4 - Le "navi del deserto" e i miraggi burloni

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FIABA DI MAURO NERI ILLUSTRAZIONI DI FULBER www.risparmiolandia.it Le avventure dI GELLINDO GHIANDEDORO AVVENTURA NEL DESERTO 4 - Le “navi del deserto” e i miraggi burloni

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Avventura nel deserto

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FIABA DI MAURO NERIILLUSTRAZIONI DI FULBER

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Le avventure dI GELLINDO GHIANDEDORO

AVVENTURA NEL DESERTO

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AVVENTURA NEL DESERTO

Era proprio senza fine, quel deserto di sale!

La jeep color argento viaggiava ormai da alcune ore a massima velocità e il pa-norama al di là dei finestrini era sempre uguale: bianco candido sotto, azzurro accecante sopra, una distesa piatta e salata tutt’attorno da togliere il fiato.

La principessa Aida, a cui Uadi-Karim il terribile ladro di dromedari aveva ra-pito il padre, aveva lo sguardo perso nel vuoto ed era immersa nei suoi tristissimi ricordi; il mercante Omar sospirava di tanto in tanto con un groppo in gola al pensiero del cucciolo Alì, caduto nelle mani di Scia-krun, il Predone Traditore ladro di fennec. E se Fra’ Vesuvio aveva la testa che rincorreva l’immagine del povero cugino Abdu Al-Bar rapito a sua volta dall’altro malvagio predone Sim-bal, Gellindo Ghiandedoro se ne stava con gli occhi chiusi pensando al suo Villaggio lontano e al Bosco delle Venti Querce lasciato nel pieno della primavera.

Fu il buon Momò, col volante stretto tra le mani per tenere in strada la jeep che correva veloce come il vento, ad accorgersi per primo che qualcosa non andava per il verso giusto. E infatti di lì a un paio di chilometri un improvviso rumore di ferraglie gracchianti esplose sotto al cofano davanti, una nuvola di fumo fece sbandare l’automobile e il motore si spense con gran fracasso!

– Cos’è stato? – strillò Vesuvio risve-gliandosi dai suoi sogni.

– s’è rotto qualCosa? – chiese Gellin-do.

– è saltato il motore? – buttò lì Omar.

– è finita la benzina? – domandò la bella Aida...

Momò fermò la macchina sul ciglio della strada, scese, aprì il cofano e... – Mi dispiace, ma qui è andato tutto in ma-lora! – esclamò asciugandosi il sudore dalla fronte.

– Non... non dirmi che è scoppiato il motore!! – balbettò Omar scendendo anche lui dalla quattro per quattro.

ahi! ahi! ahi! Il motore fumava e le cinghie rotte penzolavano dondolando miseramente nel vuoto, i pistoni erano scoppiati, le molle s’erano attorcigliate alle sospensioni e una cascatella di olio nero cadeva sulla pista di sale sotto le ruote.

Purtroppo la jeep era inservibile e nei cuori dei nostri amici si stava fa-cendo strada la terribile certezza di dover proseguire a piedi in quella landa desolata!

Fra’ Vesuvio era pallido come un len-zuolo: – E adesso che facciamo? I Pre-doni Traditori stanno tranquillamente viaggiando ognuno per la sua strada verso Sud e noi siamo bloccati qui, in mezzo a questi Lago Salato...

Omar non si lasciò travolgere dalla paura: – Carichiamoci le taniche d’acqua sulla schiena e proseguiamo a piedi!

Gellindo scosse la testa: – Ci vorran-no almeno tre giornate di cammino per esser fuori da questo deserto di sale... ed abbiamo acqua a sufficienza fino a stasera!

La principessa Aida uscì dall’auto, si

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portò una mano sulla fronte a protezio-ne degli occhi e guardò a lungo verso ovest. Dopo di che allungò un braccio e indicò un punto all’orizzonte: – Mal-grado la disgrazia, amici, lasciatemi dire che siamo stati fortunati... Lo vedete quel puntino laggiù, a meno di un’ora di cammino da qui? Quella è la tenda del vecchio Munastir, amico di mio padre, nomade e allevatore di dromedari pure lui. Prendete tutto quel che potete e se-guitemi: non sarà difficile farci prestare cinque dromedari!

A Gellindo Ghiandedoro il buon Mu-nastir consegnò il vecchio dromedario Nelson, un saggio animale che sapeva annusare nell’aria il profumo dell’acqua di un’oasi fino a trenta chilometri di di-stanza!

Fra’ Vesuvio montò su un dromedario che rispondeva al nome di Nadir, che aveva la gobba gonfia d’acqua ed era quindi pronto ad affrontare le durezze del deserto.

Omar ebbe in sorte il simpatico Alfre-do, un animale alto e grosso che pareva una montagna pelosa, ma che cammina-va con un passo leggero e felpato come se danzasse.

Mustafà era il nome del dromedario che si fece dare il buon Momò, mentre Aida montò con agilità in groppa al gio-vane Gilberto, un piccolo dromedario che scalpitava dalla voglia di mettersi in viaggio.

– E questo è Salem – disse Munastir, tenendo alla cavezza un dromedario carico di otri d’acqua e di pacchi di

viveri. – Se gli altri saranno le vostre “navi del deserto”, lui sarà la vostra “di-spensa” – sorrise l’allevatore, che però tornò subito serio quando si rivolse alla principessa: – Mi raccomando, Aida, dì ai tuoi amici di fare attenzione a quei tre manigoldi, ma riportate a casa tuo padre, il mio buon amico Ismail! Senza di lui il Lago Salato è come una notte senza luna, è come un giardino che ha perso i fiori, è come un’oasi senza sorgente d’acqua!

La carovana partì all’istante comin-ciando a dondolare sotto al sole al ritmo della cavalcata dei dromedari. Guidati dall’anziano Nelson, le sei “navi del deserto” affrontarono la distesa pia-neggiante di sale bollente e un silenzio profondo calò su quella parte di Lago Salato.

Sarà stato quel dondolio continuo e monotono, le emozioni di una giornata cominciata male oppure la stanchezza accumulata in quei primi giorni di de-serto, fatto sta che Fra’ Vesuvio s’ad-dormentò in groppa al suo Nadir. A dire il vero gli parve di dormire per un paio di minuti appena, ma quando si svegliò con la gola secca per la sete e sbirciò da sotto il fazzolettone che gli fasciava la testa, s’accorse che si era già nel pomeriggio inoltrato.

Strizzò meglio gli occhi e guardò in lontananza: quello che vide gli fece fare un salto sul cocuzzolo della gobba di Nadir. Laggiù, sulla linea dell’orizzonte a oriente, c’era il... mare!

E cosa ci faceva lì, il mare? – Mi sapete dire perché il mare è arrivato fin qui? – esclamò lo spauracchio alzandosi sulla

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sella per vedere meglio.– Quale mare? Io non lo vedo – ribatté

Gellindo con uno sbadiglio. S’era appiso-lato pure lui!

– Come sarebbe dire “quale mare”! Non la vedi l’acqua e pure la schiuma delle onde? C’è perfino un isolotto con una... due... tre palme da cocco al centro, e una nave che corre via laggiù, sulla sinistra...

– Ma stai ancora sognando, vero Vesuvio? – chiese lo scoiattolino un po’ preoccupato. – Onde? Palme? Navi? Io vedo solo il bianco di questo Lago Salato senza fine!

– Ecco! Adesso ci sono anche delle montagne, guarda! Là, a destra... E... e...

– Be’, che ti succede? – esclamò Omar avvicinando il suo dromedario a quello dello spauracchio.

– Se non sbaglio laggiù davanti a noi c’è un frigorifero pieno di bibite gelate! Aranciate, limonate, orzate, tamarindi, cedrate con tanto buon ghiaccio fresco... io Corrooo!

– nooo! aspettaaa! – urlò Aida cer-cando di afferrare la cavezza di Nadir senza riuscirci.

Si mise quasi a piangere il nostro Vesuvio quando, giunto esattamente nel luogo dove fino a pochi istanti prima c’era un enorme frigorifero gonfio di bottigliette dolci e gelate, non ci trovò nulla!

– Ehi, ma dov’è andato a finire quel ben di dio?! – si lamentò il poveretto, che però venne subito attirato da un’altra no-vità: a un centinaio di metri in controsole vide una stupenda piscina azzurra che

si stagliava sullo sfondo bianco candido del Lago Salato, con tanto di ombrelloni, palloni variopinti, sdraio e trampolino...

– Vado a fare un tuffo! – schiamaz-zò lo spaventapasseri, che mise Nadir al galoppo e, nel frattempo, cominciò a spogliarsi per restare il costume da bagno...

Quando prese lo slancio e si gettò dall’alto della gobba del dromedario, s’accorse a sue spese che la sabbia salata era molto, molto, molto più dura e dolo-rosa dell’acqua fresca di una piscina...

– VesuVio, resta doVe sei! – ordinò allo-ra Momò con voce stentorea e ferma.

– Ma qui fino a un attimo fa c’era...– C’era un miraggio! – disse l’autista

aiutando l’amico a tirarsi in piedi.– Un che cosa? Cos’è il miraggio?– Il miraggio è un frutto della nostra

fantasia, caro il mio spauracchietto – rispose Momò. – È il risultato del sole infuocato sopra questa distesa di sale e delle ombre di calore che vengono mos-se dal vento della sera... È uno scherzo della nostra immaginazione, che ci fa vedere mari e montagne, bibite gelate e fresche piscine là dove non c’è altro che sale e sabbia, sabbia e sale... Insomma: non sono i nostri occhi, a vedere, ma la nostra sete, la nostra fame, la nostra vo-glia di essere da qualche altra parte...

Non sapremo mai se Fra’ Vesuvio ave-va capito fino in fondo la spiegazione del paziente Momò. Sappiamo solo che due lacrimucce di delusione disegnarono una strisciolina più scura e umida sulle sue guance coperte di polvere salata.

– Non piangere, amico mio – gli disse

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allora la principessa Aida con un dolce sorriso, – perché da oggi il deserto ha un simpatico beduino nomade in più! Oggi hai avuto il tuo “battesimo dei mi-raggi” e sei finalmente diventato un vero uomo del deserto! D’ora in poi nulla ti farà più paura e se vedrai in lontananza qualcosa di strano, saprai che non vale la pena correr dietro alle fantasie della sete, della fame e dei desideri. Quel che conta è la realtà dei nostri amici: quelli, non sono un miraggio!

Finalmente di lì ad altre quattro ore di dondolio in groppa alle eleganti “navi del deserto” il Lago Salato finì.

E lo fece all’improvviso: lì, a meno di un metro, c’era ancora la distesa candi-da di sale sottile e, fatto un passo, ecco la prima di mille e mille e mille dune di sabbia dorata e finissima. Il fondo cede-vole di quella sabbia vaporosa e leggera rallentò la marcia dei dromedari, ma ai nostri amici parve che, sparito il sale, anche la temperatura si fosse fatta meno ardente, un po’ più fresca...

In realtà era solo il freddo della notte che avanzava e che si mescolava ad un tramonto straordinario, quel che si dice uno spettacolo mozzafiato! Il cielo a occidente prima si fece azzurro cupo, con le nubi che striavano di grigio scuro quello spicchio di volta sempre più in-tenso e buio. Poi la palla del sole toccò l’orizzonte, s’ingigantì avvampando in un incendio color dell’oro e lo stesso cielo di prima si tinse di bronzo incandescente, che rapidamente si raffreddò e si oscurò fino a sprofondare nel buio della notte.

– Ci fermiamo per dormire? – propose Gellindo Ghiandedoro.

– No, andiamo ancora avanti! – rispo-se Aida, che in quella parte di deserto si ritrovava come fosse nel giardino del suo castello di sale. – Proseguiamo ancora per qualche minuto, finché non troveremo un fuoco beduino!

Fu bravo il dromedario Nelson ad in-tercettare e a seguire l’odore del legno bruciato: camminarono ancora per quasi un’ora, finché dietro al crinale di una duna apparvero tre tende e un grande fuoco acceso.

– fermi là... Chi siete! – esclamò un’om-bra scura che si materializzò dal nulla stringendo in mano una torcia. Era un giovane nomade dai capelli lunghi e neri.

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– Sei il beduino Feisal? – chiese Aida dall’alto del giovane dromedario Gil-berto.

– E tu chi sei, che conosci il mio nome? – rispose quell’altro.

– Se è per quello conosco anche i nomi dei tuoi due fratelli, il forte Has-san e Saad il gentile... Io sono la vostra principessa Aida, figlia di Ismail Re del Lago Salato.

Nell’udire quelle parole il giovane misterioso lasciò cadere la torcia e s’ingi-nocchiò piegando la testa fino a sfiorare la sabbia.

– Alzati, mio buon Feisal – gli ordinò la principessa, – alzati e recupera il fuoco: io e i miei amici siamo stanchi, abbiamo fame e sete e soprattutto vorremmo ri-sposare alcune ore al riparo delle vostre tende...

– Tutto quel che possediamo io e i miei fratelli – esclamò il ragazzo afferrando la cavezza di Gilberto, – sono tuoi, mia ado-rata principessa... E perdonami se non ti ho subito riconosciuta, ma sono giorni difficili, questi, per il nostro deserto...

– Difficili perché? – chiese Gellindo Ghiandedoro.

– Pare che le forze del Male abbiano deciso di uscire dalle loro tane sotterra-nee e di ritrovarsi in un luogo misterioso a meridione per unire le loro forze e dare l’assalto a questo bellissimo deserto...

– Sappiamo ogni cosa Feisal – disse la principessa Aida. – Siamo qui per questo e gli amici che vedi con me ci aiuteran-no a sconfiggere gli incantesimi dei Tre Cavalieri della Notte Nera... – Dopo un attimo di esitazione la ragazza proseguì

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parlando sottovoce: – Sai dirmi dov’è la maga Sabira? Abbiamo urgente bisogno dei suoi consigli...

Feisal tacque finché non furono arri-vati al fuoco e alle tre tende. Aiutò Aida a scendere dal dromedario e la condusse vicino al falò. Le fiamme dorate gli illumi-navano gli occhi scuri e gonfi di lacrime: – Sabira, la sciamana del deserto, è dap-pertutto e in nessun luogo. Preghiamo assieme la Notte e forse lei verrà.

Il ragazzo s’inginocchiò sulla sabbia, appoggiò le mani a terra, si chinò fino alla fronte e intonò una nenia dolce e struggente. Dalle tende uscirono altri due giovani nomadi... quello forte e ro-busto doveva essere Hassan, l’altro più magro e minuto era senz’altro Saad... che si avvicinarono, s’inchinarono deferenti alla principessa e cominciarono anche loro a cantare in coro quella preghiera strana...

Se da un lato Fra’ Vesuvio, Momò ed Omar s’addormentarono di colpo sopraffatti dalla stanchezza, dall’altro Gellindo e Aida s’accovacciarono accan-to ai dromedari e attesero che la melodia facesse arrivare Sabira, la misteriosa sciamana del deserto.

Che giunse due ore dopo, a mezza-notte in punto.

(4. continua)

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