5 - Le profezie di Sabira e la tempesta di sabbia

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FIABA DI MAURO NERI ILLUSTRAZIONI DI FULBER www.risparmiolandia.it Le avventure dI GELLINDO GHIANDEDORO AVVENTURA NEL DESERTO 5 - Le profezie di Sabira e la tempesta di sabbia

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Avventura nel deserto

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FIABA DI MAURO NERIILLUSTRAZIONI DI FULBER

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Le avventure dI GELLINDO GHIANDEDORO

AVVENTURA NEL DESERTO

5 - Le profezie di Sabirae la tempesta di sabbia

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AVVENTURA NEL DESERTO

Non si può dire che la maga Sabira giunse provenendo da qualche parte: accadde che Aida e Gellindo si volta-rono contemporaneamente sentendo un’improvvisa ventata leggera e tiepida e lì, accucciata accanto al fuoco, videro una donna vestita di bianco dalla testa ai piedi e con un velo altrettanto candido che le copriva il volto, lasciandole liberi solo gli occhi.

Gellindo non aveva mai visto gli occhi di una maga: quelli della donna misterio-sa erano neri, lucenti, profondi, seri ma anche molto, molto buoni.

– Salve, straniero – mormorò la scia-mana bianca con una voce tremante da anziana, chinando il capo verso lo scoiat-tolino. – Ciao, mia bella Aida – continuò voltandosi a guardare negli occhi la gio-vane principessa del Lago Salato.

– Mia dolce Sabira, noi tutti ti salutia-mo – disse Aida, che sapeva bene con quali parole ci si doveva rivolgere a una maga – e ti auguriamo di tutto cuore che il ghibli, lo scirocco del sud-est, rimanga lontano dalla tua casa, e che lo shimun, il vento che soffia dalle dune, non faccia piangere i tuoi bellissimi occhi, mia ado-rata Sabira...

La donna assentì, giunse i palmi delle mani all’altezza della fronte e si chinò in segno di ringraziamento. Poi...

– Io so il vero motivo della vostra venuta qui, nel cuore della mia casa – disse la sciamana parlando sottovoce e osservando incantata le fiamme del falò che danzavano nell’aria nera della notte. – So che state inseguendo le forze del Male, i Tre terribili Predoni Traditori

che si son dati appuntamento nel cuore dell’Africa... Sono potenti, quel malvagi: hanno dalla loro la forza dell’inganno, la perfidia della violenza, la crudeltà della magia nera e tanta, tanta intelligenza usata per far del male agli altri... E voi siete venuti dalla maga Sabira, condotti fin qui dalla buona Aida, per sapere il nome del luogo nel quale Sim-bal il ladro d’acqua, Scia-krun il ladro di fennec e Uadi-Karim il ladro di dromedari riuni-ranno le loro malvagità per andare alla conquista dell’intero deserto. – La donna si alzò con un’agilità insolita, prese per mano Gellindo e Aida e... – Scendete con me nella mia casa e avrete tutte le risposte...

“Scendete”?Gellindo capì subito che effettiva-

mente, per entrare nella casa della maga, bisognava “scendere” sotto la sabbia del deserto: Sabira infatti aprì una grande botola di legno e cominciò a scendere giù per una lunga scala scavata nella roccia che precipitava nel buio del terreno per una trentina di scalini, in fondo ai quali si arrivava un piccolo cortile a cielo aper-to, cinque-sei metri sotto al livello della sabbia. Sul cortiletto illuminato da due torce appese alle pareti si aprivano tre, quattro... cinque porte, scavate anch’es-se nella roccia friabile del deserto. – Le prime due porticine – spiegò l’anziana donna, – portano alle stanze delle mie ancelle, alla cucina, alla dispensa e al deposito dell’acqua. La terza porta è quella della sala da pranzo in cui ricevo i miei ospiti, mentre la quarta conduce nel mio appartamento...

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– E l’ultima? – si lasciò scappar detto Gellindo, accorgendosi troppo tardi che la sua curiosità poteva anche non essere gradita.

Sabira sorrise, s’inginocchiò per es-sere ad altezza di scoiattolo e... – Hai ragione, mio piccolo Gellindo: dopo avervi detto dove conducono le prime quattro porte, devo parlarvi anche della quinta... Là dietro c’è una piccola stanza tonda in cui mi ritiro quando ho bisogno di pensare, quando devo cogliere il senso delle cose, quando qualcuno come voi mi chiede di violare i segreti del futuro... Venite con me e saprete ogni cosa!

Sabira aprì la quinta porta e fece en-trare Aida e Ghiandedoro nella stanzet-ta circolare: là dentro c’erano solo alcuni tappeti stesi a terra e la fiammella di una minuscola lanterna ad olio al centro. La maga si sedette incrociando le gambe e invitò i due amici a fare altrettanto... Poi chiuse gli occhi e rimase in silenzio a lungo: dopo almeno mezz’ora di pace assoluta e totale, Sabira cominciò len-tamente a dondolare il busto avanti e indietro, mentre le mani si muovevano nell’aria disegnando strane figure. E alla fine parlò...

– A partire da domani all’alba dovre-te viaggiare verso sud per dieci giri di sole, fermandovi a riposare solo sei ore per notte. Saranno i vostri dromedari a seguire la bussola che hanno nella testa: fidatevi di loro e non vi perderete. Allo scoccare del decimo giorno giungerete in vista dell’OaSi dellO ZafferanO: cerca-te allora il mio vecchio amico Jamil, colti-vatore di palme da dattero, e chiedetegli

che vi conduca alla città Bianca persa nel cuore del deserto più profondo... È là, fra le candide mura di quella città, che i tre cattivi Predoni Traditori si daranno appuntamento ed è là che voi dovrete affrontarli...

Il silenzio piombò di nuovo nella stan-za tonda per alcuni istanti, ma fu ancora Sabira a parlare: – E ricordati, Gellindo, quel che ti disse in sogno Giada, la regina della Città di Pietra... combatti la catti-veria del terzo Traditore, del terribile Uadi-Karim, con la forza della poesia e parla e pensa sempre in rima! Solo così il tuo cervello rimarrà libero e il tuo cuore sarà forte e coraggioso, solo così riusci-rai a vincere i sortilegi di quel manigoldo e l’Africa, la dolce e bella Africa, la mia terra immensa sarà finalmente salva!

Ci volle tutta la mattina del giorno dopo per raccontare al mercante Omar, al buon Momò e a Fra’ Vesuvio quel che s’erano persi nella casa sottoterra della maga Sabira.

– Ma perché non ci avete svegliati? – si lamentò Momò.

– E tu pensi che non ci abbiamo prova-to? – esclamò ridendo Gellindo aggrap-pato alla sella di Nelson, il dromedario-guida che procedeva spedito fra le dune di sabbia. – Aida ed io abbiamo urlato, vi abbiamo scosso, tirato i capelli, soffiato nel naso, ma dormivate di sasso che nemmeno mille cannonate vi avrebbero svegliato!

– D’accordo, eravamo stanchi morti – si giustificò il mercante Omar, – ma cos’è questa storia dei dieci giri di sole? Dob-

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biamo farci guidare dal tuo Nelson per dieci giorni, finché arriveremo nell’oasi di Illizi?

– Certo – rispose Aida; – laggiù cer-cheremo un coltivatore di palme da dattero di nome Jamil e lui ci condurrà alla Città Bianca, dove... ecco...

– Lascia perdere – intervenne in suo soccorso Fra’ Vesuvio. – Lo immaginiamo tutti quel che accadrà laggiù...

Da un istante all’altro – il tempo per lo spauracchio di pronunciare la parola “laggiù” – e l’aria bollente del deserto si mosse all’improvviso, una folata ardente schiaffeggiò in viso i nostri amici, fece barcollare i dromedari e sollevò miliardi e miliardi di granelli di sabbia fine, che si trasformarono in tante punte di frecce velenose e dolorose.

Fu Omar il primo a reagire. – at-tenZiOne, Sta arrivandO una tempeSta di SaBBia!

Fra’ Vesuvio aveva sentito parlare delle famose tempeste del deserto, ma mai avrebbe immaginato che scoppia-vano così rapidissime, oscurando in un baleno l’orizzonte, coprendo il sole con una nube gigantesca di sabbia e get-tandosi a capofitto su qualsiasi cosa in movimento.,

– leghiamOci unO all’altrO cOn le cOrde – strillò Aida per farsi sentire al di sopra del rombo del vento, e le cavezze vennero legate in una lunga catena: Nelson con Gellindo in testa, Nadir su-bito dietro con in groppa Fra’ Vesuvio e poi, via via, tutti gli altri: il dromedario Alfredo con il mercante Omar, Mustafà con Momò aggrappato alla sua gobba,

Gliberto con Aida che chiudeva la fila te-nendo ben stretta in mano la cavezza di Salem, il dromedario che portava i pacchi delle riserve d’acqua e di viveri.

– Ma non sarebbe il caso di fermarsi? – propose Gellindo, spaventato dalla sabbia che il vento lanciava con forza contro il povero Nelson.

– Chi si ferma è perduto! – urlò di rimando Momò. – Saremmo sommersi dalla sabbia portata dal vento e verrem-mo inghiottiti dalle nuove dune! No no, proseguiamo la marcia: copriamoci gli occhi e avanti! Non ci si ferma, quando c’è una tempesta di ghibli!

ghiBli?Era quello, il feroce vento di sud-est?

Lo scirocco che soffiava caldo e impetuo-so? Il vento che in poche, pochissime ore riusciva a ridisegnare l’intero deserto, con nuove dune, nuove piste, nuovi tra-bocchetti?

La tempesta di ghibli s’accanì con forza contro la piccola carovana, urlan-do tutto il suo furore, ma purtroppo le cose peggiorarono quando alle spalle dei nostri amici si alzò lo shimun, il vento altrettanto caldo delle dune, che andò a cozzare contro il nemico ghibli. I due venti s’attorcigliarono nell’aria piena di sabbia, crearono un vortice terrificante che afferrò uno dopo l’altro i dromedari, li sollevò in alto verso il cielo e se li portò via con tutto il carico di paura, di pianti e di strilli che avevano sulle groppe!

La carovana venne rapita da quella doppia tempesta, insomma, e trascinata a forza verso il cielo di sabbia dorata che vorticava impazzito in ogni direzione:

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ululava il ghibli, mugghiava lo shimun ed entrambi facevano a gara a chi fosse il più forte, il più insistente, quello che volava più in alto...

Muti e atterriti da tanta violenza, i nostri poveri amici si tenevano stretti alle selle dei rispettivi dromedari, in balìa di quella forza della natura e prigionieri di quell’uragano di vento e di polvere sabbiosa che li stava trasportando chissà dove...

Per fortuna di lì a qualche decina di minuti l’impeto del ghibli e la furia dello shimun calarono piano piano e i dro-medari ritoccarono terra, continuando imperterriti a trotterellare dietro al forte Nelson con i loro preziosi carichi sulle gobbe, come se nulla di strano fosse successo.

– Come facciamo a sapere se per caso la tempesta di sabbia ci ha fatto deviare e ci ha portato nella direzione sbagliata? – chiese preoccupato Fra’ Vesuvio.

Fu la principessa Aida a rispondere: – Sta’ tranquillo, ci penserà Nelson a ritrovare la strada giusta...

E infatti il vecchio dromedario aspet-tò che tutta la sabbia ricadesse a terra, allungò poi il collo e annusò l’aria ai quattro punti cardinali. Riannusò alla sua destra agitando le froge del naso, si girò in quella direzione e s’avviò al trotto riprendendo la sua danza buffa e leggera. E gli altri lo seguirono.

I nostri amici avanzarono nel deserto giorno dopo giorno, da prima dell’al-ba fino a dopo il tramonto, riposando esattamente sei ore per ogni notte, così

come aveva loro indicato la sciamana Sabira.

Mangiavano, bevevano e dormivano ognuno sempre in groppa al proprio dromedario, fidandosi dell’istinto del buon Nelson, ma covando in fondo al cuore più di un dubbio. Stavano andando proprio verso sud? Ed esattamente nella direzione dell’Oasi dello Zafferano? E se il vecchio Nelson si sbagliava? Sarebbe stato sufficiente allontanarsi dall’itinera-rio anche di un solo metro per ritrovarsi di lì a cinque-sei giorni fuori rotta di trenta, quaranta chilometri!

L’unica a rimanere tranquilla e serena era la bella Aida, che distribuiva a tutti un sorriso, un biscotto addolcito col miele e una buona parola:

– Sta’ tranquillo, Omar: se la sciamana Sabira ci ha detto di fidarci dell’istinto

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dei nostri dromedari, vedrai che andrà tutto bene!

– Ma ti rendi conto di che cosa succe-derà – le rispondeva affranto il povero spauracchio, – se arriveremo alla Città Bianca troppo tardi? Io, laggiù, ho mio cugino Abdu Al-Bar...

– Ed io ho mio padre Ismail, ed Omar ha il suo fennec Alì, e Momò ha tutto il suo popolo prigioniero di Sim-bal!

– Siamo tutti sulla stessa barca, Vesu-vio! – esclamò Gellindo con un sorriso di incoraggiamento. – Una barca che naviga sulla sabbia, ma che prima o poi arriverà al suo porto giusto, vedrai!

All’improvviso l’ottavo giorno, verso metà pomeriggio, Nelson ebbe uno sobbalzo e cominciò a galoppare sulla sabbia di una pista che zigzagava fra dune altissime.

– pianO, nelSOn! tOrna al trOttO! – urlò Gellindo afferrando le briglie per frenare l’animale, che invece accelerò e si mise a correre come un forsennato seguito dagli altri dromedari impazziti anch’essi.

La carovana ebbe un’accelerazione folle e le urla dei passeggeri spaventati rimbalzarono su per i fianchi delle dune che salivano a coprire l’intero orizzonte. Nelson e gli altri corsero per almeno un paio d’ore, sbavando per la fatica e traballando pericolosamente ad ogni curva, finché si fermarono ansimanti in cima ad una salita lunghissima, proprio sul crinale di una duna immensa.

Laggiù davanti a loro, ai piedi della duna, a meno di cinque minuti di strada, si stagliava un grande palmeto illumina-

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to dal sole quasi al tramonto. Al centro dell’oasi si distingueva un laghetto e una sorgente che gorgogliava allegra da al-cune rocce: beduini, nomadi e mercanti erano raccolti in una piccola piazza al centro d’un villaggio di mattoni chiari.

– Riesci a leggere quel cartello lag-giù? – disse Gellindo rivolto ad Aida. – È scritto in arabo, ma dovrebbe essere il nome dell’oasi...

Aida strizzò gli occhi per vederci me-glio e infatti lesse: – Zafferano! Siamo arrivati all’Oasi dello Zafferano, amici!

Un attimo di stupore percorse l’in-tera carovana. Il primo a riprendersi fu Gellindo: – Ma come: oggi è solo l’ottavo giorno, ne abbiamo ancora due di viaggio da fare, e siamo già alla meta? Ma com’è possibile? Non può essere la nostra oasi, quella!

– E invece sì – gli rispose Omar sal-tando giù dal dromedario, afferrando la cavezza e avviandosi a piedi. – Siamo già arrivati all’Oasi dello Zafferano, perché evidentemente la tempesta di sabbia ci ha trasportati molti più verso meridione di quel che immaginavamo! Dobbiamo ringraziare quel vento, se abbiamo gua-dagnato due giorni di viaggio!

Era chiaro che Omar aveva ragione, era evidente che la tempesta li aveva spinti in avanti d’un bel po’, e quindi...

«Grazie ghibli!» pensò Gellindo Ghiandedoro.

«Grazie shimun!» si disse sottovoce Fra’ Vesuvio.

(5. continua)

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