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AVO Torino 63° Corso di Formazione Base 1 63° Corso di Formazione Base 11 ottobre 08 novembre 2011 AVO TORINO Via S. Marino, 10 - 10134 Torino Tel 011 318 76 34 Tel e Fax 011 319 89 18 www.avotorino.it e-mail [email protected] CF 97503860013

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63° Corso

di Formazione Base 11 ottobre – 08 novembre 2011

AVO TORINO Via S. Marino, 10 - 10134 Torino

Tel 011 318 76 34 Tel e Fax 011 319 89 18

www.avotorino.it e-mail [email protected]

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Martedì 11/10/11

Presentazione del Corso

Roselena Testore, Consigliere, Responsabile Formazione Base

AVO Torino: dallo Statuto al Servizio

Maria Teresa Emanuel, Presidente AVO Torino

L’AVO nel contesto del volontariato piemontese

Leonardo Patuano, Presidente AVO Regionale

Il volontario nel rapporto con il malato

Elena Ferrario, Curatrice formazione su AVO Torino Informa

Giovedì 13/10/11

L’ascolto nella relazione d’aiuto

Nadia Gandolfo, Consigliere, Responsabile Formazione Permanente

L’ospedale pediatrico

Paola Pecco, già primario Ospedale Infantile Regina Margherita

Martedì 18/10/11

L’anziano e i suoi problemi: bisogni reali e desideri

Maurizio Rocco, Medico Geriatra Ospedale Molinette

Diritti e risorse per le persone ricoverate

Maria Cristina Odiard, Assistente Sociale Ospedale Mauriziano

Giovedì 20/10/11

L’approccio al malato oncologico

Monica Seminara, Psicologa psicoterapeuta, collaboratrice FARO

Norme d’igiene per i volontari in ospedale

Simona Fantino, Infermiera Prevenzione Infezioni al Martini

Martedì 25/10/11

Motivazioni del volontariato

don Sergio Messina, Assistente Spirituale Villa Cristina

L’organizzazione AVO all’interno degli ospedali

Maria Vittoria Faga, Consigliere, Responsabile Ospedali

Giovedì 27/10/11

Il Gruppo e l’Associazione

Laura Montanaro, già responsabile Formazione Permanente

Norme di Sicurezza per i volontari in ospedale

Antonio Gallo, volontario AVO Mauriziano

Etica: uno sguardo sui dilemmi del nostro tempo

Michela Galetti, già responsabile Formazione Continua OIRM Sant’Anna

Giovedì 03/11/11

L’AVO incontra la Multicultura

Ruben Nasi, Operatore Gruppo Abele

AVO Giovani

Marco Sarti, Consigliere AVO Giovani

AVO Torino Informa

Eugenia Berardo, Responsabile Giornale AVO Torino Informa

Il Disagio Psichico

Tania Margiotta, Psicoterapeuta – Consulente Villa Cristina

Martedì 08/11/11

L’uomo fragile: la malattia, la sofferenza e la cura

Francesco Scaroina, Direttore Dipartimento Medicina S. Giovanni Bosco

Conclusioni

partecipanti al corso

da Giovedì 10/11 a Venerdì 11/11

Colloqui a gruppi per inserimento in ospedale

Gruppo Formazione e Responsabili Ospedale

Mercoledì 22/02/12

Dopo il tirocinio: esperienze a confronto

Programma del 63° Corso di Formazione Base

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Presentazione del Corso

“... Il coraggio di non lasciarli soli ...”

Oggi si parla tanto di coraggio ... siamo circondati da tante nuance di coraggio nel nostro

quotidiano ed ognuno di noi non è esente da almeno una:

coraggio di lottare,

coraggio di dire le proprie idee,

coraggio di ―andare‖ contro corrente,

coraggio di amare,

il coraggio di andare avanti,

ecc...

... ma cosa davvero significa avere coraggio?

Leggendo la definizione della Garzanti non ho potuto fare a meno che pensare all’AVO ...

sembrava scritta per noi ... la prima definizione è adatta alle persone che cerchiamo di aiutare:

“forza d’animo nell’affrontare il pericolo o nell’avviare difficili imprese”

la seconda per noi Volontari:

“esortazione a non perdersi d’animo”.

La Vostra scelta di seguire un cammino di Volontariato è una prova di coraggio che la vita non

impone ma può fare di Voi persone coraggiose ...

Il coraggio di diventare Volontari sembrerebbe radicato nella capacità che l’individuo ha di

alleviare le sofferenze di chi soffre ... ma questa è solo una parte del coraggio ...

Diventare Volontari significa in primis mettersi in discussione, avere la forza di leggersi dentro, ed

essere ―veri‖ con se stessi. Solo chi ha il coraggio di accettare il proprio ―io‖ sarà capace di creare

e costruire con i più deboli un ―viaggio‖ insieme.

Ci vuole coraggio, soprattutto nel mondo di oggi, a mettere da parte il proprio ―io‖, i propri spazi e

priorità per gli altri ...

Ci vuole coraggio a comunicare fiducia e positività verso il futuro a chi è toccato da un profondo

vissuto emotivo ...

Ci vuole coraggio ad aiutare il malato a ritrovare un’identità e una forza per continuare a lottare e

...

soprattutto credere in chi ha coraggio ...!

Maria Teresa Emanuel

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AVO Torino: dallo Statuto al Servizio Maria Teresa EMANUEL – Presidente AVO Torino

AVO TORINO: LA NOSTRA MISSION

AVO: associazione nata grazie all’idea del Professor Longhini nel 1975 a Milano

Alcuni dati significativi dell’AVO:

244 AVO operative;

30.000 volontari in attività;

521 strutture di ricovero;

3.500.000 ore di servizio prestate in un anno

FederAVO: nasce nel 1978

AVO Torino

nasce nel 1981 grazie ad un piccolo gruppo di Volontari. Primo servizio presso l’Ospedale Gradenigo.

Alcuni dati significativi dell’AVO Torino:

985 Volontari;

16 strutture ospedaliere e case di riposo

81.000 ore di servizio prestate in un anno

…Mission AVO: aiutare chi soffre…

AVO TORINO: I NOSTRI VALORI

AVO si basa su valori molto ben radicati che permettono di agire ogni giorno.

I Volontari AVO vivono e credono in questi principi che sono i principali driver del loro Volontariato:

Solidarietà

Condivisione

Motivazione

Gratuità

Senso di Appartenenza e Lavoro di squadra

Coraggio di Tutelare i diritti dei pazienti

Schierarsi dalla parte dei più bisognosi

AVO TORINO: LE NOSTRE COMPETENZE

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AVO Torino ha costruito la propria credibilità verso i malati e le istituzioni attraverso le competenze

professionali che ha sempre cercato di perfezionare con il tempo.

La formazione e la specializzazione dei Volontari sono priorità del nostro Volontariato per poter

ottimizzare il servizio al paziente.

Nel corso del tempo abbiamo costruito, impegnando molte risorse sia interne che esterne, training di

base e specifici per venire incontro a tutte le esigenze del malato. Questo è stato voluto con ―forza‖ e

passione dalla nostra Associazione per dare al Volontario tutti gli strumenti per svolgere al meglio il

proprio servizio.

Le nostre competenze sono il nostro migliore ―biglietto da visita‖ per accrescere la nostra visibilità

nella società e veicolare i nostri valori e capacità nel mondo del Volontariato.

In conclusione, la formazione e il focus sulle competenze dei nostri Volontari sono e saranno sempre

un nostro obiettivo primario per essere all’avanguardia e preparati per offrire il miglior servizio al

paziente.

Lo statuto

Denominazione, sede, durata, oggetto e finalità, rapporti con Federavo, patrimonio ed entrate

Soci (tirocinanti, ordinari,..), diritti e doveri dei soci, accettazione delle richieste di ammissione a

socio, decadenza da socio

Organi dell’associazione:

Assemblea dei soci

Consiglio esecutivo

Presidente del Consiglio esecutivo

Collegio dei revisori dei conti

Commissione di disciplina

Gratuità cariche ed incarichi, divieto distribuzione utili, scioglimento associazione

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L’ AVO nel contesto del volontariato piemontese Leonardo PATUANO – Presidente AVO Piemonte

L’inizio di un corso base è sempre un’emozione, ci si pone dinanzi alla domanda, come possiamo trasmettere le motivazioni di ciò che proviamo a persone che si accingono ad entrare in un’Associazione come la nostra, l’AVO. Ma l’emozione deve lasciare il posto alla razionalità con il compito di illustrare chi siamo, cosa facciamo, qual è il nostro compito presso le strutture dove la sofferenza è di casa. La nostra Associazione ha raggiunto di traguardi importanti, e questo ci sollecita a riflettere sulla nostra storia appena trascorsa e i cambiamenti che vi sono stati al mutare della situazione sociale. La medicina compie passi da gigante, consenso informato, degenze brevi, badanti, acqua in bottigliette di plastica, acqua gel.... Il presente c’impegna a guardare al futuro per interpretare e svolgere meglio la nostra missione rivolta alla persona, che in una società sempre più tecnologica come quell’attuale, di pari passo deve sviluppare l’umanizzazione dei luoghi dove siamo presenti, i nostri servizi sono, non solo di carattere pratico ma, sempre più, di un supporto molto importante, l’ascolto, mi rendo conto e lo sappiamo tutti, che è la cosa più difficile. Il nostro fondatore, il Prof. Erminio Longhini nel lontano 1975 ebbe l’intuizione che forse mancava un anello di congiunzione, (tra malato, parenti e struttura ospedaliera) rappresentato dall’opera ricca e disinteressata del Volontario. Da allora siamo cresciuti, ed oggi alla FederAvo fanno parte 246 AVO locale, siamo presenti in circa 500 strutture ospedaliere e case di riposo con 30.000 volontari e più di 3.500.000 ore effettuate. In particolare, l’AVO Regionale Piemonte raggruppa 17 AVO locale, operiamo in 34 comuni e 65 strutture tra ospedali e Case di Riposo, con circa 3.000 volontari e circa 330.000 ore di servizio. Tutto ciò comporta impegno, ma soprattutto formazione. Dalla formazione di base per i nuovi volontari, a quella ancora più importante che è la formazione permanente. Come ha rilevato il Prof. Longhini, nel suo intervento al 18° Convegno di Sibari nel 2008, quasi ottantenne e sempre pronto a spronarci per nuove sfide.

“Non abbiate paura, ma tenete presente che preparazione, formazione, conoscenza sono le basi portanti del nostro volontariato”

Sì, perché dobbiamo farci interpreti delle nuove esigenze e bisogni emergenti, per questa ragione la nostra preparazione deve essere all’altezza dei tempi che mutano, che in ogni caso non esclude la spontaneità dei volontari, persone uniche e irripetibili. Com’è stato affermato più volte, noi non ci sostituiamo a nessuno nei compiti o funzioni, ma integriamo, per questo motivo il nostro operato è fluido, chiaro, sereno e senza secondi fini. Come possiamo rapportarci con l’attuale sistema?

Apro una breve parentesi di memoria: Il Servizio Sanitario Nazionale nel 2008 ha compiuto 30 anni, infatti, con la legge 883 del 1978 si sancisce la: Universalità, globalità e uguaglianza dell’assistenza e alle cure sanitarie nel rispetto dell’art. 32 della Costituzione sulla tutela della salute. In questi anni il bisogno di sanità è in continuo aumento e in rapida trasformazione, ma spesso la ricerca medica non va di pari passo con l’attenzione alla persona, c’è quindi la necessità di umanizzare l’ambiente ospedaliero affinché il malato, la persona possa essere curata nel suo insieme, fisico morale e spirituale.

Chiudo questa parentesi con una frase di Franz Kafka:

Scrivere una ricetta è facile, parlare con un sofferente è molto più difficile.

Per sostenere la tesi che ―l’ascolto e un sorriso, sono terapia nella relazione d’aiuto‖.

La FederAvo da qualche tempo avanza un’esplicita richiesta, che i volontari siano essi stessi protagonisti con le loro idee, le proposte e la loro presenza siano da stimolo per perseguire l’umanizzazione dei luoghi dove ―l’uomo soffre‖ e alla crescita della nostra Associazione.

Concludo con una frase del tema che ha caratterizzato il Convegno di Sibari:

―maggiore è la conoscenza di se e la condivisione del percorso formativo, maggiore è la possibilità di superare i rischi, trasformando le difficoltà in opportunità di crescita,

―AIUTARSI PER AIUTARE

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Il volontario nel rapporto con il malato

Elena FERRARIO - Volontaria ospedale Martini Curatrice della rubrica di formazione di “AVO Torino informa”

PREMESSA

Diventare volontario ospedaliero significa avere ben chiaro che ci si occuperà di PERSONE che attraversano momenti particolarmente difficili della loro vita: quelli della malattia, che implicano dolore, paura, solitudine. Per occuparsi bene di loro non basta la buona volontà del futuro volontario. Occorrono conoscenze e strumenti appropriati. Perciò il Corso di base e il tirocinio che vi fa seguito, vanno intesi solo come le prime due tappe di un percorso di crescita umana e professionale che il volontario dovrà seguire lungo tutto il periodo che questi dedicherà al servizio dell’ammalato.

CHI E’ L’AMMALATO ? QUALI I SUOI BISOGNI ?

Per essere di aiuto agli altri occorre prima di tutto sapere con chi si ha a che fare e quali sono le sue necessità.

L’ammalato deve ricevere non quello che il volontario ritiene possa essergli utile in base al proprio giudizio, ma quello di cui l’ammalato ha effettivamente bisogno.

L’ammalato è una persona. Ogni persona è strutturata attorno a varie dimensioni:

1. Fisica: immagine di sé, dieta e alimentazione, sport, relax, ecc. 2. Mentale: interessi, ricordi, motivazioni, aspettative, atteggiamenti. 3. Sociale: amicizie, ruoli familiari e sociali, rapporto con l’ambiente, lavoro. 4. Emotiva: sentimenti, affetti, legami, perdite, ferite, meccanismi di difesa. 5. Spirituale: ricerca di scopo, valori etici, spiritualità, religione, virtù.

La salute nasce dall’equilibrio di queste cinque dimensioni. Quando questo equilibrio si rompe, insorge la malattia. La malattia rende fragili. Il ricovero ospedaliero crea situazioni di dipendenza: dai medici, dagli infermieri, dalle terapie, dall’assistenza dei familiari o di terze persone. La dipendenza è la forma di disagio che accomuna tutti i ricoverati. Tuttavia occorre tener presente che non esiste un ammalato uguale all’altro. Ognuno è la somma di tante biografie:

1. Biografia fisica. 2. Biografia cognitiva 3. Biografia professionale - sociale 4. Biografia affettiva. 5. Biografia spirituale.

Le biografie variano enormemente da individuo a individuo, così come variano enormemente gli atteggiamenti e le reazioni delle persone di fronte alla malattia.

Da quanto precede emerge chiaramente che i bisogni dell’ammalato rientrano in due fasce distinte:

A. Bisogni di ordine materiale, COMUNI A TUTTI, legati alla dipendenza: assumere i pasti, essere accompagnati al bagno o in altro luogo dell’ospedale, essere aiutati nei movimenti, procurarsi cose inaccessibili: un caffè, un giornale, ecc.

La risposta ai bisogni della fascia A non richiede nessuna preparazione particolare. Bastano pochi accorgimenti che si imparano presto durante il tirocinio.

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Di solito vi è una tendenza un po’ troppo unilaterale a privilegiare questo genere di servizi perché:

- così si è sempre fatto (forza della tradizione). - sono facili da eseguire per il volontario (non richiedono l’impegno dei bisogni di fascia

B). - la gratificazione è sicura e immediata ( FARE delle cose, farne tante, permette di

contabilizzare l’entità dei servizi del volontario).

Gli aiuti relativi a questa fascia, pur preziosi in determinate situazioni, hanno un carattere essenzialmente utilitario.

*Un errore da evitare fin dall’inizio: ritenere che l’opera del volontario consista prevalentemente nel soddisfare i bisogni della fascia A.

B. Bisogni individuali, DIFFERENTI DA PERSONA A PERSONA, legati alle biografie di ognuno. Riguardano la sfera degli STATI D’ANIMO: mettono in gioco capacità di ascolto, di sostegno, di conforto, di condivisione, di dare risposte.

La risposta ai bisogni della fascia B richiede l’esercizio di attitudini di base (empatia, disponibilità all’ascolto, pazienza, umiltà) sostenuto da competenze specifiche da acquisire o da perfezionare a poco a poco: familiarità col linguaggio dei sentimenti, capacità di riconoscerli, capacità di accoglierli (contro la tendenza a soffocarli). Inoltre sono richiesti: sviluppo delle capacità di osservazione, attenzione al linguaggio verbale, riconoscimento dei linguaggi non verbali (espressioni del volto e del corpo), sensibilità. La tendenza a schivare questo genere di aiuti è forte perché:

- richiedono impegno,disponibilità e conoscenze appropriate. - obbligano al confronto con noi stessi, con le nostre ansie, con le nostre paure e a

metterci sempre in discussione. - non sempre gratificano, anzi, possono essere ansiogeni.

Gli aiuti relativi a questa fascia sono benefici, sananti per l’ammalato: il volontario si fa “medicina” per il paziente.

*Una verità di cui occorre convincersi da subito: “Per non perdere l’appuntamento del cuore” (Pangrazzi, 2005), i bisogni individuali, che nascono dagli stati d’animo del paziente, sono assolutamente prioritari nella relazione d’aiuto.

DEONTOLOGIA DEL VOLONTARIO

Da quanto precede si possono ricavare svariate indicazioni da tenere presenti in vista di un servizio volontario responsabile ed efficace. Ecco intanto un principio generale:

La gratuità che caratterizza il servizio volontario, non deve mai andare a scapito della professionalità.

Professionalità significa:

I° Interpretare il servizio come un impegno equiparabile ad un lavoro part-time, che comporta pertanto delle regole:

a. puntualità e regolarità nei turni settimanali, evitando le assenze per proprio comodo o per futili motivi.

b. segnalazione tempestiva al responsabile del proprio reparto di eventuali assenze improrogabili.

c. ordine e sobrietà nell’aspetto, richiesti dall’ambiente in cui si opera: camice pulito, capelli raccolti, trucco leggero, niente sfoggio di gioielli.

d. spirito di collaborazione e di franca amicizia con i colleghi ed il coordinatore del proprio reparto.

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II° Svolgere il servizio con competenza:

a. essere discreti, silenziosi, non imporsi mai ai malati, ma proporsi con grande levità.

b. non disdegnare i servizi più semplici ma sempre tenendo presente l’opportunità di agevolare nell’altro l’espressione dei sentimenti.

c. in tale prospettiva, mai ricorrere, nel colloquio col malato, ad espressioni che banalizzino o facciano passare la voglia di confidarsi: ― non pianga‖… ―non dica così‖…‖suvvia, faccia un pensiero positivo‖…‖ non deve aver paura per così poco”…

d. tenere presente che negli incontri è il malato, non noi, ad occupare la scena. Lasciargli spazio significa far tacere i nostri bisogni di protagonismo. Ascoltare piuttosto che parlare, (per proporre le nostre ricette, i nostri consigli, o, peggio ancora, per parlare di noi). Evitare altresì le chiacchiere da intrattenimento puntando invece a scambi più sostanziali.

III° Fare il punto, a casa propria, sul servizio svolto:

a. Prendere nota, per non dimenticare, degli incontri più significativi o più problematici.

b. Dare una propria valutazione al servizio che abbiamo svolto, evitando gli eccessi di severità o di indulgenza. Mettere in conto, soprattutto agli inizi, possibili errori di approccio, risposte maldestre, battute inopportune.

c. Mettere in programma la possibilità, anzi il dovere, di migliorare le proprie prestazioni, utilizzando coscienziosamente le risorse utili alla propria crescita personale: utilizzo della biblioteca per documentarsi su aspetti del servizio che fanno problema, lettura attenta del nostro giornale che propone sempre delle rubriche di formazione, partecipazione alle iniziative formative promosse dalla struttura in cui operiamo o dalla segreteria centrale.(Formazione permanente).

Conclusivamente:

Avere sempre presente, per il nostro volontariato e per la nostra vita che:

1. Non conta tanto il FARE quanto invece il COME si fa.

2. La soddisfazione più bella che potremo ricavare dal nostro servizio (a parte la gratitudine che talvolta riceveremo dagli ammalati), consisterà nella consapevolezza di avere messo tutto l’amore e tutta la competenza possibili nello svolgimento del compito che ci siamo assunti.

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L’ascolto nella relazione d’aiuto

Nadia GANDOLFO – Consigliera Esecutivo AVO Torino Coordinatrice Responsabili Formazione

Premessa La relazione di aiuto è quella specifica modalità relazionale che mette in comunicazione chi ha bisogno di aiuto e chi fornisce aiuto. Ogni relazione è un sistema, in quanto ognuno dei due influenza l’altro attraverso le parole, i comportamenti e, a sua volta, ne resta influenzato. Anche la relazione volontario- assistito è da leggersi in questa chiave. Il fatto che si denomini ―relazione di aiuto‖ è motivato dalla fatto che uno dei due ha qualche necessità. Essa infatti é connotata come a-simmetrica tra le due persone che entrano in relazione: nel nostro caso uno dei due ha meno salute, meno serenità, meno contatti sociale e quindi minori relazioni affettive… Il malato, aldilà delle sue difficoltà è una persona con una sua storia, un passato, una saggezza…che forse, al momento, non può emergere. La sofferenza può ricondurre l’uomo nella sua dimensione più nuda e sincera: è in grado di togliersi le maschere sociali. La relazione di aiuto si svolge contemporaneamente nel reale e nel simbolico: intervengono elementi di cui si è consapevoli ed altri che agiscono inconsciamente. Scattano in entrambi (volontario e assistito) emozioni, vissuti, reazioni comportamentali che hanno implicanze affettive. Saper leggere, riconoscere e accettare le proprie emozioni, apprendere a comunicarle attraverso le parole e attraverso il corpo senza permettere loro di straripare in modo incontrollato è l’obiettivo che si pongono gli incontri di formazione e di scambio di esperienze che si attivano periodicamente nella varie strutture, a livello di gruppi di reparto. La ―mission‖ dell’AVO: Presenza e Ascolto. Attraverso un ascolto consapevole e competente dei messaggi verbali e non verbali, delle intenzioni implicite riguardanti sé e l’altro, il volontario si impegna per fornire un servizio di qualità. Il servizio AVO infatti non si incentra sul fare, ma sulla Presenza e Ascolto. La presenza implica stare accanto all’altro con autenticità e fiducia per creare le condizioni per un dialogo a livello di partecipazione dei sentimenti. Ma queste condizioni da sole non bastano. Un dialogo pienamente umano richiede agli interlocutori alcuni atteggiamenti o modi di essere capaci di creare quella situazione emotiva in cui entrambi si trovino a proprio agio, sperimentino la gioia di stare insieme: Si tratta di una presenza corretta in quanto permette all’interlocutore di essere se stesso e di autorivelarsi con sincerità. La Presenza è da intendersi in senso olistico: essere con la mente e con il cuore, creando in noi uno spazio di attenzione per l’altro. E’dunque la nostra autenticità che si mette in gioco quando si entra in relazione con l’altro. Il volontario può diventare un animatore del tempo; la sua presenza può costituire un punto di riferimento temporale, quando non sono carenti nel malato le coordinate spazio-temporali, a causa del fluire sempre identico, ripetitivo degli eventi che cadenzano la giornata. Spesso il volontario è chiamato a cercare dentro di sé e soprattutto nei gruppi di scambio di esperienze la comprensione dei bisogni profondi dell’altro, cercando così di dare ―anima‖ ad aspetti della vita mummificati dalla consuetudine o dallo scoraggiamento. L’ascolto è una forma di comunicazione spesso sconosciuta, in quanto uno dei bisogni fondamentali della natura dell’uomo sembra essere : parlare e parlare di sé. E’ una verità così appariscente che può sembrare banale. Eppure nell’uomo d’oggi c’è un immenso bisogno di dire, dire…qualsiasi cosa pur di comunicare con qualcuno. Tutti, con gli espedienti più accorti, vanno a caccia di qualcuno che li ascolti. Ne consegue che la relazione di aiuto più efficace e più gradita consiste non nell’abbondanza doviziosa di parole, ma nella disponibilità ad ascoltarla. La scelta di ―regalare l’ascolto‖ è un metro che commisura bene la disponibilità al servizio e il beneficio dell’incontro.

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Ascoltare è un atteggiamento attivo perché richiede un’attenta presenza di sé ed un investimento di tutte le energie in ciò che si sta compiendo , come è già stato sottolineato per la presenza il volontario è lì ―con la mente e con il cuore‖. Ascoltare correttamente è molto faticoso per l’attenzione che richiede, per il coinvolgimento emotivo che ne deriva, talvolta per la non condivisione di ciò che si ascolta, facendo in tal modo tacere la nostra comunicazione intrapsichica, il nostro vissuto che colui che parla ridesta in noi. Saper ascoltare è saper far tacere se stessi e dare precedenza all’altro; offrire ascolto è offrire ospitalità: è accogliere in noi, in un certo senso, colui che parla con la sua interiorità e viverla insieme almeno per poco. IL sentirsi ascoltati lascia appunto l’impressione di vivere in un altro o, meglio, di avere qualcuno in cui vivere. L’attenzione al linguaggio non verbale Purtroppo la nostra cultura sopravvaluta l’importanza del linguaggio verbale, perché si pensa che attraverso le parole possiamo essere più efficaci, farci capire meglio dagli altri. Il linguaggio non verbale è in realtà il più immediato, il più veritiero . Accompagna e appoggia il linguaggio verbale, anche se non ne siamo consapevoli; mentre si parla si gesticola, si assume una certa postura che è molto eloquente circa il rapporto che stiamo stabilendo con l’altro. La stessa vicinanza o lontananza dal malato (spazio prossemico) può essere letta come relazione affettuosa oppure come invasività spaziale - relazionale non richiesta. Avendo ridimensionato il potere della parola è vitale soffermarci sull’importanza del silenzio. Il silenzio è una comunicazione senza suoni, è intensità di linguaggio in assenza di parole. Un ascolto corretto sa fare uso ponderato delle pause di silenzio. Spesso dinanzi ai silenzi dell’interlocutore si prova disagio e imbarazzo e si corre il rischio di riempirlo con interventi inappropriati. I momenti di pausa e di silenzio danno a colui che parla la conferma tangibile che si è lì per lui, senza fretta; non si hanno al momento motivi personali per intervenire, si è lì non per parlare di noi, ma per stare con lui. A conclusione una riflessione. La relazione di aiuto come atto di gratuità, è un ―bene relazionale‖ a cui spesso nella nostra società non si dà valore. Interessanti sono le ragioni individuate dal professor Bruni dell’Università MilanoBicocca. - La gratuità è legata alla sofferenza e la cultura contemporanea occidentale non accetta più il dolore, fa di tutto per rimuoverlo. - Il mercato tende a vendere merci che ―simulano‖ i beni relazionali veri, dalla televisione come ―mistificatrice‖ di rapporti veri con gli altri, alle nuove tecnologie.. - I beni relazionali sono costosi, vulnerabili, fragili in quanto richiedono reciprocità. - Il grande errore cui induce l’estendersi della logica del mercato è associare la gratuità al ―gratis‖ .ad un prezzo nullo, al non valore. In realtà la gratuità corrisponde ad un prezzo ―infinito‖ e davanti alla logica del ―prezzo‖, le agenzie di socializzazione, in particolare la famiglia e la scuola devono insegnare l’arte della gratuità, che ricorda che i beni più importanti non possono essere ‖prezzati‖. Il lavoro è importante ma il valore della gratuità lo è di più. Si può vivere senza lavorare, ma si muore presto senza dare e ricevere amore. Soltanto se si sperimenta la gratuità si può essere buoni lavoratori, costruttori di comunità di lavoro, perché anche in società ricche, come in quelle più povere, resta vero che ―L’uomo felice ha bisogno di amici‖ (Aristotele)

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L’ospedale pediatrico Dott.sa Paola PECCO – già primario Ospedale Infantile Regina Margherita

STORIA ED EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI UMANIZZAZIONE NELLE STRUTTURE OSPEDALIERE

UMANIZZARE L’OSPEDALE: COSA SIGNIFICA? RENDERE L’OSPEDALE PIÙ ATTENTO AI BISOGNI DELLA PERSONA (BAMBINO)? Preoccuparsi di umanizzare l’ Ospedale è un eccezionale successo nel percorso di promozione della dignità delle persone

BREVI CENNI DI STORIA PIÙ ANTICHI E PIU’ RECENTI In Europa, fino all’800, il bambino non era oggetto di interesse né per le Istituzioni né per la Scienza Medica La Pediatria è una scienza che nasce in ritardo rispetto alle altre scienze mediche. Il primo testo di pediatria ―De Morbis Puerorum‖ di G. Mercuriali esce nel 1583 e, per 2 secoli, rimane pressoché l’unico Era diviso in tre parti:

1°parte: Malattie esterne

2° parte: Malattie interne

3°parte: I vermi Fino alla fine del 700 la cultura Pediatrica non esisteva per diffuso disinteresse dei medici verso l’infanzia le cui cure venivano delegate alle madri o alle nutrici. I medici ritenevano impossibile curare esseri che non erano capaci di dire di cosa soffrivano.

LA PEDIATRIA COME SCIENZA HA POCO PIÙ DI 100 ANNI Il primo manuale di Pediatria è stato stampato a Torino nel 1892: ―Delle malattie dei bambini e delle loro cure‖ di F.Capasso. Nel 1882 l’Università di Padova, per prima, istituisce l’Insegnamento della Pediatria, separato da quello della Medicina Generale e dell’Ostetricia. Nel 1901 il Ministro Nasi inserisce la Pediatria nel Piano di Studi del Corso di Laurea in Medicina come complementare e nel 1906 come obbligatorio. Anche l’Ospedale Pediatrico è ―giovane‖. Nel 1769 George Amstrong fondò il primo Ambulatorio Pediatrico pubblico e gratuito, sostenuto da elargizioni caritatevoli. Nel 1802 viene inaugurato a Parigi il primo Ospedale Pediatrico: l’Hopital des Enfants malades. Nel 1834 viene inaugurato un Ospedale Pediatrico a S.Pietroburgo. Nel 1852 il Great Ormon Street Hospital a Londra. A Torino nel 1845 nasce il 1° Ospedale Pediatrico in Italia: l’Opera Pia Barolo (S. Filomena) voluto dalla Marchesa Giulia Falletti di Barolo. Nel 1880, in una casa di Corso Dante, il Dott. S. Lauria cominciò a ricoverare bambini. Nel 1883 un Regio Decreto riconobbe quella casa come l’Ospedaletto Infantile della città di Torino; la sua sopravvivenza era affidata alla carità e alle donazioni. Nel 1901 l’ Ospedaletto si trasferisce in un edificio di nuova costruzione sito in via Menabrea 6 e prende il nome di Ospedale Infantile Regina Margherita. Tra gli anni ’70 e ’80 l’O.I.R.M. si amplia e si trasferisce completamente nell’attuale sede di Piazza Polonia. Nel 1926 era nato il Koelliker. Solo agli inizi del ’900 anche in altre città italiane nascono gli Ospedali Pediatrici (Ancona, Trieste, Brescia, Roma, Genova, Firenze). Quindi la 1

a conquista ―umanizzante‖ per il bambino è stata l’Ospedale Pediatrico.

Per questo preoccuparsi di umanizzare l’Ospedale Pediatrico è un eccezionale successo nel percorso di promozione della dignità del bambino. Anche la conquista del rispetto del bambino è recente.

All’inizio del 1900:

I neonati venivano fasciati in modo che non si potevano muovere per paura che le manovre dell’accudimento procurassero danni alla loro fragile struttura ossea.

Venivano lasciati nella loro culla e ci si occupava di loro solo per i pasti e per i cambi dei panni.

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Tutti, medici, nonni e genitori pensavano che i neonati non provassero sensazioni e che neppure vedessero.

Nel 1968 due medici inglesi scrivevano: ―Raramente i bambini hanno bisogno di analgesici perché tollerano il dolore molto bene‖ (Swafford e Allen)

DALLA CONSIDERAZIONE DEL BAMBINO AL RICONOSCIMENTO DEI SUOI DIRITTI. Anche il riconoscimento dei diritti dei bambini è un traguardo recente.

I DIRITTI DEI BAMBINI - Riferimenti normativi.

Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo - New York 1989

Ratifica della convenzione di N.Y in Italia - Legge 27.5.1991 n. 176

Istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia e dell’ Osservatorio per l’infanzia – Legge 23.12.1997 n. 45

DM 24.4.2000-Progetto obiettivo Materno - Infantile relativo al PSN triennio 1998-2000 Nel progetto obiettivo si dice:: ―Il ricovero deve essere garantito in strutture idonee all’età dei minori e non in strutture dedicate agli adulti‖ A QUESTI DOCUMENTI SI ISPIRA LA ―CARTA DEL BAMBINO IN OSPEDALE‖ ELABORATA DAGLI OSPEDALI ADERENTI ALLA CONFERENZA DEGLI OSPEDALI PEDIATRICI - Trieste 2002 Art. 6: Il bambino ha diritto alla tutela del proprio sviluppo fisico,psichico e relazionale.

Ha diritto alla sua vita di relazione. Ha diritto a non essere trattato con mezzi di contenzione.

O.I.R.M. Fino alla fine degli anni ’70: i bambini ricoverati venivano contenuti con il ―corsetto‖ perché non cadessero dal letto dato che i genitori non potevano stare con loro. O.I.R.M. Negli anni ’80: la durata dei ricoveri per patologie ―normali‖ poteva durare anche 2 settimane. Negli anni ’80 nel mio reparto le ―notizie‖ ai parenti venivano date in corridoio: il medico stava seduto dietro la scrivania e i genitori stavano in fila, in piedi, in attesa del loro turno. FINO AL 2000: Nel Reparto di Pediatria ospedaliera non esisteva un servizio per i parenti. Nel Reparto di Pediatria ospedaliera non esisteva una sala giochi. Nel Reparto di Pediatria ospedaliera non esisteva uno studio per i Medici. I bambini che arrivavano in Ospedale in condizioni critiche venivano curati con grande dedizione, il personale infermieristico assisteva e accudiva i bambini con capacità e con amorevolezza, la cultura dell’umanizzazione entra in Ospedale con l’Aziendalizzazione. PARE CHIARO CHE UMANIZZARE L’ASSISTENZA PEDIATRICA, ANCHE NELL’OSPEDALE, HA SIGNIFICATI AMPI , DI TIPO ORGANIZZATIVO E CULTURALE

UMANIZZAZIONE DI BASE UMANIZZARE è rispettare il bambino come essere umano fin da quando nasce (e anche prima) e assisterlo nel modo che è migliore per lui. Da questo presupposto deriva tutto il resto. I vari processi di umanizzazione sono solo strumenti necessari ma non sufficienti. UMANITA’ E UMANIZZAZIONE Non c’è umanizzazione senza umanità che è empatia, ascolto, attenzione, disponibilità e fiducia reciproca L’UMANIZZAZIONE ha diverse componenti e diversi destinatari, effettori e mezzi:

Bambino

Genitori

Personale sanitario

Direzione

Fondi pubblici

Fondi privati

Volontariato

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L’UMANIZZAZIONE ha molteplici aspetti:

Ricovero solo quando è necessario

Degenza breve

Dimissione protetta

DH-DS

Ospedalizzazione domiciliare

Monitoraggio domiciliare

Presenza costante di un famigliare

Attenzione all’ansia,alla paura,al dolore

Comunicazione adeguata con i parenti

Nome del bambino sopra il letto

Orario pasti

Scelta del menù

Consenso informato o informazione anche al bambino

Privacy

Approccio…‖Posso visitarti?‖

Il Cappellano in Ospedale

Una Casa di Accoglienza e Appoggio per i parenti

UMANIZZARE a tutte le età!

La terapia intensiva neonatale

Presenza dei genitori

Allattamento materno

Possibilità di toccare il bambino e prenderlo in braccio

Attenzione ai segnali comportamentali del neonato per una ―care‖ personalizzata (Programma NIDCAP)

IL DOLORE IN OSPEDALE. Cosa si fa:

Terapia del dolore

Prevenzione del dolore da manovre diagnostiche o terapeutiche. Dal 2005 è operativo il COSD (Comitato ospedale senza dolore). UMANIZZAZIONE VUOLE DIRE ANCHE QUESTO e anche attenzione ai segnali più manifesti o più nascosti indicativi di violenza fisica o psicologica. Cosa si è fatto:

Corsi di sensibilizzazione

Ambulatorio dedicato (Bambi)

UMANIZZARE significa anche pensare ai genitori e fornire loro una sistemazione decorosa e confortevole. Cosa si è fatto:

Letto per le mamme

Possibilità di usufruire della mensa UMANIZZARE significa organizzarsi per accogliere gli stranieri. Cosa si è fatto:

Informazioni in lingue diverse

Mediatrice Culturale FUNZIONI della Mediatrice culturale.

Interpretariato linguistico.

Informazioni sui ―codici culturali‖ dell’utenza straniera per contribuire al rapporto medico-paziente

Veicolo di educazione sanitaria

Evitare il senso di isolamento degli stranieri

Sicuramente ho dimenticato molte cose ma, per farsele venire in mente, è utile fermarsi e chiedersi: ―Se io fossi al suo posto, cosa vorrei?‖ UMANIZZAZIONE DI LUSSO I BISOGNI DEL BAMBINO:

La routine

Gli affetti

Lo svago

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CIOE’

La routine è il sonno, il pasto, la scuola, il gioco…

Gli affetti sono i genitori, i parenti, gli amici…

Lo svago è tutto il resto… ―UN BAMBINO IN OZIO ha minori possibilità di essere sereno di un bambino che ha cose interessanti da fare‖ (Rapporto Platt, 1959). Un bambino sereno guarisce prima (Paola Pecco) . A TUTTE LE ETA’ Il neonato e il lattante percepiscono e comunicano soprattutto attraverso le sensazioni, il contatto e il tono della voce piuttosto che attraverso il significato delle parole. COSA SI FA:

Massaggio infantile

Rooming-in Nel 1982, per iniziativa di ITER-Centri Cultura per l’Infanzia è nato il Gruppo Gioco in Ospedale. MA NON E’ SOLO GIOCO ! Il Gruppo Gioco in Ospedale svolge un’azione significativa di accoglienza,accompagnamento e sostegno dei bambini ricoverati attraverso il gioco. Il Gioco, portato nelle camere del bambino o in sala gioco è una occasione di normalità e distrazione ma anche momento di informazione e di comunicazione. E’ anche occasione di collaborazione con il personale sanitario e strumento per far crescere l’ attenzione verso i bisogni del bambino. Le attività di G.G.O.

Sale Giochi

Biblioteca

Numerosi progetti Le sale giochi all’O.I.R.M. sono state realizzate e sono gestite a seconda dei reparti dal G.G.O. o dall’ABIO. LA BIBLIOTECA: BIBLIOMOUSE è collocata all’ ingresso dell’Ospedale e gestita dal G.G.O. Accoglie i bambini ed i loro genitori e dà i libri in prestito ai bambini ricoverati. GLI ALTRI PROGETTI: ( con collaborazioni diverse)

Operazione in Gioco

La Storia cancella paura

Che ci faccio in Ospedale?

Il colore prende il volo

Le favole dei nonni

Il filo di Arianna

... Tutti gli Ospedali Pediatrici hanno le loro iniziative di umanizzazione:

Musicoterapia

Pet-therapy

Spettacoli

Sale giochi

Pitture sui muri

….. LA SCUOLA IN OSPEDALE ALL’O.I.R.M.:

1993: Scuola Media

1996: Scuola Elementare

2000: Scuola materna

2001: Scuola media Superiore La scuola in Ospedale dà al bambino la sensazione di normalità, la scuola in Ospedale dà al bambino Speranza. E POI CI SONO I CLOWN! I Clown in corsia sono uno svago per i bambini e, talvolta, anche un’occasione di allegria per il Personale. NON lavorano tutti allo stesso modo: alcuni gruppi stringono rapporti personali e duraturi con i bimbi, altri no ma sicuramente sono sempre molto graditi. I CLOWN DOTTORI DI TEODORA DAL 2001 è arrivato in alcuni reparti dell’O.I.R.M. un Clown-Dottore, in arte Dottor Otto (e altri ) Tra i BISOGNI DEL BAMBINO (La routine, gli affetti, lo svago) IL CLOWN DOTTORE si colloca NELLO SVAGO E NEGLI AFFETTI. Il Clown (di Teodora) non è un volontario ma è un Artista che dedica parte del suo tempo e tutte le sue

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competenze, non solo artistiche, ai bambini ricoverati. Lavora nelle camere, con i singoli bambini in modo sommesso e, prima di entrare, ―bussa alla porta‖. Prima di iniziare, riceve le informazioni dal Personale del Reparto. A fine lavoro condivide la sua esperienza con il Personale del Reparto. Il Clown Dottore non è un semplice Clown, non è uno che viene a fare uno spettacolo, il lavoro del Clown Dottore è un atto artistico professionale ed insieme un momento di empatia in stretta interazione con l’Equipe Ospedaliera, nel rispetto delle singole competenze, in interazione anche con i Famigliari dei bambini, nel rispetto della loro sensibilità e dello stato d’animo contingente.

E ANCORA NEGLI OSPEDALI PEDIATRICI vengono organizzati spettacoli per i bambini, vengono festeggiate le festività (es: Natale), si ricevono le visite programmate dei calciatori, si distribuiscono i regali a Natale, etc..

E ANCORA ALL’O.I.R.M c’è ―FORMA‖ che è La Fondazione Ospedale Regina Margherita ed ha tra gli scopi principali l’Umanizzazione dell’Ospedale (Bambinizzazione).

L’ Umanizzazione socializzante ha anche i suoi lati negativi:

Favorisce le infezioni ospedaliere

Può creare confusione

Mancato rispetto dei bisogni degli altri Ma da quando ci sono le sale gioco e tutto il resto..

I bambini sono più contenti

Le mamme sono più rilassate

Il Reparto è più ordinato

Tutti lavorano meglio

TUTTE LE PERSONE CHE COLLABORANO ALL’UMANIZZAZIONE DI ―LUSSO‖ CI INSEGNANO AD ESSERE PIU’ ATTENTI AI BISOGNI DEI BAMBINI. Nella Pediatria adesso vedete:

I bordi colorati in tutte le stanze

Oggetti carini pendenti dal soffitto

Tante Mongolfiere in sala Prelievi

Più attenzione… MA L’UMANIZZAZIONE DELL’OSPEDALE PEDIATRICO NON PUO’ RIGUARDARE SOLO IL BAMBINO ANCHE I GENITORI DEI BAMBINI MALATI HANNO DEI BISOGNI. Un figlio malato può essere un grosso problema ed un grande dolore. L’ ingresso in Ospedale è sempre e comunque un momento di disorientamento, di senso di dipendenza, di timore... Le Associazioni di Volontariato operanti nell’Ospedale si propongono di venire incontro anche ai bisogni dei genitori. LE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO strutturate all’O.I.R.M. sono: A.A.B.C., A.B.I.O., A.V.O., U.G.I., UNITRE. All’O.I.R.M. i Volontari A.V.O. sono presenti in Neurochirurgia, Ortopedia, Chirurgia A e B, Nefrologia, Centro ustionati, Reparto lattanti, Neuro-Psichiatria Infantile, Pneumologia ed intervengono, su richiesta, in chirurgia neonatale e neonati a rischio. Le altre Associazioni di Volontariato che collaborano con l’O.I.R.M. sono 34, alcune dedicate a patologie specifiche, altre mirate al sostegno economico, altre a case di accoglienza. Quasi tutte (35/41) dichiarano come prima attività: ACCOGLIENZA E ASCOLTO.

ASCOLTO delle domande, delle incertezze, delle ansie, del pianto.

ACCOGLIENZA ―familiare‖, amica, rassicurante, informativa, di conforto e di confort. I dubbi e le domande dei pazienti e dei genitori sono tanti e la possibilità e la disponibilità dei Sanitari non sono sufficienti. I VOLONTARI fanno da ―ponte‖ tra il paziente e la struttura che spesso incute timore.

TUTTE LE PERSONE CHE COLLABORANO ALL’UMANIZZAZIONE DI ―LUSSO‖ CI INSEGNANO AD ESSERE PIU’ ATTENTI AI BISOGNI DEI BAMBINI E DEI GENITORI. L’UMANIZZAZIONE NON E’ IN ELENCO NEL PRONTUARIO TERAPEUTICO OSPEDALIERO MA AGISCE IN SINERGIA CON LE MEDICINE CHE VI SONO ELENCATE.

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L’anziano e i suoi problemi: bisogni reali e desideri

Dott. Maurizio ROCCO - geriatra 1° livello Istituto di Geriatria Ospedale Molinette di Torino

NOTE INTRODUTTIVE E SITUAZIONE DEMOGRAFICA

In questi ultimi decenni si è venuta accentuando la questione ―anziani‖, l’incremento della durata della vita dato, sia dai progressi della medicina che ha contribuito a debellare molte malattie e a permettere di controllarne l’evoluzione di molte altre che dalle migliorate condizioni di vita, a prolungare in maniera molto significativa la durata della vita. Oggi in Italia la durata media della vita è di circa 83-84 anni per la donna, di 76-77 per l’uomo; un secolo fa era di circa 50 anni. Quindi si vive molto più a lungo e, fortunatamente nella maggior parte dei casi in condizioni di salute migliori.

Si è avuto nel corso di pochi decenni un cambiamento radicale della distribuzione della popolazione nelle varie fasce di età, dovuto da un lato da questo prolungamento della durata della vita e dall’altro lato da un consistente calo delle nascite, non si era mai verificato precedentemente che il numero di anziani (per convenzione la popolazione dai 65 anni in su) superasse il numero dei bambini (dai 15 anni in giù). L’allungamento della durata della vita è una grande conquista, è chiaro che provoca anche dei problemi e degli scompensi, dal punto di vista pensionistico sia per il netto aumento del numero dei pensionati che per l’allungamento del periodo in cui si gode della pensione; dal punto di vista sanitario poi è chiaro che l'aumento del numero di anziani determina un aumento della spesa in quanto tra gli anziani è concentrata la maggior parte della spesa sanitaria (maggiore consumo di farmaci, maggiore necessità di cure ospedaliere) e dal punto di vista assistenziale con un maggior carico per le famiglie di parenti anziani da dover seguire ed assistere ed anche con una maggiore richiesta di istituzionalizzazione.

Nel 2000 la popolazione italiana era di circa 57 milioni e mezzo di individui Nel 2000 la popolazione di età maggiore o uguale a 65 aa. era composta da 10.363.459 abitanti pari a quasi il 18% del totale di cui 6.142.415 femmine e 4.221.044 maschi. Secondo le proiezioni dell’ISTAT nel 2025 la popolazione di età maggiore di 65 anni potrebbe ammontare a poco più di 14.000.000 di individui con un incremento di circa il 41%. Nel 2000 la popolazione di età maggiore o uguale a 80 aa. era composta da 2.259.865 abitanti pari a quasi il 4% del totale di cui 1.534.896 femmine e 724.969 maschi. Sempre secondo le proiezioni dell’ISTAT nel 2025 la popolazione di più 80 aa. potrebbe ammontare a circa 4.700.000 di abitanti cioè più del doppio rispetto a quella del 2000, tutto ciò con una popolazione totale prevista sostanzialmente stabile costituendo circa l’8% della popolazione totale italiana.

E’ proprio in età avanzata, 80 e più anni, che si manifestano più frequentemente le alterazioni che rendono l’anziano più fragile, che rendono più probabile la perdita dell’autosufficienza, ed è proprio questa la fascia di età in cui si prevede il maggior incremento numerico e percentuale, quindi i vari servizi sociali devono essere pronti ad affrontare le esigenze di questa parte di popolazione più fragile.

Esporre i problemi dell’anziano è un compito molto arduo perché ogni persona anziana è diversa dall’altra, con sue problematiche particolari connesse al suo stato di salute, ad eventuali malattie sofferte in epoca precedente, alle sue esperienze di vita, Ci sono comunque dei tratti comuni, delle peculiarità che coinvolgono le persone anziane nella loro globalità. Innanzitutto bisogna constatare che la migliore qualità della vita ed i progressi della medicina, non solo hanno determinato l’allungamento della durata della vita, ma hanno anche ritardato i processi di invecchiamento. L’OMS considera sempre 65 anni il limite dell’età geriatrica, ma in realtà, almeno nei paesi più sviluppati a 65 anni la maggior parte delle persone è in condizioni fisiche tali da non poter essere ancora definita come anziana, il passaggio dall’età adulta all’età geriatrica (intendendosi per età geriatrica quella in cui le manifestazioni più tipiche dell’invecchiamento si rendono ben evidenti) si è spostato di almeno 5 anni.

MODIFICAZIONI NELLA PERSONA ANZIANA

Nell’anziano avvengono una serie di modificazioni fisiche e funzionali che non sono classificabili come malattie, pur dando luogo a dei disturbi, in quanto colpiscono in misura più o meno intensa tutte le persone anziane, esse sono pertanto parte integrante del processo di invecchiamento.

• Perdita di pigmento di peli e capelli • Formazione di rughe della cute per perdita di tessuto connettivo elastico e di liquidi nel

sottocute. • Presbiopia, cioè difficoltà nel mettere a fuoco le immagini vicine agli occhi. • Presbiacusia (riduzione della capacità uditiva per le frequenze acute) e riduzione dell’acuità

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uditiva. • Allungamento dei tempi di reazione e di risposta ai test • Aumento di volume della prostata con difficoltà nella minzione (nei soggetti di sesso maschile) • Perdita della massa ossea (osteoporosi) • Riduzione della massa magra (muscoli e organi parenchimatosi) • Maggiore instabilità e difficoltà nel mantenere l’equilibrio.

Vi sono poi modificazioni ambientali e sociali che influiscono sullo status della persona anziana, il pensionamento con l’allontanamento dalla vita lavorativa, a volte desiderato, ma a volte subìto determina un cambiamento del ruolo della persona e specie chi aveva investito molto sul lavoro, tralasciando magari altri interessi, deve adattarsi ad una situazione con un ruolo sociale diverso, con molto tempo da impiegare non sapendo bene come, deve insomma trovare un nuovo modo di come impegnare la propria giornata. Le donne ex lavoratrici si adattano sicuramente meglio al pensionamento, essendo molto importante anche il ruolo familiare nella vita della donna, molti uomini invece si sentono a disagio in questa situazione e possono andare incontro anche a crisi depressive o comunque a stress, è importante per tutti prepararsi al pensionamento con anticipo cercando di programmare occupazioni ed interessi alternativi al lavoro una volta che questo cessa.

Altri cambiamenti importanti che possono scompensare i soggetti anziani sono i cambiamenti dell’aspetto fisico, il vedersi con un aspetto diverso, con i segni degli anni che passano è indubbiamente un’esperienza poco gradevole, su questo vengono in aiuto in parte gli interventi di cosmesi (ed eventualmente di chirurgia plastica) per cercare di rendere meno evidenti gli aspetti esteriori dell’invecchiamento, in parte con un supporto anche psicologico si aiuta il soggetto a non perdere la sicurezza in se stesso in presenza di cambiamenti esteriori.

Un momento di particolare tensione che può colpire abbastanza frequentemente il soggetto anziano è lo stato di vedovanza, la perdita del coniuge determina un senso di abbandono e di solitudine nel coniuge superstite che va aiutato e supportato da parte dei familiari e della rete di amicizie che il soggetto può avere, le statistiche ci dicono che c’è un significativo aumento della mortalità nel primo anno di stato vedovile rispetto ai soggetti di pari età coniugati, quindi la tensione che determina la perdita del coniuge influisce spesso anche sullo stato di salute con possibile insorgenza di patologie anche gravi. Le vedove sono molto più numerose dei vedovi e le donne reagiscono generalmente meglio degli uomini al lutto per la perdita del coniuge.

Concludendo si può affermare che la preoccupazione preponderante nei soggetti anziani è la paura della malattia, in particolare di contrarre una malattia che determini la perdita dell’autosufficienza, timore questo molto spesso maggiore di quello della morte stessa.

L’ANZIANO E LA MALATTIA

L’invecchiamento è caratterizzato da un processo di involuzione che coinvolge tutti gli organi e gli apparati del nostro organismo, questo progressivo deterioramento determina una maggiore facilità di contrarre malattie o disturbi connessi al cattivo funzionamento di questo o di quell’organo. La malattia nell’anziano presenta alcune peculiari caratteristiche che si elencano.

1. Presentazione spesso atipica con sintomi a volte lievi, a volte insoliti (specie per le malattie infettive).

2. Coesistenza di più malattie importanti nello stesso soggetto 3. Alta probabilità di avere malattie croniche tendenzialmente invalidanti con rischio elevato di perdita

dell’autosufficienza. 4. Facilità di eventi patologici a ―cascata‖ (da una prima malattia ne seguono altre con aggravamento

del quadro clinico). 5. Difficoltà nel dare una giusta cura (intolleranza ad alcuni farmaci, contrasto tra una terapia efficace

per una certa malattia ma che spesso è controindicata per altre patologie concomitanti). 6. Coesistenza di problemi di deterioramento cognitivo (demenza) che complicano il quadro clinico

con seri problemi di ordine assistenziale nella gestione della malattia. 7. Spesso il soggetto anziano è in terapia con molti farmaci, il che può complicare la diagnosi ed il

successivo trattamento, frequentemente non sa riferire la terapia seguita a domicilio, in uno studio effettuato recentemente si è visto che solo il 15% dei pazienti di età maggiore di 65 anni era in grado di esporre correttamente i farmaci che assumeva.

Un altro problema nella cura delle malattie dell’anziano è costituito dalla difficoltà nella somministrazione dei farmaci, infatti l’anziano ha maggiori difficoltà nel rispettare la prescrizione medica (dimenticanze, alterazioni visive ecc.), i farmaci spesso hanno effetti imprevedibili, in particolare tendono ad accumularsi più facilmente nell’organismo

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Vi è una determinata categoria di anziani che sono quelli che maggiormente riassumono le caratteristiche dei soggetti in età avanzata necessitanti di cure mediche ed assistenza, sono i cosiddetti anziani fragili. Si definisce come ―anziano fragile‖:

• un soggetto di età avanzata o molto avanzata • affetto da multiple patologie croniche • clinicamente instabile • frequentemente disabile • spesso con associate problematiche di tipo socio-economico (solitudine, povertà).

Le due caratteristiche fondamentali che differenziano l’andamento delle malattie nell’anziano rispetto ad un soggetto adulto sono:

• la maggiore facilità con cui il soggetto anziano può perdere l’autosufficienza; • la frequente presenza di un deterioramento cognitivo

Alla domanda: chi è il tipico paziente geriatrico? La risposta è: pensa al più anziano, al più malato, al più complicato ed al più fragile dei tuoi pazienti… affetto di solito da multiple malattie, la cui presentazione è spesso atipica, è portatore di deficit funzionali. I suoi problemi di salute sono cronici, progressivi, solo in parte reversibili‖

L’ANZIANO E L’ALIMENTAZIONE

Spesso l’alimentazione dell’anziano è impropria per alcuni motivi quali: • Alterazioni dentarie • Riduzione del senso del gusto • Depressione del tono dell’umore con perdita dell’appetito • Impoverimento nel cucinare (tipica è la cena con solo caffelatte in soggetti che

precedentemente avevano altre abitudini alimentari) • Riduzione del senso della sete

L’anziano ha delle necessità alimentari che si diversificano dall’adulto:

a) Maggiore apporto proteico b) Maggiore apporto di Sali di calcio c) Riduzione leggera dell’apporto calorico d) Adeguato apporto idrico (l’anziano sente poco la sete e patisce molto la disidratazione anche

lieve)

SERVIZI TERRITORIALI PER GLI ANZIANI CON PROBLEMI DI SALUTE E DI ASSISTENZA Assistenza Domiciliare Programmata (ADP) in cui il medico di famiglia visita periodicamente il suo assistito che non è in grado di recarsi presso lo studio medico, Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) in cui il malato viene seguito dal medico di famiglia e dall’equipe infermieristica dell’ASL che effettua al domicilio del paziente interventi quali medicazioni, terapia infusionale per via venosa, mobilizzazione del soggetto ecc. si tratta di interventi programmati e concordati con il medico mutualista. Vi sono poi i servizi assistenziali di supporto domiciliare alle persone anziane specie se sole (colf, pasti caldi a domicilio), sussidi di tipo economico (assegno di cura), dispositivi di telesoccorso; da menzionare inoltre i centri diurni per malati di demenza gestiti dalle ASL. ********************* ISTITUZIONI DI RICOVERO PER ANZIANI Fino ad alcuni decenni fa esistevano gli ospizi o case di riposo, luoghi di ricovero assai spesso definitivo per persone bisognose di assistenza per motivazioni sociali o sanitarie e non necessariamente anziane; non essendoci disposizioni legislative che dessero un orientamento su quali dovessero essere i parametri a cui attenersi per la loro edificazione e sulla tipologia di utenti da ospitare, le case di riposo continuarono a sorgere senza regole particolari, alcune erano piccole con pochi posti letto, altre assai grandi, alcune ben funzionanti, altre carenti; questi istituti di assistenza accoglievano una popolazione assai eterogenea composta da persone anziane autosufficienti e non autosufficienti, da persone adulte con problemi di disabilità fisica o con turbe psichiche di entità non così grave da richiedere il ricovero presso le strutture manicomiali ma comunque tali da non consentire loro una normale vita di relazione o anche solo da persone senza una dimora, tutte radunate in una

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stessa struttura con erogazione di servizi non sempre idonei alle diverse tipologie degli utenti, affidate a personale spesso non adeguatamente preparato e a volte numericamente insufficiente, spesso sovraffollate e con scarsi controlli da parte degli enti preposti. Tutto ciò ha contribuito a creare nell’opinione pubblica il concetto dell’ospizio o della casa di riposo come un ghetto in cui venivano accolte persone necessitanti di aiuto a cui veniva fornita un’assistenza molto spesso carente ed approssimativa. Istituzionalizzazione: le strutture che ospitano le persone anziane si dividono in due gruppi: Residenze assistenziali (RA) ove sono ospitati anziani autosufficienti in cui viene fornito vitto, alloggio, servizi di svago e di intrattenimento (biblioteca, bar, interventi di animazione ecc.) con un minimo di assistenza sanitaria fornita da un infermiere presente per alcune ore della giornata per interventi quali medicazioni, terapia iniettiva ecc. Residenze sanitarie assistenziali (RSA) in cui sono ospitati anziani non autosufficienti con necessità sanitarie ed assistenziali elevate. E’con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22/12/89 in cui vengono date le linee guida per la realizzazione delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) intese come superamento delle vecchie case di riposo, su modello delle ―nursing home‖ anglosassoni, riprendiamo dal testo del decreto la definizione di RSA: ―si definisce residenza sanitaria assistenziale una struttura extraospedaliera finalizzata a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero a persone anziane non autosufficienti. Presupposto per la fruizione della residenza sanitaria assistenziale è la comprovata mancanza di un idoneo supporto familiare che consenta di erogare a domicilio i trattamenti sanitari continui e l’assistenza necessaria.‖ Rispetto alle vecchie case di riposo il legislatore ha voluto precisare che: a) le RSA sono destinate ad una popolazione anziana non autosufficiente, sono quindi escluse altre categorie di persone disabili, b) che un fine fondamentale del ricovero è il recupero funzionale, c) che il soggetto possa accedervi solo quando si sia verificata l’impossibilità di poter fornire l’assistenza necessaria presso il suo domicilio. Nelle RSA le persone ospitate non sono autosufficienti quindi necessitano di un’assistenza continua nello svolgimento delle normali attività della vita quotidiana (vestirsi, lavarsi, alimentarsi ecc.) per cui l’organico deve avere un congruo numero di operatori professionali in grado di eseguire sugli ospiti queste operazioni. Le figure professionali adibite a tali mansioni sono gli OSS (Operatori Socio Sanitari), nell’organico di una RSA è inoltre prevista un’assistenza infermieristica continuativa con una presenza di infermieri professionali sufficiente a garantire le necessità degli ospiti; l’assistenza medica è generalmente fornita dai medici di famiglia coordinati da un medico geriatra, in alcune RSA l’assistenza medica è invece fornita direttamente da medici ospedalieri (preferibilmente geriatri). Nelle RSA l’assistenza sanitaria ha un carattere di intensività solo leggermente inferiore a quella fornita dall’ospedale, si tratta infatti di ospiti con patologie croniche che spesso si riacutizzano con necessità di periodi di cure intensive alternati a fasi di relativo compenso. Alcuni letti delle RSA devono inoltre essere destinati ai ricoveri di sollievo, una forma di ricovero temporaneo in cui per importanti motivi (es. malattia del care-giver) la famiglia non è temporaneamente in grado di fornire la necessaria assistenza al congiunto anziano, si tende ora ad estendere il ricovero di sollievo anche a situazioni di stress del care-giver in modo da dargli un periodo di pausa dall’onere di assistenza del familiare anziano. L’accesso a questi servizi avviene tramite l’esame del paziente da parte dell’Unità di Valutazione Geriatrica (UVG), un team formato dal medico geriatra, da un’assistente sociale, da un infermiere professionale o da un caposala con esperienza nella cura e nell’assistenza di soggetti anziani che valuta l’idoneità ed il grado di urgenza della domanda (es. gli anziani che non hanno parenti e che hanno perso l’autosufficienza hanno la precedenza su tutti gli altri nell’ingresso in una RSA). La geriatria ha introdotto un diverso approccio al malato basato sull’analisi della persona nella sua globalità esaminando i problemi clinici del paziente, il suo grado di autonomia e il contesto dell’ambiente familiare in cui vive. L’esame di tutti questi aspetti costituisce la ―Valutazione Multidimensionale Geriatrica‖ ******************

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SERVIZI OSPEDALIERI PER ANZIANI Da uno studio effettuato al Pronto Soccorso di Medicina dell’Ospedale Molinette è risultato che con l’aumentare dell’età aumenta la percentuale delle persone che vengono ricoverate tra tutte quelle che si recano al Pronto Soccorso, passando dal 10% circa dei soggetti di età inferiore ai 65 anni a più del 50% dei soggetti di età superiore ai 90 anni, quindi maggiore è l’età dei soggetti che si recano al Pronto Soccorso e maggiore è la probabilità che siano portatori di patologie di una serietà tale da rendere necessario il ricovero. Proprio per far fronte a questa necessità di cure ospedaliere delle persone anziane, in particolare di quelle molto anziane ed in considerazione del fatto che gli anziani tollerano male il ricovero, bisogna che si rafforzi ulteriormente nel territorio la rete di controllo delle persone anziane fragili nel territorio, con il potenziamento di servizi quali l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), l’Assistenza Domiciliare Programmata (ADP), in associazione con i Servizi Sociali per poter soddisfare anche esigenze di tipo sociale; in tal modo, con un assiduo controllo delle persone anziane a casa si riduce nettamente la necessità di dover ricorrere alle cure ospedaliere. In caso di ricovero in ospedale l’anziano può contare, almeno negli ospedali più grandi, sulla presenza di un reparto di geriatria ove le sue esigenze ed i suoi problemi sono valutati globalmente non soffermandosi ai soli problemi di salute. Per il limitato numero di reparti di Geriatria esistenti, la maggior parte degli anziani ricoverati finisce però in altre Divisioni ospedaliere. Come alternativa al ricovero ospedaliero da menzionare l’Ospedalizzazione a Domicilio. Nel mese di Luglio 1984, le autorità sanitarie del Comune di Torino decisero di dare inizio ad un progetto sperimentale di ospedalizzazione a domicilio. Nel 1985 alcuni infermieri furono assegnati al servizio e alcuni medici appartenenti alla Divisione di Geriatria furono autorizzati ad effettuare visite a domicilio e a prescrivere tutto ciò che fosse necessario, come in ospedale; ad essi sono state fornite autovetture dedicate. Secondo la definizione del Piano Sanitario Nazionale 2002-2004 è definita come Ospedalizzazione a Domicilio quella forma di assistenza in cui le strutture ospedaliere seguono a domicilio, con il proprio personale, pazienti che necessitano di prestazione di particolare complessità, tali da richiedere un processo assistenziale di tipo ospedaliero; a Torino presso la Divisione di Geriatria dell’Ospedale Molinette è attivo dal 1985 un servizio di ospedalizzazione domiciliare che, per organizzazione ed ampiezza della tipologia dei malati seguiti, è finora unico in Italia. A casa i malati vengono seguiti e curati portando le strumentazioni, le tecnologie ed il personale dell’ospedale, superando la concezione di un ospedale chiuso al suo interno ma che si espande nel territorio, vengono seguiti malati in condizioni cliniche anche molto gravi, con patologie complesse ed una situazione clinica instabile, in caso di improvviso aggravamento delle condizioni del soggetto l'equipe interviene d'urgenza a casa del malato; al termine del ricovero il paziente viene dimesso dal servizio e riaffidato alle cure del medico di famiglia. Fondamentale per il successo del ricovero a domicilio è la collaborazione della famiglia nel percorso di assistenza e di cura del malato, i risultati finora conseguiti sono buoni con successo delle prestazioni sanitarie fornite paragonabili a quelle di un ricovero ospedaliero tradizionale e con notevole gradimento da parte dei fruitori del servizio. Riteniamo che questo ricovero alternativo a quello tradizionale sia di grande sollievo per gli anziani (e non solo per loro) che tollerano male lo spostamento e la degenza in ospedale; come soleva affermare il prof. Fabris ideatore dell'Ospedalizzazione a Domicilio ―curare ed assistere a casa quando si può, è meglio‖.

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Diritti e risorse per le persone ricoverate

Maria Cristina ODIARD – Assistente Sociale Azienda Ospedaliera – Ordine Mauriziano di Torino – uff. servizio sociale

NOTE INFORMATIVE PER LE PERSONE CON RIDOTTA AUTONOMIA1

RICONOSCIMENTO DI INVALIDITÀ CIVILE (legge n° 118/71, D.M. 05/02/92)

L'invalidità è la difficoltà a svolgere alcune funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione a causa di una menomazione o di un deficit fisico, psichico o intellettivo, della vista o dell'udito non derivante da cause di servizio, di guerra o di lavoro.

Dal 1 aprile 2010 è cambiata la procedura di presentazione della domanda, che va rivolta all’INPS e non più all’ASL di competenza. E’ necessario:

1. compilazione del certificato da parte di un medico (in formato digitale e non cartaceo) 2. consegna della domanda ad un Patronato abilitato a trasmetterla all’INPS

(o diretta per persone che abbiano richiesto ed ottenuto dall’INPS il relativo PIN) Per maggiori informazioni www.inps.it

- Si verrà convocati per la visita entro 30 giorni dalla domanda. Nel caso in cui l'interessato fosse impossibilitato a presentarsi, per gravi condizioni di salute, è possibile richiedere una visita domiciliare inviando un certificato del medico curante. - Si riceverà a casa, in seguito, il verbale in cui è indicato l'esito della visita, caratterizzato da un codice e la percentuale di invalidità civile riconosciuta. - Nel caso in cui una persona già dichiarata invalida presenti un peggioramento delle proprie condizioni di salute, può presentare domanda di aggravamento.

Possibili benefici derivanti dal riconoscimento di invalidità civile:

- ESENZIONE TICKET (partecipazione alla spesa sanitaria)

Le persone cui è riconosciuta un’invalidità pari o superiore al 67% possono usufruire dell’esenzione totale, sia per quanto riguarda i farmaci sia per gli esami di diagnostica strumentale e di laboratorio, per qualunque patologia diagnosticata.

- ASSEGNO MENSILE PER INVALIDI PARZIALI

Viene erogato agli invalidi civili di età compresa tra i 18 e i 65 anni, cui sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 74%, non collocati al lavoro, che non fruiscano di nessun altro trattamento pensionistico di invalidità e che abbiano un reddito personale inferiore ad euro 4.378,27 (lordi). Importo mensile: euro 256,67

- PENSIONE MENSILE PER INVALIDI TOTALI

Viene erogata agli invalidi civili di età compresa tra 18 e 65 anni, cui sia stata accertata un’invalidità del 100% e che abbiano un reddito personale inferiore ad euro 14.886,28 (lordi) Importo mensile: euro 256,67

- INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO (legge n° 18/1980)

E’ prevista - senza limiti di età e di reddito - agli invalidi civili totalmente inabili (100%) e ―con impossibilità a deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore‖ o ―con necessità di assistenza non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita‖. Indennità di accompagnamento mensile: euro 480,47

1 Azienda Ospedaliera - Ordine Mauriziano di Torino - ufficio di servizio sociale (febbraio 2010)

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- AUSILI e PROTESI

In caso di necessità di ausili (carrozzina, letto ortopedico, deambulatore) o protesi, si ha diritto all’erogazione gratuita, da parte dell’ASL, presentando all’ufficio protesi dell’ A.S.L. di residenza: la prescrizione (redatta da un medico specialista su apposito modulo) il verbale di riconoscimento dell’invalidità civile o la ricevuta della presentazione della domanda di riconoscimento di invalidità civile.

- CONTRASSEGNO SPECIALE PER LA LIBERA CIRCOLAZIONE E LA SOSTA DEI VEICOLI AL SERVIZIO DI PERSONE DISABILI

I cittadini con gravi difficoltà di deambulazione o non vedenti possono richiedere al proprio Comune, il contrassegno di libera circolazione, da esibire sull’auto. Ha validità in tutto il territorio nazionale ed europeo. In particolari condizioni di invalidità e di viabilità è possibile anche ottenere uno ―spazio sosta‖ riservato. Dove: Comune di Torino - Divisione Ambiente e Mobilità - Ufficio Permessi di Circolazione Piazzale Valdo Fusi (via Cavour angolo via Accademia Albertina) Tel 011.442.9033 - 011.442.9034 dal lunedì al venerdì 8,30/12,30

- TRASPORTI

Le persone con invalidità civile riconosciuta superiore al 70% hanno diritto ad una tesserino per la libera circolazione sulle linee urbane ed extraurbane e ferroviarie (treni regionali ed alcuni extraregionali) Dove: GTT, corso Francia 6, Torino dal lunedì al venerdì dalle ore 8,30 alle ore 12,30 - Le Ferrovie dello Stato rilasciano, agli invalidi riconosciuti al 100% con indennità di accompagnamento, la "Carta blu" che permette di viaggiare su tutto il territorio nazionale, pagando un solo biglietto valido per due persone. Dove: Biglietteria Stazione Porta Nuova o agenzie viaggio convenzionate - Per i pazienti con gravi difficoltà motorie o affetti da cecità totale, il Comune di Torino eroga dei buoni taxi per disabili, al costo di un biglietto ATM per le tratte urbane. Dove: Servizio Buoni Taxi, via Palazzo di Città, 9/11 Torino tel. 011.442.16.33 – dal lun. al giov. 9.00/12.30 – 13,30/15.00, ven. 9.00 /12.30

- RICONOSCIMENTO DELLO STATO DI HANDICAP - Legge 5/02/92 n° 104

Il parente, anche non convivente, lavoratore dipendente, che assiste una persona dichiarata handicappata in situazione di gravità (art. 3 comma 3), ha diritto a 3 giorni al mese di permessi retribuiti. Occorre presentare domanda seguendo la stessa procedura dell’invalidità civile. E’ possibile richiedere visita contestuale per invalidità civile e legge 104/92.

- ALTRE AGEVOLAZIONI PER PERSONE CON GRAVI DIFFICOLTA’ MOTORIE

Superamento barriere architettoniche (installazione di ascensori, montacarichi, allargamento porte etc.); IVA agevolata e detrazioni Irpef per l’acquisto di veicoli adattati per il trasporto di persone disabili; esonero dal pagamento della tassa automobilistica per veicoli adattati al trasporto di persone disabili.

Maggiori informazioni sul sito www.handylex.org

U.V.G. Unità Valutativa Geriatrica

Le persone anziane, con limitata autonomia, possono presentare domanda all’U.V.G. della propria A.S.L. affinché ne vengano valutate le necessità sanitarie ed assistenziali. L’ASL in collaborazione con il Servizio Sociale Territoriale (presente in tutti comuni o consorzi di comuni) può così offrire servizi di sostegno all’anziano quali: assegno di cura, assistenza domiciliare, affidamento familiare, telesoccorso, pasti a domicilio o, eventualmente, inserimento in case di riposo (RAF, RSA).

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Corso A.V.O. 3 marzo 2011

Parliamo di diritti, di risorse,

di leggi e di ciò che può

essere d’utilità alle persone

ricoverate in ospedale...

assistente sociale maria cristina odiard

Premessa

Art 32 della Costituzione:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Benessere

da ben – essere = "stare bene" o "esistere bene“

è uno stato che coinvolge tutti gli aspetti dell'essere umano: fisico,

emotivo, mentale, sociale e spirituale

Carta europea dei diritti del malatoBruxelles, 15 novembre 2002

Diritto a misure preventive

Diritto all’accesso

Diritto alla informazione

Diritto al consenso

Diritto alla libera scelta

Diritto alla privacy

Diritto al rispetto del tempo dei

pazienti

Carta europea dei diritti del malatoBruxelles, 15 novembre 2002

Diritto al rispetto di standard di qualità

Diritto alla sicurezza

Diritto all’innovazione

Diritto ad evitare le sofferenze e il dolore non necessari

Diritto ad un trattamentopersonalizzato

Diritto al reclamo ed al risarcimento

Competenza:

Sanità=Regione

ASL, ASO = azienda ospedaliera, distretto,

MMG = medico di medicina generale, UVG = unità di valutazione geriatrica,

servizio di salute mentale, servizio dipendenze, cure

domiciliari, etc.

Competenza:

Assistenza =

Comune o Consorzi di Comuni

Servizio Sociale Territoriale per persone autosufficienti =

assistenza domiciliare, telesoccorso, pasti a domicilio, volontariato, etc.

Per persone nonautosufficienti

U.V.G.

P.A.I.Piano assistenziale individualizzato

assistenza domiciliare, affidamento, assegno di cura o inserimento in RSA (residenza sanitaria

assistenziale) con retta parziale

ASL E SERVIZIO SOCIALE TERRITORIALE DEL COMUNE

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Integrazione socio sanitaria

Sanità

Assistenza

Continuitàassistenziale

Continuitàassistenziale

Lungodegenza, lungoassistenza, letti di sollievo, cure domiciliari, ADI, fisioterapia a domicilio, RSA, etc...

Principali diritti e risorse:

Riconoscimento invalidità civile

Indennità di accompagnamento

Esenzione ticket per patologia o per invalidità

Prescrizione gratuita ausili e protesi

Principali diritti e risorse

Riconoscimento stato di handicap: permessi lavorativi per i parenti e/o lavoratori, agevolazioni

Trasporti pubblici gratuiti

Trasporti e taxi per disabili

Superamento barriere architettoniche

Permesso di transito e parcheggi riservati

Pensione mensile per invalidi totali Assegno mensile per invalidi parziali Collocamento mirato

Permessi per terapia salvavita Riconoscimento stato di handicap

Assegno ordinario di invalidità

Pensione di inabilità totale

Diritti per i pazienti in etàlavorativa (18/65 anni)

ma vorremmo anche parlare di

ciò che dovrebbe funzionare e non funziona...

ciò che dovrebbe essere per tutti e non lo è...

ciò che sarebbe tanto semplice prevedere ed invece...

ciò che spetta di diritto ma...

ciò che potremmo fare noi!!!

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L’approccio al malato oncologico

Dott.sa Monica SEMINARA Psicologa-psicoterapeuta (Collabor. con la Fondazione Faro )

AVVICINARSI AL MALATO ONCOLOGICO Avvicinarsi al malato oncologico e alle sue tematiche interiori significa avvicinarsi ai grandi temi della esistenza umana.. il dolore, la malattia, la morte.

Cancro come malattia mitica metafora del dolore e della morte

Malattie ugualmente gravi e spesso con minori possibilità di cura non presentano i contenuti terrificanti che vengono normalmente collegati alle malattie tumorali.

La malattia tumorale rappresenta la grande paura del nostro secolo. Eredita la paura atavica nell'Uomo della morte per consunzione.

La malattia tumorale viene associata alla morte e al dolore (associazione spesso non realistica, infatti sono molti i malati che guariscono e altrettanti coloro che non hanno un dolore). Appartiene ad un'area tabù.

La società contemporanea, come grandi storici hanno descritto, vive a differenza di altri periodi della storia una forte difficoltà a integrare la morte nella vita, nella propria "visione del mondo". L'enfasi sui progressi della scienza , sulla potenza e la forza della cultura occidentale induce negli individui una certa difficoltà ad accettare la precarietà della vita, la necessità della resa di fronte a tutto ciò che è ineluttabile, ad accettare sostanzialmente il limite costituito dalla morte.

Il percorso emotivo dell'ammalato di tumore e della sua famiglia

Accanto al decorso della malattia, quando questa risulta inguaribile, il malato attraversa un percorso emotivo, psicologico ed esistenziale che comprende tutta la gamma delle emozioni, un bilancio della propria vita e la ridefinizione dei valori e dei principi di riferimento interiori. Se le condizioni sono favorevoli, il percorso evolve fisiologicamente verso l'accettazione della propria malattia, del proprio destino. Accettazione intesa come punto di arrivo di un percorso interiore difficile e faticoso. Come il malato anche la sua famiglia viene investita in maniera massiccia dagli eventi legati alla malattia con ripercussioni sulle relazioni tra i componenti, sui ruoli famigliari, come il malato, attraverso un percorso interiore che, nelle situazioni migliori può sfociare nell'accettazione.

Fase di diagnosi

- Choc. Fase caratterizzata da stupore attonito.

- Negazione come reazione difensiva. Allo stupore segue un'irruzione nel mondo interno del malato di disperazione e angoscia. ll fantasma della morte è presente fin dalla diagnosi e pone al malato l'imperativo di un'elaborazione e riadattamento interiore come condizione indispensabile per poter vivere ancora il tempo che si ha davanti lungo o corto che sia.

- Crisi del principio di identità interruzione dei progetto di vita.

- Rabbia.

- Collera (perché proprio a me).

- La lotta. Strategia di adattamento alla malattia.

Fase recidiva e aggravamento

Cambiamento dell'immagine corporea che altera il principio di identità. Perdita del ruolo sociale.

- Ribellione Interna. Reattività spostata talvolta sui sanitari o sui famigliari.

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- Depressione.

- Impotenza.

- Vergogna.

- Colpa.

Fase di inguaribilità

- La negoziazione. È una fase emotiva che implica una certa accettazione del proprio destino e una ridefinizione di obiettivi a breve termine. ("io lotterò per arrivare a vedere mio figlio sposato", "Se rinuncerò a questo ...". Il malato in questa fase viene a patti con la sua malattia. Gli obiettivi di vita vengono spostati a breve termine. È una fase emotiva molto vicina all'accettazione.

- L'accettazione. Punto di arrivo di un difficile e doloroso percorso esistenziale e psicologico. Punto di equilibro. Dolore quieto. Condizione che porta il malato a far decantare la rabbia e la disperazione per trovare una sorta di serenità interiore. Disinvestimento nei confronti del mondo che anticipa la separazione.

La famiglia

Anche la famiglia attraversa fasi parallele a quelle del malato passando lungo un percorso che dalla incredulità o dal rifiuto iniziale diviene disperazione con sentimenti di perdita del proprio congiunto vissuto come destinato a morire. Successivamente a questo primo impatto si struttura in genere nella famiglia uno stile di adattamento che caratterizzerà la relazione tra il malato e la sua famiglia dando la tonalità emotiva che accompagnerà anche le fasi di aggravamento e le settimane che precedono la morte. Anche per la famiglia accedere alla accettazione implica aprirsi a sentimenti di resa, rassegnazione, di affetto e comprensione del malato. Quando questo avviene si delinea quel raro scenario in cui la fase terminale rappresenta un periodo di commiato dal proprio congiunto, un tempo prezioso per condividere sentimenti, vissuti, desideri e paure. Si verifica talvolta un periodo di intimità che dà forza sia al malato che al famigliare.

I luoghi in cui si muore

- Morire in casa Recupero della intimità. Maggiore presenza affettiva. Qualità della vita. Identità. Ruolo. Rapporti con gli operatori più personalizzati. Maggiore peso per la famiglia.

- Morire in ospedale Annullamento della sacralità che c'è nel compiersi di una vita. Mancanza di intimità. Spersonalizzazione. Rischio di accanimento terapeutico.

Ovunque avvenga: restituire al morire la sacralità che la società moderna ci ha sottratto.

Iniziare un'esperienza di volontariato per porgere aiuto ad ammalati di tumore è una scelta emotivamente pregnante e coinvolgente, che mette in contatto con la sofferenza, con il dolore ed inevitabilmente apre domande e riflessioni sui grandi temi dell'esistenza umana.

Il malato di tumore, fin dalla diagnosi, si trova a dover affrontare nel suo mondo interno il tema della morte come possibilità reale di fine della vita.

Le malattie oncologiche, più di altre malattie ugualmente gravi, mobilitano la paura della morte e del dolore e si prestano ad essere vissute come "male oscuro", subdolo, ignoto e per questo particolarmente angoscianti.

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Nel nostro contesto culturale i tumori rappresentano la malattia mitica per eccellenza, la grande paura del nostro secolo.

II malato nella fase iniziale della malattia è dominato da emozioni di paura ed angoscia, che mettono in crisi i riferimenti interni e lo stesso principio di identità della persona. Identità intesa come fine del progetto di vita, quindi il dissolversi della individualità, ma anche intesa come immagine di sé fisica: la malattia e la terapia alterano il corpo e pongono la necessità di ri-accettazione della propria immagine corporea (si pensi al cambiamento corporeo per interventi chirurgici mutilanti o alle alterazioni del viso per la perdita dei capelli e della peluria a seguito della chemio-terapia).

Le emozioni di paura ed angoscia che dominano la fase iniziale della malattia lasciano generalmente spazio anche alla speranza e alle strategie di lotta. La voglia di lottare, la speranza di guarire, accompagnano il malato spesso sino alla fase finale della malattia, convivendo con la consapevolezza della gravità della propria situazione.

La rabbia, la ribellione sono sentimenti che in alcuni momenti costituiscono dei carichi emotivi molto pesanti per il malato. Egli prova un senso di ingiustizia e di ribellione interna per la sventura che lo ha colpito. "perché è successo proprio a me?" "Che cosa ho fatto di male?" sono le domande che ricorrono e sottintendono ai sentimenti di rabbia.

L'accettazione della malattia quando non è curabile, l'accettazione del proprio destino è la condizione psicologica ed esistenziale che può portare il malato a superare la rabbia e la disperazione e a trovare una sorta di quiete interiore, di serenità nel prepararsi alla separazione della morte.

Lo choc iniziale e la paura di vedere sgretolare la propria identità ed il proprio mondo. La lotta e la speranza di guarire. La rabbia, la ribellione contro il destino e l'ingiustizia della vita. L'accettazione come condizione esistenziale difficile ma indispensabile per una morte serena.

Questo è il percorso emotivo dei malato, ma anche dei suoi famigliari, anche se non sempre, purtroppo, comprende l'accettazione finale. L'accettazione è la condizione per una morte dignitosa, quieta, serena e rappresenta l'obbiettivo che ci auguriamo tutti noi operatori oncologici e semplicemente persone che vogliono porgere aiuto a quanti si trovino ad affrontare la tappa più difficile della vita umana.

E se il compito più difficile è del malato che deve trovare dentro di sé le risorse per far fronte alla propria fine, è compito di tutti noi che lo circondiamo favorire le condizioni perché ciò possa avvenire:

con l'utilizzo della medicina palliativa per il controllo dei sintomi, soprattutto del dolore

con il riconoscimento della legittimità dei suoi sentimenti, delle sue paure e dei suoi desideri, senza ignorare né penalizzare anche le richieste che possono sembrarci più incomprensibili

condividendo e favorendo intorno a lui un clima emotivo di calore e comprensione umana.

Bibliografia Ariès Ph. Storia della morte in Occidente ed. Garzanti Milano 1978 Vovelle M. La morte e l'Occidente ed. Ed. Laterza Bari 1986 Kubbler-Ross E. La morte e il morire Ed. Tavistock Londra 1969 Lovera G. (a cura di) Il malato tumorale Ed. Medico Scientifiche Torino 1999

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LL’’approccio approccio

al malatoal malato

oncologicooncologico

aspetti psicologiciaspetti psicologici

Corso formazione volontari AVOCorso formazione volontari AVO

TORINO, 22 marzo 2011TORINO, 22 marzo 2011MONICA SEMINARA

La malattia ONCOLOGICA, l’ospite inquietante

Un lungo viaggio nel tunnel Un lungo viaggio nel tunnel

della malattia cancrodella malattia cancro

•• LUNGO : il tempoLUNGO : il tempo

••VIAGGIO: le fasi, le tappeVIAGGIO: le fasi, le tappe

••TUNNEL: caratteristicheTUNNEL: caratteristiche

••MALATTIA: esperienza personale MALATTIA: esperienza personale

e familiaree familiare

Fasi di malattiaFasi di malattia•• Diagnosi: Diagnosi: shockshock--negazionenegazione--rabbiarabbia--vergognavergogna--colpacolpa--

paura depressione paura depressione ……

•• Terapia: Terapia: il potere del il potere del ““farefare”” –– lotta, combattimentolotta, combattimento

•• RemissioneRemissione

•• Recidiva: Recidiva: delusione angoscia profonda percezione delusione angoscia profonda percezione del rischio di mortedel rischio di morte

•• Progressione Progressione negoziazione, aumento tollerabilitnegoziazione, aumento tollerabilitàà, , adattamentoadattamento

•• Aggravamento Aggravamento quali i veri bisogni? Assistenza quali i veri bisogni? Assistenza Domiciliare. Accettazione, disinvestimentoDomiciliare. Accettazione, disinvestimento

•• TerminalitTerminalitàà Il ruolo della medicina palliativaIl ruolo della medicina palliativa

•• Morte:Morte: commiato, separazione, luttocommiato, separazione, lutto

LA MALATTIA COME ESPERIENZALA MALATTIA COME ESPERIENZA

•• Punto di vista fisiologicoPunto di vista fisiologico

•• Piano emotivoPiano emotivo--affettivoaffettivo

Quale malattia ha quel malato? Quale malattia ha quel malato?

Quale malato ha quella malattia?Quale malato ha quella malattia?

Attenzione ai fattori personali Attenzione ai fattori personali

implicati nellimplicati nell’’esperienza di malattia, esperienza di malattia,

elementi che influenzano individualmente elementi che influenzano individualmente

il modo di percepirla ed interpretarla.il modo di percepirla ed interpretarla.

La persona, malata. E la sua personalitLa persona, malata. E la sua personalitàà..

Il vissuto di minaccia derivante Il vissuto di minaccia derivante

dalla malattia:dalla malattia:

•• Pericolo di sofferenza fisicaPericolo di sofferenza fisica

•• Minaccia allMinaccia all’’identitidentitàà (cambiamento dell(cambiamento dell’’immagine di simmagine di séé))

•• Minaccia al quotidiano:condizione lavorativa, autonomia Minaccia al quotidiano:condizione lavorativa, autonomia e possibilite possibilitàà di realizzazione, ruoli socialidi realizzazione, ruoli sociali

•• Minaccia per la propria vita relazionale (turbamento degli Minaccia per la propria vita relazionale (turbamento degli equilibri)equilibri)

•• Minaccia per la propria sicurezza, sia sul piano fisiologico Minaccia per la propria sicurezza, sia sul piano fisiologico (rischio di morte, invalidit(rischio di morte, invaliditàà, menomazione, menomazione……) che sul ) che sul piano economico.piano economico.

La compagna di una vita

La punizione di Dio

L’inizio della fine

Un’occasione per risvegliarsie capire …

La malattia?...un’esperienza.

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30

Il morente oncologico italianoIl morente oncologico italiano

Lotta per la qualitLotta per la qualitàà della vita della vita

senza mai rinunciare a lottare per la quantitsenza mai rinunciare a lottare per la quantitàà e la e la

speranza della vitasperanza della vita

La speranza dipende da ciò cheLa speranza dipende da ciò che

accade dentro le persone, accade dentro le persone,

non da ciò che accade.non da ciò che accade.

La famiglia:La famiglia:reazioni alla malattiareazioni alla malattia

•• AggressivitAggressivitàà e rifiutoe rifiuto

•• Reazioni di chiusura, congiura del silenzioReazioni di chiusura, congiura del silenzio

•• Reazione regressiva che pone il malato in Reazione regressiva che pone il malato in una condizione di dipendenzauna condizione di dipendenza

•• Reazioni costruttiveReazioni costruttive

Lo scenario psicologico Lo scenario psicologico

del malato oncologicodel malato oncologico•• Evento malattiaEvento malattia

•• Impatto emotivo Impatto emotivo -- destabilizzazionedestabilizzazione

•• Smarrimento Smarrimento –– Perdita Perdita –– Crisi Crisi -- Disagio psichicoDisagio psichico

•• Situazione criticaSituazione critica--Reazione criticaReazione critica

•• Vissuti emotivi di angoscia (PauraVissuti emotivi di angoscia (Paura--Speranza)Speranza)

NecessitNecessitàà fondamentali:fondamentali:

•• Ritrovamento del senso di sicurezza e stabilitRitrovamento del senso di sicurezza e stabilitàà

•• Espressione ed elaborazione del disagioEspressione ed elaborazione del disagio

•• Processo di ricostruzione interna e concretaProcesso di ricostruzione interna e concreta

Pensieri e stati dPensieri e stati d’’animo: animo:

il malato, il familiareil malato, il familiare

Reazioni psicologiche difensive alla Reazioni psicologiche difensive alla

malattiamalattia

•• RegressioneRegressione

•• NegazioneNegazione

•• Proiezione Proiezione

•• IsolamentoIsolamento

Consapevolezza, Consapevolezza, accettazione, elaborazione accettazione, elaborazione e adattamento e adattamento

come rispostacome risposta

BISOGNI PSICOLOGICIBISOGNI PSICOLOGICI

Accudimento protezione guida sostegnoAccudimento protezione guida sostegno

Legittimazionedel

disagio del malato oncologico:

ASCOLTO

ACCOGLIENZA

CONTENIMENTO

GESTIONE

SUPPORTO

ANGOSCIA DI MORTE, DI SEPARAZIONE, DI PERDITA …di persone care…

… di parti di sè

Il processo del morireIl processo del morireMORIRE: quando, come, dove e perchMORIRE: quando, come, dove e perchéé??

E. KublerE. Kubler--Ross Ross

le 5 fasi le 5 fasi

del processo del morire:del processo del morire:

•• 1. la negazione1. la negazione

•• 2. la ribellione2. la ribellione

•• 3. il patteggiamento3. il patteggiamento

•• 4. la depressione e l4. la depressione e l’’isolamentoisolamento

•• 5. l5. l’’accettazioneaccettazione

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COSA POSSIAMO FARECOSA POSSIAMO FARE

LA RISPOSTA LA RISPOSTA

•• SapereSapere: Formazione: Formazione

•• Saper fare: Saper fare: ll’’utilizzo dello strumento adeguato utilizzo dello strumento adeguato ––

la relazione dla relazione d’’aiutoaiuto

Coscienza della dimensione del limite Coscienza della dimensione del limite

•• Saper essereSaper essere: dediti, desiderare il bene : dediti, desiderare il bene

delldell’’altro altro -- lo sguardo umanitariolo sguardo umanitario

•• Saper divenireSaper divenire: ogni volta nella : ogni volta nella

personalizzazione della relazione personalizzazione della relazione ––

aiutare=amare laiutare=amare l’’altro come se stessoaltro come se stesso

Ci sono coseCi sono cose

che NON si possono accettareche NON si possono accettare

Ciò che conta nella vita Ciò che conta nella vita

e di fronte alla morte e di fronte alla morte

èè non sentirsi abbandonati e solinon sentirsi abbandonati e soliG. Ghirotti G. Ghirotti

Lezione appresa dallLezione appresa dall’’esperienzaesperienza•Impotenza e incontro col limite•Capacità di OSPITALITA’del disagio altrui•La capacità di SOPPORTARE per RENDERE SOPPORTABILEla convivenza con l’evento destabilizzante•Il valore psicologico del FARE•L’IMPORTANZA di saper STARE•Il valore della SCELTA volontaria

La speranza non è ottimismo e non è la convinzione che ciò che si

sta facendo avrà successo

La speranza è la certezza che quello che si fa ha un senso,

Che abbiamo successo o meno.

V. Havel

Helen KellerHelen Keller

Il mondo Il mondo èè pieno di sofferenze pieno di sofferenze ……

Ma Ma èè altrettanto pieno di persone che altrettanto pieno di persone che le hanno superate!le hanno superate!

E tante altre le supererannoE tante altre le supereranno

grazie al VOSTRO PREZIOSO AIUTO!grazie al VOSTRO PREZIOSO AIUTO!

Grazie per quanto farete e per come lo farete!Grazie per quanto farete e per come lo farete!

Buon Lavoro!!!Buon Lavoro!!!

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Norme d’igiene per i volontari in ospedale Simona FANTINO - Infermiera prevenzione infezioni correlate all’assistenza - ospedale Martini

La malattia Alterazione dello stato fisiologico dell'organismo, capace di ridurre, modificare negativamente o persino eliminare le funzionalità normali del corpo.

Che cosa sono le malattie infettive Sono patologie dovute al contagio da parte di microrganismi (batteri, virus, miceti, parassiti, ecc.) dell'organismo umano con conseguente sviluppo di sintomi caratteristici di quella specifica malattia. La sola presenza del microrganismo nel corpo umano non significa sempre MALATTIA.

La colonizzazione L’infezione va distinta dalla "colonizzazione", definita come la moltiplicazione a livello locale di microrganismi senza apparenti reazioni tessutali o sintomi clinici.

Come si contraggono La possibilità che si verifichi l'INFEZIONE o la MALATTIA INFETTIVA dipende da vari fattori:

Contatto con il microrganismo in causa

Caratteristiche del microrganismo (patogenicità, virulenza e invasività)

Suscettibilità dell’individuo

Norme comportamentali per i volontari in ospedale

Igiene delle mani

Camice

Capelli

Monili

Uso di guanti

Trasmissione tramite le mani del personale Nella trasmissione dei patogeni nosocomiali dall’ambiente ospedaliero o da un paziente all’altro, il veicolo più frequentemente implicato è rappresentato dalle mani del personale sanitario.

Trasmissione tramite le mani : step 1 - The Lancet Infectious Diseases 2006 Germi presenti sulla cute del paziente e sulle superfici dell’ambiente circostante

Trasmissione tramite le mani : step 2

Germi trasferiti sulle mani degli operatori

Trasmissione tramite le mani : step 3 - Germi che sopravvivono sulle mani

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Trasmissione tramite le mani : step 4

Una igiene delle mani scorretta significa mantenere le mani contaminate

Trasmissione tramite le mani : step 5 Mani contaminate trasmettono germi

Prima Sfida Mondiale per la Sicurezza del Paziente ―Le cure pulite sono cure più sicure‖

Obiettivo: Ridurre le Infezioni Correlate alle Pratiche Assistenziali Igiene delle mani come pietra miliare

L’igiene delle mani è la misura più efficace per ridurre le infezioni associate all’assistenza sanitaria

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I 5 MOMENTI FONDAMENTALI PER L’IGIENE DELLE MANI

Effettua l’igiene delle

mani prima di toccare

un paziente mentre ti

avvicini!

Effettua l’igiene delle mani

dopo aver toccato un

paziente o l’ambiente

immediatamente

circostante, uscendo dalla

stanza!

Effettua l’igiene delle mani uscendo dalla

stanza, dopo aver toccato qualsiasi

oggetto o mobile nelle immediate

vicinanze del paziente, anche in assenza

di un contatto diretto con il paziente

Quali sono gli esempi più frequenti di questa indicazione?

VOLONTARI Esempi di contatto con il paziente:

Gesti di cortesia e di comfort: stringere la mano aiutare un paziente a cambiare postura Contatto diretto: aiutare un paziente a camminare

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Esempi di contatto con ciò che sta attorno al paziente (ambiente

circostante):

regolare una sponda del letto, pulire il comodino

La frizione con prodotti idro-alcolici è la soluzione ottimale per migliorare l’aderenza

Lavaggio con acqua e sapone solo se mani visibilmente sporche o dopo esposizione a fluidi biologici L’utilizzo di prodotti idro-alcolici è il gold standard in tutte le altre situazioni cliniche. La frizione con prodotti idro-alcolici è la soluzione per superare il problema della mancanza di tempo: Lavaggio delle mani: 1 to 1.5 min Frizione con prodotto alcolico: 15 to 20 sec.

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Monili ed oggetti vari

I Guanti sono

indicati

Se si prevede di contaminarsi con sangue, liquidi organici, secrezioni, escrezioni, membrane mucose, cute non integra ed oggetti contaminati

Si devono sostituire tra un paziente ed il successivo e tra procedure e manovre sullo stesso paziente

Si devono rimuovere subito dopo l’uso (per prevenire contaminazioni crociate anche nei confronti dell’ambiente) ed occorre effettuare il lavaggio delle mani

Guanti: non sono indicati per …

Misurare la temperatura e la pressione

Valutare il polso

Praticare iniezioni intramuscolari o sottocutanee

Lavare e vestire il paziente

Trasportare il paziente

Pulire occhi e orecchie

Distribuire i pasti e raccogliere le stoviglie

Cambiare le lenzuola

Spostare il comodino, il letto, la sedia

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Motivazioni del volontariato don Sergio MESSINA - Assistente religioso casa di cura Villa Cristina

GLI STADI DI GIUDIZIO MORALE SECONDO KOHLBERG

Kohlberg ha svolto una grande mole di indagini in parecchi paesi di culture diverse per confermare la sua tesi, cioè che il giudizio morale si sviluppa attraverso una serie di riorganizzazione cognitive, da lui chiamate stadi. Quindi lo sviluppo morale non può, per Kohlberg, avvenire mediante un, processo di inculcamento delle regole e delle virtù, ma solo attraverso un processo che richiede la trasformazione delle strutture affettive e cognitive e dipende dalla stimolazione dell'ambiente sociale. Educare alla moralità, non significa solo insegnare contenuti nei metodi perché, i principi morali vengano appresi ed interiorizzati; significa anche conoscere i processi attraverso i quali si sviluppa la capacità di percepire il valore morale e i modo che aiutino (o ostacolino) tali processi. Se queste condizioni vengono a mancare si pregiudica, nella persona, la possibilità di far progredire il giudizio morale. Gli studi di Kohlberg sonò di grande aiuto per tutti coloro che hanno a che fare con un codice di deontologia professionale, la cui comprensione dipende dal grado di sviluppo morale che è stato raggiunto dalla persona; rappresentano inoltre uno strumento di verifica dei comportamenti professionali all'interno dell'équipe.

Livello pre – convenzionale

È il livello delle regole culturali, delle etichette di bene e di male, di giusto e di sbagliato attuate o in base alle conseguenze edonistiche – fisiche dell'azione (punizione, ricompensa, scambio di favori) oppure in base al poter fisico di coloro che enunciano le regole.

Stadio 1: orientamento alla punizione ed alla obbedienza. Ciò che determina la bontà o la malizia di un atto per la persona a questo livello di sviluppo (il ragazzo come dato fisiologico), sono le conseguenze fisiche dell'atto stesso. Evitare la punizione e la deferenza illimitata al potere diventano l'optimum morale .

Stadio 2: orientamento relativista strumentale. L'azione giusta é quella che, in modo strumentale, soddisfa i bisogni miei e occasionalmente i bisogni degli altri. Le relazioni umane sono viste in modo simile a quelle commerciali; sono presenti elementi di onestà, reciprocità, e condivisione egualitaria, ma questi elementi sono interpretati in modo fisico o pragmatico.

Livello convenzionale

A questo livello la persona può mantenere le aspettative della scuola, dei gruppo o della nazione e ciò è visto come valido in se stesso, senza considerare le immediate o ovvie conseguenze. L'atteggiamento è quello di conformità ad aspettative personali, all'ordine sociale e di lealtà all'ordine costituito.

Stadio 3:orientamento interpersonale del bravo ragazzo. È buono quel comportamento che piace agli altri gli aiuta ed è approvato da essi. C'è molta conformità alla immagine stereotipa di ciò che costituisce un comportamento normale e proprio dalia maggioranza degli uomini. Il comportamento è spesso giustificato dalle intenzioni: la buona intenzione diventa per la prima volta importante. Si guadagna l'approvazione altrui con l'essere simpatica e gentile.

Stadio 4:orientamento alla legge ed all'ordine costituito. C'è un orientamento verso l'autorità, le regole fisse ed il mantenimento dell'ordine sociale. Il comportamento giusto consiste nel fare il proprio dovere, mostrare rispetto per l'autorità, l'ordine sociale per il desiderio, fine a se stesso, di mantenere tale ordine.

Livello post – convenzionale, autonomo o di principio

A questo livello c'è un chiaro sforzo per definire i, valori morali e i principi che hanno validità ed applicazione a prescindere dall'autorità dei gruppi o delle persone, che definiscono questi principi e a prescindere dalle identificazioni dell'individuo con questi gruppi.

Stadio 5: orientamento democratico verso il contratto sociale. I valori personali sono considerati come relativi e vengono subordinati al raggiungimento del bene comune e alla salvaguardia dei diritti fondamentali di ogni individuo. Questa è la moralità ufficiale delle carte costituzionali dei Paesi democratici.

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Stadio 6: orientamento al principio etico universale. Il giusto è definito dalla coscienza individuale in accordo con principi etici scelti autonomamente: principio universale di giustizia, di reciprocità, di uguaglianza dei diritti umani, di rispetto per la dignità degli esseri umani visti come persone.

QUALITÀ DEGLI STADI MORALI

1. Gli stadi costituiscono una sequenza invariata. Si deve progredire attraverso gli stadi in ordine e non si può, arrivare ad uno stadio più alto senza passare attraverso gli stadi che lo precedono. Ad esempio, non si può, arrivare allo stadio quattro, senza passare rispettivamente attraverso gli stadi uno, due, tre. Lo sviluppo morale è crescita e, come tutte le crescite, avviene secondo una sequenza predeterminata. Aspettarsi che qualcuno riesca ad acquisire una alta moralità in una notte sarebbe come pretendere che qualcuno cammini prima che abbia imparato a trascinarsi carponi.

2. Nello sviluppo per stadi i soggetti non possono comprendere il ragionamento morale di uno stadio che sia due stadi superiore al proprio. — una persona allo stadio due, che separa bene e male in base al proprio piacere personale, non può comprendere il ragionamento dello stadio quattro che giustifica una azione in base a doveri fissi e non a promesse di ricompensa o piacere. Poiché lo stadio quattro richiede un orientamento completamente diverso da quello del ragionamento allo sta dio due, per essere capito devono realizzarsi vari riadattamenti cognitivi.

3. Nello sviluppo per stadi i soggetti sono cognitivamente attratti a ragionare secondo un livello che è superiore di una unità rispetto al loro proprio predominante livello.

Una persona, che è allo stadio uno, sarà attratta dallo stadio due e così via. Kohlberg sostiene che il ragionamento ad uno stadio più alto è cognitivamente adeguato che un ragionamento ad uno stadio più basso: risolve infatti i dilemmi in modo più soddisfacente.

4. Nello sviluppo per stadi il movimento da uno stadio all'altro avviene quando si crea uno squilibrio cognitivo cioè quando la prospettiva cognitiva di una persona non è più adeguata ad affrontare un dato dilemma morale.

Di fronte a situazioni complesse la persona vede la inadeguatezza delle sue ragioni e cerca un modo sempre più adeguato per risolvere i propri dilemmi. Se in una data situazione la struttura cognitiva attuale non può risolvere un problema l'organismo cognitivo si adatta ad una struttura che può risolverlo. Se invece l'orientamento di una persona non è disturbato (cioè non c'è alcuno squilibrio cognitivo) è più difficile l'acquisizione di uno stadio superiore.

5. Quando la persona ha raggiunto un elevato stadio di ragionamento morale accetterà solo ragioni più alte come determinanti la sua azione e, acquisito detto stadio, tende a mantenervisi, anche se può offrire, in determinate situazioni, risposte morali di basso livello.

Molte volte noi ci scopriamo a dare risposte morali opportunistiche, ma solo perché sono istintive e immediate, non ragionate. In realtà quando prendiamo decisioni ponderate le ragioni vincenti sono quelle tipiche dello stadio cui apparteniamo.

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L’organizzazione AVO all’interno degli ospedali

Maria Vittoria FAGA – Consigliera Esecutivo AVO Torino, Coordinatrice Responsabili Ospedali

“… ciò che lega la barca al molo è la corda

e la corda è fatta di fibre,

ma la forza della corda non dipende dalle fibre

che la percorrono dall’inizio alla fine,

per tutta la sua lunghezza:

dipende dal fatto che ci sono innumerevoli fibre

parzialmente sovrapposte.

L’intreccio è un’opera di costruzione.”

Wittgenstein

NN°° 985 985 VolontariVolontari

che prestano servizioche prestano servizio

Siamo presenti con:iamo presenti con:

AVO

Torino

per un totale di circa per un totale di circa 81.00081.000 ore/annueore/annue

dati 2010

NN°° 1616 Responsabili di OspedaleResponsabili di Ospedale

NN°° 1515 Responsabili di FormazioneResponsabili di Formazione

NN°° 3838 CoordinatoriCoordinatori

Siamo impegnati con:Siamo impegnati con:

AVO

Torino

AVO

Torino

Ruolo e compitiRuolo e compiti

Chi sono e cosa fanno le:Chi sono e cosa fanno le:

Responsabili di OspedaleResponsabili di Ospedale

e le e le CoordinatriciCoordinatrici

AVO

Torino

Responsabili di OspedaleResponsabili di Ospedale

Rapporti con i VolontariRapporti con i Volontari

Rapporti con la StrutturaRapporti con la Struttura

Rapporti con lRapporti con l’’AssociazioneAssociazione

AVO

Torino

Coordinatrici di repartoCoordinatrici di reparto

Rapporti con i VolontariRapporti con i Volontari

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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base

40

Dove siamo presenti:Dove siamo presenti:GradenigoGradenigo

MartiniMartini

MaurizianoMauriziano

San Giovanni Antica SedeSan Giovanni Antica Sede

Istituto Riposo per la VecchiaiaIstituto Riposo per la Vecchiaia

Regina MargheritaRegina Margherita

San Giovanni Battista MolinetteSan Giovanni Battista Molinette

OftalmicoOftalmico

S. AnnaS. Anna

San Giovanni BoscoSan Giovanni Bosco

C.T.O. Centro Traumatologico OrtopedicoC.T.O. Centro Traumatologico Ortopedico

Maria AdelaideMaria Adelaide

Centro diurno AuroraCentro diurno Aurora

Villa CristinaVilla Cristina

Senior Residence Senior Residence R.S.AR.S.A..

R.S.A.R.S.A. di via Botticellidi via Botticelli

AVOTorino

GradenigoGradenigo

•• MedicinaMedicina

•• GastroenterologiaGastroenterologia

•• OrtopediaOrtopedia

•• LungodegenzaLungodegenza

•• RiabilitazioneRiabilitazione

•• OncologiaOncologia

•• Pronto SoccorsoPronto Soccorso

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

MartiniMartini

•• AccoglienzaAccoglienza

•• CardiologiaCardiologia

•• ChirurgiaChirurgia

•• Degenza Degenza

temporaneatemporanea

•• GeriatriaGeriatria

•• MedicinaMedicina

•• NefrologiaNefrologia

•• AccoglAccogl. Neurologia. Neurologia

•• NeurologiaNeurologia

•• OrtopediaOrtopedia

•• PediatriaPediatria

•• Pronto SoccorsoPronto Soccorso

•• ISI ISI (Informazione Sanitaria (Informazione Sanitaria

Immigrati)Immigrati)

•• RSA RSA via Gradisca 10via Gradisca 10

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

Mauriziano Mauriziano

•• Medicina Generale 1Medicina Generale 1

•• Medicina Generale 2Medicina Generale 2

•• Medicina generale lunga degenzaMedicina generale lunga degenza

•• Riabilitazione funzionaleRiabilitazione funzionale

•• DialisiDialisi

•• Chirurgia VascolareChirurgia Vascolare

•• OrtopediaOrtopedia

•• AccoglienzaAccoglienza

•• Punto d'ascoltoPunto d'ascolto

•• Pronto SoccorsoPronto Soccorso

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

San Giovanni antica sedeSan Giovanni antica sede

•• AccoglienzaAccoglienza

•• RadioterapiaRadioterapia

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

Ospedale InfantileOspedale Infantile

Regina MargheritaRegina Margherita

•• LattantiLattanti

•• NeuropsichiatriaNeuropsichiatria

•• ChirurgiaChirurgia

•• NeurochirurgiaNeurochirurgia

•• Chirurgia neonataleChirurgia neonatale

•• PneumologiaPneumologia

•• OrtopediaOrtopedia

•• DEA DEA degenza temporaneadegenza temporanea

•• Centro UstionatiCentro Ustionati

•• Pediatria Pediatria ((dayday hospital hospital

bimbi down)bimbi down)

Orario 8 Orario 8 ÷÷ 21 dal luned21 dal lunedìì alla domenicaalla domenica

Molinette Molinette

•• Triage Triage (prima accoglienza di Pronto Soccorso)(prima accoglienza di Pronto Soccorso)

•• Pronto SoccorsoPronto Soccorso

•• Medicina 4Medicina 4

•• Medicina 6Medicina 6

•• Medicina 10Medicina 10

•• NeurologiaNeurologia

•• PneumologiaPneumologia

•• Oncologia 1Oncologia 1

•• Oncologia 2Oncologia 2

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

OftalmicoOftalmico

•• Clinica OculisticaClinica Oculistica

•• Glaucomi e TraumatologiaGlaucomi e Traumatologia

•• Oculistica generaleOculistica generale

•• PediatriaPediatria

Orario pasti dal lunedOrario pasti dal lunedìì al venerdal venerdìì

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SantSant’’AnnaAnna

•• Ginecologia AGinecologia A--BB--CC

•• Ginecologia Oncologica AGinecologia Oncologica A--BB--CC

•• Ginecologia A Ginecologia A II°° clinicaclinica

•• Ginecologia B Ginecologia B IIII°° clinicaclinica

•• Accettazione (Pronto Soccorso)Accettazione (Pronto Soccorso)

•• DayDay Hospital OncologicoHospital Oncologico

•• Ostetricia alta complessitOstetricia alta complessitàà (sett. 2C e 2C)(sett. 2C e 2C)

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

San Giovanni BoscoSan Giovanni Bosco

•• GeriatriaGeriatria

•• OrtopediaOrtopedia

•• Medicina AMedicina A

•• Medicina BMedicina B

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

Maria AdelaideMaria Adelaide

•• Recupero funzionaleRecupero funzionale

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

C.T.O. C.T.O. Centro Traumatologico OrtopedicoCentro Traumatologico Ortopedico

•• Accoglienza Accoglienza

Presidio psichiatrico Presidio psichiatrico "Villa Cristina""Villa Cristina"

•• Assistenza Area A Assistenza Area A -- B B -- CC (rep. masch., femm. e misto)(rep. masch., femm. e misto)

Solo pomeriggio dal lunedSolo pomeriggio dal lunedìì al venerdal venerdìì (anche sabato)(anche sabato)

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

Centro Diurno AuroraCentro Diurno Aurora

•• Assistenza malati di AlzheimerAssistenza malati di Alzheimer

Istituto Riposo per la VecchiaiaIstituto Riposo per la Vecchiaia

•• Casa ProtettaCasa Protetta

Orario standard dal lunedOrario standard dal lunedìì al venerdal venerdìì

Senior Residence Senior Residence R.S.AR.S.A..

Solo pomeriggio dal lunedSolo pomeriggio dal lunedìì al venerdal venerdìì

•• Residenza Sanitaria AssistenzialeResidenza Sanitaria Assistenziale

Segreteria Segreteria via san Marinovia san Marino

•• lunedlunedìì e giovede giovedìì 17 17 ÷÷ 1919

•• mercoledmercoledìì e venerde venerdìì 10 10 ÷÷ 1212

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Il Gruppo e l’Associazione Laura MONTANARO - Volontaria ospedale Martini

(già responsabile di formazione del Consiglio Esecutivo)

Art. 10 del Decalogo AVO: ……Ogni volontario deve impegnarsi ad alimentare l’amicizia e la cordialità nel gruppo, perché questo calore umano si riversi sul malato e sull’Associazione.

La società moderna ci spinge sempre più verso l’individualismo e purtroppo anche il mondo del lavoro porta sempre più ad ignorare i bisogni fondamentali della persona, anzi preme per una competizione senza regole e ci riporta alle leggi della giungla, della sopravvivenza in cui tutto è permesso. Entrare nel mondo del volontariato è un tuffo in una dimensione diversa, diametralmente opposta a quella che abbiamo appena esaminata. Per di più, a differenza di altri volontariati che vengono svolti in maniera individuale, il nostro, l’AVO, è per sua natura un volontariato di gruppo. Noi indossiamo un camice che ci rende uguali agli occhi di chi ci incontra, sia il malato o il parente, ma anche il personale ospedaliero e dobbiamo confrontarci con i colleghi per poter mantenere quelle caratteristiche di uniformità di servizio che ci contraddistinguono.

Cosa vuol dire? Si sceglie l’AVO per stare vicino ai malati e la vostra attenzione è giustamente focalizzata su questo aspetto che è lo scopo del nostro servizio, quella che oggi si chiama la ―mission‖. Quest’aspetto lo approfondirete, e lo state già facendo, con esperti e psicologi che vi parleranno della relazione che si instaurerà tra voi e il malato e vi daranno importanti spunti di riflessione. Noi oggi, invece rifletteremo insieme sull’altro aspetto del volontariato AVO: il gruppo, l’associazione. Ci siamo resi conto nel tempo che è una cosa difficile da coltivare, da far crescere se non c’è già in partenza questo modo di interpretare l’associazione, questa apertura verso gli altri volontari che operano nell’associazione. Il passaggio dal tu al noi richiede un notevole sforzo anzi è una faticaccia.

Proviamo ad esaminare i vantaggi e le difficoltà di appartenere ad un gruppo. Vantaggi: - tutelati dall’associazione (convenzione, assicurazione, organizzazione) - scambio di esperienze e di idee - confronto - condivisione - stimolo - appoggio emotivo - legame.

Il gruppo è scambio di energie: Ognuno di noi con il suo comportamento, determina l’andamento del gruppo, anche i silenzi, il posto a sedere scelto durante le riunioni, ecc. sono importanti. Ognuno prende posizione anche se non ne ha l’impressione. Il gruppo ha una forza ben superiore alla somma delle singole forze dei partecipanti per cui il gruppo deve diventare coesione di energie. Difficoltà:

obbligo al rispetto delle regole. Non posso fare come voglio, ma devo attenermi alle regole dell’Associazione. Devo rispettare l’orario di servizio, avere un determinato comportamento che l’AVO mi insegna, partecipare alle riunioni.

perdita di individualità. Il gruppo è un insieme di diversità, ma proprio l’accettazione dell’individualità di molti crea ricchezze di idee e di comportamenti, potenzialità che possono portare a grandi risultati.

fatica. Perdita di tempo, parole, talvolta si fa più in fretta a fare da soli, ma il rischio è di ritrovarsi da soli, mentre condividendo con gli altri le proprie esperienze e le proprie idee, ci si migliora.

sofferenza. Occorre imparare a stare con gli altri, è un esercizio di tolleranza perché accettare i difetti, le diversità degli altri ci può far star male.

Come ci relazioniamo in un gruppo?

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In un libro molto interessante che vi consiglio di leggere ―Dalle parole al dialogo‖ di G. Colombero, ho letto una spiegazione dei comportamenti degli individui che mi è molto piaciuta e che vi propongo. Ci sono quattro modi di stare nella relazione interpersonale:

Essere tra:

indicativa di una relazione povera, si sta e basta, è assenza di dialogo, l’altro è un altro, un diverso, un forestiero: lo conosco e lo ignoro. Il vero estraneo è colui che non genera né amore né odio, è emotivamente lontano, è come se non ci fosse. Si può essere uniti nella posizione del ―tra‖ per opportunità o per furbizia, per tornaconto: si è uniti non nel segno dell’affetto ma dell’affitto. Essere tra è la forma di relazione che si vive andando per strada, nei supermercati, sui mezzi di trasporto ma anche nei condomini, negli ambienti di lavoro, qualche volta, purtroppo, anche in famiglia. La stazione ferroviaria rappresenta il provvisorio, vivere come transitare, il luogo dell’estraneità.

Essere con:

Questa forma di relazione delinea l’Io–tu e non l’Io-lui , cioè si manifesta con la comunione con gli altri. L’elemento che lega non è più l’efficienza o la convenienza ma l’affetto la gioia di stare ―insieme con‖. Si riconosce all’altro il diritto di essere diverso: lo si accetta così com’è. Imparo a non fare dell’altro una mia proiezione, cioè pretendere che sia una copia di me stesso, rispetto la sua interiorità come diritto e come valore. Questa è una delle più difficili conquiste che può fare una persona, ma è la più necessaria. L’essere con non fugge la gente, la ama, è l’espressione più alta dell’amicizia e della benevolenza. Vive la vita come un dono, anche gli aspetti meno piacevoli.

Essere per:

Esprime la massima apertura del Tu, è l’espressione di una vita dedita agli altri. Essere per è uno stile di vita. Non sono persone che rinunciano a realizzare se stesse e i propri bisogni, sono persone che trovano la propria realizzazione portandosi al di là di se stessi. Sono persone che non riescono ad essere felici da sole, per loro vivere è aiutare a vivere, farsi dono. Invece di impostare la propria vita concentrandosi su se stessi, escono da se stessi per scoprire gli altri e da questo atteggiamento nasce l’altruismo. Attraverso la crescita morale e spirituale la persona impara ad uscire dall’atteggiamento narcisistico e si apre alla disponibilità. Soltanto chi è libero dall’ossessione di se stesso è disponibile.

Essere in:

Si può realizzare soltanto attraverso la relazione personale con l’assoluto o Dio. All’uomo posso dire ―sono con te e per te‖ e mai potrò dire ―sono in te‖. All’uomo posso dire ―credo a te‖ , ma ―credo in te‖ lo riservo all’assoluto, a Dio.

Di cosa vive un gruppo?

Stima Prima di tutto di sé, quindi accettarsi con i propri difetti. Poi accettare l’altro (io valgo, tu vali). Come posso accogliere il malato se non faccio l’esperienza di essere accolto? Prima di stimare bisogna conoscersi, ma noi quanta fatica siamo disposti a fare per conoscerci?

Sincerità Per conoscersi occorre togliersi le maschere, essere sinceri e non temere di dare fastidio, avere il coraggio di esprimere le proprie idee, rendersi conto che sono le idee diverse, naturalmente espresse con educazione, che aiutano a crescere nel gruppo che, altrimenti, si appiattisce sulle idee del conduttore. Non avere paura dei conflitti: senza conflitti non si vive, solo bisogna imparare a gestirli in maniera proficua.

Spiritualità’

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Come comunicazione empatica, come capacità di avvicinare il malato.

Diversi tipi di gruppo:

Federavo – la federazione nazionale che riunisce più di 240 AVO in Italia

Associazione – L’AVO di Torino

Ospedale – siamo in 14 strutture cittadine

Reparto

Turno Diverse realtà ma tutte unite dal medesimo sforzo di portare avanti una presenza vicino al malato che dia il senso della fraternità, dell’amicizia e della condivisione. Diverse realtà e quindi anche diverse modalità di partecipazione.

AVO, scuola di impegno e di tolleranza

Anzi, a questo proposito vorrei fare una parentesi per riflettere sul lavoro organizzativo della nostra Associazione. Ricordatevi che tutto quello che avete già trovato da quando vi siete iscritti a questo corso ma soprattutto quello che troverete negli ospedali è frutto del lavoro gratuito di molte persone, le responsabili in testa ma non dimentichiamo la segreteria e il Consiglio Esecutivo, persone che si impegnano praticamente ogni giorno dell’anno perché ci sia sempre qualche volontario in corsia vicino ai malati. Credo che questo fatto vada sempre ricordato, soprattutto quando, e potrà anche capitare, troverete qualche piccola pecca nell’organizzazione. Io propongo sempre ai nuovi volontari di considerare quest’aspetto del nostro servizio perché state entrando a far parte di un mondo nuovo, il volontariato, che ha canoni di giudizio diversi rispetto a quelli che nostra società moderna ci propone. Invece di giudicare il lavoro degli altri bisogna comprendere la fatica di questo lavoro e, nei limiti del possibile, lasciarsi coinvolgere per aiutare il gruppo affinchè il nostro servizio al malato sia sempre più professionale. Aiutare il gruppo vuol dire anche solo partecipare costantemente e in maniera attiva alle nostre riunioni proprio perché il successo o l’insuccesso di una riunione dipende, in maniera preponderante, dall’impegno di chi vi partecipa e quindi da tutti noi. Non negatevi al gruppo, ai colleghi, li privereste delle vostre esperienze e delle vostre riflessioni che insieme alle altre sono la ricchezza di tutti.

Torniamo a quello che abbiamo detto all’inizio del nostro incontro: voi siete venuti qui per iniziare un servizio vicino alle persone sofferenti, certo, questo è il nostro scopo primario, ma avvicinarsi al mondo del volontariato vuol dire anche un’altra cosa, molto bella che scoprirete poco per volta, ma soltanto se voi sarete disponibili al cambiamento, se voi vi lascerete coinvolgere dall’Associazione. Far parte di un’associazione come la nostra, che è condotta esclusivamente da volontari che liberamente scelgono di impegnarsi per far sì che tante persone generose possano andare ogni giorno in tanti ospedali a porgere la loro amicizia ai malati, è una cosa bellissima che a noi riempie di orgoglio che vogliamo trasferire a voi. Ma non ignoriamo che è un cammino faticoso, vuol dire mettersi in discussione, sapere che non sempre le nostre idee saranno vincenti. L’amicizia che è nata tra noi volontari vi posso dire che è profonda. Chi ha avuto esperienze di dolore sa che può contare sui colleghi perché ci conosciamo, ci rispettiamo, ci vogliamo bene al di là delle differenze che ci contraddistinguono. Purtroppo però non tutte le persone che si avvicinano alla nostra associazione hanno la voglia e la pazienza di accettare la fatica di questo cammino. La fatica è il prezzo da pagare per crescere. Io mi auguro che la maggior parte di voi, come detto prima, non si neghi al gruppo ma abbia voglia di intraprendere questo cammino di crescita personale che vi assicuro, vi arricchirà. Spero di essere riuscita con queste mie parole a trasmettervi un po’ di quell’orgoglio che noi volontari AVO sentiamo nell’appartenere ad un’associazione come questa. Vicini al malato ma anche vicini ai colleghi che condividono con noi questo magnifico progetto dell’AVO, questa è la sfida che vi lanciamo e che siamo sicuri raccoglierete con frutti proficui.

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CI IMPEGNIAMO NOI E NON GLI ALTRI

Ci impegniamo noi e non gli altri

unicamente noi e non gli altri, né chi sta in alto né chi sta in basso,

né chi crede né chi non crede.

Ci impegniamo senza pretendere che altri s’impegnino,

con noi o per suo conto, come noi o in altro modo.

Ci impegniamo

senza giudicare chi non s’impegna, senza accusare chi non s’impegna,

senza condannare chi non s’impegna.

Ci impegniamo per trovare un senso alla vita, a questa vita, alla nostra vita,

una ragione che non sia una delle tante ragioni, che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore.

Ci impegniamo

non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo;

per amare anche quello che non possiamo accettare,

anche quello che non è amabile, anche quello che pare rifiutarsi all’amore.

Ci impegniamo

perché noi crediamo all’amore, la sola certezza che non teme confronti,

la sola che basta per impegnarci perpetuamente.

Primo Mazzolari

Bibliografia: - ―Dalle parole al dialogo‖ G. Colombero - ed. S. Paolo ―Il gruppo, luogo di crescita‖ p. A. Pangrazzi - ed. Camilliane ― Proposte AVO‖ G. Pelucchi – ed. Paoline ― Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo‖ Quaglino, Casagrande, Castellano - ed. Cortina

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Norme di sicurezza per il volontario in Ospedale

Antonio GALLO - Volontario AVO al Mauriziano

Norme di Sicurezza per i Norme di Sicurezza per i

volontari in ospedalevolontari in ospedale

Come ogni azienda italiana le attività dei dipendenti devono

essere svolte nel rispetto della normativa vigente in rapporto

alla sicurezza del posto di lavoro (D.Lgs 81/08).

Le strutture ospedaliere hanno tutte già predisposto ambienti

a norma e indicazioni sul comportamento in caso di

emergenza, per i propri dipendenti ed i lavoratori ospiti.

Anche i Volontari Ospedalieri sono inseriti (limitatamente ai

compiti loro assegnati) in tali strutture.

Di seguito sono elencate alcune indicazioni per i V.O.

IndicazioniIndicazioni operative per i nuovi operative per i nuovi

volontari :volontari :

• Affiancare il tutor per le prime 30 ore di servizio e farsi spiegare le regole di comportamento provandole sul campo.

• Seguire le sue istruzioni nei casi di emergenza.

• Al momento del passaggio a socio tirocinante, la responsabile dell’Ospedale vi farà prendere visione della documentazione sui rischi ospedalieri e sul piano di emergenza, e sulle regole comportamentali vigenti nel reparto in cui opererete.

• Successivamente, secondo pianificazione interna all’Ospedale, seguirete un breve corso di informazione

Per i Volontari Ospedalieri, vale quanto segue:Per i Volontari Ospedalieri, vale quanto segue:

In relazione alle attività di supporto alla persona svolte dal personale volontario non sono da prevedersi operazioni di assistenza sanitaria sui pazienti o contatti diretti con apparecchiature sanitarie, né con farmaci o sostanze ad uso sanitario.

Al fine di operare in completa sicurezza i volontari dovranno fare riferimento alla figura del preposto (es. caposala) per le corrette procedure e informazioni necessarie, attenendosi alla sue indicazioni. (per casi semplici riferirsi al proprio coordinatore)

Particolare attenzione va posta alle procedure da attuarsi in caso di emergenze (es. incendi, fumo, …) Le regole comportamentali del Volontario sono contenute nel

mansionario e nello statuto, ma più in dettaglio sono definite per ogni ospedale coerentemente ai reparti in cui si opera.

Alcuni esempi del MANSIONARIO:Alcuni esempi del MANSIONARIO: rispetto degli orari

determinati servizi chiesti dall’ammalato (deambulazione, sistemazione dei cuscini, ecc. ) devono essere autorizzati dal personale responsabile.

Non indagare sulla malattia, né parlarne con l’interessato. Bisogna rispettare il segreto professionale.

Non effettuare operazioni di trasporto di materiale sanitario (provette, sacche di sangue, pappagalli, …) né interventi su regolazioni di flebo, … In genere non si deve mai effettuare le attività di competenza del personale sanitario.

Evitare tutti i contatti fisici che possano danneggiare il paziente(sollevamento dal letto, sistemazione sulla sedia a rotelle, …), o infettarlo o esserne infettato.

Non fornire al paziente generi di conforto non autorizzati

Divieto di accesso ad ambienti operativi (di medicazione, di analisi, di diagnostica, di disinfezione.)

Di fronte a cadute, svenimenti o ferite dei pazienti chiamare subito il personale sanitario più vicino e non intervenire direttamente sul paziente stesso

In caso di evacuazione, non si deve agire sul salvataggio dei pazienti ma avvertire, presidiare e mettersi in salvo senza ostacolare

Misure di Prevenzione da rispettare :Misure di Prevenzione da rispettare :

o Divieto di fumo in tutti gli ambienti.

o Non manomettere nessuna strumentazione o dispositivo di sicurezza

o Non accumulare rifiuti, ne ostruire vie di accesso

o Non utilizzare apparecchiature elettriche senza autorizzazione

o Prendere visione

– della cartellonistica,

– delle istruzioni di sicurezza affisse e

– delle planimetrie per individuare le vie di fuga ed i centri di raccolta.

Comportamento e procedure di emergenza:Comportamento e procedure di emergenza:

Provvedere, se necessario, ad allontanare le persone in condizioni di immediato pericolo, in attesa dei soccorsi, senza pregiudicare la propria incolumità

Raggiungere l’esterno dell’edificio seguendo i precorsi predisposti

Non usare mai gli ascensori

Nei locali invasi dal fumo raggiungere la porta con percorso perimetrale

Per le scale invase dal fumo procedere a carponi a ritroso

Prima di aprire un porta sfiorare la maniglia con il dorso della mano, se scotta, non aprire.

Mai farsi prendere dal panico

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Etica: uno sguardo sui dilemmi del nostro tempo

Michela GALETTI – già Responsabile formazione continua ASO Regina Margherita e Sant’Anna

Viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le ―passioni tristi‖. Il filosofo non si riferiva alla tristezza del pianto, ma a un senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta alla chiusura in noi stessi e a vivere il mondo come una minaccia alla quale bisogna rispondere ―armando‖i nostri figli.

Viviamo nella disgregazione, frutto di un opulento progresso che ci costringe a fare i conti con la perdita di fiducia, con la delusione nei confronti di quella scienza che non sembra più contribuire alla felicità degli uomini..

Studiosi, scienziati e mistici ritengono che una delle caratteristiche essenziali della nostra cultura occidentale sia la ―frammentazione‖, intesa come radicata tendenza alla divisione dei linguaggi della conoscenza e dei modi di vivere.

La civiltà moderna, industriale in cui predomina una visione analitica, riduttiva e materialistica dell’esistenza, adotta inconsapevolmente un modello dicotomico, basato sulla divisione cartesiana tra materia e coscienza, tra corpo e anima tra scienza e spiritualità tra l’uomo e la donna. Questa concezione, risultato di una lunga serie di eventi storici, è espressione di un essere umano senza integrità che vive una profonda divisione tra anima e corpo, testa e cuore, tra le sue qualità maschili-razionali e femminili-affettive, tra i suoi istinti e la sua coscienza, che vive separato dalla naturalezza dell’essere e che continua a riflettere questa percezione frammentata nel mondo che crea intorno a se stesso.

Le ricerche in psiconeurofisiologia evidenziano che la frammentazione dell’esperienza umana si riflette neurofisiologicamente sulla frammentazione funzionale delle differenti aree cerebrali, più precisamente su una bassa coerenza nelle comunicazioni sia tra i tre cervelli rettile-istintivo, mammifero-emozionale e umano-mentale che tra l’emisfero razionale e intuitivo creando quello stato, che il neurofisiologo Paul MacLean chiamava ―schizofisiologia‖.

La più grave mancanza di questa cultura frammentata è la sua incapacità a comprendere l’unità vivente, la sacralità della vita e un’intollerabile mancanza di cuore. Questa dicotomia della coscienza ha prodotto conseguenze che si ripercuotono su tutta l’umanità e sull’intero pianeta quali una scienza ―senza anima‖, un’economia disumana e una concezione del mondo meccanica, senza etica ne finalità. Il risultato di questa politica cieca e inconsapevole della globalità dei processi e delle relazioni ha causato i drammatici effetti di devastazione degli ecosistemi, inquinamento, sfruttamento, abusi.. Il punto di svolta è l’educazione orientata all’unità, all’unità nella diversità, in una parola al paradigma olistico che è un gioco circolare di conoscenza. Il suo assunto è che conoscere se stessi rappresenta la chiave per la conoscenza della vita di cui siamo parte integrante diventando co-creatori del processo di crescita e di evoluzione della coscienza globale di sé e del pianeta.

Nutrire la consapevolezza che siamo figli delle leggi generali della complessità che abbiamo appena iniziato ad esplorare e che siamo figli della storia, una storia lunga quattro miliardi di anni vuol dire alimentare devozione e rispetto per la vita e per i suoi recessi ancora nascosti, vuol dire riconoscere che la vita nel suo eterno movimento scorre caotica e complessa e che la conoscenza scientifica sui sistemi dinamici non lineari, sulla fisica quantistica sta spalancando le porte ad nuova frontiera, la frontiera dell’homo olistico.

L’effetto farfalla, il cui battito d’ali in Brasile può determinare un tifone nel Texas è ad esempio uno degli innumerevoli campi di esplorazione. Noi ―soggetti consapevoli‖ abbiamo già sperimentato che un sorriso, uno sguardo, un atteggiamento, un input apparentemente insignificante può determinare un tifone nel cuore e modificare una vita. Anche l’intuito clinico non è da sottovalutare, un segno, un evento non catalogato, una situazione particolare sempre per l’effetto farfalla possono far prospettare un inquadramento diagnostico esatto.

Ma che cosa posso fare io per sostenere e guidare il cambiamento in atto? La risposta è semplice ed è stata espressa migliaia di volte nei diversi luoghi del pianeta ed è pilastro fondamentale nel cristianesimo, nell’ebraismo, nell’islam, nell’induismo e nel confucianesimo: si tratta della regola aurea che prescrive di fare agli altri tutto ciò che si vorrebbe che gli altri facciano per noi.

Forse sta qui la motivazione che spinge una persona a diventare volontario in ospedale al servizio

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della persona e quindi all’opera dell’Essere umano. Porsi domande basilari sulla malattia è certamente importante, ma confrontarsi con le domande riguardanti la complicata natura dell’uomo ci orienta verso la comprensione di noi stessi, presupposto per la comprensione dell’altro. Decine di rapporti vengono iniziati, mantenuti, conclusi da ognuno nell’opera di volontariato, ogni rapporto però è unico e ogni rapporto ci offre nuove opportunità per migliorarci ed acquisire una sempre maggior autocoscienza e l’ineguagliabile possibilità di sviluppare questa dote.

Pensiamo ad esempio, alla nascita come inizio della vita, ma quando viene messa a repentaglio e sgretola il senso del venire al mondo ci mette in crisi: operare in queste circostanze è difficile per gli operatori sanitari, è difficile per tutti se non si è preparati a creare con la famiglia uno spazio di domanda più che di risposta. Allora impegnamoci anche noi volontari a creare le condizioni di dicibilità del dolore per ricostruire nuovi orizzonti, impegnamoci a dare spazio più alle domande che alle risposte, impegnamoci a far proliferare questo spazio proprio là dove sembra non esserci più tempo né spazio.

Impariamo però a distinguere che cosa possiamo cambiare da che cosa non possiamo cambiare per non cadere nel paradosso e peggiorare la ―nostra‖ crisi esacerbando le nostre preoccupazioni, i nostri dubbi, le nostre paure ed ampliando la sensazione d'incertezza e di impotenza.

Come ci suggerisce S. Covey impariamo a riconoscere i problemi collocandoli nella ―zona di preoccupazione‖ o nella ―zona di influenza‖ della crisi per mettere a fuoco quello che possiamo cambiare con le nostre azioni. Albert Einstein diceva che la crisi è la migliore benedizione che ci può accadere - tanto alle persone quanto ai Paesi - poiché questa porta allo sviluppo personale e al progresso. Considerava che la creatività nasce dall'angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura ed è nella crisi che appaiono l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Spiegava che chi supera una crisi supera se stesso senza rimanere "superato". Indicava che, senza crisi, non ci sono sfide e senza sfide la vita si trasforma in una routine che si va trasformando in una lenta agonia. Citava che, senza crisi, non ci sono meriti. É nella crisi che affiora il meglio di ciascuno. Tuttavia, diceva anche che parlare della crisi è promuoverla e suggeriva che, invece di guardarla, è meglio lavorare duramente per non finire intrappolati nella vera crisi che minaccia la nostra vita, cioè la tragedia di non voler lottare per superare le crisi che ci tocca vivere.

In conclusione quello che il bruco interpreta come la crisi finale della sua vita è quello che in

termini reali noi chiamiamo farfalla!

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L’AVO incontra la Multicultura

Ruben NASI – Operatore Gruppo Abele Salute e Migranti nei Servizi di Accoglienza di Torino 1. Italia: Crisi non solo economica ma anche sociale Il contesto sociale ed economico italiano è in un periodo di forte crisi. Sono sempre più diffuse derive intolleranti, che spingono al conflitto, in particolare tra le fasce più fragili della popolazione. La crisi economica colpisce in particolare i cittadini più deboli, ma non solo: molte persone che fino a poco tempo fa erano in una condizione dignitosa e di autosufficienza sono cadute in povertà, a causa della perdita del lavoro e/o della casa, per via di separazioni dal partner e dalla famiglia. La crisi non è quindi solo economica ma soprattutto sociale, nelle città, nei servizi, nelle istituzioni. I cittadini migranti risultano essere una delle fasce maggiormente colpite, sia per il clima di forte intolleranza sia per le restrizioni legislative. La Legge n. 94 del 15/07/2009 (il famoso ―Pacchetto Sicurezza‖) prevede norme che rendono ancora più complessa la vita di queste persone, a partire da un diritto fondamentale quale è quello alla salute, garantito dalla nostra Costituzione ad ogni individuo con l’art. 32. ―La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana‖. L’esperienza dell’Associazione Gruppo Abele fa emergere una serie di criticità in relazione a questo tema. 2. Cittadini stranieri: regolari ed irregolari I cittadini stranieri, in particolare quelli irregolari, difficilmente si rivolgono a strutture sanitarie pubbliche, per paura di essere denunciati. Tutto ciò avviene tanto per gli uomini quanto per le donne, le quali inoltre non accettano facilmente di essere visitate da personale di sesso maschile. Si aggiunge poi il problema linguistico ed il basso numero di mediatori culturali all'interno dei servizi, oltre ad una scarsa conoscenza dei servizi presenti sul territorio. 2.1 Sostanze e dipendenze Questa situazione di forte vulnerabilità porta in molti casi la persona a cadere nel labirinto delle sostanze e della dipendenza, non solo da eroina e/o cocaina ma anche per l’utilizzo e l’abuso di alcool e psicofarmaci, spesso assunti insieme. Gli psicofarmaci hanno un costo molto basso sul mercato e sono facilmente reperibili. Parlando di cittadini di nazionalità marocchina, vi sono numerosi casi di persone che utilizzavano ed abusavano di tali sostanze già in patria, in particolare chi arriva dalle grandi città come Casablanca. Si tratta di un fenomeno nuovo, sul quale quindi non si hanno ancora le necessarie conoscenze e gli adeguati strumenti di intervento e prevenzione. Le risorse dei Sert per la popolazione straniera sono scarse: non vi è un numero adeguato di mediatori culturali, la presa in carico di un cittadino irregolare va a discrezione del singolo Sert e, al termine di un ipotetico percorso di uscita dalla dipendenza, non è possibile ottenere un permesso di soggiorno. Tutto ciò ovviamente non facilita l’accesso ai servizi e rende molto alto il rischio di ricadute. Il percorso risulta ancora più difficile a causa della mancanza della famiglia, elemento di forte sostegno per il singolo. 3. Stranieri neocomunitari La dipendenza da sostanze, più che altro da alcool, vede una forte diffusione anche tra la popolazione dell’Est Europa, in particolare proveniente dalla Romania. L’entrata nell’UE non ha alzato di molto il livello di qualità della vita della popolazione romena, e molte persone non sono riuscite ad emergere ed a trovare una via per uscire da una condizione di forte emarginazione. Tutto ciò porta appunto all'abuso ed alla dipendenza da alcool, sostanza che è inoltre legale e quindi socialmente accettata. In Romania è un elemento culturale, strumento di convivialità ed automedicazione, e quindi risulta più difficile la presa di coscienza dell’individuo, il riconoscimento che vi è un problema da affrontare. Per quanto riguarda l’accesso al SSN la popolazione neocomunitaria si trova in un’area ―grigia‖ della legislazione vigente. Per l’iscrizione è necessario essere registrati all'anagrafe ed avere una residenza. Non vi è diritto alla tessera ISI, in quanto la persona si trova regolarmente sul territorio italiano. Fino a poco tempo fa veniva fornito il codice STP (straniero temporaneamente presente). Attualmente i cittadini comunitari possono richiedere il codice ENI (europeo non iscrivibile). Tali procedure non

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vedono però normative e di conseguenza diritti chiari e facilmente esigibili. 4. Rifugiati politici La città di Torino negli ultimi anni ha visto l’arrivo di moltissime persone con lo status di Rifugiato Politico o titolari di Protezione Sussidiaria. Il Gruppo Abele ha seguito da vicino tali dinamiche e le vicende che questo fenomeno ha fatto nascere. Rispetto al tema salute, questi uomini e queste donne si ritrovano anch’essi in una zona ―grigia‖, non ben definita dalle leggi attuali. Tutto ciò ha reso necessario un Protocollo di Intesa tra Prefettura di Torino, Questura di Torino, Provincia di Torino e Regione Piemonte, così da poter garantire l’iscrizione al SSN e l’esenzione dal ticket. Questa situazione risulta paradossale in quanto solo attraverso lo strumento del Protocollo di Intesa tra i soggetti interessati si è potuto garantire il diritto alla salute a persone che arrivano nel nostro paese per fuggire dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni. Tale provvedimento non risulta tra l’altro così conosciuto. Anche rispetto a questa fascia di popolazione emerge l’urgenza di avere maggiore personale che si occupi della traduzione e della mediazione culturale all'’interno dei servizi. 5. Tratta e prostituzione Vi è infine la situazione delle donne vittime tratta, rese schiave e costrette a prostituirsi nelle nostre strade. Proprio per la loro condizione queste donne non hanno alcun tipo di documento, sottratto all'entrata nel nostro paese o ancora prima, durante il lungo viaggio verso l’Italia. Tutto ciò rende complessa l’iscrizione all'ISI, e di conseguenza i diritti che ne conseguono non risultano così facilmente esigibili. Il permesso di soggiorno per motivi sanitari viene concesso raramente, non permette alla persona di lavorare e quindi un ipotetico percorso di inclusione sociale. Questo documento difficilmente viene rinnovato o è possibile convertirlo, ed in più non permette di ottenere esenzioni che determinano il pagamento di diverse prestazioni, alcune di queste molto care e di conseguenza non sostenibili dalla persona. 6. Torino - Italia: presente e prospettive future La situazione della città di Torino sottolinea l’estrema delicatezza del momento storico che stiamo vivendo, una fase nella quale la mancanza di risorse rischia di spostare il conflitto sociale dal tema del lavoro a quello dei servizi, del welfare, sempre più privo di risposte adeguate alle esigenze delle persone. Questa situazione rischia di delegare al privato sociale i compiti che devono essere anche e soprattutto del pubblico e delle istituzioni. Abbiamo tutti la responsabilità di continuare ad accogliere e sostenere le persone che incontriamo quotidianamente, di lavorare maggiormente in rete e di ricoprire un ruolo che non deve essere solo di assistenza ma anche ed in particolare culturale, per diffondere principi diversi dai contenuti che purtroppo vedono maggior spazio sui media e di conseguenza maggior consenso. Solo attraverso un costante lavoro che miri all'incontro con la cittadinanza, e rafforzi il legame sociale tra le persone e con le istituzioni potremo essere realmente portatori di speranza e di cambiamento.

“La speranza ha due figli: la rabbia e il coraggio. La rabbia, nel vedere come vanno le cose.

Il coraggio, di vedere come potrebbero andare”. Sant’Agostino

A cura di Ruben Nasi (operatore gruppo Abele)

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AVO Giovani

Marco SARTI -Consigliere Esecutivo AVO Torino

• L’A.V.O. Giovani rappresenta la forza, la vitalità e il futuro dell’A.V.O. Torino.

• L’A.V.O. Giovani è composto da giovani volontari con un’età compresa tra i 18 ai 40 anni, che offrono il loro tempo per diverse attività sia presso gli ospedali, cercando di dare un po’ di sollievo e di portare solidarietà ai pazienti, sia in diverse manifestazioni cittadine, tramite l’allestimento di stand per promuovere e per far conoscere la propria associazione.

ATTIVITA’

• Servizio in ospedale. La sua missione principale.

• Promozione. Far conoscere la propria

associazione, tramite l’allestimento di banchetti durante eventi particolari (giornate del volontariato, mercatini di Natale…)

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• Promozione. Far conoscere la propria associazione nelle scuole e diffondere la cultura della solidarietà.

• Gite e creazione di una rete d’amicizia. Incontrarsi con i volontari delle altre A.V.O.nazionali per capire come sono strutturate, per confrontarsi sulle attività passate e future e per scambiarsi consigli ed idee. Vedersi e divertirsi anche al di fuori dell’ambito del volontariato (apericena, discoteca) per creare un gruppo più unito.

COME PARTECIPARE

• L’A.V.O. Giovani è un gruppo sempre aperto a

nuove idee e proposte e all’arrivo di nuovi giovani volontari. Per contattarlo: [email protected]

• L’A.V.O. Giovani si riunisce periodicamente per organizzare il proprio lavoro durante gli eventi, ma soprattutto, per confrontarsi sul servizio offerto, sul come migliorarlo e per condividere le proprie proposte.

COME ESSERE INFORMATI

• L’A.V.O. Giovani ha una propria rubrica nel giornale dell’associazione “AvoTorinoInforma” per rendere partecipi delle loro esperienze anche gli altri volontari.

• L’AVO GIOVANI ha una propria sezione “AVO GIOVANI” sul sito www.avotorino.it (foto, articoli, news, bacheca)

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AVO Torino Informa Eugenia BERARDO –Responsabile Giornale AVO Torino Informa

AVO TORINO INFORMA è il nostro periodico

che esce tre volte all’anno (marzo, giugno e

novembre), a colori e in formato 16 pagine.

La tiratura media è di 1.300 copie per ogni uscita;

copia del giornale è spedita per posta (usufruendo

di una tariffa speciale) a tutti i soci (Volontari in

servizio e non in servizio), a Enti, Associazioni,

Autorità cittadine e a tutte le AVO del Piemonte e

delle altre regioni.

Il gruppo di redazione è attualmente composto da

8 volontari, ma tutti possono concorrere con

consigli, proposte, critiche ecc. perché il nostro è

un giornale fatto da volontari (nessuno di noi è

giornalista o esperto) per i volontari.

Il piano editoriale è strutturato in rubriche.

L’obiettivo è quello di creare un periodico di

informazione e di formazione, utile a far conoscere

la nostra realtà associativa, ma non solo. A questo

scopo la Redazione si impegna a scegliere

argomenti di formazione e riflessione che possano

essere di stimolo al confronto e di suggerimento

per la nostra vita e per il nostro impegno di

volontari.

Uno spazio importante è riservato all’ AVO GIOVANI, per dar voce al loro gruppo e alle loro

iniziative.

Per la realizzazione del nostro giornale sono importanti riflessioni, testimonianze, storie e poesie che

ci pervengono dai volontari. Scrive James Hillman ne “La forza del carattere”: “Le storie che raccontiamo alla fine si prendono cura di noi.

Se ti arrivano delle storie abbine cura. E impara a regalarle dove ce c’è bisogno. A volte una persona per

sopravvivere ha bisogno di una storia più ancora che di cibo. Ecco perché inseriamo queste storie nella memoria

gli uni degli altri. È il nostro modo di prenderci cura di noi stessi.

Il sig. Giuseppe, anziano e malato, nel giorno di san Valentino mi chiese di andare a

comprare una rosa per sua moglie che gli avrebbe fatto visita all’ora del pranzo,

dicendo: «Sa, l’ho sempre comprata io, ma questa volta proprio non posso farlo! Per

favore, può farlo lei?»

Emilio

Amo questo servizio e ogni venerdì esco

dall’ospedale felice anche se ho dato solo un

cambio, fatto sorridere un bimbo o ascoltato le

paure di una mamma. Il giorno dopo li penso uno

per uno i “miei” bimbi, e qualcuno mi rimane nel

cuore a lungo, forse per sempre. Talvolta è difficile

accettare che una piccola vita abbia già sofferto

tanto. Ma il venerdì successivo sono pronta a

ripartire, e a regalare il poco che posso regalare. Un

caro saluto e un abbraccio

Loredana

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Il Disagio Psichico Tania MARGIOTTA –Medico Psichiatra - Psicoterapeuta

Il contatto con la sofferenza disorienta sempre, ponendoci di fronte alla possibilità di un sentire altro. Vorremmo partecipare nel giusto modo, ma non sappiamo esattamente quale sia; un modo sereno e maturo, probabilmente, che rimandi al paziente uno stare felice, fatto di umanità e di corpo. La sofferenza psichica ci confonde maggiormente, ponendoci di fronte un’entità senza volto, senza nome, senza una reale e definitiva localizzazione. Non sappiamo esattamente chi l’abbia prodotta, né come si sia sviluppata e tanto meno quale sia l’organo, l’apparato malati, e ancor più oscura e misteriosa sarà la via della guarigione. Stiamo accanto a colui che soffre e non sappiamo dove appoggiare il nostro punto di leva, non capiamo esattamente cosa dare perché lui sappia riappropriarsi della vitalità che sicuramente gli era appartenuta. E noi vorremmo concedergli almeno una pausa dal dolore, ma temiamo che ogni nostra parola o gesto possa essere frainteso, reinterpretato secondo la grammatica di quel disagio, facendolo ulteriormente sprofondare nella sofferenza di sempre. Si perpetua e si amplifica così una sofferenza vaga, un disagio. Si perpetua nel contatto col mondo, reale o immaginato, ma sempre un contatto frainteso, filtrato dal disagio stesso, mai realmente affrancato da lotte interiori. Se la partecipazione al dolore altrui è sempre problematica, lo è ancor di più quando il dolore è psichico-esistenziale, perché sentiamo che la nostra partecipazione a quel mondo potrebbe essere incorporata nel disagio stesso fino ad alimentarlo. Così un’osservazione troppo spontanea sull’abbigliamento di un paziente paranoico potrebbe includerci nel suo delirio, una consolazione troppo calorosa ad una persona depressa potrebbe scatenargli la rabbia di chi è convinto di non essere capito e il nostro intervento sarebbe ai suoi occhi superficiale, o ancora un ragionamento troppo particolareggiato a una persona delirante potrebbe confonderlo e renderlo aggressivo. E così via; sentiamo che la relazione, linguistica e non, che si instaura tra persone può entrare a far parte del mondo di malattia e esserne inclusa, inglobata nel delirio, nel malessere. Questo ci destabilizza e ci spaventa quando stiamo accanto a un malato di mente. Il disagio psichico infatti intacca sempre la relazione col mondo. Per la persona depressa non c’è piacere, non c’è speranza che possa farla approdare ad una nuova progettualità, che pur sarebbe la sua salvezza. Il conforto, agli occhi di un depresso, ha un colore altro dal nostro; anziché luogo di incontro e condivisione diviene condizione amara di una ineluttabile sofferenza destinata a ripetersi. Per il giovane psicotico l’allentamento dei nessi associativi lo fa perdere in una solitudine irrimediabile; se lui ogni volta non è in grado di ricostruire una storia di senso, noi restiamo distanti e non sappiamo quale possa essere la parola che lo guarisce, in grado di ricucire un rapporto col mondo frammentato. Sentiamo il timore che ogni nostro dire possa ledere ulteriormente il labile legame rimasto e incorporarci nello scacco relazionale. E ancora; la rabbia travolgente del paziente borderline sembra non avere rimedio. Il suo odio verso i genitori, gli amici, fino a includere tutto il mondo interiore, non dà lo spazio perché ci sia la possibilità di inserirci nella sua emozione e ri-dimensionarla, relativizzarla ad un accaduto normale, alleggerirla di quel pathos distruttivo, di quella drammatica irreversibilità. Il paziente borderline vive ogni defallance relazionale come definitiva e amplificata; l’emozione che lo pervade chiude ad ogni possibile futuro relazionale, e lui ne resta ingabbiato, soffrendo ulteriormente di quella sua stessa emozione, in un assurdo gioco di proiezioni e identificazioni. Così pure l’apparente buon umore del paziente maniacale si palesa, nel contatto relazionale,

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come chiusura autocentrata, esaltazione fatua, la sua vulcanica progettualità non ha fondamento, ma se proviamo a inserirci con un buon senso di realtà, ridimensionando il suo progetto, scateniamo in lui la rabbia che trasforma l’eu-foria in dis-foria furiosa. Nel linguaggio della malattia mentale è scardinato il senso profondo di questo nostro-stare-insieme, e le parole così come i gesti, ogni volta fraintendibili, sono integrati nella forma mentis che ha generato la sofferenza. In questo sta proprio il perpetuarsi del disagio psichico. La persona potrà guarire soltanto quando avrà risanato davvero il suo contatto col mondo, uscendo dalla fraintendibilità che sempre si offre ai rapporti umani. Se la patologia mentale nasce all’interno del mondo relazionale è proprio in quel mondo che potrà trovare la via di guarigione. Per questo motivo le psicoterapie curano, perché attraverso la parola sana del terapeuta viene guarito il mondo interiore del paziente, e i fantasmi lasciano lo spazio ad una relazione vera, per quanto faticosa o conflittuale, ma vera. E’ proprio dalla relazione che dobbiamo partire per “guarirci”, e voi, che svolgete questa bella e sana attività di volontariato in ospedali e cliniche, avrete più di altri l’opportunità di conoscere i modi dello stare accanto. Li affronteremo insieme, nel corso dell’incontro formativo.

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L’uomo fragile: la malattia, la sofferenza, la cura

Breve storia e alcune riflessioni sull’assistenza al disagio fisico e psichico del malato

Dott. Francesco SCAROINA - Direttore Dipartimento Medico Ospedale S. Giovanni Bosco - Torino- Direttore SC Medicina Interna B

“Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, carcerato e siete venuti a trovarmi, malato e mi avete visitato”. (Matteo 25,37)

Caritas e Infirmitas sono concetti centrali nella spiritualità cristiana: essi completano la predisposizione filantropica presente nei precetti ebraici e nella patristica tardoantica. Caritas ha tre significati:

Deus caritas est (la natura del Dio vivente) Domus caritatis (un luogo d’assistenza) Caritas (elemosina)

All’inizio del medio Evo la cultura cristiana e sociale, in occidente, fa propri tutti e tre i significati e dà vita a Cesarea, in Cappadocia, per volontà di S. Basilio, il primo Ospedale di carità cristiana. Siamo nel 380: seguirà l’esempio la dama Fabiola in Roma. Dopo il 600, sempre a partenza dall’Oriente, la gerarchia ecclesiastica si impegna nella fondazione di Ospedali in una articolata tipologia di denominazioni che rimarrà uno dei tratti caratteristici dell'Ospedale bizantino: xenodochium (per gli stranieri), ptocheion (per i poveri), pandocheion (per i pellegrini), gerontocomio, orfanatrofio, brefotrofio, ecc. In occidente, oltre agli ospedali monastici, sorgeranno ospedali laici, per lo più sede di Università, e qui si formeranno i primi Collegi dei Maestri o Sapienti laici, da cui prenderanno nome di "Sapienza" le Scuole stesse.

La storia della medicalizzazione, intesa come impegno specifico nella cura dei malati parte dunque dall'ospedale medievale e si articola in varie fasi di cui la prima, non a caso, coincide con l'esperienza medica monastica e arriva, cronologicamente, al XIV secolo: si tratta di un periodo denso di avvenimenti in cui l'esperienza monastica ha un ruolo determinante nella definizione dell'uomo "malato". Il nesso povertà-malattia è il presupposto per una assistenza indifferenziata, indirizzata sia al pellegrino che si ammala, sia al malato in pellegrinaggio e finalizzata a rimettere questo viator in cammino, affinché si compia il percorso che è, nello stesso tempo, itinerario materiale e spirituale. Il nome e il concetto di infermo in questo periodo è strettamente legato, se non sovrapponibile, a quello di povero, rappresentando una categoria composita, senza eccessiva distinzione tra necessità economica e richiesta sanitaria. Sotto l'autorità dei vescovi, nei comuni, sorgono case ospitali urbane, mentre, sotto l'autorità degli abati, vengono allestite nei monasteri strutture specializzate in cui sono ricoverati i monaci malati, assistiti da un monaco infirmitario pratico di medicina. L'ampiezza dei locali destinati ai monaci malati fa immaginare, però, una progressiva apertura anche a persone esterne al monastero che condividono con i monaci l'esperienza della malattia e della guarigione, voluta da Dio e finalizzata a riscattare l'umanità malata nel corpo e nello spirito, in quanto peccatrice. L’impegno dei governi e dei Signori è praticamente nullo: il costume è di portare l’attività medica direttamente in casa, se il ceto è già leggermente superiore alla condizione del povero. Solo per il povero esiste, dunque, il ricovero e il Medio Evo cristiano dà quindi fondamento etico all'hospitalitas come comandamento e servizio al bisognoso, le cui premesse erano già state individuate nelle sette opere di misericordia corporale: <<L'ospedale medioevale riunirà in sé le funzioni di tre diverse strutture moderne, proponendosi come struttura sanitaria, ricovero per i poveri, punto di accoglienza per i pellegrini>>. L'evoluzione dell'assistenza ospedaliera medioevale documenta chiaramente la caratteristica di una ideologia della salute in cui la priorità spetta alla componente spirituale, mentre la sanità fisica è subordinata alla cura di un corpo che deve essere tutelato in quanto contenitore dell'anima. Nel Medio Evo la malattia viene vissuta in modo ambiguo, come male evidente e, nello stesso tempo, bene potenziale: la malattia è frutto della punizione divina in seguito al peccato originale, ma è contemporaneamente un'occasione di redenzione, per cui è necessario sopportarla e accettarla con piena sottomissione alla volontà di Dio. In base alla convinzione che la malattia è via perfectionis, la Chiesa elaborerà poi un sistema di medicina teurgica, indicando nell'impegno spirituale il mezzo per combattere la sofferenza fisica: lo stadio iniziale della guarigione sarà l'allontanamento della causa di malattia, cioè del peccato. Di

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conseguenza la confessione diventa l'atto più urgente al momento dell'ammissione in un ospedale e la figura del medico, in questo quadro ideologico, diventa accessoria, data anche la generalizzata impotenza dei mezzi terapeutici a disposizione. La rarità o l'assenza di interventi medici, infatti, non ha una influenza decisiva sulle sorti del malato ospedalizzato. In tali strutture rivestiranno un ruolo fondamentale gli amministratori e il personale e se anche verrà contemplata la figura del medico, l'assunto ideologico imporrà necessariamente come prioritaria la figura del capellano, o di più religiosi, incaricati di officiare i servizi. La pietas, cioè l'amore verso Dio, cresce progressivamente nella cultura sociale e sempre più si esprime nella caritas, cioè nell'amore verso il prossimo, traducendosi nelle opere di misericordia corporale, tra le quali assume importanza primaria quella di «visitare gli infermi» e servirli. Il servus Dei si trasforma in servus infirmorum. Il nome e il concetto di infirmus, cioè di malato, è, come già detto, strettamente legato al nome e al concetto di pauper, di povero: all'uno e all'altro si applica idealmente la figura del Cristo, povera creatura sofferente. I due nomi e concetti verranno progressivamente collegati e considerati sinonimi, citati in un solo fiato nella locuzione ricorrente: pauperes infirmi. Tra essi si realizzerà uno scambio reciproco di significati, facendo dell'uno e dell'altro, alternativamente, un attributo e un sostantivo: l'«infermo povero» e il «povero infermo». Se l'infermo povero sarà il malato indigente che sperimenta quanto più dura sia la malattia nell'estrema povertà, il povero infermo è il paziente da compatire, con il quale patire insieme, cum pati, intrattenendo con lui un rapporto di compassione e di simpatia. "Servi degli infermi" diventeranno pertanto coloro che, religiosi o laici, fratres o sorores, famuli o famulae, conversi o conversae, intratterranno questo rapporto di servizio caritatevole. In questa antropologia caritativa il servitore degli infermi non farà distinzione tra una superiore cura dell'anima e una inferiore cura del corpo; non distinguerà tra una salute cui ambire e una salvezza cui aspirare. Le pratiche, sacre e profane insieme, dunque, esercitate dai curanti dei conventi o dai monaci infirmitarii faranno del mestiere un'attività che con il tempo, attraverso un'attenta imitatio e una puntuale repetitio, diventerà sempre più approssimata all'«arte magistrale» esercitata dai maestri di chirurgia. Se la somministrazione di purganti e clisteri diventerà 1'«arte delle evacuazioni», la pratica del salasso con le sue regole fisse e le sue varie modalità esecutive diventerà 1'«arte della flebotomia», perfezionata e sofisticata, dando vita al primo embrione di medicina moderna. Per ogni malattia, o peccato corporeo, si individuerà una vena particolare da incidere e una ben determinata quantità di sangue da cavare. Le pratiche della chirurgia dei conventi, più perfezionate e diffuse, tendono poco per volta, nei secoli, a laicizzarsi e a svolgersi anche fuori le mura conventuali finendo per risultare inconciliabili con i veri fini del monachesimo. San Girolamo aveva già ammonito in una delle sue epistole: monachi officium est lugentis, non legentis (i monachi devono avere occhi per piangere di contrizione, non per leggere). Loro compito non era la lettura dei codici e dei testi di medicina da trascrivere, tradurre e chiosare, né tantomeno la pratica delle osservazioni mediche e delle operazioni chirurgiche, ma quello irrinunciabile della preghiera. Nascono i primi Ospedali laici, voluti dai Comuni. Nel 1248 vengono poste le prime fondamenta, in Firenze, di un ospedale che diventerà modello per tutta l’Europa: l’Ospedale di S. Maria Nuova, fondato da Folco Portinari, figlio di Ricovero Portinari e padre di Beatrice, l’ispiratrice di Dante. Emerge in questo periodo, finalmente, nelle comunità una grande attenzione per i malati e le persone infortunate, ancora su base volontaria, e, sempre, in Firenze, l'Arciconfraternita della Misericordia costituisce la prima istituzione di soccorso organizzato, seppur di ispirazione cristiana. Un merito da attribuire alla Misericordia sarà quello di utilizzare personale laico e volontario per i suoi servizi di soccorso. L'espletamento del servizio prevede l'anonimato del soccorritore che indossa un cappuccio, detto buffa, e il primo strumento adottato per il trasporto dei malati è la zana, specie di gerla dentro la quale si mette l'infortunato che viene trasportato a spalla. Negli anni successivi verrà utilizzato il cataletto a mano che poteva essere usato fino a tre miglia dalla città di Firenze. Successivamente, nasceranno altre Misericordie che svolgeranno tale servizio in tantissime località della Toscana. Poi inizia il mondo rinascimentale e il progredire verso il mondo moderno. Assistere gli infermi, sentimento e pratica che accompagna la storia dell’uomo, porta sempre a pensare che la malattia sia un attentato alla pienezza della vita: diminuzione delle forze, menomazione, minaccia e incrinatura dell'intera sfera relazionale. La nostra cultura e la nostra esperienza della malattia, propria e altrui, molto ha raccolto dalla tradizione ebraica e molto è rimasto nella comune interpretazione antropologica. Per la Scrittura la vita è relazione con Dio e con gli altri uomini, e la malattia è un attentato alla pienezza della vita non solo per la diminuzione delle forze e per le menomazioni che provoca a livello fisico, ma anche per la minaccia o l'incrinatura dell'intera sfera relazionale che essa comporta.

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Nella consuetudine ebraica è consentita la reistenza al dolore per vincerlo: l’obiettivo assoluto è una vita senza male e senza dolore. Ma la Scrittura mostra anche le tensioni e i conflitti che l'insorgere della malattia può causare fra il malato e i suoi famigliari: accenna al fatto che certe malattie emarginano l'uomo dalla società e ne provocano l'allontanamento dalla sua stessa famiglia, costringendolo a vivere fuori dal consorzio sociale. Mostra come la reintegrazione nel proprio ambiente sociale e famigliare sia spesso parte costitutiva della guarigione. Manca, comunque, nell’AT la positiva proposta di un modello etico per l’opera di misericordia :‖visitare gli infermi‖. Nel libro di Giobbe viene attestata l'usanza della visita al malato da parte di amici (Gb 2,11-13) o di parenti (Gb 42,11) o di conoscenti: sempre si tratta della visita compiuta da persone legate al malato da rapporti di amicizia o di parentela. Ma colpisce il fatto che si tratta di amici che diventan nemici, di presenze che arrivano ad essere sentite come ostili da parte del malato.

Beato l'uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera. Veglierà su di lui il Signore … … non lo abbandonerà alle brame dei nemici. Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore; gli darai sollievo nella sua malattia. I nemici mi augurano il male: «Quando morirà e perirà il suo nome?». Chi viene a visitarmi dice il falso, il suo cuore accumula malizia e uscito fuori sparla.

Qui nasce il sospetto del malato verso chi lo visita: essi sanno e non dicono, anzi, dicono il falso! Forse si tratta solo di parole di circostanza, inconsistenti, vuote, non all'altezza della serietà della situazione, che essi dicono davanti a lui quando lo vanno a trovare, mentre fuori, nelle piazze, con le altre persone dicono tutt'altro circa la situazione del malato. O almeno il malato intuisce, sospetta questa doppiezza. Il malato si sente oggetto di discorso, in balia di altri: il suo dolore e il suo dramma restano estranei agli altri. Possiamo trarre, da questa brevissima lettura delle nostre tradizioni, che la questione è non solo se visitare un malato o no, ma come visitare il malato: occorre entrare nell'ottica che non si ha potere sul malato. Questo significa che la visita al malato è un'arte delicata e fine. Ha scritto l'esegeta Norbert Lohfink: "Chi è malato dipende da altri. Chi giace in un letto deve aspettare finché qualcuno va a visitarlo. E quando qualcuno arriva l'ammalato deve guardarlo dal basso all'alto" Chiunque va a visitare un malato sa che deve mettersi allo stesso livello degli occhi del malato per poter comunicare con lui. Insomma, gli amici di Giobbe ci dicono che non bastano le sole buone intenzioni per compiere in modo adeguato una visita a un malato, anzi, queste intenzioni possono essere pericolose. Occorre pertanto porsi una domanda: perché vado a trovare un malato? Perché vado a visitarlo? Gli amici di Giobbe sono rafforzati dalla sua debolezza, si nutrono della sua debolezza e impotenza. Vanno da lui, ma in realtà non lo incontrano! Per indicare la visita al malato l'ebraico usa un verbo che significa "vedere", ma questo "andare a vedere il malato" significa più in profondità "ascoltare" il malato stesso, lasciare che sia il malato a guidare il rapporto, non fare nulla di più di quanto egli consente. Se il verbo ebraico usato per dire visitare è vedere, è anche bene ricordare che vedere implica apprezzamento, considerazione, provvidenza, conoscenza. Essere visti-visitati deve cioè significare un essere apprezzati e dunque stimati e considerati, avere significatro per qualcuno. Colui che visita l’altro nella malattia gli narra l’interesse per lui attraverso l’interesse che lui stesso manifesta al malato, gli narra la provvidenza attraverso il proprio prendersi cura di lui, gli narra la conoscenza attraverso la relazione e la conoscenza in cui entra con lui. Visitandolo, fa emergere la significatività che il malato ha. Guai se dovesse avvenire il contrario! E cioè che la visita al malato diventasse un modo per essere rassicurati nella propria significatività. Il malato chiede di essere ascoltato, compreso, raggiunto in ciò che egli è. Il malato ha bisogno di affetto, di cose semplici, di parole dolci e di aiuti concreti e di essere tutelato nei suoi diritti.

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Ascoltare è permettere di essere presente l’altro. Tra le increspature che caratterizzano oggi la complessità organizzativa della nostra Sanità – forse ancora poco apprezzata, ma certo di grande impegno - sempre alta è mantenuta dagli operatori sanitari l’attenzione alla dignità della persona malata, sentita come condotta orientata al suo ―servizio‖, non esclusa la riserva delle risorse esterne. Le stesse regole deontologiche rafforzano questa forza nella relazione oltre la mission professionale. In tempi antichi e recenti molti gruppi volontaristici si sono affacciati sulla soglia dell’Ospedale e hanno chiesto l’autorizzazione alla sua frequenza, per ―umanizzare‖ la vita all’interno delle corsie, là dove, di pari passo al progredire della scienza medica si correva il rischio di far scadere l’importanza del malato o ricoverato in quanto persona. Questo disagio, o inevitabile prezzo richiesto dalla tecnica, è diventato presto evidente allorché la Medicina ha centrato i suoi obiettivi più sulle tecnologie più sofisticate che sulla relazione umana. E’ incontestabile che i successi, in termini di efficacia e di risultati sono a vantaggio della tecnologia e della ricerca, disumanizzanti, forse, ma sicuramente più precisi. Ma all’uomo malato tutto ciò non basta: non per un delirio di incontentabilità, ma per una intrinseca esigenza di accompagnamento umano alla sofferenza. Il malato conta e conterà sempre sulla misericordia e sulla caritas e mai rinuncerà alla citazione evangelica di Matteo: “Ero malato e mi avete visitato”. Una soluzione, quindi, è sempre stata presente nel tormentato percorso della malattia, quella dell’impegno volontaristico. Il volontariato, ben guidato, ovviamente, comprendendo che la sofferenza umana non può essere vinta solo con la tecnica, ha proposto l’inserimento nella struttura pubblica di alcuni collaboratori che, senza sostituire alcuno, si offrono per riempire i vuoti che l’evoluzione tecnica e sociale ha creato nel rapporto malato-struttura. Magari, anche, per riempire i varchi che lo stesso nucleo familiare lascia aperti! Il motto è: “costruire ponti, non solitudini”. Forza nella debolezza. Il Cardinale Veuillot aveva lasciato questa sua impressione, parlando a un gruppo di volontari: ―Noi sappiamo pronunciare belle frasi sulla malattia: io stesso ne ho parlato con calore. A volte è meglio non dire niente: noi ignoriamo quello che è veramente la malattia". E Paul Ricoeur aveva completato: "L'enigma del male e l'enigma dell'irriducibile sofferenza resiste ad ogni sapienza e sanziona lo scacco di ogni discorso, soprattutto del discorso concettuale”. Più che parlare di malattia occorrerebbe osservare e ascoltare il malato, colui che nella sua situazione di sofferenza ha veramente qualcosa da dirci o da insegnarci, colui che può rivelare noi a noi stessi, mettendoci alle strette circa il "serio" della vita. È essenziale rischiare una parola su questa realtà che fa parte di ogni vita umana, perché se la parola è ciò che specifica l'uomo, è nell'atto di parlare che noi potremmo inventare dei cammini di senso. Dunque, fra l'impotenza del mutismo e la presunzione arrogante delle parole certe e definitive, ci è chiesto di usare una parola, una parola umile che, sorgendo dal silenzio, riviva in se stessa il dinamismo pasquale della morte-resurrezione. Nessun uomo conosce una strada che aggiri il dolore, ma piuttosto una strada che con il prossimo ( e se ci crede … anche con Dio) lo attraversi. Nella realtà, più che la sofferenza, noi incontriamo uomini e donne sofferenti: la malattia noi la vediamo nel volto e nel corpo di persone afflitte da malattie diversissime. Imaginiamo l'angoscia del sieropostivo, o la rassegnazione del portatore di handicap fisici, oppure ancora il disagio sociale del malato segnato da malattie psichiche, o l'assenza tormentata del demente. E così tante altri diversissime situazioni. Vi è una maniera assolutamente peculiare con cui ciascuno reagisce alla stessa malattia, maniera che è afferente alla biografia e all'esperienza personale del malato, al suo mondo di riferimenti culturali religiosi. Se la malattia rischia di spersonalizzare il malato, è anche vero che il malato personalizza la malattia. Il che significa che ciascuno, della sua malattia e a misura di ciò che gli è possibile, e grazie all'aiuto di chi eventualmente lo assiste e accompagna, è chiamato alla responsabilità di "dotare di senso" la propria sofferenza. II malato è chiamato ad assumere la lotta contro il suo male proprio nella situazione di debolezza in cui lo pone la malattia. E una debolezza molteplice: non solo fìsica, ma che investe il livello psichico, affettivo, relazionale. Il malato è una totalità che soffre. Nella malattia tutte le relazioni, con se stesso, con gli altri, con le cose e con Dio, subiscono un profondo mutamento. Il rapporto con il corpo, con il tempo, con la parola e dunque con gli altri è profondamente sconvolto per il malato che si trova in una situazione di radicale bisogno.

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Vi è come un'umiliante regressione a uno stato di dipendenza dagli altri, ci si trova consegnati in mano di altri, in una avvilente riduzione all'impotenza. Il malato conosce l'esperienza della fragilità, della finitezza, della distanza e dell'estraneità da sé e dagli altri; patisce la malattia come drammatica epifania del limite. In Ospedale, allora, può avvenire l’incontro, e l'incontro è il luogo privilegiato dell'espressione dell'esperienza spirituale. Perché avvenga vero incontro occorre però entrare nell'accettazione della propria impotenza e limitatezza: solo allora sarà possibile il riconoscimento reciproco, sarà possibile l'incontro come condivisione della povertà di ciascuno. Lì si sperimenta la potenza della debolezza del malato: essa rivela le ribellioni, le oscurità del cuore, le presunzioni, le illusioni, le superficialità, le inadeguatezze che abitano in chi Io accompagna e gli è accanto. Nel libro islamico del Qur’an, sura il Profeta ricorda: «La carità è un obbligo per ogni musulmano, e colui che non avesse i mezzi faccia una buona azione o eviti di commetterne una sbagliata. Questa è la sua carità. Il sorriso ai vostri fratelli è carità, la vostra esortazione a compiere buone azioni è carità, così come proibire le cose vietate è carità, dare indicazioni della strada a coloro che si sono persi è carità e la vostra assistenza ad un malato è carità»

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CARTA DEI VALORI DEL VOLONTARIATO (FONTE FEO-FIVOL)

www.fivol.it

Un punto di arrivo, per una nuova partenza. L’oggi del volontariato è reso possibile grazie a quel ricco passato e a quelle radici religiose, ideologiche, culturali da cui proviene e da cui attinge forza e provocazioni per ri-progettare il futuro. Ma ri-progettare presuppone ri-pensare: la spinta ideale, i modi attraverso i quali essa si è venuta realizzando, il rapporto con una comunità locale, nazionale, mondiale in continua trasformazione, le condizioni per una sempre più significativa presenza negli scenari futuri. Occorre che ogni volontario e ogni organizzazione abbiano chiari gli elementi fondanti del proprio "essere", adottare criteri di un "agire" che sia coerente testimonianza di dimensione ideale, per svolgere quella che Luciano Tavazza definiva la duplice missione: "di promotore della cultura e della prassi della solidarietà e di agente del mutamento sociale" e che si specifica principalmente in due ruoli: la dimensione attiva, attraverso la gratuita presenza nel quotidiano; la dimensione politica, quale soggetto sociale che partecipa alla rimozione degli ostacoli che generano svantaggio, esclusione, degrado e perdita di coesione sociale. La Carta dei valori intende fotografare, nei suoi aspetti essenziali, questo momento del volontariato ed è il risultato di un esercizio di autentica scrittura collettiva. L’iniziale traccia (proposta da FIVOL e Gruppo Abele) è stata portata a conoscenza del mondo del volontariato ed è stata corretta, integrata, discussa e, alla fine, migliorata grazie all’apporto di numerosissime organizzazioni, di singoli volontari, di studiosi. Un metodo di lavoro che ha fatto emergere il connotato chiave dell’essere e del fare volontariato: camminare insieme su un piano di impegno civico e di cittadinanza solidale.

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I. PRINCIPI FONDANTI

1. Volontario è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni.

2. I volontari esplicano la loro azione in forma individuale, in aggregazioni informali, in organizzazioni strutturate; pur attingendo, quanto a motivazioni, a radici culturali e/o religiose diverse, essi hanno in comune la passione per la causa degli esseri umani e per la costruzione di un mondo migliore.

3. Il volontariato è azione gratuita. La gratuità è l’elemento distintivo dell’agire volontario e lo rende originale rispetto ad altre componenti del terzo settore e ad altre forme di impegno civile. Ciò comporta assenza di guadagno economico, libertà da ogni forma di potere e rinuncia ai vantaggi diretti e indiretti. In questo modo diviene testimonianza credibile di libertà rispetto alle logiche dell’individualismo, dell’utilitarismo economico e rifiuta i modelli di società centrati esclusivamente sull’"avere" e sul consumismo. I volontari traggono dalla propria esperienza di dono motivi di arricchimento sul piano interiore e sul piano delle abilità relazionali.

4. Il volontariato è, in tutte le sue forme e manifestazioni, espressione del valore della relazione e della condivisione con l’altro. Al centro del suo agire ci sono le persone considerate nella loro dignità umana, nella loro integrità e nel contesto delle relazioni familiari, sociali e culturali in cui vivono. Pertanto considera ogni persona titolare di diritti di cittadinanza, promuove la conoscenza degli stessi e ne tutela l’esercizio concreto e consapevole, favorendo la partecipazione di tutti allo sviluppo civile della società.

5. Il volontariato è scuola di solidarietà in quanto concorre alla formazione dell’uomo solidale e di cittadini responsabili. Propone a tutti di farsi carico, ciascuno per le proprie competenze, tanto dei problemi locali quanto di quelli globali e, attraverso la partecipazione, di portare un contributo al cambiamento sociale. In tal modo il volontariato produce legami, beni relazionali, rapporti fiduciari e cooperazione tra soggetti e organizzazioni concorrendo ad accrescere e valorizzare il capitale sociale del contesto in cui opera.

6. Il volontariato è esperienza di solidarietà e pratica di sussidiarietà: opera per la crescita della comunità locale, nazionale e internazionale, per il sostegno dei suoi membri più deboli o in stato di disagio e per il superamento delle situazioni di degrado. Solidale è ogni azione che consente la fruizione dei diritti, la qualità della vita per tutti, il superamento di comportamenti discriminatori e di svantaggi di tipo economico e sociale, la valorizzazione delle culture, dell’ambiente e del territorio. Nel volontariato la solidarietà si fonda sulla giustizia.

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7. Il volontariato è responsabile partecipazione e pratica di cittadinanza solidale in quanto si impegna per rimuovere le cause delle diseguaglianze economiche, culturali, sociali, religiose e politiche e concorre all’allargamento, tutela e fruizione dei beni comuni. Non si ferma all’opera di denuncia ma avanza proposte e progetti coinvolgendo quanto più possibile la popolazione nella costruzione di una società più vivibile.

8. Il volontariato ha una funzione culturale ponendosi come coscienza critica e punto di diffusione dei valori della pace, della non violenza, della libertà, della legalità, della tolleranza e facendosi promotore, innanzitutto con la propria testimonianza, di stili di vita caratterizzati dal senso della responsabilità, dell’accoglienza, della solidarietà e della giustizia sociale. Si impegna perché tali valori diventino patrimonio comune di tutti e delle istituzioni.

9. Il volontariato svolge un ruolo politico: partecipa attivamente ai processi della vita sociale favorendo la crescita del sistema democratico; soprattutto con le sue organizzazioni sollecita la conoscenza ed il rispetto dei diritti, rileva i bisogni e i fattori di emarginazione e degrado, propone idee e progetti, individua e sperimenta soluzioni e servizi, concorre a programmare e a valutare le politiche sociali in pari dignità con le istituzioni pubbliche cui spetta la responsabilità primaria della risposta ai diritti delle persone.

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II. ATTEGGIAMENTI E RUOLI

a) I volontari

10. I volontari sono chiamati a vivere la propria esperienza in modo coerente con i valori e i principi che fondano l’agire volontario. La dimensione dell’essere è per il volontario ancora più importante di quella del fare.

11. I volontari nell’esercitare il diritto-dovere di cittadinanza costituiscono un patrimonio da promuovere e da valorizzare, sia da parte delle istituzioni che delle organizzazioni che li impegnano. Pertanto esse devono rispettarne lo spirito, le modalità operative, l’autonomia organizzativa e la creatività.

12. I volontari sono tenuti a conoscere fini, obiettivi, struttura e programmi dell’organismo in cui operano e partecipano, secondo le loro possibilità, alla vita e alla gestione di questo nel pieno rispetto delle regole stabilite e delle responsabilità.

13. I volontari svolgono i loro compiti con competenza, responsabilità, valorizzazione del lavoro di équipe e accettazione della verifica costante del proprio operato. Essi garantiscono, nei limiti della propria disponibilità, continuità di impegno e portano a compimento le azioni intraprese.

14. I volontari si impegnano a formarsi con costanza e serietà, consapevoli delle responsabilità che si assumono soprattutto nei confronti dei destinatari diretti dei loro interventi. Essi ricevono dall’organizzazione in cui operano il sostegno e la formazione necessari per la loro crescita e per l’attuazione dei compiti di cui sono responsabili.

15. I volontari riconoscono, rispettano e difendono la dignità delle persone che incontrano e si impegnano a mantenere una totale riservatezza rispetto alle informazioni ed alle situazioni di cui vengono a conoscenza. Nella relazione di aiuto essi attuano un accompagnamento riservato e discreto, non impositivo, reciprocamente arricchente, disponibile ad affiancare l’altro senza volerlo condizionare o sostituirvisi. I volontari valorizzano la capacità di ciascuno di essere attivo e responsabile protagonista della propria storia.

16. I volontari impegnati nei servizi pubblici e in organizzazioni di terzo settore, costituiscono una presenza preziosa se testimoniano un "camminare insieme" con altre competenze e profili professionali in un rapporto di complementarietà e di mutua collaborazione. Essi costituiscono una risorsa valoriale nella misura in cui rafforzano le motivazioni ideali, le capacità relazionali e il legame al territorio dell’organizzazione in cui operano.

17. I volontari ricevono dall’organismo di appartenenza o dall’Ente in cui prestano servizio copertura assicurativa per i danni che subiscono e per quelli economici e morali che potrebbero causare a terzi nello svolgimento della loro attività di volontariato. Per il principio della gratuità i volontari possono richiedere e ottenere esclusivamente il rimborso delle spese realmente sostenute per l’attività di volontariato svolta.

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b) Le organizzazioni di volontariato

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18. Le organizzazioni di volontariato si ispirano ai principi della partecipazione democratica promuovendo e valorizzando il contributo ideale e operativo di ogni aderente. È compito dell’organizzazione riconoscere e alimentare la motivazione dei volontari attraverso un lavoro di inserimento, affiancamento e una costante attività di sostegno e supervisione.

19. Le organizzazioni di volontariato perseguono l’innovazione socio-culturale a partire dalle condizioni e dai problemi esistenti. Pertanto propongono idee e progetti, rischiando e sperimentando interventi per conto della comunità in cui operano. Evitano in ogni caso di produrre percorsi separati o segreganti e operano per il miglioramento dei servizi per tutti.

20. Le organizzazioni di volontariato collaborano con le realtà e le istituzioni locali, nazionali e internazionali, mettendo in comune le risorse, valorizzando le competenze e condividendo gli obiettivi. Promuovono connessioni e alleanze con altri organismi e partecipano a coordinamenti e consulte per elaborare strategie, linee di intervento e proposte socio-culturali. Evitano altresì di farsi carico della gestione stabile di servizi che altri soggetti possono realizzare meglio.

21. Le organizzazioni di volontariato svolgono un preciso ruolo politico e di impegno civico anche partecipando alla programmazione e alla valutazione delle politiche sociali e del territorio. Nel rapporto con le istituzioni pubbliche le organizzazioni di volontariato rifiutano un ruolo di supplenza e non rinunciano alla propria autonomia in cambio di sostegno economico e politico. Non si prestano ad una delega passiva che chieda di nascondere o di allontanare marginalità e devianze che esigono risposte anche politiche e non solo interventi assistenziali e di primo aiuto.

22. Le organizzazioni di volontariato devono principalmente il loro sviluppo e la qualità del loro intervento alla capacità di coinvolgere e formare nuove presenze, comprese quelle di alto profilo professionale. La formazione accompagna l’intero percorso dei volontari e ne sostiene costantemente l’azione, aiutandoli a maturare le proprie motivazioni, fornendo strumenti per la conoscenza delle cause dell’ingiustizia sociale e dei problemi del territorio, attrezzandoli di competenze specifiche per il lavoro e la valutazione dei risultati.

23. Le organizzazioni di volontariato sono tenute a fare propria una cultura della comunicazione intesa come strumento di relazione, di promozione culturale e di cambiamento, attraverso cui sensibilizzano l’opinione pubblica e favoriscono la costruzione di rapporti e sinergie a tutti i livelli. Coltivano e diffondono la comunicazione con ogni strumento privilegiando - dove è possibile - la rete informatica per migliorare l’accesso alle informazioni, ai diritti dei cittadini, alle risorse disponibili. Le organizzazioni di volontariato interagiscono con il mondo dei mass media e dei suoi operatori perché informino in modo corretto ed esaustivo sui temi sociali e culturali di cui si occupano.

24. Le organizzazioni di volontariato ritengono essenziale la legalità e la trasparenza in tutta la loro attività e particolarmente nella raccolta e nell’uso corretto dei fondi e nella formazione dei bilanci. Sono disponibili a sottoporsi a verifica e controllo, anche in relazione all’organizzazione interna. Per esse trasparenza significa apertura all’esterno e disponibilità alla verifica della coerenza tra l’agire quotidiano e i principi enunciati.

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IL DECALOGO DEL VOLONTARIO AVO

II volontario, dopo aver approfondite le motivazioni che lo hanno indotto a scegliere come attività sociale il servizio ospedaliero, e dopo aver vagliato le sue disponibilità di tempo, sceglie e stabilisce con il coordinatore il giorno e l'orario per il suo turno settimanale di servizio. Egli sa che la sua presenza in ospedale vuole essere un gesto di amicizia, di solidarietà, di impegno nei confronti dell'ammalato ricoverato per rendere più umano l'ambiente dell'ospedale. Egli perciò prende atto che i suoi doveri principali sono:

1) Essere presente nel giorno della settimana stabilito. Rispettare gli orari. Non abbandonare il servizio prima dello scadere dell'orario. Trascorrere l'orario di servizio nel proprio reparto e non altrove. Se avesse necessità di cambiare giorno o orario di servizio dovrà prendere accordi con il responsabile. Se per motivi di salute o per un impegno inderogabile non potesse svolgere il suo turno di servizio dovrà avvisare il responsabile e trovare egli stesso un collega che lo sostituisca. Se dovesse allontanarsi dalla città per periodi più o meno lunghi (impegni di lavoro o vacanze) dovrà avvisare tempestivamente il responsabile.

2) Il volontario presterà servizio con il camice sempre in ordine e con il distintivo. Dovrà attenersi ad alcune semplici, ma importanti norme igieniche: non sedersi o appoggiare effetti personali sui letti, lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone all'inizio ed al termine di ogni servizio. La sua presenza dovrà essere costante, non saltuaria.

3) Il volontario sa che non sostituisce il personale ospedaliero: non ne ha la competenza. Egli offrirà volentieri un aiuto quando e dove l'infermiere di turno lo richiedesse, sempre però, sotto la sua responsabilità.

4) La specificità del volontario è la presenza e l'ascolto, ove per presenza si intenda l'esserci con la mente, con il cuore, con il desiderio di partecipare e di condividere la sofferenza e le preoc-cupazioni dell'ammalato e per ascolto si intenda la capacità di tacere perché parli l'altro, la capacità di sollecitare l'altro a parlare, la pazienza di attendere che l'altro parli consentendogli di esprimersi con le sue parole, con la sua lentezza, senza interrompere, senza spazientirsi e senza sovrapporsi a ciò che dice l'ammalato.

5) II volontario non conosce, né deve indagare per conoscere, la malattia di cui il paziente è affetto.

6) II volontario deve il massimo rispetto all'ammalato di qualunque età ed estrazione sociale egli sia. Non deve dare del tu. Non deve proporre argomenti religiosi o politici. Non deve in alcun modo imporre le proprie idee.

7) Nessun ammalato deve sentirsi escluso dall'attenzione e dalle cure del volontario. Egli deve passare accanto ad ogni letto, salutare tutti gli ammalati e soffermarsi in particolare presso coloro che sembrano più soli o più bisognosi di aiuto. Determinati servizi richiesti dall'ammalato (deambulare, mettere cuscini, ecc.) devono essere necessariamente autorizzati dal personale responsabile.

8) Il volontario, consapevole che la sua presenza ha lo scopo di rendere più umano l'ambiente ospedaliero, offrirà calma e delicatezza. Infonderà fiducia nell'Istituzione. Favorirà e incoraggerà i rapporti tra l'ammalato, i medici e i paramedici, perché possa avere le informazioni che desidera ed esserne tranquillizzato. L'ammalato non deve sentirsi escluso o ignorato dall'équipe medica.

9) II volontario si farà portatore di serenità e di speranza, incoraggiando l'ammalato a sopportare disagi e sofferenza. Si farà motore esterno dove sentirà stanchezza, depressione e voglia di abbandonare la lotta. Conforterà anche i parenti, infondendo loro coraggio e fiducia.

10) II volontario deve partecipare alle riunioni di gruppo ed alle iniziative di aggiornamento promosse dall'Associazione perché, mettere in comune esperienze, soddisfazioni, difficoltà e proposte è utile all'Associazione e ai volontari. Ogni volontario deve accogliere con grande amicizia i nuovi volontari perché non si sentano disorientati o spaventati all'inizio del loro servizio. Inoltre, ogni volontario deve impegnarsi ad alimentare l'amicizia e la cordialità nel gruppo, perché questo calore umano si riversi sull'ammalato e sull'Associazione.

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“Non abbiate paura,

ma tenete presente che

preparazione,

formazione,

conoscenza

sono le

basi portanti

del vostro

volontariato”

E. Longhini Fondatore dell'AVO