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Valentina Pisanty

I negazionismi

Nella prefazione a I sommersi e i salvati Primo Levi ricorda che i militi delleSS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri:

In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vintanoi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scam-passe, il mondo non gli crederà. […] E quando anche qualche prova dovesse ri-manere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi racconta-te sono troppo mostruosi per essere creduti.

C’è un legame di continuità tra le parole dell’SS riportate da Levi (che riflet-tono la politica di occultamento delle prove del genocidio perseguita dai na-zisti) e le attività di un gruppo di presunti storici che da qualche tempo so-stengono che la Shoah non sarebbe mai avvenuta e che le camere a gas nazi-ste sarebbero un’invenzione della propaganda alleata, di matrice sionista, perestorcere alla Germania sconfitta ingenti riparazioni di guerra con le quali fi-nanziare lo Stato di Israele.

Spesso ci si riferisce a questi autori con l’etichetta di «revisionisti» (appel-lativo con cui essi stessi amano autodefinirsi), ma la storiografia scientifica pre-ferisce chiamarli «negazionisti». Il motivo è semplice: mentre ogni storico chesi rispetti è revisionista, nel senso che è disposto a rimettere costantemente ingioco le conoscenze acquisite qualora l’evidenza documentaria lo induca a ri-vedere le sue posizioni, il negazionista è colui che nega l’evidenza storica stes-sa. Prima di approfondire le tesi e i metodi di lavoro dei negazionisti, sarà uti-le soffermarsi brevemente su queste distinzioni.

In figura: manifestazione razzista a Londra nel 1980. Fotografia di Chris Steele-Perkins,Magnum Photos.

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Revisionismo, riduzionismo e negazionismo

Se il progresso scientifico consiste nell’avvicendarsi di paradigmi, allora ognisostenitore di un paradigma nuovo è un revisionista: Copernico è revisionistarispetto al sistema tolemaico, i sostenitori dell’innocenza di Dreyfus erano re-visionisti rispetto a coloro che emisero il verdetto di colpevolezza nel 1894, ecosì via. Ma, nell’ambito degli studi sulla Seconda guerra mondiale, è possi-bile individuare una forma più specifica di «revisionismo» che taluni propon-gono di chiamare «riduzionismo» perché vuole ottenere lo scopo di ridimen-sionare la portata della Shoah e dei crimini nazisti.

L’esponente più conosciuto di questo indirizzo storiografico è probabil-mente Ernst Nolte, lo storico della cultura tedesco, allievo di Heidegger, chein varie occasioni1 ha sostenuto che la distruzione degli ebrei fu la risposta diHitler alle atrocità bolsceviche, e che la macchina di sterminio messa in mo-to dai nazisti non fu poi tanto diversa da altri episodi che hanno insanguina-to la storia contemporanea, tra cui in primo luogo i gulag sovietici, che egliequipara ai lager nazisti. Ne deriva la tesi secondo cui il nazismo fu una rea-zione di difesa rispetto alla minaccia bolscevica, identificata da Hitler e dai ver-tici nazisti con la «piaga giudaica»2.

Non voglio entrare qui nel merito della controversia storica, per discuterese sia o meno ragionevole ipotizzare che vi fosse un «nocciolo razionale» nel-l’equazione tra bolscevichi ed ebrei posta dai nazisti, come sostiene Nolte. Miinteressa invece sottolineare l’ambiguità di fondo di questo procedimento, cheè un po’ come se si raccontasse la favola del Lupo e l’agnello dal punto di vistadel lupo, senza però inserire una nota di distanziamento, o di ironia, che fac-cia capire al lettore se l’autore pensi davvero che l’agnello avesse sporcato l’ac-qua del lupo. Il metodo fenomenologico che Nolte impiega nella sua scrittu-ra dà adito a simili critiche: in nome di una pretesa avalutatività, egli assumela prospettiva dell’ideologia nazista che sta descrivendo, adottandone le rap-presentazioni autolegittimanti e incoraggiando il lettore a identificarsi con es-se. Ne deriva che il lettore non è messo nelle condizioni di capire se le rico-struzioni di Nolte riflettano il punto di vista dell’autore (e dunque se siano san-cite dalla sua autorevolezza scientifica), o se vadano attribuite esclusivamenteai «focalizzatori» (a coloro attraverso il cui punto di vista è filtrata la vicenda).Mentre in un racconto di finzione questa può essere una tecnica stimolante,da un saggio storico ci si aspetta che l’autore si assuma le responsabilità di ciòche afferma in modo ben più esplicito.

Queste sono alcune delle ragioni per cui si può avere molto da eccepire sulriduzionismo di Nolte, sul suo stile reticente e allusivo, sul punto di vista che

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egli sceglie di adottare rispetto agli eventi della Seconda guerra mondiale esulle sue possibili intenzioni recondite – intenzioni emerse più esplicitamen-te nel discorso, presentato al Senato italiano il 6 maggio 2003, sulla Filosofiaeuropea e il futuro dell’Europa in cui, alla tradizionale equiparazione tra Rus-sia bolscevica e Germania nazista, Nolte aggiungeva come terzo termine del-l’equazione lo «Stato Sionista di Israele», definito come «l’opera di colonizza-zione europea nel cuore dell’Islam». È legittimo sospettare che i riduzionistisiano mossi da intenti ideologici inconfessati, come il tentativo di attenuarele colpe del nazismo in vista di una sua parziale riabilitazione, secondo la lo-gica del «se tutti sono colpevoli, allora nessuno è colpevole». E tuttavia, men-tre il riduzionista argomenta la propria tesi eretica a partire da una base sto-riografica accettata (l’avvenuto sterminio degli ebrei), il negazionista rifiutaquesta base. Per il negazionista, l’inesistenza delle camere a gas è un dato po-sto come inconfutabile, a partire dal quale riscrivere radicalmente la storia del-la Seconda guerra mondiale, rifiutando aprioristicamente qualunque docu-mento o testimonianza che attesti l’esistenza dello sterminio.

I precursori: Bardèche e Rassinier

Fin dal periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda guerramondiale vi furono voci isolate che si levarono per denunciare le presunte di-storsioni alle quali la storiografia dei vincitori aveva sottoposto la storia dellaguerra, e in particolare quella dei lager di sterminio nazisti. Ad esempio, Mau-rice Bardèche – cognato di Robert Brasillach, collaborazionista fucilato nel1945, egli stesso internato per qualche mese tra il 1944 e il 1945 – è un autoredichiaratamente fascista che già nel 1948 pubblica Nuremberg ou la terre pro-mise. In questo testo, Bardèche asserisce che la responsabilità del conflitto nonva accollata ai tedeschi, i quali non avrebbero commesso quelle atrocità di cuicomunemente li si accusa, bensì agli Alleati e agli ebrei stessi. I campi di ster-minio sono per lui un espediente ideato dalla propaganda alleata per distrar-re l’attenzione dai crimini commessi dai vincitori della guerra (bombarda-mento di Dresda, Hiroshima e Nagasaki), e il materiale documentario sui la-ger sarebbe truccato. I decessi nei campi vengono attribuiti per lo più allecattive condizioni igieniche e alimentari mentre, se di aguzzini si può parlare,questi sarebbero stati quei prigionieri ai quali era stato assegnato un qualchepotere sugli altri (i Kapò). Bardèche è tra i primi a mettere in dubbio l’esistenzadei campi di sterminio, sebbene la sua posizione in proposito sia, nel 1948,ancora piuttosto ambigua e contraddittoria. In alcuni passi del suo libro am-

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mette che vi sia stata una volontà di sterminio degli ebrei. Altrove, nello stes-so volume, sembra invece suggerire che una simile volontà non vi fosse, perlo meno a livello delle alte gerarchie naziste, e che l’originario progetto hitle-riano fosse di raggruppare gli ebrei europei in una «riserva» situata nell’Euro-pa orientale.

Nonostante venga denunciato e condannato a un anno di prigione (di cuisconterà solo qualche giorno), Bardèche torna all’attacco nel 1950 con Nu-remberg II ou le faux monnayeurs, in cui riprende le tesi del primo libro, raf-forzandole con alcune «testimonianze» e cercando di assumere un tono og-gettivo e pacato. Ora Bardèche può contare sull’appoggio di un testimone diprima mano che conferisce alla sua tesi una maggiore autorevolezza. Nel 1948Paul Rassinier, anziano deportato politico a Dora e a Buchenwald, pubblicail suo Passage de la ligne che, primo di una serie di libri analoghi3, parte dallasua esperienza nei campi di concentramento (ma non di sterminio) per de-nunciare la «menzogna storica» che costituisce ai suoi occhi l’evocazione del-la Shoah.

In origine uomo di sinistra dichiaratamente pacifista, Rassinier fornisce unafacciata rispettabile a quei teorici dell’estrema destra che, mossi da un forte an-tisemitismo mascherato da antisionismo, dedicano la propria esistenza al ten-tativo di dimostrare l’inesistenza della Shoah e a delegittimare di riflesso lo Sta-to di Israele. Tuttavia, non è sempre possibile separare chiaramente i due estre-mismi politici (destra e sinistra) i quali finiscono talvolta per essere accomunatidalle medesime finalità ideologiche. La storia editoriale di Rassinier è sinto-matica a questo proposito. Dal 1962 i suoi libri vengono pubblicati dalla casaeditrice neofascista Les Sept Couleurs, diretta per l’appunto da Bardèche, conla scusa che nessun editore di sinistra avrebbe rese pubbliche le sue tesi ereti-che. Ma negli anni Settanta Rassinier viene ripubblicato dalla casa editrice (exlibreria) di estrema sinistra La Vieille Taupe, diretta da Pierre Guillaume, la qua-le giocherà un ruolo rilevante nella diffusione del negazionismo in Europa4.

Anche nel caso di Rassinier, la negazione dell’esistenza delle camere a gasavviene per gradi. Nel suo primo libro (1948) egli è mosso soprattutto da unospiccato anticomunismo e individua nel regime staliniano, e nel comunismoin genere, il maggiore responsabile dello scoppio e degli esiti disastrosi dellaSeconda guerra mondiale. Sottolineando l’interesse politico dei comunisti aesagerare le colpe dei nazisti per distogliere l’attenzione internazionale dai nu-merosi crimini sovietici, Rassinier compie il primo passo verso un «ridimen-sionamento» dello sterminio ebraico. Nel 1950 scrive: «la mia opinione sullecamere a gas? Ce ne sono state. Non tante quanto si crede». Successivamentesi avventura in una serie di calcoli pseudodemografici per sostenere che il nu-

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mero di ebrei morti durante la guerra non supererebbe il milione, e sarebbeperlopiù dovuto ai bombardamenti alleati sui campi di internamento nazisti,agli stenti e alle epidemie di tifo, nonché alle crudeltà commesse dai Kapò.Man mano che procede nella sua opera di riscrittura della storia, la sua posi-zione si fa più estremista.

Da un certo punto in avanti, Rassinier comincia a essere ossessionato dal-l’idea di un complotto giudaico e a parlare del genocidio come della «più tra-gica e più macabra impostura di tutti i tempi». Nel 1964 pubblica, presso LesSept Couleurs, Le drame des juifs européens, libro dal titolo ingannevole inquanto, secondo l’autore, il vero dramma non è la morte di milioni di ebrei,bensì il fatto che gli ebrei stessi abbiano voluto farci credere alla Shoah. Nonsorprende dunque che in Les responsables de la seconde guerre mondiale (1967)Rassinier si scagli contro gli ebrei in quanto responsabili occulti dell’esplosio-ne del conflitto. Rassinier muore quello stesso anno, privando il mondo ac-cademico della stesura completa della sua Histoire de l’État d’Israel 5.

L’opera di Rassinier viene accolta calorosamente da alcuni gruppi di estre-mismo politico. È grazie all’incontro con le sue idee, ad esempio, che Guil-laume e gli altri redattori de La Vieille Taupe si convertono dall’iniziale revi-sionismo al negazionismo vero e proprio. Il cambiamento di rotta avviene ver-so la fine degli anni Settanta, in concomitanza con alcuni episodi che, tuttiinsieme, contribuiscono a rendere il negazionismo un fenomeno sociale dallaportata ben più ampia di quanta non ne avesse in precedenza. Nel novembre1978 esce sull’«Express» un’intervista all’ex vichyista Louis Darquier (de Pelle-poix), il quale sostiene che «ad Auschwitz sono state gassate solo le pulci». Po-chi giorni dopo scoppia il «caso Faurisson». Con Faurisson assistiamo alla fu-sione del filone francese del negazionismo (Bardèche, Rassinier) con quello sta-tunitense di Butz, Barnes, Hoggan, App e Carto.

I negazionisti americani6

Questi ultimi – insieme a una serie di epigoni e di autori minori, provenien-ti per lo più da ambienti neonazisti americani e, meno frequentemente, bri-tannici – forniscono il ponte di collegamento tra la prima fase francese delnegazionismo e il ritorno nella patria d’origine di questo fenomeno, con Fau-risson. Già nel 1948 Francis Parker Yockey sosteneva nel suo Imperium (dedi-cato a Hitler) che il genocidio fosse una menzogna inventata dagli ebrei alloscopo di provocare una guerra totale contro la civilizzazione occidentale. Vie-ne qui riproposto l’antico mito della cospirazione giudaica mondiale, com-

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piuta attraverso la falsificazione dei documenti (compreso tutto il materiale fo-tografico relativo al genocidio).

Simili rigurgiti del più rozzo antisemitismo, nei quali riecheggiano i toniapocalittici dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, si fondono con le tradizio-nali argomentazioni dei primi negazionisti francesi nell’opera di Harry ElmerBarnes e di David Hoggan. Il primo, revisionista recidivo (negli anni Ventiaveva tentato di invertire le responsabilità della prima guerra mondiale, sca-gionando i tedeschi), nel 1947 pubblica un pamphlet dal titolo The Struggleagainst the Historical Blackout, in cui sostiene che è in atto una censura ai dan-ni di chiunque voglia rimettere in discussione la questione delle responsabili-tà dei tedeschi per quanto riguarda la Seconda guerra mondiale. Nel 1962 esceBlasting the Historical Blackout, in cui Barnes mette in dubbio la verità di al-cuni dei crimini di guerra nazisti. Infine Revisionism: A Key to Peace (1966) èun’opera schiettamente negazionista che avvicina Barnes alle idee divulgate daRassinier.

Hoggan raccoglie l’eredità di Barnes, morto nel 1967, e comincia ad af-fiancare le tesi astratte dei primi negazionisti con una lettura dettagliata dellefonti storiche. Ad esempio, in The Myth of the Six Million (1969) Hoggan ri-fiuta le testimonianze di Rudolf Höss (comandante ad Auschwitz) e di KurtGerstein (SS esperto di camere a gas) in quanto ritenute estorte dagli inquisi-tori di Norimberga e quindi inquinate dalla propaganda alleata. Viene cosìinaugurato negli Stati Uniti un filone di esegesi alternativa delle testimonian-ze della Shoah, attraverso l’applicazione di un metodo ermeneutico del tuttoparticolare di cui si parlerà in seguito. Secondo Hoggan, Hitler non avrebbemai voluto la guerra, mentre i veri responsabili della conflagrazione del con-flitto mondiale sarebbero stati i britannici e i polacchi. Per quanto riguarda laShoah, Hoggan afferma che il regime nazista non assunse un atteggiamentodiscriminatorio nei confronti della popolazione ebraica del Reich fino al 1938,mentre ciò che accadde dopo fu il risultato dell’antisemitismo polacco. Il te-sto di Hoggan viene pubblicato dalla Noontide Press, una casa editrice di estre-ma destra che nasce dalla costola del Liberty Lobby fondato dal noto razzistaWillis A. Carto (membro del Ku Klux Klan).

Un altro negazionista statunitense della prima generazione è Austin J. App,che, già verso la fine degli anni Cinquanta, è un acceso sostenitore della tesisecondo la quale lo sterminio ebraico non sarebbe che una enorme menzo-gna perpetrata dagli ambienti sionisti, bolscevichi e talmudisti ai danni dellaGermania sconfitta. Fin dal 1942 App bombarda riviste e giornali con letteredall’evidente contenuto razzista e antisemita. La scarsa sottigliezza delle sue ar-gomentazioni lo renderebbe un personaggio di scarso rilievo perfino nella sto-

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ria del negazionismo, se non fosse che egli è l’autore dei cosiddetti «otto as-siomi del negazionismo» (formulati nel 1973) che fungeranno da princìpi-gui-da di quell’Institute for Historical Review che negli anni Ottanta coordineràle attività di tutti i principali negazionisti. Gli assiomi sono: 1) la «Soluzionefinale» consisteva nell’emigrazione e non nello sterminio; 2) non ci furono gas-sazioni; 3) la maggior parte degli ebrei scomparsi emigrarono in America e inUnione Sovietica facendo perdere le loro tracce; 4) i pochi ebrei giustiziati dainazisti erano dei criminali sovversivi; 5) la comunità ebraica mondiale perse-guita chiunque voglia svolgere un lavoro di ricerca storica onesta attorno allaSeconda guerra mondiale per timore che emerga la verità dei fatti; 6) non visono prove del genocidio; 7) l’onere della prova sta dalla parte degli «stermi-nazionisti»; 8) le contraddizioni presenti nei calcoli demografici della storio-grafia ufficiale dimostrano con certezza il carattere menzognero della tesi so-stenuta.

In Inghilterra esce nel 1974 un pamphlet di ventotto pagine dal titolo DidSix Million Really Die? in cui l’autore, Richard Harwood (pseudonimo di Ri-chard Verrall, esponente dell’estrema destra inglese), riprende il libro di Hog-gan per resuscitare l’antico tema del complotto giudaico, sostenendo che gliebrei avrebbero dichiarato guerra a Hitler nel 1939 e che lo sterminio pro-grammato non avrebbe mai avuto luogo. Nel 1978 Verrall si riallaccia al di-scorso di Hoggan e descrive Norimberga come un processo truccato, sotto ilcontrollo occulto della cospirazione giudaica mondiale. Lo stesso tipo di ac-cusa si ritrova nell’articolo di Michael McLaughlin (For Those Who CannotSpeak, 1979).

Nel 1977 Arthur Butz, professore di ingegneria elettronica alla Northwe-stern University di Evanston, Illinois, pubblica The Hoax of the Twentieth Cen-tury (Noontide Press). Benché le tesi sostenute da Butz non siano distanti daquelle degli altri negazionisti (le camere a gas sarebbero «invenzioni della pro-paganda di guerra», la Shoah non sarebbe mai avvenuta, eccetera), ciò che con-traddistingue il testo di Butz è il tentativo di conferire una patina di rispetta-bilità scientifica a tali tesi comuni. A questo scopo egli prende in prestito l’ap-parato retorico tipico delle pubblicazioni accademiche, con tanto dibibliografia, indice analitico, fotografie, note a piè di pagina, riferimenti allefonti, eccetera. Scimmiottando il procedimento filologico rigoroso della sto-riografia scientifica, Butz smussa i toni accesi della propaganda antisemita e so-stituisce le accuse dirette con insinuazioni. Ma l’essenza delle argomentazionirimane invariata. Secondo Butz, l’«impostura del XX secolo» sarebbe il fruttodi una colossale opera di falsificazione storica da parte del «Sionismo Inter-nazionale» in combutta con i comunisti sovietici, il War Refugee Board e l’Of-

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fice for Strategic Services americani, la Croce Rossa Internazionale e i mediamondiali. Tutti i documenti e le testimonianze che attestano l’avvenuto ster-minio sarebbero stati fabbricati a tavolino dagli agenti sionisti/alleati/comu-nisti, ovvero estorti con la tortura durante i grandi processi del dopoguerra.

Come si evince da questa veloce panoramica, negli Stati Uniti (e in GranBretagna) il negazionismo nasce e si sviluppa come un fenomeno di estremadestra che attinge ai classici stereotipi antisemiti e che mira esclusivamente arelativizzare i crimini nazisti per riabilitare la Germania di Hitler. Di per sé sitratta dunque di un movimento marginale che rientra a pieno titolo nel filo-ne dell’antisemitismo tradizionale e interessa solo chi già condivide un’ideo-logia di stampo nazista. Il negazionismo acquisterà un pubblico più vasto so-lo quando, sviluppando la strategia «oggettivante» inaugurata da Butz, perde-rà le tracce più evidenti della sua eredità razzista per mascherarsi da paradigmastoriografico obiettivo e scientifico. In questo processo di ripulitura dell’im-magine del negazionismo giocherà un ruolo centrale Robert Faurisson.

Il «caso Faurisson»

Fin dall’inizio della sua carriera come critico letterario e professore di letteraturafrancese all’università di Lione 2, Faurisson dimostra una spiccata propensioneper l’interpretazione sospettosa dei testi, autoassegnandosi il ruolo di demisti-ficatore dei luoghi comuni della storia letteraria. I titoli delle sue prime pub-blicazioni attestano la sua precoce vocazione per il revisionismo: A-t-on lu Rim-baud? (1961); A-t-on lu Lautréamont? (1972); À quand la libération de Céline?(1973); Le Journal d’Anne Frank est-il authentique? (1975); La Clé de Chimèreset Autres Chimères de Nerval (1977). In ognuno di questi scritti Faurisson si po-ne come colui che infrange le idee ricevute, i pregiudizi supinamente accettatie il conformismo della comunità degli interpreti, ingannati dai mistificatori edai falsari di vario genere. Mentre tutto ciò che ha a che fare con la tradizionee con l’ortodossia critica viene connotato negativamente per essere poi scarta-to, in questa visione fortemente polemica dell’attività dell’interprete i concettidi buonsenso, di demistificazione e di detection ricevono una valenza positiva.

All’interno del sistema di valori attivato da Faurisson l’interprete-eretico(cioè Faurisson stesso) viene investito della missione di strappare i veli a unarealtà tenuta celata per troppo tempo in passato. Implicita in queste pagine èla strisciante accusa che la mistificazione di volta in volta denunciata non siacasuale, ma che sia il frutto di una consapevole falsificazione. I testi di Fau-risson sono infarciti di espressioni relative all’inganno, al segreto, alla truffa, al-

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la contraffazione e agli abbagli collettivi. L’aspetto per noi interessante è chela predisposizione a snidare congiure di vario tipo è già presente nei primi te-sti critici di Faurisson, quasi che l’inclinazione al negazionismo fosse già vir-tualmente contenuta nei suoi scritti su Rimbaud e su Lautréamont.

Verso la metà degli anni Settanta l’affannosa ricerca di verità tenute na-scoste subisce una svolta decisiva nella direzione della riscrittura della storiadella Seconda guerra mondiale, anche grazie all’incontro con l’opera di alcu-ni negazionisti americani, tra cui Arthur Butz. Ma prima di passare alla verae propria negazione della Shoah, Faurisson attraversa una breve stagione cri-tica intermedia durante la quale, nel tentativo di dimostrare l’inautenticità deidiari di Anne Frank, egli ha modo di applicare le sue doti di demistificatore aun argomento che si avvicina a quelli che saranno i suoi interessi successivi.

Forse perché per molti lettori i diari di Anne Frank rappresentano il pri-mo contatto con la storia del genocidio, i negazionisti si sono sempre sforza-ti di dimostrarne l’inautenticità, giocando sul fatto che i testi originali hannosubito diversi tagli e interventi in fase di edizione. Da un punto di vista stret-tamente storiografico, nessuno ha mai pensato di considerare questi diari co-me un documento che dimostri l’esistenza dei campi di sterminio o delle ca-mere a gas, e ciò per il semplice motivo che, come è noto, Anne Frank redas-se i suoi diari durante gli anni della sua reclusione in Prinsengracht 263.Sorprende, dunque, la veemenza con cui i negazionisti si sono da sempre ac-caniti contro questo resoconto della vita quotidiana e dei pensieri di un’ado-lescente che dovette conoscere la realtà dei lager nazisti solo dopo avere cessa-to di scrivere i suoi diari. Evidentemente ciò che spinge Faurisson, Butz, Irvinge tanti altri ad attaccare questo testo va cercato piuttosto nell’impatto emoti-vo che esso ha sempre avuto sui lettori di tutto il mondo. Attraverso l’insi-nuazione del dubbio circa l’autenticità di questo documento-simbolo, i nega-zionisti sperano di estendere l’atteggiamento diffidente a ogni altro aspetto del-la Seconda guerra mondiale, camere a gas comprese.

Nel 1975 Faurisson riprende e sviluppa le obiezioni avanzate da altri nega-zionisti per screditare i diari di Anne Frank7. L’ipotesi sostenuta dai negazio-nisti è che i diari siano stati fabbricati a tavolino dopo la fine della guerra dalpadre di Anne, Otto Frank, insieme allo sceneggiatore newyorkese Meyer Le-vin (che nel 1952 aveva scritto un copione teatrale tratto dai diari). Si tratta diun’ipotesi facilmente confutabile, e di fatto confutata in modo definitivo nel1980, quando un’approfondita indagine scientifica compiuta dall’Istituto distato olandese sui manoscritti originali conferma che l’autrice dei diari è perl’appunto Anne Frank. Ciò non impedisce a molti negazionisti di continuarea diffondere la tesi dell’inautenticità dei diari.

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Le Journal d’Anne Frank est-il authentique? offre una raccolta di argomenta-zioni confuse e contraddittorie in cui non è chiaro se l’obiettivo di Faurissonsia dimostrare che i diari sono contraffatti (ovvero non autentici, scritti nel do-poguerra da qualcuno che non è Anne Frank) ovvero menzogneri nei conte-nuti. Faurisson dichiara di voler dimostrare che i diari di Anne Frank sono«una soperchieria», dunque una contraffazione, e tuttavia afferma che «la con-sultazione dei manoscritti pretesamene autentici è superflua»8.

Tra il 1974 e il 1978 Faurisson inonda le redazioni dei giornali con lettereprovocatorie in cui mette in dubbio l’autenticità dei diari di Anne Frank, non-ché di varie testimonianze della Shoah, chiedendo che venga aperto un di-battito sulla cosiddetta «diceria di Auschwitz». Inizialmente non riceve l’at-tenzione desiderata, ma nel 1978, quattro giorni dopo la pubblicazione del-l’intervista a Darquier sull’«Express», esce su «Le Matin» un estratto di unalettera di Faurisson. Nel dicembre dello stesso anno «Le Monde» pubblica al-tre due lettere di Faurisson. Il testo integrale della seconda lettera circola giàdal giugno dello stesso anno sulle pagine della rivista di Bardèche, «Défensede l’Occident», con il titolo Il “problema delle camere a gas” o “la diceria diAuschwitz”, e rivela una presa di posizione inequivocabilmente negazionista.

Scoppia in Francia il «caso Faurisson». In seguito allo scandalo, il presidentedell’università di Lione 2 sospende Faurisson dal suo incarico di docente. Fau-risson non demorde e il 16 gennaio 1979 pubblica un’altra lettera su «Le Mon-de», nella quale parla della sua conversione al «revisionismo» e si lamenta del-le persecuzioni che ritiene di avere subito. Come vedremo, il vittimismo è unacostante della retorica negazionista, e induce a considerazioni ponderate suquali siano le strategie più efficaci per contrastare questo fenomeno.

Il 15 febbraio 1979 Faurisson riceve un ordine di comparizione: è accusatodi avere «volontariamente mutilato alcune testimonianze, come quella di J.P.Kremer» (medico ad Auschwitz). Il 21 febbraio trentaquattro storici firmanoun documento in cui Faurisson è accusato di «oltraggiare la verità»9. Il 29 mar-zo Faurisson risponde alle accuse con un articolo intitolato Per un vero dibat-tito sulle «camere a gas», pubblicato da «Le Monde».

Atteggiandosi a vittima dell’ortodossia storica, Faurisson ottiene il suppor-to di diversi intellettuali di sinistra i quali, ribadendo con veemenza il famo-so detto apocrifo di Voltaire «odio quel che dici, ma morirei per garantirti ildiritto di dirlo», combattono strenuamente per la libertà di parola di chiun-que abbia da proporre una tesi eterodossa, Faurisson compreso. Tra i suoi di-fensori spicca il nome di Noam Chomsky, il quale nel 1980 scrive un breve sag-gio – Some Elementary Comments on the Rights of Freedom of Expression – incui, pur premettendo di non conoscere e di non voler entrare nel merito del-

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le tesi sostenute da Faurisson, polemizza con gli storici francesi che si oppon-gono al suo diritto di esprimerle. Il testo di Chomsky verrà usato (senza il con-senso dell’autore) come prefazione di uno dei libri di Faurisson, Mémoire endéfense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire (1980), a cura di SergeThion. Inutile aggiungere che i negazionisti si sono avvalsi di questo scritto co-me di una patente per legittimare le proprie tesi.

L’Institute for Historical Review

Nell’estate del 1979 si tiene, presso un istituto tecnico dalle parti dell’aeroportodi Los Angeles, il primo convegno di «studi revisionisti», nel corso del qualeFaurisson viene accolto come un eroe. Tra gli altri partecipanti figurano Au-stin App, Arthur Butz, John Bennett (negazionista australiano, filopalestinesee antisionista), Richard Verrall e Udo Walendy (il quale si occupa della pre-sunta falsificazione del materiale fotografico da parte degli Alleati). A patro-cinare il convegno è l’Institute for Historical Review (IHR), un istituto pseu-do-accademico basato a Torrance, California, che annovera tra i propri mem-bri un assortimento di neonazisti, razzisti, antisemiti e negazionisti vari. Ilfondatore dell’IHR è Willis A. Carto, già fondatore e tesoriere della LibertyLobby, il quale considera gli ebrei come «nemico pubblico n. 1» e deprecal’«inevitabile negrificazione dell’America». Oltre a organizzare convegni revi-sionisti l’IHR pubblica una rivista («The Journal of Historical Review») e sioccupa della vendita e distribuzione di videocassette e di libri di argomenti ine-quivocabilmente antisionisti e antisemiti (nel catalogo generale appaiono an-che i Protocolli dei Savi Anziani di Sion).

Nel 1981 l’allora direttore dell’IHR William Mc Calden (sotto lo pseudo-nimo di Lewis Brandon) annuncia che l’Istituto è disposto a pagare 50.000dollari a chiunque sia in grado di dimostrare l’esistenza delle camere a gas na-ziste. Chiaramente si tratta di una trovata pubblicitaria, basata sull’espedien-te per cui, se le uniche testimonianze irrefutabili sono quelle dirette, è impro-babile che chi abbia avuto l’esperienza diretta delle camere a gas possa esserevivo per raccontarla. Mel Mermelstein, ex detenuto di Auschwitz la cui fami-glia è stata sterminata dai nazisti, manda un plico di documenti che la com-missione dell’IHR (composta da Faurisson, Butz, Felderer e altri collaborato-ri del «Journal of Historical Review») prevedibilmente rifiuta come non vali-di. Mermelstein fa ricorso legale, il caso rimbalza sui media, e nel 1985 la CorteSuprema di Los Angeles dà ragione a Mermelstein, ordinando all’IHR di pa-gargli 90.000 dollari.

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Per qualche anno l’IHR diventa il principale polo di attrazione per diversi ne-gazionisti sparsi per il mondo, e ciò si ripercuote sulle strategie argomentati-ve adottate nei loro testi. Laddove i primi negazionisti operavano in isola-mento, con il risultato che i diversi scritti su questo argomento erano spessoin contraddizione reciproca, ora i vari contributi vengono coordinati dall’altoper conferire a essi una coerenza che prima non possedevano.

Gli assiomi di App sopra citati forniscono una serie di risposte-standardcon cui i negazionisti rispondono alle obiezioni più ovvie che si possono lo-ro rivolgere. Ad esempio: ma se il genocidio non è mai avvenuto, allora chefine hanno fatto gli ebrei scomparsi? La risposta dei negazionisti è: la mag-gior parte degli ebrei scomparsi ha approfittato del caos del dopoguerra per ri-farsi una vita altrove. Come spiegare il significato dell’espressione in codice«azione speciale» che ricorre nei documenti nazisti? Risposta: le azioni spe-ciali non erano altro che selezioni per separare i detenuti infetti da quelli sa-ni nei lager, per impedire lo spargimento delle epidemie di tifo. E il materia-le fotografico? Anche le fotografie sono frutto di un abile lavoro di contraf-fazione a opera degli esperti dei media (che notoriamente sono tutti ebrei).Addirittura, i negazionisti sostengono che le fotografie che raffigurano le mon-tagne di cadaveri dei lager sarebbero state scattate a Dresda dopo i bombar-damenti alleati, e che in effetti i corpi apparterrebbero ai cittadini tedeschi.Attraverso la ripetizione martellante delle tesi negazioniste, l’obiettivo è dicreare l’impressione che la «questione delle camere a gas» sia oggetto di un ser-rato dibattito scientifico, contando sul fatto che per la mentalità comune «nonc’è fumo senza arrosto».

All’inizio degli anni Novanta all’interno dell’IHR avviene una scissione, ilcui esito più evidente è l’estromissione di Willis A. Carto dalle fila del movi-mento nel settembre 1993. Nell’ottobre dello stesso anno, Carto tenta di ri-prendere fisicamente possesso dell’edificio dell’IHR, ma viene trascinato viaurlante dalle forze dell’ordine. Il caso è successivamente trasferito nelle aule deitribunali.

I motivi dell’ammutinamento sono essenzialmente di due tipi. Da un la-to, Carto viene accusato dai suoi ex collaboratori di avere preso decisioni eco-nomicamente avventate, ad esempio riguardo all’affare Mermelstein. Dall’al-tro, il conflitto riguarda le diverse posizioni circa l’immagine che l’Istituto de-sidera proiettare di sé all’opinione pubblica. Come si è detto Carto è unrazzista dichiarato, un uomo di estrema destra che fa della propria intolleran-za un vanto; per lui il negazionismo non è che uno dei tanti aspetti della suabase ideologica, e infatti subito prima di venire allontanato dal gruppo tentadi modificare la linea editoriale del «Journal of Historical Review», ridimen-

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sionando lo spazio dedicato alla negazione della Shoah in favore di altri argo-menti dal sapore inequivocabilmente razzista. Al contrario, gli altri membri del-la redazione (Thomas Marcellus, Mark Weber, Ted O’ Keefe e Greg Raven)sono maggiormente consapevoli della necessità di ripulire l’immagine dell’Isti-tuto dal proprio passato neonazista per conferirgli una patina di rispettabilitàscientifica. Questa volontà si riflette, ad esempio, nel diverso formato della ri-vista che, dal 1993 in poi, comincia ad affiancare ai tradizionali scritti negazio-nisti anche altri saggi storici di argomento diverso (dalle origini del cristianesi-mo ad Alessandro Magno, dal Sudafrica alla questione palestinese), i quali do-vrebbero dare un’impressione di maggiore rigore e obiettività storica.

I processi di Zündel e Irving

A rendere più visibile il negazionismo negli ultimi decenni hanno contribui-to le vicende legali, riprese e amplificate dai media, di Ernst Zündel (neona-zista di Toronto) e di David Irving.

Dopo avere pubblicato per più di vent’anni scritti dal sapore apertamenteantisemita e filonazista sotto lo pseudonimo di Christof Friederich (si veda TheHitler We Loved and Why), nel 1978 Zündel rivela la propria identità anagrafi-ca durante un’intervista radiofonica. Ciò nonostante la sua attività propagan-distica procede pressoché indisturbata fino al 1985, quando viene accusato didiffondere consapevolmente notizie false sullo sterminio ebraico e conseguen-temente condannato a una pena detentiva di quindici mesi, nonché diffidatodal pubblicare materiale sull’argomento della Shoah per almeno tre anni.

Nel 1987 la sentenza viene cancellata sulla base di errori procedurali e, nel-lo stesso anno, viene avviato un secondo processo durante il quale intervengo-no, in difesa di Zündel, diversi negazionisti affiliati all’IHR (tra cui Robert Fau-risson, Fred Leuchter, Bradley Smith e Ditlieb Felderer) e alcuni autori (comeDavid Irving) che, pur non essendo (ancora) dichiaratamente negazionisti, di-mostrano di avere qualche affinità con questo movimento. Questo dispiega-mento di forze non salva Zündel da una seconda condanna detentiva, questavolta di nove mesi, di cui l’accusato sconta una settimana prima di essere rila-sciato sotto cauzione di 10.000 dollari. Tuttavia nell’agosto 1992 la Corte Su-prema canadese dichiara incostituzionale la legge che proibisce la diffusione dinotizie false, prosciogliendo Zündel, il quale negli anni che seguono continue-rà a diffondere materiali negazionisti e antisemiti dal proprio sito internet.

Il caso ha avuto sviluppi più recenti. Nel 2003 Zündel viene arrestato ne-gli Stati Uniti per violazione delle leggi sull’immigrazione (il suo visto è sca-

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duto). Dopo avere inutilmente cercato di rientrare in Canada come rifugiatopolitico (le autorità canadesi gli rifiutano il permesso in ragione dei suoi ac-certati legami con gruppi razzisti e neonazisti), nel marzo del 2005 viene estra-dato nella natia Germania dove, in base alla legge contro l’istigazione all’odiorazziale, viene arrestato e detenuto nel carcere di Mannheim. Uno degli effet-ti collaterali di questa vicenda giudiziaria, così come di altre analoghe (al mo-mento in cui scrivo anche il tedesco Germar Rudolf e il belga Siegfrid Verbe-ke sono sotto processo in Germania e in Austria), è di alimentare la martiro-logia negazionista, fornendo spunti ai negazionisti desiderosi di atteggiarsi avittime perseguitate dalla presunta storiografia ufficiale.

Più complicato è il caso di David Irving, autore di libri sulla storia del Ter-zo Reich, il quale nel 1996 intenta una causa per diffamazione contro Debo-rah Lipstadt e il suo editore inglese, la Penguin Books, accusati di avere getta-to discredito sulla sua (di Irving) reputazione accademica. Il testo contestato,che Irving chiede di ritirare dalla circolazione, è Denying the Holocaust (1993),un saggio dal piglio giornalistico in cui l’autrice ricostruisce le diverse correntidel negazionismo europeo e, soprattutto, nordamericano, evidenziandone le te-si, le strategie ricorrenti e i rapporti con alcune frange dell’estremismo politi-co. Nel libro della Lipstadt, Irving compare solo sporadicamente, ma viene de-scritto come un neofascista antisemita i cui testi denotano una scarsa onestàscientifica e, in alcuni passi, un’inclinazione al negazionismo.

Rispetto ad altri autori apertamente negazionisti l’esatta posizione di Irvingnel continuum che va dal riduzionismo al negazionismo è un po’ più incerta.Irving respinge l’appellativo di «negazionista», ma non è sempre chiaro se talerifiuto sia dettato da una presa di distanze rispetto all’estremismo dei negatoridella Shoah, oppure da una più generale insofferenza terminologica (come si èdetto, i negazionisti preferiscono autodefinirsi revisionisti). Prima del 1987 Ir-ving non è mai giunto a negare la realtà dello sterminio ebraico, ma semmaitende a scagionare Hitler dalle responsabilità del genocidio e a minimizzare laportata dello sterminio stesso. Ma dopo l’incontro con i principali negatori del-la Shoah (in occasione del processo Zündel) che lo accolgono a braccia aperte,invitandolo a partecipare ai convegni dell’IHR, Irving dà segni piuttosto elo-quenti di conversione alle tesi negazioniste, ad esempio quando afferma cheogni superstite dei lager costituisce la dimostrazione che non vi fu mai un pro-getto nazista di sterminio programmato degli ebrei, o quando suggerisce che il«mito delle camere a gas» sia un’invenzione di matrice sionista.

Spetta dunque alla difesa smontare l’accusa di diffamazione, dimostrandoche il ritratto di Irving ricavabile dal libro della Lipstadt poggia su basi inter-soggettivamente verificabili. Uno degli obiettivi del processo di Londra è di

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stabilire con precisione quali rapporti intercorrano tra Irving e i negazionisti,e se sia o meno legittimo definire Irving come un esponente (sia pure sui ge-neris) di questo movimento. A questo scopo vengono interpellati vari esperti,tra cui lo storico di Cambridge Richard J. Evans, per fornire pareri indipen-denti circa il profilo scientifico del presunto diffamato.

Nel suo Telling Lies About Hitler (2002), Evans fornisce un resoconto det-tagliato delle varie fasi della sua indagine, dispiegando l’armamentario di stra-tegie interpretative e retoriche utilizzate da Irving nel corso delle sue ricostru-zioni storiche, tutte rigorosamente svolte all’insegna della provocazione sen-sazionalistica e del tentativo di ribaltare le verità storiche generalmenteaccettate. Evans mostra come, fin dai suoi saggi sulla revisione del numero divittime dei bombardamenti alleati di Dresda, sul ruolo (presentato come mar-ginale) di Hitler nel contesto dell’antisemitismo nazista, sui diari di AnneFrank (tacciati di essere falsi), e sempre di più man mano che si avvicina alleposizioni dei negazionisti, Irving faccia un uso spregiudicato delle fonti, for-zandone il senso per venire incontro alle tesi che egli intende dimostrare. Lestrategie evidenziate da Evans sono molteplici: dalla selezione drastica dei do-cumenti al «seppellimento» delle fonti dissonanti nelle note a piè di pagina;dalla decontestualizzazione di un brano citato in modo da fargli dire il con-trario di ciò che esso dice realmente, alla traduzione imprecisa o errata di undocumento allo scopo di smussare il significato dei termini che puntano aun’interpretazione diversa rispetto a quella caldeggiata; dall’omissione di al-cune parole-chiave da una frase riportata alla sintesi in un unico testo di dueo più citazioni, tratte da documenti diversi, in modo da travisarne il sensocomplessivo.

Il processo di Londra si conclude con un verdetto di non colpevolezza perla Lipstadt e la Penguin (e con la richiesta a Irving di pagare le spese della di-fesa): il giudice decreta che le critiche a Irving avanzate dalla Lipstadt sonofondate, che nelle sue ricostruzioni storiche Irving «ha distorto e ha falsifica-to la presentazione delle prove in suo possesso» e che è un fatto «incontrover-tibile» che «Irving si qualifica come un negatore dell’Olocausto».

Come per Zündel, anche le vicende giudiziarie di Irving hanno avuto unosviluppo più recente. Nel febbraio del 2006 egli viene arrestato in Austria – do-ve si trova per partecipare a un raduno di estrema destra – sulla base di un or-dine di cattura del 1989 per discorsi che mettevano in dubbio l’esistenza dellaShoah (Irving è accusato di apologia del nazismo). Sebbene nel corso del pro-cesso egli ritratti le tesi negazioniste (salvo rilasciare dichiarazioni successiveche sembrano smentire la ritrattazione), Irving viene condannato a una penadetentiva di tre anni.

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Il negazionismo tecnico

Man mano che il negazionismo si ammanta di scientificità, l’attacco del para-digma storiografico accettato avviene su due fronti: da una parte il tentativodi smantellare la rete di testimonianze su cui si fonda la nostra conoscenza del-la Shoah; dall’altro l’arruolamento di presunti esperti – chimici e ingegneri –a cui è affidato il compito di dimostrare l’impossibilità materiale delle gassa-zioni. Quest’ultimo filone viene inaugurato da Fred Leuchter in occasione delsecondo processo Zündel.

Fred Leuchter è un presunto ingegnere (in realtà non è laureato in inge-gneria) che vive a Boston ed è specializzato nella costruzione e nell’installazionedi dispositivi per la pena di morte (sedie elettriche, camere a gas, dispositiviper l’iniezione letale e strutture per l’impiccagione). Nel 1988 Leuchter vienecontattato da Irving e Faurisson che gli chiedono di testimoniare in favore diZündel. Dopo due giorni di colloqui intensivi Leuchter è completamente con-vertito alla causa negazionista. La tesi che deve sostenere al processo è che ètecnicamente impossibile che i nazisti abbiano eseguito gassazioni di massaad Auschwitz e in altri campi di sterminio. Avendo ricevuto da Zündel 35.000dollari per le sue prestazioni, Leuchter viene mandato in missione ad Ausch-witz e a Majdanek per raccogliere prove a sostegno della tesi negazionista, ac-compagnato dalla moglie (in luna di miele) e da una squadra di aiutanti, tracui un cameraman. Munito di scalpello, Leuchter raccoglie illegalmente mat-toni e campioni di materiali dalle rovine dei lager. Tornato a casa fa analizza-re la composizione chimica dei campioni e stila il cosiddetto Leuchter Report,destinato a diventare un cavallo di battaglia dei negazionisti.

Il compito di Leuchter è di dare un fondamento scientifico al vecchio slo-gan negazionista secondo cui «ad Auschwitz sono state gassate solo le pulci».È noto che nei lager lo Zyklon B (un potente pesticida) veniva impiegato perla disinfestazione dai parassiti, oltre che per l’uccisione di esseri umani. La pre-sunta anomalia su cui è imperniata l’argomentazione di Leuchter è la seguen-te: mentre sui muri delle costruzioni in cui venivano effettuate le disinfesta-zioni rimangono visibili tracce blu di acido cianidrico (la sostanza tossica ri-lasciata dallo Zyklon B), nei resti delle strutture che oggi vengono indicate aivisitatori dei lager come le ex camere a gas tali tracce sono molto meno visi-bili. Le analisi chimiche riportate da Leuchter confermano che la concentra-zione di acido cianidrico riscontrata nei campioni prelevati dai muri degli edi-fici adibiti alla gassazione è inferiore a quella riscontrata nei campioni prele-vati dai locali deputati alla disinfestazione. Da ciò Leuchter balza allaconclusione che le strutture che oggi vengono presentate ai visitatori come ex

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camere a gas in realtà non avessero quella funzione, che lo Zyklon B sia statoimpiegato dai nazisti esclusivamente come anti-parassitario e che le camere agas omicide non siano mai esistite.

La tesi di Leuchter viene confutata nel corso del processo Zündel e, più mi-nuziosamente, in uno studio di Jean-Claude Pressac, ex negazionista ricon-vertito dopo avere compiuto un’accurata analisi dei documenti originali con-cernenti la gestione del lager di Auschwitz10. Ciò che Leuchter sembra igno-rare è che gli insetti sono molto più resistenti degli esseri umani ai veleni delloZyklon B. Di conseguenza, la concentrazione di Zyklon B necessaria per uc-cidere i parassiti è di gran lunga superiore a quella necessaria per uccidere lepersone. Inoltre, mentre le gassazioni duravano all’incirca dieci minuti (dopoi quali le camere a gas venivano sgomberate, aerate e lavate), le disinfestazio-ni dai parassiti duravano diverse ore, dando molto più tempo allo Zyklon Bdi impregnare i muri dei locali. Alla luce di questi semplici dati, non è sor-prendente che i campioni prelevati dai locali per la disinfestazione siano mag-giormente intrisi di cianuri dei campioni prelevati dalle camere a gas11.

Apparentemente imperturbati dalle smentite scientifiche, i negazionisticontinuano a sbandierare il rapporto Leuchter come prova definitiva dell’ine-sistenza delle camere a gas. Alle pseudo-obiezioni proposte da Leuchter si ag-giunge una batteria di ulteriori rilievi tecnici avanzati da altri negazionisti (tracui Germar Rudolf ), desiderosi di gettare ombre sulla realtà delle camere a gas.

Se messe alla prova, tutte le obiezioni tecniche dei negazionisti si dimo-strano inconsistenti e pretestuose. Di fronte alle confutazioni scientifiche i ne-gazionisti reagiscono in due modi diversi: i più rozzi si limitano ad aggrapparsiostinatamente alle proprie credenze, ignorando gli argomenti contrari. I ne-gazionisti più accorti, invece, introducono via via nuove obiezioni sempre piùcavillose, sfruttando ogni possibile interstizio interpretativo per insinuare nuo-vi dubbi nella ricostruzione complessiva dei fatti. Ne consegue che, nel giocodelle parti incoraggiato da questi autori, i sostenitori della storiografia scien-tifica si trovano costretti a difendere la propria versione dei fatti la quale, es-sendo enunciata in positivo, offre necessariamente il fianco alle critiche (il me-todo scientifico è per propria costitutiva vocazione aperto ai tentativi di falsi-ficazione). Per rispondere esaustivamente a ciascuna delle micro-obiezioni deinegazionisti, gli storici si trovano costretti a ricostruire ogni dettaglio tecnicodelle procedure di gassazione, dall’esatta quantità di Zyklon B utilizzata du-rante le esecuzioni alla capacità di incenerimento quotidiano dei cadaveri diciascuno dei forni crematori di Auschwitz. I negazionisti, dal canto loro, con-centrano tutti i propri sforzi sulla demolizione della tesi accettata, evitando diassumersi la responsabilità di dimostrare concretamente la tesi secondo cui la

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Shoah sarebbe il prodotto di una colossale contraffazione storica. Per metterein discussione l’esistenza del genocidio bisogna infatti immaginare che da de-cenni sia in atto un progetto coerente e concertato di falsificazione storica incui tutti i testimoni sarebbero direttamente complici. I negazionisti, che spes-so ventilano questa ipotesi, non arrivano mai a spiegare dettagliatamente co-me sia possibile una simile congiura e chi ne sia l’artefice supremo.

Parallelamente ai tentativi di dimostrare l’impossibilità tecnica della Shoah,si sviluppa in campo negazionista una corrente di esegesi alternativa dei do-cumenti e delle testimonianze che attestano l’avvenuto sterminio. L’idea che inegazionisti vogliono far passare è che tutti i testimoni, sia dalla parte delle vit-time, sia da quella degli aguzzini, siano manipolati da una non meglio iden-tificata lobby «sterminazionista». Ispirandosi ai metodi interpretativi di Hog-gan, Butz e Faurisson, alcuni negazionisti (soprattutto europei) si specializza-no nella lettura sospettosa delle testimonianze, lettura mirata a snidare erroriveri o presunti da cui concludere che tali testimonianze sono interamente inat-tendibili e vanno perciò scartate. Tra i negazionisti più impegnati nello sman-tellamento della rete testimoniale ricordiamo Wilhelm Stäglich in Germania,Henri Roques in Francia, Carlo Mattogno in Italia, e numerosi altri. Utiliz-zando un stile retorico il più possibile asettico (fatta eccezione per le invetti-ve lanciate contro gli avversari del negazionismo), questi autori si sforzano diapparire come ricercatori puri, ansiosi di ristabilire la Verità storica indipen-dentemente da qualsiasi agenda politica ulteriore.

La strategia argomentativa da loro impiegata è la seguente. Si prende unatestimonianza e per prima cosa la si isola dal suo contesto immediato. Lo sto-rico onesto sa bene che la singola testimonianza costituisce una tessera di unmosaico più ampio che, complessivamente, ci informa di come si sono vero-similmente svolti gli eventi a cui ciascuna testimonianza si riferisce in modonecessariamente parziale e potenzialmente inesatto. In quanto prodotti dellamemoria umana, le testimonianze spesso contengono delle imprecisioni, ed èper questo che, dove possibile, esse vanno «triangolate» con altre fonti. Ma se,anziché far dialogare le varie voci tra loro, si isola il documento dalla rete pro-batoria in cui è inserito, lo si rende più vulnerabile agli attacchi che gli ver-ranno successivamente sferrati. Dopodiché, il negazionista legge il documen-to «in contropelo», andando alla ricerca di tutte le increspature esegetiche, leminime inesattezze fattuali e le piccole contraddizioni di cui esso è portatore.Si enfatizza la portata delle anomalie riscontrate e, infine, ci si precipita a con-cludere che, se la testimonianza contiene un errore, nulla garantisce che nonne contenga innumerevoli altri (è il principio del «falsus in uno, falsus in om-nibus»). Dunque – affermano i negazionisti – la testimonianza non costitui-

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sce una fonte di informazioni attendibili e per questo va scartata. In certi ca-si, essi giungono a sostenere (o a insinuare) che gli errori rilevati non sianocasuali, ma che siano attribuibili a una precisa volontà di falsificazione da par-te del testimone (o del suo presunto mandante).

Un esempio: l’SS Kurt Gerstein, in virtù del suo ruolo di tecnico per la di-sinfestazione, visitò nel 1942 il lager di Treblinka. Durante la visita, assistette auna gassazione e, subito dopo la guerra, redasse un rapporto in cui descrivevacon orrore ciò a cui aveva assistito. Nel rapporto, Gerstein parla anche dellemontagne di vestiti, appartenenti alle vittime delle camere a gas, che ha vistoa Treblinka, e aggiunge che queste montagne erano alte 35-40 metri. Evidente-mente si tratta di un’esagerazione, in quanto una catasta di tali dimensioni sa-rebbe impensabile. Nel leggere il rapporto di Gerstein, lo storico onesto si li-mita a constatare l’esagerazione e a concludere che, forse in preda all’emozio-ne, il testimone ha ceduto al meccanismo retorico dell’iperbole. Il negazionista,invece, sostiene che questo errore è un chiaro segno del fatto che il testimoneha mentito (dunque, non che si è semplicemente sbagliato, perché per il nega-zionista ogni errore equivale a una menzogna) e che la sua testimonianza gli èstata estorta dagli Alleati durante la sua prigionia. Alcuni negazionisti giungo-no perfino a sostenere che la testimonianza è il frutto di un plagio, nonostan-te siano state effettuate accurate perizie calligrafiche che hanno dimostrato sen-za ombra di dubbio che l’autore del documento è proprio Gerstein.

Come si vede, vi è un’enorme sproporzione tra l’entità dell’inesattezza ri-scontrata e le conclusioni che i negazionisti ne traggono. Quando poi la te-stimonianza resiste a questo attacco frontale, essi inventano delle anomalie cheessa non contiene. Ad esempio, nella versione tedesca del rapporto Gerstein(di cui esistono più stesure) l’autore dice che, a gassazione ultimata, le squa-dre speciali dovevano rovistare nelle bocche, negli ani e nei genitali dei cada-veri per cercare ori e brillanti (accadeva talvolta che le vittime, spogliate deipropri abiti, nascondessero qualche bene prezioso nei loro orifizi). In tedescobrillanti si dice Brillanten, ma nel testo di Gerstein c’è un refuso: ad un certopunto l’autore scrive Brillen (occhiali) invece di Brillanten. Cosa fa un nega-zionista come Mattogno? Invece di prendere atto del refuso (tanto più che duerighe dopo la parola Brillanten viene ripetuta correttamente), ironizza: «Gliuomini dell’Arbeitskommando cercano occhiali nei genitali delle vittime!».

Il lettore, che solitamente non è sufficientemente informato per risponde-re a ciascuna di queste obiezioni locali, viene gettato in uno stato di disorien-tamento e di paralisi interpretativa. La prima fase dell’operazione negazioni-sta, dunque, è la rottura del consenso, lo sgretolamento dell’accordo socialesu cui si basa la nostra ricezione collettiva della Shoah. Nella mente del letto-

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re sprovveduto viene gettato il seme del dubbio circa la realtà dello sterminio.A questo punto, la situazione è matura per sferrare l’attacco finale: attraversola tecnica dell’insinuazione, si fa intendere al lettore che le «sbavature» appe-na riscontrate nei documenti non siano casuali, ma facciano capo a una pre-cisa volontà di manipolazione a opera di «certi ambienti del sionismo inter-nazionale».

La propaganda su Internet

Negli ultimi anni, i negazionisti hanno cominciato a usare Internet come stru-mento di proselitismo. I principali siti negazionisti includono lo Zündelsite,il Committee for Open Debite on the Holocaust (che fa capo a Bradley Smith,per anni impegnato nella diffusione del negazionismo nei campus universita-ri americani), i siti di Greg Raven, di Fred Leuchter, di Radio Islam (gestitodallo svedese-marocchino Ahmed Rami, il cui obiettivo dichiarato è di «com-battere il razzismo ebraico e l’ideologia sionista»), dell’Association des AnciensAmateurs de Récits de Guerre et d’Holocauste (Aaargh), dell’Adelaide Insti-tute. Quest’ultimo tenta di smorzare i toni ideologicamente accesi di altri si-ti negazionisti per promuovere l’immagine di un centro di studi storici vota-to alla ricerca spassionata della Verità.

Il canale informatico si rivela un’ottima soluzione contro la censura che,in alcuni paesi europei, colpisce gli scritti dei negazionisti. Come si sa, lo spa-zio informatico è aperto a tutti e, anche se si decidesse di rifiutare l’accesso al-la rete a un sito ritenuto ideologicamente pernicioso, esistono innumerevolimodi per aggirare il divieto. Ad esempio, nel gennaio 1995 un provider tede-sco decide di bloccare l’accesso al materiale proveniente dallo Zündelsite: aquesto scopo viene oscurato il numero di IP (International Protocol) del sito– numero che peraltro è condiviso da altri 1500 siti, i quali vengono a lorovolta bloccati. Nel giro di 24 ore, diversi utenti americani cominciano a sca-ricare il materiale censurato sul proprio computer, per poi rilanciarlo in rete(con la tecnica detta di mirroring): si tratta di un’operazione del tutto legale,in quanto è protetta dal primo emendamento della Costituzione. Per blocca-re queste copie, il provider tedesco dovrebbe oscurare tutti i siti mirror, tracui quelli di parecchie università. Invece decide (ragionevolmente) di desiste-re, e dopo appena una settimana lo Zündelsite è di nuovo in rete in Germa-nia. Incidentalmente, si noti che solo un paio dei mirror condividono la po-litica di Zündel: tutti gli altri agiscono esclusivamente in nome del principiodella libertà di espressione.

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L’estrema facilità con cui i negazionisti accedono all’autostrada informatica haimportanti conseguenze sulle strategie con cui i sostenitori della storiografiascientifica cercano di combattere il fenomeno della negazione della Shoah. Secon le vecchie tecnologie comunicative (carta stampata e video) era ancora pos-sibile pensare di reprimere il movimento tramite la censura, con l’avvento ela diffusione di Internet questo obiettivo è divenuto impossibile da realizzare.Al di là del complesso dibattito sull’opportunità o meno di censurare i testi de-gli autori in questione, è innegabile che un simile proposito si rivela oramaianacronistico, e al divieto di pubblicazione devono subentrare altre strategiepiù articolate. È da queste premesse che muove il progetto Nizkor (in ebrai-co «noi ricorderemo»), che dal 1992 si è assunto il compito di smascherare gliobiettivi dei negazionisti attraverso un meticoloso monitoraggio dei loro siti,in base al motto per cui «il modo per combattere idee perniciose è attraversoaltre idee».

Negazionismo e separatismo afro americano

Un ulteriore sbocco che è stato offerto alle tesi dei negazionisti statunitensi ne-gli ultimi vent’anni è costituito dall’attività propagandistica di alcuni gruppineri militanti che, per affermare le proprie tesi separatiste, si rifanno ai peg-giori eccessi della teoria della cospirazione giudaica mondiale. Già nel 1961, du-rante un incontro con alcuni esponenti di spicco del Ku Klux Klan, MalcolmX affermava che «l’Ebreo sta dietro al movimento per l’integrazione razziale,e usa il Negro come suo burattino». Da allora la comunità ebraica è stata ac-cusata da vari membri di gruppi separatisti afroamericani di avere causato vo-lontariamente pressoché tutte le disgrazie registrate nella storia moderna (e incerti casi anche antica), compreso lo spargimento del virus dell’AIDS pressole comunità nere da parte dei medici ebrei (tesi sostenuta da Steve Cokely).Addirittura, Adeeb Ahmad Shabazz denuncia la comunità ebraica per avereboicottato, tramite il monopolio dei media, la musica rap politicamente im-pegnata in favore della più violenta forma di «gangsta rap».

Secondo la Nation of Islam (NOI) diretta da Louis Farrakhan, il com-mercio degli schiavi africani dal Cinquecento in poi è stata principalmenteopera dei ricchi commercianti ebrei, mentre l’impegno dimostrato dagli ebreinel processo di integrazione razziale negli Stati Uniti in realtà nasconderebbeuna precisa volontà di annullare la purezza dell’identità e la supremazia dellacomunità nera americana (NOI, The Secret Relationship between Blacks andJews, 1991).

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Si realizza così un’improbabile alleanza tra alcune frange del Ku Klux Klan el’estremismo afro americano di ispirazione islamista e separatista. Al fine di de-legittimare la comunità ebraica, entrambi i gruppi operano una rilettura del-la storia della persecuzione nazista degli ebrei in senso riduzionista (ridimen-sionamento e banalizzazione della Shoah) e negazionista. Il Black African Ho-locaust Council (BAHC, fondato da Eric Muhammad nel 1991) impiegatermini quali «pogrom», «campi di concentramento» e «Olocausto» per riferirsialle persecuzioni razziali subite dai neri d’America, sostenendo che l’Olocau-sto nero non conta sei, ma decine di milioni di vittime dello schiavismo. Inol-tre, l’organo principale del movimento – «The Holocaust Journal» – segnalal’avvenuta conferenza sponsorizzata dal BAHC nell’aprile 1994 sul tema «Il mi-to dell’Olocausto ebraico», durante la quale è stato proiettato un video pro-dotto e distribuito dall’IHR, che intrattiene rapporti con i gruppi di estremi-smo nero islamico almeno fin dal 1984 (data in cui Arthur Butz partecipa aun incontro organizzato dal NOI per divulgare le sue tesi negazioniste).

Il negazionismo in Medio Oriente

A partire dagli anni Ottanta il negazionismo comincia ad attecchire anche indiversi paesi del Medio Oriente. Laddove in precedenza la percezione più dif-fusa in questi paesi era che l’Occidente avesse creato Israele per lavarsi la co-scienza dai crimini della Shoah (mentre alcuni estremisti esprimevano senti-menti apologetici nei confronti del nazismo), man mano che si diffonde lapropaganda negazionista è l’esistenza stessa del genocidio a essere messa in di-scussione. Imbeccati dai negazionisti occidentali, alcuni opinionisti arabi siconvertono alla tesi dell’inesistenza della Shoah, talvolta con esiti piuttostocontraddittori: in un articolo apparso sul quotidiano siriano «Teshreen» il 21gennaio 2000, ad esempio, il giornalista dapprima condanna Israele equipa-randolo alla Germania nazista (altro motivo ricorrente della propaganda an-ti-israeliana) e poi, nel giro di poche righe, passa a negare il principale crimi-ne nazista, ovvero la Shoah12.

Uno dei primi negazionisti a cercare alleanze con gli ambienti dell’estremi-smo anti-israeliano è Zündel, il quale verso la fine degli anni Settanta invia adiversi leader mediorientali un pamphlet di quattro pagine intitolato The West,War and Islam. Nel pamphlet Zündel chiede aiuti ai paesi islamici per finan-ziare la lotta contro le «campagne di disinformazione sioniste», in particolareper ciò che riguarda il «cosiddetto Olocausto». Non è noto se l’appello di Zün-del ottenga qualche risultato concreto, tuttavia è in questi anni che si registra-

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no le prime prese di posizione riduzioniste in vari paesi del Medio Oriente.Nel 1983 Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen) pubblica un libro sui Rapportisegreti tra il Nazismo e il Movimento Sionista in cui suggerisce che la cifra deisei milioni di vittime della Shoah sia stata gonfiata dai sionisti e che il nume-ro degli ebrei morti nei lager in realtà sia inferiore al milione (successivamenteAbu Mazen prenderà le distanze da queste tesi, dettate all’epoca – come spie-gherà a un giornalista israeliano di «Ma’ariv» – da esigenze di realpolitik).

Nel corso degli anni Novanta, e sempre di più dopo l’esplosione della se-conda intifada, le tesi negazioniste proliferano sulla stampa araba, innestandosigrossolanamente sul mito della cospirazione ebraica (da tempo motivo ricor-rente della propaganda antisionista). A catalizzare l’espansione del negazioni-smo in Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Iran, Siria, Libano e Giordania, gioca unruolo di rilievo il clamore mediatico suscitato dal «caso Garaudy». Nel no-vembre del 1995 il francese Roger Garaudy, ex comunista convertito al Cat-tolicesimo e poi all’Islam, pubblica per i tipi de La Vieille Taupe un libellodal titolo Les mythes fondateurs de la politique israélienne. Si tratta di un testovelatamente negazionista, nel senso che le tesi di Faurisson vengono presen-tate in modo indiretto e allusivo, tramite espedienti retorici come la virgolet-tatura polemica delle espressioni «camere a gas», «genocidio», «Olocausto» e«Soluzione finale» per indurre il lettore ad assumere un atteggiamento so-spettoso nei confronti della realtà dello sterminio. Ma l’idea di fondo resta chegli ebrei non furono sistematicamente uccisi nei lager, i quali sarebbero staticampi di lavoro forzato e non di sterminio, e che pertanto non ci fu mai unavolontà di genocidio da parte dei nazisti. Secondo Garaudy, lo Stato di Israe-le – con la connivenza delle potenze occidentali e sovietiche, interessate a dis-togliere l’attenzione dai propri crimini di guerra – sfrutterebbe il «mito del-l’Olocausto» per legittimare la propria politica espansionistica agli occhi del-l’opinione pubblica mondiale.

Nel gennaio del 1996 la rivista «Le canard enchaîné» solleva la polemica e,in base alla legge Gayssot che proibisce la negazione dei crimini contro l’u-manità, Garaudy viene processato (sarà condannato a pagare una multa di120.000 franchi). Nel frattempo viene diramato l’annuncio che l’anziano ab-bé Pierre (votato come il personaggio pubblico più amato dai francesi) sostie-ne Garaudy sulla fiducia, pur non avendo letto il suo libro. Le dichiarazionidell’abbé Pierre destano notevole scalpore, provocando prese di posizione en-fatiche sul diritto alla libertà di espressione che i negazionisti non manche-ranno di sfruttare a sostegno delle proprie tesi.

Pubblicato dall’editore El Ghad el Arabi del Cairo, il pamphlet di Garaudyviene recensito entusiasticamente da diverse testate arabe, e lo stesso Garaudy

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viene accolto trionfalmente a Damasco, ad Amman, a Beirut e a Teheran. Sul-l’onda di questo successo mediatico, altri negazionisti (tra cui l’austriaco Wolf-gang Fröhlich, lo svizzero Jurgen Graf e gli americani Mark Weber e BradleySmith) prendono contatti con i paesi del Medio Oriente, dove, svincolati dal-la necessità di conferire un’apparenza neutrale ai propri discorsi, sono liberidi adottare toni e posizioni apertamente antisemite.

È così che il negazionismo viene messo al servizio della propaganda anti-sionista più grossolana e virulenta. In combutta con le frange estremistiche e,in alcuni casi, con gli stessi vertici governativi di paesi che rifiutano di rico-noscere il diritto di esistenza allo Stato di Israele13, i negazionisti organizzanoincontri pubblici in cui proclamano che «le ricerche dimostrano che il gas chesi dice fosse usato per ucciderli in realtà era usato per pulire gli indumenti deiprigionieri», che l’esistenza della Shoah è «un’affermazione senza fondamento»e che, facendo leva sul tema dell’Olocausto, «i Sionisti vogliono realizzare unnuovo ordine mondiale»14.

Conclusioni

In tutte le sue manifestazioni, il negazionismo non si regge in piedi senza unaqualche versione della teoria del complotto, ovvero senza la convinzione (as-sai diffusa nella mentalità collettiva) che da qualche parte vi sia una regia oc-culta che manipola l’intero corso della storia. Tra i diversi stereotipi negativiche da sempre alimentano l’antisemitismo, quello dell’Ebreo cospiratore è sen-z’altro il più odioso, il più pericoloso e il più duro a morire.

Dove risiede lo scandalo del negazionismo?Moralmente, la negazione della Shoah appare intollerabile perché è evi-

dente che chiunque si premuri di falsificare un evento come la Shoah (o, nel-le versioni più blande, di ridurne drasticamente la portata) è spinto da un mo-vente ideologico poco edificante: per quale motivo, altrimenti, perdere il pro-prio tempo a tentare di sfatare un episodio, storicamente accertato, che vedecontrapposti un partito di aguzzini e una massa di vittime innocenti? L’unicapossibile spiegazione è che il negazionista, lungi dal perseguire un neutrale pro-getto di «ricerca della verità», si prefigga di ripulire l’immagine del nazismodalle sue più evidenti macchie per ripiombare nel paradigma dell’antisemiti-smo storico. Ma, se per un momento lasciamo da parte le considerazioni eti-che e politiche, non c’è alcun motivo particolare per cui la storia della Shoah,tra tutti gli eventi del passato, debba essere posta definitivamente al riparo daitentativi di riscriverla. Da un punto di vista strettamente epistemologico, non

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è nella propensione a leggere sospettosamente i documenti che consiste l’a-berrazione negazionista, perché si sa che la nostra conoscenza del passato è ilfrutto di incessanti revisioni e che nessun episodio storico, per quanto imma-ne, è in linea di principio off limits rispetto all’azione potenzialmente erosivadella falsificazione. Lo scandalo logico del negazionismo sta, piuttosto, nellafoga con cui, una volta messa in dubbio la realtà dei fatti della Shoah (con-tando sulla collaborazione di un lettore poco informato, se non già predispo-sto ad abbracciare posizioni antisemite), questi autori dichiarano prematura-mente chiusa l’indagine, rifacendosi al secolare mito dei Protocolli dei Savi An-ziani di Sion per riempire le innumerevoli lacune di cui i loro discorsi sonointessuti.

Note al saggio

1 Tra queste, ricordiamo Nazionalismo e bolscevismo: la guerra civile europea 1917-1945 (1987; tr. it.1988) e Controversie (1999).

2 Sui metodi riduzionisti impiegati da Nolte si veda Pierpaolo Poggio, Nazismo e revisionismo stori-co, manifestolibri, Roma 1997.

3 1950: Le mensonge d’Ulysse; 1961: Ulysse trahi par les siens; 1962: Le véritable procès Eichmann ou lesvainqueurs incorrigibles; 1964: Le Drame des Juifs européens.

4 Inizialmente revisionisti marxisti – in un pamphlet del 1960, Auschwitz ou le grand alibi, la tesi del-la Vieille Taupe è che l’antisemitismo nazista vada letto come la reazione della piccola borghesia te-desca alla crisi economica del primo dopoguerra, crisi che portò alla decisione di sacrificare unaparte della popolazione (la piccola borghesia ebraica) in favore del sistema complessivo – dopo l’in-contro con i testi di Rassinier, Guillaume e i suoi compagni si convertiranno gradualmente al ne-gazionismo vero e proprio.

5 Per approfondire il negazionismo di Paul Rassinier si rimanda a Florent Brayard, Comment l’idéevient a Paul Rassinier, Fayard, Paris 1996; Nadine Fresco, Fabrication d’un anti-sémite, Seuil, Paris1999.

6 Sui negazionisti americani si veda Deborah Lipstadt, Denying the Holocaust, Macmillan-Penguin,New York-London 1993.

7 I primi attacchi all’autenticità dei diari di Anne Frank risalgono a un articolo uscito in Svezia (sulgiornale «Fria Ord») nel 1957. L’articolista, tal Harald Nielsen (danese), sosteneva che il vero auto-re dei diari fosse l’agente letterario Meyer Levin, che nel 1952 scrisse un copione – poi rifiutato dalpadre di Anne, Otto Frank – per produrre uno spettacolo teatrale dal testo originale. Simili criti-che erano state ribadite in Norvegia, in Austria e in Germania occidentale, e nel 1958 erano sfocia-te in una querela per diffamazione sporta da Otto Frank contro un insegnate di Lubecca, il qualeaveva ritrattato pubblicamente la sua tesi dopo che una perizia sull’autenticità dei diari ne avevadimostrato l’assoluta infondatezza. Ciò nonostante la tesi continua a circolare e viene ripresa da va-ri autori tra cui Richard «Harwood» (Did Six Million Really Die?, 1974), Dietlib Felderer (AnneFrank Diary - A Hoax?, 1978) e lo stesso Faurisson, il quale, in una lettera inviata a Jean-Marc Théol-

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leyre nel 1975 scrive: «Gli specialisti del Monde si tengono al corrente dell’attualità? Leggono gli stu-di o le testimonianze che si moltiplicano sulla “menzogna” o la “truffa” di Auschwitz? […] Sannoche il Diario di Anne Frank è una montatura di Meyer Levin?».

8 Per una disamina delle strategie argomentative impiegate da Faurisson e da altri negazionisti perscreditare i diari di Anne Frank, si veda Valentina Pisanty, L’irritante questione delle camere a gas,Bompiani, Milano 1998.

9 Promotore dell’iniziativa è lo storico Pierre Vidal-Naquet, autore di Les assassins de la Mémoire(1987), uno dei primi studi antinegazionisti.

10 Si veda Jean-Claude Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers, The Bea-te Klarsfeld Foundation, New York 1989.

11 Per una confutazione esaustiva dei rilievi tecnici avanzati da Leuchter si rimanda a Pressac, Ausch-witz cit., e alla sezione del sito Nizkor dedicata allo smontaggio punto per punto del rapporto(www.nizkor.org).

12 Cfr. ADL, Holocaust Denial in the Middle East: the Latest Anti-Israel Propaganda Theme, consul-tabile alla pagina http://www.adl.org/holocaust/denial_ME/default.asp.

13 Si vedano le dichiarazioni pubbliche rilasciate dal presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad neldicembre del 2005 circa il «mito» dell’Olocausto e la necessità di trasferire Israele in territorio eu-ropeo o americano. A seguito dello scandalo internazionale suscitato da tali affermazioni, diversinegazionisti occidentali (tra cui Faurisson, Butz, Zündel, Thion, e altri) inviano calorosi messaggidi sostegno ad Ahmadinejad, acclamandolo come «il primo statista che ha parlato in modo esplici-to e con trasparenza dell’Olocausto» (Fonte: ANSA 3/1/2006).

14 Dichiarazioni rilasciate dal negazionista australiano-tedesco Frederic Tuben durante un conve-gno negazionista organizzato in Iran («Olocausto, dall’affermazione alla realtà») di cui dà notizia ilquotidiano «Siasat-e-Rouz» dell’8 marzo 2006 (Fonte: ANSA 8/3/2006).

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