censori et al., 1996) al 31.8% (Pohyasvaara et al., 1997) a 3 mesi, ma un tasso di prevalenza pari al 32.0% è stato rilevato 5 anni dopo l'ictus (Bornstein et al., 1996). La prevalenza della demenza è superiore nei pazienti sopravvissuti ad un ictus rispetto ai soggetti controllo (Censori et al., 1996, Pohyasvaara et al., 1997). Tuttavia, la ricerca sistematica di una demenza preesistente nei pazienti affetti da ictus rivela che il 16% dei pazienti di età superiore ai 40 anni era portatore di demenza prima dell'ictus (Hénon et al., 1997). Pertanto, una demenza preesistente può rendere conto di alcune demenze diagnosticate dopo un ictus.

Un quarto dei pazienti affetti da ictus sviluppa una demenza "de novo" un anno dopo l'ictus (Andersen et al., 1996). Il rischio relativo di demenza "de novo" è pari a 5.5 entro 4 anni (Tatemichi et al., 1994b). Un terzo dei pazienti affetti da demenza post-stroke presenta un declino cognitivo preesistente (Pohyasvaara et al., 1997).

Fig. 34. Territori arteriosi coinvolti in ictus, Lausanne Stroke Registry

Territorio arterioso N %

Cerebrale media completa 387 10.2

Cerebrale media anteriore 549 14.4

Cerebrale media posteriore 377 9.9

Giunzionali 93 2.4

Cerebrale anteriore 60 1.6

Cerebrale posteriore 231 6.1

Subcorticali 927 24.4

Talamo 186 4.9

Tronco encefalico 486 12.8

Cervelletto 147 3.9

Plurimi foci corticali 146 3.8

Molteplici foci vertebrobasali 104 2.7

Molteplici foci sottocorticali 110 2.9

Totale 3803 100

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Fig. 35. Diagramma dei rami arteriosi principali dell’arteria cerebrale anteriore: 1. orbitofrontale, 2. frontopolare, 3. antero-interno frontale, 4. infero-mediale frontale, 5 postero interna frontale, 6. paracentrale, 7. precuneale, 8. prietooccipitale, 9. callosomarginale, 10.postero-pericallosale (Modificato da Erkinjuntti e Gauhtier, 2002).

Fig. 36. Territori corticali dei 12 rami della cerebrale media

(Modificato da Erkinjuntti e Gauhtier, 2002).

Fig. 37. Diagramma dei segmenti di irrorazione della cerebrale media (Modificato da Erkinjuntti e Gauhtier, 2002).

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Demenza vascolare multi-infartuale 63

Uno studio sulla demenza nei pazienti con ictus, condotto sulla popolazione (Kokmen et al., 1996), ha mostrato che !'incidenza cumulativa di demenza post-stroke passa dal 7% al 48 %, rispettivamente ad un anno e a 25 anni dall’evento ictale (Kokmen et al., 1996), mentre nello stesso periodo l'incidenza di Alzheimer raddoppia nei pazienti con ictus (Kokmen et al., 1996). L'atrofia del lobo temporale mediale è più frequente nei pazienti affetti da ictus e da demenza pregressa (Hénon e coll., 1998), il che conduce all'ipotesi che molte demenze post-stroke siano dovute a un morbo di Alzheimer (Hénon e coll., 1998).

Fig. 38. Percentuali (%) di liberi da demenza in pazienti con ictus con e senza atrofia medio-temporale (MTLA) (Chui, 2003)

Le caratteristiche dell'ictus associate ad un aumentato rischio di demenza post-stroke sono l'origine lacunare e la localizzazione sinistra della lesione (Tatemichi et al., 1993). Una sindrome dell'emisfero maggiore è un fattore predittivo, significativo ed indipendente, di demenza post-stroke (Tatemichi et al., 1993; Censori et al., 1996; Pohyasvaara et al., 1997).

Il volume del tessuto funzionale perso è importante in quanto comprende l'effetto di deafferentazione corticale (Mielke et al., 1992). L'età avanzata (Tatemichi et al., 1993), il basso livello educativo (Tatemichi et al., 1993; Gorelick et al., 1997), il diabete mellito, l'atrofia corticale (Tatemichi et al., 1990; Loeb et al., 1992) e le patologie concomitanti responsabili di ipossia (Moroney et al., 1996) sono associati ad un alto rischio di demenza post-stroke (Tatemichi et al., 1993).

È stata osservata una riduzione significativa dei tassi di sopravvivenza nei pazienti con ictus e demenza post-stroke (Tatemichi et al. 1994a). La demenza diagnosticata 3 mesi dopo l'ictus è associata a un aumentato rischio di recidiva di ictus (Moroney et al., 1997).

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La demenza è sicuramente dovuta a un ictus quando:

i pazienti affetti da ictus diventano dementi dopo l'ictus; le funzioni cognitive dei pazienti sono riferite normali prima dell'ictus, sono state interessate immediatamente dopo l’evento ictale, e non peggiorano col tempo; le lesioni sono localizzate in aree strategiche; è dimostrata l'esistenza di una patologia vascolare specifica come causa della demenza (Leys e Pasquier, 2000).

La comparsa di una demenza multi-infartuale dipende essenzialmente dal volume totale degli infarti ed emorragie (Erkinjuntti et al., 1988; del Ser et al., 1990; De Carli, 2003), dal numero e dalla sede delle lesioni (De Reuck et al., 1981), ma dipenderebbe anche dalla presenza e dal volume dei danni ischemici perifocali (Brun e Englund, 1997; DeCarli, 2003).

Fig. 39. Necrosi coagulativa del ponte, con riassorbimento laterale

Fig 40. Necrosi coagulativa nel distretto di irrorazione della cerebrale media di sinistra.

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Demenza vascolare multi-infartuale 65

Fig. 41. Eventi ischemici devastanti e massivi; l’occlusione della carotide (in alto a sinistra) non è stato compatibile con la sopravvivenza. Quello della cerebrale media (in alto a

destra) è residuato in una demenza post-infartuali.

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DEMENZA DA SINGOLI INFARTI STRATEGICI

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello Clinica Neurologica, Università di Trieste

La comparsa di una demenza dipende essenzialmente dal volume totale degli infarti ed emorragie (Erkinjuntti et al., 1988; del Ser et al., 1990; De Carli, 2003), dal numero e dalla sede delle lesioni (De Reuck et al., 1981), ma dipenderebbe anche dalla presenza e dal volume dei danni ischemici perifocali (Brun e Englund, 1997; DeCarli, 2003).

Tuttavia, si è reso evidente che ciascuna delle seguenti localizzazioni corticali è stata associata ad anomalie neuropsicologiche con demenza:

infarti del giro angolare sinistro (Benson et al., 1982) infarti del giro angolare emisferico destro (DeCarli,

2003)infarti temporali inferomesiali (Ott e Saver, 1993) infarti frontali mesiali (Alexander e Freeman, 1984;

Damasio et al., 1987; Sawada e Kazui, 1995).

Una demenza è stata segnalata negli infarti delle seguenti aree sottocorticali:

talamo (Graff-Radford et al., 1990; Barth et al., 1995) ginocchio capsulare sinistro (Pullicino e Hart, 2001) nuclei caudati (Bhatia e Marsden, 1994; Mendez et

al., 1990).

Queste lesioni ictali sono di per sé causa necessaria e sufficiente per determinare un deterioramento cognitivo vascolare. I danni a livello delle strutture citate diventano uno strumento di interruzione dei loops cortico-sottocorticali fondamentali per il sistema di correzione, scelta e verifica degli atti motori, cognitivi, semantici e linguistici.

Queste situazioni non sono molto frequenti, anche perché la distribuzione e l’irrorazione vascolare dei territori ganglionari basali sono particolarmente polivalenti.

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Demenza da singoli infarti strategici 67

Fig. 42. Schema della vascolarizzazione ganglionare basale (da Ginsberg e Bogousslavsky, 1998)

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Moretti, Torre, Antonello 68

Nuclei anteriori Sindrome comportamentale anteriore AmnesiaApatia ed altre alterazioni comportamentali Afasia Nuclei paramediani Perdita di iniziativa e di istinto esplorativo Mutismo acinetico AmnesiaAfasia Disinibizione Comportamento di utilizzo Alterazione frontale con episodi di delirium PsicosiSindrome di Kluver Bucy Alterazioni sensoriali (tattile, olfattiva e gustativa) Nuclei laterali Disesecutività Afasia Aprassia Nuclei posteriori Nelgect (motorio/spaziale) Afasia

Fig. 43. Sinopsi delle alterazioni cognitive/comportamentali segnalate nelle alterazioni ictali nei nuclei talamici/ganglionari basali

Fig. 44. Caso di ischemia dei nuclei anteriori

Il caso sopra riportato ha dimostrato un caso della cosiddetta sindrome comportamentale anteriore: essa si presenta con un atteggiamento perseverativi, sia del pensiero che della parola, con grossolane alterazioni semantiche e pensieri interferenziali. Si rendono ancor più evidenti le perseverazioni nei test di funzionalità motoria, con frequenti fenomeni del closing-in, specie nella copia di spirali.

Si rende evidente il fenomeno di palipsichismo, tendenza alla perseverazione di pensieri, super-imposti al pensiero dominante indotto

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Demenza da singoli infarti strategici 69

dall’esaminatore. Un esempio lo riportiamo qui sotto, tratto da Ginsberg e Bogousslavsky, 1998.

Fig. 45. Al paziente suddescritto viene richiesto di disegnare un elefante, poi una giraffa. Si rende evidente l’atteggiamento perseverativo

Fig. 46. Infarto dei nuclei posteriori destri

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Moretti, Torre, Antonello 70

Fig. 47. Infarti bi-putaminali

Il quadro infartuale dei nuclei posteriori è raro. I segni più frequenti dell’infarto putaminale sono queli di un’ipoestesia controlaterale, associati ad un’anopsia settoriale omonima, con neglect al doppio stimolo ed afasia, oltre che quadri di una severa amnesia anterograda, specie per materiale verbale, proprio per un’alterazione ippocampale e/o del giro paraippocampale.

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DETERORAMENTO COGNITIVO VASCOLARE SOTTOCORTICALE

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello, Cristina Vilotti,Clinica Neurologica, Università di Trieste

La demenza vascolare include vari meccanismi vascolari e lesioni cerebrali, e riconosce varie cause e manifestazioni cliniche (Erkinjuntti e Hachinski, 1993; Chui, 1998; Erkinjuntti, 1999). Pertanto, la patogenesi delle demenze vascolari comprende varie interazioni tra eziologie vascolari (disturbi cerebrovascolari e fattori di rischio vascolare), lesioni cerebrali (infarti, lesioni della sostanza bianca, atrofia), fattori legati all'ospite (età, livello educativo) e abilità cognitive estrinsecate (Erkinjuntti, 2000). Dati clinici, patologici e radiologici indicano oggi la necessità di una revisione del concetto di demenza vascolare inteso come un'unica entità nosologica. Mentre un tempo si tendeva a considerare la demenza vascolare come un'unica entità clinica e patogenetica, più recentemente ne è stata sottolineata l'eterogeneità per la possibilità di più forme, differenziate per tipo, sede, numero e meccanismo di lesione (Wallin e Blennow, 1993).

Abbiamo già sottolineato in precedenza che, a seconda delle sedi delle lesioni patologiche, possono essere individuate varie forme di deterioramento cognitivo su base vascolare, determinati da meccanismi patogenetici molto diversi (Inzitari et al., 1999). Poiché il complesso patogenetico della demenza vascolare non è ancora completamente chiarito, una classificazione che tenga conto delle lesioni neuropatologiche riscontrate appare al momento la più corretta e utile.

Nelle forme sottocorticali, la localizzazione delle lesioni vascolari è per definizione a livello della sostanza bianca sottocorticale degli emisferi cerebrali, in assenza di danno corticale. Secondo l'ICD-10 per la diagnosi di demenza vascolare sottocortica è obbligatoria la storia di ipertensione arteriosa, che peraltro è stata smentita da studi successivi (vedi oltre).

La maggior parte degli studi è concorde nel trovare un'associazione tra la demenza sottocorticale e l'età avanzata (Pantoni et al., 1995): l’incedere dell’età è universalmente considerato, perciò, come il primo fattore di rischio del deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale.

Il secondo fattore di rischio in ordine di frequenza è rappresentato dall'ipertensione arteriosa, per il noto danno endoteliale e dei piccoli vasi perforanti che ad esso è irrimediabilmente correlato. Tuttavia, sembrano emergere importanti fattori di rischio per lo sviluppo di deterioramento cognitivo vascolare. Infatti, tenendo conto della fisiologia del meccanismo di autoregolazione cerebrale, sembra emergere un dato univoco, che cioè valori di pressione sistolica costantemente inferiori ai 130 mmHg, e/o alterazione della

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cinetica miocardia, o stati di bassa perfusione, come nello stato post-by pass aorto-coronarico (Zuccalà et al., 2001) associati anche ad una disfunzione ventricolare sinistra (Pullicino e Hart, 2001), sono invariabilmente associati ad un’importante ischemia cronica sottocorticale. Uno dei fattori predisponenti al peggioramento del deterioramento cognitivo in pazienti con un pregresso ictus è l’potensione cronica e l’ipotensione ortostatica (Barba et al. 2000; Desmond et al., 2000).

È importante sottolineare, che alcuni studi hanno evidenziato, nei soggetti con lesioni diffuse ed estese della sostanza bianca, più che una ipertensione persistente, una deregolazione della pressione arteriosa sistemica, caratterizzata da oscillazioni marcate e fasi di ipotensione (Chamorro et al., 1997). In questi pazienti è stata anche osservata una modificazione del ritmo circadiano della pressione arteriosa, con la perdita del fisiologico calo pressorio durante le ore notturne (Tohgi et al., 1991). Interessanti a questo proposito le conclusioni di uno studio recente (Posner et al., 2002): in confronto con individui sani, senza ipertensione o patologia cardiovascolare, quelli con malattia cardiovascolare isolata, o con ipertensione isolata non hanno un rischio maggiore di sviluppare deterioramento cognitivo vascolare. Una debole relazione, in questo studio (Posner et al., 2002) è stata trovata tra un valore diastolico superiore a 110 mmHg e l’aumento di incidenza di deterioramento cognitivo vascolare, sensu lato.

Fig.48. Diagramma delle variazioni pressorie in un soggetto anziano sano (in alto a sinistra) e in un paziente con deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale (in alto a

destra) (da Salloway, 2003)

Un altro fattore di rischio frequentemente associato con la leucoaraiosi, e quindi, per inferenza, con la demenza vascolare sottocorticale, è rappresentato dalle malattie cardiache, specialmente quelle da diminuita gittata sistolica (pregresso infarto del miocardio, aritmie, valvulopatie); inoltre, l’evoluzione del deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale è determinato dai livelli basali di empasse cognitivo-comportamentale e dall’occorrenza di nuovi fatti cerebro-cardio-vascolari.

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Il ruolo del diabete mellito sembra essere più limitato, ma non completamente valutato è il peso dell'interazione tra diabete e ipertensione arteriosa. Uno studio condotto dal gruppo di MacKnight (MacKnight et al., 2002) ha messo in evidenza che vi era un aumento dell’incidenza di deterioramento cognitivo vascolare sensu lato in pazienti diabetici, mentre tale relazione non si osservava con un eventuale aumento di incidenza di nuovi casi di AD. Il dato trova conferma in un altro studio condotto da Hassing et al. (2002).

L'importanza di altri fattori di rischio vascolare (iperlipidemia, fumo di sigaretta, disturbi della coagulazione) rimane ancora da definire.

Infine, è opportuno ricordare la possibile influenza di fattori genetici nel determinismo del deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale.

Una forma recentemente descritta di demenza vascolare sottocorticale su base genetica è quella indicata con l'acronimo CADASIL: Cerebral Autosomal Dominant Arteriopathy with Subcortical Infarcts and Leukoencephalopathy. Questa patologia è caratterizzata da una trasmissione di tipo autosomico dominante e, dal punto di vista clinico, da episodi ischemici ricorrenti sullo sfondo di un deterioramento cognitivo che progredisce fino alla demenza (Chabriat et al., 1995).

Dal punto di vista neuroradiologico, le alterazioni della sostanza bianca cerebrale sono molto simili a quelle che si riscontrano nei pazienti anziani e ipertesi, sebbene solitamente più gravi nei casi a piena espressività clinica. Nei casi avanzati le alterazioni si estendono a tutta la sostanza bianca sottocorticale con risparmio delle sole fibre ad U. Il difetto genetico è stato individuato sul cromosoma 19q12 (Tournier-Lasserve et al., 1993) ed individuato in un'alterazione del gene Notch3 (Joutel et al., 1996). Il ruolo che l'alterazione del gene Notch3 riveste nel determinare le tipiche lesioni patologiche del CADASIL resta tuttora da chiarire.

Il quadro neuropatologico è quello di una grave leucoencefalopatia con varia associazione di lesioni microinfartuali sottocorticali. I piccoli vasi parenchimali mostrano segni di una angiopatia non classificabile come arteriolosclerotica o amiloidea. Al microscopio elettronico è tipico il reperto di depositi elettrondensi a livello della membrana basale delle arteriole cerebrali, della cute e del muscolo striato scheletrico.

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Fig. 49. NMR encefalo in due pazienti con CADASIL lesioni visibili in T1 (in alto) e in T2 (in basso); da: Dichgans, M. et al., Quantitative MRI in CADASIL. Neurology 1999; 52:1361-1367.

Dalla sistematica eterogeneità riscontrata nella popolazione di pazienti selezionati con i criteri attualmente in uso, scaturisce la necessità di creare una sottoclassificazione.

Sia la demenza multi-infarto che la demenza infartuale strategica corrispondono ad eziologie, lesioni cerebrali e manifestazioni cliniche eterogenee. Al contrario, la demenza sottocorticale costituirebbe un gruppo più omogeneo, sia dal punto di vista clinico, che neuroradiologico, che anatomo-patologico (Wallin e Blennow, 1994; Molnar et al, 1999; Erkinjuntti et al, 2000).

MODIFICAZIONI DEI CRITERI NINDS-AIREN PER LA RICERCA DI NUOVI CRITERI PER LA DEMENZA VASCOLARE

SOTTOCORTICALEL'individuazione clinica di pazienti affetti da demenza vascolare

sottocorticale potrebbe essere basata su criteri modificati NINDS-AIREN di probabile demenza vascolare (Roman et al., 1993; Erkinjuntti, 2000). La principale modifica è dettata dall'eziologia e riguarda la "sindrome cognitiva" e "segni di malattia cerebrovascolare rilevante". La sindrome cognitiva include la sindrome disesecutiva ed alcuni disturbi della memoria che influenzano le attività quotidiane complesse. I segni di patologia cerebrovascolare rilevante comprendono criteri neuroradiologici dettagliati, nonché i segni neurologici e/o anamnestici di patologia cerebrovascolare.

La sindrome sottocorticale clinica è ancora scarsamente definita ed appare necessario raccogliere ulteriori dati empirici prima di poter utilizzare un criterio migliore. I criteri originali NINDS-AIREN di probabile demenza vascolare sottocorticale richiedevano anche una correlazione tra esordio della demenza ed esordio della patologia cerebrovascolare.

Nella demenza vascolare sottocorticale, l'esordio è spesso insidioso e una forte correlazione esiste già tra la sindrome cognitiva, gli aspetti neuroradiologici

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Deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale 75

e i segni di patologia cerebrovascolare. Pertanto, questo criterio verrà tralasciato nei criteri modificati di demenza vascolare sottocorticale.

I criteri includono anche alcune caratteristiche a favore della diagnosi di demenza vascolare sottocorticale e un elenco di caratteristiche che rendono la diagnosi di demenza vascolare sottocorticale incerta e poco probabile.

Fig. 50. Proposte di modificazione dei criteri diagnostici della demenza vascolare sottocorticale

Attualmente, i criteri clinici per la diagnosi di deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale sono i seguenti (Erkinjuntti et al., 1999; Erkinjuntti e Gauthier, 2002):

Sintomatologia cognitiva, che prevede un interessamento combinato dei seguenti aspetti

Sindrome dis-esecutiva: alterazioni della capacità di formulazione di piani e di progetti, di organizzazione, di sequenziazione, di capacità esecutiva, di set-shifting e di mantenimento attentivo, capacità astrattiva

Alterazione mnesica (anche modesta): alterato recall, relativa preservazione del riconoscimento visivo, dimenticanze minori

che indichino il deterioramento da uno stato ante quam, che interferiscano con le normali attività esecutive del vivere quotidiano, che non siano limitate esclusvamente dalla malattia cerebrovascolare

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Sintomatologia cerebrovascolare, che prevede contemporaneamente:

evidenza di rilevanti alterazioni cerebrovascoalri identificabili al brain-imaging

presenza di segni neurologici o di dati anamnestici suggestivi per patologia cererbovascolare: emiparesi, paresi del faciale, segno del Babinski, alterazioni sensitive, disartria, alterazioni della marcia, segni extra-piramidali compatibili con la diagnosi di parkinsonismo

Elementi di supporto alla diagnosi di deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale sono:

episodi di coinvolgimento del I neurone di moto, testimoniati magari dalla sola asimmetria dei riflessi di stiramento muscolare, o da incoordinazione, p.es.

presenza di alterazioni della marcia (marcia a petits-pas, aprassia-atassica)

anamnesi per instabilità posturale, frequenti e non provocate cadute

alterazioni sfinteriche, tipo urgenza minzionale, o minzione imperiosa, non spiegate da patologie urinarie concomitanti

disartria, disfagia, segni extra-piramidali, quali ipocinesia o rigidità

modificazioni comportamentali e neuro-psichiche, quali depressione, cambiamenti caratteriali, incontinenza emotiva, bradipsichismo

Elementi che rendono incerta o improbabile la diagnosi di deterioramentocognitivo vascolare sottocorticale sono:

esordio improvviso di alterazioni mnesiche e progressiva involuzione della cognitività (tipo afasia transcorticale sensitiva), aprassia, agnosia, in assenza di lesioni focali cerebrali

assenza di rilevanti alterazioni in neuroimmagine.

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Deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale 77

I pazienti affetti da demenza vascolare sottocorticale presentano lesioni estese della sostanza bianca e multiple lacune sulle immagini neuroradiologiche,ma pochi episodi pregressi di ictus minori o di "multipli TIA" senza esito, e con discreti segni focali (slivellamento, riflessi asimmetrici, disturbi della deambulazione) all'esame obiettivo neurologico. Ciò sottolinea, con maggior forza, l'importanza dei criteri neuroradiologici nelle definizioni di demenza vascolare sottocorticale. Pertanto la selezione di pazienti con demenza vascolare sottocorticale deve essere basata sulle immagini neuroradiologiche in quanto sono il risultato più consistente e più idoneo all'uso multicentrico (Erkinjuntti e Gauthier, 2002).

I criteri basati sulle immagini cerebrali devono riflettere le principali lesioni (validità di costruzione) e le principali caratteristiche delle lesioni (validità di contenuto).

Nella demenza vascolare sottocorticale, le principali lesioni e le principali caratteristiche delle lesioni comprendono:

lesioni estese della sostanza bianca

infarti lacunari nella sostanza grigia e nelle strutture della sostanza bianca.

Pertanto, vengono esclusi i pazienti con infarti cortico-sottocorticali, emorragie e cause specifiche di lesioni della sostanza bianca. I criteri neuroradiologici devono coprire sia i casi con lesioni predominanti in sostanza bianca ("tipo Binswanger"), sia quelli con infarti lacunari predominati ("tipo stato lacunare") (Erkinjuntti, 2000).

La demenza vascolare sottocorticale ammette la malattia dei piccoli vasi quale principale eziologia vascolare, l'infarto lacunare e le lesioni della sostanza bianca quale principale tipo di lesioni cerebrali, la sede sottocorticale quale principale localizzazione delle lesioni e la sindrome sottocorticale quale principale manifestazione clinica.

La demenza sottocorticale comprende due “vecchie” entità cliniche: la "malattia di Binswanger" e lo "stato lacunare" (Erkinjuntti, 1987; Ishii et al., 1986; Babikian et al., 1987; Roman, 1987). Studi neuropatologici recenti suggeriscono invece che le forme più frequenti potrebbero essere quelle sottocorticali, legate alla patologia dei piccoli vasi e a meccanismi locali di ipoperfusione cerebrale (Brun, 1994; Esiri et al., 1997).

Nei casi di demenza vascolare sottocorticale il quadro neuropatologico si distingue per la varia associazione delle seguenti lesioni (Pantoni et al., 1996):

alterazioni della sostanza bianca periventricolare e dei centri semiovali caratterizzate da:

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Moretti, Torre, Antonello, Vilotti 78

diffusa rarefazione delle fibre mieliniche non associata a necrosi coagulativa (assenza di macrofagi)

vacuolizzazione causata da piccole aree di necrosi o da aumento di liquido nello spazio extracellulare

astrogliosi reattiva, con aumento del volume citoplasmatico e proliferazione dei processi astrocitari, visibili in parte con le normali colorazioni istologiche, più facilmente con tecniche specifiche immunoistochimiche (Glial Fibrillary Acidic Protein)

infarti lacunari di diametro inferiore a 1.5 cm

localizzati nelle sedi tipiche (gangli della base, capsula interna, talamo), ma anche eventualmente in altri distretti come la sostanza bianca sottocorticale

angiopatia delle piccole arterie (500 micron di diametro) e arteriole intraparenchimali

caratterizzata da perdita delle cellule muscolari lisce con deposizione di materiale ialino, fibroialino o lipidico nella tunica dei vasi.

Per tale motivo, Lamie (2002) ha tentato di dare una classificazione istopatologica delle lacune, in base alle dimensioni, alla sede e alla correlazione con la completezza o meno dell’evento ischemico generalizzato.

Sottotipi di lacune (Lammie, 2002) Tipo 1. cavità irregolare, da 1 a 20 mm di diametro, per lo più riscontrata

a livello di putamen, caudato, talamo, ponte, capsula iterna e sostanza bianca (correla con i piccoli infarti competi)

Tipo 1b. speculare al tipo 1 per forma, diametro e distribuzione, ma si rende meno evidente la necrosi, o selettiva solo per pochi elementi (correla con i

piccoli infarti incompleti)

Tipo 2. cavità con numerosi macrofagi e con depositi di emosiderina, residui di piccoli microinfarti emorragici o di piccole emorragie

Tipo 3. spazi perivascolari dilatati

Fig. 51. Criteri di classificazione lacunare secondo Lammie (2002)

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Deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale 79

Fig. 52. Lesioni della sostanza bianca diffusa, visibili alla NMR, in alto a sinistra. Nel mezzo, in basso, alterazione della parete delle arteriose della sostanza bianca.

In alto, a destra, anatomia patologica con profonda alterazione della sostanza bianca, associata ad un discreto

depauperamento corticale.

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IL CONTRIBUTO DELLA NEUROIMMAGINE NELDETERIORAMENTO COGNITIVO VASCOLARE

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello, Alessio Bratina, Maja Ukmar *

Clinica Neurologica, Università di Trieste * U.CO di Radiologia, Università di Trieste

Le tipiche alterazioni neuroradiologiche sono rappresentate alla Tomografia Computerizzata (TC) dell' encefalo da ipodensità diffusa e simmetrica delle regioni periventricolari e/o del centro semiovale (cosiddetta leucoaraiosi), spesso associata a piccole lesioni ipodense, rotonde od ovalari, a limiti netti (infarti lacunari), localizzate soprattutto nei gangli della base, nel talamo, nella sostanza bianca sottocorticale e nella capsula interna (Inzitari et al., 1999).

Alla Risonanza Magnetica (RM) le corrispondenti lesioni sono caratterizzate da aree di iperintensità nelle sequenze T2-pesate di estensione diversa, a volte discrete, in altri casi confluenti o addirittura diffuse, situate bilateralmente nella sostanza bianca sottocorticale. In associazione possono essere rilevate lesioni molto più piccole, rotonde od ovalari, a limiti netti, evidenti sia nelle sequenze T2-pesate che in densità protonica, localizzate nelle sedi tipiche e corrispondenti a infarti lacunari. È noto che la RM ha una sensibilità molto maggiore della TC per le lesioni della sostanza bianca.

D'altronde, a una maggiore sensibilità si associa una minore specificità in quanto non tutte le alterazioni di segnale evidenziate dalla RM possono essere considerate patologiche (Rezek et al., 1987; Pantoni e Garcia, 1995).

Aspetti tecnici innovativi, come ad esempio l'applicazione di particolari sequenze RM chiamate Fluid Attenuated Inversion Recovery (FLAIR), potrebbero portare in breve tempo a un sensibile miglioramento della specificità della RM. Inoltre, sia la TC che la RM possono rappresentare uno strumento per lo studio della progressione della malattia e un possibile ausilio per la valutazione dell'effetto di alcune misure preventive o terapeutiche. A tale riguardo è importante sottolineare come attualmente esista un gran numero di scale per la classificazione dei vari tipi e della gravità delle alterazioni della sostanza bianca (Scheltens et al., 1998).

Attualmente esistono dei criteri neuro-radiologici utilizzati nella pratica clinica per definire il quadro di deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale (Erkinjuntti et al., 1999; Erkinjuntti e Gauthier, 2002).

TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA

alterazione diffusa periventricolare e della sostanza bianca profonda

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Il contributo della neuroimmagine nel deterioramento cognitivo 81

alterazioni a spruzzo o diffuse e simmetriche di attenuato segnale (di densità intermedia tra la sostanza bianca normale e il liquor intraventricolare) a margini mal definiti, estendentisi fino al centro semiovale

almeno un infarto lacunare

INOLTRE

assenza di infarti corticali e/o cortico-sottocorticali non lacunari

infarti spartiacque

emorragie

segni di idrocefalo normoteso

cause note di alterazione della sostanza bianca (es. sclerosi multipla, sarcoidosi, encefalopatia post-attinica)

RISONANZA MAGNETICA

alterazione diffusa periventricolare e della sostanza bianca profonda

“caps”, estendentisi >10 mm in parallelo dai ventricoli

alterazioni di densità irregolari, estendentisi > 10 mm a margini irregolari, e approfondentisi nella sostanza bianca

iperintensità diffuse e confluenti > 25 mm, di forma irregolare,

alterazioni diffuse della sostanza bianca (con iperintensità diffusa, senza segni focali)

lacune nella grigia profonda

OPPURE

molteplici lacune > 5 mm, nella grigia profonda

almeno una modesta alterazione della sostanza bianca con “caps” o aloni irregolari

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Moretti, Torre, Antonello, Bratina, Ukmar 82

alterazioni iperintense della bianca

INOLTREassenza di infarti corticali e/o cortico-sottocorticali non

lacunari

infarti spartiacque

emorragie

segni di idrocefalo normoteso

cause note di alterazione della sostanza bianca (es. sclerosi multipla, sarcoidosi, encefalopatia post-attinica)

Molti sono gli studi effettuati per definire altre tecniche di ausilio nella diagnostica differenziale (Mendez et al., 1999), indubbiamente affascinanti, ma relativamente poco diffuse ed enormemente dispendiose. Un indubbio vantaggio, uniformemente riconosciuto, è l’acquisizione delle immagini inFLAIR-NMR. Come sotto dimostrato, l’acquisizione in FLAIR rende possibile la visibilità anticipata di piccole aree ischemiche, nettamente più precocemente che con le altre metodiche NMR.

Fig. 53. Risonanza Magnetica (FLAIR): infarto segnalato con freccia

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Il contributo della neuroimmagine nel deterioramento cognitivo 83

Ovviamente, valgono i criteri di classificazione delle demenze:

demenze da singoli infarti strategici (infarti del giro angolare sinistro (Benson et al., 1982); infarti del giro angolare emisferico destro (DeCarli, 2003); infarti temporali inferomesiali (Ott e Saver, 1993); infarti frontali mesiali (Alexander e Freeman, 1984; Damasio et al., 1987; Sawada e Kazui, 1995), talamo (Graff-Radford et al., 1990; Barth et al., 1995); ginocchio capsulare sinistro (Pullicino e Hart, 2001); nuclei caudati (Bhatia e Marsden, 1994; Mendez et al., 1990) )

demenze multi-infartuali demenze post-emorragiche demenze da bassa perfusione demenze sottocorticali

Fig. 54. NMR encefalo; lesione del giro angolare sinistro

Sindrome del giro angolare sinistro:1. Alessia con agrafia 2. Afasia fluente 3. Sindrome di Gerstmann 4. Aprassia costruttiva 5. Disturbo soggettivo di memoria e di apprendimento verbale

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Moretti, Torre, Antonello, Bratina, Ukmar 84

6. Depressione situazionale

Fig. 55. Infarto bitalamico paramediano

Fig. 56. NMR FLAIR a: esteso infarto temporale; b. Infarto dello striato (caudato e putamen); c. Infarto spartiacque; d. Lesioni iperintense confluenti circostanti; e. Lesioni

confluenti profonde della sostanza bianca periventricolare

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Il contributo della neuroimmagine nel deterioramento cognitivo 85

Fig. 57. Demenza multi-infartuale

Fig. 58. Encefalopatia vascolare sottocorticale

Fig. 59. Encefalopatia vascolare sottocorticale

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Moretti, Torre, Antonello, Bratina, Ukmar 86

Fig. 60. Differenze di neuroimmagine fra spazi perivascolari dilatati e lacune

Fig. 61. Correlazione tra neuroimagine e reperto anatomo-patologico

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Il contributo della neuroimmagine nel deterioramento cognitivo 87

Fig. 62. L'indagine scintigrafica mostra ipoperfusione in sede temporo-parietale-occipitale sinistra. Sindrome di Balint

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NEUROPSICOLOGIADEL DETERIORAMENTO COGNITIVO VASCOLARE

Rita Moretti, Paola Torre

Clinica Neurologica, Università di Trieste

Nella demenza vascolare sottocorticale, in associazione al deficit cognitivo, possono essere frequentemente osservati disturbi motori caratteristici: frequente è la cosiddetta aprassia della marcia, che è conseguente ad un'alterazione dello schema motorio della deambulazione ed è contraddistinta da rallentamento della deambulazione, allargamento della base d'appoggio, marcia a piccoli passi, ecc. Possono inoltre essere presenti deficit focali di forza, disartria, disfagia, tremore, rigidità, distonie. Frequenti sono anche i disturbi vescicali, in genere incontinenza o minzione imperiosa (Inzitari et al., 1999).

Le lesioni ischemiche della demenza vascolare colpiscono essenzialmente il circuito sottocorticale prefrontale, il che spiega le principali caratteristiche neurologiche cognitive, comportamentali e cliniche. I circuiti ad essere maggiormente interessati sono quelli prefrontali e frontali (Cummings 1993). Tre di questi circuiti, che connettono in parallelo, rispettivamente, la corteccia prefrontale dorsolaterale, la corteccia orbitofrontale e il cingolo anteriore con alcune delle strutture nucleari sottocorticali (caudato, accumbens, globo pallido, talamo), potrebbero essere particolarmente rilevanti ai fini del quadro clinico. Lesioni del caudato possono portare alla cosiddetta sindrome comportamentale anteriore: essa si presenta con un atteggiamento perseverativi, sia del pensiero che della parola, con grossolane alterazioni semantiche e pensieri interferenziali. Si rendono ancor più evidenti le perseverazioni nei test di funzionalità motoria, con frequenti fenomeni del closing-in, specie nella copia di spirali. Si rende chiaro il fenomeno di palipsichismo, con tendenza alla perseverazione di pensieri, super-imposti al pensiero dominante indotto dall’esaminatore.

Il circuito a partenza dalla corteccia prefrontale dorso laterale sembra maggiormente implicato nei disturbi dell'umore. Quello a partenza dalla corteccia orbitofrontale potrebbe essere coinvolto nei disturbi della personalità, soprattutto irritabilità e disinibizione, mentre l'apatia sarebbe spiegata da un'alterazione della via cingolosottocorticale. Il circuito corticosottocorticale a partenza prefrontale dorso laterale ha anche la. funzione di mediare il richiamo alla memoria di nozioni precedentemente apprese: sarebbero proprio le lesioni di tale struttura a produrre il deficit selettivo del richiamo con acquisizione relativamente conservata (Cummings, 1993).

Non è il deficit di memoria l’alterazione cognitiva più significativa nel deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale. Più interessate sono le procedure dell'elaborazione cognitiva, la capacità di astrazione, la categorizzazione e la pianificazione, l'attenzione e la concentrazione. Infatti, è la sindrome disesecutiva il cardine sintomatologico di questa realtà (McPherson et al. 1996; Looi et al., 1999). Il deficit mnesico, a differenza di quello tipico delle

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Neuropsicologia del deterioramento cognitivo vascolare 89

forme degenerative primarie tipo Alzheimer, è più evidente nel richiamo di nozioni precedentemente apprese che nell' acquisizione di nuove informazioni (Cannatà et al., 2002). Molto importante, a tal fine è il lavoro di Traykov et al. (2002): i pazienti con deterioramento cognitivo vascolare manifestano un recall libero ed indotto meglio preservato dei controlli AD, ma manifestano un più alto numero di perseverazioni e di alterazioni del set-shifting, rispetto ai pazienti con AD, alterazioni facilemente ascrivibili ad alterazioni dei circuiti frontali sottocorticali.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

language

memory span

verbal memory

visual memory

abstraction

calculation

executive f.

apraxia

working memory

motor speedness

orientation

perceptual abilities

VaD<AD VaD=AD VaD>AD

Fig. 63. Differenze cognitive tra AD e VaD (Looi and Sachdev, 1999)

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Moretti, Torre 90

Fig. 64. Differenze delle prestazioni cognitive in controlli, AD e VaD

Molto evidente, proprio in quest’ottica l’aspetto cognitivo-comportamentale, caratterizzato dalla perdita di interessi, dal ritiro sociale e dall’assoluta apatia ed abulia cognitiva. Accanto a questo vi è una prolungata latenza nei tempi di risposta a domande o a comandi, che spesso, ad un osservatore impaziente e distratto, possono far ipotizzare un danno cognitivo ben maggiore di quello effettivo (Cummings, 1984; Cummings, 1993). Dal momento che i lobi frontali sono precipuamente coinvolti nella demenza sottocorticale, ciò può giustificare la presenza della perdita delle funzioni esecutive e la coesistenza di alcuni aspetti delle alterazioni comportamentali. Queste ultime rivestono una particolare ed altissima importanza, dato che sono esse stesse (e non la perdita cognitiva) la causa dell’istituzionalizzazione dei pazienti con deterioramento cognitivo.

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Neuropsicologia del deterioramento cognitivo vascolare 91

Fig. 65. Corteccia paralimbica, che include l’ippocampo, a corteccia olfattiva, la corteccia caudale orbito-frontale, l’insula, il polo temporale, la circonvoluzione ippocampica, la corteccia cingolata, l’ipotalamo e i nuclei talamici, coinvolti nel deterioramento cognitivo

vascolare sottocorticale

(Modificato da Coffey e Cummings, 2001)

Partendo dai presupposti della Letteratura (Devanand et al., 1989; Coccaro et al., 1990; Schneider et al., 1990; Terry et al., 2000) e dal fatto che alterazioni comportamentali si manifestano costantemente nelle varie forme di demenza vascolare, durante la loro evoluzione, abbiamo presentato uno studio (Moretti et al. 2006), concernente 125 pazienti (62–85 anni) per 24 mesi, e li abbiamo distinti per due tipologie diagnostiche:

Deterioramento vascolare- sottocorticale (gruppo A);Deterioramento vascolare- multi-infartuale (gruppo B).

I soggetti, uomini e donne di età compresa tra i 65–80 anni, mostravano un Mini-Mental State Examination (MMSE) di almeno 14, e rientravano nei criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV) per il deterioramento cognitivo. I soggetti rientravano anche nei criteri NINDS-AIREN (Roman et al, 1993).

Il Gruppo A (deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale) presentava al momento della diagnosi depressione (63%), ansia (49%) e agitazione (48%);

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Moretti, Torre 92

in particolare, uno dei sintomi più frequenti di presentazione era la somatizzazione, con crisi cefalalgiche, dolori addominali sine materia, o dolori articolari continui e costanti. Durante il follow-up i disturbi comportamentali si modificavano nella seguente misura: i pazienti sviluppavano apatia (67%), abulia cognitiva (53%), ritiro sociale (43%), deliri (23%), craving per carboidrati (22%) e sundowning (25%).

Il Gruppo B (deterioramento multi-infartuale) mostrava inizialmente una perdita di interessi (64%), incontinenza emotiva (57%), depressione e crisi di pianto (52%), ansia (47%), agitazione (41%), e irritabilità (37%). Gradualmente i pazienti presentavano: depressione (51%), deliri (47%), allucinazioni (44%), craving o modificazioni dietetiche monotematiche (39%), apatia (38%), perdita di awareness (23%)

Gruppo A Gruppo B

Baseline 24 mesi Baseline 24 mesi

RSS 39.12 ± 8.55 29.5 ± 7.28 (p 0.05) 44.72 ± 8.74 26.75 ± 8.14 (p 0.01)NPI 14.87 ± 1.95 14.87 ±1.95 (ns) 33.37 ± 14.95 22 ± 9.24 (p 0.01) CIR 3 ± 0.75 1.62 ± 0.74 (p 0.01) 2 ± 0.63 1.31 ± 0.94 (p 0.05)

Cornell 16.5 ± 3.58 9.87 ± 3.58 (ns) 15.31 ± 2.7 7.56 ± 2.55 (p 0.01) BEHAVE

15.13 ± 3.82 9.63 ± 3.29(p 0.05) 14.06 ± 4.49 9.44 ± 2.75 (p 0.05)

I risultati potevano distinguersi così: 1. entrambi i gruppi presentavano depressione (16.5 ± 3.58 nel

gruppo A e 15.31 ± 2.7 nel gruppo B). Quantitativamente la differenza non risultava statisticamente significativa, secondo gli scores della Cornell’ Depression Scale.

2. già dall’inizio, tuttavia, le differenze nella presentazione erano le seguenti:

Gruppo A Gruppo B

Depressione 63% 52%

Somatizzazione 52% 12%

Ansia libera 49% 47%

Agitazione psicomotoria 13% 41%

Apatia 25% 12%

Abulia cognitiva 24% 11%

Ritiro sociale 26% 14%

Perdita di insight /awareness 22% 6%

Ideazioni suicidarie 6% 11%

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Neuropsicologia del deterioramento cognitivo vascolare 93

3. con il follow-up, la situazione diveniva ancora più chiara e, sorprendentemente, diversificata:

Gruppo A Gruppo B

Depressione 34% 51%

Somatizzazione 52% 15%

Ansia libera 52% 44%

Agitazione psicomotoria 10% 45%

Apatia 67% 38%

Abulia cognitiva 53% 11%

Ritiro sociale 43% 14%

Deliri 23% 47%

Allucinazioni 13% 44%

Craving per carboidrati 22% 39%

Sundowning 25% 30%

Perdita di insight /awareness 32% 23%

Ideazioni suicidarie 2% 12%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

depressionesom

atizzazioneansia

liberaagitazioneapatiaabuliaritirodeliriallucinazionicravingsundow

ningperdita

insightideazioni suic.

Differenze a 24 mesi tra i due gruppi

gruppo A

gruppo B

Vi era pertanto, nel gruppo A una diminuzione della depressione, sensu lato del 29% (p<0.01, sec. Wilcoxon signed Rank test), dell’agitazione del 3% (ns) e dell’ideazione suicidaria del 4% (p<0.05). Vi era un aumento dell’ansia libera del 3% (ns), dell’apatia del 42% (p<0.01), dell’abulia cognitiva del 29% (p<0.01), dell’istinto al ritiro sociale del 17% (p<0.01) e della perdita dell’insight e

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Moretti, Torre 94

dell’awareness del 10% (p<0.05). Vi era la comparsa di deliri, specie di latrocinio, di nocumento e di Godot, di allucinazioni, in prevalenza visive, di craving per i carboidrati, della sindrome di sundowning. Vi era una sostanziale stabilizzazione delle somatizzazioni.

Nel gruppo B vi era una diminuzione della depressione, sensu lato dll’1% (ns), dell’ansia libera del 3% (ns), dell’agitazione psicomotoria del 2% (ns). Vi era un incremento delle somatizzazioni del 3% (ns), dell’apatia del 26% (p<0.01) e delle ideazioni suicidarie dell’1% (ns). Vi era la comparsa di deliri, specie di latrocinio, di Fregoli, di Capgras e di Godot, di allucinazioni, specie visive, di craving per i carboidrati, della sindrome di sundowning. Vi era una sostanziale stabilizzazione dell’abulia cognitiva e del ritiro sociale.

Confrontate le due popolazioni a 24 mesi, si poteva osservare che vi era una differenza between groups, che si poteva riassumere così:

Il gruppo A presentava minore depressione (p<0.01), meno agitazione psicomotoria (p<0.01), meno deliri (p<0.01), meno allucinazioni (p<0.01), meno craving per i carboidrati (p<0.01), minor perdita dell’insight e dell’awareness (p<0.05) e meno ideazioni suicidarie (p<0.01) rispetto al gruppo B.

Il Gruppo A presentava più somatizzazioni (p<0.01), più ansia libera (p<0.05), più apatia (p<0.01), più abulia cognitiva (p<0.01), più ritiro sociale (p<0.01), rispetto al gruppo B.

Non vi era differenza tra i due gruppi nella frequenza di presentazione del sundowning.

Tali differenze possono essere una base di supporto ragionevole per definire una volta di più che le differenze etio-patogeniche che sottendono le due forme di demenza (quella multi-infartuale e quella sottocorticale) sono più che reali e possono offrire la spiegazione delle differenti risposte al trattamento farmacologico che questi pazienti hanno dimostrato.

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CASI CLINICI

Rita Moretti, Paola Torre, Cristina Vilotti, Rodolfo M. Antonello Clinica Neurologica, Università di Trieste

Molti anni fu detto da un celeberrimo scienziato: “Si dice in giro che il concetto di demenza vascolare abbia una ricca storia, un presente confuso e tormentato, e un futuro del tutto incerto”.

Il paradosso, citato per un amabile gusto della celia, è una profonda realtà. Un mondo che sembrava essere completamente esplorato, quello della

patologia vascolare, si è offerto negli ultimi anni all’attenzione degli scienziati, per dare di sé un’idea affatto diversa. Anch’esso può sottendere realtà inaspettate e sorprendenti. La degenerazione, di cui il prototipo nosografico è la malattia di Alzheimer, non esisterebbe per sé, ma sarebbe sottesa da un meccanismo di perfusione deficitario. Dal che ne deriva, come direbbero (e dicono!) alcuni, che la malattia di Alzheimer sia il sottoprodotto di un deterioramento vascolare.

Gli attuali canoni clinici per la diagnosi di demenza tipo VaD sono criticabili perché si basano essenzialmente sul deterioramento cognitivo tipico della AD, mentre il declino cognitivo della VaD può avere un pattem molto diverso (Bowler e Hachinski, 1995). Inoltre, gli attuali criteri diagnostici per la VaD consentirebbero la diagnosi di demenza solo nella fase molto avanzata della malattia, quando il danno cerebrale è ormai molto esteso e assai poco si può fare per prevenire la compromissione cognitiva su base vascolare (Hachinski, 1997).

Tale situazione sottende una reale difficoltà diagnostica, in cui spesso i clinici si dibattono, nel tentativo di definire con correttezza il caso che affrontano.

Proponiamo una serie di casi clinici, che sono giunti alla nostra osservazione, creando, al momento della diagnosi, una difficoltà reale. Spesso, l’evolversi della situazione, la neuroimmagine, la neuropsicologia e/o la risposta farmacologica hanno fornito un chiarimento alla situazione.

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Moretti, Torre, Vilotti, Antonello 96

CASO 1

M.B. Soggetto di sesso femminile, di 73 anni. Destrimane, scolarità: diploma magistrale. Da due anni intolleranza glucidica. Ha sempre svolto una vita particolarmente attiva, anche perché ha seguito, fino al decesso il figlio, invalido fisico e psichico, e totalmente dipendente dai genitori. La morte del figlio si è verificata due anni prima della venuta della pz all’Ambulatorio Disturbi Cognitivi.

Non assume farmaci di alcun tipo. All’obiettività neurologica, si rendeva evidente una sfumata iporeflessività

degli achillei bilateralemente, con un’ipoestesia tatto-dolorifica dal malleolo in giù bilateralmente. All’obiettività generale, obesità di grado moderato. Normotesa. Per il resto, null’altro da segnalare.

Dal punto di vista cognitivo, emergeva un riferito calo della memoria a breve termine, spontaneamente accentuato, con una totale preservazione della critica e del giudizio. Modesta dis-esecutività. Emergeva un quadro importante di depressione (Hamilton per Ansia e Depressione= 23/55).

0

5

10

15

20

25

30

mmse TPCT linguaggio cir astrazione digit

Test Score Valori Normali MMSE 26/30 24-30/30

TPCT (numero corrette) 5/10 7/10 Linguaggio (BAT) parte

morfo-sintattica (numero errori)

2 4

CIR 0/8 0/8 Astrazione (risposte

corrette) 20/26 24/26

Digit span Forward 6 Sopra i 5 Hamilton Anxiety and

Depression 23/55 0-8

(MMSE=Mini Mental State Examination; TPCT=Ten Point Clock Test; BAT=Bilingual Aphaia Test; CIR= Clinical Insight Rating Scale; Astrazione e Digit Span Forward dal

Wechsler, Hamilton Anxiety and Depression)

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Casi clinici 97

Alla paziente venne iniziata una terapia antidepressiva (con Paroxetina, fino a 30 mg/die), minime dosi di benzodiazepine (con oxazepam, 15 mg/die), venne corretta l’iperglicemia e vennero richiesti una batteria di esami, laboratoristici e di neuroimmagine.

L’umore della paziente migliorò con lentezza. Dagli esami non emerse alcunché, eccezion fatta per un modico rialzo dell’emoglobina glicata (6.1), e una assoluta negatività della TAC encefalo.

A quattro mesi di distanza, non vi erano modificazioni di sorta, salvo una riduzione dell’Hamilton Anxiety and Depression, il cui score era ora di 15/55. Venne posta diagnosi di pseudodemenza depressiva. Si incrementò la dose della paroxetina, a 40 mg/die e si ridusse la terapia ansiolitica, a 5 mg/die alla sera (oxazepam).

Fig. 66. Caratteristiche di diagnosi differenziale tra demenza e pseudodemenza depressiva

Successivamente, nelle periodiche visite di follow-up, il quadro non si modificava in modo sostanziale. A fronte di una sostanziale sovrapposizione dell’obiettività neurologica e generale, vi era un decremento delle capacità esecutive, con una riduzione del punteggio al TPCT (3/10).

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Moretti, Torre, Vilotti, Antonello 98

Richiedemmo l’esecuzione allora, a otto mesi di distanza dalla prima visita, di una NMR encefalo.

I risultati hanno dimostrato un quadro di moderata ischemia cronica, vascolare sottocorticale.

Fig. 67. NMR encefalo: buffing in un quadro di moderata ischemia cronica sottocorticale, senza concomitante atrofia corticale.

LA nostra diagnosi si è modificata in VIND, vascular cognitive impairment no dementia. Nel giro dei successivi dodici mesi, il quadro si è “arricchito” di una reale sindrome dis-esecutiva, con una netta perdita delle capacità mnesiche

0 20 40 60 80 100

A visivocostruttive

F. esecutive

Ragionamento

Attenzione

Linguaggio

Memoria

Normalità

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Casi clinici 99

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

mmse TPCT linguaggio cir astrazione digit

Test Score Valori Normali MMSE 17/30 24-30/30

TPCT (numero corrette) 1/10 7/10 Linguaggio (BAT) parte

morfo-sintattica (numero errori)

4 4

CIR 2/8 0/8 Astrazione (risposte

corrette) 13/26 24/26

Digit span Forward 4 Sopra i 5 Hamilton Anxiety and

Depression 13/55 0-8

La TAC encefalo, eseguita in occasione di un ricovero in ambiente medico per un evento sincopale a un anno di distanza dalla NMR encefalo da noi richiesta, ha messo in evidenza un quadro in netta evoluzione. La paziente ha una diagnosi di demenza vascolare sottocorticale.

Fig. 68. TAC encefalo. Netta involuzione della ischemia cronica sottocorticale

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Moretti, Torre, Vilotti, Antonello 100

CASO 2

V.B. Soggetto di sesso maschile, di 74 anni. Destrimane, scolarità: III media. Da alcuni anni ipertensione arteriosa essenziale, insufficienza renale cronica lieve, deficit di vitamina B12, gammopatia monoclonale benigna, anemia sideropenica lieve. Il paziente viene inviato all’Ambulatorio Disturbi Cognitivi per la comparsa, durante il ricovero in ambiente medico, per un episodio di delirium.

Assume terapia con: gluconato ferroso, calcio antagonisti, un diuretico dell’ansa associato ad un diuretico risparmiatore di potassio. In occasione del ricovero, durante il quale vi era stato un focolaio broncopneumonico basale destro, è stato sottoposto a terapia antibiotica, con fluorochinolonici.

All’obiettività neurologica, si rendeva evidente una sfumata iporeflessività dei patellari e degli achillei bilateralemente, con un’ipoestesia tatto-dolorifica dalle spine iliache in giù bilateralmente. Si osservavano inoltre un moderato quadro di Gegenhalten, e di moderato deficit della sursumduzione bilaterale. All’obiettività generale, quadro di anemia moderata, con cute e mucose secche; turgore perimalleolare, improntabile. Epatomegalia e modestissima splenomegalia.

Dal punto di vista cognitivo, emergeva un quadro di delirium, con fluttuazioni importanti della vigilanza e delle prestazioni cognitive, con netto fenomeno del sundowning (cioè con un peggioramento della sintomatologia al calar della luminosità). Sospesa la terapia antibiotica, riequilibrato l’assetto metabolico, profondamente alterato, il quadro di delirium si risolse.

Il delirium, o stato confusionale acuto, è un disturbo dello stato di coscienza al quale si accompagna una ridotta capacità di focalizzare, spostare, o mantenere l’attenzione su una qualsiasi attività (American Psychiatric Association, 1994). Possono essere presenti alterazioni delle funzioni cognitive, quali deficit mnesici, disorientamento spazio-temporale, disturbi fasici, disturbi percettivi, con illusioni, allucinazioni fino alla configurazione di deliri. Elemento caratterizzante il delirium è l’andamento temporale, dal momento che la sintomatologia presenta un esordio acuto, un andamento fluttuante, con il possibile intercalarsi di intervalli di lucidità, ed una possibile restitutio ad itegrum (Inouye, 2000). Studi condotti su ampie casistiche hanno dimostrato che circa il 10% dei pazienti anziani presenta uno stato confusionale al momento dl ricovero in ospedale, e che il 15% lo sviluppa durante la degenza (Butch et al., 1999).

Esiste un sostanziale accordo sul fatto che il delirium sia causato da un’alterazione funzionale, con prevalente compromissione colinergica, ma l’etiologia è diversa. Almeno tre sono le categorie fondamentali del delirium: patologia organica, farmaci e sostanze tossiche e una sommatoria plurifattoriale.

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Casi clinici 101

Fig. 69. Sinopsi dei farmaci che possono essere causa di delirium

A tre mesi di distanza dalla risoluzione del delirium, il paziente, dimesso, si è recato in visita presso l’Ambulatorio Disturbi Cognitivi. I familiari riferivano una reazione paradossa alle benzodiazepine, prescritte dal medico curante, nell’ipotesi di un miglioramento del sonno notturno. Il medico curante ipotizzava una demenza vascolare, per i noti fattori di rischio. Gli era stata fatta eseguire una TAC encefalo, che rivelava una modesta leucoaraiosi.

I familiari avevano anche notato una scomposizione dei movimenti, con una netta bradicinesia, con tendenza alla perseverazione fasica e prassica, allucinazioni visive, specie nel pomeriggio e/o nella sera. A tratti emergevano deliri franchi, con ideazioni di nocumento e di sostituzione (tipoi Fregoli), specie al momento del risveglio da un sonnellino pomeridiano, con frammentazione del sonno notturno e microsonnie diurne.

Fig. 70. TAC encefalo fatta eseguire dal medico curante che rivela una modesta leucoaraiosi

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Moretti, Torre, Vilotti, Antonello 102

0

5

10

15

20

25

mmse TPCT linguaggio cir astrazione digit

Test Score Valori Normali MMSE 14/30 24-30/30

TPCT (numero corrette) 5/10 7/10 Linguaggio (BAT) parte

morfo-sintattica (numero errori)

2 4

CIR 4/8 0/8 Astrazione (risposte

corrette) 24/26 24/26

Digit span Forward 6 Sopra i 5 Hamilton Anxiety and

Depression 10/55 0-8

0 20 40 60 80 100

A visivocostruttive

F. esecutive

Ragionamento

Attenzione

Linguaggio

Memoria

Normalità

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Casi clinici 103

Fig. 71. Copia eseguita dal paziente, evidenziate in verde

Fig. 72. A fronte della disgregazione grafica, le funzioni esecutive erano discretamente mantenute

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Moretti, Torre, Vilotti, Antonello 104

Venne fatta eseguire una NMR encefalo, che ha confermato il nostro dubbio diagnostico: il paziente era affetto da una Demenza a Corpi di Lewy probabile (McKeith et al., 1996).

Fig. 73. NMR encefalo del paziente. Si conferma solo modestissima ischemia cronica sottocorticale e relativa atrofia corticale

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Casi clinici 105

CASO 3

D.DF. Soggetto di sesso maschile, di 69 anni. Destrimane, scolarità: diploma di Istituto Nautico. Dieci anni fa episodio di infarto miocardio acuto, trattato con rtPCA. Da allora ha assunto terapia con Beta-bloccanti, ACE-inibitori, ASA. DA un anno dislipidemia mista, per cui assumeva statine. Ricovero in Clinica Neurologica per emiparesi destra, ad epicentro facio-brachiale. Viene visitato anche presso l’Ambulatorio Disturbi Cognitivi, in occasione della degenza.

All’obiettività neurologica, si rendeva evidente una sfumata emiparesi destra, ad epicentro facio-brachiale. All’obiettività generale, extrasistolia sopraventricolare, non condotta. Normoteso. Per il resto, null’altro da segnalare.

Dal punto di vista cognitivo, emergeva un disorientamento temporo-spaziale, con moderato calo della memoria a breve termine, con una totale anosognosia. Incapacità a riconoscere destra/sinistra nello spazio peri ed extra personale, proprio e altrui. Acalculico, con incapacità a transcodificare le cifre in lettere, né ad eseguire i singoli fatti aritmetici. Impossibilitato ad eseguire operazioni matematiche. Agnosia digitale.

0

5

10

15

20

25

mmse linguaggio astrazione

Test Score Valori Normali MMSE 22/30 24-30/30

TPCT (numero corrette) 6/10 7/10 Linguaggio (BAT) parte

morfo-sintattica (numero errori)

7 4

CIR 6/8 0/8 Astrazione (risposte

corrette) 17/26 24/26

Digit span Forward 4 Sopra i 5 Hamilton Anxiety and

Depression 2/55 0-8

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Moretti, Torre, Vilotti, Antonello 106

Fig. 74. NMR encefalo: lesione del giro angolare sinistro

A quattro mesi di distanza, non vi erano modificazioni di sorta, salvo un miglioramento, lieve, del punteggio del MMSE, per un recupero delle capacità di orientamento temporo-spaziale, con una praziale riacquisizione delle capacità esecutive. Sostanzialmente mantenute le altre performances, e bassa rimaneva la nosognosia. Perisitevano la agnosia digitale e l’acalculia.

0 20 40 60 80 100

A visivocostruttive

F. esecutive

Ragionamento

Attenzione

Linguaggio

Memoria

Normalità

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Casi clinici 107

0

5

10

15

20

25

mmse TPCT linguaggio cir astrazione digit

Test Score Valori Normali MMSE 25/30 24-30/30

TPCT (numero corrette) 7/10 7/10 Linguaggio (BAT) parte

morfo-sintattica (numero errori)

7 4

CIR 5/8 0/8 Astrazione (risposte

corrette) 18/26 24/26

Digit span Forward 4 Sopra i 5 Hamilton Anxiety and

Depression 2/55 0-8

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TERAPIA DEL DETERIORAMENTO COGNITIVO VASCOLARE

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello, Gilberto Pizzolato Clinica Neurologica, Università di Trieste

Con l’aumentare dell’età si verificano, nella maggior parte degli individui, delle importanti modifiche nella risposta ai farmaci. Cambiano anche le modalità di impiego dei farmaci in conseguenza dell’aumento dell’incidenza delle malattie, della tendenza alla multiprescrizione per i pazienti istituzionalizzati e dei mutamenti generali nella vita dei pazienti stessi, che incidono notevolmente sul modo in cui i farmaci sono, o dovrebbero essere impiegati.

Pertanto, l’anziano non perde le funzioni specifiche più velocemente degli adulti giovani, ma accumula carenze con il prosieguo del tempo. Sopravvengono però delle caratteristiche farmacocinetiche di primaria importanza, che analizzeremo in maniera dettagliata. Esistono scarse evidenze a favore di importanti alterazioni nell’assorbimento dei farmaci con l’avanzare dell’età.

Tuttavia, condizioni associate all’età (maggiore incidenza di ernia jatale, di pirosi, di gastriti ecc.) fanno aumentare l’assunzione di antiacidi o di procinetici, che modificano pesantemente lo svuotamento gastrico. Gli anziani hanno una ridotta massa magra, con una diminuzione della componente di liquidi extracellulari e vanno incontro ad un aumento della quota di grasso corporeo, in sostituzione della massa muscolare. Si osserva inoltre una riduzione dell’albumina sierica, cui spesso si legano le molecole farmacologicamente prodotte, se debolmente acide.

Vi può essere un aumento dell’alfa-glicoproteina sierica, cui invece si legano molti farmaci, se debolmente basici: da ciò ne deriva che il rapporto farmaco legato/farmaco libero può essere notevolmente alterato e ciò consegue ad una modificazione della dose di carico effettiva del farmaco stesso.

Non sembra che con l’età declini, per tutti i farmaci e in maniera consistente, la capacità del fegato di metabolizzazione. Vi è una grande variabilità soggettiva e legata anche alla natura stessa della molecola esaminata. Sembrerebbe che i cambiamenti maggiori si verifichino nelle reazioni di fase I, cioè quelle effettuate dal sistema microsomiale di ossidasi a funzione mista; la capacità del fegato di effettuare reazioni di coniugazione (fase II) risulta molto meno modificata, probabilmente a causa di una riduzione della perfusione epatica.

La clearance della creatinina diminuisce con il progredire dell’età. Tale riduzione non si riflette in un aumento equivalente della creatininemia, in quanto

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Terapia del Deterioramento Cognitivo Vascolare 109

si riduce anche la produzione di creatinina, in relazione al calo della massa muscolare, cui si assiste con l’età. La riduzione della clearance è piuttosto consistente per cui si deve procedere alla stima diretta della clearance della creatinina solo se esiste il sospetto di un’affezione renale o di un disturbo del metabolismo salino, come nella disidratazione grave.

Il risultato pratico di queste modifiche è il marcato prolungamento dell’emivita di molti farmaci e la possibilità di raggiungere per l’accumulo concentrazioni tossiche è effettivo.

Da ultimo, anche i polmoni svolgono un ruolo importante nell’escrezione dei farmaci, specie quelli gassosi. Come risultato della riduzione della capacità ventilatoria, l’anestesia più comunemente utilizzata è quella con agenti parenterali piuttosto che con agenti inalatori, anche tenendo conto del sovrimporsi di affezioni di parenchima, nei soggetti anziani.

Studi molto ampi hanno dimostrato che vi è una riduzione del numero, della funzionalità e delle caratteristiche di alcuni recettori, con una riduzione della risposta agli stimolanti e ai bloccanti (selettivi e non) dei recettori beta.

Si stima che una quota sostanziale della popolazione anziana, (individui al di sopra dei 65 anni d'età) si lamenti di sintomi depressivi, (Blazer, 1980; Berkman et al., 1988) con una prevalenza di depressione maggiore che varia dal 2% al 10% (Myers et al., 1984). La depressione nell'anziano può associarsi a sintomi comportamentali, disturbi cognitivi, e anormalità psicomotorie.

Nella stessa popolazione si stima che la prevalenza di demenza sia del 5%, con un 30% dei pazienti deteriorati che si lamentano di sintomi depressivi (Raskind, 1998). Nei pazienti depressi sono state osservate una lieve riduzione in alcune funzioni specifiche - come attenzione e apprendimento, calo della memoria di rievocazione, della memoria a lungo termine e di quella visiva - e una minore accuratezza nella memoria spaziale, mentre nei pazienti con morbo di Alzheimer è più spesso deficitaria la memoria a breve termine.

Nei pazienti anziani, la depressione si associa spesso a un disturbo vascolare sottocorticale, e si caratterizza per un rallentamento psicomotorio, per la perdita di insight e per una sindrome disesecutiva (Alexopulos et al., 1997). È difficile distinguere il deficit cognitivo associata alla depressione da quella secondario al disturbo vascolare sottocorticale.

Quindi, la distinzione fra sintomi cognitivi associati a depressione e il declino cognitivo nella demenza gioca un ruolo importante nelle decisioni terapeutiche.

Nei soggetti con malattia di Alzheimer, la presenza di depressione maggiore è correlata ad un aumento del numero di grovigli neurofibrillari nel locus ceruleus, nella sostanza nera e nel raphe mediano, con una conseguente diminuzione in queste aree delle concentrazioni di noradrenalina, dopamina e serotonina (Zubenko e Mossy, 1988: Zweig e coll., 1988) Per quanto riguarda gli aspetti neuroradiologici, nei soggetti anziani depressi è stata documentata la presenza di alterazioni tipiche delle demenze degenerative, come l'atrofia cortico-

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 110

sottocorticale e l'ingrandimento dei ventricoli. Alla TAC e alla RMN dell'encefalo, il confronto tra soggetti depressi con esordio precoce o tardivo della sintomatologia ha mostrato che questi ultimi hanno un maggior numero di alterazioni tipiche delle demenze degenerative.

Pearlson et al. (1989) hanno effettuato uno studio con la TAC dell'encefalo su quattro gruppi di pazienti anziani: il gruppo di controllo, i depressi senza segni di deterioramento mentale, i depressi con deficit cognitivo e quelli affetti da demenza degenerativa senza depressione. Gli autori hanno evidenziato alterazioni di gravità crescente dal primo al quarto gruppo, sia per quanto riguarda l'aumento di dimensione dei ventricoli che la diminuzione di densità del parenchima cerebrale.

In uno studio effettuato con la RMN su pazienti depressi, Alexopoulos (1990) ha trovato che i soggetti con esordio tardivo mostravano un maggior numero di immagini iperintense della sostanza bianca rispetto a quelli con esordio precoce.

Uno studio effettuato con la SPECT ha dimostrato che nella malattia di Alzheimer i soggetti con depressione maggiore associata presentano una significativa riduzione della per fusione temporo-parietale sinistra rispetto ai non depressi (Starkstein et al., 1997). Un'analisi quantitativa EEG nel confronto tra soggetti con malattia di Alzheimer associata o non a depressione maggiore, hanno trovato nel gruppo dei depressi un maggiore rallentamento dei tracciati nelle aree cerebrali posteriori.

Per quanto riguarda gli aspetti neuroendocrini, sia i depressi che i dementi presentano una mancata risposta al test di soppressione con il desametasone (Dobie e Raskind, 1990). Lo studio delle monoaminossidasi (MAO) piastriniche ha rivelato inoltre un'attività enzimatica più elevata nei soggetti con demenza degenerativa e con pseudodemenza depressiva rispetto a quelli depressi senza deficit cognitivo (Alexopoulos e coll. 1987).

Roose e Devanand (1999) hanno ipotizzato che la frequente associazione tra depressione e demenza possa venire spiegata dagli effetti lesivi di alte concentrazioni di cortisolo nell'ippocampo. È stato infatti dimostrato che alcune forme di depressione, come quelle melanconiche e deliranti, si associano ad ipercortisolemia (Devanand e coll, 1991). Inoltre, negli animali da esperimento alte concentrazioni di cortisolo abbassano la soglia dei processi degenerativi dei neuroni piramidali nell'ippocampo, che, come è noto, rappresentano uno degli aspetti neuropatologici peculiari della malattia di Alzheimer (Sapolsky, 1994). Questi dati assumono un particolare interesse, anche perché il trattamento con un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina, il citalopram, è in grado di ridurre significativamente le concentrazioni di cortisolo in seguito a test di soppressione con desametasone (Balldin e coll., 1988).

Nei pazienti anziani, cognitivamente integri, ma depressi, il trattamento con antidepressivi non dovrebbe peggiorare la capacità cognitiva (Gray et al., 1999; Oxman et al., 1996), né il rallentamento psicomotorio, e dovrebbe essere privo di controindicazioni per malattie somatiche concomitanti. Inoltre, l'inizio d'azione della terapia dovrebbe essere rapido. I triciclici antidepressivi (TCA)

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Terapia del Deterioramento Cognitivo Vascolare 111

sono stati i farmaci di prima scelta nella depressione per molti anni, sebbene sia ben riconosciuto che interferiscono con la memoria e le funzioni cognitive, e causano sedazione (Gray et al., 1999; Curran et al., 1988).

L’introduzione degli antidepressivi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), i quali hanno un profilo di effetti collaterali più favorevole, sembra aver superato la maggior parte di questi problemi (Roose et al, 1998; Claghorn et al, 1993).

Paroxetina e fluoxetina, tra i primi SSRI ad essere disponibili, sono state ampiamente studiate nei differenti sottotipi di depressione (Claghorn et al., 1993, Ravindran et al., 1997; Geretsegger et al., 1994). Molti studi a breve termine hanno riferito che l'efficacia e la tollerabilità di questi due farmaci sono soddisfacenti nei pazienti geriatrici depressi (Schoene et al, 1993). Rispetto ai TCA, paroxetina e fluoxetina hanno un miglior profilo di sicurezza e tollerabilità, caratterizzato da minori effetti collaterali anticolinergici e cardiovascolari.

È stato dimostrato che molti trattamenti farmacologici diffusamente prescritti (triciclici e tetraciclici) peggiorano l’eventuale deterioramento cognitivo nei pazienti anziani depressi (Patat et al, 1988; Spring et al., 1992) e qualche evidenza suggerisce che tale peggioramento sia dovuto ad effetti su specifici neurotrasmettitori, come il blocco dei recettori muscarinici centrali (Thompson, 1991).

Come regola generale, è cruciale che nei pazienti anziani la terapia farmacologica sia priva di importanti effetti avversi sulle funzioni cognitive.

Paroxetina e fluoxetina sono antidepressivi SSRI selettivi e potenti, che presentano un'incidenza di effetti collaterali significativamente più bassa dei TCA. Studi in doppio cieco e a breve termine in pazienti anziani dimostrano che paroxetina e fluoxetina sono prive di effetti avversi sulle funzioni cognitive e sulla performance psicomotorie (Cassano et al, 2002; Boyer et al., 1992). Tuttavia, la durata di tali studi è stata troppo breve (6-12 settimane) per ottenere dati affidabili sull'impatto a lungo termine sulle funzioni cognitive.

Oggi è diffusamente accettato che la depressione nella senescenza dovrebbe essere trattata per periodi più lunghi.

Lo studio condotto da Cassano et al (2002) è stato il primo ad essere condotto su pazienti anziani depressi per valutare gli effetti, anche cognitivi, di due antidepressivi SSRI, con un folow-up di un anno. I limiti principali dello studio sono il mancato uso del brain imaging per selezionare una popolazione di pazienti senza reperti indicativi di lesioni vascolari subcorticali e frontali, e l'assenza di un gruppo di controllo trattato con il placebo, assenza quest'ultima dovuta a ragioni etiche legate alla lunga durata dello studio.

Entrambi i farmaci sono stati ben tollerati per tutta la durata dello studio. La durata del trattamento è stata sufficientemente lunga per poter osservare

gli eventuali effetti di entrambe le molecole. Nessun effetto negativo in relazione al farmaco è stato messo in evidenza dalla valutazione delle funzioni cognitive generali e specifiche, condotta con numerosi test rilevanti ed appropriati.

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 112

Al contrario, è stato osservato con entrambi qualche miglioramento statisticamente significativo delle funzioni cognitive, precisamente riguardo l’attenzione, la memoria e l’apprendimento.

Ambedue gli antidepressivi hanno prodotto un miglioramento di lunga durata e/o una stabilizzazione di numerose funzioni mentali superiori. Sia la paroxetina sia la fluoxetina sono state efficaci nell' alleviare rapidamente i sintomi depressivi, con una risposta clinica degna di nota.

Anche se l'efficacia della terapia farmacologica della depressione associata a demenza è stata documentata in vari studi, tale trattamento richiede tuttavia alcune precauzioni aggiuntive rispetto a quello della depressione in anziani cognitivamente integri. Infatti, i soggetti con demenza tendono a riferire meno frequentemente gli effetti collaterali dei farmaci, e inoltre manifestano più spesso uno stato confusionale o un'accentuazione del deficit cognitivo in seguito alla somministrazione di antidepressivi. Infine, occorre tenere presente l'elevata possibilità di sovradosaggi o di assunzioni discontinue se la terapia viene gestita autonomamente dal paziente. Per tali motivi, il trattamento deve essere iniziato alle minime dosi efficaci, e gli eventuali incrementi di posologia devono essere fatti gradualmente.

Fino a pochi anni fa, i triciclici sono stati i farmaci più usati nella depressione associata a demenza In seguito, però, è divenuto sempre più evidente che i triciclici (soprattutto quelli a più spiccata attività anticolinergica) possono determinare un ulteriore calo delle prestazioni cognitive (Teri e coll. 1997).

Inoltre, uno studio a doppio cieco su soggetti con malattia di Alzheimer e depressione maggiore ha dimostrato che il miglioramento prodotto sul tono dell'umore dall'imipramna non differiva significativamente da quello indotto dal placebo (Reifler e coll., 1989). Anche il trazodone è stato impiegato frequentemente nelle demenze, sia per i sintomi depressivi che per quelli comportamentali. Attualmente mancano studi controllati sull'uso di questo farmaco, tuttavia la sua efficacia e i suoi scarsi effetti collaterali ne suggeriscono l'impiego nelle forme in cui la depressione si accompagna ad ansia e ad agitazione psicomotoria (Lebert e coll, 1994).

Da qualche anno, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) rappresentano i farmaci di prima scelta nella terapia della depressione associata a demenza (Roose e Devanand, 1999). Queste sostanze possono essere efficaci non solo per i disturbi depressivi, ma anche per quelli del comportamento, e quindi il loro impiego può essere proposto in altemativa ai neurolettici (Burke et al., 1998). Katona et al. (1998) hanno confrontato in uno studio a doppio cieco la paroxetina con l'imipramina, e hanno trovato che entrambi i farmaci determinavano un miglioramento dei sintomi depressivi, ma l'imipramina comportava una percentuale molto maggiore di reazioni avverse rispetto alla paroxetlna. La sertralina è stata usata da Volicer et al. (1994) su un gruppo di pazienti con malattia di Alzheimer in fase avanzata, ed ha prodotto nell'80% dei casi un miglioramento della sintomatologia affettiva.

In uno studio in aperto (Moretti et al., 2002) su un'ampia casistica di pazienti con demenza (di tipo degenerativo), il citalopram ha determinato un

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Terapia del Deterioramento Cognitivo Vascolare 113

miglioramento statisticamente significativo rispetto al placebo sia per quanto riguarda la depressione che l'ansia e le alterazioni del comportamento. Nello studio, l’impiego di SSRI ha trovato efficacia e stabilità di impiego, con miglioramento, anche in fase avanzata dell’ansia libera, delle somatizzazioni, della depressione, e del craving per i carboidrati. Non sembrano rispondere in maniera favorevole l’apatia e l’abulia cognitiva, le ideazioni suicidarie e le modificazioni psicotiche – comportamentali nel deterioramento cognitivo.

Se il clinico ritiene opportuno l’utilizzo dei neurolettici, posti degli obiettivi concreti e realistici, la terapia per il disturbo comportamentale deve minimizzare l’entità e la portata del problema nell’impatto della vita quotidiana, riducendo al minimo la possibilità di induzione di effetti secondari o collaterali, conseguenza diretta della terapia introdotta.

Nella scelta, si dovrà porre cautela a non peggiorare eventuali alterazioni pre-esistenti (disturbi extra-piramidali, alterazioni del ritmo e della funzione contrattile cardiaca, ecc.) e si dovrà ottimizzare il trattamento farmacologico nel caso in cui il disturbo sia causa potenziale di danno al paziente e ai suoi caregivers. Nei casi di alterazioni comportamentali senza aggressività, o senza agitazione per il paziente, basta un intervento cosiddetto ambientale. Parlare con calma e con un atteggiamento aperto, sereno, senza alzare la voce, manifestare al paziente dolcezza e tranquillità possono in molti casi distrarre e risolvere sul nascere certe manifestazioni comportamentali. Il richiedere la partecipazione del soggetto a minime attività della vita quotidiana può distoglierlo da alcune esperienze allucinatorie o da ecoprassie e persistenze, o da ossessività.

Qualora il disturbo comportamentale si associ ad agitazione, aggressività verso sé e gli altri, a vivida partecipazione e a profondo disagio, deve essere impiegata una terapia farmacologica. La scelta, attualmente, dovrebbe avvenire, in prima battuta con gli antipsicotici, tipici o atipici.

Nelle Linee Guida dell’American Psychaitric Association e dell’American Academy of Neurology, fino al 2003, gli anti-psicotici atipici venivano considerati, evidence-based, come farmaci di prima scelta nei pazienti anziani con disturbi comportamentali, visto l’elevato indice terapeutico. Recentemente, si è aperta una questione sull’efficacia clinica e l’incidenza di eventi vascolari avversi nella popolazione anziana con deterioramento cognitivo trattata con antipsicotici atipici (Health Canad, 2004; Food and Drug Adm., 2004).

La vaexata questio rimane a tutt’oggi al vaglio della Letteratura, e poiché non vi sono prese di posizioni ufficiali, affrontiamo la revisione dei dati, senza alcun commento personale sulla vicenda.

Le nostre conoscenze degli antipsicotici derivano dal loro impiego nella Schizofrenia e, paradossalmente, i primi composti nacquero da ricerche su antielmintici e antimalarici. Nel 1930 una fenotiazina, la prometazina, mostrò il suo effetto sedativo, antistaminico e neurolettico. Dallo studio di questa trasse origine la clorpromazina, usata da Laborit come induttore anestesiologico. Nel 1960, Janssen sintetizzò l’aloperidolo. Queste, e molte altre molecole (della

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 114

famiglia delle fenotiazine, dei butirrofenoni e dei tioxanteni) sono considerati antipsicotici, o neurolettici tipici, per distinguerli dai farmaci di più recente introduzione, gli antipsicotici atipici. Per antipsicotici atipici si intendono quelle molecole ad azione neurolettica, capaci di indurre minori effetti extrapiramidalizzanti, minor effetto prolattinemico ed una azione efficace anche sui sintomi negativi e sulla schizofrenia farmaco-resistente. Gli antipsicotici atipici sono dotati di un profilo polirecettoriale, posseggono una minore affinità per i recettori D2 nei sistemi nigostriatale e tuberoinfundibolare, ma una maggiore affinità per i recettori D2 nei sistemi mesolimbico e mesocorticale, con una maggiore affinità per i recettori serotoninergici 5HT2a e dimostrano un più elevato rapporto 5HT2a/D2. L’antagonismo serotoninergico per i recettori 5HT2a sembra giocare un ruolo cruciale nel meccanismo d’azione di quesi composti (Bellantuono et al., 2001).

L’olanzapina, ad esempio, appartiene alla classe delle tieno-benzodiazepine; come la clozapina manifesta un’affinità recettoriale non selettiva per molti recettori dopamiergici (D1, D2, D3, D4 e D5), per molti recettori serotoninergici, con un rapporto 5HT2/D2 superiore a quello dell’aloperidolo. Evidenze SPECT in soggetti trattati con olanzapina hanno evidenziato un basso livello di occupazione dei recettori D2 nigrostriatali, ed un livello più elevato per i recettori D2 mesolimbici. Sebbene manifesti in vitro un’elevata affinità per i recettori muscarinici M1, nell’uomo l’attività anticolienrgica è modesta. Analogamente, ad una elevata attività in vitro per i recettori noradrenergici alfa1 ed istaminici H1, corrisponde solo una lieve attività anti-istaminica ed adrenolitica, poco rilevante dal punto di vista clinico (Stockton e Rasmussen, 1996; Tohen et al., 2000).

Fig. 75. Caratteristiche polirecettoriali dei neurolettici atipici

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Terapia del Deterioramento Cognitivo Vascolare 115

In maniera piuttosto sorprendente, abbiamo voluto iniziare questo capitolo sul trattamento faramacologico delle demenze vascolari considerando la parte terapeutica del disturbo comportamentale. È noto che la causa principale di ricovero di persone anziane affette da demenza in case protette o in residenze sanitarie assistite è rappresentata da disturbi del comportamento. È altrettanto noto che l’assistenza domiciliare, in buona parte dei casi non riesce a gestire in modo soddisfacente questi problemi. Inoltre, i disturbi del comportamento nel paziente anziano affetto da demenza sono responsabili di visite al pronto soccorso, di ricoveri in reparti medici, riducono la qualità di vita sia dei pazienti che dei familiari.

Le capacità di funzionalità sociale e personale di questi pazienti è significativamente compromesso, rispetto a quanto lascerebbero prevedere la sola presenza dei disturbi cognitivi. I disturbi comportamentali sono la via finale di tutti i deterioramenti e in genere, sembrano riconducibili a deficit molteplici neurotrasmettitoriali. I neurolettici hanno un’azione spiccata sul sistema dopaminergico/serotoninergico, ed in parte istaminergico. Le benzodiazepine hanno un’azione selettiva gabaergica. Una serie di dati, tuttavia, sembrano indicare un ruolo potenziale anche dell’acetilcolina, nella regolazione del comportamento. Il deficit colinergico, anche se associato a quello noradrenergico e serotoninergico, contribuisce infatti allo sviluppo di diversi disturbi neuropsichiatrici che isolati o multipli possono addirittura precedere di qualche anno l'esordio della malattia di Alzheimer e accompagnare poi il suo decorso con una elevata tendenza a recidivare. Gli studi con tacrina hanno dimostrato, già da tempo, la significativa relazione tra una scelta farmacologica che stimola il sistema colinergico e il miglioramento dei sintomi comportamentali nei pazienti con Alzheimer (dati in Pancheri, 2003).

Anche se i farmaci inbitori dell'AChE in monoterapia non riescono a controllare completamente i sintomi comportamentali, spesso permettono di diminuire il dosaggio degli psicofarmaci a cui vengono associati. Uno studio in aperto su pazienti con demenza, con gravi disturbi del comportamento e resistenti alla terapia psico-farmacologica, hanno evidenziato una significativa efficacia dell' associazione tra rivastigmina e risperdone dopo un periodo di osservazione di 20 settimane (Weiser et al., 2002). Dati più recenti, hanno dimostrato (Blesa, 2004) che tutti e tre cli inibitori della colinesterasi in commercio (galantamina, rivastigmina e donepezil) hanno una efficacia sui disturbi comportamentali (BPSD).

Tra i vari BPSD, quelli che meglio rispondono alla terapia colinergica sono 1'apatia e le allucinazioni visive, mentre per l'ansia, l'agitazione, la depressione e i deliri sono stati riportati risultati variabili. È verosimile che la riduzione dell' apatia sia secondaria al miglioramento dell' attenzione indotto dalla stimolazione colinergica. Al riguardo è ancora aperta la discussione su interazioni e le relazioni dei domini cognitivi con quelli emotivo-comportamentali (Doody, 2004; Wynn e Cummmings, 2004).

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Un’altra ricerca, effettuata su pazienti affetti da Demenza con corpi di Lewy e ha confermata l'efficacia della terapia colinergica anche nel lunga termine (Zesiewicz et al., 2001); il confronto effettuato dagli autori, ha, tuttavia, fatto preferire la rivastigmina agli altri inibitori della colinesterasi, per gli indubbi minori effetti parkinsonizzanti.

Farmaci anticolinesterasici sono stati impiegati anche nel trattamento dei disturbi psicotici e cognitivi nel morbo di Parkinson in sostituzione dei neurolettici che nan agiscono sui deficit cognitivi e allo stesso tempo possono peggiorare la sintomatolagia motoria extrapiramidale. Il razionale della terapia colinesterasica si basa sull' evidenza che la psicosi parkinsoniana non dipenda solo da una iperattivaziane dopaminergica, ma anche da un deficit colinergico (per degenerazione delle fibre ascendenti del nucleo basale del Meynert) proporzionale al grado di avanzamento della malattia (Bosboom et al., 2004).

Non esistono attualmente farmaci conclusivamente accettati come efficaci per la terapia della demenza vascolare, sia come entità globalmente definita che come realtà distinte dal punto di vista etiopatogenetico (Inzitari et al., 1999).

Per tale motivo la prevenzione sia primaria che secondaria, consistente nel più precoce e accurato possibile controllo dei fattori di rischio vascolare, in particolare dell'ipertensione arteriosa, rimane per il momento l'intervento fondamentale (Rockwood et al., 1997).

Recenti studi hanno dimostrato come la terapia antiipertensiva in soggetti con ipertensione arteriosa cronica non solo non ha effetti negativi sulle capacità cognitive e lo stato affettivo, ma è capace di ridurre fortemente gli eventi cerebrovascolari e l'incidenza di demenza sia vascolare che degenerativa (Forette et al., 1998; Veld et al., 2001). In casi di ipertensione sistolica isolata, il trattamento antiipertensivo riduce del 50% l'incidenza di demenza; ovvero ogni mille pazienti trattati per cinque anni è possibile prevenire 19 casi di demenza.

È tuttavia altrettanto importante ricordare come, una volta instaurate le alterazioni dei microvasi, il trattamento vada attuato in maniera prudente e strettamente controllata, in modo da evitare brusche diminuzioni dei valori pressori e l'evenienza di crisi ipotensive, che abbiamo già menzionato come fattore aggiuntivo per la produzione delle lesioni sottocorticali. Pertanto un controllo adeguato dell'ipertensione, la sospensione di fumo e alcol, il controllo dei valori della colesterolemia e della glicemia, permettono di prevenire ulteriori eventi ischemici (Meyer et al., 1989; Easton, 2003).

Tra i farmaci utilizzati nella prevenzione primaria e secondaria ricordiamo gli antiaggreganti e le molecole che migliorano i parametri emoreologici.

L'efficacia della terapia antiaggregante in pazienti affetti da VaD è stata dimostrata in soggetti affetti da MID trattati per tre anni con aspirina (325mg/die), in cui si è osservato un miglioramento clinico rispetto al gruppo di controllo non trattato. Nel periodo di follow-up si sono verificati, nel gruppo di controllo, un numero di infarti cerebrali o attacchi ischemici transitori doppio

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rispetto al gruppo dei soggetti trattati. Inoltre, ad un miglioramento della perfusione cerebrale si accompagnava un miglioramento clinico significativo (Myer et al., 1988; Myer et al., 1989).

Uno studio retrospettivo recente (Devine e Rands, 2003) ha confermato che piccole dosi di aspirina (75mg/die) migliorano l’aspettativa di vita e il tasso di sopravvivenza di pazienti con deterioramento cognitivo vascolare sensu lato.

Fig. 76. Sinopsi dei risultati del Cochrane Database su ASA e demenza vascolare

È stato ipotizzato che le statine, farmaci che inibiscono la beta-idrossi-betametilglutaril coenzima A (HMG-CoA) reduttasi possano essere di beneficio nella terapia primaria dell'ictus, della patologia cerebrovascolare dei piccoli vasi e della VaD grazie alloro effetto neuroprotettivo (azione antiossidante ed antinfiammatoria) ed antitrombotico (mediato dal rilascio di ossido nitrico endoteliale) (Vaughan et al., 2001).

La probabile efficacia di numerosi farmaci è stata o è tuttora testata in trial preliminari in aperto o in studi controllati nel trattamento della demenza vascolare. Non sono mai stati considerate eventuali differenze nell’etiopatogenesi delle demenze vascolari, incluse nei trias, equiparando quelle a genesi multi-infartuale a quelle post-emorragia e/o alle forme sottocorticali.

L'inclusione di pazienti con forme eterogenee di demenza vascolare può spiegare in parte i risultati insoddisfacenti fin qui ottenuti da molti di questi studi. È auspicabile che gli studi terapeutici futuri si orientino verso gruppi di pazienti più omogenei dal punto di vista fisiopatologico.

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Fig. 76. Sinopsi dei farmaci testati nel trattamento della demenza vascolare

Due soli studi terapeutici preliminari sono stati condotti specificamente nei pazienti con demenza vascolare sottocorticale. In un trial in aperto su pazienti definiti come affetti da encefalopatia sottocorticale arteriosclerotica, l'ANCROD, un farmaco con effetto defibrinogenante e sulla viscosità ematica, non ha mostrato alcuna efficacia né sui deficit cognitivi né su quelli motori (Ringelstein et al., 1988).

Il razionale di questo studio era basato sull'ipotesi che una riduzione della viscosità ematica potesse favorire la microcircolazione cerebrale.

La pentossifillina è una sostanza emoreologicamente attiva che diminuisce la viscosità ematica aumentando la deformabilità degli eritrociti e conseguentemente il flusso ematico cerebrale. Inoltre, per la sua azione antiaggregante piastrinica e per la capacità di diminuire la concentrazione di fibrinogeno nel plasma, si è dimostrata efficace nel ridurre il rischio di attacchi ischemici transitori o di infarti cerebrali nei soggetti con vasculopatia cerebrale.

La propentofillina è un derivato xantinico proposto per il trattamento dell'AD e dellaVaD (Kittner et al., 1997; Marcusson et al., 1997; Schubert et al., 1997). I pazienti trattati con una dose di 300 mg di propentofillina per tre volte al giorno per 12 mesi, hanno mostrato un miglioramento clinico statisticamente significativo rispetto al placebo dopo un anno di terapia (Kittner et al., 1997).Nonostante l'efficacia clinica della pentossifillina e della propentofIllina sia stata dimostrata, sono necessari ulteriori studi su casistiche più ampie.

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Fig. 77. Sinopsi delle conclusioni dell’ADAD nel 2003 su pentossifillina

Un secondo studio pilota in aperto ha valutato la sicurezza e l'efficacia della somministrazione di nimodipina 30 mg per 3 volte/die per 12 mesi in pazienti con demenza, disturbi motori e alterazioni diffuse della sostanza bianca sottocorticale rilevate con TC (Pantoni et al., 1996). I calcioantagonisti del gruppo delle diidropiridine sono in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e sono quindi attivi a livello del sistema nervoso centrale dove esercitano la loro azione a livello dei recettori- L dei canali del calcio, di cui sono inibitori selettivi.

L'uso della nimodipina nella demenza vascolare sottocorticale ha il suo razionale anche nell'azione che questo farmaco esercita sui piccoli vasi cerebrali (DeJong et al., 1992 a), che come abbiamo visto risultano essere particolarmente colpiti in questa patologia.

È stato dimostrato sperimentalmente un effetto modificante le alterazioni ultrastrutturali dei microvasi negli animali anziani (DeJong et al., 1992 b). I risultati di questo studio pilota hanno evidenziato un significativo miglioramento in tutti gli item e nel punteggio totale della Sandoz Clinical Assessment Geriatric Scale (SCAG).Nessun effetto collaterale grave veniva inoltre osservato; in particolare, non si registravano crisi ipotensive. Sulla scorta di queste osservazioni preliminari, è stata condotta un'analisi di sottogruppo su oltre 200 pazienti arruolati in un trail scandinavo volto a valutare l'efficacia della nimodipina nella demenza vascolare.

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Fig. 78. Risultati del trial nella demenza multi-infartuale

Fig. 79. Differenze dell’efficacia nella demenza sottocorticale

I risultati preliminari di questa "post hoc" analisi hanno mostrato come il farmaco abbia un effetto sulle funzioni cognitive completamente diverso e più favorevole nel sottogruppo dei pazienti definiti a posteriori come affetti da demenza vascolare sottocorticale rispetto a quelli con un quadro multi-infartuale (Pantoni et al., 2000).

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L'efficacia di altri farmaci proposti per la terapia dellaVaD,quali la CDP-colina e la nimodipina,è ancora oggetto di studio (Lopez-Arrieta et al., 2001; Qizilbash et al., 1999; Amenta et al., 2002). Il risultato della Cochrane Database (2002), sotto riportato, è stato che la nimodipina può avere qualche beneficio in varie forme di deterioramento cognitivo, ma per affermarne una sicura efficacia differenti altri trials sono necessari.

Fig. 80. Sinopsi della Cochrane Database sull’efficacia della nimodipina

I risultati a tutt’oggi accettati del Report of the Quality Standards Subcommittee of the American Academy of Neurology confermano la necessità di una migliore qualificazione diagnostica del deterioramento vascolare sottocorticale, una più precisa comprensione della storia della demenza e una divisione netta, per i trials, tra i quadri ascrivibili ad una sofferenza dei grandi e dei piccoli vasi.

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Fig. 81. Sinopsi delle dichiarazioni AAN sulla demenza vascolare

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RUOLO DELL’ACETILCOLINA NEL DETERIORAMENTO VASCOLARE

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello Clinica Neurologica, Università di Trieste

Fermo restando che:

a tutt’oggi non esiste farmaco che possieda l’indicazione di utilità al trattamento del deterioramento cognitivo vascolare,

in questa entità nosgrafica è presente un ridotto tono colinergico, per alterazioni a carico dei nuclei colinergici basali,

è stata dimostrata la frequente coesistenza di VaD e AD

(forme miste) alcuni ricercatori hanno tentato il trattamento farmacologico con anticolinesterasici anche nella demenza vascolare.

È ampiamente documentata in letteratura la sostanziale carenza di acetilcolina nei soggetti con danno vascolare sottocorticale (Kimura et al., 2000). Modelli preclinici di ratti ipertesi con segni di stroke hanno dimostrato costantemente una riduzione dei livelli di acetilcolina e di colina nella corteccia, nell’ippocampo e nel liquor cefalorachidiano, rispetto a ratti controllo (Saito et al., 1995; Togashi et al., 1994; Kimura et al., 2000). I livelli diminuiti di acetilcolina a livello ippocampale correlavano in questi animali con alterazioni manifeste dell’apprendimento e della memoria (Kimura et al., 2000; Togashi et al., 1996). Studi autoptici hanno dimostrato che i livelli di attività di colina acetiltransferasi (ChAT) nei pazienti con demenza vascolare erano ridotti rispetto ai controlli (Wallin et al., 1989), con ciò indicando che il danno al sistema colinergico possa, in qualche modo contribuire alla sintomatologia dell’impairment cognitivo vascolare.

Fig. 82. Nuclei colinergici, a partire dal nucleo basale del Meynert

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Negli studi autoptici su esseri umani, si è potuto dimostrare un’attività colino-acetiltransferasica (ChAT) ridotta in pazienti con VaD, in confronto ai soggetti controllo (Gottfries et al., 1994; Tohgi et al. 1996).

Oltre a questi dati, dalla fisiologia classica si apprende che l’acetilcolina gioca un ruolo chiave nel sistema di autoregolazione del CBF nel sistema nervoso centrale, probabilmente mediato dall’innervazione parasimpatica del circolo del Willis e dei vasi piali (Vasquez e Purve, 1979).

Fig. 83. Proiezioni delle vie colinergiche cortico-sottocorticali

La stimolazione del nucleo basale del Meynert determina una iperperfusione della neocortex e dell’ippocampo, mediata da un aumento del release dell’ossido nitrico, e per stimolazione mediata direttamente o, tramite interneuroni, sensibili al GABA (Hamel, 2004; Roman, 2005). L’attivazione in senso iperperfusivo è mediato dall’azione colinergica mista, sia su recettori muscarinici che nicotinici, ma la risposta declina con l’avanzare dell’età (Roman, 2005).

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Ruolo dell’acetilcolina nel deterioramento vascolare 125

Fig. 84. Schema delle principali vie colinergiche

Inoltre, l’acetilcolina è legata alla produzione di EDRF (Vanhoute, 1989), agente ad azione vasodilatante, e lesioni ischemiche diffuse della sostanza bianca possono causare danno ischemico diretto o indiretto del nucleo basale del Meynert.

Fig. 85. Schema della normale funzione colinergica

Nucleus Basalis of Meynert

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Il meccanismo dei farmaci attualmente in commercio è quello di esercitare prevalentemente un’azione anticolinesterasica a livello centrale, garantiti in ciò dall’lata lipofilia delle molecole esaminate, che può eventualmente estendersi ad un’azione butirrilcolinesterasica.

Gli Anticolinesterasici hanno un’azione combinata, prevalentemente localizzata a livello dell’acetilcolinesterasi (AChE), ma, in misura differente anche sulla butirillcolinesterasi (BuChE). Questi due enzimi sono diversi strutturalmente e geneticamente; l’AChE è localizzato nel vallo sinaptico ( come forma solubile) e nella membrana sinaptica (forma trans-membranaria) (Giacobini, 2001), mentre la BuChE è associata prevalentemente alle cellule gliali (Giacobini, 2001). Benchè la BuChE rappresenti solo il 10% dell’attività colinesterasica nella corteccia dei soggetti sani (Perry et al., 1978), risultati recenti indicano un suo ruolo idrolizzante ben più protratto (Mesulam et al., 2002). Si sa che durante la malattia di Alzheimer, l’attività enzimatica di AChE diminuisce del 45%, mentre l’attività di BuChE incrementa dal 40% al 90% (Perry et al., 1978; Mesulam et al., 2002; Arendt et al., 1992 ).

La BuChE può aumentare del 40-90% nel cervello di soggetti con Alzheimer Aumenti dell'attività della BuChE sono presenti principalmente nella corteccia temporale e nell'ippocampo Nell'ippocampo e nell'amigdala dell'uomo il 10% dei neuroni colinesterasi positivi contengono BuChE . È stata osservata un'alta concentrazione di BuChE nelle placche neuronali di cervelli con Alzheimer. Sia la AChE che la BuChE aumentano l'attività tossica del peptide beta-amiloide nelle colture di tessuti La BuChE può essere coinvolta nella trasformazione della beta-amiloide da diffusa in compatta, nelle placche neuritiche Esiste l'evidenza di una relazione tra la variante K della BuChE, Apo E4 e l'incidenza di alcuni tipi di Alzheimer Nella corteccia di ratto, inibitori selettivi della BuChE possono aumentare I livelli di ACh senza effetti sulla AChE Inibitori selettivi della BuChE possono aumentare la capacità di apprendimento nel ratto anziano.

Alcuni dati (vedi Pancheri, 2003) indicherebbero che i maggiori effetti sul miglioramento di alcune funzioni cognitive, come ad esempio "l'apprendimento per associazione" e il "richiamo ritardato della memoria visiva", sembrerebbero dovuti all'inibizione esercitata dalla rivastigmina sulla BuChE distribuita nel liquido cerebro-spinale.

Studi molto recenti (Darvesh et al., 2003) hanno dimostrato che le strutture dell’amigdala e dell’ippocampo, che svolgono un ruolo chiave nel controllo delle funzioni cognitive e comportamentali, possiedono la più alta densità di assoni colinergici, modulati sia dall’azione dell’Acetilcolinesterasi che da quella della Butirrilcolinesterasi. Anzi, lo stesso studio di Darvesh et al (2003), con il supporto di uno più recente di Finkel (2004) ha dimostrato un tropismo selettivo della struttura amigdaloidea alla Butirrilcolinesterasi (BuChE). I due grafici, sotto riprodotti e modificati da Darvesh et al. (2003) indicano con un buon impatto visivo quanto affermato.

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Ruolo dell’acetilcolina nel deterioramento vascolare 127

Fig. 86. In alto a sinistra rappresentazione quantitavia delle proiezioni colinergiche. A destra in alto concentrazione differenziata dell’attività AChE e BuChE (Darvesh et al., 2003).

Fig. 87. Azione incrementale della BuChe nella corteccia temporale in AD

Gli anticolinesterasi (AchE - I) hanno una capacità di inbire isoforme differenti dell’AcHE. La forma globulare dell’AchE più presente nelle forme di deterioramentotipo Alzheimer, è quella monomerica G1, piuttosto che le forme

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dimeriche G2 e tetrameriche G4 (Massoulie e Bon, 1982). Studi sugli animali hanno descritto che queste isoforme sono distribuite nella corteccia e nell'ippocampo. La selezione che ne risulta determina una facilitazione dell' attività colinergica neurotrasmettitoriale soprattutto delle aree cerebrale maggiormente interessate dal deterioramento cognitivo-comportamentale (Massoulie e Bon, 1982).

Fig. 88. Rappresentazione schematica delle differenti isoforme dell’AChE

Fig. 89. Rappresentazione dei differenti isotipi della AChE e della BuChE

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Ruolo dell’acetilcolina nel deterioramento vascolare 129

Fig. 90. L’azione sulle differenti isoforme induce dei riverberi potenziali sugli effetti collaterali prodotti dai vari inibitori della colinesterasi

Fig. 91. Dimostrazione istopatologica della deplezione dei neuroni colinergici in forme di demenza vascolare sottocorticale (in alto a destra, b)

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INIBITORI DELLA COLINESTERASI ET ALIA NELTRATTAMENTO

DELLA DEMENZA VASCOLARE

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello, Gilberto Pizzolato Clinica Neurologica, Università di Trieste

L'acetilcolina è un neurotrasmettitore liberato a livello delle sinapsi colinergiche in seguito ad un impulso nervoso. Le molecole di acetilcolina liberate nello spazio sinaptico possono legarsi in maniera reversibile ad un recettore colinergico post-sinaptico; tutta l'acetilcolina viene poi velocemente distrutta dall'enzima acetilcolinesterasi presente nella sinapsi.

Fig. 92. Struttura chimica dell’acetilcolina

Fig. 93. Rappresentazione schematica del sito attivo dell’acetilcolinesterasi

In farmacologia, esistono varie sostanze che agiscono quali inibitori dell’acetilcolinesterasi, sia centrali che periferici, a seconda della loro lipofilia.

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Inibitori della colinesterasi nel trattamento della demenza vascolare 131

Biochimicamente, si dividono in:

1. inibitori reversibili

fisostigmina (o eserina) isolata dalla fava del Calabra (Nigeria). È un’amina terziaria, che inibisce l’acetilcolinesterasi e quindi permette l’accumulo di acetilcolina a livello dei recettori muscarinici, fino a superare l’antagonismo per l’ACH degli anticolinergici. Questo farmaco è in grado di superare la barriera ematoencefalica, quindi ha effetto sui sintomi centrali.

Edrofonio, per la diagnosi della miastenia gravis, e piridostigmina utilizzato anche nella terapia della miastenia gravis. L' inibizione dell'acetilcolinesterasi aumenta la concentrazione del neurotrasmettitore acetilcolina nelle sinapsi. La maggior quantità di neurotrasmettitore disponibile può sopperire alla scarsezza di recettori efficienti a livello di placca neuromuscolare.

Tacrine(Prod Info Cognex(R), 1998), donepezil (Rogers et al, 1996a; Prod Info Aricept(R), 2000)

Neostigmina (prostigmina) permette un accumulo di acetilcolina a livello della placca neuromuscolare, quindi favorisce la scomparsa del blocco neuromuscolare indotto dalla d-tubocurarina.

2. inibitori irreversibili:

organofosforici, presi in considerazione in un primo tempo (tra il 1939 e 1945) come aggressivi chimici ( i cosiddetti “gas nervini”) e dai quali poi sono derivati alcuni tra gli attuali potenti insetticidi usati in agricoltura.

In commercio, ad azione centrale, diretta e prevalente sul SNC, vi sono attualmente tre inibitori della colinesterasi, usati per il trattamento sintomatico della Malattia di Alzheimer: la rivastigmina, il donepezil e la galantamina. Il loro meccanismo d’azione è l’inibizione della degradazione dell’acetilcolina ACh, per blocco più o meno selettivo dell’acetilcolinesterasi.

Inibitori della colinesterasi (AchEi)

Reversibili: tacrina, velnacrina, donepezil, galantamina

Pseudo-reversibili (CARBAMATI): fisostigmina, eptastigmina, rivastigmina

Irreversibili: metrifonato

Selettivi per azione su AChE rispetto a BuChE: donepezil, galantamina

Ad azione selettiva sull’isoforma G1: rivastigmina

Fig. 94. Sinopsi dell’azione degli inibitori della colinesterasi

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Donepezil

Eisai/Pfizer2-3-dihydro-5, 6-dimethoxy-2[[(1-phenylmethyl)-4- piperidinyl]methyl]-

1H-inden-1-one or(+/-)-2-[(1-bezyl-4- piperidyl)methyl]-5, 6-dimethoxy-1-indamine

T max 4 ore. T ½ > 70 ore. Legame proteico: 93-96 %. Modalità di somministrazione: 1/die.

Metabolismo epatico. Eliminazione prevelentemente renale del farmaco e dei suoi metabolici (Matsui et al., 1995; Kawakami et al., 1996; Caspi, 1997; Febryson et al., 1999; Nakata et al., 1999; Bergman, 1999; Jacobsen et al., 1999; Foy et al., 1999).

Fig. 95. Struttura chimica del donepezil

Galantamina

galanthamine (Shire/Ciba Geigy ; Janssen Cilag Pharma) (4aS, 6R, 8aS)-4a, 5, 9, 10.11, 12-hexahydro-3-methoxy-11-methyl-6H-

benzofuro-[3a, 3, 2-ef] [2]benzazepin-6-ol (Bores et al, 1996; Fulton and Benfield, 1996)

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Inibitori della colinesterasi nel trattamento della demenza vascolare 133

Fig. 96. Struttura chimica della galantamina

Fig. 97. Una sinopsi dei tre anticolinesterasici oggi in commercio

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Fig. 98. Sinopsi delle caratteristiche farmacocinetiche degli anticolinesterasici

Oltre agli inibitori dell’anticolinesterasi, dobbiamo anche considerare una nuova molecola, la memantina, antagonista non competitivo dell’NMDA.

Memantina

(3, 5-dimethyl-1-adamantanamine) or 3, 5-dimethyl-tricyclo[3, 3, 1, 13, 7]decan-1-amine (Lundbeck)

Si lega al sito di legame MK-801 al di dentro del canale NMDA. La memantina ha un’affinitò moderata per questo recettore (Parsons 1999).

Le caratterisitiche faramcologiche della molecola consentono a memantina di lasciare libero rapidamente il sito di legame al recettore NMDA in condizioni fisiologiche, ma di bloccarlo, prevenendo la tossicità glutamatergica in condizioni patologiche (Danysz et al 2000).

Da qui la sperimentazione e l’uso di memantina in forme di demenza gravi (Winblad et al 1999, Reisberg et al 2000, Wilcock et al 2000, Orgogozo et al 2000).

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Inibitori della colinesterasi nel trattamento della demenza vascolare 135

Fig. 99. Struttura di memantina

Fig. 100. Antagonismo sui recettori NMDA di memantina

I farmaci fin qui discussi sono nati e si sono sviluppati per il trattamento della malattia di Alzheimer. Diversi gruppi di ricerca, però, hanno tentato di usarli anche in altre forme di deterioramento vascolare.

Il lavoro pubblicato da Erkinjuntti et al (2002) ha acceso nuovo dibattito sull’intricata materia del trattamento delle forme di deterioramento cognitivo vascolare. Erkinjuntti et al. (2002) hanno fornito valide prove sull’efficacia della galantamina, un potente inibitore (AChE)-selettivo, nelle forme di Malattia di Alzheimer e nelle cosiddette demenze miste, in cui vi è un’embricazione di fattori vascolari e degenerativi. Tuttavia galantamina ha mancato di fornire

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 136

benefici significativi nei pazienti con deterioramento cognitivo vascolare puro , effetto, da attribuirsi secondo gli Autori a un’insufficiente potenza statistica del campione affetto da VaD. Il risultato è stato tuttavia interpretato come una riduzione dell’efficacia del farmaco nelle forme vascolari, e anche i risultati ottenuti nella demenza mista sono stati attribuiti ad un’efficacia prevalente sull’aspetto degenerativo (dati e commenti in: Moretti et al., 2002 A).

Fig. 101. Tabelle di presentazione dello studio di Erkinjuntti et al., 2002

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Inibitori della colinesterasi nel trattamento della demenza vascolare 137

Fig. 102. Tabelle di presentazione dello studio di Erkinjuntti et al., 2002

Sono stati poi pubblicati alcuni studi nel 2002 (Pratt et al., 2002, a, b, c): pur in una popolazione scarsamente differenziata, in cui sono stati incluse forme di deterioramento multi-infartuale e sottocorticale, donepezil ha dimostrato la sua efficacia terapeutica. Nel 2003, sono stati pubblicati due studi (Black et al., 2003; Wilkinson et al., 2003). Qui sotto riportiamo i cartoons di riferimento.

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 138

Fig. 103. Sinopsi dei criteri d’inclusione nei due studi (Black et al., 2003; Wilkinson et al., 2003)

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Inibitori della colinesterasi nel trattamento della demenza vascolare 139

Fig. 104. Sinopsi dei risultati ottenuti nei due studi (Black et al., 2003; Wilkinson et al., 2003)

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RIVASTIGMINA NEL TRATTAMENTO DELLA DEMENZA VASCOLARE

Rita Moretti, Paola Torre, Rodolfo M. Antonello, Gilberto Pizzolato Clinica Neurologica, Università di Trieste

Mentre il donepezil e la galantamina hanno un’azione preferenziale sull’acetilcolinesterasi (AChE), la rivastigmina agisce come doppio e potente inibitore di entrambi gli enzimi, l’acetilcolinesterasi (AchE) e la butirrilcolinesterasi (BuChE) (Weinstock, 1999). Diversi studi indicano una mediazione combinata dell’AChE e della BuChE nella co-regolazione del livello di acetilcolina (Ach) nell’encefalo, sia in condizioni normali che nell’encefalo affetto da Malattia di Alzheimer (Mesulam et al., 2002), ma vi è il ragionevole sospetto che la doppia inibizione dei due enzimi provveda ad un effetto terapeutico più prolungato, e più sostenuto (Greig et al., 2001; Ballard, 2002; Poirier, 2002). Il dato più significativo lo deriviamo da modelli animali, ove l’inibizione colinesterasica appare essere più potente con l’utilizzo di un farmaco ad azione combinata, quale la rivastigmina, rispetto a ciò che si ottiene con un farmaco monomorfo, AChE-selettivo, quale il donepezil (inibizione enzimatica ottenuta: 52% versus 39%, rispettivamente) (Scali et al., 2002).

La rivastigmina (SDZ ENA 713 SDZ 212-713 ENA 713) è un inibitore con affinità sia per l'AChE che per la BuChE, definita però pseudoirreversibile o ad "attività intermedia" (Moretti et al., 2005).

Fig. 105. Struttura della Rivastigmina

La rivastigmina, a differenza degli altri anticolinesterasi (AchE - I), inibisce selettivamente la forma globulare dell’AchE più presente nelle forme di deterioramento, tipo Alzheimer, la forma monometrica G1, piuttosto che le forme dimeriche G2 e tetrameriche G4 (Massoulie e Bon, 1982). Studi sugli

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Rivastigmina nel trattamento della demenza vascolare 141

animali hanno descritto che la rivastigmina inibisce soprattutto l'AChE che è distribuita nella corteccia e nell'ippocampo. In questo modo sono evitate possibili interferenze con le vie cortico-cerebellari del ponte, con le vie striatali extrapiramidali e i centri respiratori bulbari; ne risulta, pertanto, una facilitazione dell' attività colinergica neurotrasmettitoriale soprattutto delle aree cerebrale maggiormente interessate dal deterioramento cognitivo-comportamentale (Massoulie e Bon, 1982; Moretti et al., 2004-A).

Fig. 106. Isotipi dell’Acetilcolinesterasi

Come già detto, la rivastigmina da sola inibisce sia l’acetilcolinesterasi (AchE) che la butirrilcolinesterasi (BuchE). Gli effetti della rivastigmina nel liquido cerebrospinale si traducono in un' inibizione del 40 e 10% degli enzimi AChE e BuChE che persiste rispettivamente da 2.4 a 8.5 ore nel primo caso e per circa 3.5 ore nel secondo. La farmacocinetica della rivastigmina nel liquido cerebrospinale è stata valutata sia in giovani soggetti di controllo che in pazienti con Alzheimer. Nel primo caso la concentrazione del farmaco risulta appena individuabile, al contrario del suo metabolica che aumenta rapidamente di concentrazione persistendo fino a circa 15 ore dalla somministrazione orale di 3mg. La farmacocinetica della rivastigmina non risulta sostanzialmente influenza, dal fattore età. Nell'anziano l'assorbimento della rivastigmina non presenta differenze rispetto al giovane, mentre il tempo di emivita al contrario subisce un aumento a 0.88-1.25 ore anziché presentare valori di 0.80- 0.90, un cambiamento molto lieve e quasi trascurabile.

Sulla base, infine, di un metabolismo che coinvolge solo parzialmente il sistema epatico, la rivastigmina presenta la possibilità di trattare anche pazienti con lievi problemi della funzionalità epatica o soggetti in terapia con farmaci per l'ipertensione, dispepsia, diabete, artrite, neoplasie o, comunque, metabolizzati dal fegato senza che si verifìchino importanti problemi di interazione (dati in Moretti et al., 2004, E).

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 142

Come è noto, sembra che la rivastigmina dimostri un’affinità selettiva per le aree cerebrali che possiedono un’isoforma G1 dell’AchE, in particolare per le aree frontali (Weinstock 1999), orbito-mediali e del cingolo anteriore, consentendo un aumento della perfusione di queste regioni, con tropisimo anche per le aree amigdaloidee ed ippocampali (Darvesh et al., 2003; Venneri et al., 2002; Sharma et al. 2001; Rombouts et al., 2002; Nordberg et al., 2001; Rösler 2002; Cummings, 2000; Darvesh et al., 1998).

Dal momento che i lobi frontali e i circuiti fronto-amigdaloidei sono precipuamente coinvolti nella condotta, la rivastigmina può essere in grado di arginare eventuali manifestazioni/alterazioni comportamentali che avvengono nel deterioramento cognitivo. Queste ultime rivestono una particolare ed altissima importanza, dato che sono queste (e non la perdita cognitiva) la causa prioritaria dell’istituzionalizzazione dei pazienti con demenza, di qualunque origine (Bullock, 2002).

Il nostro gruppo è partito da queste premesse biologiche per studiare rivastigmina nei pazienti con deterioramento vascolare. Abbiamo però voluto considerare un preciso gruppo di pazienti, in modo d’avere dati omogenei, quello affetto da deterioramento vascolare sottocorticale.

I risultati del nostro studio preliminare su un piccolo gruppo di pazienti, selezionato con i criteri per il deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale (n = 16), trattato con rivastigmina (gruppo A) o basse dosi di aspirina (Gruppo B) per 22 mesi, aveva messo in luce un beneficio statisticamente significativo nelle modificazioni psico-comportamentali (Cummings et al., 1994) , che si riflettevano sullo stress del caregiver a 12 e 22 mesi (Moretti et al., 2001; Moretti et al., 2002 a-b).

I risultati potevano essere così riassunti:

Fig. 107. Modificazioni delle scale globali del comportamento (scala NPI) ottenute in un gruppo affetto da sVaD (Moretti et al., 2002-a)

-3,5

-3

-2,5

-2

-1,5

-1

-0,5

0

0,5

1

1,5

Gruppo AGruppo B

Miglioramento

Deterioramento

Mod

ifich

e de

ll’N

PI ri

spet

to a

l bas

elin

e

1 3 8 12 16 22

Mesi

*

* p < 0.01 vs Gruppo B e p < 0.05 vs baseline

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Rivastigmina nel trattamento della demenza vascolare 143

I dati si riflettevano, sorprendentemente, anche su un effettivo miglioramento della depressione, percepita dai soggetti stessi e dai caregivers (Moretti et al., 2002-b), misurata con la Cornell’ Rating Scale (Alexopoulos et al., 1988).

Fig. 108. Modificazioni delle scale globali della depression (scala Cornell) ottenute in un gruppo affetto da sVaD (Moretti et al., 2002-b)

Se poi si andava a valutare (Moretti et al., 2002-b), rispetto al baseline, le modificazioni comportamentali, misurate con i singli items del BEHAVE-AD (Reisberg et al., 1987), si poteva osservare una diminuzione statisticamente significativa dei vari scores.

BEHAVE-AD items Gruppo A Gruppo B

P-value “between groups”

Alterazioni attività motoria

-0.50 1.13 0.007

Alterazioni dell’affettività -0.50 0.63 0.035

Aggressività -0.75 1.00 0.008

Ansia/fobie -1.13 1.00 0.003

Allucinazioni -0.63 1.63 0.006

Deliri -2.88 1.75 0.001

BEHAVE-AD punteggio globale

-6.38 7.13 0.001

Fig. 109. Modificazioni delle scale globali del comportamento (scala BEHAVE-AD) ottenute in un gruppo affetto da sVaD (Moretti et al., 2002-b)

-2

-1,5

-1

-0,5

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

Gruppo AGruppo B

Miglioramento

Deterioramento

Mod

ifica

zion

e de

lla sc

al di

Cor

nell

per l

adep

ress

ione

vs

- bas

elin

e

1 3 8 12 16 22

Mesi

*

* P < 0.05 “between groups”

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 144

Tutto questo, si rifletteva, invariabilmente, in una riduzione dello stress sul caregiver, misurato dalla scala RSS di Greene et al., 1982.

Fig. 110. Modificazioni delle scale globali dello stress dei caregivers (scala RSS) ottenute in un gruppo affetto da sVaD (Moretti et al., 2002-b)

I dati presentati hanno trovato conferma in uno studio in aperto, open-label, randomizzato su un gruppo di 208 pazienti, con deterioramento cognitivo vascolare sottocorticale (Moretti et al., 2003) con un follow-up a 12 mesi. I pazienti, omogeneamente divisi in due gruppi, assumevano o rivastigmina 3–6 mg/die, o aspirina 100 mg/day. La titolazione con rivastigmina veniva effettuata molto lentamente, dopo stabilizzazione con 3 mg/die, alla dose di 6 mg/die in 8 settimane (Moretti et al., 2004 B). A tutti i pazienti era consentito assumere precedenti terapie, quali antidiabetici orali, anti-ipertensivi, anticolesterolemici e quant’altro.

Caratteristiche basali nei due gruppi Rivastigmine 3–6 mg/die

Aspirina 100 mg/die + nimodipina 60 mg/die

Numero di pazienti 32 32

Genere (maschi/femmine) 19/13 19/13 Età (media ± SD) 77.56 ± 1.23 76.45 ± 5.21

Anni di scolarità (media ± SD) 8.69 ± 3.21 8.89 ± 1.23 Preferenza Manuale Destra Destra

Punteggio scala Hachinski 8.7 ± 1.9 8.71 ± 1.45 Patologie concomitanti (% pazienti)

Ipertensione essenziale 21.87% 15.62% Diabete mellito, tipo 2 15.62% 21.87%

Bronchite cronica 19.23% 19.23% Cardiopatia ischemica;

patologia coronarica; vizi valvolari 12.5% 12.5%

Ins. Renale cronica 6.25% 3.12%

Fig. 111. Concomitanza delle comorbilità, equamente distribuite, nei due gruppi affetti da sVaD considerati (Moretti et al., 2003; Moretti et al., 2004 B)

-10

-8

-6

-4

-2

0

2

4

Gruppo AGruppo B

Miglioramento

Deterioramento

Mod

ifich

e de

lla R

SS v

s. ba

selin

e

1 3 8 12 16 22

Mesi

*

* p < 0.01 vs Gruppo B e p < 0.05 vs baseline

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Rivastigmina nel trattamento della demenza vascolare 145

Rivastigmine 3–6 mg/die

Aspirina 100 mg/die + nimodipina 60

mg/die

ACE inibitori, numero pazienti - enalapril, dose media(± SD) - ramipril, dose media(± SD)

10 pazienti 21.56 ± 2.34 mg/die 3.45 ± 2.34 mg/die

11 pazienti 23.01 ± 1.56 mg/die 2.35 ± 1.78 mg/die

Calcio antagonisti, numero pazienti - amlodipina, dose media(± SD)

5 pazienti 6.0 ± 4.10 mg/die

3 pazienti 5.6 ± 2.34 mg/die

Antidiabetici orali, numero pazienti - glimepiride, dose media(± SD) - glibenclamine, dose media(± SD)

5 pazienti 2.0 mg bid 5.0 mg bid

3 pazienti 2.0 mg bid 5.0 mg bid

Diuretici, numero pazienti - amiloride o idroclorotiazide, dose media(± SD)

5 pazienti 14.7 ± 7.50 mg/die

3 pazienti 17.7 ± 3.50 mg/die

Broncodilatatori, numero pazienti 4 pazienti 5 pazienti

Una combinazione dei farmaci descritti 6 pazienti 5 pazienti

Fig. 112. Sinopsi dei concomitanti trattamenti farmacologici assunti dai pazienti nei due gruppi considerati nello studio (Moretti et al., 2003; Moretti et al., 2004 B)

Confronto vs baseline a 12 mesi

BEHAVE-AD items Rivastigmine Aspirina

Deliri 0.06± 0.1 0.1 ± 0.23°

Allucinazioni -2.86 ± 0.23 ¶ *

0.89 ± 0.2 ¶

Alterazioni attività motoria -1.28± 0.24 ¶*

1.1 ± 0.7 ¶

Aggressività -1.01± 0.9 ¶ * -3.25 ± 0.2 ¶

Ansia/fobia -7.26 ±1.9 ¶ *

1.44 ± 1.2 ¶

Alterazioni del sonno -0.42 ± 0.2 ¶ *

1.5± 0.2 ¶

Alterazioni affettività -0.54 ± 0.1 ¶*

0.45 ± 0.2 ¶

Ansia -7.6 ± 1.23 ¶*

1.75 ¶

BEHAVE-AD Punteggio totale

-16.37± 2.1 ¶*

1.44±0.34 ¶

° p<0.05 vs baseline; § p<0.05 vs gruppo aspirina ¶ p < 0.01 vs baseline; * p < 0.01 vs gruppo aspirina

Fig. 113. Modificazioni delle scale globali delle alterazioni comportamentali (scala BEHAVE-AD) ottenute in un gruppo affetto da sVaD (Moretti et al., 2003-b)

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 146

Questi dati si potevano compendiare nell’effettivo miglioramento, a 12 mesi dello score finale del BEHAVE-AD (Reisberg et al., 1987), come riportato nel grafico sottostante, in uno studio sul delirium nella popolazione con sVAD (Moretti et al., 2004 C).

0204060

base

line

12m

esi

gruppo A

gruppo B

Fig. 114. Modifiche del BEHAVE-AD, nei pz trattati con rivastigmina (Gruppo A) o con cardioaspirina (Gruppo B) a 12 mesi (Moretti et al., 2004 C).

In maniera molto interessante, i nostri dati sembrano confermare il miglioramento della qualità del sonno nel complesso Parkinson-demenza; noi abbiamo riportato risultati di netto miglioramento del sonno, indotto da rivastigmina, in pazienti con deterioramento vascolare sottocorticale (Moretti et al., 2004-B)

012345

baseline 12 mesi

gruppo A

gruppo B

Fig. 115. Modificazione della qualità del sonno, utilizzando il BEHAVE-AD, in pazienti trattati con rivatigmina (Gruppo A) o cardioaspirina (Gruppo B) per 12 mesi.

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Rivastigmina nel trattamento della demenza vascolare 147

Avevamo osservato anche una riduzione delle allucinazioni (Moretti et al., 2004-B).

0

2

4

6

8

baseline 12 mesi

gruppo A

gruppo B

Fig. 116. Modificazione del numero di episodi allucinatori, misurati con il BEHAVE-AD, in pazienti trattati con rivatigmina (Gruppo A) o cardioaspirina (Gruppo B) per 12 mesi.

In uno studio successivo (Moretti et al., 2004 B), mirato a valutare l’efficacia e le eventuali interferenze farmacologiche tra rivastigmina e altri farmaci (anti-ipertensivi, digitale, nitrati, broncodialtatori, diuretici, ecc.), si sono ottenute le seguenti conferme:

Si poteva osservare un miglioramento globale delle performances nel BEHAVE-AD (Reisberg et al., 1987) e dell’aggressività (fisica, verbale e sessuale), misurata con la scala di Ryden (1988).

Fig. 117. Trend globale in miglioramento nel BEHAVE-AD del gruppo A (trattato con rivastigmina)

-2-1012345678

deliri

allucinazioniatt. A

berranteaggressivitàalter. S

onnoalt. A

ffettivitàansia

gruppo A

gruppo B

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Moretti, Torre, Antonello, Pizzolato 148

-5

0

5

10

15

20

Aggr.fisica

Aggr. Verbale

aggr. Sessuale

gruppo A

gruppo B

Fig. 118. Miglioramento dell’aggressività nel gruppo A (trattato con rivastigmina)

I risultati di questo trial confermano quelli precedentemente riportati: rivastigmina si profila utile nel rallentare la perdita delle capacità esecutive ed attentive, e incrementa alcuni aspetti neuropsichiatrici, come dimostrato dale performance ottenute nelle due scale, generali e per items, sopra riportate.

I risultati dei nostri trials sono stati confermati da vari altri, in particolare quelli di Aupperle et al. (2004), e di Finkel (2004).

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

45%

Antipsychotic

antidepressant

anxyolitics

Fig. 119. Riduzione del tasso di utilizzo degli antipsicotici, di antidepressivi e di ansiolitici nei pazienti trattati con rivastigmina (Finkel, 2004)

Un lavoro recente, (Moretti et al., 2004 C), su 246 pazienti, con deterioramento vascolare, valutati per 24 mesi e trattati con rivastigmina, ha

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Rivastigmina nel trattamento della demenza vascolare 149

dimostrato che l’incidenza di episodi di delirium è più bassa, la loro durata è ridotta e la loro portata è effettivamente meno onerosa.

Uno studio molto recente, in aperto, su 72 casi di AD moderatamente grave, eseguito con follow-up a 52 settimane, ha riportato risultati analoghi: Rivastigmina migliora in maniera significativa i sintomi comportamentali (Aupperle, et al., 2004).

Fig. 120. Dati riportati modificati (da Aupperle et al., 2004)

I risultati di questi trials confermano quelli precedentemente riportati: rivastigmina si profila utile nel rallentare la perdita delle capacità del vivere sociale, e migliora alcuni aspetti neuropsichiatrici, come dimostrato dale performance ottenute nelle due scale, generali e per items, sopra riportate.

A fronte di un alto numero di co-morbilità, la rivastigina è stata ben tollerata. Nessun paziente ha abbandonato i nostri studi, e molto limitati sono stati i numeri di drop-out neglia altri studi riportati. Nessun evento collaterale potenzialmente pericoloso si è verificato per tutta la durata del follow-up. Nessuna alterazione della dinamica vascolare, né della funzionalità cardiaca è stata riscontrata. Non vi sono state interazioni avverse con gli altri farmaci assunti.

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CONCLUSIONI

E’ difficile scrivere delle conclusioni su un argomento che si inizia appena a conoscere; da queste pagine dovrebbero (o è un pio desiderio degli autori?) nascere dubbi, incertezze e, quindi, domande.

Come può coesistere la demenza con la patologia vascolare, comunemente trattata in clinica?

Quali sono le inter-relazioni con il danno indotto da alterazioni di substrati enzimatici (tipo l’omocisteina o il deficit di vitamina B12 e, conseguentemente del metil-malonil –CoA)?

Qual è la relazione tra la maggior vulnerabilità di risposta al danno ossidativo e il danno cognitivo?

Sarebbero necessari altri volumi per rispondere a questi quesiti. L’idea del presento testo è stata quella di fornire una categorizzazione dei

problemi vascolari nella pratica clinica e nella ricerca farmacologica clinica. L’intenzione, alla luce dei casi clinici presentati, è stata quella di applicare le regole fornite e quindi, procedere con razionalità alla soluzione di casi effettivi. Con ciò, dimostrando la necessità di osservare, attendere e descrivere, prima di emettere un giudizio, di formulare una diagnosi.

Non tutte le demenze sono uguali; non tutte hanno le stesse necessità terapeutiche, né le stesse risposte farmacologiche.

L’umiltà del clinico dovrebbe derivargli dalla sua sapienza; questa gli deriva dalla sua osservazione. L’umiltà porta alla verità.

Simplex est sigillum veri.

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

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Finito di stampare nel mese di novembre del 2012dalla «ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.»

00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15per conto della «Aracne editrice S.r.l.» di Roma