4.3 Produzione biologica di H2 meccanismi e processi · 2015. 4. 1. · 2 da parte dell’O 2 che...

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4.3.1 Introduzione La produzione biologica di idrogeno (bioidrogeno) con- siste nella conversione microbiologica di acqua, luce solare e/o substrati organici in idrogeno combustibile, mediante l’azione degli enzimi idrogenasi (Hasi) o nitro- genasi (Nasi). Questa definizione esclude l’H 2 ottenuto da biomasse e biocombustibili prodotti mediante gassi- ficazione o altri processi termochimici o elettrochimici. La produzione biologica di H 2 può essere fotobiologica, utilizzando alghe verdi, batteri fotosintetici o cianobat- teri, oppure può avvenire tramite fermentazione in assen- za di luce, utilizzando batteri eterotrofi (fig. 1). Alghe verdi e cianobatteri, precedentemente noti come alghe verdi-azzurre (v. ancora fig. 1A-C), sono microscopici organismi che galleggiano nell’acqua e che effettuano lo stesso tipo di fotosintesi delle piante, in cui l’acqua viene scissa dalla luce del sole in O 2 e in un forte 337 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ 4.3 Produzione biologica di H 2 : meccanismi e processi 10 µm fig. 1. Fotografie al microscopio e colture di microrganismi produttori di idrogeno. A, alga verde Chlamydomonas reinhardtii (dimensioni cellulari indicate); B, cianobatterio eterocistico Nostoc punctiforme ATCC 73102, con cellule vegetative (v) ed eterocisti (h) (lunghezza delle eterocisti 10 mm circa); C, cianobatterio non eterocistico Spirulina (Arthrospira) platensis (spessore del filamento 10 mm circa); D, batterio facoltativo Escherichia coli (dimensioni cellulari 2 mm circa); E, batterio fermentativo termofilo Pyrococcus furiosus (dimensioni 2 mm circa) (per cortesia degli Autori). A B C D E

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4.3.1 Introduzione

La produzione biologica di idrogeno (bioidrogeno) con-siste nella conversione microbiologica di acqua, lucesolare e/o substrati organici in idrogeno combustibile,mediante l’azione degli enzimi idrogenasi (Hasi) o nitro-genasi (Nasi). Questa definizione esclude l’H2 ottenutoda biomasse e biocombustibili prodotti mediante gassi-ficazione o altri processi termochimici o elettrochimici.

La produzione biologica di H2 può essere fotobiologica,utilizzando alghe verdi, batteri fotosintetici o cianobat-teri, oppure può avvenire tramite fermentazione in assen-za di luce, utilizzando batteri eterotrofi (fig. 1).

Alghe verdi e cianobatteri, precedentemente noticome alghe verdi-azzurre (v. ancora fig. 1A-C), sonomicroscopici organismi che galleggiano nell’acqua e cheeffettuano lo stesso tipo di fotosintesi delle piante, in cuil’acqua viene scissa dalla luce del sole in O2 e in un forte

337VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

4.3

Produzione biologica di H2:meccanismi e processi

10 µm

fig. 1. Fotografie al microscopio e colture di microrganismi produttoridi idrogeno. A, alga verdeChlamydomonas reinhardtii(dimensioni cellulariindicate); B, cianobatterioeterocistico Nostocpunctiforme ATCC 73102,con cellule vegetative (v) ed eterocisti (h) (lunghezza delle eterocisti10 mm circa); C, cianobatterio noneterocistico Spirulina(Arthrospira) platensis(spessore del filamento 10 mm circa); D, batterio facoltativoEscherichia coli(dimensioni cellulari 2 mm circa); E, batterio fermentativotermofilo Pyrococcusfuriosus (dimensioni 2 mm circa)(per cortesia degliAutori).

A B

C D E

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agente riducente, di solito la ferredoxina, normalmenteusato per ridurre il CO2 in carboidrati (zuccheri). Tutta-via, in determinate condizioni, alcune microalghe pro-ducono H2 in seguito alla completa dissociazione del-l’acqua, un processo detto ‘biofotolisi’. Se la ferredoxi-na ridotta, prodotta dalla fotosintesi durante la scissionedell’acqua, viene utilizzata per ridurre direttamente glienzimi produttori di H2, idrogenasi o nitrogenasi, senzala fissazione intermedia di CO2, il processo è detto biofo-tolisi diretta (fig. 2). In teoria, la biofotolisi diretta è unprocesso molto allettante, ma in pratica è seriamentelimitato, tra gli altri fattori, dalla forte inibizione dellaproduzione di H2 da parte dell’O2 che contemporanea-mente si sviluppa. Un metodo per superare questo limi-te consiste nel rimuovere l’O2 prodotto (v. ancora fig. 2),per esempio mediante un processo di respirazione cheutilizzi substrati endogeni o esogeni (fig. 3).

L’H2 si può ottenere anche dai carboidrati prodotti damicroalghe durante la normale fotosintesi, un processochiamato biofotolisi indiretta. Un meccanismo per la

biofotolisi indiretta si basa sui cianobatteri eterocistici,specie filamentose le quali, oltre alle cellule vegetative,che effettuano la normale fotosintesi con scissione del-l’acqua e fissazione di CO2, si differenziano anche incellule specializzate, le eterocisti (v. ancora fig. 1B). Leeterocisti escludono l’O2 e riducono l’N2 (fissazione del-l’azoto, mediante l’enzima nitrogenasi). In assenza di N2,la nitrogenasi produce H2, arrivando a una completa scis-sione dell’acqua (fig. 4). Tuttavia, la nitrogenasi è un enzi-ma molto inefficiente e quindi per scopi pratici sarebbenecessario sostituirlo con l’idrogenasi (v. oltre). Un altroapproccio alla biofotolisi indiretta consiste nell’effet-tuare due reazioni, sequenzialmente e in stadi separati:prima la produzione di O2 (con fissazione di CO2) e poila produzione di H2 (con liberazione di CO2). Il secon-do stadio potrebbe essere azionato dalla luce (fig. 5) ocondotto in assenza di luce, magari aiutato dalla respi-razione (fig. 6).

I batteri fotosintetici, utilizzando l’energia lumino-sa, riescono a convertire in modo quantitativo gli acidi

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VETTORI ENERGETICI

fig. 2. Reazione di biofotolisi diretta (alghe verdi e sistemi in vitro, possibile nei cianobatteri).

problemi: inibizione della produzione di H2 da partedell’O2, fotobioreattori, miscele H2-O2 (flavodoxina e coloranti artificiali possono sostituire la ferredoxina)H2O PSII PSI Hasiferredoxina

O2 hν H2

fig. 3. Reazione di biofotolisi diretta con eliminazione di ossigeno mediante respirazione (alghe verdi, possibile nei cianobatteri).

H2O PSII PSI PSI Hasi H2//(CH2O)n (CH2O)n; PSII

O2 hν

primo stadio (bacini aperti) secondo stadio (fotobioreattori)(// separazione degli stadi)

O2 hν CO2 (riciclaggio) CO2

problemi: produzione di assorbitoridi O2, fotobioreattori

fig. 4. Reazione di biofotolisi indiretta a stadio unico con cianobatteri filamentosi eterocistici.

H2O PSII PSI (CH2O)n // (CH2O)n PSI Fd Nasi H2

cellule vegetative cellule eterocistiche(// interfaccia cellula-cellula)

(riciclaggio)

problemi: produce miscele O2-H2,sostituire Nasi con Hasi, fotobioreattori

O2 hν hνCO2 CO2

fig. 5. Reazione di biofotolisi indiretta in due stadi (microalghe, 2° stadio di produzione di H2 PSI-diretta).

primo stadio (bacini aperti) secondo stadio (fotobioreattori)

problema: numero di fotoniper il 2° stadioH2O PSII PSI (CH2O)n // (CH2O)n PSI Fd Hasi H2

(riciclaggio) O2 hν hνCO2 CO2

(// separazione degli stadi)

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organici e altri substrati organici in H2 e CO2, nel corsodi una fotofermentazione mediata dalla nitrogenasi(fig. 7). Al contrario, i batteri che effettuano fermentazio-ne in assenza di luce (v. ancora fig. 1D-E) trasformanozuccheri, amidi e altri carboidrati e substrati organici facil-mente fermentabili in H2 e CO2, unitamente ad acidi orga-nici, alcoli e altri sottoprodotti. Attualmente il rendimen-to in H2 a partire da carboidrati nelle fermentazioni anae-robiche in assenza di luce è al massimo un terzo (reazione[1]) del limite teorico termodinamico (e stechiometrico)di 12 moli di H2 per mole di glucosio (reazione [2]):

[1] C6H12O6�2H2O�� 4H2�

�2CH3COOH �2CO2

[2] C6H12O6�6H2O��12H2�6CO2

Questo rendimento potrebbe teoricamente essere rad-doppiato separando la crescita dal metabolismo (reazio-ne [3]) e ulteriormente incrementato mediante un pro-cesso, per ora solo ipotetico, assistito dalla respirazione(reazione [4]; v. ancora fig. 6):

[3] C6H12O6�4H2O�� 8H2�CH3COOH�4CO2

[4] C6H12O6�4H2O �O2�� [2 ferredoxinarid�

�8 NAD(P)H �2 FADH2]��10H2�6CO2

Alcuni batteri riescono anche a convertire CO in H2

in assenza di luce, in una reazione biologica di shift (con-versione del CO in CO2 e H2):

[5] CO �H2O�� H2�CO2

Infine, utilizzando l’enzima idrogenasi è possibileimmagazzinare l’H2 in modo reversibile in coloranti onel formiato:[6] CH2O2 o colorante H��

��H2

I fotosistemi (PS, PhotoSystem) sono complessi dipigmenti (clorofille, carotenoidi, ficobiliproteine e altri)e di alcune dozzine di proteine, che costituiscono le unitàfunzionali della fotosintesi. Essi consentono la cattura deifotoni (mediante i cosiddetti pigmenti antenna o captato-ri di luce) e la conversione dell’energia fotonica (luce) inenergia chimica mediante il centro di reazione. Questa ini-ziale forma di energia chimica viene poi trasformata inenergia metabolica sotto forma di agenti riducenti (ferre-doxina ridotta che quindi genera NADPH) e potenziale dimembrana in grado di spostare protoni (che è poi trasfor-mato in ATP). ATP (adenosina trifosfato) e NADPH (nico-tinammide adenindinucleotide fosfato) sono usati per fis-sare CO2 in glucosio, che viene poi utilizzato insieme all’a-zoto (tipicamente come ammoniaca o nitrato), al fosforo(come fosfato) e ad altri nutrienti inorganici come mate-riale da costruzione primario per altre componenti cellu-lari algali (carboidrati, proteine, acidi nucleici, grassi, ecc.).

In questo capitolo vengono presi in considerazionetali processi (alcuni dei quali ancora ipotetici) di produ-zione di bioidrogeno in vivo, sia dal punto di vista dellabiochimica di base sia da quello dell’ingegneria appli-cata, valutando le loro potenzialità per sviluppi pra-tici (Zaborsky, 1998; Cammack, 2001; Hallenbeck eBenemann, 2002; Benemann, 2004a; Nath e Das, 2004;Prince e Kheshgi, 2005).

4.3.2 Catalizzatori biologici per la produzione di H2

La produzione biologica di H2 si basa soprattutto sul-l’azione degli enzimi idrogenasi, che riducono i protonipresenti nell’acqua a H2 gassoso, mediante l’ossidazione

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PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

fig. 6. Reazione di biofotolisi indiretta mediante microalghe con immagazzinamento di carboidrati e fermentazione in assenza di luce.

ATP(flusso inverso di elettroni)

(respirazione limitata)hν

(6O2�)(C6H10O5)n 8 NAD(P)H�2 ferredoxinarid�2 FADH2�6CO2(riciclato)�O2

10H2 fermentazione (83% di efficienza)5H2O�6CO2 (<10% efficienza solare)

problema: ipotetico

proposto processo in due stadi: biofotolisi indiretta con fermentazione al buio assistita dalla respirazione (6hν/H2)

fotosintesi PSII-PSI

secondo stadio: fermentazione al buio O2-limitataprimo stadio: accumulo di amido nei bacini

fig. 7. Fotofermentazione: dissimilazione di acidi organici a opera di batteri fotosintetici in presenza di luce.

C4H6O4 (acido succinico) PS batterico 7H2�4CO2

problemi: efficienza del PS batterico, sostituire Nasi con Hasi

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di un forte agente riducente. In natura l’agente riducen-te è un vettore di elettroni ridotto, come la ferredoxina,la flavodoxina (quest’ultima prodotta in molti battericome alternativa priva di ferro alla ferredoxina, laddoveil ferro è un fattore limitante), o l’NAD(P)H (ridotto).Per ridurre le idrogenasi e produrre H2 si possono ancheutilizzare agenti riducenti artificiali. Le idrogenasi sonoenzimi reversibili in quanto sono in grado di portare atermine anche la reazione inversa, utilizzando l’H2 e ridu-cendo questi trasportatori di elettroni o altri meno ridu-centi, a seconda della pressione parziale dell’H2, dellanatura dell’idrogenasi e del percorso metabolico. Sonostate isolate da microrganismi appartenenti ai tre diver-si domini del mondo vivente: archaea, bacteria edeucarya. Dal punto di vista funzionale, questi catalizza-tori possono essere suddivisi in enzimi che sviluppanoH2, il cui ruolo fisiologico è la produzione di H2 gasso-so come mezzo per eliminare l’eccesso di agenti ridu-centi, o in enzimi che utilizzano H2, i quali catalizzanopreferenzialmente la reazione inversa e usano questo gascome fonte di energia. Molti microrganismi effettuanoentrambe le reazioni, sviluppo di H2 e suo utilizzo, incondizioni di crescita differenti, e solitamente posseg-gono idrogenasi multiple specializzate nel catalizzarequeste reazioni.

La caratteristica comune di tutte le idrogenasi stu-diate finora è di essere proteine Fe-S, in cui gli atomi diFe sono organizzati in gruppi [Fe-S] (Adams, 1990). Essedifferiscono, tuttavia, per quanto riguarda il peso mole-colare, la localizzazione cellulare, la composizione dellesubunità, la specificità dei trasportatori di elettroni, ilcontenuto di altri metalli e cofattori, la sensibilità all’i-nattivazione da O2, il tasso di produzione di H2, l’affi-nità per l’H2 e il ruolo fisiologico. Considerando sia imetalli presenti nei loro siti attivi, sia le relazioni evo-lutive e genetiche, le idrogenasi vengono classificate indue gruppi principali: le Fe-idrogenasi e le [Ni-Fe]-idro-genasi (Cammack, 2001; Vignais et al., 2001).

Le Fe-idrogenasi, solitamente ritrovabili nei batteristrettamente anaerobi ma anche nei cianobatteri e nellealghe verdi, contengono alcuni gruppi [Fe-S], con il sitoattivo (il gruppo H) contenente un centro dimerico e uncentro ferro-solfuro tetramerico che si lega a cianuro ea monossido di carbonio, un tipo di struttura nuovo peri siti attivi enzimatici (Peters et al., 1998). Consideran-do le relazioni genetiche e la specificità di substrato, siriconoscono tre tipi di Fe-idrogenasi: quelle ridotte dallaferredoxina o dalla flavodoxina, quelle ridotte da NADPHo NADH e quelle che si trovano nei batteri metanogenie partecipano alla metanogenesi. Le idrogenasi ridotteda NAD(P)H si trovano nei batteri ipertermofili, che cre-scono a temperature superiori a 75 °C. A tali tempera-ture il potenziale redox dell’H2 in condizioni standard(cioè alla pressione di 1 bar) diventa simile a quello del-l’NAD(P)H (�320 mV), mentre a temperature più basse

il potenziale redox dell’H2 è più vicino a quello delle fer-redoxine (circa �420 mV).

Le [Ni-Fe]-idrogenasi sono le idrogenasi più comu-ni e, in base all’omologia delle loro sequenze ammi-noacidiche, al contenuto in metalli e al ruolo fisiologi-co, sono state raggruppate nelle seguenti quattro sotto-classi, che tengono conto delle relazioni filogenetiche edella composizione in motivi dei differenti enzimi (Wue Mandrand, 1993; Vignais et al., 2001):• gruppo 1, sono [Ni-Fe]-idrogenasi-uptake di respira-

zione associate alla membrana, presenti in batteri chepossono usare l’H2 come donatore di elettroni in rea-zioni metaboliche tanto anaerobiche quanto aerobiche;

• gruppo 2, comprende le [Ni-Fe]-idrogenasi-uptakedei cianobatteri, indotte in condizioni in cui si hannola fissazione di N2 (gruppo 2A) e le idrogenasi cherilevano l’H2 (gruppo 2B) e danno inizio a un per-corso di trasduzione del segnale H2, che porta allastimolazione della biosintesi delle idrogenasi-uptakeassociate alla membrana;

• gruppo 3, sono le [Ni-Fe]-idrogenasi citoplasmati-che, eteromultimeriche e reversibili, che a loro voltacomprendono le idrogenasi F420-riducenti dei meta-nogeni (gruppo 3A), le idrogenasi bifunzionali tetra-meriche degli ipertermofili (gruppo 3B), le idroge-nasi che riducono il metilviologeno (gruppo 3C), conaccettori (e donatori) di elettroni in vivo sconosciu-ti, e infine le idrogenasi bidirezionali associate alNAD(P) (gruppo 3D);

• gruppo 4, sono le [Ni-Fe]-idrogenasi che produconoH2 associate alla membrana e che comprendono varienzimi, biochimicamente ben studiati, come l’idro-genasi di Escherichia coli, l’idrogenasi indotta dalCO di Rhodospirillum rubrum, o l’idrogenasi con-vertitrice di energia di Methanosarcina barkeri.Negli ultimi anni si sono fatti significativi progressi

nella caratterizzazione molecolare delle [Ni-Fe]-idroge-nasi. Strutturalmente, l’unità funzionale minima consi-ste di due porzioni: una subunità grande, con massa mole-colare di 45-65 kDa, che comprende il sito attivo conte-nente nichel, e una subunità piccola, con una massamolecolare che varia tra 28 e 35 kDa, che include i grup-pi [Fe-S] e ha la funzione di trasferire elettroni tra le pro-teine redox e la subunità grande. I dati immunologicidimostrano che solitamente la struttura delle subunitàgrandi è altamente conservata anche in organismi filo-geneticamente distanti, mentre le unità piccole presen-tano un minor grado di somiglianza. Oltre al dimero del-l’idrogenasi, che costituisce l’unico componente strut-turale delle idrogenasi eterodimeriche, nelle idrogenasimultimeriche sono presenti anche una o due ulteriorisubunità, responsabili dell’interazione con lo specificoelettronaccettore o elettrondonatore.

La prima struttura cristallina di una [Ni-Fe]-idroge-nasi, isolata dal batterio Desulfovibrio gigas (Volbeda

340 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

VETTORI ENERGETICI

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et al., 1995; Volbeda et al., 2002), ha fornito le basistrutturali per comprendere, a livello atomico, come l’i-drogeno molecolare venga utilizzato o prodotto da partedei microrganismi, permettendo anche di capire alcunidettagli fondamentali riguardanti il sito catalitico di que-sti enzimi, il canale attraverso il quale si pensa che flui-scano le molecole di H2 dalla soluzione al sito attivo, ilpercorso del trasferimento elettronico e le posizioni deigruppi ferro-zolfo.

Infine, come si è detto precedentemente, gli enziminitrogenasi producono anche H2, sia come reazione secon-daria durante la fissazione dell’N2, sia come unica rea-zione in assenza di N2. Queste nitrogenasi sono classi-ficate come Mo-Fe, V-Fe (indotte in assenza di Mo) e Fe(indotte in assenza di Mo e V). Le V-Fe e le Fe-nitroge-nasi fissano N2 e producono H2 a tassi più bassi rispet-to agli enzimi Mo-Fe.

Il numero di turnover (le moli di H2 prodotte per moledi enzima al secondo) è inferiore a 10 per le nitrogena-si, circa 100 per le [Ni-Fe]-idrogenasi e diverse migliaiaper le Fe-idrogenasi. Le nitrogenasi presentano poi ilgrande svantaggio di aver bisogno di 4 moli di ATP permole di H2 liberato, una richiesta di energia simile a quel-la dell’H2 prodotto; ciò rende i sistemi basati sulle nitro-genasi molto meno efficienti nella produzione di bioi-drogeno. Tuttavia, i batteri fissatori di N2 possono costi-tuire buoni sistemi modello per ipotetici processi basatisulle idrogenasi (v. oltre). Dal momento che da un puntodi vista proteico (attività specifica) le Fe-idrogenasi pos-sono essere 100 volte più attive degli enzimi Ni-Fe, essecostituiscono una prima scelta come catalizzatori nellaproduzione biologica dell’H2. Tuttavia, quest’unico fat-tore non è decisivo. Ai fini pratici, più importante del-l’attività delle idrogenasi è l’attività dei percorsi meta-bolici che generano l’agente riducente a basso potenzialeredox (ferredoxina), necessario per la produzione di H2

a opera delle idrogenasi. Nella produzione microbica diH2, non è solo l’enzima idrogenasi ma l’intera cellula eil suo apparato metabolico che fungono da agente cata-litico e ciò costituisce l’argomento principale di questolavoro.

4.3.3 Bioreattori per la produzionedi H2

Prima di discutere in dettaglio i vari processi di produ-zione microbica di H2 (v. ancora figg. 2-7; reazioni [1]-[6]), è necessario prendere in considerazione alcuni aspet-ti pratici, in particolare la struttura e il funzionamento deibioreattori che devono sia contenere la coltura microbi-ca, sia catturare l’H2 a mano a mano che esso viene pro-dotto. Bisogna considerare l’intero sistema del bioreat-tore, comprendendone tutti gli aspetti, dalla produzionedel catalizzatore (biomassa microbica) alla purificazione

dell’H2. Potrebbe sembrare più logico, e sicuramente èpiù usuale, prendere innanzitutto in considerazione i mec-canismi biologici, prima di discutere quali siano i bio-reattori adatti. Tuttavia, poiché gli aspetti progettuali pra-tici e quelli economici che ne derivano riguardanti la strut-tura e il funzionamento dei bioreattori sono spesso piùlimitanti dei meccanismi biologici, vanno considerati perprimi. Diversi tipi di bioreattori utilizzabili nella produ-zione di bioidrogeno sono mostrati nelle figg. 8-13.

341VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

fig. 8. Fotobioreattore tubulare inclinato con scambio interno di gas (tipo Tredici)(per cortesia degli Autori).

fig. 9. Fotobioreattore tubulare di grande diametro in scala commerciale (Argentina)(per cortesia degli Autori).

fig. 10. Fotobioreattore tubulare con scambio esterno di gasin scala commerciale (per cortesia degli Autori).

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L’aspetto più importante nella progettazione del bio-reattore è la forma dell’energia fornita per produrre H2:luce, substrati organici (come carboidrati o acidi orga-nici), una combinazione di luce e substrati organici, oanche un gas (monossido di carbonio). Per i proces-si di produzione di H2 azionati dalla luce (v. ancorafigg. 2-5 e 7), la necessità di catturare simultaneamenteluce e H2 richiede fotobioreattori trasparenti e chiusi,in grado di sfruttare efficientemente l’energia solare, diraccogliere l’H2 prodotto e di fornire un ambiente adat-to al catalizzatore biologico. Vi è un grande interessecommerciale per questi fotobioreattori chiusi applica-ti alla produzione di prodotti microalgali di elevato valo-re (Tredici et al., 1998; Pulz, 2001), e sono stati studiatianche per la produzione fotobiologica di H2. Tuttavia,ottenere i bassi costi auspicati per area unitaria, ancheassumendo efficienze di conversione solare massime

(per esempio, il 10% da solare a H2; v. oltre), presen-ta notevoli difficoltà costruttive. I design di fotobio-reattori chiusi per la produzione di bioidrogeno pos-sono includere bacini coperti, reattori tubulari, o siste-mi a lamina piana, di molte fogge differenti (v. ancorafigg. 8-11).

Il problema fondamentale è il costo-capitale di talifotobioreattori per area unitaria: assumendo una con-versione ottimistica del 10% da solare a H2 e una collo-cazione a elevato irraggiamento solare (5 kWhr/m2 algiorno, media annuale), si arriverebbe a un valore di soli10 $/m2 all’anno per l’H2 prodotto, posto un valore di15 $/GJ di H2, equivalente a circa 90 $/bbl di petrolio,che appare una stima futura ragionevole per l’H2 rinno-vabile. Questa proiezione piuttosto ottimistica deve tenerconto sia del capitale annualizzato (svalutazione, costodel capitale, altri oneri fissi), sia dei costi operativi. Siail costo-capitale che i costi operativi dipendono moltodalle dimensioni del processo, che possono variare dapoche migliaia a diversi milioni di m2 (da meno di 1 apiù di 100 ettari) e possono costituire sia sistemi resi-denziali-commerciali decentralizzati sia strutture centra-lizzate. Le economie di scala devono essere bilanciaterispetto ai costi di immagazzinamento e di distribuzione

342 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

VETTORI ENERGETICI

fig. 11. Fotobioreattore sperimentale a lamina piana per batteri fotosintetici (per cortesia ENI).

fig. 12. Bacini all’aperto per colture massive di Spirulina (India)(per cortesia degli Autori).

fig. 13. Tipico bioreattore per fermentazioni industriali.

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dell’H2. I trade-off varieranno a seconda del processo edelle specifiche applicazioni.

Gli aspetti economici dei fotobioreattori chiusi costi-tuiscono un problema cruciale e controverso in questocampo, in cui le stime dei costi di investimento varianoda meno di 1 $/m2 in costi materiali presunti per unnon specificato tipo di fotobioreattore che produca H2

mediante la reazione in fig. 3 (Melis et al., 2000), a circa100 $/m2 per un fotobioreattore tubulare che produca H2

mediante la reazione in fig. 5 (Benemann, 1998; Tredi-ci et al., 1998), a oltre 1.000 $/m2 per i costi totali deifotobioreattori attualmente usati nella produzione com-merciale di prodotti microalgali di valore elevato. Que-sta variazione di oltre tre ordini di grandezza nelle stimedei costi-capitale, con costi operativi non specificati,suggerisce la necessità di ulteriori analisi su questo argo-mento. In alcuni processi fotobiologici, nella prima fase(fissazione del CO2) è possibile utilizzare bacini apertiper colture intensive e a basso costo (v. ancora figg. 3,5, 6). Per sistemi con bacini all’aperto di elevate dimen-sioni si stimano costi-capitale di 5 $/m2, ai quali si dovreb-bero aggiungere i costi associati alle infrastrutture(Benemann e Oswald, 1996).

Fondamentale per la progettazione e l’operatività deibioreattori utilizzati nella produzione di H2 è che ci siascambio di gas, per minimizzare, o quantomeno gestire,l’incremento delle pressioni parziali della componenteliquida (concentrazioni in soluzione) di H2, O2 e/o CO2.Sono evidenziabili due impostazioni fondamentali: loscambio interno di gas (v. ancora figg. 8 e 9) e lo scam-bio esterno di gas (v. ancora fig. 10). Lo scambio inter-no di gas è ottenuto disperdendo il gas presente nel liqui-do sotto forma di piccole bollicine; lo scambio esternodi gas avviene in una camera di sfiato all’esterno delfotobioreattore. In entrambi i casi, il volume di trasfe-rimento limita le dimensioni del singolo modulo delfotobioreattore chiuso, solitamente a meno di 100 m2

(Weissman et al., 1988). Queste dimensioni unitarierelativamente piccole, rispetto ai sistemi a bacino aper-to (v. ancora fig. 12) dove la grandezza del singolo modu-lo è superiore a 10.000 m2, rappresentano un fattore deter-minante nei costi-capitale molto maggiori solitamenteprevisti per i fotobioreattori chiusi. In generale l’uso diun gas diluente non è pratico, perché il processamento avalle (cioè la separazione del gas) sarebbe troppo costo-sa. Dati i tipici coefficienti di trasferimento di gas otte-nibili a costi e impieghi energetici ragionevoli nei bio-reattori su larga scala, probabilmente il processo biolo-gico dovrà tollerare sovrapressioni della componenteliquida superiori di oltre dieci volte il livello di equili-brio (cioè la pressione atmosferica; Pauss et al., 1990;Frigon e Guiot, 1992).

Tuttavia, per diversi processi, le sovrapressioni diH2 probabilmente non costituiscono una limitazionefondamentale, soprattutto per le reazioni basate sulla

produzione fotosintetica di ferredoxina ridotta (v. anco-ra figg. 2, 3, 5) o per i processi catalizzati dalle nitroge-nasi (v. ancora figg. 4 e 7). Più sensibili risultano le fer-mentazioni a H2 anaerobiche in assenza di luce (reazio-ni [1]-[4]; v. ancora fig. 6), in cui le sovrapressioni di H2

ridurrebbero la velocità e la quantità di H2 prodotto. Èstato affermato che la produzione di H2 a partire da car-boidrati e coadiuvata da respirazione (reazione [4]; v.ancora fig. 6) consente di ottenere (v. oltre) una resa mag-giore rispetto alle fermentazioni strettamente anaerobi-che e a concentrazioni maggiori di H2, ma ciò è ancorada dimostrare. In conclusione, le limitazioni all’effetti-vo trasferimento di gas rappresentano un vincolo cru-ciale nella maggior parte dei processi precedentementeelencati e devono essere prese in considerazione nel-l’implementazione di tali processi.

Un altro problema correlato è la gestione del CO2,che è coinvolto in quasi tutte le reazioni elencate, tran-ne che nella biofotolisi diretta. Il CO2, a causa della suamaggiore solubilità (rispetto a H2 e O2) e del suo pote-re tampone, presenta meno difficoltà nel trasferimento,anche se devono essere risolti i problemi di separazionedall’H2 e di riciclaggio. Va notato che in questi proces-si l’assorbimento o la liberazione di CO2 non determi-nano di per sé riduzione o produzione di gas serra. È soloattraverso la sostituzione dei combustibili fossili con l’H2

rinnovabile, prodotto mediante processi di questo tipo,che si ottiene il risultato di ridurre l’emissione di gasserra. Comunque, il riciclaggio completo non è possibi-le ed è probabile che una significativa quantità di CO2

venga persa durante il processo di immissione del gasnei bacini aperti e per degassamento, come anche avvie-ne nei fotobioreattori chiusi. Quindi, per questi proces-si è necessario un rifornimento di CO2, suggerendo l’in-tegrazione con centrali elettriche, sistemi di trattamen-to dei rifiuti o fonti simili.

Il design dei bioreattori deve tenere in considerazio-ne anche i bilanci termici: i fotobioreattori chiusi duran-te l’estate sono soggetti a surriscaldamento, come nelcaso delle serre, mentre durante l’inverno subiscono unmaggior raffreddamento rispetto ai bacini aperti, deter-minato dalla bassa massa termica. Le elevate tempera-ture possono essere mitigate nebulizzando acqua o immer-gendo il fotobioreattore in un bacino, il che, comunque,aumenta significativamente i costi. Devono essere con-siderati molti altri fattori, tra cui il mantenimento e lapulizia di questi sistemi, gli impianti di miscelazione edi controllo idraulico, la preparazione del mezzo di col-tura e dell’inoculo. Tutto ciò richiede l’analisi degli spe-cifici progetti realizzativi, ma non si sa ancora con cer-tezza quale sia il design ottimale per ciascun tipo di pro-cesso e applicazione. Per esempio, per la produzionedi bioidrogeno è stato suggerito un sistema che utiliz-zi scambio interno di gas e miscelazione a diffusioned’aria (air lift) con fotobioreattore tubulare inclinato

343VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

Page 8: 4.3 Produzione biologica di H2 meccanismi e processi · 2015. 4. 1. · 2 da parte dell’O 2 che contemporanea-mente si sviluppa. Un metodo per superare questo limi-te consiste nel

(v. ancora fig. 8; Tredici et al., 1998). In questo designla lunghezza del tubulare è limitata dalla pendenza, dallaformazione di gas disciolti e dalla velocità di flusso delliquido, che per gli air lift è di circa 30 cm/s. Questa èanche la massima velocità di miscelazione raccoman-data per altri sistemi di fotobioreattori chiusi, e in realtàanche per i bacini aperti, poiché l’energia richiesta perla miscelazione aumenta in funzione del cubo della velo-cità. Maggiori velocità di flusso aumenterebbero il con-sumo di energia e, quindi, ridurrebbero la produzionenetta di energia di un fattore troppo grande (superiore al10% di tale produzione). La miscelazione e il trasferi-mento del gas sono fondamentali nella progettazione delsistema, sia per i fotobioreattori, sia per i bioreattori chelavorano mediante fermentazione in assenza di luce.

4.3.4 Processi fotobiologici per la produzione di H2

Fotosintesi ed efficienza di conversione dell’energia solare

Un assunto apparentemente generale è che la pro-duzione fotobiologica di H2 debba essere un processodi conversione dell’energia solare più efficiente di altrisistemi fotosintetici, come la produzione di biomassaottenuta dalla coltivazione di piante superiori, o ancheda microalghe. Questo comunque è vero solo teorica-mente per la biofotolisi diretta (v. ancora fig. 2), in cui ilbisogno minimo di fotoni potrebbe arrivare fino a 4 permolecola di H2, rispetto ai circa 5 fotoni necessari perun’equivalente quantità di energia fissata nei carboidrati.I dati che asserivano che la biofotolisi diretta potevarichiedere solo 2 fotoni per molecola di H2 (Greenbaumet al., 1995) si sono dimostrati sbagliati (Redding et al.,1999). La biofotolisi diretta con protezione data dallarespirazione (v. ancora fig. 3) ha la richiesta di fotoniteoricamente più alta (cioè la più bassa efficienza), ovve-ro 9 fotoni per molecola di H2 (5 nella prima fase e 4 nellaseconda). La richiesta per le biofotolisi indirette, cheprevedono una fase di produzione di H2 azionata dallaluce (v. ancora figg. 4 e 5) è meno certa. Benemann(1998) ha previsto meno di 1 fotone per molecola di H2

prodotto nella seconda fase dalla reazione in fig. 5. Tut-tavia, questa probabilmente è una sottostima (Benemanne San Pietro, 2001) e per i processi di biofotolisi indi-retta attualmente è previsto un massimo di 7 fotoni permolecola di H2 (5 nella prima fase e 2 nella seconda; v.oltre). Tale revisione verso l’alto dell’efficienza poten-ziale di questo processo triplicherebbe le dimensionidel fotobioreattore chiuso stimate da Benemann (1998),il che a sua volta raddoppierebbe i costi-capitale del-l’intero sistema. Quindi il costo dell’H2 prodotto da que-sto processo, considerando un costo-capitale per ilfotobioreattore di 130 $/m2, raddoppierebbe. Il sistema

con cianobatteri eterocistici (v. ancora fig. 4) potrebbeavere una richiesta minima teorica di fotoni simile, postoche la nitrogenasi venga sostituita con una idrogenasi.Comunque, l’intero sistema dovrebbe essere racchiusoin un fotobioreattore. Teoricamente, il processo di biofo-tolisi indiretta più efficiente è illustrato in fig. 6. Essoprevede una produzione in bacino aperto, seguita da unafase di fermentazione in assenza di luce, assistita darespirazione, che richiede nel complesso solo 6 fotoniper molecola di H2. La cosa più importante è che que-sto processo non avrebbe bisogno di fotobioreattori chiu-si, il che lo renderebbe teoricamente anche il processoa più basso costo. Le fotofermentazioni che utilizzanobatteri fotosintetici (v. ancora fig. 7) convertono in H2

substrati organici piuttosto che acqua e costituisconoquindi un caso particolare (v. oltre).

In tutti i casi, questi input minimi teorici di fotoni permolecola di H2 presuppongono che non ci siano altri fat-tori limitanti diversi dai meccanismi principali della foto-sintesi. Pertanto, in queste stime non vengono conside-rati la saturazione da luce, la fotoinibizione, la respira-zione, l’assorbimento passivo, la riflessione, la produzionedel catalizzatore (biomassa cellulare) e altre inefficien-ze metaboliche od operative che, nel loro insieme, pos-sono ridurre fortemente l’efficienza effettiva. Di tutti ifattori elencati, quelli più importanti nel ridurre l’effi-cienza di conversione solare sono i primi due: la satura-zione da luce e la fotoinibizione. Entrambi i fenomeniderivano dall’architettura dell’apparato fotosintetico dellemicroalghe (e di tutti gli altri organismi fotosintetici),che è progettato per catturare e utilizzare il maggiornumero di fotoni quando il flusso di fotoni limita la cre-scita, cioè quando l’intensità della luce è bassa, piutto-sto che per massimizzare l’efficienza quando il flusso difotoni è alto (per esempio, in piena luce solare). Per mas-simizzare la cattura di fotoni a bassi livelli di luce, ven-gono utilizzate numerose serie delle cosiddette clorofil-le captatrici di luce e di altri pigmenti, che incanalanol’energia dei fotoni catturati (eccitoni) verso le clorofil-le del centro di reazione, dove vengono trasformati inenergia chimica, producendo alla fine ferredoxina ridot-ta e ATP. Tuttavia, a elevate densità di flusso fotonico,per esempio in piena luce solare, vengono assorbiti moltipiù fotoni di quanti ne possano essere processati (satu-razione da luce) e gli eccitoni in eccesso si trasformanoin calore e fluorescenza, in un processo che danneggial’apparato fotosintetico (fotoinibizione).

Entrambe queste reazioni limitanti potrebbero esse-re evitate se le dimensioni dell’antenna fotosintetica(ovvero il contenuto di pigmenti) nelle cellule algalivenissero ridotte, evitando così sia l’autooscuramentosia la fotoinibizione. Benché non sia un concetto nuovo(Benemann, 1989), la ricerca in questo campo è inizia-ta piuttosto di recente in Giappone (Nakajima e Ueda,1997, 1999; Nakajima e Itayama, 2003) e negli Stati Uniti

344 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

VETTORI ENERGETICI

Page 9: 4.3 Produzione biologica di H2 meccanismi e processi · 2015. 4. 1. · 2 da parte dell’O 2 che contemporanea-mente si sviluppa. Un metodo per superare questo limi-te consiste nel

(Neidhardt et al., 1999; Polle P. et al., 2001; Polle J.E.W.et al., 2005). Nonostante i progressi, l’obiettivo di ele-vate efficienze per colture algali massive esposte all’in-tensità della piena luce solare è ancora lontano, sia perquanto riguarda l’ottenimento di biomassa, sia per la pro-duzione di H2. Il presupposto, in questo contesto, è chetali studi avranno, nel lungo periodo, successo, riuscen-do a ottenere efficienze di conversione solare molto ele-vate, il più possibile vicine a un’efficienza del 10% dasolare a H2.

Biofotolisi direttaLa biofotolisi diretta (v. ancora fig. 2) occupa attual-

mente un posto centrale nella ricerca sulla produzionebiologica di H2. Storicamente questa reazione, dappri-ma effettuata in vitro, ha dato inizio alla ricerca appli-cata e ai tentativi di sviluppare la produzione biologicadi H2, come descritto da Benemann et al. (1973). Tutta-via, l’entusiasmo iniziale per questo processo è andatoscemando a fronte degli scoraggianti problemi determi-nati dall’inibizione operata dall’O2. Nel corso degli anni,numerosi laboratori hanno condotto importanti ricerchesu questo processo, migliorandone le condizioni di rea-zione, stabilizzandone i componenti e dimostrandolo invivo. Utilizzando basse intensità di luce e sparging digas inerte, che riduce le concentrazioni di O2 e H2 in fasegassosa e liquida ben al di sotto dello 0,1%, Greenbaum(1980, 1988) ha dimostrato che l’alga Chlamydomonasreinhardtii produce contemporaneamente H2 e O2 conun’efficienza di conversione della luce che si avvicinaai quattro fotoni per molecola di H2 previsti per questoprocesso. La grande sfida della biofotolisi diretta con-siste nel riuscire a ottenere la produzione simultanea diO2 e di H2 a livelli molto elevati (più di 1 atm di questigas in soluzione) tipici di un processo di produzione fat-tibile. Lo sparging di gas inerte non è un’opzione per-corribile.

Il recente rinnovato entusiasmo per la ricerca sullabiofotolisi diretta si basa, almeno in parte, sulla per-cezione che la biologia molecolare possa fornire stru-menti utili, per la ricerca sia di base sia applicata, nellosviluppare reazioni e processi operanti con idrogenasinon inibite dall’O2 (Volbeda A.Y. et al., 2002; Swartz eSpormann, 2004). È comunque piuttosto sorprendenteche non siano stati studiati approfonditamente né la quan-tità di O2, né il meccanismo dell’inibizione da O2 sullareazione catalizzata dall’idrogenasi. Per esempio, non sisa con certezza quali concentrazioni di O2 in soluzione(fase liquida) possano essere tollerabili per la funziona-lità delle idrogenasi attualmente disponibili: sono proba-bilmente molto basse, tanto da raggiungere valori nano-molari (parti per milione se in equilibrio con la fase gas-sosa). Altrettanto incerto è il meccanismo di inibizionedell’O2 sul processo. Comunque, l’inattivazione dell’i-drogenasi da parte dell’O2, spesso considerata limitante,

non è il fattore più critico, dal momento che tale inibi-zione della produzione di H2 inizia ben prima che l’atti-vità enzimatica venga persa a seguito dell’inattivazione.Al momento, nonostante diversi decenni di lavoro sul-l’argomento (Weaver et al., 1980; Ghirardi et al., 2000),nessun esperimento è ancora riuscito a dimostrare unaduratura reazione di biofotolisi diretta che operi anche amoderate concentrazioni di O2 (per esempio allo, o al disopra dello, 0,1% nella fase gassosa). Alghe mutanti conun apparente aumento della resistenza all’O2 (Ghirardiet al., 2000) probabilmente lo eliminano mediante unincremento della respirazione. Il saggio in vitro concloroplasti-ferredoxina-idrogenasi potrebbe aiutare arispondere a queste domande.

Posto che si riesca a ottenere una reazione di biofo-tolisi diretta completamente stabile all’O2, tale proces-so sarebbe, in teoria, in grado di operare a elevate con-centrazioni sia di H2 sia di O2, sostanzialmente senzauna reazione inversa dovuta al bassissimo potenzialeredox dell’accettore primario ferredoxina-riducente peril fotosistema PSI. Perciò, il fotobioreattore potrebbe,in teoria, operare con un trasferimento di gas o un inputdi miscelazione relativamente modesti e sarebbe possi-bile adottare anche una semplice copertura trasparentefluttuante sopra un bacino o un tappeto di alghe. Ciòminimizzerebbe i costi di miscelazione e di trasferi-mento del gas, anche se resterebbero comunque da tene-re sotto controllo il fouling (incrostazioni) e la tempe-ratura. Il problema principale rimane la gestione dei gas,in particolare la separazione dell’H2 dall’O2. Si tratta diun problema economico e di progettazione, che proba-bilmente pesa sul costo del processo tanto quanto la fasedi produzione dell’H2. Tuttavia, l’ostacolo maggiore alprocesso di biofotolisi diretta è correlato a un problemadi sicurezza derivante dall’attuazione di processi cheproducono miscele di O2-H2 potenzialmente esplosive,note per essere instabili anche nelle comuni condizioniambientali.

Biofotolisi diretta con eliminazione di ossigenoQuesto processo fornisce una soluzione al problema

dell’inibizione da O2 della biofotolisi diretta: invece dicercare di sviluppare una reazione con un’idrogenasi resi-stente all’O2, mediante la modificazione genetica del-l’enzima, si elimina l’O2 a mano a mano che esso vieneprodotto (v. ancora fig. 3). Nei primi esperimenti, Bene-mann e collaboratori (1973) avevano utilizzato degli assor-bitori di O2 (glucosio e glucosio ossidasi). Rosenkranze Krasna (1984) hanno dimostrato che assorbitori rever-sibili di O2, come la mioglobina e l’emoglobina, pote-vano ridurre le concentrazioni di O2 in modo sufficien-te a consentire un’adeguata reazione di biofotolisi invitro, dimostrando anche che era possibile rigenerarliin uno stadio a parte. Tuttavia, tale rigenerazione nonsarebbe agevole in sistemi su vasta scala. In una reazione

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PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

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di biofotolisi diretta condotta con cellule intere, l’ag-giunta di ditionito esogeno (un forte agente riducenteche reagisce quantitativamente con l’O2) avrebbe effet-ti simili alla rimozione in vitro dell’O2, consentendo unareazione di biofotolisi adeguata (Pow e Krasna, 1979;Mahro e Grimme, 1982, 1986; Randt e Senger, 1985).La fotoproduzione di H2 in presenza di ditionito potreb-be aver luogo anche in presenza di CO2 e di elevate quan-tità di luce, condizioni che normalmente interrompe-rebbero la produzione di H2 perché il metabolismo ritor-nerebbe alla normale fotosintesi. Kojima et al. (1986)hanno dimostrato un’adeguata produzione di fotoidro-geno in recipienti di due litri in presenza di ditionito.

Un recente lavoro ha ripreso il concetto di rimozio-ne dell’O2 per ottenere un’adeguata produzione di H2

nella biofotolisi diretta (Melis et al., 2000). In questiesperimenti l’alga verde Chlamydomonas reinhardtii èstata sottoposta a un periodo di limitazione di zolfo incondizioni di luce continua, che ha determinato una dimi-nuzione nell’attività del fotosistema II e una caduta dellavelocità di produzione di O2 al di sotto di quella di respi-razione, portando a condizioni anaerobiche, all’indu-zione dell’idrogenasi e alla produzione di H2. Questaprima pubblicazione ha ottenuto una notorietà mondia-le e da allora molto lavoro è stato dedicato a questo siste-ma (Ghirardi et al., 2000; Kosourov et al., 2002; Antalet al., 2003). Sebbene nella pubblicazione iniziale venis-se presentato erroneamente come un processo di biofo-tolisi indiretta (v. ancora fig. 5), ulteriori ricerche hannorivelato che si tratta sostanzialmente di un processo dibiofotolisi diretta in cui l’O2 viene eliminato dalla respi-razione, come evidenziato dalla diminuzione dell’80%e oltre nella produzione di H2 osservata in seguito all’ag-giunta di un inibitore del PSII (Ghirardi et al., 2000).

Il problema fondamentale di questo processo è che icarboidrati accumulati nel primo stadio della reazionein fig. 3 contengono circa la stessa quantità di energiadell’H2 prodotto nel secondo stadio, e questa energiaviene interamente sprecata nel processo di consumo del-l’O2. Infatti, di tutti i processi fotobiologici, la reazionein fig. 3 è quella con il più alto bisogno teorico di foto-ni. Ovviamente, il primo stadio di produzione di car-boidrati dovrà essere condotto in bacini aperti, menocostosi dei fotobioreattori chiusi, impiegati nel secondostadio. Tuttavia, si avrebbe una maggiore efficienza se icarboidrati prodotti nel primo stadio fossero convertiti aH2 mediante un processo di biofotolisi indiretta (v. anco-ra fig. 5), visto che questo processo richiede un introitoprotonico dimezzato (v. oltre). Un’altra possibilità è offer-ta dalla fermentazione in assenza di luce di questi car-boidrati (v. ancora fig. 6), che elimina la necessità di unostadio con fotobioreattore chiuso. Si potrebbe ipotizzareche il substrato per la respirazione possa anche venirefornito da rifiuti organici, che altrimenti non avrebberoalcun valore economico. Tuttavia, qualsiasi materiale

di scarto idoneo come substrato per la respirazione puòanche essere facilmente convertito in metano combusti-bile mediante digestione anaerobica e da qui, se si vuole,a H2, evitando così la necessità di un processo fotobio-logico così costoso e complesso.

In conclusione, nonostante i grandi sforzi di pubbli-cità e di ricerca e sviluppo recentemente profusi nellostudio della biofotolisi diretta con eliminazione di ossi-geno, la sua praticità potenziale è limitata dal fatto chedeve fornire tanta energia in forma di agente riducenteper la respirazione quanta ne è richiesta per produrre H2.Sebbene tali ricerche abbiano contribuito ad attirare ulte-riormente l’attenzione sulla possibilità di produrre H2

fotobiologicamente e abbiano aumentato le conoscenzesul metabolismo dell’H2 nelle alghe verdi, sarebbe piùutile concentrare la ricerca e lo sviluppo verso più pro-mettenti processi di biofotolisi indiretta (v. oltre).

Cianobatteri eterocisticiI cianobatteri eterocistici sono forme filamentose in

cui circa una cellula ogni dieci o dodici si differenzia dacellule di tipo vegetativo in eterocisti, all’interno dellaquale avviene la fissazione dell’azoto (v. ancora figg. 1Be 4). Nell’eterocisti il PSII è completamente inattivo e ilPSI è operativo nella fotofosforilazione ciclica, che gene-ra ATP per l’attività della nitrogenasi (4 moli di ATP permole di H2). Anche la respirazione con l’O2 che penetranell’eterocisti attraverso le strutture della parete e/o deipori genera ATP. I pori, connettendo le eterocisti con lecellule vegetative, permettono la diffusione dei prodottidella fotosintesi dalle cellule vegetative alla eterocisti edei nutrienti azotati in direzioni opposte. Questo sistema,che consente la fissazione dell’azoto in condizioni aero-biche, è un esempio straordinario di ingegneria evoluti-va e dimostra l’esistenza dell’effettivo differenziamentocellulare in un procariote (Meeks et al., 2001). Benchéanche altri tipi di cianobatteri fissino l’azoto in condi-zioni aerobiche, questi crescono molto più lentamentedei cianobatteri eterocistici, il che spiega la frequentedominanza di questi ultimi in molti ambienti naturali.

I cianobatteri eterocistici forniscono un sistema dispo-nibile per la separazione microscopica delle reazioni cheproducono O2 (cellule vegetative) e H2 (eterocisti); un’al-ga di questo tipo, Anabaena cylindrica, è stata usata perdimostrare, per la prima volta, un processo di biofotoli-si che può produrre simultaneamente O2 e H2 (Bene-mann e Weare, 1974). Va notato, comunque, che il primolavoro sulla produzione di H2 da parte dei cianobatteri,esattamente di questa stessa specie, risale al 19° secolo(Jackson e Ellms, 1896). Weissman e Benemann (1977)hanno dimostrato la produzione in continuo di H2 pro-lungata (per oltre un mese) con colture di questo ciano-batterio in condizioni di limitazione di azoto, ottenutesottoponendo la coltura a sparging con argon. La pro-duttività volumetrica era di circa 20 ml di H2 per litro di

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VETTORI ENERGETICI

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coltura per ora, circa dieci volte rispetto a quanto otte-nuto finora con le alghe verdi (v. sopra). Tuttavia, l’effi-cienza di conversione della luce in H2 era piuttosto bassa,solo l’1-2% circa in esperimenti di laboratorio condottia basse intensità di luce, e soltanto lo 0,2-0,3% in testall’aperto, compresi esperimenti con ceppi termofili ingrado di tollerare temperature elevate (Hallenbeck et al.,1978; Miyamoto et al., 1979). Ciononostante, tali espe-rimenti hanno dimostrato che i cianobatteri eterocisticipotrebbero agire come veri catalizzatori nella decom-posizione solare dell’acqua in H2 e O2. Nel corso deglianni molte ricerche hanno fatto progredire le scoperteiniziali (Hansel e Lindblad, 1998; Borodin et al., 2000),anche se nel complesso le efficienze di conversione sola-re o le produttività specifiche e volumetriche non sonomigliorate significativamente.

L’elemento più importante, forse, è che l’estesa ricer-ca sugli aspetti genetici della produzione di H2 e sul meta-bolismo di questi cianobatteri (Tamagnini et al., 2002)ora permette, almeno in teoria, la progettazione razio-nale di un organismo più efficiente nel produrre H2. Sononecessarie due modifiche nel metabolismo dell’H2 diqueste alghe: l’eliminazione delle idrogenasi-uptake e lasostituzione della nitrogenasi con l’idrogenasi reversi-bile endogena presente nelle eterocisti. La prima modi-fica è già stata realizzata (Tamagnini et al., 2002); laseconda è attualmente allo studio (Swartz e Spormann,2004). Un’altra modifica che si dovrebbe attuare sulmetabolismo di questi organismi consiste nella riduzio-ne delle f icobiliproteine dell’antenna fotosinteticanelle cellule vegetative, per migliorare l’efficienza foto-sintetica in presenza di elevata intensità di luce solare(v. sopra). Comunque, a causa della natura indiretta delprocesso, per le cellule vegetative saranno necessari alme-no cinque fotoni per produrre l’agente riducente neces-sario alla formazione di H2 nelle eterocisti; inoltre, unoo due fotoni in più possono servire al PSI per guidare laproduzione di una mole di H2 effettuata dall’idrogenasinelle eterocisti (v. oltre). Siccome l’intero processo deveavvenire al chiuso, sarà quindi necessario un fotobio-reattore più grande del 50-75% rispetto a quello usatoper un processo di biofotolisi diretta. In effetti, basan-dosi su questi calcoli, può essere meglio usare la rea-zione di biofotolisi diretta con protezione della respira-zione (v. ancora fig. 3), che è meno efficiente ma habisogno di un’area più piccola del fotobioreattore chiu-so. Un aspetto ancora più problematico è che, come nellabiofotolisi diretta, anche in questo caso vengono pro-dotte miscele di H2 e O2 esplosive, con l’ulteriore com-plicazione che si deve fornire e riciclare il CO2 neces-sario per il processo.

In conclusione, benché il sistema delle eterocisti siamolto allettante da un punto di vista biologico, esso pre-senta due limiti fondamentali: la simultanea produzionedi H2 e di O2 e la necessità di fotobioreattori chiusi di

più grandi dimensioni rispetto a quelli richiesti dagli altriprocessi qui descritti.

Sistema di biofotolisi indiretta in due stadiLa reazione di biofotolisi indiretta in due stadi (v.

ancora fig. 5) è un processo teorico funzionalmente iden-tico al sistema con le eterocisti, tranne per il fatto che fis-sazione di CO2/sviluppo di O2 e produzione di H2/libe-razione di CO2 sono temporalmente separati, con perio-di in cui si ha fissazione del CO2 e accumulo di carboidrati(e sviluppo di O2) che si alternano a periodi in cui i car-boidrati sono convertiti in H2. La separazione tempora-le di queste reazioni è stata dimostrata per la prima voltain cianobatteri non eterocistici, in particolare Plectone-ma boryanum, in cui i periodi anaerobici di fissazionedell’N2 diretta dalla luce (e, in assenza di N2, di produ-zione di H2) si alternano a periodi di fissazione del CO2,con cicli ripetuti ottenuti anche in coltura discontinua(Weare e Benemann, 1974). Tali studi, nonostante a quel-l’epoca non fossero molto avanzati, servono come pro-totipo per i processi di biofotolisi indiretta in due stadi.

Questi processi, in pratica, possono essere condottiin reattori separati (bacini all’aperto a cui seguono foto-bioreattori chiusi), o in un unico fotobioreattore chiusoin cui H2 e O2 siano prodotti a cicli alternati. Tali ciclipossono essere inseriti nel ciclo giorno-notte, in cui ilperiodo di oscurità consente lo sviluppo di condizionianaerobiche, l’induzione dell’idrogenasi e l’inizio dellaproduzione di H2 al buio, che è seguita da una produ-zione di H2 modulata dalla luce al sorgere del sole, primadi ricominciare con la fissazione di CO2. Il vantaggioprincipale nel separare spazialmente le due reazioni èche i fotobioreattori chiusi usati nel secondo stadio potreb-bero essere molto più piccoli di quelli necessari per i pro-cessi discussi finora.

In un’analisi economica teorica di un tale processo,Benemann (1998) propose che alla coltura algale cre-sciuta in bacini all’aperto venisse limitato l’apporto diazoto per forzare l’accumulo di carboidrati; la colturaavrebbe dovuto poi essere concentrata di circa 20 voltee mantenuta in condizioni anaerobiche al buio per indur-re il metabolismo fermentativo endogeno e l’idrogena-si, permettendo la produzione di quattro moli di H2 e didue moli di acetato per mole di glucosio in un’inizialefermentazione in assenza di luce. La coltura avrebbedovuto poi essere trasferita in un fotobioreattore chiusoper la conversione dell’acetato extracellulare, mediantefotofermentazione guidata dal PSI per produrre le restan-ti possibili otto moli di H2. Per questo stadio si prevideche fosse necessario solo un fotone per molecola di H2.Si previde, inoltre, che i bacini aperti operassero al 10%dell’energia solare complessiva, convertendo la luce incarboidrati (un valore molto elevato) e che i fotobio-reattori chiusi dovessero utilizzare solo 1/10 di quell’a-rea. Tutto questo è teoricamente possibile solo perché

347VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

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l’acetato contiene quasi tanta energia quanto l’H2 pro-dotto e ha bisogno soltanto di una modesta quantitàaggiuntiva di energia metabolica per questa trasforma-zione. Comunque, questo è un processo ipotetico per ilquale non è stato proposto alcun meccanismo specifico.

L’analisi economica è stata effettuata per un impian-to con una resa annua media di 24.000 kg di H2 al gior-no, con 140 ettari di bacini aperti e 14 ettari per la fasenel fotobioreattore chiuso. I costi-capitale sono stati sti-mati basandosi su un precedente lavoro sulla produzio-ne di biomassa algale in bacini aperti (Benemann eOswald, 1996; Sheehan et al., 1998), con un presuntocosto-capitale per un fotobioreattore chiuso di 130 $/m2

(inclusi imprevisti; Tredici et al., 1998), mentre la stimadei costi di trattamento e purificazione dei gas è basatasu uno studio precedente relativo a un processo chimi-co (Copeland, 1991). L’analisi del sistema includeva unprocesso di produzione del catalizzatore (biomassa) e unsistema di trattamento dei rifiuti (digestione aerobica delcatalizzatore esaurito per produrre gas metano). I foto-bioreattori, anche se occupavano solo il 10% dell’areatotale, costituivano circa metà del costo-capitale totale,mentre il sistema a bacini aperti e quello di trattamentoe purificazione dei gas ne rappresentavano circa un quar-to ciascuno. I costi associati al capitale (tasso di sconto,svalutazione, contingenza, realizzazione e altri costi fissi)dominavano, costituendo quasi il 90% del costo totaledel prodotto. Venne stimato un costo di 10 $/GJ, ovverocirca 1,50 $/kg di H2. Benché questa sia un’analisi asso-lutamente preliminare e altamente teorica, essa rappre-senta un primo tentativo di stima dei costi e dei para-metri di efficienza necessari per un simile processo diproduzione fotobiologica di H2.

Nonostante ciascun passaggio del processo abbia basibiochimiche, un metodo di biofotolisi indiretta al momen-to è ancora ipotetico. Per la precisione, la richiesta dimeno di un fotone per molecola di H2 prevista nell’ana-lisi precedente per lo stadio del bioreattore è altamenteottimistica (anche più degli altri presupposti); un grup-po di esperti ha infatti concluso che bisognerebbe pre-vedere due fotoni per molecola di H2 per tutte le 12 molidi H2 prodotte dal poliglucosio accumulato (Benemanne San Pietro, 2001). Tale assunzione fa aumentare il fab-bisogno teorico di fotoni a 7 per molecola di H2 e tripli-ca le dimensioni del fotobioreattore, mentre duplica icosti dell’H2 previsti nell’analisi precedente. Questodimostra quanto tali stime dipendano dalla presunzionedi efficienza e quindi dalle dimensioni e dalla proiezio-ne dei costi dei fotobioreattori.

FotofermentazioniLe fotofermentazioni (v. ancora fig. 7) sono effettua-

te da batteri fotosintetici, sebbene anche alcuni ciano-batteri siano in grado di compierle. Dopo la biofotolisidiretta e i cianobatteri eterocistici, i batteri fotosintetici

hanno costituito il terzo polo d’interesse della ricercasulla produzione fotobiologica di H2. Nella concezioneiniziale di ‘fotofermentazione’ (Benemann et al., 1971),il processo si basava sulla ben nota capacità dei batterirossi fotosintetici non sulfurei (gli unici qui trattati) diconvertire quantitativamente in H2 gli acidi organici (peresempio l’acido succinico mostrato nella reazione difig. 7) e altri substrati organici. Si è presunto inizialmenteche si potessero ottenere elevate efficienze di conversio-ne di luce solare a H2, dal momento che la maggior partedell’energia nell’H2 deriva dai substrati organici. Tutta-via, questa supposizione si è dimostrata sbagliata: la pro-duzione di H2 in fotobioreattori all’aperto mediante bat-teri fotosintetici che utilizzano acidi organici come dona-tori di elettroni è simile a quella dei cianobatterieterocistici che utilizzano l’acqua come substrato, e parisoltanto allo 0,2% circa di energia solare convertita inH2 combustibile. Poiché entrambi i sistemi utilizzano lanitrogenasi come catalizzatore per la produzione di H2,questo da solo non spiega la prestazione relativamenteinefficiente dei batteri fotosintetici nella produzione diH2 da substrati organici preformati.

La bassa efficienza di conversione solare è dovutaalla natura della fotosintesi batterica, che differisce permolti aspetti fondamentali da quella delle alghe verdi odei cianobatteri. Nei batteri rossi fotosintetici non sul-furei la riduzione della ferredoxina non avviene attra-verso una catena di trasporto degli elettroni mediata dallaluce, ma attraverso un flusso inverso di elettroni dai sub-strati organici all’NAD(P)H e alla ferredoxina, che richie-de il consumo di ATP, o più direttamente, la forza pro-tonmotrice generata dalla fotosintesi. Comunque, i det-tagli precisi di questa reazione e i suoi aspetti energeticinon sono ancora stati studiati. Goebel (1978) riferisceche i batteri fotosintetici hanno bisogno di 1,5 fotoni perprodurre una mole di ATP (presumibilmente un fotoneper ogni protone traslocato attraverso la membrana), untasso piuttosto alto rispetto alle microalghe, benché visia ancora una notevole incertezza sulla efficienza quan-tica della produzione ciclica, mediata da PSI, di ATPanche nelle microalghe. Un’altra importante differenzatra batteri fotosintetici e alghe è il basso assorbimentoda parte dei batteri nella regione tra 600 e 700 nm e illoro forte picco di assorbimento intorno a 880 nm rispet-to a un massimo di assorbimento a 680 nm per le alghe,che riduce il contenuto di energia dei fotoni assorbiti.Tuttavia, questo consente anche la cattura dei fotoni sola-ri nell’intervallo 680-880 nm, che vengono sprecati nellafotosintesi delle alghe. Altri fattori che possono giusti-ficare la bassa efficienza della fotosintesi batterica sonole perdite durante il trasferimento di energia dai carote-noidi al centro di reazione e a livello dell’accettore pri-mario e l’effetto della idrogenasi-uptake. Anche le strut-ture di grosse dimensioni della clorofilla che capta la lucenei batteri fotosintetici determinano una saturazione

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VETTORI ENERGETICI

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da luce anche maggiore di quanto non avvenga nellemicroalghe.

Le basse efficienze di conversione della luce nellaproduzione di H2 a opera dei batteri fotosintetici nonhanno scoraggiato la ricerca applicata in questo campoe per più di trenta anni è andata accumulandosi un’am-pia letteratura (Sasikala et al., 1993; Akkerman et al.,2002). Come per i sistemi con cianobatteri che utilizza-no la nitrogenasi, anche nei batteri fotosintetici si dovreb-be riuscire a sostituire la nitrogenasi con l’idrogenasi,eliminare le idrogenasi-uptake e ridurre i pigmenti del-l’antenna fotosintetica che catturano la luce per mini-mizzarne l’effetto di saturazione. Il risultato complessi-vo sarebbe un aumento delle rese e delle efficienze diconversione solare. Questi approcci sono stati seguiti perun certo periodo; tuttavia, le attuali efficienze di con-versione da solare a H2 non risultano significativamen-te superiori a quelle originariamente osservate.

Un approccio alle fotofermentazioni consiste nel-l’associarle alle fermentazioni anaerobiche o allo smal-timento dei rifiuti organici. In questo contesto, inizial-mente viene prodotto dell’H2 nel corso di una fermenta-zione anaerobica in assenza di luce; poi gli effluenti,contenenti acidi organici (acetato, acido lattico, ecc.),vengono inviati in un reattore con batteri fotosinteticiper essere convertiti in H2, ottenendo una resa comples-siva elevata (Claassen et al., 2000). Ciò è stato dimo-strato in un processo per lo smaltimento dei rifiuti ali-mentari solidi: essi venivano convertiti, mediante fer-mentazione acidogenica, sostanzialmente in acido lattico,che poi era utilizzato come substrato di crescita per bat-teri fotosintetici (Fascetti et al., 1998). In questi esperi-menti sono stati usati ceppi del batterio rosso non sul-fureo Rhodobacter sphaeroides RV (v. ancora fig. 11)metabolicamente ingegnerizzati per eliminare le reazio-ni enzimatiche che competono con la fotoproduzione diH2, ovvero la formazione di acido poliidrossibutirrico ela idrogenasi-uptake che funziona nel riciclaggio dell’H2

(Franchi et al., 2004).Questa combinazione di fermentazioni anaerobiche

seguite da fotofermentazioni è stata proposta anche perla biofotolisi indiretta con microalghe, in cui le microal-ghe cresciute in bacini aperti forniscono i substrati fer-mentabili per i due successivi stadi. Tale processo in trestadi (biomassa algale - fermentazione batterica - batte-ri fotosintetici) è stato condotto per oltre un anno in unostudio con un piccolo impianto pilota in Giappone, dimo-strandone la sostanziale fattibilità, ma confermando anchecome questi sistemi abbiano ancora efficienze fotosin-tetiche complessivamente molto basse (Ikuta et al., 1998).

Problemi nei processi di produzione fotobiologica di H2

Ognuno dei cinque processi fotobiologici esaminatisopra presenta limiti importanti e pone notevoli sfide di

tipo pratico. Dopo oltre trenta anni di ricerca applicatae sforzi ancora maggiori per gli studi di base in questocampo, ci si pone il problema se non sia ormai tempo diselezionare tra queste opzioni quelle che appaiono piùpromettenti o almeno di abbandonare quelle che risul-tano meno realizzabili. Attualmente tutte le possibilitàcontinuano a essere esplorate, indipendentemente dalledifficoltà e dai limiti palesi. Forse bisognerebbe seguireapprocci completamente diversi, non presi in conside-razione in questo lavoro, come impiegare i processi cheutilizzano altri microrganismi fotosintetici (per esempioHalobacterium halobium, con la sua fotosintesi basatasulla rodopsina), sistemi biomimetici o acellulari, seb-bene questi, al momento, siano anche meno prometten-ti di quelli sopra descritti. Forse, tornare dalla ricercaapplicata a quella di base può permettere di superare sullungo periodo i limiti attuali.

Una domanda più appropriata è se un qualunque pro-cesso di produzione fotobiologica dell’H2, che richiedafotobioreattori chiusi per catturare i fotoni e l’H2 con-temporaneamente, possa competere con i metodi di fer-mentazione in assenza di luce, in cui la fotosintesi, effet-tuata da alghe o da piante superiori, è usata solo per pro-durre materiale (tipicamente carboidrati) che viene poiconvertito in H2 combustibile in reazioni metaboliche albuio. Tali approcci, discussi di seguito, eliminano i pro-blemi del costo dei fotobioreattori e dell’efficienza dellafotosintesi, almeno per quanto riguarda il passaggio dellaproduzione dell’H2. Va fatto notare, però, che anche lecolture di alghe in bacini aperti non sono a basso costo,almeno nel prossimo futuro, se confrontate con la pro-duzione di biomassa da piante superiori, e, inoltre, attual-mente solo pochi ceppi di alghe vengono coltivati a scopocommerciale. In effetti, a oggi, il costo di produzione dellealghe in bacini aperti supera di molto quello dei carboi-drati fermentabili (amido, zuccheri) ottenuti da piantesuperiori, anche nelle ipotesi più favorevoli: grandi dimen-sioni dell’impianto, elevata efficienza di conversione dellaluce solare, siti ottimali, progetti ingegneristici e costioperativi minimi (Benemann e Oswald, 1996).

Da un altro punto di vista, ci si deve chiedere se laproduzione fotobiologica di H2 sia più adatta per siste-mi di produzione centralizzati, che coprono centinaia diettari, come assunto implicitamente nella discussioneprecedente, o se la si debba sviluppare per una produ-zione di combustibile su scala minore e decentralizzata,anche per applicazioni domestiche simili ai sistemi foto-voltaici collocati sui tetti, su scale che vanno da diversecentinaia ad alcune migliaia di metri quadri. I sistemi suscala ridotta possono prevedere per i fotobioreattori costidi capitale e operativi maggiori.

Fondamentalmente, la qualità più importante è la effi-cienza di conversione solare raggiungibile propria di que-sti processi. La conclusione che la fotosintesi dellemicroalghe possa raggiungere il 10% di efficienza da

349VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

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solare a H2 (Kok, 1973; Bolton, 1996) è corretta in teo-ria, ma i processi pratici probabilmente non raggiunge-ranno mai questo obiettivo a causa dei molti fattori diperdita non considerati nelle stime teoriche. Le previ-sioni di efficienze di conversione dal 20 al 30% da sola-re a H2 per la biofotolisi diretta (National Research Coun-cil, 2004) superano quelle dei meccanismi noti e anchele leggi fondamentali della termodinamica. Combinan-do queste previsioni di elevatissima efficienza con le ipo-tesi di fotobioreattori a costi molto bassi si può ipotiz-zare che durante questo secolo la biofotolisi diretta diven-ti la principale fonte di energia al mondo (Edmonds,2004). Comunque, qualunque estrapolazione del generenon è giustificabile alla luce delle conoscenze attuali.

Per equilibrare questo ‘ottimismo tecnico’, va fattonotare che gli attuali rendimenti dei processi fotobiolo-gici, qualsiasi unità di misura venga presa in considera-zione, non sono cambiati molto, nonostante diversi decen-ni di ricerca applicata, e che numerosi di questi proces-si sono tuttora teorici, o sono stati dimostrati solo incondizioni sperimentali di bassa intensità luminosa o almassimo in siti all’aperto su scala ridotta, che hanno effi-cienze di conversione solare molto basse. Ovviamente,i rapidi progressi della biologia molecolare rendono orarealizzabili alcuni degli obiettivi originari di ricerca esviluppo, come la sostituzione degli enzimi nitrogenasicon le idrogenasi, o l’eliminazione delle reazioni checompetono con la fotoproduzione di H2. Tuttavia, nono-stante le loro grandi potenzialità, l’ingegneria geneticae la biologia molecolare non possono da sole garantirela fattibilità dei processi.

4.3.5 Fermentazioni in assenza di luce

Termodinamica, rendimenti e velocitàÈ piuttosto strano che la ricerca applicata nel campo

della produzione biologica di H2 almeno fino a pocotempo fa enfatizzasse gli approcci fotobiologici, dimen-ticandosi quasi completamente dei processi di fermen-tazione in assenza di luce. Probabilmente ciò è dovuto inparte a motivazioni storiche: i primi convegni su questoargomento, oltre trenta anni fa (Proceedings [...], 1973),furono diretti da esperti di fotosintesi, determinando ladirezione di questa ricerca. L’altra ragione per tale dimen-ticanza è stato il riconoscimento che le fermentazionianaerobiche a H2, in assenza di luce, hanno una resa piut-tosto scarsa. Thauer et al. (1977) fecero notare che laconversione del glucosio a H2 da parte di batteri anaero-bi teoricamente poteva produrre al massimo quattro molidi H2 (delle 12 moli possibili), limite che qui viene chia-mato ‘limite di Thauer’. Gli autori notarono anche chenei processi reali la resa attesa era, in pratica, pari a solocirca 2-3 moli di H2 per mole di glucosio. Quindi, soloil 20-25% circa dell’energia presente nel glucosio era

recuperabile sotto forma di H2, mentre il resto era con-vertito ad acetato, altri acidi organici, alcoli e sottopro-dotti simili. Questo dato si può confrontare con i rendi-menti di etanolo e metano, che si avvicinano al 90% diconversione energetica, ottenibili dalla fermentazione delglucosio in processi già in commercio.

Il limite di Thauer è dovuto alla termodinamica intrin-seca del processo: una resa di quattro moli di H2 e duemoli di acetato da una molecola di glucosio fornisce ilpiù alto cambio di energia libera di Gibbs (una misuradel lavoro disponibile), circa �215 kJ/mole (a 25 °C e1 bar di H2). Questa energia può essere catturata dai bat-teri durante la formazione di quattro moli di ATP permole di glucosio. L’ATP viene poi usato nel metaboli-smo anabolico (biosintesi). Comunque, se il substrato(glucosio) non è limitante, i batteri preferiscono incre-mentare l’efficienza, per cui durante le fermentazionianaerobiche solitamente si formano metaboliti diversida acetato e H2, quali butirrato, propionato, lattato, eta-nolo, ecc., spesso in quantità maggiori rispetto a quelledi acetato. Ciò permette una crescita più rapida, ma ridu-ce anche la biosintesi di ATP e le rese di H2. Il limite diThauer di quattro moli di H2 e due moli di acetato permole di glucosio solitamente si osserva solo con i bat-teri termofili oltre 75 °C, dove la produzione di H2 èfavorita da un grande fattore entropico (che giustificaanche il suo maggior potenziale redox consentendo l’usodi NADPH come riducente, come notato precedente-mente; Heijnen, 1995).

La produzione di una quantità stechiometrica di 12moli di H2 per mole di glucosio ha una resa energeticapari quasi a zero: solo �26 kJ per mole di glucosio ocirca �2 kJ per mole di H2, a 25 °C e 1 bar di H2 e a pHe concentrazioni di bicarbonato fisiologici; tale resa nonfornisce una forza motrice sufficiente per la reazione,che quindi non ha luogo. Anche ad alte temperature, laresa energetica di produzione di acetato e H2 è più ele-vata di quella della produzione stechiometrica di H2.Contraddicendo apparentemente quest’affermazione, inun esperimento in vitro, il glucosio-6-fosfato è stato con-vertito in 11,6 moli di H2 per azione degli enzimi delpercorso del pentoso fosfato, che produce NADPH, edell’idrogenasi dell’ipertermofilo Pyrococcus furiosus,che viene ridotta dall’NADPH (Woodward et al., 2000).Erroneamente questi autori hanno affermato che ciòdimostrava la fattibilità termodinamica della produzio-ne di alte rese di H2 dal glucosio. In effetti, tale esperi-mento ha rivelato i limiti termodinamici di questo tipodi approccio: la reazione necessitava di un substrato (glu-cosio-6-fosfato) ricco di energia, impiegava tre giorniper giungere a compimento e, cosa forse più importan-te, si può stimare che le pressioni parziali di H2 (benchénon riportate e ignorate nell’analisi termodinamica) fos-sero solo 1-10 parti per milione. In sintesi, affinché unatale reazione avvenga a velocità elevata e, soprattutto, a

350 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

VETTORI ENERGETICI

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un’elevata pressione parziale di H2 (come avverrebbe inun fermentatore reale), sarebbe necessario un investi-mento energetico molto maggiore di quello contenutonel substrato costituito dal glucosio-6-fosfato (equiva-lente a solo �1 kJ/H2).

Si può calcolare che sarebbe necessaria un’energia diidrolisi di circa 1 ATP per superare l’aumento di circa unmilione di volte nell’effettiva pressione parziale di H2,cioè da 1-10 ppm di H2 nell’esempio precedente a 1-10bar di H2 che dovrebbero essere presenti in un vero fer-mentatore industriale. Ciò corrisponde a un cambiamen-to nel potenziale redox di H2 da circa �250 a �440 mV,una differenza di quasi 200 mV. Comunque, gli agentiriducenti, prodotti dalla degradazione del glucosiomediante i percorsi metabolici convenzionali (la glico-lisi seguita dal ciclo dell’acido citrico o del ciclo del pen-toso fosfato), sarebbero soprattutto NADH e NADPH,con un potenziale redox medio di circa �320 mV, unadifferenza di circa 120 mV da quella dell’H2 in soluzio-ne in un fermentatore reale. La produzione dell’agenteriducente, la ferredoxina ridotta, con un tipico potenzialeredox di �420 mV, potrebbe essere realizzata accop-piando l’ossidazione dell’NAD(P)H con l’idrolisi del-l’ATP in una cosiddetta reazione ‘a flusso inverso di elet-troni’ (v. oltre). Benché quest’analisi sia solo approssi-mativa, essa suggerisce che è necessaria l’energiametabolica di circa una mole di ATP per mole di H2 perprodurre 12 moli di H2 per mole di glucosio. Ciò ponela questione fondamentale, relativa alla fermentazionein assenza di luce, sulla possibile provenienza di questaenergia, mancando sia energia solare sia fotosintesi.

Rendimenti della fermentazione anaerobicaSe le fermentazioni con produzione di idrogeno sono

effettivamente limitate ai rendimenti bassi della reazione[1] (il limite di Thauer), l’impresa di produrre H2 com-bustibile non sembra molto promettente, soprattutto dalmomento che i rendimenti commerciali di etanolo e meta-no sono già dell’80-90%, vicini al massimo ottenibile(Claassen et al., 1999). Ciascuno di questi combustibilipuò essere facilmente convertito in H2 mediante proce-dimenti termochimici, anche se con qualche perdita ecosto. Un’applicazione possibile prevede la produzionedi miscele H2-CH4, che bruciano in modo più pulito equindi sono molto valide come combustibili per motoriconvenzionali a combustione interna (Benemann et al.,2004a). Tuttavia, l’obiettivo di ricerca e sviluppo nel campodel bioidrogeno deve essere quello di implementare pro-cessi che abbiano elevati rendimenti di H2 a partire dallefermentazioni di carboidrati, rendimenti ben al di sopradel limite di Thauer (Hallenbeck e Benemann, 2002).

Il superamento del limite di Thauer nelle fermenta-zioni batteriche, simile al superamento dei limiti della foto-sintesi dovuti all’effetto di saturazione da luce (v. sopra),richiederà approcci di ingegneria genetica e metabolica,

per vincere la forte selezione evolutiva contraria a qual-siasi aumento nei rendimenti di H2. Il contrario avvienenelle fermentazioni con metano ed etanolo, dove la pro-duzione massima di questi combustibili è correlata anchecon i massimi benefici associati alla crescita dei micror-ganismi (rispettivamente, consorzi batterici e lieviti). Peraumentare la produzione di H2, sarebbe necessario sepa-rare la crescita della biomassa dalla formazione del pro-dotto, com’è consuetudine in molte fermentazioni indu-striali. Sfortunatamente, in questo campo sono state con-dotte ricerche piuttosto limitate e, in ogni caso, èimprobabile che il semplice arresto della crescita (peresempio, limitando i nutrienti) incrementi i rendimentioltre il limite di Thauer. Sarà quindi necessaria l’inge-gneria genetica per modificare il metabolismo batteri-co e consentire tale sovrapproduzione di H2 (Keaslinget al., 1998).

La reazione [3] rappresenta il livello massimo pro-babile di H2 ottenibile in condizioni di fermentazioneanaerobica, in cui il glucosio è l’unica fonte di energiae di carbonio e, contemporaneamente, l’unica fonte diingresso e di uscita degli elettroni. La reazione [3] avreb-be un’energia libera di Gibbs inferiore a quella della rea-zione [1] (circa �120 rispetto a �215 kJ/mole), il chesuggerisce che non avverrebbero alla stessa alta velo-cità. Tuttavia, in assenza di crescita e, quindi, di produ-zione netta di biomassa, la vera forza motrice termodi-namica complessiva sarebbe abbastanza simile. Ovvia-mente, tale reazione sarebbe inutile per una cellulabatterica perché non genererebbe alcuna cellula nuova,e quindi non c’è da aspettarsi che si verifichi in natura.Il punto chiave è capire come incanalare il metabolismocellulare verso la riduzione della ferredoxina a bassopotenziale redox, necessaria per la produzione di H2. Vasottolineato che la reazione [3] rimane ipotetica, dalmomento che non esistono prove attendibili che rendi-menti più alti di 4 moli di H2 per mole di glucosio sianomai stati ottenuti in fermentazioni anaerobiche in assen-za di luce. Inoltre, anche un rendimento di 8 moli di H2

per mole di glucosio non sarebbe abbastanza elevato daessere competitivo con le fermentazioni che produconoetanolo e metano.

Un traguardo competitivo per le fermentazioni cheproducono H2 sarebbe l’ottenimento di un rendimentodi circa 10 moli di H2 per mole di glucosio, vicino ai ren-dimenti convenzionali in etanolo ottenuti dall’amido digranturco. Una recente analisi tecnico-economica ha con-cluso che se un tale rendimento fosse realizzabile, i costidella produzione dell’H2 sarebbero simili a quelli dellefermentazioni a etanolo, o solo leggermente più alti, acausa dei maggiori costi per il trattamento del com-bustibile (purificazione e immagazzinamento dell’H2;Eggeman, 2004). Il problema fondamentale con le fer-mentazioni applicate alla produzione di H2 è, quindi,come raggiungere questo obiettivo.

351VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

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Fermentazioni facoltative e aerobicheLa reazione [4] è una reazione ipotetica in cui la pro-

duzione di H2 dal glucosio è coadiuvata da una respira-zione in condizioni di limitazione di O2 che producel’ATP (e/o forza protonmotrice) necessario a guidarequesto processo metabolico contro la barriera termodi-namica, come discusso precedentemente. L’idea portan-te qui è di consentire l’ossidazione di 1/6 del glucosioper fornire la forza motrice (circa �450 kJ per mole diglucosio) che permetterebbe a questa reazione di proce-dere con una resa di 10 moli di H2 per mole di glucosio,con velocità ragionevoli nonostante un’elevata concen-trazione (pressione parziale) di H2 presente nei reali pro-cessi di produzione dell’H2, come detto in precedenza.Il concetto chiave è che l’energia metabolica (ATP, oforza protonmotrice) prodotta dal metabolismo del glu-cosio, sia anaerobico sia aerobico, verrebbe usata perazionare le reazioni di produzione di H2 piuttosto che lereazioni anaboliche di produzione di biomassa (respira-zione cellulare). Gli altri prodotti intermedi di questareazione sono ferredoxina ridotta, NADH, NADPH eFADH2, ottenuti durante la glicolisi, il ciclo dell’acidocitrico e il ciclo del pentoso fosfato. Tutti, tranne l’FADH2,verrebbero usati per produrre H2 e questo verrebbe, uti-lizzato come substrato nella respirazione per generareenergia (forza protonmotrice e/o ATP).

Come già sottolineato, questo schema è al momen-to ipotetico, sia per quanto riguarda il rendimento sia,punto fondamentale, per il suo meccanismo. Infatti nes-sun microrganismo effettuerebbe una tale reazione, stan-ti le forti pressioni evolutive a essa contrarie. Tuttavia,l’apparato metabolico già presente nelle cellule micro-biche potrebbe essere sfruttato per indirizzare la produ-zione verso l’H2, un approccio fondamentalmente nondiverso da altri processi industriali che impiegano micror-ganismi. Il problema principale è che l’NADH el’NADPH, con un potenziale redox medio di �320 mV,non riescono verosimilmente a guidare le reazioni di pro-duzione dell’H2 (�420 mV, a 1 bar), se non a velocitàmolto lente e/o a concentrazioni molto basse di H2. Lagenerazione di agenti riducenti a basso potenziale redox,ferredoxina (�420 mV) o flavodoxina (�460 mV), cheriducono l’idrogenasi e producono H2, e lo fanno a velo-cità elevate, richiederebbe una cosiddetta reazione ‘aflusso inverso di elettroni’.

Il flusso inverso di elettroni è il contrario delle rea-zioni di ossidazione di un agente riducente che genera-no la forza protonmotrice (e l’ATP), la più nota dellequali è quella della NAD-NADP-transidrogenasi asso-ciata all’energia, che traghetta gli elettroni tra le coppieNADH-NAD e NADPH-NADP (Olausson et al., 1995).Benché i potenziali chimici medi di queste coppie sianogli stessi, i rapporti ossidato/ridotto in vivo tipicamen-te differiscono per vari ordini di grandezza, con l’NADche si trova per lo più in forma ossidata, mentre l’NADP

si trova soprattutto in forma ridotta. La differenza neirapporti di concentrazione è sufficiente perché vi sia laformazione o l’idrolisi dell’ATP, a seconda della dire-zione della reazione. Comunque, anche un rapportoNAD(P)H/NAD(P) molto alto non sarebbe sufficientea guidare la formazione di H2 nella reazione di produ-zione di H2 con velocità elevata e nonostante un’eleva-ta concentrazione di H2. Questo suggerisce un ulterio-re passaggio a flusso inverso di elettroni, specificata-mente dell’enzima ossidoriduttasi NADP-ferredoxina (oflavodoxina) associato all’energia. Tali reazioni a flussoinverso di elettroni possono essere dedotte soprattuttodal funzionamento della nitrogenasi in batteri aerobi,facoltativi, microaerofili e fotosintetici, che riduconol’N2 tramite la ferredoxina ridotta a partire da NAD(P)Hgenerato dalla scissione dei substrati organici. Così, comenegli esempi precedenti sui processi fotobiologici, la pro-duzione di H2 mediante nitrogenasi può ancora essereconsiderata come modello per tale reazione. Tuttavia, ilfatto che, per loro natura, le reazioni di elettroni a flus-so inverso siano associate alla membrana rende diffici-le isolarle e dimostrarle in vitro e quindi la loro esattanatura resta ancora da chiarire (per quanto riguarda, peresempio, le traslocazioni di protoni o la necessità di ATPper la riduzione ferredoxina/flavodoxina dal NADPH).Per fare solo un esempio, nel batterio aerobio Azotobactervinelandii il sistema di trasporto di elettroni dall’NADPHalla nitrogenasi è complesso (Benemann et al., 1971):esso coinvolge ferredoxina e flavodoxina e ha una NADP-ferredoxina/flavodoxina-ossidoriduttasi che è stata iso-lata come enzima sia solubile (Isas et al., 1995) sia asso-ciato alla membrana (Haaker e Klugkist, 1987). Que-st’ultimo forse è associato all’energia e probabilmenteè quello che funziona in vivo.

In conclusione, la necessità di ottenere alti rendimentinei processi di produzione dell’H2 comporta importan-ti sfide di ricerca e sviluppo, dal punto di vista sia appli-cativo sia di base. Per esempio, è difficile rifornire deifermentatori grandi con quantità limitanti di O2, e potreb-be implicare problemi di sicurezza; anche se l’O2 si for-nisce con l’aria, si avrà come risultato la presenza di N2

nella fase gassosa. Più immediata resta comunque lanecessità di organizzare metabolicamente un percorsodi trasporto di elettroni che possa ridurre l’idrogenasinei batteri facoltativi e microaerobi e che possa produr-re H2 dal glucosio con rendimenti elevati.

Fermentazioni di microalgheLo schema illustrato in fig. 6 rappresenta un proces-

so combinato, fotobiologico e fermentativo in assenzadi luce, che si basa sulla fissazione di CO2 a opera dialghe coltivate in bacini all’aperto, come nel primo sta-dio della biofotolisi indiretta (v. ancora fig. 5), seguitadalla produzione di H2 in una reazione fermentativa inassenza di luce azionata da una limitata respirazione

352 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

VETTORI ENERGETICI

Page 17: 4.3 Produzione biologica di H2 meccanismi e processi · 2015. 4. 1. · 2 da parte dell’O 2 che contemporanea-mente si sviluppa. Un metodo per superare questo limi-te consiste nel

(come nella reazione [4]). Le specie di microalghe can-didate per questo processo sono quelle che produconoH2, che possono essere coltivate in modo intensivo e cheproducono ingenti quantità di carboidrati in condizionidi limitazione di azoto come, per esempio, l’alga verdeChlorella e il cianobatterio Arthrospira (nome comuneSpirulina, v. ancora fig. 1C). Complessivamente l’effi-cienza teorica del processo illustrato in fig. 6 è di seifotoni, rispetto ai sette fotoni per la biofotolisi indiretta(v. ancora fig. 5) o ai nove fotoni per la biofotolisi diret-ta con protezione della respirazione (v. ancora fig. 3;Benemann et al., 2004b).

È importante notare che la reazione in fig. 6 richiedesolo bacini all’aperto, il che riduce i costi fino a 3/4 rispet-to alla reazione in fig. 5, in cui i fotobioreattori occupa-no circa il 40% dell’area dei bacini all’aperto. Ovvia-mente questa differenza diventerebbe discutibile se fossepossibile realizzare fotobioreattori chiusi con costi simi-li a quelli dei bacini all’aperto, cioè meno di 50.000 $ perettaro e di costi operativi simili. Questo è, comunque, for-temente da mettere in dubbio, come detto sopra, e anchein base a esperienze con fotobioreattori chiusi che sonocostati diversi milioni di dollari per ettaro. L’assunto chei fotobioreattori siano di per sé più efficienti, cioè pro-duttivi, dei bacini all’aperto può anche essere messo indubbio, stando a dati recenti ottenuti confrontando inparallelo tali sistemi (Pedroni et al., 2004).

Può essere più istruttivo confrontare la reazione ibri-da in fig. 6 con le fermentazioni in assenza di luce (rea-zione [4]). Le microalghe hanno diversi vantaggi poten-ziali nella produzione fermentativa di H2: l’immagazzi-namento di amido o di glicogeno al loro interno significache le cellule non spendono energia per il trasporto diglucosio nella cellula e che possono generare glucosio-6-fosfato senza investire ATP, fattori entrambi importantinel metabolismo energetico complessivo. Anche le micro-alghe hanno processi di produzione dell’H2 ben svilup-pati, sia fotobiologici sia fermentativi e, come i cia-nobatteri, sviluppano H2 avvalendosi delle nitrogenasi.I cianobatteri presentano sia la produzione di H2 dipen-dente dalla luce (mediata dal PSI), quale avviene in unprocesso di biofotolisi indiretta guidata dalla luce (v.ancora figg. 4 e 5), sia quella in assenza stimolata dal-l’O2, qui presa in considerazione (Weare e Benemann,1974). La presenza di una idrogenasi-uptake ha impedi-to di farsi un quadro chiaro delle reazioni di produzionedell’H2 stimolate dall’O2, ma è certo che i cianobatteririescono ad accoppiare la respirazione con la fissazionedi N2 e anche con la produzione di H2, ed è possibiledimostrare questa reazione anche per le alghe verdi.

Ancora più sostanziale è il vantaggio della reazionein fig. 6 rispetto alla reazione [4], in quanto evita la neces-sità di produrre e poi fornire separatamente i carboidrati(zuccheri, amidi) ottenuti dalla fotosintesi di piante supe-riori, come nella reazione [4]. Il problema da chiarire

è quindi se le microalghe possano offrire vantaggi rispet-to alle piante superiori nella produzione di tali substratifermentabili. Ciò dipende anche, in parte, dalla efficienzafotosintetica raggiunta dagli approcci genetici alla col-tura delle microalghe sopra discussa (per esempio, ridu-zione dei pigmenti che catturano la luce). Comunque, lasostituzione di granturco, canna da zucchero e altre pian-te superiori con microalghe per produrre carboidrati fer-mentabili a basso costo non è plausibile in un futuroimmediato. Pertanto, gli eventuali vantaggi delle coltu-re di microalghe vanno ricercati in altri aspetti: la capa-cità di produrre carboidrati fermentabili là dove sia richie-sto H2 combustibile, la facoltà di farlo con un impattominimo, cioè con la più alta efficienza di conversionedella luce solare, e in modo continuativo, con variazio-ni stagionali. Ovviamente, la sfida maggiore consiste nelriuscire a sviluppare un organismo e un apparato meta-bolico che possano produrre idrogeno con rese elevatein condizioni microaerobiche. Un punto di partenza perla ricerca futura su tale processo potrebbe essere la sosti-tuzione della nitrogenasi con la idrogenasi nelle algheche fissano N2.

Reazione biologica di shift acqua-gasLa conversione di CO in CO2 e H2 (reazione [5]) è

catalizzata dall’enzima carbonio-monossido-deidroge-nasi (CMD). Questa reazione fu scoperta per la primavolta nei batteri rossi fotosintetici (Uffen, 1976) e fu poidescritta in molti altri batteri. L’esatta funzione dell’en-zima in questi batteri non è certa. Il complesso dell’en-zima CMD include un’idrogenasi che, almeno nei batte-ri fotosintetici, è piuttosto stabile all’O2 (Maness et al.,2002). La variante biologica è stata studiata come alter-nativa alla convenzionale reazione di shift acqua-gas, usataper convertire a H2 il CO nel gas di sintesi. Un vantaggiodi questo processo è che può essere condotto a basse tem-perature, ottenendo una conversione essenzialmente quan-titativa del CO in H2, in un singolo passaggio.

Sono state immaginate delle applicazioni di questatecnologia per la produzione di H2 da gas di sintesi inimpianti di gassificazione di biomassa su piccola scala,in cui le tecnologie convenzionali delle reazioni di shiftpossono essere meno efficienti, perché operano a tem-perature più elevate e, quindi, per ragioni termodinami-che, non raggiungono una conversione completa in ununico passaggio. Il problema principale, identificato dalleprime ricerche su questo processo, era costituito dal fattoche il fattore limitante era il trasferimento di gas nei bio-reattori convenzionali (Klasson et al., 1993). Un lavoropiù recente ha tentato di superare questo limite, median-te la connessione con un bioreattore di crescita, sostan-zialmente un filtro a gocciolamento (Maness e Weaver,2000). Comunque, questo progetto non ha avuto segui-to, apparentemente a causa di limiti ingegneristici e appli-cativi (Wolfrum e Weaver, 2000).

353VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

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Immagazzinamento dell’idrogeno biologicoSecondo la reazione [6]:

2 MVridotto [H]����H2�MVossidato

e anche:

CH2O2��

��H2�CO2

dove MV è il metilviologeno (methyl viologen) e CH2O2

è l’acido formico.L’immagazzinamento dell’H2 è una delle principali

esigenze per poter applicare nella pratica le tecnologiea idrogeno. Per l’H2 biologico si possono prendere inconsiderazione due diversi meccanismi di immagazzi-namento: all’interno di un colorante o sotto forma di for-miato, reazioni entrambe catalizzate da un enzima e com-pletamente reversibili.

Il colorante metilviologeno (MV, più noto come para-quat, un potente erbicida) è un trasportatore di singoloelettrone che può sostituire la ferredoxina nella produ-zione di H2 e che, come ha dimostrato Klibanov (1983),consente l’immagazzinamento reversibile di H2. A con-centrazioni fino a 0,5 M, il MV non inibisce l’attivitàdella Fe-idrogenasi di Clostridium pasteurianum, e unatale concentrazione permette un immagazzinamento diH2 allo 0,25 M, ovvero 0,5 g di H2 per litro di soluzio-ne. Questa concentrazione è 200 volte superiore a quel-la dell’H2 disciolto in acqua alla pressione di 1 atm, masolo di poco superiore alle 10 volte quella dell’H2 con-tenuto in un litro di idrogeno gassoso, alla pressioneatmosferica, a temperatura ambiente. Il traguardo diimmagazzinamento per applicazioni veicolari è sopra il5% in termini di peso, ovvero oltre 100 volte il poten-ziale di immagazzinamento del MV. Quindi, almeno perle applicazioni veicolari, questo sistema di immagazzi-namento non è molto promettente.

Un altro sistema proposto per immagazzinare l’H2 èstato l’uso del formiato. Assumendo che una soluzione1,25 M (100 g/l) di formiato di sodio possa essere tolle-rata dal catalizzatore enzimatico o microbico, l’imma-gazzinamento di H2 sarebbe cinque volte quello del siste-ma sopra citato (ciascun formiato lega una molecola di H2,rispetto al metilviologeno che lega solo 1/2 molecola diH2). Benché sia ancora troppo poco per le applicazioniveicolari, questo sistema può essere preso in considera-zione per l’immagazzinamento di H2 per le applicazionistatiche, in cui il volume e il peso non sono così impor-tanti come i costi e le perdite nelle fasi di immagazzina-mento ed erogazione. Il formiato sarebbe inoltre un mezzodi immagazzinamento a basso costo, innocuo, facilmentebiodegradabile e non tossico, e il legame dell’H2 al for-miato è prontamente reversibile, il che significa una scar-sa perdita di energia (per esempio, compressione, calore)rispetto ad altre opzioni (come gli idruri metallici).

Un recente studio giapponese (Yukawa e Inui, 2004)suggerisce che questo tipo di sistema potrebbe essere

usato per fornire H2 a celle a combustibile fisse, utiliz-zando un catalizzatore per celle statico, su cui la solu-zione di formiato fluirebbe per catturare o liberare l’H2.Infatti, i calcoli sulla quantità di H2 che si potrebbe pro-durre con un tale sistema hanno suggerito che «un reat-tore delle dimensioni di una bottiglia di plastica dovreb-be essere sufficiente a fornire elettricità per le necessitàdi una famiglia» (Yukawa e Inui, 2004). Gli sviluppi diquesto tipo di applicazioni sarebbero veramente moltointeressanti.

Problemi nella produzione fermentativa di H2I processi di produzione dell’H2 mediante fermenta-

zioni in assenza di luce, nel complesso, sono irti di dif-ficoltà e sfide, tanto quanto i processi fotobiologici. Inquesto ambito, inoltre, le conoscenze di base sono anco-ra lacunose o imperfette e lo sviluppo di applicazionipratiche deve affrontare molti problemi, sia metabolicisia di tipo ingegneristico. Dal punto di vista metabolico,per i batteri non vi sono vantaggi evolutivi validi nel pro-durre H2 con rendimenti elevati e quindi l’apparato meta-bolico manca o, se presente, è soggetto a forti meccani-smi di regolazione tesi a impedire un inutile spreco. Dalpunto di vista pratico, il problema è che l’H2 deve esse-re prodotto a elevate pressioni parziali nella fase liqui-da (in soluzione), a causa degli inevitabili limiti nel tra-sferimento che si incontrano nella pratica come, per esem-pio, nei fermentatori su vasta scala (Frigon e Guiot, 1992).Quindi, la catena di trasporto degli elettroni, che dovreb-be fornire l’agente riducente all’idrogenasi, deve ope-rare ben al di sotto del potenziale redox dell’H2 di�420 mV, tipico per la maggior parte delle ferredoxine.

L’unico percorso metabolico ben noto che produce unriducente così forte in grandi quantità è quello che forni-sce l’enzima nitrogenasi. Tuttavia, per molti batteri i mec-canismi specifici di questo percorso non sono ancora bendefiniti in alcuni dettagli, in particolare per le specie facol-tative e microaerobiche, in cui le reazioni di flusso inver-so di elettroni molto probabilmente associano la respira-zione e la produzione di riducente. Come discusso pre-cedentemente, i processi strettamente anaerobici sonolimitati dalla termodinamica, anche nel caso in cui si supe-ri il limite di Thauer, a non più di otto moli di H2 per moledi glucosio, e molto probabilmente un po’ al di sotto diquesto valore. Comunque, l’obiettivo di una fermenta-zione a H2 realistica dovrebbe essere vicino a una resa didieci moli di H2 per mole di glucosio per essere in gradodi competere con le fermentazioni a etanolo o a metano.Dimostrare la realizzabilità di questi obiettivi richiederàsforzi di ricerca notevoli; per ora il meccanismo propo-sto precedentemente (cioè la produzione di H2 assistitadalla respirazione) è considerato ancora ipotetico.

Come è stato detto in precedenza, l’H2 è prodotto piùfacilmente a temperature più elevate, a causa della mag-giore forza motrice termodinamica. Tuttavia, anche se i

354 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

VETTORI ENERGETICI

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batteri termofili (�65 °C) producono un po’ più H2 –fino a 3-4 moli di H2 per mole di glucosio – di quellimesofili (25-45 °C) – circa 2-3 moli di H2 per mole diglucosio –, sono ancora entro il limite di Thauer; nonsono noti dati su rendimenti maggiori. Le attività ter-mofile inoltre risentono delle richieste energetichenecessarie per riscaldare i fermentatori e della scarsacrescita di molti ceppi termofili. Complessivamente,quindi, le fermentazioni ad alta temperatura non sem-brano prospettare potenzialità maggiori rispetto ai pro-cessi mesofili.

Un’altra possibilità per le fermentazioni a H2 è laconversione di grandi quantità di biomassa lignocellu-losica, che sono disponibili e attualmente sottoutiliz-zate. Un enorme sforzo di ricerca si è protratto perdecenni con l’intento di sviluppare processi termochi-mici (per esempio, gassificazione) e di fermentazione(a etanolo) che utilizzino questi materiali lignocellulo-sici. Nessuna di tali tecnologie ha ancora avuto suc-cesso commerciale, a causa della competizione con icombustibili fossili a basso costo. Nel complesso lagassificazione, che potrebbe anche produrre idrogeno,è il processo più efficiente e commercialmente attraen-te. La fermentazione di sostanze lignocellulosiche perprodurre H2 avrebbe lo stesso limite delle fermenta-zioni da materiale lignocellulosico a etanolo, cioè ilcosto elevato per la conversione della biomassa grez-za a zuccheri fermentabili, sia con enzimi sia con acidi.Le basse velocità, inevitabili nel caso dell’idrolisi enzi-matica, avrebbero come risultato la predominanza dellefermentazioni metanogeniche, a spese di quelle etano-liche o a H2. In breve, non c’è urgenza di studiare lefermentazioni a H2 che utilizzano materiali lignocellu-losici perché, se mai venissero sviluppate fermenta-zioni a etanolo di questi materiali, qualsiasi processofermentativo messo a punto per convertire zuccheri fer-mentabili in H2 sarebbe applicabile anche alla biomas-sa lignocellulosica.

Infine, va presa in considerazione l’integrazione dellaproduzione di H2 con lo smaltimento dei rifiuti. La prin-cipale applicazione delle tecnologie di digestione anae-robica (fermentazioni a CH4) è il trattamento di una gran-de varietà di rifiuti: acque di scarico, cibo e scarti di tra-sformazioni alimentari, animali, industriali, ecc. Per moltianni si sono studiati processi di digestione anaerobica indue stadi (Harper e Pholand, 1986), tentando di aumen-tare la velocità di tali processi. Benché gli incrementidelle velocità non siano plausibilmente ottenibili attra-verso tali operazioni in due stadi, e non siano stati dimo-strati, essi hanno altri vantaggi, tra cui l’evitare di anda-re in cortocircuito e un’operatività più stabile. Se il primostadio è molto più breve del secondo, il che significa cheessi hanno tempi di ritenzione idraulica molto più corti,questi sistemi a due stadi possono produrre H2 nel primostadio, mentre nel secondo stadio, più esteso, si produrrà

CH4. L’H2 verrebbe generato soprattutto da amidi e zuc-cheri solubili presenti nei rifiuti, rendendo questo pro-cesso più adatto a essere applicato ai rifiuti alimentari ea quelli provenienti dall’industria di trasformazione ali-mentare. Nonostante queste fermentazioni in due stadisiano state studiate per molti anni, le loro applicazionial fine di produrre H2 non sono state indagate fino apoco tempo fa (Benemann et al., 2004a; Camilli e Pedro-ni, 2005). L’interesse nella produzione di tali misceleH2-CH4 consiste nel fatto che esse bruciano in modopiù pulito nei motori a combustione interna, fornendoun carburante di maggior valore rispetto al sempliceCH4 prodotto dalla digestione anaerobica (Benemann,1998). Tale processo, combinando il trattamento dei rifiu-ti con la produzione di un combustibile pulito, fornisceun’applicazione probabilmente a breve termine dellaproduzione di bioidrogeno.

Comunque, a lungo termine, l’obiettivo centrale dellaricerca e dello sviluppo sul bioidrogeno deve essere quel-lo di ottenere fermentazioni con rendimenti più alti, cioècirca 10 moli di H2 per mole di glucosio (reazione [4]).L’obiettivo immediato della ricerca in questo campodovrebbe essere la produzione di un modello di labora-torio per questa reazione; tutto il resto potrebbe scatu-rire da questo primo passo. L’integrazione dei proces-si fotobiologici con quelli di fermentazione (v. ancorafig. 6) sembrerebbe invece avere maggiori potenzialitànel lungo periodo.

4.3.6 Applicazioni e potenzialitàdel bioidrogeno

Alla luce di quanto detto è forse piuttosto prematuro discu-tere delle applicazioni pratiche di tecnologie che ancorarichiedono una lunga fase di ricerca di base e applicataprima di poter prendere in considerazione la possibilitàdi dimostrare la loro stessa fattibilità. In particolare per-ché è ancora abbastanza distante l’ottenimento di ciò checostituirà il principale impulso per un’economia dell’H2,cioè le celle a combustibile a basso costo, che in modoeconomico ed efficiente possano convertire l’H2, com-preso il bioidrogeno, in elettricità, sia in impianti centra-lizzati sia decentralizzati o anche a bordo di veicoli.

L’altro importante punto di forza per lo sviluppo delbioidrogeno è la riduzione dei gas serra. Ciò si ottienesoprattutto mediante applicazioni che evitino, riducanoo in qualche modo abbattano le emissioni di CO2 fossi-le o di CH4 antropogenico. A questo riguardo, comun-que, vi sono poche differenze tra bioidrogeno e altri bio-carburanti, quali il metano o l’etanolo, dal momento chel’emissione di CO2 legata all’utilizzo di questi ultimideriva dalla fotosintesi di piante superiori che hanno giàcatturato CO2 atmosferico, e quindi non contribuisceall’effetto serra. Nei processi fotobiologici (v. ancora

355VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

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figg. 3-6), il CO2 sarebbe riciclato internamente e le per-dite (che potrebbero essere significative) sarebbero com-pensate da altre fonti, come la biomassa o il CO2 deri-vato da combustibili fossili. In sintesi, il bioidrogeno nonha particolari vantaggi rispetto ad altri biocombusti-bili nella riduzione dei gas serra, a parte la maggior ef-ficienza potenziale legata alla supposta più elevataefficienza delle celle a combustibile.

Ricerca e sviluppo in questo campo dovrebbero oradirigere l’attenzione su aspetti più basilari, piuttosto cheincoraggiare slanci prematuri verso le possibili applica-zioni. I problemi, riguardanti la ricerca di base, sui qualisarebbe opportuno concentrarsi per poter progredire inquesto campo sono numerosi:• la natura dell’inibizione da O2 della reazione dell’i-

drogenasi, nel sito attivo o nel sito di ossidazionedella ferredoxina, è interessante sia per le biofotoli-si diretta e indiretta, sia per le fermentazioni guida-te dalla respirazione;

• l’accoppiamento dell’agente riducente alla produzio-ne di H2 attraverso il PSI nella biofotolisi indiretta;

• la sostituzione della nitrogenasi con l’idrogenasi neicianobatteri, sia eterocistici che non;

• lo studio delle vie metaboliche di trasporto di elet-troni per la riduzione dell’N2 nei batteri fissatori diazoto, in particolare cianobatteri, batteri fotosinteti-ci, aerobi, facoltativi e microaerobi;

• lo studio dell’idrogenasi come sensore redox e val-vola di scarico nei cianobatteri e in altri batteri;

• l’ingegneria metabolica dei batteri fermentativi facol-tativi e anaerobi per raggiungere elevate velocità erese di H2, soprattutto riguardanti le reazioni a flus-so inverso di elettroni.Questa lista potrebbe essere molto ampliata e cen-

trata su problemi, organismi, enzimi e percorsi più spe-cifici, ma è sufficiente per l’attuale scopo di fornire esem-pi nei campi in cui la ricerca di base potrebbe dare con-tributi pratici significativi. Comunque, è auspicabile chequesti studi vengano effettuati nel contesto di specificheapplicazioni pratiche, per evitare una mancanza di col-legamento troppo marcata tra ricerca applicata e ricercadi base, un problema piuttosto diffuso.

Nell’elenco precedente non è stata citata la ricercadi base e applicata necessaria a incrementare l’efficien-za di conversione della luce solare per avvicinarsi alleefficienze fotoniche teoriche precedentemente elencate.La ragione di tale omissione è che questo tipo di ricer-ca è d’interesse molto più ampio rispetto a quella fina-lizzata alla produzione di bioidrogeno e si applica ad altriprocessi di produzione di biomassa algale (v. cap. 9.4).Ovviamente, questa rappresenta una tematica centralenella produzione fotobiologica di H2 e dovrà necessa-riamente far parte degli sforzi di ricerca e sviluppo alungo termine.

Una conclusione a quanto fin qui detto è che, nelbreve o nel medio termine, l’opportunità di produrre con-cretamente H2 con modalità biologiche si basa su fer-mentazioni in assenza di luce degli zuccheri o degli amidiprodotti da piante superiori, rifiuti organici o fotosinte-si a opera di microalghe (v. ancora fig. 6; reazioni [1]-[4]), piuttosto che su processi fotobiologici (v. ancorafigg. 2-5, 7). Motivo di questa conclusione è che, dopodiversi decenni di cospicui sforzi di ricerca, i processifotobiologici sono ancora lontani anche da una sempli-ce dimostrazione di laboratorio delle quantità fonda-mentali (efficienze quantiche, rendimenti, velocità, ecc.)su cui dovrebbero basarsi le applicazioni fotobiologiche.D’altra parte, al momento non ci sono grossi investimentiin ricerca e sviluppo per aumentare il rendimento dellefermentazioni in assenza di luce oltre il limite di Thauer.Questa negligenza è in parte dovuta alla percezione gene-rale che questo sia davvero un ‘massimo teorico’, e inparte a una sensibile insufficienza degli approcci di ricer-ca verso questa meta. La discussione precedente forni-sce almeno un punto di partenza per una nuova valuta-zione di queste problematiche.

Come si è fatto notare, riuscendo a dimostrare unaresa di H2 mediante fermentazione in assenza di luce dicirca 10 moli di H2 per mole di glucosio, si consentireb-be a tale processo di competere con le fermentazioni aetanolo, che attualmente costituiscono l’approccio prin-cipale ai biocombustibili ottenuti da amidi e zuccheri fer-mentabili. La fig.14 mostra uno schema di come un impian-to a etanolo possa essere adattato a una produzione ad

356 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

VETTORI ENERGETICI

carboidrati,alimenti,nutrienti,

acqua, ecc.

preparazionenutrienti

unitàdi

fermentazione

compressionedi

gas grezzoPSA

H2 prodottogas combustibilesottoprodotto

acqua di scarto

acqua di scarto

biomassa (mangimi)recuperocellule

fig. 14. Schema di un processo di fermentazione a idrogeno in assenza di luce ad alta resa(Eggeman, 2004).

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alto rendimento di H2, mediante fermentazioni in assen-za di luce. Lo schema si basa su un tipico impianto com-merciale di fermentazione a etanolo che utilizza amido,sciroppo di zucchero o simili substrati fermentabili inconvenzionali unità di fermentazione su larga scala (comein fig. 13, ma senza i miscelatori a pale) con recuperodella biomassa cellulare (centrifuga ed essiccatore perliquidi nebulizzati). È stata impiegata un’unità con unimpianto di compressione del gas grezzo e rimozione delCO2 (tecnologia PSA, Pressure Swing Absorption) inve-ce del processo di recupero dell’etanolo (distillazione esetacci molecolari). Il processo genera come prodotto H2

a pressione media, di purezza elevata (�95%), e unsottoprodotto a basso grado di combustibile (�10% H2,o �1 MJ/m3), che può essere usato per produrre vapo-re per riscaldamento e per un’iniziale sterilizzazione ali-mentare. L’analisi di costo del processo (Eggeman, 2004)ha presupposto una resa di 10 moli di H2 (come nellareazione [4], ma senza considerare le richieste per l’ag-giunta di O2), arrivando a un costo complessivo per l’H2

solo di poco superiore (circa il 20-25%) a quello di simi-li fermentazioni commerciali a etanolo.

A lungo termine, è anche plausibile che si arrivino asviluppare processi fotobiologici. Un obiettivo centraleè lo sviluppo di fotobioreattori a costo relativamentebasso, realizzabili su scala ridotta (inferiori a 1 ettaro)per applicazioni decentralizzate, evitando la necessitàdei bacini aperti (che sono applicabili solo per sistemisu vasta scala). Si tratta di un problema centrale in que-sto campo: anche se sistemi con fotobioreattori che costi-no meno di 10 $/m2 non sono realistici, può effettiva-mente essere possibile ridurre i loro costi a circa o anchea meno dei 100 $/m2 suggeriti precedentemente, com-prendendo l’automazione necessaria per le operazioni suscala ridotta. Questo, insieme alle dimostrazioni di effi-cienze fotosintetiche molto alte e a elevati rendimenti inidrogeno, potrebbe rendere alcuni processi fotobiologi-ci di potenziale interesse a lungo termine per la produ-zione di energia sia in situ sia da distribuire. Ovviamen-te, i processi che producono miscele di H2 e O2 (v. anco-ra figg. 2 e 4) o quelli che consumano tanta energia quantol’H2 che producono (v. ancora fig. 3) continuerebbero anon essere utili in qualsiasi scenario realistico.

Un’applicazione potenziale del bioidrogeno potreb-be essere l’associazione con lo smaltimento dei rifiuti.Ciò è stato proposto per processi con batteri fotosinteti-ci, che potrebbero convertire in H2 i liquami, soprattut-to gli effluenti dai digestori anaerobici (particolarmen-te il primo, lo stadio che produce H2, ricco in acidi orga-nici). Tuttavia, le difficoltà che si incontrano con questefotofermentazioni per il momento rendono difficile pren-derle in considerazione. Far funzionare i bioreattori conacque di rifiuto pone sfide anche maggiori di quanto nonavvenga con le alghe coltivate nei bacini. Per le appli-cazioni ai rifiuti, la miglior strategia a breve termine

sembra essere la coproduzione di H2 e CH4, discussaprecedentemente (Benemann et al., 2004a).

Infine, vi sono molti altri approcci tecnologici cor-relati alla produzione microbica del bioidrogeno che sistanno confrontando nel campo della produzione di H2

rinnovabile: le conversioni bioelettrochimiche (Liu et al.,2005), i processi biomimetici, le conversioni termiche aH2 dei biocarburanti (etanolo e metano) o anche deglizuccheri (De Luga et al., 2004). Senza considerare i lorovalori specifici, si sottolineano i vantaggi fondamentalidelle conversioni microbiche rispetto agli altri metodi: lacellula microbica è un catalizzatore facilmente ottenibi-le, stabile e a buon prezzo, che può in principio conver-tire efficientemente luce solare o carboidrati in H2, a tem-peratura e pressione ambientali, senza prodotti seconda-ri tossici e con efficienza e rendimenti elevati. Nonostantei limiti e le sfide attuali nella produzione del bioidroge-no, ampiamente discussi in precedenza, i vantaggi fon-damentali dei processi di produzione dell’H2 basati suimicrorganismi probabilmente sopravanzeranno quelli dialtre tecnologie alternative. Ciò a patto che la ricerca futu-ra si concentri (come detto sopra) sui processi che hannole maggiori probabilità di ottenere risultati pratici.

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PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

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PRODUZIONE BIOLOGICA DI H2: MECCANISMI E PROCESSI

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