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F abrizio Festa è un intellettuale versatile. Compo- sitore, critico musicale, docente nei Conservatori, organizzatore concertistico e promotore di conve- gni, è anche un esperto divulgatore, che da sempre scruta con occhio penetrante le relazioni fra la musica e gli altri campi disciplinari. È in libreria da pochi mesi un suo sag- gio intitolato Musica: suoni, segnali, emozioni, che offre «ri- sposte ad alcune domande essenziali per comprendere la complessità affascinante» dell’arte dei suoni. Con finez- za di tocco e competenza culturale Festa affronta temi nevralgici, che investono le dimensioni problematiche, se non addirittura contraddittorie, della musica: quest’ar- te, così potente nel suscitare le emozioni e al tempo stes- so nel formalizzarle, è per certi tratti il frutto di un sape- re artigianale (la si impara a bottega) e però dialoga con le scienze e la filosofia, si ricollega alla fisica come alla poe- sia, è un poderoso strumento in mano agli educatori e per converso può indurre la perdita della coscienza, non esi- ste se non la si produce, e rimane sterile se le vien meno l’ascolto. Fabrizio Festa dipana questo complesso intrec- cio di concetti in quattro densi capitoli e un postludio: af- fiorano suggestioni culturali di natura diversa, dall’àm- bito filosofico-estetico a quello matematico e fisico, dal- la psicologia delle emozioni alla scienza medica. Il saggio è una miniera di notizie e di ragionamenti; il filo del di- scorso conduce il lettore ad irretirsi in un discorso assai ramificato, tessuto però con mano lieve anche nei tratti che invocano una concettualizzazione profonda. Il libro affascina, si legge d’un fiato, fornisce ricco stimolo in- tellettuale allo studente universitario o di conservatorio, all’amatore come all’intenditore. Nata nell’Ottocento, la musicologia è fiorita dapprima soprattutto come medievistica, applicandosi alle prime testimonianze della musica europea. Da tempo questo primato si è ritirato nella nicchia degli specialismi. Ep- pure il lascito della musica medievale, se incide poco sul- la vita concertistica e sul mercato discografico, stimola tuttora la riflessione dello storico: da un lato c’è la sfida di ricostruire un tessuto di testi e fonti irrimediabilmen- te frammentario; dall’altro, il pensiero musicale dell’età di mezzo presenta affascinanti somiglianze ed enigmati- che divergenze rispetto alla nostra concezione del sapere musicale. Su questo doppio versante si segnalano i lavo- ri recenti di due giovani e valorosi medievisti di casa no- stra. Mauro Casadei Turroni Monti, già ricercatore a Udi- ne (ora a Modena-Reggio), ha procurato la prima versio- ne italiana della Musica Enchiriadis, ossia un «manuale di musica» che, stilato in età carolingia, godette di durevole fortuna: anche Guido d’Arezzo lo prese a modello. Tut- te le storie della musica lo citano, non foss’altro perché vi compaiono le primissime testimonianze di rudimentali «polifonie» intessute sul canto gregoriano: in esse, le voci supplementari ricalcano con rigoroso parallelismo il can- to liturgico, nell’intento di conferirgli un degno alone so- noro. Chi prima d’ora avrebbe davvero potuto leggere e meditare l’insegnamento di quest’anonimo didatta musi- cale del IX secolo? Ora, guidato dall’erudita introduzione di Casadei, l’impavido lettore può tentare la riscoperta di questo incunabulo della teoria musicale europea. Dal canto suo Stefania Roncroffi, docente di Sto- ria della musica nell’Isti- tuto musicale di Castelno- vo ne’ Monti, sotto il mot- to agostiniano «Psallite sa- pienter» ha riportato in luce un corpus omogeneo di ma- noscritti di canto liturgi- co prodotti da alcuni mo- nasteri domenicani fem- minili a Bologna nei seco- li XIII e XIV, oggi disper- si tra Bologna, Modena, Ve- nezia, Parma e Roma. Oltre a rivelare un patrimonio coerente di splendidi codi- ci miniati – in uno si osser- vano moduli figurativi ispi- rati a Giotto – Roncroffi fornisce un eloquente spaccato di storia sociale: spesso infatti la confezione di un codi- ce liturgico rispondeva a una delicata strategia di compe- tizione nobiliare tra le pie donne recluse in monastero. Fabrizio Festa, Musica. Suoni, segnali, emozioni, Bologna, Editrice Compositori, 2009, 230 pp., isbn 978-88-7794-684-3, 15,00 euro Musica Enchiriadis, introduzione, traduzione e commento di Mauro Casadei Turroni Monti. Testo latino a fronte, Udine, Università di Udine – Forum, 2009, 143 pp., isbn 978-88-8420-557-5, 16,00 euro Stefania Roncroffi, “Psallite sapienter”. Codici musicali delle Domenicane bolognesi, Firenze, Leo S. Olschki, 2009 («Historiae Musicae Cultores», CXVIII), x-214 pp., isbn 978-88-222-5934-9, 26,00 euro Tre recensioni di Giuseppina La Face Bianconi 50 — carta canta carta canta / libri libri

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Fabrizio Festa è un intellettuale versatile. Compo-sitore, critico musicale, docente nei Conservatori, organizzatore concertistico e promotore di conve-

gni, è anche un esperto divulgatore, che da sempre scruta con occhio penetrante le relazioni fra la musica e gli altri campi disciplinari. È in libreria da pochi mesi un suo sag-gio intitolato Musica: suoni, segnali, emozioni, che offre «ri-sposte ad alcune domande essenziali per comprendere la complessità affascinante» dell’arte dei suoni. Con finez-za di tocco e competenza culturale Festa affronta temi nevralgici, che investono le dimensioni problematiche, se non addirittura contraddittorie, della musica: quest’ar-te, così potente nel suscitare le emozioni e al tempo stes-so nel formalizzarle, è per certi tratti il frutto di un sape-re artigianale (la si impara a bottega) e però dialoga con le scienze e la filosofia, si ricollega alla fisica come alla poe-

sia, è un poderoso strumento in mano agli educatori e per converso può indurre la perdita della coscienza, non esi-ste se non la si produce, e rimane sterile se le vien meno l’ascolto. Fabrizio Festa dipana questo complesso intrec-cio di concetti in quattro densi capitoli e un postludio: af-fiorano suggestioni culturali di natura diversa, dall’àm-bito filosofico-estetico a quello matematico e fisico, dal-la psicologia delle emozioni alla scienza medica. Il saggio è una miniera di notizie e di ragionamenti; il filo del di-scorso conduce il lettore ad irretirsi in un discorso assai ramificato, tessuto però con mano lieve anche nei tratti che invocano una concettualizzazione profonda. Il libro affascina, si legge d’un fiato, fornisce ricco stimolo in-tellettuale allo studente universitario o di conservatorio, all’amatore come all’intenditore.

Nata nell’Ottocento, la musicologia è fiorita dapprima soprattutto come medievistica, applicandosi alle prime testimonianze della musica europea. Da tempo questo primato si è ritirato nella nicchia degli specialismi. Ep-pure il lascito della musica medievale, se incide poco sul-la vita concertistica e sul mercato discografico, stimola tuttora la riflessione dello storico: da un lato c’è la sfida di ricostruire un tessuto di testi e fonti irrimediabilmen-

te frammentario; dall’altro, il pensiero musicale dell’età di mezzo presenta affascinanti somiglianze ed enigmati-che divergenze rispetto alla nostra concezione del sapere musicale. Su questo doppio versante si segnalano i lavo-ri recenti di due giovani e valorosi medievisti di casa no-stra. Mauro Casadei Turroni Monti, già ricercatore a Udi-ne (ora a Modena-Reggio), ha procurato la prima versio-ne italiana della Musica Enchiriadis, ossia un «manuale di musica» che, stilato in età carolingia, godette di durevole fortuna: anche Guido d’Arezzo lo prese a modello. Tut-te le storie della musica lo citano, non foss’altro perché vi compaiono le primissime testimonianze di rudimentali «polifonie» intessute sul canto gregoriano: in esse, le voci supplementari ricalcano con rigoroso parallelismo il can-to liturgico, nell’intento di conferirgli un degno alone so-noro. Chi prima d’ora avrebbe davvero potuto leggere e meditare l’insegnamento di quest’anonimo didatta musi-cale del IX secolo? Ora, guidato dall’erudita introduzione di Casadei, l’impavido lettore può tentare la riscoperta di questo incunabulo della teoria musicale europea.

Dal canto suo Stefania Roncroffi, docente di Sto-ria della musica nell’Isti-tuto musicale di Castelno-vo ne’ Monti, sotto il mot-to agostiniano «Psallite sa-pienter» ha riportato in luce un corpus omogeneo di ma-noscritti di canto liturgi-co prodotti da alcuni mo-nasteri domenicani fem-minili a Bologna nei seco-li XIII e XIV, oggi disper-si tra Bologna, Modena, Ve-nezia, Parma e Roma. Oltre a rivelare un patrimonio coerente di splendidi codi-ci miniati – in uno si osser-vano moduli figurativi ispi-

rati a Giotto – Roncroffi fornisce un eloquente spaccato di storia sociale: spesso infatti la confezione di un codi-ce liturgico rispondeva a una delicata strategia di compe-tizione nobiliare tra le pie donne recluse in monastero. ◼

Fabrizio Festa, Musica. Suoni, segnali, emozioni,Bologna, Editrice Compositori, 2009, 230 pp.,

isbn 978-88-7794-684-3, 15,00 euro

Musica Enchiriadis, introduzione, traduzione e commentodi Mauro Casadei Turroni Monti. Testo latino a fronte,

Udine, Università di Udine – Forum, 2009, 143 pp.,isbn 978-88-8420-557-5, 16,00 euro

Stefania Roncroffi, “Psallite sapienter”.Codici musicali delle Domenicane bolognesi,

Firenze, Leo S. Olschki, 2009(«Historiae Musicae Cultores», CXVIII),

x-214 pp., isbn 978-88-222-5934-9, 26,00 euro

Tre recensionidi Giuseppina La Face Bianconi

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La consegna dei Premi Ubu è un ap-puntamento ormai da molto tempo entrato a far parte delle consuetudini

del mondo teatrale italiano. E anche questa volta, il 22 febbraio, la serata della premia-zione è stata celebrata a Milano, in un gre-mito Teatro Grassi e con la conduzione graf-fiante di Piero Chiambretti, ultimo in ordine di tempo di una serie di presentatori illustri, tra cui negli anni si ricordano almeno Nunzio Filogamo, Roberto Benigni, Alessandro Bergonzoni e Sabina Guzzanti. Ma il Pre-mio non è che il momento conclusivo di un lavoro colos-sale che quasi magicamen-te Franco Quadri conduce in porto da trentadue an-ni, anche grazie a una va-lorosa redazione che lo accompagna nell’impre-sa (oltre all’estrosa e sicu-ra mano grafica di Andrea Lancellotti): mi riferisco ovviamente al Patalogo, il celebre annuario del tea-tro che ci è molto invidia-to anche all’estero. Sin dal 1978, quando uscì il primo numero – che raccoglieva in una visione interdisci-plinare tutti i diversi setto-ri delle arti dello spettaco-lo – questo straordinario strumento riunisce in sé il racconto della stagione ap-pena trascorsa e l’analisi, spesso profetica, delle ten-denze che attraversano le scene nostrane e interna-

zionali. Le sue sezioni «istituzionali» – Repertorio, Fe-stival italiani e stranieri, Vetrina – fotografano la stagio-ne fornendo tutti i dati necessari, che vengono poi arric-chiti e contestualizzati da una selezionatissima antolo-gia della critica. A queste parti più o meno fisse del vo-lume si aggiunge poi quello che da tempo è stato dal suo ideatore battezzato come «Speciale»: dopo la scorpaccia-ta di teatro spagnolo e sudamericano regalata ai lettori la

scorsa edizione (e curata da Manuela Cheru-bini e Davide Carnevali), quest’anno la fervi-da mente di Franco Quadri – affiancato dal-la costante e fondamentale collaborazione di Renata Molinari – ha costruito un gradito e inaspettato omaggio, che lui stesso raccon-ta nella sua introduzione: «La strage di lutti

estivi che ha colpito grandi personaggi della scena, e non solo, mi fece pensare di dedicare il nostro spazio a questi scomparsi spesso cari, sempre ammirati, che tanto hanno fatto per tutti noi, [...] cambiando molte volte con le loro invenzioni il senso e l’espressività dell’arte che amiamo e

che ci aiuta a vivere. [...] Ci siamo dunque affidati al-le parole di questi rifonda-tori della cultura e del tea-tro testé scomparsi per rie-vocare e rivivere con loro un’epoca importante di ar-ricchimenti, di invenzioni, di evoluzione dell’arte in un mondo che va a rotoli, per sentirci a nostra volta più vivi e ritrovarci ancora con quegli amici dei qua-li ci sarebbe impossibile perdere le tracce e la lezio-ne». Ecco dunque raccol-ti, sotto il titolo di «Altre idee di teatro», i pensieri, le visioni e le riflessioni – tra gli altri – di Pina Bausch, Leo de Berardinis, Klaus M. Grüber, Nina Vin-chi e Peter Zadek. (l.m.) ◼

«il Patalogo» fa 32Presentata a Milanola nuova edizionedel celebre Annuario

I Premi Ubu 2009Ecco i vincitori dello scorso anno, decretati da una giuria com-posta da 61 critici teatrali. Spettacolo dell’anno: I demoni, regia di Peter Stein; Miglior regia: Valter Malosti per Quattro atti pro-fani di Antonio Tarantino; Miglior scenografia: ex aequo tra Daniela Dal Cin per ...Ma bisogna che il discorso si faccia! da Samuel Beckett e Margherita Palli per Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare; Miglior attore: Giuseppe Battiston per Orson Welles’ Roast; Miglior attrice: Ermanna Montanari per Ro-svita; Miglior attore non protagonista: Fausto Russo Alesi per I demoni e Sogno di una notte di mezza estate; Miglior attrice non pro-tagonista: Francesca Ciocchetti per I pretendenti, Giusto la fine del mondo, La cimice, Sogno di una notte di mezza estate e Un altro Gab-biano; Nuovo attore o attrice (under 30): Silvia Calderoni; Nuo-vo testo italiano o ricerca drammaturgica: Pali di Spiro Scimo-ne; Nuovo testo straniero: Giusto la fine del mondo di Jean-Luc Lagarce (Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa); Miglior

spettacolo straniero presentato in Italia: Die Dreigroschenoper (L’opera da tre soldi) di Bertolt Brecht e Kurt Weill, regia di Ro-bert Wilson (Berliner Ensemble); Premi Speciali a Primavera dei Teatri, «festival ormai storico dedito alla scoperta e alla va-lorizzazione di giovani gruppi teatrali con speciale attenzione a quanto accade nel Meridione, diretto e guidato con amore da Scena Verticale a Castrovillari»; a Santasangre, Teatro Sotter-raneo, Muta Imago, «gruppi guida con Babilonia Teatri dell’at-tuale cambio generazionale che resuscita in qualche modo gli storici fasti della scuola romana, dimostrando una capacità di rinnovare la scena [...] facendo emergere gli aspetti più inquie-ti e imbarazzati del nostro stare nel mondo attraverso l’uso in-telligente di nuovi codici visuali e linguistici»; a Inequilibrio Festival, «già Armunia, festival residenziale creato e diretto da Massimo Paganelli a Castiglioncello, per la coerenza tena-ce e assolutamente originale nella sua ricerca pratica con cui riunisce annualmente compagnie e gruppi non solo toscani».

il Patalogo 32.Annuario del Teatro 2009.

Altre idee di teatro,Ubulibri, Milano 2010,

ill. pp. 352, euro 55

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«Questo Libro, si Può dire, è la mia tesi». Ales-sandro Bressanello esprime così lo sforzo e la soddisfazione per la creazione del suo ul-timo libro Il carneva-

le in età moderna. 30 anni di Carnevale a Venezia 1980-2010. Lo sforzo, per l’enorme difficoltà di reperire age-volmente materiale documenta-le, la soddisfazione, perché questo libro mette finalmente ordine al-le svariate immagini delle edizioni del carnevale che si sono susseguite lungo gli anni a oggi. Alla presenta-zione del libro, avvenuta il 30 gen-naio scorso presso lo Spazio Even-ti della Libreria Mondadori a Ve-nezia, erano presenti l’assessore al-la Produzione Culturale Luana Za-nella e il presidente di Venezia Mar-keting & Eventi Piero Rosa Salva, il quale, esprimendo soddisfazione per l’investimento compiuto, ricor-da che «Bressanello ha caratterizza-

to il lavoro culturale a Venezia»: il libro infatti è un album dei ricordi del carnevale veneziano raccontato da chi il carnevale l’ha pensato e costruito, partecipando a vario titolo (attore, regista, organizzatore, amministratore) al-le sue edizioni, ciascuna caratterizzata da peculiarità spe-cifiche per i differenti periodi politico-culturali che si so-no succeduti così come per le differenze di budget, spon-sor, progetti ideati.

L’intento dell’autore è allora quello di ripercorrere i trent’anni di storia del carnevale a Venezia con una nar-razione che mette in luce l’evolversi della città: ogni im-magine è infatti accompagnata da appunti, titoli di stam-pa, curiosità e cifre che danno un ampio quadro dell’at-mosfera che si respirava in laguna a ogni organizzazione.

Il carnevale fu abolito nel 1797 quando cadde la Re-pubblica e fu riproposto a partire dal 1980, quando iniziarono a ma-nifestarsi con evidenza forti spinte per far rivivere le antiche tradizio-ni della Serenissima. La storia rac-contata da Bressanello esalta quin-di la rinascita del carnevale che lo stesso autore, con entusiasmo, de-scrive: «Nel ‘79 la Scuola grande San Marco organizza il Volo del-la colombina riproposto per la pri-ma volta davanti a migliaia di ve-neziani, alcune feste e spettacoli e il martedì grasso, il Gran ballo in piazza San Marco e il falò del Pan-talone che chiude i festeggiamenti. È un grande successo, l’Italia usci-va dagli anni di piombo del terrori-smo, la voglia di divertirsi era gran-de. Si comincia a fare sul serio...». ◼

di Giovanna Bottaro

Trent’anni di Carnevale a VeneziaTra immagini e aneddoti Alessandro Bressanello mette ordine ai ricordi

ristorante e caffetteria

Situato al pianterreno di Palazzo Querini Stampalia,il nuovo Qcoffee si apre in un incantevole giardino interno: armonico equilibrio d’acqua, pietra e verdeprogettato alla fine degli anni ‘50 da Carlo Scarpa. Gestito da Mariagrazia Cassan e Guglielmo Pilla,il caffè ristorante, disegnato da Mario Botta,offre i suoi servizi non solo a chi frequenta le mostre,il Museo e le attività della Fondazione Querini Stampalia,ma a chiunque desideri rilassarsi in uno spazio speciale.Lo chef prepara specialitàdella cucina tosco/venetae piatti di pesce, anche crudo.Ampia selezione di vini dall’Italia e dal mondo.

QcoffeeFondazione Querini Stampalia - Santa Maria FormosaCastello 5252 VENEZIA041 [email protected] domenica sera e lunedìby la colmbina

Enoteca Ristorante La ColombinaVia Contessa Beretta, 31Villanova di Farra, Gorizia0481 [email protected] martedì sera e mercoledì

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un Libro scritto coL cuore, ma senza mai indul-gere al sentimentalismo e che attraverso l’analisi della figura di un musicista carismatico ci fa co-

noscere la situazio-ne italiana riguar-do la musica pop e non solo negli anni sessanta e settanta. La sorpresa maggio-re riguarda l’autore, giovanissimo, esper-to di musica pro-gressiva, non ancora nato quando Stratos morì, eppure capa-ce, attraverso l’ascol-to dei dischi e le in-terviste con quan-ti gli furono, soprat-tutto professional-mente, vicini, di far-ci amare una perso-na genuina, tanto più umile e dolce, quanto più decisa e tesa verso una ricer-ca musicale, bruscamente interrotta dalla morte, che for-se sarebbe potuta durare tutta la vita, raggiungendo risul-tati inimmaginabili. Il libro, alla maniera di un film, parte con un flashback degli ultimi istanti di Efstratios Deme-triou, italianizzato in Demetrio Stratos, con il cognome, dunque, che diventa nome, nato da genitori greci ad Ales-sandria d’Egitto il 22 aprile 1945, trasferitosi nel 1962 a Milano per iscriversi alla facoltà di Architettura del Poli-clinico, spentosi al Memoria Hospital di New York il 13 giugno 1979, dov’era stato ricoverato d’urgenza per cer-care di guarire dall’aplasia midollare, una malattia a causa della quale il sangue non riproduce più le cellule. Stratos non aveva più globuli rossi, ogni sua ferita, anche inter-na, non si rimarginava. L’ipotesi più probabile sull’insor-gere della malattia fu quella di un lungo indebolimento dovuto all’assunzione massiccia di sulfamidici per com-battere febbre, infiammazioni alla gola, raffreddori. Per-ché Stratos, temendo un cambiamento del timbro voca-le, non si era mai voluto operare di tonsille. Passando alla parabola artistica, il libro racconta di un periodo iniziale, durante il quale il musicista lavorava nelle balere e nei lo-cali da ballo pur di sbarcare il lunario; del primo succes-so anche discografico con i Ribelli dal 1966 al 1970 – una canzone per tutte «Pugni chiusi» – della creazione degli Area, «International POPular Group», con il quale rima-se per quasi sei anni dal 1973 al 1979, proponendo una musica decisamente rivoluzionaria, che annichiliva le ba-nalità del pop; e infine di una particolare ricerca sono-ra, influenzata tra l’altro dall’incontro e la collaborazione

con John Cage e che portò a risultati ori-ginalmente strabi-lianti e strepitosi. ◼

iL 1959, un anno in cui sono stati prodotti nel jazz dei dischi capolavoro – Kind of Blue di Miles Davis, The Shape of Jazz to Come di Ornette Coleman, Ah Um

di Charles Mingus, solo per citarne alcuni – è altresì da ricordare per le due uniche collaborazioni discografi-che tra Chet Baker e Bill Evans. Roland Damon, nelle

breve introduzione all’ascolto che apre il libretto, si do-manda, senza riuscire a ipotizzare una risposta soddisfa-cente, come mai i loro incontri siano stati così sporadi-ci, nonostante una delicatezza, una fragilità caratteria-le e una concezione musicale sottesa a un sentire comu-ne. Il disco si apre con l’intera scaletta di Chet – the Lyri-cal Trumpet of Chet Baker, registrato in due sedute il 30 di-cembre 1958 e il 19 gennaio 1959 e prosegue con cin-que brani tratti da Chet Baker Plays the Best of Lerner & Lo-ewe, un lp dedicato alle composizioni della coppia Fre-derick Loewe e Jay Lerner, inciso il 22 luglio per i pez-zi con Bill Evans e il 21 per quelli con Bob Corwin. Le canzoni di Chet meritano un ascolto ripetuto. Lentamen-te fanno breccia nell’animo, provocando una sensazio-ne di quiete, di bellezza, arricchita da una sonorità che ricorda le fresche acque di una limpida sorgente. Ov-viamente Baker, essendo il leader, risulta in primo pia-no rispetto ad Evans, che di lì a pochi mesi decollerà gra-zie a quattro memorabili e indimenticabili lp, testimo-nianza di uno tra i più entusiasmanti trii della sua car-riera e della storia del jazz, quello con Scott La Faro al contrabbasso e Paul Motian alla batteria. Chet rappre-senta l’amore per le ballad di Baker, che si sviluppano in tempi lentissimi, con il caratteristico suono della trom-ba libera che mai ricorre all’impiego di sordine. (g.g.) ◼

Chet Baker & Bill Evans, The Complete Legendary Sessions (American Jazz Classics)

Chet Baker, tromba; Bill Evans, pianoBrani 1-10: Pepper Adams, sax baritono; Herbie Mann, flauto; Kenny Burrell, chitarra; Paul Chambers, contrabbasso; Connie Kay o Philly Joe Jones, batteria. Brani 11-14: Pepper Adams, sax

baritono; Herbie Mann, flauto; Zoot Sims, sax tenore e contralto; Earl May, contrabbasso; Clifford Jarvis, batteria. Brano 15: Bob

Corwin sostituisce Bill Evans

«Gioia e rivoluzione»di Demetrio Stratos

Il duo Chet Baker Bill Evans in disco

di Giovanni Greto

Antonio Oleari, Demetrio Stratos.Gioia e rivoluzione di una voce,Aerostella, Milano, 2009.

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