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AVO Torino 65° Corso di Formazione Base 1 65° Corso di Formazione Base 25 ottobre 22 novembre 2012 AVO TORINO Via S. Marino, 10 - 10134 Torino Tel 011 318 76 34 Tel e Fax 011 319 89 18 www.avotorino.it e-mail [email protected] CF 97503860013

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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65° Corso

di Formazione Base 25 ottobre –22 novembre 2012

AVO TORINO Via S. Marino, 10 - 10134 Torino

Tel 011 318 76 34 Tel e Fax 011 319 89 18

www.avotorino.it e-mail [email protected]

CF 97503860013

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Giovedì 25/10/12

Presentazione del Corso

Luca Audi, Consigliere, Responsabile Formazione Base

AVO Torino: dallo Statuto al Servizio

Felice Accornero Presidente AVO Torino

L’AVO nel contesto del volontariato piemontese

Leonardo Patuano, Presidente AVO Regionale

Il volontario nel rapporto con il malato

Elena Ferrario, Curatrice formazione su AVO Torino Informa

Martedì 30/10/12

Diritti e risorse per le persone ricoverate

Maria Cristina Odiard, Assistente Sociale Ospedale Mauriziano

L’ascolto nella relazione d’aiuto

Nadia Gandolfo, Consigliere, Responsabile Formazione Permanente

Martedì 06/11/12

Norme d’igiene per i volontari in ospedale

Simona Fantino, Infermiera Responsabile Prevenzione Infezioni al Martini

Il Disagio Psichico

Tania Margiotta, Psichiatra – Psicoterapeuta

Giovedì 08/11/12

L’approccio al malato oncologico

Monica Seminara, Psicologa psicoterapeuta, collaboratrice FARO

L’ospedale pediatrico

Paola Pecco, già primario Ospedale Infantile Regina Margherita

Martedì 13/11/12

L’uomo fragile: la malattia, la sofferenza e la cura

Francesco Scaroina, Già Direttore Dipartimento Medicina S. Giovanni Bosco

L’organizzazione AVO all’interno degli ospedali

Luca Audi, Consigliere, Responsabile Ospedali

Giovedì 15/11/12

L’anziano e i suoi problemi: bisogni reali e desideri

Maurizio Rocco, Medico Geriatra Ospedale Molinette

AVO Giovani

Samantha Ursi, Consigliere. Responsabile AVO Giovani

AVO Torino Informa

Eugenia Berardo, Responsabile Giornale AVO Torino Informa

Il Gruppo e l’Associazione

Laura Montanaro, già responsabile Formazione Permanente

Martedì 20/11/12

Etica: uno sguardo sui dilemmi del nostro tempo

Michela Galetti, già responsabile Formazione Continua OIRM Sant’Anna

L’AVO incontra la Multicultura

Ruben Nasi, Operatore Gruppo Abele

Giovedì 22/11/12

Norme Motivazioni del volontariato

don Sergio Messina, Assistente Spirituale -Fondatore associazione VO.L'A

Ospedali-Conclusioni

Interventi dei partecipanti al corso

Lunedì 26/11/2012

Martedì 27/11/2012

Colloqui individuali per inserimento in ospedale

Da effettuarsi in sede (via S.Marino,10)

Segretaria del corso: Patrizia Amoroso

Programma del 65° Corso di Formazione Base

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Presentazione del corso Luca Audi, Consigliere esecutivo AVO Torino

L’A.V.O. è un’associazione laica, apartitica ed esclude qualsiasi fine di lucro

Il corso di formazione si propone di fornire ai futuri volontari una preparazione idonea per svolgere nel modo migliore un servizio di ascolto e aiuto a favore delle persone ricoverate nelle Strutture ospedaliere e nelle RSA per anziani dove l’AVO è presente.

Per diventare volontario A.V.O., occorre

· Aver compiuto 18 anni.

· Seguire il ciclo di 8 lezioni del corso di formazione base.

· Sostenere un colloquio finale per accertare che l’aspirante abbia compreso lo spirito AVO e sia disposto a svolgere il sevizio con responsabilità.

· Passare al tirocinio in ospedale affiancati da un volontario guida.

· Offrire almeno tre ore settimanali ed impegnarsi a frequentare le riunioni di gruppo.

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AVO Torino: dallo Statuto al Servizio Mission, Valori e Competenze al Servizio del Paziente

Felice Accornero Presidente AVO Torino

LA NOSTRA MISSION

AVO: associazione nata grazie all’idea del Professor Longhini nel 1975 a Milano

Alcuni dati significativi dell’AVO:

244 AVO operative;

30.000 volontari in attività;

521 strutture di ricovero;

3.500.000 ore di servizio prestate in un anno

FederAVO: nasce nel 1978

AVO Torino: nasce nel 1981 grazie ad un piccolo gruppo di Volontari. Primo servizio presso l’Ospedale

Gradenigo.

Alcuni dati significativi dell’AVO Torino:

919 volontari;

16 strutture ospedaliere e case di riposo

83.000 ore di servizio prestate in un anno

…Mission AVO: aiutare chi soffre…

I NOSTRI VALORI

AVO si basa su valori molto ben radicati che permettono di agire ogni giorno.

I Volontari AVO vivono e credono in questi principi che sono i principali driver del loro

Volontariato:

Solidarietà

Condivisione

Motivazione

Gratuità

Senso di Appartenenza

e lavoro di squadra

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Coraggio di Tutelare i diritti dei pazienti

Schierarsi dalla parte dei più bisognosi

LE NOSTRE COMPETENZE

AVO Torino ha costruito la propria credibilità verso i malati e le

istituzioni attraverso le competenze professionali che ha sempre

cercato di perfezionare con il tempo.

La formazione e la specializzazione dei Volontari sono priorità del

nostro Volontariato per poter ottimizzare il servizio al paziente.

Nel corso del tempo abbiamo costruito, impegnando molte risorse

sia interne che esterne, training di base e specifici per venire

incontro a tutte le esigenze del malato.

Questo è stato voluto con “forza” e passione dalla nostra

Associazione per dare al Volontario tutti gli strumenti per svolgere

al meglio il proprio servizio.

Le nostre competenze sono il nostro migliore “biglietto da visita” per accrescere la nostra visibilità nella società e veicolare i nostri valori e capacità nel mondo del

Volontariato.

In conclusione, la formazione e il focus sulle competenze dei nostri

Volontari sono e saranno sempre un nostro obiettivo primario per

essere all’avanguardia e preparati per offrire il miglior servizio al

paziente.

LO STATUTO

L’organizzazione dell’Associazione è regolamentata dallo Statuto dell’AVO

di Torino che ogni volontario si impegna a rispettare

Denominazione, sede, durata, oggetto e finalità, rapporti con Federavo,

patrimonio ed entrate

Soci (tirocinanti, ordinari,..), diritti e doveri dei soci, accettazione delle

richieste di ammissione a socio, decadenza da socio

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Organi dell’associazione:

Assemblea dei soci

Consiglio esecutivo

Presidente del Consiglio esecutivo

Collegio dei revisori dei conti

Commissione di disciplina

Gratuità cariche ed incarichi, divieto distribuzione utili, scioglimento associazione

… La Vostra scelta di seguire

un cammino di Volontariato è

una prova di coraggio

che la vita non impone ma

può fare di Voi persone

coraggiose …

… Il coraggio di diventare

Volontari sembrerebbe

radicato nella capacità che

l’individuo ha di alleviare le

sofferenze di chi soffre …

… Ci vuole coraggio ad

aiutare il malato a ritrovare

un’identità e una forza per

continuare a lottare e …

soprattutto credere in chi ha

coraggio!

AVO Torino: “…Il coraggio di non lasciarli soli…”

AVO Torino: la giornata nazionale AVO

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L’ AVO nel contesto del volontariato piemontese Leonardo PATUANO – Presidente AVO Piemonte

AVO

Regionale

Data accertata: nel 1454 nasce a Milano

la “Ca Granda” retta da volontari.

Il volontariato ha governato gli Enti

ospedalieri, orfanatrofi ed enti di servizio

per gli anziani.

AVO

Regionale

Con Ia riforma Crispi (1889) gli Enti

passano sotto il controllo dello Stato e

diventano Enti pubblici.

AVO

Regionale

Tema fondante:

entrare nelle programmazioni che non

devono soltanto avvalersi di tecnici, ma

di persone che abbiano a cuore la

valorizzazione della dignità della

persona.

AVO

Regionale

Trattato di Maastricht - 1992

la “sussidiarietà”

principio cardine dell’UE

AVO

Regionale

…le diverse istituzioni, nazionali come

sovranazionali, debbano tendere a creare le

condizioni che permettono alla persona e alle

aggregazioni sociali (ad es. le associazioni),

di agire liberamente senza sostituirsi ad essi

nello svolgimento delle loro attività: un’entità

di livello superiore non deve agire in situazioni

nelle quali l’entità di livello inferiore (e da

ultimo, il cittadino) è in grado di agire per

proprio conto.

Il volontariato in Piemonte

• 1.178 organizzazioni di volontariato in

provincia di Torino

• 2.711 in Piemonte

• 173.000 volontari in provincia di Torino

• 350.000 volontari in Piemonte

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Attività delle organizzazioni di volontariatoAttività Piemonte Torino

Socio assistenziale 33,7% 34,6%

Sanitaria 32,2% 31,7%

Protezione civile 14,5% 15,6%

Impegno civile – tutela diritti 5,2% 5,5%

Cultura, istruzione, educazione 4,7% 2,9%

Tutela valorizzazione del patrimonio storico e artistico

4,6% 4,7%

Tutela dell’ambiente 2,4% 2,1%

Sport e tempo libero 1,2% 0,7%

Organismi di collegamento e coordinamento 1,4% 2,0%

AVO

Regionale

L’AVO: nel contesto del volontariato

Piemontese e Nazionale

Struttura Organizzativa

• AVO LOCALI

• AVO REGIONALE

• FEDERAVO

L’AVO Regionale dà i numeri

• 17 SEDI PRINCIPALI DI AVO LOCALI

• 16 SEZIONI DISTACCATE

• 34 COMUNI INTERESSATI

• 64 AZIENDE SANITARIE / CASE RIPOSO

• 3.000 VOLONTARI IMPEGNATI

• 345.000 ORE DI SERVIZIO SVOLTO

AVO

Regionale

Il volontariato AVO:

Realtà e prospettive di sviluppo

“Cominciare a donare se stessi significa

condannarsi a non dare mai abbastanza

anche quando si dà tutto”

Albert Camus

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Il volontario nel rapporto con il malato

Elena FERRARIO - Volontaria ospedale Martini Curatrice della rubrica di formazione di “AVO Torino informa”

PREMESSA

Diventare volontario ospedaliero significa avere ben chiaro che ci si occuperà di PERSONE che attraversano momenti particolarmente difficili della loro vita: quelli della malattia, che implicano dolore, paura, solitudine. Per occuparsi bene di loro non basta la buona volontà del futuro volontario. Occorrono conoscenze e strumenti appropriati. Perciò il Corso di base e il tirocinio che vi fa seguito, vanno intesi solo come le prime due tappe di un percorso di crescita umana e professionale che il volontario dovrà seguire lungo tutto il periodo che questi dedicherà al servizio dell’ammalato.

CHI E’ L’AMMALATO ? QUALI I SUOI BISOGNI ?

Per essere di aiuto agli altri occorre prima di tutto sapere con chi si ha a che fare e quali sono le sue necessità.

L’ammalato deve ricevere non quello che il volontario ritiene possa essergli utile in base al proprio giudizio, ma quello di cui l’ammalato ha effettivamente bisogno.

L’ammalato è una persona. Ogni persona è strutturata attorno a varie dimensioni:

1. Fisica: immagine di sé, dieta e alimentazione, sport, relax, ecc. 2. Mentale: interessi, ricordi, motivazioni, aspettative, atteggiamenti. 3. Sociale: amicizie, ruoli familiari e sociali, rapporto con l’ambiente, lavoro. 4. Emotiva: sentimenti, affetti, legami, perdite, ferite, meccanismi di difesa. 5. Spirituale: ricerca di scopo, valori etici, spiritualità, religione, virtù.

La salute nasce dall’equilibrio di queste cinque dimensioni. Quando questo equilibrio si rompe, insorge la malattia. La malattia rende fragili. Il ricovero ospedaliero crea situazioni di dipendenza: dai medici, dagli infermieri, dalle terapie, dall’assistenza dei familiari o di terze persone. La dipendenza è la forma di disagio che accomuna tutti i ricoverati. Tuttavia occorre tener presente che non esiste un ammalato uguale all’altro. Ognuno è la somma di tante biografie:

1. Biografia fisica. 2. Biografia cognitiva 3. Biografia professionale - sociale 4. Biografia affettiva. 5. Biografia spirituale.

Le biografie variano enormemente da individuo a individuo, così come variano enormemente gli atteggiamenti e le reazioni delle persone di fronte alla malattia.

Da quanto precede emerge chiaramente che i bisogni dell’ammalato rientrano in due fasce distinte:

A. Bisogni di ordine materiale, COMUNI A TUTTI, legati alla dipendenza: assumere i pasti, essere accompagnati al bagno o in altro luogo dell’ospedale, essere aiutati nei movimenti, procurarsi cose inaccessibili: un caffè, un giornale, ecc.

La risposta ai bisogni della fascia A non richiede nessuna preparazione particolare. Bastano pochi accorgimenti che si imparano presto durante il tirocinio. Di solito vi è una tendenza un po’ troppo unilaterale a privilegiare questo genere di servizi perché:

- così si è sempre fatto (forza della tradizione). - sono facili da eseguire per il volontario (non richiedono l’impegno dei bisogni di fascia B). - la gratificazione è sicura e immediata ( FARE delle cose, farne tante, permette di contabilizzare

l’entità dei servizi del volontario).

Gli aiuti relativi a questa fascia, pur preziosi in determinate situazioni, hanno un carattere essenzialmente utilitario.

*Un errore da evitare fin dall’inizio: ritenere che l’opera del volontario consista prevalentemente nel soddisfare i bisogni della fascia A.

B. Bisogni individuali, DIFFERENTI DA PERSONA A PERSONA, legati alle biografie di ognuno. Riguardano la sfera degli STATI D’ANIMO: mettono in gioco capacità di ascolto, di sostegno, di conforto, di condivisione, di dare risposte.

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La risposta ai bisogni della fascia B richiede l’esercizio di attitudini di base (empatia, disponibilità all’ascolto, pazienza, umiltà) sostenuto da competenze specifiche da acquisire o da perfezionare a poco a poco: familiarità col linguaggio dei sentimenti, capacità di riconoscerli, capacità di accoglierli (contro la tendenza a soffocarli). Inoltre sono richiesti: sviluppo delle capacità di osservazione, attenzione al linguaggio verbale, riconoscimento dei linguaggi non verbali (espressioni del volto e del corpo), sensibilità. La tendenza a schivare questo genere di aiuti è forte perché:

- richiedono impegno,disponibilità e conoscenze appropriate. - obbligano al confronto con noi stessi, con le nostre ansie, con le nostre paure e a metterci sempre

in discussione. - non sempre gratificano, anzi, possono essere ansiogeni.

Gli aiuti relativi a questa fascia sono benefici, sananti per l’ammalato: il volontario si fa “medicina” per il paziente.

*Una verità di cui occorre convincersi da subito: “Per non perdere l’appuntamento del cuore” (Pangrazzi, 2005), i bisogni individuali, che nascono dagli stati d’animo del paziente, sono assolutamente prioritari nella relazione d’aiuto.

DEONTOLOGIA DEL VOLONTARIO

Da quanto precede si possono ricavare svariate indicazioni da tenere presenti in vista di un servizio volontario responsabile ed efficace. Ecco intanto un principio generale:

La gratuità che caratterizza il servizio volontario, non deve mai andare a scapito della professionalità.

Professionalità significa:

I° Interpretare il servizio come un impegno equiparabile ad un lavoro part-time, che comporta pertanto delle regole:

a. puntualità e regolarità nei turni settimanali, evitando le assenze per proprio comodo o per futili motivi.

b. segnalazione tempestiva al responsabile del proprio reparto di eventuali assenze improrogabili.

c. ordine e sobrietà nell’aspetto, richiesti dall’ambiente in cui si opera: camice pulito, capelli raccolti, trucco leggero, niente sfoggio di gioielli.

d. spirito di collaborazione e di franca amicizia con i colleghi ed il coordinatore del proprio reparto.

II° Svolgere il servizio con competenza:

a. essere discreti, silenziosi, non imporsi mai ai malati, ma proporsi con grande levità.

b. non disdegnare i servizi più semplici ma sempre tenendo presente l’opportunità di agevolare nell’altro l’espressione dei sentimenti.

c. in tale prospettiva, mai ricorrere, nel colloquio col malato, ad espressioni che banalizzino o facciano passare la voglia di confidarsi: “ non pianga”… “non dica così”…”suvvia, faccia un pensiero positivo”…” non deve aver paura per così poco”…

d. tenere presente che negli incontri è il malato, non noi, ad occupare la scena. Lasciargli spazio significa far tacere i nostri bisogni di protagonismo. Ascoltare piuttosto che parlare, (per proporre le nostre ricette, i nostri consigli, o, peggio ancora, per parlare di noi). Evitare altresì le chiacchiere da intrattenimento puntando invece a scambi più sostanziali.

III° Fare il punto, a casa propria, sul servizio svolto:

a. Prendere nota, per non dimenticare, degli incontri più significativi o più problematici.

b. Dare una propria valutazione al servizio che abbiamo svolto, evitando gli eccessi di severità o di indulgenza. Mettere in conto, soprattutto agli inizi, possibili errori di approccio, risposte maldestre, battute inopportune.

c. Mettere in programma la possibilità, anzi il dovere, di migliorare le proprie prestazioni, utilizzando coscienziosamente le risorse utili alla propria crescita personale: utilizzo della biblioteca per documentarsi su aspetti del servizio che fanno problema, lettura attenta del nostro giornale che propone sempre delle rubriche di formazione, partecipazione alle iniziative formative promosse dalla struttura in cui operiamo o dalla segreteria centrale.(Formazione permanente).

Conclusivamente:

Avere sempre presente, per il nostro volontariato e per la nostra vita che:

1. Non conta tanto il FARE quanto invece il COME si fa. 2. La soddisfazione più bella che potremo ricavare dal nostro servizio (a parte la gratitudine che

talvolta riceveremo dagli ammalati), consisterà nella consapevolezza di avere messo tutto l’amore e tutta la competenza possibili nello svolgimento del compito che ci siamo assunti.

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Diritti e risorse per le persone ricoverate

Maria Cristina ODIARD – Assistente Sociale Azienda Ospedaliera – Ordine Mauriziano di Torino – uff. servizio sociale

NOTE INFORMATIVE PER LE PERSONE CON RIDOTTA AUTONOMIA1

RICONOSCIMENTO DI INVALIDITÀ CIVILE (legge n° 118/71, D.M. 05/02/92)

L'invalidità è la difficoltà a svolgere alcune funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione a causa di una menomazione o di un deficit fisico, psichico o intellettivo, della vista o dell'udito non derivante da cause di servizio, di guerra o di lavoro.

Dal 1 aprile 2010 è cambiata la procedura di presentazione della domanda, che va rivolta all’INPS e non più all’ASL di competenza. E’ necessario:

1. compilazione del certificato da parte di un medico (in formato digitale e non cartaceo) 2. consegna della domanda ad un Patronato abilitato a trasmetterla all’INPS

(o diretta per persone che abbiano richiesto ed ottenuto dall’INPS il relativo PIN) Per maggiori informazioni www.inps.it

- Si verrà convocati per la visita entro 30 giorni dalla domanda. Nel caso in cui l'interessato fosse impossibilitato a presentarsi, per gravi condizioni di salute, è possibile richiedere una visita domiciliare inviando un certificato del medico curante. - Si riceverà a casa, in seguito, il verbale in cui è indicato l'esito della visita, caratterizzato da un codice e la percentuale di invalidità civile riconosciuta. - Nel caso in cui una persona già dichiarata invalida presenti un peggioramento delle proprie condizioni di salute, può presentare domanda di aggravamento.

Possibili benefici derivanti dal riconoscimento di invalidità civile:

- ESENZIONE TICKET (partecipazione alla spesa sanitaria)

Le persone cui è riconosciuta un’invalidità pari o superiore al 67% possono usufruire dell’esenzione totale, sia per quanto riguarda i farmaci sia per gli esami di diagnostica strumentale e di laboratorio, per qualunque patologia diagnosticata.

- ASSEGNO MENSILE PER INVALIDI PARZIALI

Viene erogato agli invalidi civili di età compresa tra i 18 e i 65 anni, cui sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 74%, non collocati al lavoro, che non fruiscano di nessun altro trattamento pensionistico di invalidità e che abbiano un reddito personale inferiore ad euro 4.378,27 (lordi). Importo mensile: euro 256,67

- PENSIONE MENSILE PER INVALIDI TOTALI

Viene erogata agli invalidi civili di età compresa tra 18 e 65 anni, cui sia stata accertata un’invalidità del 100% e che abbiano un reddito personale inferiore ad euro 14.886,28 (lordi) Importo mensile: euro 256,67

- INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO (legge n° 18/1980)

E’ prevista - senza limiti di età e di reddito - agli invalidi civili totalmente inabili (100%) e “con impossibilità a deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore” o “con necessità di assistenza non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”. Indennità di accompagnamento mensile: euro 480,47

- AUSILI e PROTESI

In caso di necessità di ausili (carrozzina, letto ortopedico, deambulatore) o protesi, si ha diritto all ’erogazione gratuita, da parte dell’ASL, presentando all’ufficio protesi dell’ A.S.L. di residenza: la prescrizione (redatta da un medico specialista su apposito modulo) il verbale di riconoscimento dell’invalidità civile o la ricevuta della presentazione della domanda di riconoscimento di invalidità civile.

1 Azienda Ospedaliera - Ordine Mauriziano di Torino - ufficio di servizio sociale (febbraio 2010)

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- CONTRASSEGNO SPECIALE PER LA LIBERA CIRCOLAZIONE E LA SOSTA DEI VEICOLI AL SERVIZIO DI PERSONE DISABILI

I cittadini con gravi difficoltà di deambulazione o non vedenti possono richiedere al proprio Comune, il contrassegno di libera circolazione, da esibire sull’auto. Ha validità in tutto il territorio nazionale ed europeo. In particolari condizioni di invalidità e di viabilità è possibile anche ottenere uno “spazio sosta” riservato. Dove: Comune di Torino - Divisione Ambiente e Mobilità - Ufficio Permessi di Circolazione Piazzale Valdo Fusi (via Cavour angolo via Accademia Albertina) Tel 011.442.9033 - 011.442.9034 dal lunedì al venerdì 8,30/12,30

- TRASPORTI

Le persone con invalidità civile riconosciuta superiore al 70% hanno diritto ad una tesserino per la libera circolazione sulle linee urbane ed extraurbane e ferroviarie (treni regionali ed alcuni extraregionali) Dove: GTT, corso Francia 6, Torino dal lunedì al venerdì dalle ore 8,30 alle ore 12,30 - Le Ferrovie dello Stato rilasciano, agli invalidi riconosciuti al 100% con indennità di accompagnamento, la "Carta blu" che permette di viaggiare su tutto il territorio nazionale, pagando un solo biglietto valido per due persone. Dove: Biglietteria Stazione Porta Nuova o agenzie viaggio convenzionate - Per i pazienti con gravi difficoltà motorie o affetti da cecità totale, il Comune di Torino eroga dei buoni taxi per disabili, al costo di un biglietto ATM per le tratte urbane. Dove: Servizio Buoni Taxi, via Palazzo di Città, 9/11 Torino tel. 011.442.16.33 – dal lun. al giov. 9.00/12.30 – 13,30/15.00, ven. 9.00 /12.30

- RICONOSCIMENTO DELLO STATO DI HANDICAP - Legge 5/02/92 n° 104

Il parente, anche non convivente, lavoratore dipendente, che assiste una persona dichiarata handicappata in situazione di gravità (art. 3 comma 3), ha diritto a 3 giorni al mese di permessi retribuiti. Occorre presentare domanda seguendo la stessa procedura dell’invalidità civile. E’ possibile richiedere visita contestuale per invalidità civile e legge 104/92.

- ALTRE AGEVOLAZIONI PER PERSONE CON GRAVI DIFFICOLTA’ MOTORIE

Superamento barriere architettoniche (installazione di ascensori, montacarichi, allargamento porte etc.); IVA agevolata e detrazioni Irpef per l’acquisto di veicoli adattati per il trasporto di persone disabili; esonero dal pagamento della tassa automobilistica per veicoli adattati al trasporto di persone disabili.

Maggiori informazioni sul sito www.handylex.org

U.V.G. Unità Valutativa Geriatrica

Le persone anziane, con limitata autonomia, possono presentare domanda all’U.V.G. della propria A.S.L. affinché ne vengano valutate le necessità sanitarie ed assistenziali. L’ASL in collaborazione con il Servizio Sociale Territoriale (presente in tutti comuni o consorzi di comuni) può così offrire servizi di sostegno all’anziano quali: assegno di cura, assistenza domiciliare, affidamento familiare, telesoccorso, pasti a domicilio o, eventualmente, inserimento in case di riposo (RAF, RSA).

Particolari situazioni di fragilità

•Stranieri irregolari (comunitari ed extracomunitari)

•Persone senza fissa dimora

•Persone affette da gravi deficit cognitivi

Persone straniere irregolari

•Diritti •Risorse•Problematiche particolari (identità sconosciuta, grave disabilità etc.)

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Assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al Servizio sanitario nazionale. (Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 33)

“ai cittadini stranieri presenti sul territorionazionale, non in regola con le norme relativeall’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate lecure ambulatoriali urgenti o comunqueessenziali, ancorché continuative, permalattia ed infortunio e sono estesi iprogrammi di medicina preventiva esalvaguardia della salute individuale ecollettiva”

Circolare Ministero della salute n°5 24/03/04

Cure urgenti: che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona

Cure essenziali: prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazione o aggravamenti).

Comunitari, soggiornanti oltre i 90 giorni, senza diritto all’iscrizione al SSN, indigenti

ASLSportello ISI

(informazione salute immigrati)

per rilascio codice ENI

Non comunitari, privi di permesso di soggiorno, indigenti:

ASLSportello ISI

(informazione salute immigrati)

per rilascio codice STP

Persone senza fissa dimoraadulti in difficoltà, barboni, clochard…

Diritti (legge 94/2009)

Particolari problematiche (identità sconosciute, gravi disabilità)

Risorse

Persone affette da deficit cognitivi

La corretta diagnosi

I sostegni: domiciliari, semiresidenziali e resid.

Forme di “protezione”:

- Amministrazione di sostegno

- Curatela

- Interdizione

Grazie e buon lavoro

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L’ascolto nella relazione d’aiuto

Nadia GANDOLFO – Consigliera Esecutivo AVO Torino Coordinatrice Responsabili Formazione

Premessa La relazione di aiuto è quella specifica modalità relazionale che mette in comunicazione chi ha bisogno di aiuto e chi fornisce aiuto. Ogni relazione è un sistema, in quanto ognuno dei due influenza l’altro attraverso le parole, i comportamenti e, a sua volta, ne resta influenzato. Anche la relazione volontario- assistito è da leggersi in questa chiave. Il fatto che si denomini “relazione di aiuto” è motivato dalla fatto che uno dei due ha qualche necessità. Essa infatti é connotata come a-simmetrica tra le due persone che entrano in relazione: nel nostro caso uno dei due ha meno salute, meno serenità, meno contatti sociale e quindi minori relazioni affettive… Il malato, aldilà delle sue difficoltà è una persona con una sua storia, un passato, una saggezza…che forse, al momento, non può emergere. La sofferenza può ricondurre l’uomo nella sua dimensione più nuda e sincera: è in grado di togliersi le maschere sociali. La relazione di aiuto si svolge contemporaneamente nel reale e nel simbolico: intervengono elementi di cui si è consapevoli ed altri che agiscono inconsciamente. Scattano in entrambi (volontario e assistito) emozioni, vissuti, reazioni comportamentali che hanno implicanze affettive. Saper leggere, riconoscere e accettare le proprie emozioni, apprendere a comunicarle attraverso le parole e attraverso il corpo senza permettere loro di straripare in modo incontrollato è l’obiettivo che si pongono gli incontri di formazione e di scambio di esperienze che si attivano periodicamente nella varie strutture, a livello di gruppi di reparto. La “mission” dell’AVO: Presenza e Ascolto. Attraverso un ascolto consapevole e competente dei messaggi verbali e non verbali, delle intenzioni implicite riguardanti sé e l’altro, il volontario si impegna per fornire un servizio di qualità. Il servizio AVO infatti non si incentra sul fare, ma sulla Presenza e Ascolto. La presenza implica stare accanto all’altro con autenticità e fiducia per creare le condizioni per un dialogo a livello di partecipazione dei sentimenti. Ma queste condizioni da sole non bastano. Un dialogo pienamente umano richiede agli interlocutori alcuni atteggiamenti o modi di essere capaci di creare quella situazione emotiva in cui entrambi si trovino a proprio agio, sperimentino la gioia di stare insieme: Si tratta di una presenza corretta in quanto permette all’interlocutore di essere se stesso e di autorivelarsi con sincerità. La Presenza è da intendersi in senso olistico: essere con la mente e con il cuore, creando in noi uno spazio di attenzione per l’altro. E’dunque la nostra autenticità che si mette in gioco quando si entra in relazione con l’altro. Il volontario può diventare un animatore del tempo; la sua presenza può costituire un punto di riferimento temporale, quando non sono carenti nel malato le coordinate spazio-temporali, a causa del fluire sempre identico, ripetitivo degli eventi che cadenzano la giornata. Spesso il volontario è chiamato a cercare dentro di sé e soprattutto nei gruppi di scambio di esperienze la comprensione dei bisogni profondi dell’altro, cercando così di dare “anima” ad aspetti della vita mummificati dalla consuetudine o dallo scoraggiamento. L’ascolto è una forma di comunicazione spesso sconosciuta, in quanto uno dei bisogni fondamentali della natura dell’uomo sembra essere : parlare e parlare di sé. E’ una verità così appariscente che può sembrare banale. Eppure nell’uomo d’oggi c’è un immenso bisogno di dire, dire…qualsiasi cosa pur di comunicare con qualcuno. Tutti, con gli espedienti più accorti, vanno a caccia di qualcuno che li ascolti. Ne consegue che la relazione di aiuto più efficace e più gradita consiste non nell’abbondanza doviziosa di parole, ma nella disponibilità ad ascoltarla. La scelta di “regalare l’ascolto” è un metro che commisura bene la disponibilità al servizio e il beneficio dell’incontro. Ascoltare è un atteggiamento attivo perché richiede un’attenta presenza di sé ed un investimento di tutte le energie in ciò che si sta compiendo , come è già stato sottolineato per la presenza il volontario è lì “con la mente e con il cuore”.

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Ascoltare correttamente è molto faticoso per l’attenzione che richiede, per il coinvolgimento emotivo che ne deriva, talvolta per la non condivisione di ciò che si ascolta, facendo in tal modo tacere la nostra comunicazione intrapsichica, il nostro vissuto che colui che parla ridesta in noi. Saper ascoltare è saper far tacere se stessi e dare precedenza all’altro; offrire ascolto è offrire ospitalità: è accogliere in noi, in un certo senso, colui che parla con la sua interiorità e viverla insieme almeno per poco. IL sentirsi ascoltati lascia appunto l’impressione di vivere in un altro o, meglio, di avere qualcuno in cui vivere. L’attenzione al linguaggio non verbale Purtroppo la nostra cultura sopravvaluta l’importanza del linguaggio verbale, perché si pensa che attraverso le parole possiamo essere più efficaci, farci capire meglio dagli altri. Il linguaggio non verbale è in realtà il più immediato, il più veritiero . Accompagna e appoggia il linguaggio verbale, anche se non ne siamo consapevoli; mentre si parla si gesticola, si assume una certa postura che è molto eloquente circa il rapporto che stiamo stabilendo con l’altro. La stessa vicinanza o lontananza dal malato (spazio prossemico) può essere letta come relazione affettuosa oppure come invasività spaziale - relazionale non richiesta. Avendo ridimensionato il potere della parola è vitale soffermarci sull’importanza del silenzio. Il silenzio è una comunicazione senza suoni, è intensità di linguaggio in assenza di parole. Un ascolto corretto sa fare uso ponderato delle pause di silenzio. Spesso dinanzi ai silenzi dell’interlocutore si prova disagio e imbarazzo e si corre il rischio di riempirlo con interventi inappropriati. I momenti di pausa e di silenzio danno a colui che parla la conferma tangibile che si è lì per lui, senza fretta; non si hanno al momento motivi personali per intervenire, si è lì non per parlare di noi, ma per stare con lui. A conclusione una riflessione. La relazione di aiuto come atto di gratuità, è un “bene relazionale” a cui spesso nella nostra società non si dà valore. Interessanti sono le ragioni individuate dal professor Bruni dell’Università MilanoBicocca. - La gratuità è legata alla sofferenza e la cultura contemporanea occidentale non accetta più il dolore, fa di tutto per rimuoverlo. - Il mercato tende a vendere merci che “simulano” i beni relazionali veri, dalla televisione come “mistificatrice” di rapporti veri con gli altri, alle nuove tecnologie.. - I beni relazionali sono costosi, vulnerabili, fragili in quanto richiedono reciprocità. - Il grande errore cui induce l’estendersi della logica del mercato è associare la gratuità al “gratis” .ad un prezzo nullo, al non valore. In realtà la gratuità corrisponde ad un prezzo “infinito” e davanti alla logica del “prezzo”, le agenzie di socializzazione, in particolare la famiglia e la scuola devono insegnare l’arte della gratuità, che ricorda che i beni più importanti non possono essere ”prezzati”. Il lavoro è importante ma il valore della gratuità lo è di più. Si può vivere senza lavorare, ma si muore presto senza dare e ricevere amore. Soltanto se si sperimenta la gratuità si può essere buoni lavoratori, costruttori di comunità di lavoro, perché anche in società ricche, come in quelle più povere, resta vero che “L’uomo felice ha bisogno di amici” (Aristotele)

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Nadia Gandolfo

La relazione d’aiuto

Riflessioni per una comunicazione

efficace

Specificità del volontariato

Presenza e ...

AVO

ascolto

Wilson Mizner

“chi sa ascoltare, non soltanto

è simpatico a tutti, ma , dopo

un po’ finisce con l’imparare

qualcosa”

Volontario AVO

E’ colui che dà del tempo per il

servizio al malato

E’ l’aspetto più qualificante della

relazione d’aiuto

L’ascolto è una forma di

comunicazione

Ascolto

Comunicazione efficace

E’ una comunicazione che mette al centro

l’attenzione per l’altro

L’altro è una occasione per riflettere

Ogni incontro con l’altro non ci lascia mai

indifferenti

Specificità del volontariato

Presenza e ...

AVO

Il servizio è una opportunità di

crescita

Ci consente di affinare le capacità sottese

ai comportamenti che sono funzionali alla

Relazione di aiuto

Comunicazione è relazione

La relazione è…

capire

muoverci nel campo delle emozioni

testimonianza

PRESENZA

per debellare la solitudine

per non deludere le aspettative del malato

per condividere la sofferenza fisica e morale

Essere con la mente e con il cuore

Relazione di aiuto

capacità

osservare ascoltare tollerare l’ansia

Le relazioni non si insegnano,

si vivono!

La relazione è una

dimensione altamente

creativa

Le parole insegnano

gli esempi trascinano.

Solo i fatti danno credibilità alle parole.

S.Agostino

“L’educazione all’ascolto

è allora educazione al silenzio

per accogliere “veramente” ciò

che l’altro ci vuole comunicare.

F. Alberoni

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Norme d’igiene per i volontari in ospedale Simona FANTINO - Infermiera prevenzione infezioni correlate all’assistenza - ospedale Martini

Incontro AVO

Norme di igiene per i volontari in ospedale

I.C.I. Simonetta Fantino Torino, Marzo 2012

La malattia

Alterazione dello stato fisiologico

dell'organismo, capace di ridurre, modificare

negativamente o persino eliminare le

funzionalità normali del corpo.

Patologia dovuta al contagio dell'organismo

umano da parte di microrganismi (batteri,

virus, miceti, parassiti, ecc.) con

conseguente sviluppo di sintomi

caratteristici di quella specifica malattia.

La sola presenza del microrganismo nel

corpo umano non significa sempre

MALATTIA INFETTIVA

La malattia infettiva

La colonizzazione

L’infezione va distinta dalla

"colonizzazione",

definita come la moltiplicazione a livello locale di

microrganismi senza apparenti reazioni

tessutali o sintomi clinici.

La possibilità che si verifichi l'INFEZIONE o la

MALATTIA INFETTIVA dipende da vari fattori:

Come si contraggono

Contatto con il microrganismo in causa

Caratteristiche del microrganismo

(patogenicità, virulenza e invasività)

Suscettibilità dell’individuo

Norme comportamentali per i

volontari in ospedale

Quali sono

Igiene delle mani

Camice

Capelli

Monili

Uso di guanti

Trasmissione tramite le mani del personale

Nella trasmissione dei

patogeni nosocomiali

dall’ambiente ospedaliero o

da un paziente all’altro, il

veicolo più frequentemente

implicato è rappresentato

dalle mani del personale

sanitario.

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Germi presenti sulla cute del paziente e sulle

superfici dell’ambiente circostante

Trasmissione tramite le mani : step 1

The Lancet Infectious Diseases 2006

Germi trasferiti sulle mani degli operatori

Trasmissione tramite le mani : step 2

The Lancet Infectious Diseases 2006

Trasmissione tramite le mani : step 3The Lancet Infectious Diseases 2006

Germi che sopravvivono sulle mani

Una igiene delle mani scorretta significa

mantenere le mani contaminate

Trasmissione tramite le mani : step 4The Lancet Infectious Diseases 2006

Trasmissione tramite le mani : step 5The Lancet Infectious Diseases 2006

Mani contaminate

trasmettono germi

Prima Sfida Mondiale

per la Sicurezza del Paziente

“Le cure pulite sono cure più sicure”

Obiettivo: Ridurre le Infezioni Correlate alle Pratiche Assistenziali

Igiene delle mani come pietra miliare

Evidenza …

L’igiene delle mani è la

misura più efficace per

ridurre le infezioni

associate all’assistenza

sanitaria

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I 5 MOMENTI FONDAMENTALI PER L’IGIENE DELLE MANI

Effettua l’igiene delle

mani prima di toccare

un paziente mentre ti

avvicini!

Effettua l’igiene delle mani

dopo aver toccato un

paziente o l’ambiente

immediatamente

circostante, uscendo dalla

stanza!

Effettua l’igiene delle mani uscendo dalla

stanza, dopo aver toccato qualsiasi

oggetto o mobile nelle immediate

vicinanze del paziente, anche in assenza

di un contatto diretto con il paziente

Quali sono gli esempi più frequenti di questa

indicazione?

VOLONTARI

Esempi di contatto con il

paziente:

Gesti di cortesia e di

comfort

• stringere la mano

• aiutare un paziente a

cambiare postura

Contatto diretto:

• aiutare un paziente a

camminare

VOLONTARI

Esempi di contatto con

ciò che sta attorno al

paziente (ambiente

circostante):

regolare una sponda del

letto, pulire il comodino

Quali sono gli esempi più frequenti di questa

indicazione?

Lavaggio con acqua e

sapone solo se mani

visibilmente sporche o

dopo esposizione a fluidi

biologici

L’utilizzo di prodotti idro-

alcolici è il gold standard

in tutte le altre situazioni

cliniche

La frizione con prodotti idro-alcolici è la soluzione

ottimale per migliorare l’aderenza

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

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La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La procedura per l’igiene delle mani con acqua e sapone

La frizione con prodotti idro-alcolici è la soluzione per superare il problema della

mancanza di tempo

Lavaggio delle

mani

1 to 1.5 min

Frizione con

prodotto alcolico

15 to 20 sec

La procedura per l’igiene delle mani con soluzione alcolica

La procedura per l’igiene delle mani con soluzione alcolica

La procedura per l’igiene delle mani con soluzione alcolica

La procedura per l’igiene delle mani con soluzione alcolica

La procedura per l’igiene delle mani con soluzione alcolica

La procedura per l’igiene delle mani con soluzione alcolica

La procedura per l’igiene delle mani con soluzione alcolica

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Efficacia del lavaggio sociale

Lavaggio con antisettico alcolico

Monili ed oggetti vari

Monili ed oggetti vari

OMS

Organizzazione

Mondiale della

Sanità

CCM

Centro Nazionale per la

Prevenzione ed il

Controllo delle Malattie

I Guanti sono indicati

Se si prevede di contaminarsi con sangue, liquidi

organici, secrezioni, escrezioni, membrane mucose, cute

non integra ed oggetti contaminati

Si devono sostituire tra un paziente ed il successivo e tra

procedure e manovre sullo stesso paziente

Si devono rimuovere subito dopo l’uso (per prevenire

contaminazioni crociate anche nei confronti

dell’ambiente) ed occorre effettuare il lavaggio delle

mani

Guanti: NON sono indicati

Misurare la temperatura e la pressione

Valutare il polso

Praticare iniezioni intramuscolari o sottocutanee

Lavare e vestire il paziente

Trasportare il paziente

Pulire occhi e orecchie

Distribuire i pasti e raccogliere le stoviglie

Cambiare le lenzuola

Spostare il comodino, il letto, la sedia

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Il Disagio Psichico Tania MARGIOTTA –Medico Psichiatra - Psicoterapeuta

Il contatto con la sofferenza disorienta sempre, ponendoci di fronte alla possibilità di un sentire altro. Vorremmo partecipare nel giusto modo, ma non sappiamo esattamente quale sia; un modo sereno e maturo, probabilmente, che rimandi al paziente uno stare felice, fatto di umanità e di corpo. La sofferenza psichica ci confonde maggiormente, ponendoci di fronte un’entità senza volto, senza nome, senza una reale e definitiva localizzazione. Non sappiamo esattamente chi l’abbia prodotta, né come si sia sviluppata e tanto meno quale sia l’organo, l’apparato malati, e ancor più oscura e misteriosa sarà la via della guarigione. Stiamo accanto a colui che soffre e non sappiamo dove appoggiare il nostro punto di leva, non capiamo esattamente cosa dare perché lui sappia riappropriarsi della vitalità che sicuramente gli era appartenuta. E noi vorremmo concedergli almeno una pausa dal dolore, ma temiamo che ogni nostra parola o gesto possa essere frainteso, reinterpretato secondo la grammatica di quel disagio, facendolo ulteriormente sprofondare nella sofferenza di sempre. Si perpetua e si amplifica così una sofferenza vaga, un disagio. Si perpetua nel contatto col mondo, reale o immaginato, ma sempre un contatto frainteso, filtrato dal disagio stesso, mai realmente affrancato da lotte interiori. Se la partecipazione al dolore altrui è sempre problematica, lo è ancor di più quando il dolore è psichico-esistenziale, perché sentiamo che la nostra partecipazione a quel mondo potrebbe essere incorporata nel disagio stesso fino ad alimentarlo. Così un’osservazione troppo spontanea sull’abbigliamento di un paziente paranoico potrebbe includerci nel suo delirio, una consolazione troppo calorosa ad una persona depressa potrebbe scatenargli la rabbia di chi è convinto di non essere capito e il nostro intervento sarebbe ai suoi occhi superficiale, o ancora un ragionamento troppo particolareggiato a una persona delirante potrebbe confonderlo e renderlo aggressivo. E così via; sentiamo che la relazione, linguistica e non, che si instaura tra persone può entrare a far parte del mondo di malattia e esserne inclusa, inglobata nel delirio, nel malessere. Questo ci destabilizza e ci spaventa quando stiamo accanto a un malato di mente. Il disagio psichico infatti intacca sempre la relazione col mondo. Per la persona depressa non c’è piacere, non c’è speranza che possa farla approdare ad una nuova progettualità, che pur sarebbe la sua salvezza. Il conforto, agli occhi di un depresso, ha un colore altro dal nostro; anziché luogo di incontro e condivisione diviene condizione amara di una ineluttabile sofferenza destinata a ripetersi. Per il giovane psicotico l’allentamento dei nessi associativi lo fa perdere in una solitudine irrimediabile; se lui ogni volta non è in grado di ricostruire una storia di senso, noi restiamo distanti e non sappiamo quale possa essere la parola che lo guarisce, in grado di ricucire un rapporto col mondo frammentato. Sentiamo il timore che ogni nostro dire possa ledere ulteriormente il labile legame rimasto e incorporarci nello scacco relazionale. E ancora; la rabbia travolgente del paziente borderline sembra non avere rimedio. Il suo odio verso i genitori, gli amici, fino a includere tutto il mondo interiore, non dà lo spazio perché ci sia la possibilità di inserirci nella sua emozione e ri-dimensionarla, relativizzarla ad un accaduto normale, alleggerirla di quel pathos distruttivo, di quella drammatica irreversibilità. Il paziente borderline vive ogni defallance relazionale come definitiva e amplificata; l’emozione che lo pervade chiude ad ogni possibile futuro relazionale, e lui ne resta ingabbiato, soffrendo ulteriormente di quella sua stessa emozione, in un assurdo gioco di proiezioni e identificazioni. Così pure l’apparente buon umore del paziente maniacale si palesa, nel contatto relazionale, come chiusura autocentrata, esaltazione fatua, la sua vulcanica progettualità non ha fondamento, ma se proviamo a inserirci con un buon senso di realtà, ridimensionando il suo progetto, scateniamo in lui la rabbia che trasforma l’eu-foria in dis-foria furiosa.

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Nel linguaggio della malattia mentale è scardinato il senso profondo di questo nostro-stare-insieme, e le parole così come i gesti, ogni volta fraintendibili, sono integrati nella forma mentis che ha generato la sofferenza. In questo sta proprio il perpetuarsi del disagio psichico. La persona potrà guarire soltanto quando avrà risanato davvero il suo contatto col mondo, uscendo dalla fraintendibilità che sempre si offre ai rapporti umani. Se la patologia mentale nasce all’interno del mondo relazionale è proprio in quel mondo che potrà trovare la via di guarigione. Per questo motivo le psicoterapie curano, perché attraverso la parola sana del terapeuta viene guarito il mondo interiore del paziente, e i fantasmi lasciano lo spazio ad una relazione vera, per quanto faticosa o conflittuale, ma vera. E’ proprio dalla relazione che dobbiamo partire per “guarirci”, e voi, che svolgete questa bella e sana attività di volontariato in ospedali e cliniche, avrete più di altri l’opportunità di conoscere i modi dello stare accanto. Li affronteremo insieme, nel corso dell’incontro formativo.

L’approccio al malato oncologico Dott.ssa Monica SEMINARA Psicologa-psicoterapeuta ( Collaboro con la Fondazione Faro )

AVVICINARSI AL MALATO ONCOLOGICO Avvicinarsi al malato oncologico e alle sue tematiche interiori significa avvicinarsi ai grandi temi della esistenza umana.. il dolore, la malattia, la morte.

Cancro come malattia mitica metafora del dolore e della morte

Malattie ugualmente gravi e spesso con minori possibilità di cura non presentano i contenuti terrificanti che vengono normalmente collegati alle malattie tumorali.

La malattia tumorale rappresenta la grande paura del nostro secolo. Eredita la paura atavica nell'Uomo della morte per consunzione.

La malattia tumorale viene associata alla morte e al dolore (associazione spesso non realistica, infatti sono molti i malati che guariscono e altrettanti coloro che non hanno un dolore). Appartiene ad un'area tabù.

La società contemporanea, come grandi storici hanno descritto, vive a differenza di altri periodi della storia una forte difficoltà a integrare la morte nella vita, nella propria "visione del mondo". L'enfasi sui progressi della scienza , sulla potenza e la forza della cultura occidentale induce negli individui una certa difficoltà ad accettare la precarietà della vita, la necessità della resa di fronte a tutto ciò che è ineluttabile, ad accettare sostanzialmente il limite costituito dalla morte.

Il percorso emotivo dell'ammalato di tumore e della sua famiglia

Accanto al decorso della malattia, quando questa risulta inguaribile, il malato attraversa un percorso emotivo, psicologico ed esistenziale che comprende tutta la gamma delle emozioni, un bilancio della propria vita e la ridefinizione dei valori e dei principi di riferimento interiori. Se le condizioni sono favorevoli, il percorso evolve fisiologicamente verso l'accettazione della propria malattia, del proprio destino. Accettazione intesa come punto di arrivo di un percorso interiore difficile e faticoso. Come il malato anche la sua famiglia viene investita in maniera massiccia dagli eventi legati alla malattia con

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ripercussioni sulle relazioni tra i componenti, sui ruoli famigliari, come il malato, attraverso un percorso interiore che, nelle situazioni migliori può sfociare nell'accettazione.

Fase di diagnosi

- Choc. Fase caratterizzata da stupore attonito.

- Negazione come reazione difensiva. Allo stupore segue un'irruzione nel mondo interno del malato di disperazione e angoscia. ll fantasma della morte è presente fin dalla diagnosi e pone al malato l'imperativo di un'elaborazione e riadattamento interiore come condizione indispensabile per poter vivere ancora il tempo che si ha davanti lungo o corto che sia.

- Crisi del principio di identità interruzione dei progetto di vita.

- Rabbia.

- Collera (perché proprio a me).

- La lotta. Strategia di adattamento alla malattia.

Fase recidiva e aggravamento

Cambiamento dell'immagine corporea che altera il principio di identità. Perdita del ruolo sociale.

- Ribellione Interna. Reattività spostata talvolta sui sanitari o sui famigliari.

- Depressione.

- Impotenza.

- Vergogna.

- Colpa.

Fase di inguaribilità

- La negoziazione. È una fase emotiva che implica una certa accettazione del proprio destino e una ridefinizione di obiettivi a breve termine. ("io lotterò per arrivare a vedere mio figlio sposato", "Se rinuncerò a questo ...". Il malato in questa fase viene a patti con la sua malattia. Gli obiettivi di vita vengono spostati a breve termine. È una fase emotiva molto vicina all'accettazione.

- L'accettazione. Punto di arrivo di un difficile e doloroso percorso esistenziale e psicologico. Punto di equilibro. Dolore quieto. Condizione che porta il malato a far decantare la rabbia e la disperazione per trovare una sorta di serenità interiore. Disinvestimento nei confronti del mondo che anticipa la separazione.

La famiglia

Anche la famiglia attraversa fasi parallele a quelle del malato passando lungo un percorso che dalla incredulità o dal rifiuto iniziale diviene disperazione con sentimenti di perdita del proprio congiunto vissuto come destinato a morire. Successivamente a questo primo impatto si struttura in genere nella famiglia uno stile di adattamento che caratterizzerà la relazione tra il malato e la sua famiglia dando la tonalità emotiva che accompagnerà anche le fasi di aggravamento e le settimane che precedono la morte. Anche per la famiglia accedere alla accettazione implica aprirsi a sentimenti di resa, rassegnazione, di affetto e comprensione del malato. Quando questo avviene si delinea quel raro scenario in cui la fase terminale rappresenta un periodo di commiato dal proprio congiunto, un tempo prezioso per condividere sentimenti, vissuti, desideri e paure. Si verifica talvolta un periodo di intimità che dà forza sia al malato che al famigliare.

I luoghi in cui si muore

- Morire in casa Recupero della intimità. Maggiore presenza affettiva. Qualità della vita. Identità. Ruolo. Rapporti con gli operatori più personalizzati. Maggiore peso per la famiglia.

- Morire in ospedale Annullamento della sacralità che c'è nel compiersi di una vita.

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Mancanza di intimità. Spersonalizzazione. Rischio di accanimento terapeutico.

Ovunque avvenga: restituire al morire la sacralità che la società moderna ci ha sottratto.

Iniziare un'esperienza di volontariato per porgere aiuto ad ammalati di tumore è una scelta emotivamente pregnante e coinvolgente, che mette in contatto con la sofferenza, con il dolore ed inevitabilmente apre domande e riflessioni sui grandi temi dell'esistenza umana.

Il malato di tumore, fin dalla diagnosi, si trova a dover affrontare nel suo mondo interno il tema della morte come possibilità reale di fine della vita.

Le malattie oncologiche, più di altre malattie ugualmente gravi, mobilitano la paura della morte e del dolore e si prestano ad essere vissute come "male oscuro", subdolo, ignoto e per questo particolarmente angoscianti.

Nel nostro contesto culturale i tumori rappresentano la malattia mitica per eccellenza, la grande paura del nostro secolo.

II malato nella fase iniziale della malattia è dominato da emozioni di paura ed angoscia, che mettono in crisi i riferimenti interni e lo stesso principio di identità della persona. Identità intesa come fine del progetto di vita, quindi il dissolversi della individualità, ma anche intesa come immagine di sé fisica: la malattia e la terapia alterano il corpo e pongono la necessità di ri-accettazione della propria immagine corporea (si pensi al cambiamento corporeo per interventi chirurgici mutilanti o alle alterazioni del viso per la perdita dei capelli e della peluria a seguito della chemio-terapia).

Le emozioni di paura ed angoscia che dominano la fase iniziale della malattia lasciano generalmente spazio anche alla speranza e alle strategie di lotta. La voglia di lottare, la speranza di guarire, accompagnano il malato spesso sino alla fase finale della malattia, convivendo con la consapevolezza della gravità della propria situazione.

La rabbia, la ribellione sono sentimenti che in alcuni momenti costituiscono dei carichi emotivi molto pesanti per il malato. Egli prova un senso di ingiustizia e di ribellione interna per la sventura che lo ha colpito. "perché è successo proprio a me?" "Che cosa ho fatto di male?" sono le domande che ricorrono e sottintendono ai sentimenti di rabbia.

L'accettazione della malattia quando non è curabile, l'accettazione del proprio destino è la condizione psicologica ed esistenziale che può portare il malato a superare la rabbia e la disperazione e a trovare una sorta di quiete interiore, di serenità nel prepararsi alla separazione della morte.

Lo choc iniziale e la paura di vedere sgretolare la propria identità ed il proprio mondo. La lotta e la speranza di guarire. La rabbia, la ribellione contro il destino e l'ingiustizia della vita. L'accettazione come condizione esistenziale difficile ma indispensabile per una morte serena.

Questo è il percorso emotivo dei malato, ma anche dei suoi famigliari, anche se non sempre, purtroppo, comprende l'accettazione finale. L'accettazione è la condizione per una morte dignitosa, quieta, serena e rappresenta l'obbiettivo che ci auguriamo tutti noi operatori oncologici e semplicemente persone che vogliono porgere aiuto a quanti si trovino ad affrontare la tappa più difficile della vita umana.

E se il compito più difficile è del malato che deve trovare dentro di sé le risorse per far fronte alla propria fine, è compito di tutti noi che lo circondiamo favorire le condizioni perché ciò possa avvenire:

con l'utilizzo della medicina palliativa per il controllo dei sintomi, soprattutto del dolore

con il riconoscimento della legittimità dei suoi sentimenti, delle sue paure e dei suoi desideri, senza ignorare né penalizzare anche le richieste che possono sembrarci più incomprensibili

condividendo e favorendo intorno a lui un clima emotivo di calore e comprensione umana.

Bibliografia Ariès Ph. Storia della morte in Occidente ed. Garzanti Milano 1978 Vovelle M. La morte e l'Occidente ed. Ed. Laterza Bari 1986 Kubbler-Ross E. La morte e il morire Ed. Tavistock Londra 1969 Lovera G. (a cura di) Il malato tumorale Ed. Medico Scientifiche Torino 1999

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Umanizzazione dell'ospedale pediatrico

Dott.sa Paola PECCO – già primario Ospedale Infantile Regina Margherita

UMANIZZAZIONE DELL’OSPEDALE PEDIATRICO

PAOLA PECCO - TORINO

COSA SIGNIFICA UMANIZZARE L’OSPEDALE ?

RENDERE L’OSPEDALE PIÙ ATTENTO AI BISOGNI DELLA PERSONA.

Preoccuparsi di umanizzare l’ Ospedale è un eccezionale successo nel percorso di

promozione della dignità e della cura del bambino malato

Vediamo perché

dico questo

BREVI CENNI DI STORIA PIÙANTICHI E PIU’ RECENTI

In Europa, fino all’800, il bambino non era oggetto di

interesse né per le Istituzioni né per la Scienza Medica

LA PEDIATRIA È UNA SCIENZA CHE NASCE IN

RITARDO RISPETTO ALLE ALTRE SCIENZE MEDICHE

Il primo testo di pediatria “De Morbis Puerorum”di G. Mercuriali esce nel 1583 e, per 2 secoli,

rimane pressoché l’unico

Era diviso in tre parti:

1°parte: Malattie esterne

2° parte: Malattie interne

3°parte: I vermi

Era grossolano e rudimentale anche per i suoi tempi.

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Fino alla fine del ‘700 la cultura Pediatrica non esisteva per diffuso disinteresse dei medici verso l’infanzia le cui cure venivano delegate alle madri

o alle nutrici.

I medici ritenevano impossibile curare esseri

che non erano capaci di dire di cosa soffrivano

La mortalità infantile in Europa era del 50%

LA PEDIATRIA COME SCIENZA HA POCO PIÙ DI 100 ANNI

Il primo manuale di Pediatria è stato stampato a Torino nel

1892 : “Delle malattie dei

bambini e delle loro cure” di F.Capasso

Nel 1882 l’Università di Padova, per prima,

istituisce l’Insegnamento della Pediatria,separato da quello della Medicina Generale e dell’Ostetricia

Nel 1901 il Ministro Nasi inserisce la Pediatria nel Piano di Studi del Corso di Laurea in Medicina come complementare e nel 1906 come obbligatorio

Nel 1898 a Torino era

stata fondata la Società Italiana di Pediatria

Anche l’Ospedale Pediatrico è “giovane”

•Nel 1769 George Amstrong a Londra fondò il primo Ambulatorio Pediatrico pubblico e gratuito,sostenuto da elargizioni caritatevoli.

•Nel 1802 viene inaugurato a Parigi il primo Ospedale Pediatrico: l’Hopital des Enfants malades.

•Nel 1834 viene inaugurato un Ospedale Pediatrico a S.Pietroburgo.

•Nel 1852 il Great Ormon Street Hospital a Londra.

A quel tempo gli Ospedali Pediatrici non ricoveravano bambini sotto i 3 anni perché troppo impegnativi!

A Torino nel 1845 nasce il 1° Ospedale Pediatricoin Italia: l’Opera Pia Barolo (S. Filomena) voluto

dalla Marchesa Giulia Falletti di Barolo.

•Nel 1880, in una casa di Corso Dante, il Dott. S. Lauria cominciò a ricoverare bambini.

•Nel 1883 un Regio Decreto riconobbe quella casa come l’Ospedaletto Infantile della città di Torino; la sua sopravvivenza era affidata alla carità e alle donazioni.

Nel 1901 l’ “Ospedaletto”cambia sede e prende il nome di Ospedale Infantile Regina Margherita

E’ AGLI INIZI DEL ’900 CHE ANCHE IN ALTRE CITTA’ ITALIANE NASCONO GLI OSPEDALI PEDIATRICI

Era il segno di un nuovo interesse per il bambino.

(Ancona, Brescia, Firenze, Genova, Roma, Trieste)

O.I.R.M.

QUINDI LA 1° CONQUISTA UMANIZZANTE PER IL BAMBINO E’ STATA L’AVERE L’OSPEDALE

PEDIATRICO…..

E PREOCCUPARSI DI UMANIZZARE QUESTO OSPEDALE E’ STATO UN PROGRESSO ECCEZIONALE NEL PERCORSO DEL RICONOSCIMENTO E DELLA

PROMOZIONE DELLA DIGNITA’ DEL BAMBINO

ANCHE LA CONQUISTA DEL RISPETTO DEL BAMBINO E’

RECENTE

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ALL’INIZIO DEL 1900:

• I neonati venivano fasciati in modo che non si potevano muovere per paura che le manovre dell’accudimento procurassero danni alla loro “fragile “struttura ossea.

• Venivano lasciati nella loro culla e ci si occupava di loro solo per i pasti e per i cambi dei panni.

ALL’INIZIO DEL 1900:

TUTTI, MEDICI, NONNI E GENITORI PENSAVANO CHE I NEONATI NON PROVASSERO SENSAZIONI E CHE NEPPURE VEDESSERO.

Ma poi si è capito che il bambino, come tutte le persone, ha dei diritti.

ANCHE IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DEI BAMBINI E’ UN

TRAGUARDO RECENTE

I DIRITTI DEI BAMBINIRiferimenti normativi

• Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del

fanciullo - New York 1989 (23 anni)

• Ratifica della convenzione di N.Y in Italia - Legge 27.5.1991 n. 176

• Istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia e dell’ Osservatorio per l’infanzia -Legge 23.12.1997 n. 45

• DM 24.4.2000-Progetto obiettivo Materno -Infantile relativo al PSN triennio 1998-2000

NEL PROGETTO OBIETTIVO SI DICE:

“Il ricovero deve essere garantito in strutture idonee all’età dei minori e non in strutture

dedicate agli adulti”

“..il bambino sia curato in Ospedale solo nel caso che l’assistenza di cui ha bisogno non

possa essere fornita altrimenti”

Il processo di umanizzazione ha avuto anche aspetti di tipo scientifico ed organizzativo.

•Ricovero solo quando è necessario

•Degenza breve

•Dimissione protetta

•DH-DS

•Ospedalizzazione domiciliare

•Monitoraggio domiciliare

……..

… ossia studiare alternative al ricovero

MA QUANDO IL RICOVERO ERA NECESSARIO, LA PRIMA GRANDE CONQUISTA PER IL BAMBINO E’

STATA IL POTER AVERE SEMPRE LA MAMMA ( O UN ALTRO FAMILIARE ) CON SE’.

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L’UMANIZZAZIONE DELL’OSPEDALE PEDIATRICO HA CERCATO DI NON DIMENTICARE

NESSUNO!

• Presenza dei genitori

• Allattamento materno

• Possibilità di toccare il bambino e prenderlo in braccio

• Attenzione ai segnali comportamentali del neonato per una “care” personalizzata (Programma NIDCAP)

Come “Umanizzare” i piccolissimi (TIN)

“UMANIZZARE” i neonati

Il neonato ed il lattante percepiscono soprattutto attraverso le sensazioni, il contatto ed il tono della voce piuttosto che attraverso il significato delle parole.

COSA SI FA

Rooming-in, Massaggio infantile,Sostegno all’allattamento

“UMANIZZARE” LA RIANIMAZIONE

• Presenza dei genitori

• Più vicinanza e meno sedazione …

è ancora un problema…

Occorre ancora pensare:

“UMANIZZARE” IL DOLORE

• Terapia del dolore ( Legge 38/ 2010)

• Prevenzione del dolore da manovre diagnostiche o terapeutiche

• Formazione

• Dal 2005 è operativo il COSD (Comitato ospedale senza dolore)

“ACCOGLIERE” IL DOLORE

Le tecniche ed i farmaci contro il dolore servono ai malati.Avvicinarsi, accogliere e meditare il dolore ( non solo fisico) serve anche a noi.

UMANIZZAZIONE VUOLE DIRE ANCHE QUESTO

E ANCORA:

• I muri colorati• Un letto per chi assiste• Un pasto per chi assiste • Il Cappellano in Ospedale• Una Casa di Accoglienza e

appoggio per i parenti• Le mediatrici culturali• ……..

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E ANCORA:

• Nome del bambino sopra il letto

• Orario pasti

• Scelta del menù

• Assenso informato o informazione anche al bambino

• Privacy

• Approccio …”Posso visitarti?”

Sicuramente ho dimenticato molte cose ma, per farsele venire in mente, è utile fermarsi,pensare e chiedersi:

“Se io fossi al suo posto ora, cosa vorrei?”

UMANIZZAZIONE DI LUSSO

NON BASTA UN ATTEGGIAMENTO HA UN COSTO …

… DI LUSSO ?

I BISOGNI DEL BAMBINO:

La routine

Gli affetti

Lo svago

CIOE’

•La routine è il sonno, il pasto, la scuola, il gioco …

•Gli affetti sono i genitori, i parenti, gli amici …

•Lo svago è tutto il resto …

“UN BAMBINO IN OZIO ha minori possibilità di essere sereno di un

bambino che ha cose interessanti da fare”

Rapporto Platt, 1959

Un bambino sereno guarisce primaPaola Pecco

… COSE DA FARE, GIOCO A TUTTE LE ETA’

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MA GESTIRE IL GIOCO NON E’ SOLO PER GIOCO:

Chi si occupa dello svago in Ospedale svolge anche un’azione significativa di

accoglienza,accompagnamento e sostegno dei bambini ricoverati, attraverso il gioco.

E INOLTRE:

Il Gioco, portato nelle camere del bambino o in sala gioco è una occasione di normalità e

distrazione e insieme momento di informazione e di comunicazione anche con i parenti.

E’ occasione di collaborazione con il personale sanitario e strumento per far crescere

l’ attenzione verso i bisogni del bambino.

Tutti gli Ospedali Pediatrici hanno le loro iniziative di umanizzazione

•Sale Giochi•Biblioteca•Musicoterapia•Pet-therapy•Massaggio infantile•Spettacoli•Pitture sui muri …..

Mi voglio fermare solo su alcune…….

•La Biblioteca•La Scuola•I Clowns•Le Associazioni di volontariato

LA BIBLIOTECA : BIBLIOMOUSE

Accoglie i bambini ed i loro genitori e da’ i libri in prestito ai bambini ricoverati.E’ anche un mezzo per insegnare ai bambini ed ai genitori che si può leggere.

LA SCUOLA IN OSPEDALE ALL’O.I.R.M.

1993: Scuola Media1996: Scuola Elementare2000: Scuola Materna2001: Scuola Media Superiore

LA SCUOLA IN OSPEDALE

La scuola in Ospedale dà al bambino la sensazione di normalitàLa scuola in Ospedale dà al bambino Speranza

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E POI CI SONO I CLOWN!

I CLOWN DOTTORI DI THEODORA

La mia esperienza è stata con un Clown-Dottore bravissimo, in arte Dottor Otto

paola pecco 63

Il Clown “dottore” in ospedale

Il clown in ospedale non ha lo scopo di fare uno spettacolo, non quello di negare al bambino la sua malattia, ma quello di fargli sperimentare la sua parte non malata.

COSA FA?

• Lavora nelle camere, con i singoli bambini in modo sommesso e ,prima di entrare, “bussa alla porta”

• Prima di iniziare, riceve le informazioni dal Personale del Reparto

• A fine lavoro condivide la sua esperienza con il Personale del Reparto

IL LAVORO DEL CLOWN DOTTORE E’ :

Un atto artistico professionale ed insieme un momento di empatia

.. in stretta interazione con l’Equipe Ospedaliera, nel rispetto delle singole competenze

.. in interazione anche con i Famigliari dei bambini, nel rispetto della loro sensibilità e dello stato d’animo contingente

MA, PER CAPIRE MEGLIO COSA FANNO I CLOWN-DOTTORI, VORREI LEGGERE

CON VOI

LA TESTIMONIANZA DI “PULSATILLA”

Pulsatilla si è avvicinata alla sofferenza del bambino.Tutte le persone che si prendono cura del bambino possono essere chiamate a farlo.

ESSERE CHIAMATE A PRENDERE PER MANO NEL CAMMINO E NELLA SOLITUDINE

DELLA MALATTIA

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Il rischio del bambino con malattia grave è la solitudine

Partiamo dalle testimonianze

”Io non faccio più piacere.Da quando sono stato sottoposto al trapianto di midollo osseo sento proprio che non faccio più piacere.Quando il dottore mi visita so che lo deludo.E’ triste.Mi guarda come se avessi commesso un errore.Ho capito che sono diventato un cattivo malato, un malato che impedisce di credere che la medicina sia straordinaria... e adesso tutti mi guardano allo stesso modo.”

VERGOGNA - SENSO DI COLPA

“Il dottore ha detto ai miei genitori che ha già tentato tutto..( io l’ho sentito di nascosto ).I miei genitori sono scappati e non sono venuti da me.Li detesto.”

TALVOLTA I GENITORI HANNO PAURA DI PARLARE CON I BAMBINI DELLA LORO MALATTIA.HANNO PAURA DI FERIRE IL BAMBINO.HANNO PAURA DI FERIRE SE STESSI.E IL BAMBINO RESTA SOLO.

Queste parole sono tratte da un libro ma riflettono quella che può essere la realtà.

Alcune testimonianze di bambini malati

Oncologia del San Gerardo di Monza

“…ti dicevo che devo morire. Mi dispiace.”“Ne hai parlato con la mamma?”“Mamma non sa che morire non è poi tanto brutto quando uno è pronto..Quando sarò pronta ne parlerò alla mamma.”

Sarina ad una volontaria

”Non dire tutta la verità a mio padre …”

“Vomito da solo, sennò mia madre si spaventa “

Giulia, 8 anni

Giorgio, 9 anni

Davide capisce che non guarirà.Ma non vuole dirlo ai genitori.Preferisce (o non può fare diverso) lasciarli nel loro tentativo di illuderlo, intuisce che quel “gioco” è un sollievo per i genitori.Ma sente il peso del segreto e vuole condividerlo con qualcuno che ne soffra meno.

Con chi possono condividere i bambini malati?

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Davide, 10 anni

“Loro non sanno che io so.”

Cammino sola verso il fiumeLa pioggia riga il mio volto. Lacrime.Il cielo è nero sopra di me ma non ho paura.Non mi sento sola.Qualcuno sta piangendo con me.

Francesca, 9 anni

( Gaslini- Genova)

E’ diversa, a volte così difficile da raggiungere, la solitudine dei bambini …Chi si prende cura di loro lo sa e cerca di raggiungerla..

La perdita della vita normale non può essere compensata del tutto dalla scuola, dalla sala giochi, dalla biblioteca..Cerca qualche cosa di più profondo e vicino …

Perché la metà nascosta del dolore è la solitudine, la difficoltà ad esprimersi, a comunicare, è la perdita del rapporto consueto.

Prendersi cura è alleviare questa metà nascosta perché non si guarisce solo col bisturi, con la chemioterapia, con l’ossigeno,con le flebo ….

Il rapporto con il bambino e con i suoi genitori può essere di un giorno o può essere di tanti giorni ( attesi con ansia) ma quello che contaè che sia sempre un incontro.

paola pecco 83

L’ Umanizzazione socializzante ha anche i suoi lati negativi

• Favorisce le infezioni ospedaliere

• A volte può creare confusione e interferire con i bisogni degli altri

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MA DA QUANDO CI SONO LE SALE GIOCO e tutto il resto..

• I bambini sono più contenti

• Le mamme sono più rilassate

• C’è più rispetto

• C’è più attenzione

• Tutti lavorano meglio

PERCHE’ TUTTE LE PERSONE CHE COLLABORANO ALL’UMANIZZAZIONE

CI INSEGNANO AD ESSERE PIU’ ATTENTI AI BISOGNI DEI BAMBINI

MA L’UMANIZZAZIONE DELL’OSPEDALE PEDIATRICO

NON PUO’ RIGUARDARE SOLO IL BAMBINO

ANCHE I GENITORI DEI BAMBINI MALATI HANNO DEI BISOGNI

Un figlio malato può essere un grosso problema ed un grande

dolore.

L’ ingresso in Ospedale è sempre e comunque un momento di disorientamento, di senso di dipendenza, di timore..

Le Associazioni di Volontariato operanti nell’Ospedale si

propongono di venire incontro anche ai bisogni dei genitori.

LE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO sono tante:

Ma quasi tutte dichiarano come prima attività:

ACCOGLIENZA E ASCOLTO

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ASCOLTO delle domande, delle incertezze, delle ansie, del pianto.

ACCOGLIENZA “familiare”, amica, rassicurante, informativa, di conforto e di confort.

I dubbi e le domande dei pazienti e dei genitori sonotanti e la possibilità e la disponibilità dei Sanitarinon sono sufficienti.

I VOLONTARI fanno da “ponte” tra il paziente e la struttura che spesso

incute timore.

I VOLONTARI aiutano i genitori ad essere più sereni .

Se i genitori sono più sereni i bambini stanno meglio.

TUTTE LE PERSONE CHE COLLABORANO ALL’UMANIZZAZIONE

CI INSEGNANO AD ESSERE PIU’ ATTENTI AI BISOGNI DEI BAMBINI

E DEI GENITORI

GRAZIE !

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L’uomo fragile: la malattia, la sofferenza, la cura

Breve storia e alcune riflessioni sull’assistenza al disagio fisico e psichico del malato

Dott. Francesco SCAROINA - Direttore Dipartimento Medico Ospedale S. Giovanni Bosco - Torino-

“Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, carcerato e siete venuti a trovarmi, malato e mi avete visitato”. (Matteo 25,37)

Caritas e Infirmitas sono concetti centrali nella spiritualità cristiana: essi completano la predisposizione filantropica presente nei precetti ebraici e nella patristica tardoantica. Caritas ha tre significati:

Deus caritas est (la natura del Dio vivente) Domus caritatis (un luogo d’assistenza) Caritas (elemosina)

All’inizio del medio Evo la cultura cristiana e sociale, in occidente, fa propri tutti e tre i significati e dà vita a Cesarea, in Cappadocia, per volontà di S. Basilio, il primo Ospedale di carità cristiana. Siamo nel 380: seguirà l’esempio la dama Fabiola in Roma. Dopo il 600, sempre a partenza dall’Oriente, la gerarchia ecclesiastica si impegna nella fondazione di Ospedali in una articolata tipologia di denominazioni che rimarrà uno dei tratti caratteristici dell'Ospedale bizantino: xenodochium (per gli stranieri), ptocheion (per i poveri), pandocheion (per i pellegrini), gerontocomio, orfanatrofio, brefotrofio, ecc. In occidente, oltre agli ospedali monastici, sorgeranno ospedali laici, per lo più sede di Università, e qui si formeranno i primi Collegi dei Maestri o Sapienti laici, da cui prenderanno nome di "Sapienza" le Scuole stesse.

La storia della medicalizzazione, intesa come impegno specifico nella cura dei malati parte dunque dall'ospedale medievale e si articola in varie fasi di cui la prima, non a caso, coincide con l'esperienza medica monastica e arriva, cronologicamente, al XIV secolo: si tratta di un periodo denso di avvenimenti in cui l'esperienza monastica ha un ruolo determinante nella definizione dell'uomo "malato". Il nesso povertà-malattia è il presupposto per una assistenza indifferenziata, indirizzata sia al pellegrino che si ammala, sia al malato in pellegrinaggio e finalizzata a rimettere questo viator in cammino, affinché si compia il percorso che è, nello stesso tempo, itinerario materiale e spirituale. Il nome e il concetto di infermo in questo periodo è strettamente legato, se non sovrapponibile, a quello di povero, rappresentando una categoria composita, senza eccessiva distinzione tra necessità economica e richiesta sanitaria. Sotto l'autorità dei vescovi, nei comuni, sorgono case ospitali urbane, mentre, sotto l'autorità degli abati, vengono allestite nei monasteri strutture specializzate in cui sono ricoverati i monaci malati, assistiti da un monaco infirmitario pratico di medicina. L'ampiezza dei locali destinati ai monaci malati fa immaginare, però, una progressiva apertura anche a persone esterne al monastero che condividono con i monaci l'esperienza della malattia e della guarigione, voluta da Dio e finalizzata a riscattare l'umanità malata nel corpo e nello spirito, in quanto peccatrice. L’impegno dei governi e dei Signori è praticamente nullo: il costume è di portare l’attività medica direttamente in casa, se il ceto è già leggermente superiore alla condizione del povero. Solo per il povero esiste, dunque, il ricovero e il Medio Evo cristiano dà quindi fondamento etico all'hospitalitas come comandamento e servizio al bisognoso, le cui premesse erano già state individuate nelle sette opere di misericordia corporale: <<L'ospedale medioevale riunirà in sé le funzioni di tre diverse strutture moderne, proponendosi come struttura sanitaria, ricovero per i poveri, punto di accoglienza per i pellegrini>>. L'evoluzione dell'assistenza ospedaliera medioevale documenta chiaramente la caratteristica di una ideologia della salute in cui la priorità spetta alla componente spirituale, mentre la sanità fisica è subordinata alla cura di un corpo che deve essere tutelato in quanto contenitore dell'anima. Nel Medio Evo la malattia viene vissuta in modo ambiguo, come male evidente e, nello stesso tempo, bene potenziale: la malattia è frutto della punizione divina in seguito al peccato originale, ma è contemporaneamente un'occasione di redenzione, per cui è necessario sopportarla e accettarla con piena sottomissione alla volontà di Dio. In base alla convinzione che la malattia è via perfectionis, la Chiesa elaborerà poi un sistema di medicina teurgica, indicando nell'impegno spirituale il mezzo per combattere la sofferenza fisica: lo stadio iniziale della guarigione sarà l'allontanamento della causa di malattia, cioè del peccato. Di conseguenza la confessione diventa l'atto più urgente al momento dell'ammissione in un ospedale e la figura del medico, in questo quadro ideologico, diventa accessoria, data anche la generalizzata impotenza dei mezzi terapeutici a disposizione. La rarità o l'assenza di interventi medici, infatti, non ha una influenza decisiva sulle sorti del malato ospedalizzato.

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In tali strutture rivestiranno un ruolo fondamentale gli amministratori e il personale e se anche verrà contemplata la figura del medico, l'assunto ideologico imporrà necessariamente come prioritaria la figura del capellano, o di più religiosi, incaricati di officiare i servizi. La pietas, cioè l'amore verso Dio, cresce progressivamente nella cultura sociale e sempre più si esprime nella caritas, cioè nell'amore verso il prossimo, traducendosi nelle opere di misericordia corporale, tra le quali assume importanza primaria quella di «visitare gli infermi» e servirli. Il servus Dei si trasforma in servus infirmorum. Il nome e il concetto di infirmus, cioè di malato, è, come già detto, strettamente legato al nome e al concetto di pauper, di povero: all'uno e all'altro si applica idealmente la figura del Cristo, povera creatura sofferente. I due nomi e concetti verranno progressivamente collegati e considerati sinonimi, citati in un solo fiato nella locuzione ricorrente: pauperes infirmi. Tra essi si realizzerà uno scambio reciproco di significati, facendo dell'uno e dell'altro, alternativamente, un attributo e un sostantivo: l'«infermo povero» e il «povero infermo». Se l'infermo povero sarà il malato indigente che sperimenta quanto più dura sia la malattia nell'estrema povertà, il povero infermo è il paziente da compatire, con il quale patire insieme, cum pati, intrattenendo con lui un rapporto di compassione e di simpatia. "Servi degli infermi" diventeranno pertanto coloro che, religiosi o laici, fratres o sorores, famuli o famulae, conversi o conversae, intratterranno questo rapporto di servizio caritatevole. In questa antropologia caritativa il servitore degli infermi non farà distinzione tra una superiore cura dell'anima e una inferiore cura del corpo; non distinguerà tra una salute cui ambire e una salvezza cui aspirare. Le pratiche, sacre e profane insieme, dunque, esercitate dai curanti dei conventi o dai monaci infirmitarii faranno del mestiere un'attività che con il tempo, attraverso un'attenta imitatio e una puntuale repetitio, diventerà sempre più approssimata all'«arte magistrale» esercitata dai maestri di chirurgia. Se la somministrazione di purganti e clisteri diventerà 1'«arte delle evacuazioni», la pratica del salasso con le sue regole fisse e le sue varie modalità esecutive diventerà 1'«arte della flebotomia», perfezionata e sofisticata, dando vita al primo embrione di medicina moderna. Per ogni malattia, o peccato corporeo, si individuerà una vena particolare da incidere e una ben determinata quantità di sangue da cavare. Le pratiche della chirurgia dei conventi, più perfezionate e diffuse, tendono poco per volta, nei secoli, a laicizzarsi e a svolgersi anche fuori le mura conventuali finendo per risultare inconciliabili con i veri fini del monachesimo. San Girolamo aveva già ammonito in una delle sue epistole: monachi officium est lugentis, non legentis (i monachi devono avere occhi per piangere di contrizione, non per leggere). Loro compito non era la lettura dei codici e dei testi di medicina da trascrivere, tradurre e chiosare, né tantomeno la pratica delle osservazioni mediche e delle operazioni chirurgiche, ma quello irrinunciabile della preghiera. Nascono i primi Ospedali laici, voluti dai Comuni. Nel 1248 vengono poste le prime fondamenta, in Firenze, di un ospedale che diventerà modello per tutta l’Europa: l’Ospedale di S. Maria Nuova, fondato da Folco Portinari, figlio di Ricovero Portinari e padre di Beatrice, l’ispiratrice di Dante. Emerge in questo periodo, finalmente, nelle comunità una grande attenzione per i malati e le persone infortunate, ancora su base volontaria, e, sempre, in Firenze, l'Arciconfraternita della Misericordia costituisce la prima istituzione di soccorso organizzato, seppur di ispirazione cristiana. Un merito da attribuire alla Misericordia sarà quello di utilizzare personale laico e volontario per i suoi servizi di soccorso. L'espletamento del servizio prevede l'anonimato del soccorritore che indossa un cappuccio, detto buffa, e il primo strumento adottato per il trasporto dei malati è la zana, specie di gerla dentro la quale si mette l'infortunato che viene trasportato a spalla. Negli anni successivi verrà utilizzato il cataletto a mano che poteva essere usato fino a tre miglia dalla città di Firenze. Successivamente, nasceranno altre Misericordie che svolgeranno tale servizio in tantissime località della Toscana. Poi inizia il mondo rinascimentale e il progredire verso il mondo moderno. Assistere gli infermi, sentimento e pratica che accompagna la storia dell’uomo, porta sempre a pensare che la malattia sia un attentato alla pienezza della vita: diminuzione delle forze, menomazione, minaccia e incrinatura dell'intera sfera relazionale. La nostra cultura e la nostra esperienza della malattia, propria e altrui, molto ha raccolto dalla tradizione ebraica e molto è rimasto nella comune interpretazione antropologica. Per la Scrittura la vita è relazione con Dio e con gli altri uomini, e la malattia è un attentato alla pienezza della vita non solo per la diminuzione delle forze e per le menomazioni che provoca a livello fisico, ma anche per la minaccia o l'incrinatura dell'intera sfera relazionale che essa comporta. Nella consuetudine ebraica è consentita la reistenza al dolore per vincerlo: l’obiettivo assoluto è una vita senza male e senza dolore. Ma la Scrittura mostra anche le tensioni e i conflitti che l'insorgere della malattia può causare fra il malato e i suoi famigliari: accenna al fatto che certe malattie emarginano l'uomo dalla società e ne provocano l'allontanamento dalla sua stessa famiglia, costringendolo a vivere fuori dal consorzio sociale. Mostra come la reintegrazione nel proprio ambiente sociale e famigliare sia spesso parte costitutiva della guarigione. Manca, comunque, nell’AT la positiva proposta di un modello etico per l’opera di misericordia :”visitare gli infermi”. Nel libro di Giobbe viene attestata l'usanza della visita al malato da parte di amici (Gb 2,11-13) o di parenti (Gb 42,11) o di conoscenti: sempre si tratta della visita compiuta da persone legate al malato da rapporti di amicizia o di parentela.

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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Ma colpisce il fatto che si tratta di amici che diventan nemici, di presenze che arrivano ad essere sentite come ostili da parte del malato.

Beato l'uomo che ha cura del debole, nel giorno della sventura il Signore lo libera. Veglierà su di lui il Signore … … non lo abbandonerà alle brame dei nemici. Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore; gli darai sollievo nella sua malattia. I nemici mi augurano il male: «Quando morirà e perirà il suo nome?». Chi viene a visitarmi dice il falso, il suo cuore accumula malizia e uscito fuori sparla.

Qui nasce il sospetto del malato verso chi lo visita: essi sanno e non dicono, anzi, dicono il falso! Forse si tratta solo di parole di circostanza, inconsistenti, vuote, non all'altezza della serietà della situazione, che essi dicono davanti a lui quando lo vanno a trovare, mentre fuori, nelle piazze, con le altre persone dicono tutt'altro circa la situazione del malato. O almeno il malato intuisce, sospetta questa doppiezza. Il malato si sente oggetto di discorso, in balia di altri: il suo dolore e il suo dramma restano estranei agli altri. Possiamo trarre, da questa brevissima lettura delle nostre tradizioni, che la questione è non solo se visitare un malato o no, ma come visitare il malato: occorre entrare nell'ottica che non si ha potere sul malato. Questo significa che la visita al malato è un'arte delicata e fine. Ha scritto l'esegeta Norbert Lohfink: "Chi è malato dipende da altri. Chi giace in un letto deve aspettare finché qualcuno va a visitarlo. E quando qualcuno arriva l'ammalato deve guardarlo dal basso all'alto" Chiunque va a visitare un malato sa che deve mettersi allo stesso livello degli occhi del malato per poter comunicare con lui. Insomma, gli amici di Giobbe ci dicono che non bastano le sole buone intenzioni per compiere in modo adeguato una visita a un malato, anzi, queste intenzioni possono essere pericolose. Occorre pertanto porsi una domanda: perché vado a trovare un malato? Perché vado a visitarlo? Gli amici di Giobbe sono rafforzati dalla sua debolezza, si nutrono della sua debolezza e impotenza. Vanno da lui, ma in realtà non lo incontrano! Per indicare la visita al malato l'ebraico usa un verbo che significa "vedere", ma questo "andare a vedere il malato" significa più in profondità "ascoltare" il malato stesso, lasciare che sia il malato a guidare il rapporto, non fare nulla di più di quanto egli consente. Se il verbo ebraico usato per dire visitare è vedere, è anche bene ricordare che vedere implica apprezzamento, considerazione, provvidenza, conoscenza. Essere visti-visitati deve cioè significare un essere apprezzati e dunque stimati e considerati, avere significatro per qualcuno. Colui che visita l’altro nella malattia gli narra l’interesse per lui attraverso l’interesse che lui stesso manifesta al malato, gli narra la provvidenza attraverso il proprio prendersi cura di lui, gli narra la conoscenza attraverso la relazione e la conoscenza in cui entra con lui. Visitandolo, fa emergere la significatività che il malato ha. Guai se dovesse avvenire il contrario! E cioè che la visita al malato diventasse un modo per essere rassicurati nella propria significatività. Il malato chiede di essere ascoltato, compreso, raggiunto in ciò che egli è. Il malato ha bisogno di affetto, di cose semplici, di parole dolci e di aiuti concreti e di essere tutelato nei suoi diritti. Ascoltare è permettere di essere presente l’altro. Tra le increspature che caratterizzano oggi la complessità organizzativa della nostra Sanità – forse ancora poco apprezzata, ma certo di grande impegno - sempre alta è mantenuta dagli operatori sanitari l’attenzione alla dignità della persona malata, sentita come condotta orientata al suo “servizio”, non esclusa la riserva delle risorse esterne. Le stesse regole deontologiche rafforzano questa forza nella relazione oltre la mission professionale. In tempi antichi e recenti molti gruppi volontaristici si sono affacciati sulla soglia dell’Ospedale e hanno chiesto l’autorizzazione alla sua frequenza, per “umanizzare” la vita all’interno delle corsie, là dove, di pari passo al progredire della scienza medica si correva il rischio di far scadere l’importanza del malato o ricoverato in quanto persona. Questo disagio, o inevitabile prezzo richiesto dalla tecnica, è diventato presto evidente allorché la Medicina ha centrato i suoi obiettivi più sulle tecnologie più sofisticate che sulla relazione umana. E’ incontestabile che i successi, in termini di efficacia e di risultati sono a vantaggio della tecnologia e della ricerca, disumanizzanti, forse, ma sicuramente più precisi. Ma all’uomo malato tutto ciò non basta: non per un delirio di incontentabilità, ma per una intrinseca esigenza di accompagnamento umano alla sofferenza. Il malato conta e conterà sempre sulla misericordia e sulla caritas e mai rinuncerà alla citazione evangelica di

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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Matteo: “Ero malato e mi avete visitato”. Una soluzione, quindi, è sempre stata presente nel tormentato percorso della malattia, quella dell’impegno volontaristico. Il volontariato, ben guidato, ovviamente, comprendendo che la sofferenza umana non può essere vinta solo con la tecnica, ha proposto l’inserimento nella struttura pubblica di alcuni collaboratori che, senza sostituire alcuno, si offrono per riempire i vuoti che l’evoluzione tecnica e sociale ha creato nel rapporto malato-struttura. Magari, anche, per riempire i varchi che lo stesso nucleo familiare lascia aperti! Il motto è: “costruire ponti, non solitudini”. Forza nella debolezza. Il Cardinale Veuillot aveva lasciato questa sua impressione, parlando a un gruppo di volontari: “Noi sappiamo pronunciare belle frasi sulla malattia: io stesso ne ho parlato con calore. A volte è meglio non dire niente: noi ignoriamo quello che è veramente la malattia". E Paul Ricoeur aveva completato: "L'enigma del male e l'enigma dell'irriducibile sofferenza resiste ad ogni sapienza e sanziona lo scacco di ogni discorso, soprattutto del discorso concettuale”. Più che parlare di malattia occorrerebbe osservare e ascoltare il malato, colui che nella sua situazione di sofferenza ha veramente qualcosa da dirci o da insegnarci, colui che può rivelare noi a noi stessi, mettendoci alle strette circa il "serio" della vita. È essenziale rischiare una parola su questa realtà che fa parte di ogni vita umana, perché se la parola è ciò che specifica l'uomo, è nell'atto di parlare che noi potremmo inventare dei cammini di senso. Dunque, fra l'impotenza del mutismo e la presunzione arrogante delle parole certe e definitive, ci è chiesto di usare una parola, una parola umile che, sorgendo dal silenzio, riviva in se stessa il dinamismo pasquale della morte-resurrezione. Nessun uomo conosce una strada che aggiri il dolore, ma piuttosto una strada che con il prossimo ( e se ci crede … anche con Dio) lo attraversi. Nella realtà, più che la sofferenza, noi incontriamo uomini e donne sofferenti: la malattia noi la vediamo nel volto e nel corpo di persone afflitte da malattie diversissime. Imaginiamo l'angoscia del sieropostivo, o la rassegnazione del portatore di handicap fisici, oppure ancora il disagio sociale del malato segnato da malattie psichiche, o l'assenza tormentata del demente. E così tante altri diversissime situazioni. Vi è una maniera assolutamente peculiare con cui ciascuno reagisce alla stessa malattia, maniera che è afferente alla biografia e all'esperienza personale del malato, al suo mondo di riferimenti culturali religiosi. Se la malattia rischia di spersonalizzare il malato, è anche vero che il malato personalizza la malattia. Il che significa che ciascuno, della sua malattia e a misura di ciò che gli è possibile, e grazie all'aiuto di chi eventualmente lo assiste e accompagna, è chiamato alla responsabilità di "dotare di senso" la propria sofferenza. II malato è chiamato ad assumere la lotta contro il suo male proprio nella situazione di debolezza in cui lo pone la malattia. E una debolezza molteplice: non solo fìsica, ma che investe il livello psichico, affettivo, relazionale. Il malato è una totalità che soffre. Nella malattia tutte le relazioni, con se stesso, con gli altri, con le cose e con Dio, subiscono un profondo mutamento. Il rapporto con il corpo, con il tempo, con la parola e dunque con gli altri è profondamente sconvolto per il malato che si trova in una situazione di radicale bisogno. Vi è come un'umiliante regressione a uno stato di dipendenza dagli altri, ci si trova consegnati in mano di altri, in una avvilente riduzione all'impotenza. Il malato conosce l'esperienza della fragilità, della finitezza, della distanza e dell'estraneità da sé e dagli altri; patisce la malattia come drammatica epifania del limite. In Ospedale, allora, può avvenire l’incontro, e l'incontro è il luogo privilegiato dell'espressione dell'esperienza spirituale. Perché avvenga vero incontro occorre però entrare nell'accettazione della propria impotenza e limitatezza: solo allora sarà possibile il riconoscimento reciproco, sarà possibile l'incontro come condivisione della povertà di ciascuno. Lì si sperimenta la potenza della debolezza del malato: essa rivela le ribellioni, le oscurità del cuore, le presunzioni, le illusioni, le superficialità, le inadeguatezze che abitano in chi Io accompagna e gli è accanto. Nel libro islamico del Qur’an, sura il Profeta ricorda: «La carità è un obbligo per ogni musulmano, e colui che non avesse i mezzi faccia una buona azione o eviti di commetterne una sbagliata. Questa è la sua carità. Il sorriso ai vostri fratelli è carità, la vostra esortazione a compiere buone azioni è carità, così come proibire le cose vietate è carità, dare indicazioni della strada a coloro che si sono persi è carità e la vostra assistenza ad un malato è carità»

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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L’organizzazione AVO all’interno degli ospedali

Luca Audi – Consigliere, Coordinatore Responsabili Ospedali

“… ciò che lega la barca al molo è la corda

e la corda è fatta di fibre,

ma la forza della corda non dipende dalle fibre

che la percorrono dall’inizio alla fine,

per tutta la sua lunghezza:

dipende dal fatto che ci sono innumerevoli fibre

parzialmente sovrapposte.

L’intreccio è un’opera di costruzione.”

Wittgenstein

Dove siamo presenti:Gradenigo

MartiniMaurizianoSan Giovanni Antica SedeIstituto Riposo per la VecchiaiaRegina MargheritaSan Giovanni Battista MolinetteRSA Via BotticelliS. AnnaSan Giovanni BoscoCentro diurno AuroraR.S.A. Senior Residence C.T.O. – U.S.U.R.S.A. Senior Residence

AVOTorino

N° 919 Volontariche prestano servizio

Siamo presenti con:

AVOTorino

per un totale di circa 83.000 ore/annue

N° 15 Responsabili di Ospedale

N° 15 Responsabili di Formazione

N° 36 Coordinatori

Siamo impegnati con:

AVOTorino

AVOTorino

Ruolo e compiti

Chi sono e cosa fanno:

-Responsabili di Ospedale -Responsabili di Formazione-Coordinatori

AVOTorino

Responsabili di Ospedale

Rapporti con i Volontari

Rapporti con la Struttura

Rapporti con l’Associazione

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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Responsabili Formazione

Curano la formazione dei volontaricoordinati dal consigliere di formazione

Diffondono corsi specifici

AVOTorino

Coordinatori di reparto

Rapporti con i Volontari

AVOTorino

TUTOR

Accompagna i volontari durante l’inserimento

Martini

• Accoglienza

• Cardiologia

• Chirurgia

• Degenza temporanea

• Geriatria

• Nefrologia

• Neurologia

• Ortopedia

• Pediatria

• Pronto Soccorso

• RSA via Gradisca 10

Orario standard dal lunedì al venerdì

Mauriziano

• Medicina Generale 1

• Medicina Generale 2

• Medicina generale lunga degenza

• Riabilitazione funzionale

• Dialisi

• Chirurgia Vascolare

• Ortopedia

• Accoglienza anche sabato mattina

• Punto d'ascolto

Orario standard dal lunedì al venerdì

San Giovanni Antica Sede

• Accoglienza

• Radioterapia

Orario standard dal lunedì al venerdì

Ospedale Infantile

Regina Margherita

• Lattanti

• Neuropsichiatria

• Chirurgia

• Neurochirurgia

• Chirurgia neonatale

• Pneumologia

• Ortopedia

• DEA degenza temporanea

• Centro Ustionati

• Pediatria (day hospital

bimbi down)

Orario 8 ÷ 21 dal lunedì alla domenica

Molinette

• Triage (prima accoglienza di Pronto Soccorso)

• Pronto Soccorso 4 turni di 3 ore dalle 9 alle 21

• Medicina 4

• Medicina 6

• Medicina 2

• Neurologia

• Pneumologia

• Oncologia 1

• Oncologia 2

• Neurochirurgia 2

Orario standard dal lunedì al venerdì

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

43

Sant’Anna

• Ginecologia A-B-C

• Ginecologia Oncologica A-B-C

• Ginecologia A I° clinica

• Ginecologia B II° clinica

• Accettazione (Pronto Soccorso)

• Day Hospital Oncologico dalle 9 alle 13

• Ostetricia alta complessità

Orario standard pomeriggio dal lunedì al sabato mattina

San Giovanni Bosco

• Geriatria

• Ortopedia

• Medicina B

Orario standard dal lunedì al sabato mattina

San Giovanni Bosco

R.S.A. via Botticelli

C.T.O.• Accoglienza• Orario 9 – 12 dal lunedì al venerdì

• Recupero funzionaleOrario standard dal lunedì al venerdì

• Ambulatorio Ortopedia

Centro Diurno Aurora• Malati Alzheimer

0rario 10 – 13 dal lunedì al venerdì

Unità Spinale Unipolare• Reparto Mielolesi• Reparto di celebrolesioni gravi

I.R.V. via S. Marino

R.S.A. Senior Residence

R.S.A. Crocetta

Gradenigo

• Medicina

• Gastroenterologia

• Ortopedia

• Lungodegenza

• Riabilitazione

• Oncologia

• Pronto Soccorso

Orario standard dal lunedì al sabato

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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L’anziano e i suoi problemi: bisogni reali e desideri

Dott. Maurizio ROCCO - geriatra 1° livello Istituto di Geriatria Ospedale Molinette di Torino

L’ANZIANO E I SUOI

PROBLEMI

bisogni reali e desideri

Maurizio Rocco

Dirigente Medico

SSCVD - Ospedalizzazione a Domicilio

Azienda Ospedaliera “Città della Salute e della Scienza”

sede Molinette

L’ANZIANO E I SUOI

PROBLEMI

bisogni reali e desideri

Maurizio Rocco

Dirigente Medico

SSCVD - Ospedalizzazione a Domicilio

Azienda Ospedaliera “Città della Salute e della Scienza”

sede Molinette

L’ANZIANO E I SUOI

PROBLEMI

bisogni reali e desideri

Maurizio Rocco

Dirigente Medico

SSCVD - Ospedalizzazione a Domicilio

Azienda Ospedaliera “Città della Salute e della Scienza”

sede Molinette

L’ANZIANO E I SUOI

PROBLEMI

bisogni reali e desideri

Maurizio Rocco

Dirigente Medico

SSCVD - Ospedalizzazione a Domicilio

Azienda Ospedaliera “Città della Salute e della Scienza”

sede Molinette

CAMBIAMENTI DEMOGRAFICI

Secondo i dati del Censimento del Regno d’Italia del 1901, su una popolazione di circa 32,4 milioni di abitanti, gli ultraottantenni erano appena 194.000, lo 0,59% della popolazione totale; un secolo dopo, nel Censimento del 2001 gli ultraottantenni erano 2,4 milioni pari al 4,27% della popolazione totale con un incremento di ben 12 volte rispetto al 1901 con una popolazione totale che nel frattempo non era neanche raddoppiata (dal sito ufficiale ISTAT)

• E’ in età avanzata, 80 e più anni, che si manifestano più frequentemente le alterazioni che rendono l’anziano più fragile e più probabile la perdita dell’autosufficienza ed è proprio questa la fascia di età in cui si prevede il maggior incremento numerico.

ETA’ MAGGIORE DI 80 ANNI

• Nel 2000 la popolazione di età maggiore o uguale a 80 aa. era composta da 2.259.865 abitanti pari a quasi il 4% del totale di cui 1.534.896 femmine e 724.969 maschi.

• Secondo le proiezioni dell’ISTAT nel 2025 la popolazione > di 80 aa. potrebbe ammontare a circa 4.700.000 individui con un incremento di circa il 110% rispetto al 2000 con una popolazione totale prevista sostanzialmente stabile.

L’anziano e la malattia

Il processo involutivo che coinvolge tutti gli organi determina una maggiore facilità ad ammalarsi. La malattia nell’anziano presenta alcune peculiari caratteristiche:

1. Presentazione spesso atipica con sintomi a volte lievi, a volte insoliti.2. Coesistenza di più malattie importanti nello stesso soggetto3. Alta probabilità di perdita dell’autosufficienza.4. Facilità di eventi patologici a “cascata” (da una prima malattia ne

seguono altre con aggravamento del quadro clinico)5. Coesistenza di problemi di deterioramento cognitivo (demenza) con seri

problemi di ordine assistenziale.

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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PREVENZIONE

Prevenire è sempre meglio che curare, la migliore prevenzione per invecchiare bene è fare una vita sana da giovani e da adulti. Se si usura il proprio

organismo con abitudini e comportamenti scorretti e dannosi, da anziani se ne pagano

maggiormente le conseguenze.

Tra le caratteristiche più tipiche dell’anzianonei confronti della malattia ricordiamo:

• la facilità della perdita dell’autosufficienza

• la presenza di problemi di deterioramentocognitivo

PREVENZIONE

• Preservare la salute psichica: l’ansia, lo stress, una condotta di vita insoddisfacente sono fonte di malessere psichico, che se prolungato nel tempo è causa di malattie anche fisiche ed anche di invecchiamento precoce.

• Le difficoltà, gli ostacoli, i dispiaceri nella vita, a volte anche molto duri, sono purtroppo inevitabili, affrontarli con un atteggiamento positivo ci aiuta a preservare anche la nostra salute fisica.

PREVENZIONE

Una buona alimentazione è importantisima per mantenerci in buona salute, a volte l’alimentazione dell’anziano è impropria per alcuni motivi quali:

1. Alterazioni dentarie

2. Riduzione del senso del gusto

3. Depressione con perdita dell’appetito

4. Impoverimento nel cucinare (tipica è la cena con solo caffelatte o comunque monotonia nella dieta)

5. Riduzione del senso della sete

PREVENZIONE INVECCHIAMENTO CEREBRALE

Teniamo allenato il nostro cervello anche da anziani, stimoliamolo con nuove esperienze, manteniamo sempre la curiosità per ciò che ci circonda, leggere, scrivere, giocare con giochi che stimolano il ragionamento servono per tenere attivo ed allenato il cervello. Il cervello è un po’ come un muscolo, più lo teniamo attivo e meglio funziona; non c’è un’età in cui si finisce di imparare!!

• Con l’invecchiamento le modificazioni del proprio aspetto esteriore, l’estromissione dal mondo del lavoro con il pensionamento, l’insorgenza di limitazioni funzionali anche non gravi, possono determinare sconforto e depressione a cui il soggetto a volte risponde con l’isolamento.

• La persona va aiutata ad accettare tali modificazioni, su questo molta importanza hanno i familiari e le persone in genere con cui il soggetto ha rapporti.

• Le relazioni con gli altri hanno un ruolo fondamentale per il benessere generale, così come la capacità di gestire le proprie emozioni.

• Una vita di relazione ricca, una situazione sentimentale e familiare serene ed appaganti sono un’ottima medicina per favorire un buono stato di salute anche in età avanzata.

COME INVECCHIARE BENE Gli anziani non hanno bisogni particolare rispetto alle

persone adulte o giovani, quindi anche per i soggetti anziani contano l’armonia familiare, una certa disponibilità economica, condizioni di salute accettabili.

Sono utili anche in età avanzata una vita sociale attiva, ricca di incontri ed esperienze che possano gratificare la persona, utile quindi la frequentazione di circoli culturali, politici, religiosi ecc. in cui il soggetto possa portare il suo contributo, esprimere le sue idee .

Molto utile per invecchiare bene è svolgere attività sportiva non faticosa, adatta alle proprie condizioni fisiche

In tale contesto l’iscrizione ad associazioni di volontariato è particolarmente gratificante in quanto si opera aiutando persone bisognose, nell’aiutare gli altri aiutiamo anche noi stessi a superare problemi e difficoltà contingenti.

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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La geriatria ha introdotto un diverso approccio al malato,

basato sulla “valutazione multidimensionale “

in cui vengono esaminati globalmente le condizioni di

salute fisica ed il benessere socio-ambientale e psico-

fisico

Per invecchiare bene occorrono un buon

patrimonio genetico e lo svolgimento di una

vita sana sin dalla giovane età.

SERVIZI PER GLI ANZIANI CON PROBLEMI DISALUTE E/O LIMITAZIONI DELL’AUTOSUFFICIENZA

Territoriali: ADP, ADI, supporti domiciliari (colf, pasti caldi a domicilio), assegno di cura, centri diurni

Istituzionalizzazione: Residenze assistenziali, Residenze sanitarie assistenziali, ricoveri di sollievo tramite passaggio dall’UVG (Unità di valutazione Geriatrica)

Ospedalieri: reparti di geriatria preferibilmente , come alternativa al ricovero ospedaliero da menzionare l’Ospedalizzazione a Domicilio

% RICOVERO PER CLASSE D’ETA’

DATI DEL PS DELLE MOLINETTE

< 66 anni: 9,94%

66 - 70 anni: 29,82%

71 - 75 anni: 34,62%

76 - 80 anni: 41,59%

81 - 85 anni: 45,45%

86 - 90 anni: 50,25%

> 90 anni: 53,25%

Dati PS A.O.U. Molinette (Dr. Moiraghi)

Piano Sanitario Nazionale 2002-2004

OSPEDALIZZAZIONE A DOMICILIO

L’ospedalizzazione domiciliare è definita

come la modalità attraverso cui le strutture

ospedaliere, in considerazione di specifiche

valutazioni, seguono con il proprio

personale, direttamente a domicilio, pazienti

che necessitano di prestazioni con

particolare complessità, tali da richiedere un

processo assistenziale di livello ospedaliero.

Dal 1985 ad ora sono stati

effettuati circa 12.000 ricoveri

Ospedalizzazione a Domicilio

TRATTAMENTI NON FARMACOLOGICI

• Visite mediche ed infermieristiche

• Fisioterapia

• Counselling

PROCEDURE E TRATTAMENTI

Prelievi ematici venosi ed arteriosi

Elettrocardiogrammi

Spirometrie, misurazione Sat.O2

O2 terapia ed altre terapie respiratorie

Gestione terapia farmacologica orale (inclusa

TAO) ed infusionale (inclusi antibiotici e farmaci

citostatici)

Trasfusioni di sangue ed altri emoderivati

Trattamento chirurgico di ulcere da decubito

Ecografie internistiche

Ecocardiogrammmi

Ecodoppler venosi ed arteriosi

Esecuzione di paracentesi, salassi

Posizionamento di SNG e strumenti tipo Holter

Telemonitoraggio

Ospedalizzazione a Domicilio di Torino

Le migliorate condizioni di vita ed i progressi della medicina hanno

determinato un notevole allungamento della vita media.

Questo è un grande risultato, ma non basta se contemporaneamente

a dare anni alla vita, non si dà vita agli anni!

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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AVO Giovani Samantha Ursi -

Consigliere Esecutivo AVO Torino

• L’A.V.O. Giovani rappresenta la forza, la vitalità e il futuro dell’A.V.O. Torino.

• L’A.V.O. Giovani è composto da giovani volontari con un’età compresa tra i 18 ai 40 anni, che offrono il loro tempo per diverse attività sia presso gli ospedali, cercando di dare un po’ di sollievo e di portare solidarietà ai pazienti, sia in diverse manifestazioni cittadine, tramite l’allestimento di stand per promuovere e per far conoscere la propria associazione.

• L’AVO Giovani nasce nel 1999 dagli incontri tra giovani volontari e dietro sollecitazione del Consiglio Federavo, con lo scopo di arricchimento formativo, approfondimento di tematiche riguardanti lo spirito di servizio e lo sviluppo di iniziative a sostegno dell’attività di volontariato.

• L’AVO Giovani ha il compito di concorrere allo sviluppo dell’Associazione nel territorio tramite apposite iniziative individuate in base a criteri di opportunità secondo le necessità del momento e la sensibilità dei soggetti membri, garantendo così la continuità della nostra associazione.

ATTIVITA’• Servizio in ospedale. La sua missione principale.

• Promozione. Far conoscere la propria associazione, tramite

• l’allestimento di banchetti durante eventi particolari (giornate del volontariato, mercatini di Natale…)

• l’informazione nelle scuole

e sensibilizzare alla cultura della solidarietà

• Formazione. Per un servizio più qualificato.

• Animazione. nei reparti ospedalieri e nelle RSA per donare un sorriso a chi soffre

.

• SOCIALIZZAZIONE per incentivare la conoscenza tra i volontari, motivarli e consolidare la loro presenza nell’associazione intesa come comunità di amicizia.

• Gite e creazione di una rete d’amicizia.

- Incontrarsi con i volontari delle altre A.V.O. nazionali per capire come sono strutturate, per confrontarsi sulle attività passate e future e per scambiarsi consigli ed idee.

- Vedersi e divertirsi anche al di fuori dell’ambito del volontariato (apericena, discoteca) per creare un gruppo più unito.

.

• I GIOVANI E L’ALTRO

Il Giovane nello svolgere servizio si relaziona con l’altro, donando se stesso e il proprio tempo.

Gli effetti e le caratteristiche di questo rapporto sono:1. Crescita del giovane

2. Entusiasmo da cui attingere nuova forza

3. Rimarcare l’importanza del “farsi prossimo”

4. Fiducia nelle nuove generazioni

5. Considerazione positiva della vita,anche nei suoi momenti più difficili

6. Affermazione della dignità umana.

COME PARTECIPARE

• L’A.V.O. Giovani è un gruppo sempre aperto a nuove idee e proposte e all’arrivo di nuovi giovani volontari. Per contattarlo: [email protected]

• L’A.V.O. Giovani si riunisce periodicamente per organizzare il proprio lavoro durante gli eventi, ma soprattutto, per confrontarsi sul servizio offerto, sul come migliorarlo e per condividere le proprie proposte.

COME ESSERE INFORMATI

L’A.V.O. Giovani ha:

• una propria rubrica nel giornale dell’associazione “AvoTorinoInforma” (per rendere partecipi delle loro esperienze

anche gli altri volontari.)

• una propria sezione “AVO GIOVANI” sul sito www.avotorino.it (foto, articoli, news, bacheca)

• Un suo gruppo su:

• Facebook: AVO Giovani - Torino

• Twitter: @AVOGiovaniTo

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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AVO Torino Informa Eugenia BERARDO –Responsabile Giornale AVO Torino Informa

AVO TORINO INFORMA è il nostro periodico che esce tre

volte all’anno (marzo, giugno e novembre), a colori e in

formato 16 pagine.

La tiratura media è di 1.300 copie per ogni uscita; copia del

giornale è spedita per posta (usufruendo di una tariffa

speciale) a tutti i soci (Volontari in servizio e non in servizio), a

Enti, Associazioni, Autorità cittadine e a tutte le AVO del

Piemonte e delle altre regioni.

Il gruppo di redazione è attualmente composto da 8 volontari,

ma tutti possono concorrere con consigli, proposte, critiche ecc.

perché il nostro è un giornale fatto da volontari (nessuno di noi

è giornalista o esperto) per i volontari.

Il piano editoriale è strutturato in rubriche. L’obiettivo è quello

di creare un periodico di informazione e di formazione, utile a

far conoscere la nostra realtà associativa, ma non solo. A questo

scopo la Redazione si impegna a scegliere argomenti di

formazione e riflessione che possano essere di stimolo al

confronto e di suggerimento per la nostra vita e per il nostro

impegno di volontari.

Uno spazio importante è riservato all’ AVO GIOVANI, per dar

voce al loro gruppo e alle loro iniziative.

Per la realizzazione del nostro giornale sono importanti

riflessioni, testimonianze, storie e poesie che ci pervengono dai volontari. Scrive James Hillman ne “La forza del carattere”: “Le storie che raccontiamo alla fine si prendono cura di noi. Se ti arrivano

delle storie abbine cura. E impara a regalarle dove ce c’è bisogno. A volte una persona per sopravvivere ha bisogno di una

storia più ancora che di cibo. Ecco perché inseriamo queste storie nella memoria gli uni degli altri. È il nostro modo di

prenderci cura di noi stessi.

Il sig. Giuseppe, anziano e malato, nel giorno di san Valentino mi chiese di andare a comprare una

rosa per sua moglie che gli avrebbe fatto visita all’ora del pranzo, dicendo: «Sa, l’ho sempre

comprata io, ma questa volta proprio non posso farlo! Per favore, può farlo lei?»

Emilio

Amo questo servizio e ogni venerdì esco dall’ospedale

felice anche se ho dato solo un cambio, fatto sorridere

un bimbo o ascoltato le paure di una mamma. Il giorno

dopo li penso uno per uno i “miei” bimbi, e qualcuno

mi rimane nel cuore a lungo, forse per sempre.

Talvolta è difficile accettare che una piccola vita abbia

già sofferto tanto. Ma il venerdì successivo sono

pronta a ripartire, e a regalare il poco che posso

regalare. Un caro saluto e un abbraccio

Loredana

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AVO Torino – 65° Corso di Formazione Base

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Il Gruppo e l’Associazione Laura MONTANARO - Volontaria ospedale Martini

(già responsabile di formazione del Consiglio Esecutivo)

Art. 10 del Decalogo AVO: ……Ogni volontario deve impegnarsi ad alimentare l’amicizia e la cordialità nel gruppo, perché questo calore umano si riversi sul malato e sull’Associazione.

La società moderna ci spinge sempre più verso l’individualismo e purtroppo anche il mondo del lavoro porta sempre più ad ignorare i bisogni fondamentali della persona, anzi preme per una competizione senza regole e ci riporta alle leggi della giungla, della sopravvivenza in cui tutto è permesso. Entrare nel mondo del volontariato è un tuffo in una dimensione diversa, diametralmente opposta a quella che abbiamo appena esaminata. Per di più, a differenza di altri volontariati che vengono svolti in maniera individuale, il nostro, l’AVO, è per sua natura un volontariato di gruppo. Noi indossiamo un camice che ci rende uguali agli occhi di chi ci incontra, sia il malato o il parente, ma anche il personale ospedaliero e dobbiamo confrontarci con i colleghi per poter mantenere quelle caratteristiche di uniformità di servizio che ci contraddistinguono.

Cosa vuol dire? Si sceglie l’AVO per stare vicino ai malati e la vostra attenzione è giustamente focalizzata su questo aspetto che è lo scopo del nostro servizio, quella che oggi si chiama la “mission”. Quest’aspetto lo approfondirete, e lo state già facendo, con esperti e psicologi che vi parleranno della relazione che si instaurerà tra voi e il malato e vi daranno importanti spunti di riflessione. Noi oggi, invece rifletteremo insieme sull’altro aspetto del volontariato AVO: il gruppo, l’associazione. Ci siamo resi conto nel tempo che è una cosa difficile da coltivare, da far crescere se non c’è già in partenza questo modo di interpretare l’associazione, questa apertura verso gli altri volontari che operano nell’associazione. Il passaggio dal tu al noi richiede un notevole sforzo anzi è una faticaccia.

Proviamo ad esaminare i vantaggi e le difficoltà di appartenere ad un gruppo. Vantaggi: - tutelati dall’associazione (convenzione, assicurazione, organizzazione) - scambio di esperienze e di idee - confronto - condivisione - stimolo - appoggio emotivo - legame.

Il gruppo è scambio di energie: Ognuno di noi con il suo comportamento, determina l’andamento del gruppo, anche i silenzi, il posto a sedere scelto durante le riunioni, ecc. sono importanti. Ognuno prende posizione anche se non ne ha l’impressione. Il gruppo ha una forza ben superiore alla somma delle singole forze dei partecipanti per cui il gruppo deve diventare coesione di energie. Difficoltà:

obbligo al rispetto delle regole. Non posso fare come voglio, ma devo attenermi alle regole dell’Associazione. Devo rispettare l’orario di servizio, avere un determinato comportamento che l’AVO mi insegna, partecipare alle riunioni.

perdita di individualità. Il gruppo è un insieme di diversità, ma proprio l’accettazione dell’individualità di molti crea ricchezze di idee e di comportamenti, potenzialità che possono portare a grandi risultati.

fatica. Perdita di tempo, parole, talvolta si fa più in fretta a fare da soli, ma il rischio è di ritrovarsi da soli, mentre condividendo con gli altri le proprie esperienze e le proprie idee, ci si migliora.

sofferenza. Occorre imparare a stare con gli altri, è un esercizio di tolleranza perché accettare i difetti, le diversità degli altri ci può far star male.

Come ci relazioniamo in un gruppo? In un libro molto interessante che vi consiglio di leggere “Dalle parole al dialogo” di G. Colombero, ho letto una spiegazione dei comportamenti degli individui che mi è molto piaciuta e che vi propongo. Ci sono quattro modi di stare nella relazione interpersonale:

Essere tra:

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indicativa di una relazione povera, si sta e basta, è assenza di dialogo, l’altro è un altro, un diverso, un forestiero: lo conosco e lo ignoro. Il vero estraneo è colui che non genera né amore né odio, è emotivamente lontano, è come se non ci fosse. Si può essere uniti nella posizione del “tra” per opportunità o per furbizia, per tornaconto: si è uniti non nel segno dell’affetto ma dell’affitto. Essere tra è la forma di relazione che si vive andando per strada, nei supermercati, sui mezzi di trasporto ma anche nei condomini, negli ambienti di lavoro, qualche volta, purtroppo, anche in famiglia. La stazione ferroviaria rappresenta il provvisorio, vivere come transitare, il luogo dell’estraneità.

Essere con:

Questa forma di relazione delinea l’Io–tu e non l’Io-lui , cioè si manifesta con la comunione con gli altri. L’elemento che lega non è più l’efficienza o la convenienza ma l’affetto la gioia di stare “insieme con”. Si riconosce all’altro il diritto di essere diverso: lo si accetta così com’è. Imparo a non fare dell’altro una mia proiezione, cioè pretendere che sia una copia di me stesso, rispetto la sua interiorità come diritto e come valore. Questa è una delle più difficili conquiste che può fare una persona, ma è la più necessaria. L’essere con non fugge la gente, la ama, è l’espressione più alta dell’amicizia e della benevolenza. Vive la vita come un dono, anche gli aspetti meno piacevoli.

Essere per:

Esprime la massima apertura del Tu, è l’espressione di una vita dedita agli altri. Essere per è uno stile di vita. Non sono persone che rinunciano a realizzare se stesse e i propri bisogni, sono persone che trovano la propria realizzazione portandosi al di là di se stessi. Sono persone che non riescono ad essere felici da sole, per loro vivere è aiutare a vivere, farsi dono. Invece di impostare la propria vita concentrandosi su se stessi, escono da se stessi per scoprire gli altri e da questo atteggiamento nasce l’altruismo. Attraverso la crescita morale e spirituale la persona impara ad uscire dall’atteggiamento narcisistico e si apre alla disponibilità. Soltanto chi è libero dall’ossessione di se stesso è disponibile.

Essere in:

Si può realizzare soltanto attraverso la relazione personale con l’assoluto o Dio. All’uomo posso dire “sono con te e per te” e mai potrò dire “sono in te”. All’uomo posso dire “credo a te” , ma “credo in te” lo riservo all’assoluto, a Dio.

Di cosa vive un gruppo?

Stima Prima di tutto di sé, quindi accettarsi con i propri difetti. Poi accettare l’altro (io valgo, tu vali). Come posso accogliere il malato se non faccio l’esperienza di essere accolto? Prima di stimare bisogna conoscersi, ma noi quanta fatica siamo disposti a fare per conoscerci?

Sincerità Per conoscersi occorre togliersi le maschere, essere sinceri e non temere di dare fastidio, avere il coraggio di esprimere le proprie idee, rendersi conto che sono le idee diverse, naturalmente espresse con educazione, che aiutano a crescere nel gruppo che, altrimenti, si appiattisce sulle idee del conduttore. Non avere paura dei conflitti: senza conflitti non si vive, solo bisogna imparare a gestirli in maniera proficua.

Spiritualità’

Come comunicazione empatica, come capacità di avvicinare il malato.

Diversi tipi di gruppo:

Federavo – la federazione nazionale che riunisce più di 240 AVO in Italia

Associazione – L’AVO di Torino

Ospedale – siamo in 14 strutture cittadine

Reparto

Turno Diverse realtà ma tutte unite dal medesimo sforzo di portare avanti una presenza vicino al malato che dia il senso della fraternità, dell’amicizia e della condivisione. Diverse realtà e quindi anche diverse modalità di partecipazione.

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AVO, scuola di impegno e di tolleranza

Anzi, a questo proposito vorrei fare una parentesi per riflettere sul lavoro organizzativo della nostra Associazione. Ricordatevi che tutto quello che avete già trovato da quando vi siete iscritti a questo corso ma soprattutto quello che troverete negli ospedali è frutto del lavoro gratuito di molte persone, le responsabili in testa ma non dimentichiamo la segreteria e il Consiglio Esecutivo, persone che si impegnano praticamente ogni giorno dell’anno perché ci sia sempre qualche volontario in corsia vicino ai malati. Credo che questo fatto vada sempre ricordato, soprattutto quando, e potrà anche capitare, troverete qualche piccola pecca nell’organizzazione. Io propongo sempre ai nuovi volontari di considerare quest’aspetto del nostro servizio perché state entrando a far parte di un mondo nuovo, il volontariato, che ha canoni di giudizio diversi rispetto a quelli che nostra società moderna ci propone. Invece di giudicare il lavoro degli altri bisogna comprendere la fatica di questo lavoro e, nei limiti del possibile, lasciarsi coinvolgere per aiutare il gruppo affinchè il nostro servizio al malato sia sempre più professionale. Aiutare il gruppo vuol dire anche solo partecipare costantemente e in maniera attiva alle nostre riunioni proprio perché il successo o l’insuccesso di una riunione dipende, in maniera preponderante, dall’impegno di chi vi partecipa e quindi da tutti noi. Non negatevi al gruppo, ai colleghi, li privereste delle vostre esperienze e delle vostre riflessioni che insieme alle altre sono la ricchezza di tutti.

Torniamo a quello che abbiamo detto all’inizio del nostro incontro: voi siete venuti qui per iniziare un servizio vicino alle persone sofferenti, certo, questo è il nostro scopo primario, ma avvicinarsi al mondo del volontariato vuol dire anche un’altra cosa, molto bella che scoprirete poco per volta, ma soltanto se voi sarete disponibili al cambiamento, se voi vi lascerete coinvolgere dall’Associazione. Far parte di un’associazione come la nostra, che è condotta esclusivamente da volontari che liberamente scelgono di impegnarsi per far sì che tante persone generose possano andare ogni giorno in tanti ospedali a porgere la loro amicizia ai malati, è una cosa bellissima che a noi riempie di orgoglio che vogliamo trasferire a voi. Ma non ignoriamo che è un cammino faticoso, vuol dire mettersi in discussione, sapere che non sempre le nostre idee saranno vincenti. L’amicizia che è nata tra noi volontari vi posso dire che è profonda. Chi ha avuto esperienze di dolore sa che può contare sui colleghi perché ci conosciamo, ci rispettiamo, ci vogliamo bene al di là delle differenze che ci contraddistinguono. Purtroppo però non tutte le persone che si avvicinano alla nostra associazione hanno la voglia e la pazienza di accettare la fatica di questo cammino. La fatica è il prezzo da pagare per crescere. Io mi auguro che la maggior parte di voi, come detto prima, non si neghi al gruppo ma abbia voglia di intraprendere questo cammino di crescita personale che vi assicuro, vi arricchirà. Spero di essere riuscita con queste mie parole a trasmettervi un po’ di quell’orgoglio che noi volontari AVO sentiamo nell’appartenere ad un’associazione come questa. Vicini al malato ma anche vicini ai colleghi che condividono con noi questo magnifico progetto dell’AVO, questa è la sfida che vi lanciamo e che siamo sicuri raccoglierete con frutti proficui.

CI IMPEGNIAMO NOI E NON GLI ALTRI

Ci impegniamo noi e non gli altri

unicamente noi e non gli altri, né chi sta in alto né chi sta in basso,

né chi crede né chi non crede.

Ci impegniamo senza pretendere che altri s’impegnino,

con noi o per suo conto, come noi o in altro modo.

Ci impegniamo

senza giudicare chi non s’impegna, senza accusare chi non s’impegna,

senza condannare chi non s’impegna.

Ci impegniamo per trovare un senso alla vita,

a questa vita, alla nostra vita, una ragione che non sia una delle tante ragioni,

che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore.

Ci impegniamo non per riordinare il mondo,

non per rifarlo su misura, ma per amarlo; per amare

anche quello che non possiamo accettare, anche quello che non è amabile,

anche quello che pare rifiutarsi all’amore.

Ci impegniamo perché noi crediamo all’amore,

la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta per impegnarci perpetuamente.

Primo Mazzolari

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Etica:

uno sguardo sui dilemmi del nostro tempo Michela GALETTI – già Responsabile formazione continua ASO Regina Margherita e Sant’Anna

Viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le “passioni tristi”. Il filosofo non si riferiva alla tristezza del pianto, ma a un senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta alla chiusura in noi stessi e a vivere il mondo come una minaccia alla quale bisogna rispondere “armando”i nostri figli.

Viviamo nella disgregazione, frutto di un opulento progresso che ci costringe a fare i conti con la perdita di fiducia, con la delusione nei confronti di quella scienza che non sembra più contribuire alla felicità degli uomini..

Studiosi, scienziati e mistici ritengono che una delle caratteristiche essenziali della nostra cultura occidentale sia la “frammentazione”, intesa come radicata tendenza alla divisione dei linguaggi della conoscenza e dei modi di vivere.

La civiltà moderna, industriale in cui predomina una visione analitica, riduttiva e materialistica dell’esistenza, adotta inconsapevolmente un modello dicotomico, basato sulla divisione cartesiana tra materia e coscienza, tra corpo e anima tra scienza e spiritualità tra l’uomo e la donna. Questa concezione, risultato di una lunga serie di eventi storici, è espressione di un essere umano senza integrità che vive una profonda divisione tra anima e corpo, testa e cuore, tra le sue qualità maschili-razionali e femminili-affettive, tra i suoi istinti e la sua coscienza, che vive separato dalla naturalezza dell’essere e che continua a riflettere questa percezione frammentata nel mondo che crea intorno a se stesso.

Le ricerche in psiconeurofisiologia evidenziano che la frammentazione dell’esperienza umana si riflette neurofisiologicamente sulla frammentazione funzionale delle differenti aree cerebrali, più precisamente su una bassa coerenza nelle comunicazioni sia tra i tre cervelli rettile-istintivo, mammifero-emozionale e umano-mentale che tra l’emisfero razionale e intuitivo creando quello stato, che il neurofisiologo Paul MacLean chiamava “schizofisiologia”.

La più grave mancanza di questa cultura frammentata è la sua incapacità a comprendere l’unità vivente, la sacralità della vita e un’intollerabile mancanza di cuore. Questa dicotomia della coscienza ha prodotto conseguenze che si ripercuotono su tutta l’umanità e sull’intero pianeta quali una scienza “senza anima”, un’economia disumana e una concezione del mondo meccanica, senza etica ne finalità. Il risultato di questa politica cieca e inconsapevole della globalità dei processi e delle relazioni ha causato i drammatici effetti di devastazione degli ecosistemi, inquinamento, sfruttamento, abusi.. Il punto di svolta è l’educazione orientata all’unità, all’unità nella diversità, in una parola al paradigma olistico che è un gioco circolare di conoscenza. Il suo assunto è che conoscere se stessi rappresenta la chiave per la conoscenza della vita di cui siamo parte integrante diventando co-creatori del processo di crescita e di evoluzione della coscienza globale di sé e del pianeta.

Nutrire la consapevolezza che siamo figli delle leggi generali della complessità che abbiamo appena iniziato ad esplorare e che siamo figli della storia, una storia lunga quattro miliardi di anni vuol dire alimentare devozione e rispetto per la vita e per i suoi recessi ancora nascosti, vuol dire riconoscere che la vita nel suo eterno movimento scorre caotica e complessa e che la conoscenza scientifica sui sistemi dinamici non lineari, sulla fisica quantistica sta spalancando le porte ad nuova frontiera, la frontiera dell’homo olistico.

L’effetto farfalla, il cui battito d’ali in Brasile può determinare un tifone nel Texas è ad esempio uno degli innumerevoli campi di esplorazione. Noi “soggetti consapevoli” abbiamo già sperimentato che un sorriso, uno sguardo, un atteggiamento, un input apparentemente insignificante può determinare un tifone nel cuore e modificare una vita. Anche l’intuito clinico non è da sottovalutare, un segno, un evento non catalogato, una situazione particolare sempre per l’effetto farfalla possono far prospettare un inquadramento diagnostico esatto.

Ma che cosa posso fare io per sostenere e guidare il cambiamento in atto? La risposta è semplice ed è stata espressa migliaia di volte nei diversi luoghi del pianeta ed è pilastro fondamentale nel cristianesimo, nell’ebraismo, nell’islam, nell’induismo e nel confucianesimo: si tratta della regola aurea che prescrive di fare agli altri tutto ciò che si vorrebbe che gli altri facciano per noi.

Forse sta qui la motivazione che spinge una persona a diventare volontario in ospedale al servizio della persona e quindi all’opera dell’Essere umano. Porsi domande basilari sulla malattia è certamente importante, ma confrontarsi con le domande riguardanti la complicata natura dell’uomo ci orienta verso la comprensione di noi stessi, presupposto per la comprensione dell’altro. Decine di rapporti vengono iniziati, mantenuti, conclusi da ognuno nell’opera di volontariato, ogni rapporto però è unico e ogni rapporto ci offre nuove opportunità per migliorarci ed acquisire una sempre maggior autocoscienza e l’ineguagliabile possibilità di sviluppare questa dote.

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Pensiamo ad esempio, alla nascita come inizio della vita, ma quando viene messa a repentaglio e sgretola il senso del venire al mondo ci mette in crisi: operare in queste circostanze è difficile per gli operatori sanitari, è difficile per tutti se non si è preparati a creare con la famiglia uno spazio di domanda più che di risposta. Allora impegnamoci anche noi volontari a creare le condizioni di dicibilità del dolore per ricostruire nuovi orizzonti, impegnamoci a dare spazio più alle domande che alle risposte, impegnamoci a far proliferare questo spazio proprio là dove sembra non esserci più tempo né spazio.

Impariamo però a distinguere che cosa possiamo cambiare da che cosa non possiamo cambiare per non cadere nel paradosso e peggiorare la “nostra” crisi esacerbando le nostre preoccupazioni, i nostri dubbi, le nostre paure ed ampliando la sensazione d'incertezza e di impotenza.

Come ci suggerisce S. Covey impariamo a riconoscere i problemi collocandoli nella “zona di preoccupazione” o nella “zona di influenza” della crisi per mettere a fuoco quello che possiamo cambiare con le nostre azioni. Albert Einstein diceva che la crisi è la migliore benedizione che ci può accadere - tanto alle persone quanto ai Paesi - poiché questa porta allo sviluppo personale e al progresso. Considerava che la creatività nasce dall'angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura ed è nella crisi che appaiono l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Spiegava che chi supera una crisi supera se stesso senza rimanere "superato". Indicava che, senza crisi, non ci sono sfide e senza sfide la vita si trasforma in una routine che si va trasformando in una lenta agonia. Citava che, senza crisi, non ci sono meriti. É nella crisi che affiora il meglio di ciascuno. Tuttavia, diceva anche che parlare della crisi è promuoverla e suggeriva che, invece di guardarla, è meglio lavorare duramente per non finire intrappolati nella vera crisi che minaccia la nostra vita, cioè la tragedia di non voler lottare per superare le crisi che ci tocca vivere.

In conclusione quello che il bruco interpreta come la crisi finale della sua vita è quello che in termini reali noi chiamiamo farfalla!

L’AVO incontra la Multicultura

Ruben NASI – Operatore Gruppo Abele Salute e Migranti nei Servizi di Accoglienza di Torino 1. Italia: Crisi non solo economica ma anche sociale Il contesto sociale ed economico italiano è in un periodo di forte crisi. Sono sempre più diffuse derive intolleranti, che spingono al conflitto, in particolare tra le fasce più fragili della popolazione. La crisi economica colpisce in particolare i cittadini più deboli, ma non solo: molte persone che fino a poco tempo fa erano in una condizione dignitosa e di autosufficienza sono cadute in povertà, a causa della perdita del lavoro e/o della casa, per via di separazioni dal partner e dalla famiglia. La crisi non è quindi solo economica ma soprattutto sociale, nelle città, nei servizi, nelle istituzioni. I cittadini migranti risultano essere una delle fasce maggiormente colpite, sia per il clima di forte intolleranza sia per le restrizioni legislative. La Legge n. 94 del 15/07/2009 (il famoso “Pacchetto Sicurezza”) prevede norme che rendono ancora più complessa la vita di queste persone, a partire da un diritto fondamentale quale è quello alla salute, garantito dalla nostra Costituzione ad ogni individuo con l’art. 32. “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. L’esperienza dell’Associazione Gruppo Abele fa emergere una serie di criticità in relazione a questo tema. 2. Cittadini stranieri: regolari ed irregolari I cittadini stranieri, in particolare quelli irregolari, difficilmente si rivolgono a strutture sanitarie pubbliche, per paura di essere denunciati. Tutto ciò avviene tanto per gli uomini quanto per le donne, le quali inoltre non accettano facilmente di essere visitate da personale di sesso maschile. Si aggiunge poi il problema linguistico ed il basso numero di mediatori culturali all'interno dei servizi, oltre ad una scarsa conoscenza dei servizi presenti sul territorio. 2.1 Sostanze e dipendenze Questa situazione di forte vulnerabilità porta in molti casi la persona a cadere nel labirinto delle sostanze e della dipendenza, non solo da eroina e/o cocaina ma anche per l’utilizzo e l’abuso di alcool e psicofarmaci, spesso

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assunti insieme. Gli psicofarmaci hanno un costo molto basso sul mercato e sono facilmente reperibili. Parlando di cittadini di nazionalità marocchina, vi sono numerosi casi di persone che utilizzavano ed abusavano di tali sostanze già in patria, in particolare chi arriva dalle grandi città come Casablanca. Si tratta di un fenomeno nuovo, sul quale quindi non si hanno ancora le necessarie conoscenze e gli adeguati strumenti di intervento e prevenzione. Le risorse dei Sert per la popolazione straniera sono scarse: non vi è un numero adeguato di mediatori culturali, la presa in carico di un cittadino irregolare va a discrezione del singolo Sert e, al termine di un ipotetico percorso di uscita dalla dipendenza, non è possibile ottenere un permesso di soggiorno. Tutto ciò ovviamente non facilita l’accesso ai servizi e rende molto alto il rischio di ricadute. Il percorso risulta ancora più difficile a causa della mancanza della famiglia, elemento di forte sostegno per il singolo. 3. Stranieri neocomunitari La dipendenza da sostanze, più che altro da alcool, vede una forte diffusione anche tra la popolazione dell’Est Europa, in particolare proveniente dalla Romania. L’entrata nell’UE non ha alzato di molto il livello di qualità della vita della popolazione romena, e molte persone non sono riuscite ad emergere ed a trovare una via per uscire da una condizione di forte emarginazione. Tutto ciò porta appunto all'abuso ed alla dipendenza da alcool, sostanza che è inoltre legale e quindi socialmente accettata. In Romania è un elemento culturale, strumento di convivialità ed automedicazione, e quindi risulta più difficile la presa di coscienza dell’individuo, il riconoscimento che vi è un problema da affrontare. Per quanto riguarda l’accesso al SSN la popolazione neocomunitaria si trova in un’area “grigia” della legislazione vigente. Per l’iscrizione è necessario essere registrati all'anagrafe ed avere una residenza. Non vi è diritto alla tessera ISI, in quanto la persona si trova regolarmente sul territorio italiano. Fino a poco tempo fa veniva fornito il codice STP (straniero temporaneamente presente). Attualmente i cittadini comunitari possono richiedere il codice ENI (europeo non iscrivibile). Tali procedure non vedono però normative e di conseguenza diritti chiari e facilmente esigibili. 4. Rifugiati politici La città di Torino negli ultimi anni ha visto l’arrivo di moltissime persone con lo status di Rifugiato Politico o titolari di Protezione Sussidiaria. Il Gruppo Abele ha seguito da vicino tali dinamiche e le vicende che questo fenomeno ha fatto nascere. Rispetto al tema salute, questi uomini e queste donne si ritrovano anch’essi in una zona “grigia”, non ben definita dalle leggi attuali. Tutto ciò ha reso necessario un Protocollo di Intesa tra Prefettura di Torino, Questura di Torino, Provincia di Torino e Regione Piemonte, così da poter garantire l’iscrizione al SSN e l’esenzione dal ticket. Questa situazione risulta paradossale in quanto solo attraverso lo strumento del Protocollo di Intesa tra i soggetti interessati si è potuto garantire il diritto alla salute a persone che arrivano nel nostro paese per fuggire dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni. Tale provvedimento non risulta tra l’altro così conosciuto. Anche rispetto a questa fascia di popolazione emerge l’urgenza di avere maggiore personale che si occupi della traduzione e della mediazione culturale all'’interno dei servizi. 5. Tratta e prostituzione Vi è infine la situazione delle donne vittime tratta, rese schiave e costrette a prostituirsi nelle nostre strade. Proprio per la loro condizione queste donne non hanno alcun tipo di documento, sottratto all'entrata nel nostro paese o ancora prima, durante il lungo viaggio verso l’Italia. Tutto ciò rende complessa l’iscrizione all'ISI, e di conseguenza i diritti che ne conseguono non risultano così facilmente esigibili. Il permesso di soggiorno per motivi sanitari viene concesso raramente, non permette alla persona di lavorare e quindi un ipotetico percorso di inclusione sociale. Questo documento difficilmente viene rinnovato o è possibile convertirlo, ed in più non permette di ottenere esenzioni che determinano il pagamento di diverse prestazioni, alcune di queste molto care e di conseguenza non sostenibili dalla persona. 6. Torino - Italia: presente e prospettive future La situazione della città di Torino sottolinea l’estrema delicatezza del momento storico che stiamo vivendo, una fase nella quale la mancanza di risorse rischia di spostare il conflitto sociale dal tema del lavoro a quello dei servizi, del welfare, sempre più privo di risposte adeguate alle esigenze delle persone. Questa situazione rischia di delegare al privato sociale i compiti che devono essere anche e soprattutto del pubblico e delle istituzioni. Abbiamo tutti la responsabilità di continuare ad accogliere e sostenere le persone che incontriamo quotidianamente, di lavorare maggiormente in rete e di ricoprire un ruolo che non deve essere solo di assistenza ma anche ed in particolare culturale, per diffondere principi diversi dai contenuti che purtroppo vedono maggior spazio sui media e di conseguenza maggior consenso. Solo attraverso un costante lavoro che miri all'incontro con la cittadinanza, e rafforzi il legame sociale tra le persone e con le istituzioni potremo essere realmente portatori di speranza e di cambiamento.

“La speranza ha due figli: la rabbia e il coraggio. La rabbia, nel vedere come vanno le cose.

Il coraggio, di vedere come potrebbero andare”. Sant’Agostino

A cura di Ruben Nasi (operatore gruppo Abele)

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Motivazioni del volontariato don Sergio MESSINA - Assistente religioso casa di cura Villa Cristina

GLI STADI DI GIUDIZIO MORALE SECONDO KOHLBERG

Kohlberg ha svolto una grande mole di indagini in parecchi paesi di culture diverse per confermare la sua tesi, cioè che il giudizio morale si sviluppa attraverso una serie di riorganizzazione cognitive, da lui chiamate stadi. Quindi lo sviluppo morale non può, per Kohlberg, avvenire mediante un, processo di inculcamento delle regole e delle virtù, ma solo attraverso un processo che richiede la trasformazione delle strutture affettive e cognitive e dipende dalla stimolazione dell'ambiente sociale. Educare alla moralità, non significa solo insegnare contenuti nei metodi perché, i principi morali vengano appresi ed interiorizzati; significa anche conoscere i processi attraverso i quali si sviluppa la capacità di percepire il valore morale e i modo che aiutino (o ostacolino) tali processi. Se queste condizioni vengono a mancare si pregiudica, nella persona, la possibilità di far progredire il giudizio morale. Gli studi di Kohlberg sonò di grande aiuto per tutti coloro che hanno a che fare con un codice di deontologia professionale, la cui comprensione dipende dal grado di sviluppo morale che è stato raggiunto dalla persona; rappresentano inoltre uno strumento di verifica dei comportamenti professionali all'interno dell'équipe.

Livello pre – convenzionale

È il livello delle regole culturali, delle etichette di bene e di male, di giusto e di sbagliato attuate o in base alle conseguenze edonistiche – fisiche dell'azione (punizione, ricompensa, scambio di favori) oppure in base al poter fisico di coloro che enunciano le regole.

Stadio 1: orientamento alla punizione ed alla obbedienza. Ciò che determina la bontà o la malizia di un atto per la persona a questo livello di sviluppo (il ragazzo come dato fisiologico), sono le conseguenze fisiche dell'atto stesso. Evitare la punizione e la deferenza illimitata al potere diventano l'optimum morale .

Stadio 2: orientamento relativista strumentale. L'azione giusta é quella che, in modo strumentale, soddisfa i bisogni miei e occasionalmente i bisogni degli altri. Le relazioni umane sono viste in modo simile a quelle commerciali; sono presenti elementi di onestà, reciprocità, e condivisione egualitaria, ma questi elementi sono interpretati in modo fisico o pragmatico.

Livello convenzionale

A questo livello la persona può mantenere le aspettative della scuola, dei gruppo o della nazione e ciò è visto come valido in se stesso, senza considerare le immediate o ovvie conseguenze. L'atteggiamento è quello di conformità ad aspettative personali, all'ordine sociale e di lealtà all'ordine costituito.

Stadio 3:orientamento interpersonale del bravo ragazzo. È buono quel comportamento che piace agli altri gli aiuta ed è approvato da essi. C'è molta conformità alla immagine stereotipa di ciò che costituisce un comportamento normale e proprio dalia maggioranza degli uomini. Il comportamento è spesso giustificato dalle intenzioni: la buona intenzione diventa per la prima volta importante. Si guadagna l'approvazione altrui con l'essere simpatica e gentile.

Stadio 4:orientamento alla legge ed all'ordine costituito. C'è un orientamento verso l'autorità, le regole fisse ed il mantenimento dell'ordine sociale. Il comportamento giusto consiste nel fare il proprio dovere, mostrare rispetto per l'autorità, l'ordine sociale per il desiderio, fine a se stesso, di mantenere tale ordine.

Livello post – convenzionale, autonomo o di principio

A questo livello c'è un chiaro sforzo per definire i, valori morali e i principi che hanno validità ed applicazione a prescindere dall'autorità dei gruppi o delle persone, che definiscono questi principi e a prescindere dalle identificazioni dell'individuo con questi gruppi.

Stadio 5: orientamento democratico verso il contratto sociale. I valori personali sono considerati come relativi e vengono subordinati al raggiungimento del bene comune e alla salvaguardia dei diritti fondamentali di ogni individuo. Questa è la moralità ufficiale delle carte costituzionali dei Paesi democratici.

Stadio 6: orientamento al principio etico universale. Il giusto è definito dalla coscienza individuale in accordo con principi etici scelti autonomamente: principio universale di giustizia, di reciprocità, di uguaglianza dei diritti umani, di rispetto per la dignità degli esseri umani visti come persone.

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QUALITÀ DEGLI STADI MORALI

1. Gli stadi costituiscono una sequenza invariata. Si deve progredire attraverso gli stadi in ordine e non si può, arrivare ad uno stadio più alto senza passare attraverso gli stadi che lo precedono. Ad esempio, non si può, arrivare allo stadio quattro, senza passare rispettivamente attraverso gli stadi uno, due, tre. Lo sviluppo morale è crescita e, come tutte le crescite, avviene secondo una sequenza predeterminata. Aspettarsi che qualcuno riesca ad acquisire una alta moralità in una notte sarebbe come pretendere che qualcuno cammini prima che abbia imparato a trascinarsi carponi.

2. Nello sviluppo per stadi i soggetti non possono comprendere il ragionamento morale di uno stadio che sia due stadi superiore al proprio. — una persona allo stadio due, che separa bene e male in base al proprio piacere personale, non può comprendere il ragionamento dello stadio quattro che giustifica una azione in base a doveri fissi e non a promesse di ricompensa o piacere. Poiché lo stadio quattro richiede un orientamento completamente diverso da quello del ragionamento allo sta dio due, per essere capito devono realizzarsi vari riadattamenti cognitivi.

3. Nello sviluppo per stadi i soggetti sono cognitivamente attratti a ragionare secondo un livello che è superiore di una unità rispetto al loro proprio predominante livello.

Una persona, che è allo stadio uno, sarà attratta dallo stadio due e così via. Kohlberg sostiene che il ragionamento ad uno stadio più alto è cognitivamente adeguato che un ragionamento ad uno stadio più basso: risolve infatti i dilemmi in modo più soddisfacente.

4. Nello sviluppo per stadi il movimento da uno stadio all'altro avviene quando si crea uno squilibrio cognitivo cioè quando la prospettiva cognitiva di una persona non è più adeguata ad affrontare un dato dilemma morale.

Di fronte a situazioni complesse la persona vede la inadeguatezza delle sue ragioni e cerca un modo sempre più adeguato per risolvere i propri dilemmi. Se in una data situazione la struttura cognitiva attuale non può risolvere un problema l'organismo cognitivo si adatta ad una struttura che può risolverlo. Se invece l'orientamento di una persona non è disturbato (cioè non c'è alcuno squilibrio cognitivo) è più difficile l'acquisizione di uno stadio superiore.

5. Quando la persona ha raggiunto un elevato stadio di ragionamento morale accetterà solo ragioni più alte come determinanti la sua azione e, acquisito detto stadio, tende a mantenervisi, anche se può offrire, in determinate situazioni, risposte morali di basso livello.

Molte volte noi ci scopriamo a dare risposte morali opportunistiche, ma solo perché sono istintive e immediate, non ragionate. In realtà quando prendiamo decisioni ponderate le ragioni vincenti sono quelle tipiche dello stadio cui apparteniamo.

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CARTA DEI VALORI DEL VOLONTARIATO (FONTE FEO-FIVOL)

www.fivol.it

Un punto di arrivo, per una nuova partenza. L’oggi del volontariato è reso possibile grazie a quel ricco passato e a quelle radici religiose, ideologiche, culturali da cui proviene e da cui attinge forza e provocazioni per ri-progettare il futuro. Ma ri-progettare presuppone ri-pensare: la spinta ideale, i modi attraverso i quali essa si è venuta realizzando, il rapporto con una comunità locale, nazionale, mondiale in continua trasformazione, le condizioni per una sempre più significativa presenza negli scenari futuri. Occorre che ogni volontario e ogni organizzazione abbiano chiari gli elementi fondanti del proprio "essere", adottare criteri di un "agire" che sia coerente testimonianza di dimensione ideale, per svolgere quella che Luciano Tavazza definiva la duplice missione: "di promotore della cultura e della prassi della solidarietà e di agente del mutamento sociale" e che si specifica principalmente in due ruoli: la dimensione attiva, attraverso la gratuita presenza nel quotidiano; la dimensione politica, quale soggetto sociale che partecipa alla rimozione degli ostacoli che generano svantaggio, esclusione, degrado e perdita di coesione sociale. La Carta dei valori intende fotografare, nei suoi aspetti essenziali, questo momento del volontariato ed è il risultato di un esercizio di autentica scrittura collettiva. L’iniziale traccia (proposta da FIVOL e Gruppo Abele) è stata portata a conoscenza del mondo del volontariato ed è stata corretta, integrata, discussa e, alla fine, migliorata grazie all’apporto di numerosissime organizzazioni, di singoli volontari, di studiosi. Un metodo di lavoro che ha fatto emergere il connotato chiave dell’essere e del fare volontariato: camminare insieme su un piano di impegno civico e di cittadinanza solidale.

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I. PRINCIPI FONDANTI

1. Volontario è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni.

2. I volontari esplicano la loro azione in forma individuale, in aggregazioni informali, in organizzazioni strutturate; pur attingendo, quanto a motivazioni, a radici culturali e/o religiose diverse, essi hanno in comune la passione per la causa degli esseri umani e per la costruzione di un mondo migliore.

3. Il volontariato è azione gratuita. La gratuità è l’elemento distintivo dell’agire volontario e lo rende originale rispetto ad altre componenti del terzo settore e ad altre forme di impegno civile. Ciò comporta assenza di guadagno economico, libertà da ogni forma di potere e rinuncia ai vantaggi diretti e indiretti. In questo modo diviene testimonianza credibile di libertà rispetto alle logiche dell’individualismo, dell’utilitarismo economico e rifiuta i modelli di società centrati esclusivamente sull’"avere" e sul consumismo. I volontari traggono dalla propria esperienza di dono motivi di arricchimento sul piano interiore e sul piano delle abilità relazionali.

4. Il volontariato è, in tutte le sue forme e manifestazioni, espressione del valore della relazione e della condivisione con l’altro. Al centro del suo agire ci sono le persone considerate nella loro dignità umana, nella loro integrità e nel contesto delle relazioni familiari, sociali e culturali in cui vivono. Pertanto considera ogni persona titolare di diritti di cittadinanza, promuove la conoscenza degli stessi e ne tutela l’esercizio concreto e consapevole, favorendo la partecipazione di tutti allo sviluppo civile della società.

5. Il volontariato è scuola di solidarietà in quanto concorre alla formazione dell’uomo solidale e di cittadini responsabili. Propone a tutti di farsi carico, ciascuno per le proprie competenze, tanto dei problemi locali quanto di quelli globali e, attraverso la partecipazione, di portare un contributo al cambiamento sociale. In tal modo il volontariato produce legami, beni relazionali, rapporti fiduciari e cooperazione tra soggetti e organizzazioni concorrendo ad accrescere e valorizzare il capitale sociale del contesto in cui opera.

6. Il volontariato è esperienza di solidarietà e pratica di sussidiarietà: opera per la crescita della comunità locale, nazionale e internazionale, per il sostegno dei suoi membri più deboli o in stato di disagio e per il superamento delle situazioni di degrado. Solidale è ogni azione che consente la fruizione dei diritti, la qualità della vita per tutti, il superamento di comportamenti discriminatori e di svantaggi di tipo economico e sociale, la valorizzazione delle culture, dell’ambiente e del territorio. Nel volontariato la solidarietà si fonda sulla giustizia.

7. Il volontariato è responsabile partecipazione e pratica di cittadinanza solidale in quanto si impegna per rimuovere le cause delle diseguaglianze economiche, culturali, sociali, religiose e politiche e concorre all’allargamento, tutela e fruizione dei beni comuni. Non si ferma all’opera di denuncia ma avanza proposte e progetti coinvolgendo quanto più possibile la popolazione nella costruzione di una società più vivibile.

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8. Il volontariato ha una funzione culturale ponendosi come coscienza critica e punto di diffusione dei valori della pace, della non violenza, della libertà, della legalità, della tolleranza e facendosi promotore, innanzitutto con la propria testimonianza, di stili di vita caratterizzati dal senso della responsabilità, dell’accoglienza, della solidarietà e della giustizia sociale. Si impegna perché tali valori diventino patrimonio comune di tutti e delle istituzioni.

9. Il volontariato svolge un ruolo politico: partecipa attivamente ai processi della vita sociale favorendo la crescita del sistema democratico; soprattutto con le sue organizzazioni sollecita la conoscenza ed il rispetto dei diritti, rileva i bisogni e i fattori di emarginazione e degrado, propone idee e progetti, individua e sperimenta soluzioni e servizi, concorre a programmare e a valutare le politiche sociali in pari dignità con le istituzioni pubbliche cui spetta la responsabilità primaria della risposta ai diritti delle persone.

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II. ATTEGGIAMENTI E RUOLI

a) I volontari

10. I volontari sono chiamati a vivere la propria esperienza in modo coerente con i valori e i principi che fondano l’agire volontario. La dimensione dell’essere è per il volontario ancora più importante di quella del fare.

11. I volontari nell’esercitare il diritto-dovere di cittadinanza costituiscono un patrimonio da promuovere e da valorizzare, sia da parte delle istituzioni che delle organizzazioni che li impegnano. Pertanto esse devono rispettarne lo spirito, le modalità operative, l’autonomia organizzativa e la creatività.

12. I volontari sono tenuti a conoscere fini, obiettivi, struttura e programmi dell’organismo in cui operano e partecipano, secondo le loro possibilità, alla vita e alla gestione di questo nel pieno rispetto delle regole stabilite e delle responsabilità.

13. I volontari svolgono i loro compiti con competenza, responsabilità, valorizzazione del lavoro di équipe e accettazione della verifica costante del proprio operato. Essi garantiscono, nei limiti della propria disponibilità, continuità di impegno e portano a compimento le azioni intraprese.

14. I volontari si impegnano a formarsi con costanza e serietà, consapevoli delle responsabilità che si assumono soprattutto nei confronti dei destinatari diretti dei loro interventi. Essi ricevono dall’organizzazione in cui operano il sostegno e la formazione necessari per la loro crescita e per l’attuazione dei compiti di cui sono responsabili.

15. I volontari riconoscono, rispettano e difendono la dignità delle persone che incontrano e si impegnano a mantenere una totale riservatezza rispetto alle informazioni ed alle situazioni di cui vengono a conoscenza. Nella relazione di aiuto essi attuano un accompagnamento riservato e discreto, non impositivo, reciprocamente arricchente, disponibile ad affiancare l’altro senza volerlo condizionare o sostituirvisi. I volontari valorizzano la capacità di ciascuno di essere attivo e responsabile protagonista della propria storia.

16. I volontari impegnati nei servizi pubblici e in organizzazioni di terzo settore, costituiscono una presenza preziosa se testimoniano un "camminare insieme" con altre competenze e profili professionali in un rapporto di complementarietà e di mutua collaborazione. Essi costituiscono una risorsa valoriale nella misura in cui rafforzano le motivazioni ideali, le capacità relazionali e il legame al territorio dell’organizzazione in cui operano.

17. I volontari ricevono dall’organismo di appartenenza o dall’Ente in cui prestano servizio copertura assicurativa per i danni che subiscono e per quelli economici e morali che potrebbero causare a terzi nello svolgimento della loro attività di volontariato. Per il principio della gratuità i volontari possono richiedere e ottenere esclusivamente il rimborso delle spese realmente sostenute per l’attività di volontariato svolta.

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b) Le organizzazioni di volontariato

18. Le organizzazioni di volontariato si ispirano ai principi della partecipazione democratica promuovendo e valorizzando il contributo ideale e operativo di ogni aderente. È compito dell’organizzazione riconoscere e alimentare la motivazione dei volontari attraverso un lavoro di inserimento, affiancamento e una costante attività di sostegno e supervisione.

19. Le organizzazioni di volontariato perseguono l’innovazione socio-culturale a partire dalle condizioni e dai problemi esistenti. Pertanto propongono idee e progetti, rischiando e sperimentando interventi per conto della comunità in cui operano. Evitano in ogni caso di produrre percorsi separati o segreganti e operano per il miglioramento dei servizi per tutti.

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20. Le organizzazioni di volontariato collaborano con le realtà e le istituzioni locali, nazionali e internazionali, mettendo in comune le risorse, valorizzando le competenze e condividendo gli obiettivi. Promuovono connessioni e alleanze con altri organismi e partecipano a coordinamenti e consulte per elaborare strategie, linee di intervento e proposte socio-culturali. Evitano altresì di farsi carico della gestione stabile di servizi che altri soggetti possono realizzare meglio.

21. Le organizzazioni di volontariato svolgono un preciso ruolo politico e di impegno civico anche partecipando alla programmazione e alla valutazione delle politiche sociali e del territorio. Nel rapporto con le istituzioni pubbliche le organizzazioni di volontariato rifiutano un ruolo di supplenza e non rinunciano alla propria autonomia in cambio di sostegno economico e politico. Non si prestano ad una delega passiva che chieda di nascondere o di allontanare marginalità e devianze che esigono risposte anche politiche e non solo interventi assistenziali e di primo aiuto.

22. Le organizzazioni di volontariato devono principalmente il loro sviluppo e la qualità del loro intervento alla capacità di coinvolgere e formare nuove presenze, comprese quelle di alto profilo professionale. La formazione accompagna l’intero percorso dei volontari e ne sostiene costantemente l’azione, aiutandoli a maturare le proprie motivazioni, fornendo strumenti per la conoscenza delle cause dell’ingiustizia sociale e dei problemi del territorio, attrezzandoli di competenze specifiche per il lavoro e la valutazione dei risultati.

23. Le organizzazioni di volontariato sono tenute a fare propria una cultura della comunicazione intesa come strumento di relazione, di promozione culturale e di cambiamento, attraverso cui sensibilizzano l’opinione pubblica e favoriscono la costruzione di rapporti e sinergie a tutti i livelli. Coltivano e diffondono la comunicazione con ogni strumento privilegiando - dove è possibile - la rete informatica per migliorare l’accesso alle informazioni, ai diritti dei cittadini, alle risorse disponibili. Le organizzazioni di volontariato interagiscono con il mondo dei mass media e dei suoi operatori perché informino in modo corretto ed esaustivo sui temi sociali e culturali di cui si occupano.

24. Le organizzazioni di volontariato ritengono essenziale la legalità e la trasparenza in tutta la loro attività e particolarmente nella raccolta e nell’uso corretto dei fondi e nella formazione dei bilanci. Sono disponibili a sottoporsi a verifica e controllo, anche in relazione all’organizzazione interna. Per esse trasparenza significa apertura all’esterno e disponibilità alla verifica della coerenza tra l’agire quotidiano e i principi enunciati.

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IL DECALOGO DEL VOLONTARIO AVO

II volontario, dopo aver approfondite le motivazioni che lo hanno indotto a scegliere come attività sociale il servizio ospedaliero, e dopo aver vagliato le sue disponibilità di tempo, sceglie e stabilisce con il coordinatore il giorno e l'orario per il suo turno settimanale di servizio. Egli sa che la sua presenza in ospedale vuole essere un gesto di amicizia, di solidarietà, di impegno nei confronti dell'ammalato ricoverato per rendere più umano l'ambiente dell'ospedale. Egli perciò prende atto che i suoi doveri principali sono:

1) Essere presente nel giorno della settimana stabilito. Rispettare gli orari. Non abbandonare il servizio prima dello scadere dell'orario. Trascorrere l'orario di servizio nel proprio reparto e non altrove. Se avesse necessità di cambiare giorno o orario di servizio dovrà prendere accordi con il responsabile. Se per motivi di salute o per un impegno inderogabile non potesse svolgere il suo turno di servizio dovrà avvisare il responsabile e trovare egli stesso un collega che lo sostituisca. Se dovesse allontanarsi dalla città per periodi più o meno lunghi (impegni di lavoro o vacanze) dovrà avvisare tempestivamente il responsabile.

2) Il volontario presterà servizio con il camice sempre in ordine e con il distintivo. Dovrà attenersi ad alcune semplici, ma importanti norme igieniche: non sedersi o appoggiare effetti personali sui letti, lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone all'inizio ed al termine di ogni servizio. La sua presenza dovrà essere costante, non saltuaria.

3) Il volontario sa che non sostituisce il personale ospedaliero: non ne ha la competenza. Egli offrirà volentieri un aiuto quando e dove l'infermiere di turno lo richiedesse, sempre però, sotto la sua responsabilità.

4) La specificità del volontario è la presenza e l'ascolto, ove per presenza si intenda l'esserci con la mente, con il cuore, con il desiderio di partecipare e di condividere la sofferenza e le preoccupazioni dell'ammalato e per

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ascolto si intenda la capacità di tacere perché parli l'altro, la capacità di sollecitare l'altro a parlare, la pazienza di attendere che l'altro parli consentendogli di esprimersi con le sue parole, con la sua lentezza, senza inter-rompere, senza spazientirsi e senza sovrapporsi a ciò che dice l'ammalato.

5) II volontario non conosce, né deve indagare per conoscere, la malattia di cui il paziente è affetto.

6) II volontario deve il massimo rispetto all'ammalato di qualunque età ed estrazione sociale egli sia. Non deve dare del tu. Non deve proporre argomenti religiosi o politici. Non deve in alcun modo imporre le proprie idee.

7) Nessun ammalato deve sentirsi escluso dall'attenzione e dalle cure del volontario. Egli deve passare accanto ad ogni letto, salutare tutti gli ammalati e soffermarsi in particolare presso coloro che sembrano più soli o più bisognosi di aiuto. Determinati servizi richiesti dall'ammalato (deambulare, mettere cuscini, ecc.) devono essere necessariamente autorizzati dal personale responsabile.

8) Il volontario, consapevole che la sua presenza ha lo scopo di rendere più umano l'ambiente ospedaliero, offrirà calma e delicatezza. Infonderà fiducia nell'Istituzione. Favorirà e incoraggerà i rapporti tra l'ammalato, i medici e i paramedici, perché possa avere le informazioni che desidera ed esserne tranquillizzato. L'ammalato non deve sentirsi escluso o ignorato dall'équipe medica.

9) II volontario si farà portatore di serenità e di speranza, incoraggiando l'ammalato a sopportare disagi e sofferenza. Si farà motore esterno dove sentirà stanchezza, depressione e voglia di abbandonare la lotta. Conforterà anche i parenti, infondendo loro coraggio e fiducia.

10) II volontario deve partecipare alle riunioni di gruppo ed alle iniziative di aggiornamento promosse dall'Associazione perché, mettere in comune esperienze, soddisfazioni, difficoltà e proposte è utile all'Associazione e ai volontari. Ogni volontario deve accogliere con grande amicizia i nuovi volontari perché non si sentano disorientati o spaventati all'inizio del loro servizio. Inoltre, ogni volontario deve impegnarsi ad alimentare l'amicizia e la cordialità nel gruppo, perché questo calore umano si riversi sull'ammalato e sull'Associazione.

“Non abbiate paura,

ma tenete presente che

preparazione,

formazione,

conoscenza

sono le

basi portanti

del vostro

volontariato”

E. Longhini Fondatore dell'AVO