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6 | STORIE pagina 99 we | sabato 20 febbraio 2016 il ricco business della medicina preventiva ROBERTA VILLA n Nel Paese in cui più di due secoli fa la ricerca della felicità è stata sancita come diritto inalienabile dalla Dichiarazione di indipendenza, è partita oggi, quasi co- me un’apoteosi di quel principio, la cac- cia alla depressione. Poche settimane fa la task force del governo statunitense per i servizi di prevenzione ha raccomanda- to che tutti gli adolescenti a partire dai 12 anni e tutti gli adulti – con particolare at- tenzione alle donne in gravidanza e subi- to dopo il parto – siano sottoposti alme- no una volta nella vita a un test per iden- tificare e trattare la malattia. Troppi casi si scoprono quando ormai è tardi, per esempio dopo un suicidio, o si trascinano per anni di sofferenza senza trovare aiuto. «Andare a cercare di indi- viduare queste situazioni, soprattutto tra gli adolescenti e le puerpere, potreb- be essere utile», commenta Paolo Migo- ne, psichiatra di Parma e condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane (www.psicoterapiaescienzeu- mane.it), «ma solo se sarà occasione per fornire aiuto a tutto tondo con una psico- terapia, e non diventerà solo pretesto per allargare ulteriormente il mercato degli antidepressivi, la cui efficacia e sicurezza è periodicamente messa in discussione dalla ricerca». Un mercato, quello degli antidepressivi, che non smette di cresce- re: secondo il quotidiano britannico The Guardian, nel 2010 erano 23,3 milioni gli americani che prendevano questi psi- cofarmaci, più del doppio rispetto al 1998. In Italia, l’andamento, secondo l’ultimo rapporto periodico sulla salute dell’Ocse (Health at a Glance, 2015), è si- mile, con un consumo che, pur restando sotto la media degli altri Paesi Ocse, dal 2000 al 2013 è più che raddoppiato, ar- rivando a circa 43 dosi medie giornaliere al giorno ogni mille abitanti, per una spesa di 465 milioni di euro. I brevetti però scadono, e i prezzi dei farmaci col tempo scendono. Per man- tenere il fatturato si può quindi investire su nuove costose molecole oppure estendere il numero dei potenziali clienti, andandoseli a cercare, una stra- tegia molto più efficace e sicura. La “diagnosi precoce” è diventato così il santo graal della medicina moderna, cui si attribuisce il potere miracoloso di preservare da ogni male, anche quando anticipare la scoperta di una malattia non influisce sulla sua evoluzione, per esempio perché questa sarebbe stata co- sì lenta da non manifestarsi, o perché ancora non disponiamo di cure efficaci per fermarla. Agli esami eseguiti per ac- certare la natura di un sintomo, si sono così aggiunti in numero sempre cre- scente quelli condotti alla cieca, nell’am- bito di check-up o controlli a tappeto, da ripetere periodicamente, propagandati da un marketing martellante e insidio- so, come fossero modalità per prendersi cura di sé e proteggere la propria salute, forse allontanare addirittura lo spettro dell’inevitabilità della morte. L’attenzione mediatica alla preven- zione ha prodotto una crescita del ma- lessere percepito che paradossalmente va di pari passo con il benessere effetti- vo, per cui gli abitanti del Bihar, lo stato più povero dell’India, si ritengono più sani di quanto dichiarino quelli del Ke- rala, le cui condizioni di vita non sono distanti da quelle occidentali, e soprat- tutto di quanto si sentono malati gli americani, per i quali l’aspettativa di vi- ta di fatto è molto superiore. Mai l’umanità è stata tanto sana quanto lo sono oggi gli abitanti dei Paesi più ricchi, ma mai è stata così ossessio- nata dalla paura di ammalarsi. Una dimensione che spinge Iona Heath, medico a capo del comitato scientifico del British Medical Journal, a sostenere che il nuovo oppio dei popo- li, soprattutto nei Paesi in cui si è persa l’osservanza religiosa più tradizionale, sarebbe diventata la sanità, che proprio come una religione offre sollievo e spe- ranza contro la sofferenza, cerca prose- liti, impone scelte di vita, qualche volta rischia perfino di far soffrire le persone per il loro presunto bene. È infatti con questo provocatorio paragone che si apre il suo ultimo libro pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri, e intitolato Contro il mercato della salute (2016). Il testo riassume decenni di dibattito sugli eccessi della medicina, a partire dalla profetica opera teatrale di Jules Ro- mains che già nel 1923, con il suo Knock, o il trionfo della medicina, attribuiva al grande fisiologo francese Claude Ber- nard lo slogan: «Le persone sane sono persone malate che semplicemente non sanno di esserlo». «L’invidiabile regno dei sani di Susan Sontag è ormai inesorabilmente assor- bito nel regno dei malati», dichiara Iona Heath, citando il classico Malattia come metafora della scrittrice statunitense. Un contributo a questa distorsione lo ha fornito, seppure involontariamente, anche l’ottimistica definizione dell’Or- ganizzazione mondiale della sanità (Oms), secondo cui la salute non sareb- be la semplice assenza di malattie o in- fermità, ma «uno stato di completo be- nessere fisico, mentale e sociale». In pratica, il diritto alla salute diventa così un diritto alla felicità, (non alla sua ri- cerca, come prevedeva, spesso fraintesa, la Dichiarazione di indipendenza ame- ricana). «Creando un’aspettativa di per- fezione che non può in nessun caso cor- rispondere all’esperienza», chiosa Hea- th, «la definizione dell’Oms mina siste- maticamente la qualità della vita, susci- tando rabbia e delusione nei pazienti e un senso di fallimento e frustrazione nei medici». Quelli onesti, almeno. È invece una gallina dalle uova d’oro per tutti coloro che della salute fanno un business: le aziende farmaceutiche, cer- to, ma anche alcuni specialisti, i labora- tori di analisi o chi produce macchinari e strumenti che rendono la diagnosi sem- pre più precoce, accurata, attenta. «L’avanzamento tecnologico per- mette oggi di identificare un numero sempre maggiore di condizioni che sa- rebbero passate inosservate senza mai provocare danni, ma che, nel momento in cui sono riconosciute, devono essere trattate, aumentando il numero dei co- siddetti “malati”, che un tempo non avrebbero mai pensato di esserlo», spie- Sanità | Un tempo si curavano i disturbi. Oggi si punta sulla diagnosi precoce. Ai check-up puntuali si sono così aggiunti quelli a tappeto. Per la gioia di Big Pharma che spinge per ampliare le definizioni delle malattie. E i nuovi clienti ga Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe che promuove e rea- lizza attività di formazione e ricerca in ambito sanitario. La genetica rischia ora di far fare alla medicalizzazione del nostro mondo un ulteriore passo avanti: con l’analisi det- tagliata del Dna individuale nessuno potrà più davvero considerarsi sano e sfuggire a una diagnosi, perché chiun- que è portatore di geni che aumentano almeno il rischio di una o più malattie. Non si possono poi ignorare le conse- guenze di tutto questo sulla società nel suo insieme, in termini di allocazione di risorse sempre più limitate. Anche que- sto aspetto finisce col riflettersi poi sul singolo, quando deve aspettare mesi per sottoporsi a un’indagine necessaria, per- ché centinaia di suoi concittadini la ri- chiedono inutilmente, o pagare un ticket salato per un farmaco essenziale, perché la spesa farmaceutica nazionale è grava- La tecnologia consente di identificare sempre più condizioni che in passato sarebbero state trascurate senza causare danni

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6 | STORIE pagina 99we | sabato 20 febbraio 2016

il ricco businessdella medicina preventiva

ROBERTA VILLA

n Nel Paese in cui più di due secoli fa laricerca della felicità èstata sancitacomediritto inalienabile dalla Dichiarazionedi indipendenza, è partita oggi, quasi co-me un’apoteosi di quel principio, la cac-cia alla depressione. Poche settimane fala task forcedelgoverno statunitenseperi servizi di prevenzione ha raccomanda-to chetutti gliadolescenti apartire dai12anni e tutti gli adulti–con particolare at-tenzione alle donne in gravidanza e subi-to dopo il parto – siano sottoposti alme-no una volta nella vita a un test per iden-tificare e trattare la malattia.

Troppicasi siscoprono quandoormaiè tardi, per esempio dopo un suicidio, o sitrascinano per anni di sofferenza senzatrovare aiuto. «Andare a cercare di indi-viduare queste situazioni, soprattuttotra gli adolescenti e le puerpere, potreb-be essere utile», commenta Paolo Migo-ne, psichiatra di Parma e condirettoredella rivista Psicoterapia e ScienzeUmane (www.psicoterapiaescienzeu -mane.it), «ma solo se sarà occasione perfornire aiuto a tutto tondo con una psico-terapia, e non diventerà solo pretesto perallargare ulteriormente il mercato degliantidepressivi, lacui efficaciaesicurezzaè periodicamente messa in discussionedalla ricerca». Un mercato, quello degliantidepressivi, che non smette di cresce-re: secondo il quotidiano britannico TheGuardian, nel 2010 erano 23,3 milionigli americani che prendevano questi psi-cofarmaci, più del doppio rispetto al1998. In Italia, l’andamento, secondol’ultimo rapporto periodico sulla salutedell’Ocse (Health at a Glance, 2015), è si-mile, con un consumo che, pur restandosotto la media degli altri Paesi Ocse, dal2000 al 2013 è più che raddoppiato, ar-rivandoa circa43dosi mediegiornaliereal giorno ogni mille abitanti, per unaspesa di 465 milioni di euro.

I brevetti però scadono, e i prezzi deifarmaci col tempo scendono. Per man-tenere il fatturato si può quindi investiresu nuove costose molecole oppureestendere il numero dei potenzialiclienti, andandoseli a cercare, una stra-tegia molto più efficace e sicura.

La “diagnosi precoce”è diventato cosìil santo graal della medicina moderna,cui si attribuisce il potere miracoloso dipreservare da ogni male, anche quandoanticipare la scoperta di una malattianon influisce sulla sua evoluzione, peresempioperché questasarebbe stataco-sì lenta da non manifestarsi, o perchéancora non disponiamo di cure efficaciper fermarla. Agli esami eseguiti per ac-certare la natura di un sintomo, si sonocosì aggiunti in numero sempre cre-scente quelli condotti alla cieca, nell’am -bito di check-up ocontrolli a tappeto, daripetere periodicamente, propagandatida un marketing martellante e insidio-so, come fossero modalità per prendersicura di sé e proteggere la propria salute,forse allontanare addirittura lo spettrodell’inevitabilità della morte.

L’attenzione mediatica alla preven-zione ha prodotto una crescita del ma-lessere percepito che paradossalmenteva di pari passo con il benessere effetti-vo, per cui gli abitanti del Bihar, lo statopiù povero dell’India, si ritengono piùsani di quanto dichiarino quelli del Ke-rala, le cui condizioni di vita non sonodistanti da quelle occidentali, e soprat-tutto di quanto si sentono malati gliamericani, per i quali l’aspettativa di vi-ta di fatto è molto superiore.

Mai l’umanità è stata tanto sana

quanto lo sono oggigli abitanti dei Paesipiù ricchi, ma mai è stata così ossessio-nata dalla paura di ammalarsi.

Una dimensione che spinge IonaHeath, medico a capo del comitatoscientifico del British Medical Journal,a sostenere che il nuovo oppio dei popo-li, soprattutto nei Paesi in cui si è persal’osservanza religiosa più tradizionale,sarebbe diventata la sanità, che propriocome una religione offre sollievo e spe-ranza contro la sofferenza, cerca prose-liti, impone scelte di vita, qualche voltarischia perfino di far soffrire le personeper il loro presunto bene. È infatti conquesto provocatorio paragone che siapre il suo ultimo libro pubblicato inItalia da Bollati Boringhieri, e intitolatoContro il mercato della salute (2016). Iltestoriassumedecenni didibattitosuglieccessi della medicina, a partire dallaprofetica opera teatrale di Jules Ro-mainsche giànel1923,con ilsuoKnock,

o il trionfo della medicina, attribuiva algrande fisiologo francese Claude Ber-nard lo slogan: «Le persone sane sonopersone malate che semplicemente nonsanno di esserlo».

«L’invidiabile regnodei sanidi SusanSontag è ormai inesorabilmente assor-bito nelregno dei malati»,dichiara IonaHeath, citando il classico Malattia comemetaforadella scrittrice statunitense.

Un contributo a questa distorsione loha fornito, seppure involontariamente,anche l’ottimistica definizione dell’Or -ganizzazione mondiale della sanità(Oms), secondo cui la salute non sareb-be la semplice assenza di malattie o in-fermità, ma «uno stato di completo be-nessere fisico, mentale e sociale». Inpratica, il diritto alla salute diventa cosìun diritto alla felicità, (non alla sua ri-cerca, come prevedeva, spesso fraintesa,la Dichiarazione di indipendenza ame -ricana). «Creando un’aspettativa di per-

fezione che non può in nessun caso cor-rispondere all’esperienza», chiosa Hea-th, «la definizione dell’Oms mina siste-maticamente la qualità della vita, susci-tando rabbia e delusione nei pazienti eun sensodi fallimento e frustrazione neimedici». Quelli onesti, almeno.

È invece una gallina dalle uova d’oroper tutticoloro chedella salutefanno unbusiness: le aziendefarmaceutiche, cer-to, ma anche alcuni specialisti, i labora-tori di analisi o chi produce macchinari estrumenti cherendono ladiagnosi sem-pre più precoce, accurata, attenta.

«L’avanzamento tecnologico per-mette oggi di identificare un numerosempre maggiore di condizioni che sa-rebbero passate inosservate senza maiprovocare danni, ma che, nel momentoin cui sono riconosciute, devono esseretrattate, aumentando il numero dei co-siddetti “malati”, che un tempo nonavrebberomaipensato diesserlo»,spie-

Sanità | Un tempo si curavano i disturbi. Oggi si punta sulla diagnosi precoce.

Ai check-up puntuali si sono così aggiunti quelli a tappeto. Per la gioia di Big

Pharma che spinge per ampliare le definizioni delle malattie. E i nuovi clienti

ga Nino Cartabellotta, presidente dellafondazione Gimbe che promuove e rea-lizza attività di formazione e ricerca inambito sanitario.

La genetica rischia ora di far fare allamedicalizzazione del nostro mondo unulteriore passo avanti: con l’analisi det-tagliata del Dna individuale nessunopotrà più davvero considerarsi sano esfuggire a una diagnosi, perché chiun-que è portatore di geni che aumentanoalmeno il rischio di una o più malattie.

Non si possono poi ignorare le conse-guenze di tutto questo sulla società nelsuo insieme, in termini di allocazione dirisorse sempre più limitate. Anche que-sto aspetto finisce col riflettersi poi sulsingolo, quando deve aspettare mesi persottoporsi a un’indagine necessaria, per-ché centinaia di suoi concittadini la ri-chiedono inutilmente, o pagare un ticketsalato per un farmaco essenziale, perchéla spesa farmaceutica nazionale è grava-

La tecnologia consentedi identificare sempre piùcondizioni che in passatosarebbero state trascuratesenza causare danni

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n Il modo con cui si spiega alla genteperché dovrebbe sottoporsi a controllia tappeto per il cancro, anche in assen-za di sintomi, è spesso equivoco. Lo hasottolineato recentemente, in un edito-riale sul British Medical Journal, unesperto tedesco di comunicazione,Gerd Gigerenzer: «Si sottolineano ivantaggi e si sottovalutano i rischi; siusa il termine “prevenzione”, inveceche “diagnosi precoce”, lasciando cre-dere che si possa ridurre il rischio diammalarsi sottoponendosi al test; siparla di riduzione del rischio relativo,che amplifica l’effetto, invece di con-centrarsi su quello del rischio assoluto,spesso limitato. Infine, si tende ad as-sumere che la sopravvivenza a 5 annidalla diagnosi equivalga alla guarigio-ne, o comunque a una riduzione dellamortalità. In sostanza, si ribadisce chelo screening salva vite, mentre le proveche sia efficace a ridurre la mortalitànon solo per quella malattia, ma pertutte le altre cause, in molti casi restanolimitate».

Un’analisi pubblicata poche setti-mane prima sullo stesso giornale lo ri-corda: una revisione sistematica deglistudi condotti sull’efficacia degli scree-ning oncologici ha mostrato che un ter-zo di loro è in grado di ridurre la morta-lità specifica dovuta alla malattia chevanno a cercare, ma nessuno incide inmaniera significativa sulla mortalitàper tutte le possibili cause, anche quelleprovocate direttamente o indiretta-mente dai trattamenti.

L’enfasi con cui è stata propagandatala diagnosi precoce del cancro ha pro-

dotto false aspettative che oggi, numerialla mano, vacillano. «Quel che contanon è trovare, e trattare, più tumori, macapire se questo incide sull’aspettativadi vita», spiega il presidente della Fon-dazione Gimbe Nino Cartabellotta. Ilpericolo si annida soprattutto nella “so-vradiagnosi”, termine che non si riferi-sce ai falsi positivi, che ad accertamentisuccessivi fanno tirare un sospiro disollievo, ma a quelle diagnosi, del tuttoindistinguibili a livello individuale, chenon cambiano la sorte del paziente.

Il fenomeno è variabile da esame aesame e da tumore a tumore, e contri-

buisce a determinare il valore di ogniprogramma di screening. Nessun dub-bio per esempio su quelli per il tumoredel collo dell’utero o del colon, che per-mettono di riconoscere e quindi aspor-tare anche lesioni ad alto rischio di di-ventare cancerose senza interventi po-tenzialmente dannosi. Per questo, in li-nea di principio, se non si considerano icosti, potrebbe essere accolto l’invitoad anticipare a 40 anni i controlli per ilcolon, dal momento che un recente stu-dio dell’Università del Michigan pub-blicato su Cancer ha messo in luce che

nel 15% dei casi la malattia compareprima dell’inizio previsto per lo scree-ning, attualmente fissato a 50 anni.

«Si cominciano a raccogliere proveanche a favore della Tac spirale comestrumento per diagnosticare precoce-mente il cancro al polmone nei forti fu-matori, ma il rischio di sovradiagnosi èancora elevato. In attesa di nuovi meto-di diagnostici, per esempio con il do-saggio dei microRNA nel sangue, nonsarebbe più opportuno investire instrategie efficaci di disassuefazione dalfumo, responsabile del 70% di questitumori?», si chiede Cartabellotta. Unadiagnosi in più del necessario, in que-sto caso, significa un intervento chirur-gico impegnativo, che espone il pazien-te a rischi non indifferenti. «È la stessaragione per cui nessuna società scienti-fica consiglia di dosare di routine l’anti-gene prostatico specifico, in sigla Psa,negli uomini di mezza età», aggiungeMarco Zappa, direttore dell’Osservato-rio Nazionale Screening. «Il rapportotra rischi e benefici è troppo svantag-gioso, seppur valutato in maniera di-versa dai diversi studi: anche il trial eu-ropeo che, diversamente da quello con-dotto negli Stati Uniti, ha dimostratouna riduzione della mortalità del 20%,calcola che per ogni vita salvata quasiuna trentina di uomini andranno in-contro ai pesanti effetti collaterali deltrattamento, cui spesso si associa im-potenza e incontinenza». Per scorag-giare la cattiva abitudine dei mediciitaliani a prescrivere questo esame sen-za discuterne con i loro pazienti, la Re-gione Toscana sta quindi pensando diintrodurre l’obbligo di sottoscrivere unconsenso informato prima di sottopor-si al test.

La discussione non riguarda solo iltipo di test, ma anche la fascia di perso-ne a cui rivolgerlo e la frequenza con cuiripeterlo: «Alcuni studi hanno messoin luce recentemente che ci può essereun vantaggio a eseguire la mammogra-fia anche a partire dai 40 anni, purchési tenga conto che in questa fascia di etàil rischio di sovradiagnosi è più alto,mentre c’è più consenso sulla mammo-grafia ripetuta ogni due anni tra i 50 e i69 anni, come consigliato in Italia»,spiega Zappa. E prosegue: «I rischi diun’eccessiva medicalizzazione ci sonocomunque anche con gli esami di pro-vata efficacia, se sono condotti al di fuo-ri dei criteri previsti dai programmi discreening: il 70% delle donne che sisottopongono al Pap test, per esempio,lo ripete ogni anno, invece che ogni tre,mentre una sola colonscopia ogni diecianni, a parte casi particolari, è più chesufficiente».

R .V.

gli effetti collateralidell’eccesso di screeningCancro | Quando l’esame comporta un intervento complesso,

il rapporto tra rischi e benefici può rivelarsi svantaggioso

R I C E R CA La diagnosi precoceè sempre più diffusa nellamedicina moderna. Pochesettimane fa la task force delgoverno statunitense per iservizi di prevenzione haraccomandato che tutti gliadolescenti a partire dai 12 annie tutti gli adulti – conparticolare attenzione alledonne in gravidanza e subitodopo il parto – siano sottopostialmeno una volta a un test peridentificare e trattare eventualisintomi depressivi

ta da prescrizioni la cui appropriatezza èseriamente messa in discussione.

“Appropriatezza”è unaparola diffici-le, ma cruciale, resa nota a tutti dal de-creto ministeriale che entra in vigore inquesti giornie che daquesto importantecriterio della medicina basata sulle pro-ve ha preso nome. «Appropriatezza peròsignifica “effettuare la prestazione giu-sta, in modo giusto, al momento giusto,al paziente giusto”», ricorda Slow Medi-cine, associazione di professionisti e cit-tadini per una cura sobria, rispettosa egiusta. Slow Medicine ha lanciato in Ita-lia Choosing Wisely, un’iniziativa che,partendo dagli Stati Uniti, sta lavorandoin 17 Paesi per diffondere l’idea che inmedicina «fare di più non sia sempre fa-re meglio». «Il progetto, in cui al centroc’è sempreil dialogocon ilpaziente, pre-vede un’assunzione di responsabilità daparte dei medici che, attraverso le lorosocietà scientifiche, sono invitati a indi-

care le pratiche a maggior rischio diinappropriatezza», precisa Sandra Ver-nero, vicepresidente del movimento,che, nell’ambito di Choosing Wisely Ita-ly, ha stilato un elenco di 145 pratiche diquesto tipo, dall’abuso di tranquillantinegli anziani, che li espongono a cadutee fratture, a quello di Tc (tomografiacomputerizzata, ndr) e risonanze al pri-mo mal di schiena. «Il decreto invece ècalato dall’alto e induce la gente a crede-re che appropriatezza sia sinonimo dirazionamento della spesa. Il nostro ap-pello peruna medicina“sobria, rispetto-sa e giusta”,non èmotivatainprimoluo-go dall’esigenza di risparmio, se non nelsenso di una più equa distribuzione dellerisorse, quanto dai vantaggi che il pa-ziente può trarre, evitando rischi e disagidi quella che il British Medical Journaldefinisce “troppa medicina”».

“Troppa medicina”è quella per cui c’èuna pillola per ritrovare il desiderio ses-suale inetàavanzata eunapermigliora-re le proprie prestazioni mentali, si fan-no più esami in gravidanza che nel corsodi una malattia, e si preferisce la como-dità di una pillola allo sforzo necessarioa mangiare più sano o muoversi di più,nell’ottica di una vera prevenzione.

Lo conferma il rapporto Osmed sul-l’uso dei farmaci in Italia, secondo cui laparte del leone nel consumo e nella spesaper i farmaci la fanno i medicinali per ab-

bassare la pressione arteriosa, il coleste-rolo e la glicemia, fattori che a loro voltaaumentano il rischio di infarti e ictus, mache di per sé non sono malattie e su cuibisognerebbe in prima istanza interve-nire con seri cambiamenti degli stili divita. Ogni 1.000 adulti si consumano in-fatti in Italia quasi 400 dosi medie gior-naliere di farmaci per controllare lapressione, che insieme a quelli per ab-bassare il colesterolo (soprattutto le sta-tine, che rappresentano la voce di spesapiù rilevante) contribuiscono a portareoltre i 4.000 milioni di euro il costo deifarmaci per il sistema cardiovascolare,in percentuale il più alto d’Europa.

“Prevenire è meglio che curare”,quando si intende con i farmaci, e noncon gli stili di vita, è un principio che valesoprattutto per le case farmaceutiche.Curare i malati acuti è infatti di solitopoco redditizio, perché nel giro di pocotempo guariscono, o muoiono. La pre-venzione delle malattie croniche inveceoffre un mercato sconfinato, con unaclientela che resta fedele nel tempo e chesi può allargare a piacimento. «Bastaabbassare la soglia dei valori di glicemia,colesterolo o pressione arteriosa consi-derati pericolosi, come si è fatto pro-gressivamente negli ultimi decenni, cheimmediatamente il numero di poten-ziali pazienti può anche raddoppiare»,commenta Cartabellotta.

Già alla fine del secolo scorso appli-cando le definizioni di diabete, iperten-sione, ipercolesterolemia e sovrappesoil 75 per cento della popolazione adultadegli Stati Uniti non poteva dirsi sana;tenendo conto dei valori di pressione ecolesterolo che accendono un campa-nello di allarme per il cuore, la stessapercentuale di adulti sarebbe a rischioin Norvegia, dove l’aspettativa di vita èin realtà tra le più alte del mondo. Nel1997, la semplice decisione dell’Ameri -can Diabetes Association di abbassarela soglia di glicemia a digiuno che defini-sce ildiabete da140 mg/dLa 126mg/dLhaprodotto istantaneamente,secondoicalcoli di PharmaWatch Canada, un mi-lione e novecentomila pazienti in più.L’ulteriore introduzione del concetto di“prediabete”, che riguarda chi sconfina

oltre i 100 mg/dL a digiuno, ha estesoancora di più la potenziale clientela perfarmaci da prendere per tutta la vita.

Con queste strategie, applicate ancheai livelli di colesterolo e pressione consi-derati “a rischio”, tra il 2000 e il 2013,nei Paesi Ocse l’uso di farmaci per ab-bassare il colesterolo è più che triplicatoe quello di antidiabetici e antipertensiviquasi raddoppiato.

«Seuntemposi curavanoidisturbidiun paziente, negli ultimi decenni si èpassati a trattare i suoi esami del sangue.Troppi studi sull’efficacia dei farmaci

per l’ipertensione, il colesterolo eleva-to o il diabete si sono basati sulla capa-cità di normalizzare questi valori, sen-za preoccuparsi di accertare i loro verieffetti a lunga scadenza sull’incidenzadi infarti, ictus o sulla mortalità tota-le», aggiunge Cartabellotta. «Un altrometodo per aumentare il numero deipazienti è estendere la definizione diuna malattia, come si è fatto con l’i n-sufficienza renale cronica: con i criteriattuali tre quarti degli ultrasessanta-cinquenni ne soffrono ma non è maistato provato che trattarli sia utile».

Lo stesso vale per l’Alzheimer, malat-tia per la quale, a tutt’oggi, non disponia-mo di una cura efficace, così come non cisono prove certe che un trattamentoprecoce possa influire in maniera signi-ficativa sul suo andamento. Chiunquericeverà la diagnosi diuna lieve compro-missione cognitiva, pur sapendo chenon necessariamente il disturbo si evol-verà in demenza, prenderà le sue pillole.Ma la spada di Damocle di questa dia-gnosi rischia comunque di compromet-tere la qualità della sua vita, senza chepossa cambiarne davvero il destino.

Il fenomeno è variabileda tumore a tumore. Nessundubbio sui test per quellial colon e al collo dell’u te ro

Il costo dei farmaci peril sistema cardiovascolarein Italia supera i 4 miliardidi euro. In percentualeè il più alto d’E u ro p a

Nella fascia 50-69 anni la mammografia va fatta con cadenza biennale CONTRASTO

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