32 sabato 30 novembre 2002 UN GIORNALE NEL GIORNALE · se, il maestro Ottorino Pellegri....

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UN GIORNALE NEL GIORNALE sabato 30 novembre 2002 32 editoriale Dolcetto o scherzetto? Da qualche anno a questa parte abbiamo sentito più volte questa parola, “Halloween”, e magari non abbiamo ancora capito di cosa si tratti. Di certo lo sapranno i bambini che frequentano un corso di inglese alla scuola elementare: come me ‘ai miei tempi’, quando il teacher (in inglese, maestro) ogni anno ci faceva fare qualche lavoretto sul tema. Fu così che conobbi Halloween, prima che avesse una così massiccia diffusione anche nel nostro Paese, seppur in forma distorta. La parola ‘Halloween’ è l’abbreviazione-storpia- tura di ‘All Hallows’ Eve’, cioè ‘Vigilia di Tutti i Santi’, ed era l’antica festa celtica di fine anno, celebrata il 31 ottobre (Infatti il calendario celtico aveva come primo mese dell’anno novembre). Tra quelle popolazioni si credeva che il 31 ottobre gli spi- riti di coloro che erano morti in quell’anno tornassero sulla terra per tentare di posse- dere nuovi corpi per tornare in vita. Tra i vari riti c’era quello del- lo spegnimento del fuoco sacro dell’anno precedente e della suc- cessiva accensione di quello nuovo. I Celti, dopo questa notte, usavano travestirsi per tre giorni con pelli di animali per spaventa- re gli spiriti: da qui la moder- na usanza del travesti- mento. Questa festa pa- gana era talmente radica- ta che perdurò nei secoli, fino ai giorni nostri, anche se, naturalmente, ora è totalmente diversa da quella originaria. Nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre i bambini inglesi e americani girano per le strade della loro città o quartiere mascherati modello ‘Dracula & co.’, e, bussando alle porte delle varie case, recitano la classica formula halloweeniana: Trick or treat?”. Ovvero:”Dolcetto o scherzetto?”. Normalmente gli adulti che aprono alla porta han- no già preventivamente preparato una buona scorta di dolci da distribuire, ma per gli imprudenti, cioè per quelli che i dolcetti non li hanno preparati, non esiste pietà: a volte lo ‘scherzetto’ è leggero (un secchio di spazzatura sparso per il giardino), a volte può anche farsi più pesante, fino a diventare un vero e proprio atto di vandalismo. Ben diversa è la cristiana Festa dei Morti, tesa a celebrare la memoria dei nostri defunti, e non a farli apparire come degli spauracchi da scacciare con una mascherata. Ora, nel nostro Paese stiamo assistendo a due opposte tendenze che si contraddicono tra di loro: da un lato ci si lamenta della sempre più massiccia colonizzazione culturale straniera, dall’altro siamo i primi ad accogliere le mode che vengono da chissà dove, come Halloween, e ad abbandonare le nostre tradizioni, o meglio, le tradizioni ‘non divertenti’, come il 2 novembre. Sarà la legge dell’’ogni occasione è buona per far festa’, in ogni caso Halloween si avvia a diventare da noi una sorta di secondo Carnevale, a differenza dei Paesi anglosassoni, dove Halloween è il vero e pro- prio Carnevale. Fino ad oggi sono ben rari i casi di bambini che girano a chiedere dolci (e naturalmen- te, a differenza dei bimbi di USA e di Gran Bretagna, questa piccola minoranza bazzica solo a casa di parenti), e Halloween per i grandi è solo una scusa per organizzare un party a casa di amici o in disco- teca, ma in avvenire cosa accadrà? Non sarebbe forse meglio ricordare i nostri defunti con una nostra tipica commemorazione piuttosto che con una mascherata che con le nostre nostre tradizioni non c’entra nulla? E diciamola pure tutta. I nostri morti un posto nel nostro ricordo se lo sono meritato, ma, anche se così non fosse, di certo, nel posto dove stanno ora non fanno del male a nessuno. Se proprio dovessi- mo temere qualcuno, questo ‘qualcuno’ non do- vrebbero essere nient’altro che i vivi. Angelo Rinaldi Alla scoperta di un personaggio... Nella Bassa c’è un quasi marinaio Ottorino, il mare e il prezzemolo Dalle tre alle sei del pomeriggio a Caravaggio c’è la possibilità di visitare il Museo navale cittadino. Cosa ci fa qui nella bassa bergamasca un museo navale? Chie- detelo al suo direttore, nonché uomo-archivio del pae- se, il maestro Ottorino Pellegri. D’origine toscana, trasferitosi negli anni ’60 dalla sua amata Lunigiana a Caravaggio dopo aver vinto un concorso per insegnare come maestro elementare, ha trascorso gran parte della sua vita alla scuola “Michelangelo Merisi”. Venuto a conoscenza della collezione privata di re- perti navali dell’Ing. Ottorino Zibetti, era solito portare i suoi scolari a visitarla presso la sua abitazione. Tra i due Ottorini ben presto nacque, quasi naturalmente, un’intesa, divenuta poi amicizia, “forse per colpa del nome” precisa il maestro. Venuto a mancare l’ingegne- re, la moglie, Giuseppina Bietti, si chiese cosa fare della collezione del marito: vendere o donare tutto al comu- ne di Caravaggio perché istituisse un museo? Per mantenere vivo il ricordo del marito, la signora optò per la donazione, a patto che il museo fosse intitolato al compianto coniuge, che la collezione non fosse smembrata, e che ad occuparsene fosse il maestro Ottorino Pellegri. “Lusingato dalla proposta e spinto dalla mia grande passione per il mare, decisi di accet- tare l’incarico. Con la collaborazione del comune, che mise a disposizione un ambiente di San Bernardino, e dell’allora assessore alla cultura Federico Mezzanotte, fu possibile realizzare questo progetto e il museo venne inaugurato il 5 Novembre 1978”. E da più di venticinque anni, il maestro Ottorino è rimasto sulla cresta dell’onda, a custodire, illustrare, sponsorizzare un piccolo patrimonio. La collezione originaria era composta da cimeli sto- rici, strumenti nautici, bussole, cannocchiali, attrezzi navali, fossili marini, conchiglie rare, medaglie, crest, una “biblioteca del mare”, riproduzioni in scala di celebri velie- ri che lo stes- so ingegnere aveva realiz- zato con grande peri- zia. Il mae- stro Pellegri curò perso- nalmente la catalogazio- ne dei vari pezzi in un ordine logico che poi ven- ne stravolto dalle nume- rose succes- sive donazio- ni di appassionati, tra cui lo stesso direttore, secondo il quale “un pezzo solo a casa non vale nulla, inserito in un contesto assume maggior significato”. Attualmen- te sta organizzando l’ampliamento del locale adibito al museo, i cui “pezzi” saranno disposti in due ambienti diversi, in modo da distinguere la collezione Zibetti dai pezzi successivamente aggiunti; sono stati anche pro- messi al museo, in futuro, motoscafi da corsa di m. 1.30 da un collezionista trevigliese. Tra i pezzi forti della collezione compaiono un’anfo- ra vinaria del I sec. d. C., l’elica del siluro M.A.S. X15, un lembo della tenda rossa di Umberto Nobile, un introva- bile ferro da gondola, una ruota di timone del XVI sec., un fossile marino del giurassico inferiore rinvenuto in Germania e una fedele ricostruzione della nave scuola “Amerigo Vespucci”. Il museo navale “Dott. Ing. Ottorino Zibetti” di Con la nuova legge sull’immigrazione Bossi-Fini circa 700.000 stranieri verranno regolarizzati ed entreranno a pieno diritto nel mondo del lavoro. Molti di loro si sono integrati senza problemi nella società italiana e si sono ricostruiti una vita, per altri invece l’integrazione in un nuovo contesto è ancora un grosso problema. Non sempre inserirsi in un nuovo mondo è cosa facile... Lo so benissimo anch’io che sono rumena (e orgogliosa di esserlo). Elena - la chiameremo così per tutelare la sua privacy - è arrivata in Italia circa quattro anni fa. Inizialmente si stabilì con la famiglia in Calabria dove raggiunse un certo equilibrio sia nella vita scolastica sia in quella privata grazie anche alla comunità albanese, molto radicata al Sud, ma anche al fatto che il Meridione è molto più aperto verso gli immigrati di quanto lo siano altre parti dell’Italia. Poi, come spesso succede, per ragioni di lavoro della famiglia ha dovuto cambiare tutto una seconda volta: dalla Calabria si è trasferita nella Bassa Bergamasca, dove tutto per lei è cambiato. Si è chiusa in se stessa, non si fida di nessuno, non riesce a dialogare con i nuovi compagni di scuola, e le sembra che tutti le siano contro. Viene spesso e volentieri presa in giro per il modo in cui parla, per il suo accento e indirettamente per il modo in cui si veste, per il posto nel quale abita. Forse i problemi sono sorti anche per colpa del suo carattere schivo, per il fatto che non è riuscita a farsi accettare per quello che lei è. A parte questo, è cosa risaputa, ma forse no, che se uno non segue la moda perché non gli piace o perché non ha le possibilità economiche per comprarsi le scarpe o la felpa di una certa marca viene subito preso di mira ed escluso dal gruppo. Tutto “merito” della cattiva influenza del mondo attuale che punta tutto solo sull’apparire. La maggior parte delle volte la gente è cattiva e, specialmente oggi, sotto l’influenza dei media, giudica tutto superficialmente. Ormai non esiste quasi più la differenza tra apparenza ed essenza. Anche per quanto riguarda il problema degli immigrati (mi rifiuto di chiamarli extracomunitari, perché gli svizzeri sono extracomunitari, ma nessuno li chiama così) la gente non riesce più a distinguere il vero dal falso, il buono dal cattivo e anche gli immigrati perbene vengono “buttati” nello stesso “calderone” insieme ai delinquenti. Per certi versi sembra di essere ritornati all’America degli anni ’30 quando i neri venivano trattati peggio degli animali ed avevano posti riservati, divisi da quelli dei bianchi, persino sui bus. Tante persone magari in perfetta buona fede pensano di avere una mentalità aperta, ma all’atto pratico si lasciano intrappolare nel guscio dell’indifferenza e dell’ignoranza. E poi ci vantiamo tanto di vivere in Occidente. Occorre lasciare da parte i pregiudizi e impegnarsi per creare strutture che accolgano gli immigrati. E gli immigrati devono fare proprio il detto “Barcollo, ma non mollo”. Andreea Ioana Branzei L’integrazione difficile Storia (esemplare) di E. Apparsi nel 1947 negli Stati Uniti d’America, i fast-food hanno conosciuto in quest’ultimo decennio una rapidissi- ma espansione anche nel vecchio conti- nente e in regioni del mondo dove solo vent’anni fa sarebbe parso impossibile trovarne uno, come ad esempio a Mosca o a Pechino. Per rendersi conto del- l’enorme successo riscontrato da questi ristoranti, è sufficiente pensare che il Fondo Monetario Interna- zionale, per con- trollare l’inflazione dei vari paesi del mondo, utilizza l’in- dice BigMac, basato sul prezzo del princi- pale prodotto dei più popolari locali di que- sto tipo, i McDonald’s. In Italia questa “inva- sione” è cominciata dal- le città di grandi dimen- sioni, per poi espandersi negli ultimi due o tre anni anche alle città più piccole, come Treviglio. La maggior parte dei frequen- tatori di questi locali, e per rendersene conto basta entrarci, sono i giovani. Molti adolescenti preferiscono i fast- food ai più “generici” bar-paninoteche, che fino a qualche anno fa sembravano non avere rivali. Perché? “Perché sono convenienti ed è possibi- le mangiare in breve tempo” ci dice Do- natello, un ragazzo abituale frequentato- re di questi ristoranti. Ma ti fidi della provenienza della carne?: “Sì, per esem- pio quella del McDonald’s è italiana e controllata, mentre per quanto riguarda A proposito di Mc Donald’s Fast food, very good? i contenuti alimentari non mi preoccupo”. Un parere nettamente contrario è quel- lo di una mamma che ogni tanto accom- pagna il bambino alla grande Emme gial- la, perché attirato dai giochini regalati con la consumazione e largamente pub- blicizzati, la quale si dice “preoccupata”, perché teme che suo figlio possa imparare uno stile di alimentazione non saluta- re”. Un punto a favore di questi locali, come ha af- fermato Donatello, è in- dubbiamente la possibi- lità di mangiare in tem- pi rapidi: è possibile al- lora che il successo dei fast-food sia stretta- mente collegato alla frenesia dei ritmi dei nostri giorni? Non è un’ipotesi da escludere, anche per- ché la differenza di prezzo con i locali “tradizionali” non è forte, e a decretare il successo dei “panini americani” potrebbe essere stato proprio la fretta che assilla lavoratori e studenti. C’è anche però chi frequenta questi locali saltuariamente solo per mangiare qualcosa di diverso dai soliti panini “clas- sici”. Il successo di questi “nuovi” locali è evidente, e la domanda più logica da porsi è se questa moda continuerà, rafforzan- dosi, o se invece diminuirà progressiva- mente come è successo in passato ad altre novità arrivate in Italia dall’estero. Paolo Ghilardi Mattia Sangaletti dalla redazione una curiosità Un paese nel web a cura della Redazione del Liceo Scientifico e Linguistico ‘Galileo Galilei’ di Caravaggio - Coordinamento editoriale Daniela Ciocca Caravaggio è meta continua di visite guidate di comiti- ve, associazioni culturali e singoli visitatori provenienti da tutta Italia e da tutto il mondo. E chi c’è a ricevere, illustrare, spiegare? Sempre lui, il maestro Ottorino. Non sono mancati i riconoscimenti ufficiali, tra cui “la citazione nel libro “Musei navali di tutto il mondo” e la visita di personaggi famosi come l’esploratore Ambrogio Fogar e l’on. Vittorio Sgarbi che si presentò al Museo nella notte dell’Apparizione” (26 Maggio, n.d.r.). Oltre ad essere il responsabile del Museo, attività che impegna gran parte del suo tempo, il maestro Pellegri si occupa con entusiasmo giovanilistico dello studio della storia locale, e partecipa attivamente, collaborando con tutte le associazioni (Alpini, Coro Alpa...), a tutte le attività culturali organizzate dal comune, tanto da es- sersi guadagnato l’appellativo di “Prezzemolo”. Potrebbe sembrare strano, a chi non lo conosce, che un così grande interesse per Caravaggio sia maturato in una persona che non è nata qui, sebbene vi risieda da anni ed abbia sposato una insegnante del paese, ma come ci ha spiegato “Caravaggio vanta una schiera di artisti e di meravigliose opere d’arte, che neppure le grandi città hanno”. Nonostante i molti anni vissuti nella bassa bergama- sca, ci confida di non aver mai imparato il nostro dialetto pur capendolo, perché “sarebbe una cosa brut- tissima, lo rovinerei, non mi ci sono mai neanche provato”. I suoi innumerevoli studi sono sempre stati portati avanti con grande umiltà, senza sogni di gloria: Non ho alcuna ambizione: il mio è solo un tentativo di portare una tesserina al grande mosaico della storia di Caravaggio. Può darsi che non sia esatta, che non sia al posto giusto: spero che altri dopo di me verranno a raddrizzarla.” Angelo Avelli e Alberto Gatti Da un gruppo di amici improvvisa- tisi giornalisti e da un vecchio gior- nalino locale, ormai non più pubbli- cato, è nato, da ben tre anni, un sito web: “www.lapiazzadibariano.it”. Ne è l’animatore Luigi Gastoldi, che ha realizzato questo sito per continuare a soddisfare la voglia di esprimersi del gruppo che aveva dato vita al giornale, dallo stesso titolo, uscito negli anni tra il 1978 e il 1985. Il progetto è concretizzato nel ’99. Da allora, compaiono in rete notizie di tutti i generi su Bariano: le dispute che avvengono nel comune, come quella riguardante i lavori di ristrutturazione del Municipio op- pure quella a proposito dell’appalto per la manutenzione delle vie comu- nali. Ma Gastoldi va oltre Bariano: scrive infatti commenti che riguar- dano gli avvenimenti nel mondo, riporta notizie dell’Onu che in uno studio sostiene che la rete terroristi- ca di Al-Qaeda è riuscita a ottenere decine di milioni di dollari, oppure ancora notizie riguardanti i cosid- detti “malati del gioco” (gli schiavi del gratta e vinci, dei videopoker, del lotto). Non mancano particolari curiosi- tà: la strana origine dell’aria condi- zionata, la nascita di una mosca ro- botizzata, utilizzata dalla Marina e dal Dipartimento di difesa degli USA, oppure la storia di San Fricario che sarebbe il santo cui si attribui- sce la capacità di guarire da mali fastidiosi come le emorroidi. In- somma, veramente di tutto un po’. Nonostante ci siano dei lati nega- tivi rispetto al giornale cartaceo (ad esempio, non c’è più il contatto umano tra lettori e giornalisti, che erano per lo più compaesani) con il sito web si ha la possibilità di entrare in relazione con più persone che abitano in diverse parti del mondo. Il sito di Bariano è stato contatta- to anche da australiani, israeliani e polacchi. Luigi Gastoldi sostiene che, gra- zie a internet, si possono anche rice- vere commenti di ogni genere, che possono allargare i rapporti con i visitatori del sito; in particolare pen- sa sia importante la presenza di que- sto sito come fonte di informazione. All’interno vengono elencate, in tredici pagine, tutte le associazioni di Bariano (la banda, Terranostra, il gruppo missionario ai quali ci si può collegare). C’è poi una pagina riservata alle Acli locali collegata a quelle provin- ciali, un’altra in cui sono riportate le principali notizie riguardanti Baria- no come la Brebemi; altre pagine sono dedicate alla storia di Bariano, dall’epoca romana fino all’anno 1037, e poi ci sono sondaggi e un forum nel quale si può discutere con più persone di qualsiasi problema. Insomma, un piccolo sito, cono- sciuto solo da 1000 persone, ma uno strumento importante per svilup- pare la comunicazione, anche se solo tramite internet. Elena Pecora il maestro Ottorino Pellegri

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UN GIORNALE NEL GIORNALEsabato 30 novembre 200232

editoriale

Dolcetto o scherzetto?Da qualche anno a questa parte abbiamo sentito

più volte questa parola, “Halloween”, e magari nonabbiamo ancora capito di cosa si tratti. Di certo losapranno i bambini che frequentano un corso diinglese alla scuola elementare: come me ‘ai mieitempi’, quando il teacher (in inglese, maestro) ognianno ci faceva fare qualche lavoretto sul tema. Fucosì che conobbi Halloween, prima che avesse unacosì massiccia diffusione anche nel nostro Paese,seppur in forma distorta.

La parola ‘Halloween’ è l’abbreviazione-storpia-tura di ‘All Hallows’ Eve’, cioè ‘Vigilia di Tutti iSanti’, ed era l’antica festa celtica di fine anno,celebrata il 31 ottobre (Infatti il calendario celticoaveva come primo mese dell’anno novembre). Tra

quelle popolazioni si credevache il 31 ottobre gli spi-

riti di coloro che eranomorti in quell’annotornassero sulla terraper tentare di posse-dere nuovi corpi per

tornare in vita. Tra ivari riti c’era quello del-

lo spegnimento del fuoco sacrodell’anno precedente e della suc-cessiva accensione di quellonuovo. I Celti, dopo questa notte,usavano travestirsi per tre giornicon pelli di animali per spaventa-

re gli spiriti: da qui la moder-na usanza del travesti-mento. Questa festa pa-gana era talmente radica-

ta che perdurò nei secoli, fino ai giorni nostri, anchese, naturalmente, ora è totalmente diversa da quellaoriginaria.

Nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembrei bambini inglesi e americani girano per le stradedella loro città o quartiere mascherati modello‘Dracula & co.’, e, bussando alle porte delle variecase, recitano la classica formula halloweeniana:”Trick or treat?”. Ovvero:”Dolcetto o scherzetto?”.Normalmente gli adulti che aprono alla porta han-no già preventivamente preparato una buona scortadi dolci da distribuire, ma per gli imprudenti, cioèper quelli che i dolcetti non li hanno preparati, nonesiste pietà: a volte lo ‘scherzetto’ è leggero (unsecchio di spazzatura sparso per il giardino), a voltepuò anche farsi più pesante, fino a diventare un veroe proprio atto di vandalismo.

Ben diversa è la cristiana Festa dei Morti, tesa acelebrare la memoria dei nostri defunti, e non a farliapparire come degli spauracchi da scacciare conuna mascherata.

Ora, nel nostro Paese stiamo assistendo a dueopposte tendenze che si contraddicono tra di loro:da un lato ci si lamenta della sempre più massicciacolonizzazione culturale straniera, dall’altro siamoi primi ad accogliere le mode che vengono da chissàdove, come Halloween, e ad abbandonare le nostretradizioni, o meglio, le tradizioni ‘non divertenti’,come il 2 novembre.

Sarà la legge dell’’ogni occasione è buona per farfesta’, in ogni caso Halloween si avvia a diventare danoi una sorta di secondo Carnevale, a differenza deiPaesi anglosassoni, dove Halloween è il vero e pro-prio Carnevale. Fino ad oggi sono ben rari i casi dibambini che girano a chiedere dolci (e naturalmen-te, a differenza dei bimbi di USA e di Gran Bretagna,questa piccola minoranza bazzica solo a casa diparenti), e Halloween per i grandi è solo una scusaper organizzare un party a casa di amici o in disco-teca, ma in avvenire cosa accadrà? Non sarebbeforse meglio ricordare i nostri defunti con unanostra tipica commemorazione piuttosto che conuna mascherata che con le nostre nostre tradizioninon c’entra nulla?

E diciamola pure tutta. I nostri morti un postonel nostro ricordo se lo sono meritato, ma, anche secosì non fosse, di certo, nel posto dove stanno oranon fanno del male a nessuno. Se proprio dovessi-mo temere qualcuno, questo ‘qualcuno’ non do-vrebbero essere nient’altro che i vivi.

Angelo Rinaldi

Alla scoperta di un personaggio... Nella Bassa c’è un quasi marinaio

Ottorino, il mare e il prezzemoloDalle tre alle sei del pomeriggio a Caravaggio c’è la

possibilità di visitare il Museo navale cittadino. Cosa cifa qui nella bassa bergamasca un museo navale? Chie-detelo al suo direttore, nonché uomo-archivio del pae-se, il maestro Ottorino Pellegri. D’origine toscana,trasferitosi negli anni ’60 dalla sua amata Lunigiana aCaravaggio dopo aver vinto un concorso per insegnarecome maestro elementare, ha trascorso gran partedella sua vita alla scuola “Michelangelo Merisi”.

Venuto a conoscenza della collezione privata di re-perti navali dell’Ing. Ottorino Zibetti, era solito portarei suoi scolari a visitarla presso la sua abitazione. Tra idue Ottorini ben presto nacque, quasi naturalmente,un’intesa, divenuta poi amicizia, “forse per colpa delnome” precisa il maestro. Venuto a mancare l’ingegne-re, la moglie, Giuseppina Bietti, si chiese cosa fare dellacollezione del marito: vendere o donare tutto al comu-ne di Caravaggio perché istituisse un museo?

Per mantenere vivo il ricordo del marito, la signoraoptò per la donazione, a patto che il museo fosseintitolato al compianto coniuge, che la collezione nonfosse smembrata, e che ad occuparsene fosse il maestroOttorino Pellegri. “Lusingato dalla proposta e spintodalla mia grande passione per il mare, decisi di accet-tare l’incarico. Con la collaborazione del comune, chemise a disposizione un ambiente di San Bernardino, edell’allora assessore alla cultura Federico Mezzanotte,fu possibile realizzare questo progetto e il museo venneinaugurato il 5 Novembre 1978”.

E da più di venticinque anni, il maestro Ottorino èrimasto sulla cresta dell’onda, a custodire, illustrare,sponsorizzare un piccolo patrimonio.

La collezione originaria era composta da cimeli sto-rici, strumenti nautici, bussole, cannocchiali, attrezzinavali, fossili marini, conchiglie rare, medaglie, crest,una “biblioteca del mare”, riproduzioni in scala di

celebri velie-ri che lo stes-so ingegnereaveva realiz-zato congrande peri-zia. Il mae-stro Pellegricurò perso-nalmente lacatalogazio-ne dei varipezzi in unordine logicoche poi ven-ne stravoltodalle nume-rose succes-sive donazio-

ni di appassionati, tra cui lo stesso direttore, secondo ilquale “un pezzo solo a casa non vale nulla, inserito inun contesto assume maggior significato”. Attualmen-te sta organizzando l’ampliamento del locale adibito almuseo, i cui “pezzi” saranno disposti in due ambientidiversi, in modo da distinguere la collezione Zibetti daipezzi successivamente aggiunti; sono stati anche pro-messi al museo, in futuro, motoscafi da corsa di m. 1.30da un collezionista trevigliese.

Tra i pezzi forti della collezione compaiono un’anfo-ra vinaria del I sec. d. C., l’elica del siluro M.A.S. X15, unlembo della tenda rossa di Umberto Nobile, un introva-bile ferro da gondola, una ruota di timone del XVI sec.,un fossile marino del giurassico inferiore rinvenuto inGermania e una fedele ricostruzione della nave scuola“Amerigo Vespucci”.

Il museo navale “Dott. Ing. Ottorino Zibetti” di

Con la nuova legge sull’immigrazione Bossi-Fini circa 700.000 stranieri verrannoregolarizzati ed entreranno a pieno diritto nel mondo del lavoro. Molti di loro si sonointegrati senza problemi nella società italiana e si sono ricostruiti una vita, per altriinvece l’integrazione in un nuovo contesto è ancora un grosso problema. Nonsempre inserirsi in un nuovo mondo è cosa facile... Lo so benissimo anch’io che sonorumena (e orgogliosa di esserlo).

Elena - la chiameremo così per tutelare la sua privacy - è arrivata in Italia circaquattro anni fa. Inizialmente si stabilì con la famiglia in Calabria dove raggiunse uncerto equilibrio sia nella vita scolastica sia in quella privata grazie anche allacomunità albanese, molto radicata al Sud, ma anche al fatto che il Meridione è moltopiù aperto verso gli immigrati di quanto lo siano altre parti dell’Italia.

Poi, come spesso succede, per ragioni di lavoro della famiglia ha dovuto cambiaretutto una seconda volta: dalla Calabria si è trasferita nella Bassa Bergamasca, dovetutto per lei è cambiato. Si è chiusa in se stessa, non si fida di nessuno, non riescea dialogare con i nuovi compagni di scuola, e le sembra che tutti le siano contro.Viene spesso e volentieri presa in giro per il modo in cui parla, per il suo accento eindirettamente per il modo in cui si veste, per il posto nel quale abita. Forse iproblemi sono sorti anche per colpa del suo carattere schivo, per il fatto che non èriuscita a farsi accettare per quello che lei è.

A parte questo, è cosa risaputa, ma forse no, che se uno non segue la moda perchénon gli piace o perché non ha le possibilità economiche per comprarsi le scarpe o lafelpa di una certa marca viene subito preso di mira ed escluso dal gruppo. Tutto“merito” della cattiva influenza del mondo attuale che punta tutto solo sull’apparire.La maggior parte delle volte la gente è cattiva e, specialmente oggi, sotto l’influenzadei media, giudica tutto superficialmente. Ormai non esiste quasi più la differenzatra apparenza ed essenza. Anche per quanto riguarda il problema degli immigrati(mi rifiuto di chiamarli extracomunitari, perché gli svizzeri sono extracomunitari,ma nessuno li chiama così) la gente non riesce più a distinguere il vero dal falso, ilbuono dal cattivo e anche gli immigrati perbene vengono “buttati” nello stesso“calderone” insieme ai delinquenti.

Per certi versi sembra di essere ritornati all’America degli anni ’30 quando i nerivenivano trattati peggio degli animali ed avevano posti riservati, divisi da quelli deibianchi, persino sui bus. Tante persone magari in perfetta buona fede pensano diavere una mentalità aperta, ma all’atto pratico si lasciano intrappolare nel gusciodell’indifferenza e dell’ignoranza. E poi ci vantiamo tanto di vivere in Occidente.Occorre lasciare da parte i pregiudizi e impegnarsi per creare strutture cheaccolgano gli immigrati. E gli immigrati devono fare proprio il detto “Barcollo, manon mollo”.

Andreea Ioana Branzei

L’integrazione difficile

Storia (esemplare) di E.Apparsi nel 1947 negli Stati Uniti

d’America, i fast-food hanno conosciutoin quest’ultimo decennio una rapidissi-ma espansione anche nel vecchio conti-nente e in regioni del mondo dove solovent’anni fa sarebbe parso impossibiletrovarne uno, come ad esempio a Moscao a Pechino. Per rendersi conto del-l’enorme successo riscontrato da questiristoranti, è sufficiente pensare che ilFondo Monetario Interna-zionale, per con-trollare l’inflazionedei vari paesi delmondo, utilizza l’in-dice BigMac, basatosul prezzo del princi-pale prodotto dei piùpopolari locali di que-sto tipo, i McDonald’s.

In Italia questa “inva-sione” è cominciata dal-le città di grandi dimen- s i o n i ,per poi espandersi negli ultimi due o treanni anche alle città più piccole, comeTreviglio. La maggior parte dei frequen-tatori di questi locali, e per renderseneconto basta entrarci, sono i giovani.Molti adolescenti preferiscono i fast-food ai più “generici” bar-paninoteche,che fino a qualche anno fa sembravanonon avere rivali. Perché?

“Perché sono convenienti ed è possibi-le mangiare in breve tempo” ci dice Do-natello, un ragazzo abituale frequentato-re di questi ristoranti. Ma ti fidi dellaprovenienza della carne?: “Sì, per esem-pio quella del McDonald’s è italiana econtrollata, mentre per quanto riguarda

A proposito di Mc Donald’s

Fast food, very good?i contenuti alimentari non mi preoccupo”.

Un parere nettamente contrario è quel-lo di una mamma che ogni tanto accom-pagna il bambino alla grande Emme gial-la, perché attirato dai giochini regalaticon la consumazione e largamente pub-blicizzati, la quale si dice “preoccupata”,perché teme che suo figlio possa imparare“uno stile di alimentazione non saluta-

re”.Un punto a favore di

questi locali, come ha af-fermato Donatello, è in-dubbiamente la possibi-lità di mangiare in tem-pi rapidi: è possibile al-lora che il successo deifast-food sia stretta-mente collegato allafrenesia dei ritmi deinostri giorni? Non è

un’ipotesi da escludere, anche per-ché la differenza di prezzo con i locali“tradizionali” non è forte, e a decretare ilsuccesso dei “panini americani” potrebbeessere stato proprio la fretta che assillalavoratori e studenti.

C’è anche però chi frequenta questilocali saltuariamente solo per mangiarequalcosa di diverso dai soliti panini “clas-sici”. Il successo di questi “nuovi” locali èevidente, e la domanda più logica da porsiè se questa moda continuerà, rafforzan-dosi, o se invece diminuirà progressiva-mente come è successo in passato ad altrenovità arrivate in Italia dall’estero.

Paolo GhilardiMattia Sangaletti

dalla redazione una curiosità

Un paese nel web

a cura della Redazione del Liceo Scientifico e Linguistico ‘Galileo Galilei’ di Caravaggio - Coordinamento editoriale Daniela Ciocca

Caravaggio è meta continua di visite guidate di comiti-ve, associazioni culturali e singoli visitatori provenientida tutta Italia e da tutto il mondo. E chi c’è a ricevere,illustrare, spiegare? Sempre lui, il maestro Ottorino.

Non sono mancati i riconoscimenti ufficiali, tra cui“la citazione nel libro “Musei navali di tutto il mondo”e la visita di personaggi famosi come l’esploratoreAmbrogio Fogar e l’on. Vittorio Sgarbi che si presentòal Museo nella notte dell’Apparizione” (26 Maggio,n.d.r.).

Oltre ad essere il responsabile del Museo, attività cheimpegna gran parte del suo tempo, il maestro Pellegri sioccupa con entusiasmo giovanilistico dello studio dellastoria locale, e partecipa attivamente, collaborando contutte le associazioni (Alpini, Coro Alpa...), a tutte leattività culturali organizzate dal comune, tanto da es-sersi guadagnato l’appellativo di “Prezzemolo”.

Potrebbe sembrare strano, a chi non lo conosce, cheun così grande interesse per Caravaggio sia maturato inuna persona che non è nata qui, sebbene vi risieda daanni ed abbia sposato una insegnante del paese, macome ci ha spiegato “Caravaggio vanta una schiera diartisti e di meravigliose opere d’arte, che neppure legrandi città hanno”.

Nonostante i molti anni vissuti nella bassa bergama-sca, ci confida di non aver mai imparato il nostrodialetto pur capendolo, perché “sarebbe una cosa brut-tissima, lo rovinerei, non mi ci sono mai neancheprovato”. I suoi innumerevoli studi sono sempre statiportati avanti con grande umiltà, senza sogni di gloria:“Non ho alcuna ambizione: il mio è solo un tentativo diportare una tesserina al grande mosaico della storia diCaravaggio. Può darsi che non sia esatta, che non sia alposto giusto: spero che altri dopo di me verranno araddrizzarla.”

Angelo Avelli e Alberto Gatti

Da un gruppo di amici improvvisa-tisi giornalisti e da un vecchio gior-nalino locale, ormai non più pubbli-cato, è nato, da ben tre anni, un sitoweb: “www.lapiazzadibariano.it”.

Ne è l’animatore Luigi Gastoldi,che ha realizzato questo sito percontinuare a soddisfare la voglia diesprimersi del gruppo che avevadato vita al giornale, dallo stessotitolo, uscito negli anni tra il 1978 eil 1985.

Il progetto è concretizzato nel’99. Da allora, compaiono in retenotizie di tutti i generi su Bariano: ledispute che avvengono nel comune,come quella riguardante i lavori diristrutturazione del Municipio op-pure quella a proposito dell’appaltoper la manutenzione delle vie comu-

nali. Ma Gastoldi va oltre Bariano:scrive infatti commenti che riguar-dano gli avvenimenti nel mondo,riporta notizie dell’Onu che in unostudio sostiene che la rete terroristi-ca di Al-Qaeda è riuscita a otteneredecine di milioni di dollari, oppureancora notizie riguardanti i cosid-detti “malati del gioco” (gli schiavidel gratta e vinci, dei videopoker, dellotto).

Non mancano particolari curiosi-tà: la strana origine dell’aria condi-zionata, la nascita di una mosca ro-botizzata, utilizzata dalla Marina edal Dipartimento di difesa degliUSA, oppure la storia di San Fricarioche sarebbe il santo cui si attribui-sce la capacità di guarire da malifastidiosi come le emorroidi. In-

somma, veramente di tutto un po’.Nonostante ci siano dei lati nega-

tivi rispetto al giornale cartaceo (adesempio, non c’è più il contattoumano tra lettori e giornalisti, cheerano per lo più compaesani) con ilsito web si ha la possibilità di entrarein relazione con più persone cheabitano in diverse parti del mondo.

Il sito di Bariano è stato contatta-to anche da australiani, israeliani epolacchi.

Luigi Gastoldi sostiene che, gra-zie a internet, si possono anche rice-vere commenti di ogni genere, chepossono allargare i rapporti con ivisitatori del sito; in particolare pen-sa sia importante la presenza di que-sto sito come fonte di informazione.

All’interno vengono elencate, in

tredici pagine, tutte le associazionidi Bariano (la banda, Terranostra, ilgruppo missionario ai quali ci si puòcollegare).

C’è poi una pagina riservata alleAcli locali collegata a quelle provin-ciali, un’altra in cui sono riportate leprincipali notizie riguardanti Baria-no come la Brebemi; altre paginesono dedicate alla storia di Bariano,dall’epoca romana fino all’anno1037, e poi ci sono sondaggi e unforum nel quale si può discutere conpiù persone di qualsiasi problema.

Insomma, un piccolo sito, cono-sciuto solo da 1000 persone, ma unostrumento importante per svilup-pare la comunicazione, anche sesolo tramite internet.

Elena Pecora

il maestro Ottorino Pellegri

Page 2: 32 sabato 30 novembre 2002 UN GIORNALE NEL GIORNALE · se, il maestro Ottorino Pellegri. D’origine toscana, trasferitosi negli anni ’60 dalla sua amata Lunigiana a Caravaggio

UN GIORNALE NEL GIORNALE sabato 30 novembre 2002 33

L’esercizio della scrittura neigiovani spesso è svolto solo nellepoche ore di lezione oppure è limi-tato alle brevi frasi delle e-mail odegli sms, con le dovute abbrevia-zioni e stravolgimenti della gram-matica classica.

Vi è però un’altra realtà giovani-le, forse meno conosciuta, che èquella dei giovani scrittori di rac-conti, studenti ma anche genteche lavora che sa ancora emozio-narsi nello scrivere piccole opereletterarie.

Sono queste persone che parte-cipano a concorsi letterari comequello indetto ogni due anni dalcomune di Caravaggio, il “Gian-francesco Straparola”, ormaigiunto alla decima edizione. Da

ormai venti anni giovani di tutta laLombardia e non solo ripongononelle mani di questo concorso iloro racconti e la loro passione diuna vita, come ad esempio MaraBarcella, studentessa del LiceoGalileo Galilei, che ha vinto nel-l’ultima edizione il Premio “Gio-vani” con il racconto “Les Aman-ts”.

Mara, nonostante fosse una del-le più giovani concorrenti, ha sor-preso la giuria con la sua capacitàdi rendere particolare una storia

in sé molto semplice come quelladell’incontro di un uomo e di unaragazza: “Parcheggio.Non ci sonomolte macchine. Fa l’ultimo tirodella sigaretta, getta il mozziconeper terra. Parcheggio. Sbatte laportiera.

Il suo corpo si muove lentamen-te, davanti a me. Mi fermo ad os-servarla.

Mio dio, mi fermo ad osservarlasolo fino a quando si volta e michiede perché non mi muovo.Cosa sto aspettando. Vorrei ri-

spondere che sto aspettando di ve-derla prendere il volo. Non diconiente. La seguo.”.

Ma chi è Mara? “Ho 17 anni eabito a Treviglio, frequento il IVanno al Liceo scientifico di Cara-vaggio. Mi hanno detto che la mat-tina in cui sono nata mia nonnaaspettava i miei genitori per pran-zo, loro non sono arrivati. Sono unimprevisto.

Mi hanno detto che un Nataledei miei primi anni mia madre si èaccorta che avevo un colore stra-no. Avevo 40 di febbre e continua-vo a giocare. Sono l’ostinazione,altro non ricordo”, scrive di sé nel-la autopresentazione scritta per ilconcorso.

L’originalità certo non le man-

Viaggio nel pianeta giovani

Dimmi che musica ascolti e ti dirò chi seiCapelli rizzati in piedi, abiti aderenti e vistosi, scarpe

catarifrangenti. Capelli lunghi e disordinati, abiti sem-plici e dismessi, scarpe anonime.

Non è solo un modo diverso di vestire, ma rappresen-ta un vero e proprio stile di vita che rispecchia anche igusti musicali dei giovani.

Il popolo della notte, i cosiddetti “truzzi”, i “gabber”,i “fighetti”, ascoltano svariati generidi musica: dance, disco, hardcore, te-chno, house, costruite su basi di batte-ria preregistrate, suoni elettronici,campionamenti di altri brani, melodievocali semplici e testi molte volte su-perficiali. È una musica fatta appostaperché rimanga impressa nella men-te, che ha lo scopo di divertire, di farmuovere il corpo a ritmo. Il “martel-lo”, ossia il basso di fondo che svolge lafunzione di metronomo, riproduceproprio il battito forsennato e freneti-co di un cuore iniettato di adrenalina.Basta ascoltare l’ultima canzone degli“Eiffel 65”, gruppo di punta nel pano-rama “dance” italiano, che è costruitasull’unione di spezzoni di altre canzo-ni famose. Acqua azzurra,o albachiara,nel blu dipinto di blu cosa re-sterà, un centro di gravità?(un mix trai testi più noti di Battisti,Modugno,Vasco Rossi,Raf e Battiato)è il motivo base della canzone che, puressendo priva di significato,è tuttaviaaccattivante per la carica e l’energiache trasmette.

Ancora più semplici sono i testi dialcune canzoni di Molella, caratterizzati ad esempio daversi (si fa pere dire) come finchè vivrò io t’amerò,finchè vivrai tu m’amerai, sicuramente un campiona-rio di espressioni non molto originali, che si ripetonoper tutta la canzone.

Di genere opposto è la musica ascoltata dai cosiddetti“sfattoni”, “punk”, “metallari”, caratterizzata da melo-die complesse, riff di chitarra e basso, testi molto spessoprofondi e carichi di poesia.

Gli amanti di questo genere non cercano solo il

rilassamento derivante dall’ascolto, ma emozioni piùprofonde che solo determinati messaggi sanno tra-smettere. Non si possono confrontare i testi dellecanzoni “disco” con ad esempio “Vivere” di Vasco,brano in cui l’autore descrive l’apatia in cui può caderel’uomo e che invita a una reazione: vivere senza perder-si d’animo mai e poi lottare contro tutto

è la frase emblematica della canzone. Non bisognaperò limitare il discorso solo agli autori più conosciuti;si devono prendere in considerazione anche i gruppiminori come i Negrita, che nella loro “Ho imparato asognare” invitano l’uomo a lasciarsi trasportare daisentimenti e dalle emozioni. Emblematico il suoritornello: c’è che ormai che ho imparato a sognarenon smetterò.

La differenza tra i due gruppi descritti non si limitasolo agli abiti o ai gusti musicali, ma si riflette nello

È una giornata come tutte le altre: torno da scuola,mangio e mi siedo davanti alla tv.

E lì chi ti trovo? Mia nonna impegnata in una serratadiscussione... con il teleschermo. Dialoga animata-mente con i compagni del dopo pasto di milioni diitaliani, gli sceneggiati televisivi o, per i poliglotti, lesoap opera, così chiamate perché le prime trasmissioniamericane di questo tipo erano sponsorizzate da dittedi detersivi.

Tutti almeno una volta siamo in-cappati in una puntata di soap, chiper scelta, chi per sbaglio (o per di-sgrazia?), chi per “imposizione”, osemplicemente per la pigrizia di nonvoler cambiare canale dopo il tg.Matrimoni a volontà, amanti e tradi-menti, nuovi nati, disgrazie e riappa-rizioni miracolose sembrano essere itemi più gettonati di queste trasmis-sioni, alcune delle quali (come noncitare Beautiful, o Sentieri?) vannoin onda addirittura da decine di anni.

Ma qual è la ragione del loro suc-cesso? Perché ogni giorno una moltitudine di italiani èincollata al televisore a seguire con apprensione levicende del Ridge o della Brooke di turno, tra l’altroscontatissime e dalla morale non proprio intransigen-te?

Beh, innanzitutto ci sono le fedelissime, che seguo-no le telenovelas praticamente dalla prima puntata enon possono perdersene una, anche se con l’andare deltempo le vicende tendono a ripetersi con straordinariafrequenza... Queste fans più sfegatate molto spessotramandano la stessa passione a figlie e nipoti, sottopo-sti al rito quotidiano della soap, alla quale devonoassistere rigorosamente in silenzio o facendo qualchecommento, ma con molta prudenza... Parlo per espe-rienza personale, da spettatrice obbligata di sceneggia-ti di ogni tempo e di ogni sorta, che ho subìto regolar-

Storia di storie che non finiscono mai

Soap opera: un fascino irresistibilemente fin dalla tenera età per la grande passione di mianonna.

E così, per interesse o abitudine, il cerchio si allargadi generazione in generazione.

Ci sono poi le telespettatrici “saltuarie”, che guarda-no le soap in uno spazio “morto” tra un programma el’altro, o banalmente si sintonizzano su una soap per-ché, facendo zapping, sono capitate su quel canaleproprio a quell’ora. Spesso desiderano solo guardare un

programma non troppo impegnativoda seguire, e il loro desiderio è soddi-sfatto pienamente dalla telenovela, incui scene di pochi minuti sono rac-contate nell’arco di più puntate. Inquesto modo anche chi si distrae unattimo o si addormenta può sempretornare in carreggiata anche due otre giorni dopo senza “sbandare”.

È difficile individuare esattamenteil motivo di questo fenomeno di“massa”: forse la semplice curiosità ol’interesse per le vicende torbide deipersonaggi dell’alta società, o il pia-

cere che si può provare nello schierarsi con l’uno ol’altro personaggio... come i discorsi accorati che mianonna rivolge ai suoi protagonisti preferiti.

Sta di fatto che ogni giorno le telenovelas continua-no inesorabili a mietere vittime. Anche se inizia aguardarla per caso, prima o poi perfino il personaggiopiù imperturbabile e insospettabile è catturato dalfascino irresistibile della soap opera. Non presentanoideali di vita integerrimi, le trame sono banali e scon-tate, l’abilità recitativa degli attori è discutibile, contutto quel sentimentalismo quasi comico e personaggiche sembrano caricature... ma, tutto sommato, nonsono divertenti?

Ai posteri l’ardua sentenza. Anche se, devo dire, mianonna la sentenza ce l’ha già: bellissime, bravissimi.

Francesca Lacchini

Sarà perché è un problema che interessa apochi, ma quello della mancanza di spazio persuonare dal vivo è un problema che passa deltutto inosservato.

Se è vero infatti che in alcuni periodi dell’an-no (soprattutto durante i mesi estivi) alcunilocali offrono que-sta possibilità, biso-gna però ammette-re che non esiste inzona un locale chevanti una forte tra-dizione musicale eche gli stessi localidifficilmente apro-no le porte alle gio-vani leve.

Esistono localicome il Live di Trez-zo o il Motion diZingonia, ma perpoter suonare sulloro palco bisognaessere già dei musi-cisti affermati,mentre altri localiaccettano solo cover-band (gruppi che suona-no brani di successo di altri artisti). Mancanoanche locali che promuovano la musica acusti-ca, e uno dei locali più attenti al panoramamusicale giovanile, la Dopa di Cassano, hachiuso i battenti. Insomma, manca la possibi-lità di fare gavetta. Ed è un peccato, oltre che unlimite che penalizza i complessi locali, perchéle potenzialità ci sarebbero, anzi ci sono.

In zona esistono infatti scuole musicali ca-paci di offrire un ottimo insegnamento, affer-mati insegnanti privati, e bravi musicisti nonmancano, anche tra i giovanissimi. Quello che

Come e dove fare gavetta?

Rock: le bande chiedono spazimanca è proprio un palcoscenico che permettadi farsi le ossa, di prepararsi per provare ilgrande salto di qualità.

Suonare dal vivo non è come suonare in sala-prove. Più si suona e maggiore è la sicurezzache si acquisisce: chi ha provato ad esibirsi live

non potrà che confermarlo.Già, le sale-prova. Un altroproblema scottante, perchéin zona non mancano solo ipalcoscenici. Spesso diven-ta un problema anche il tro-varsi semplicemente perscambiare due accordi.

Esistono le salette che ap-partengono alle scuole,come quella dell’Accademiadi Treviglio, ma sono pursempre a pagamento. Sa-rebbero gradite sale-provacomunali, magari una perpaese, dove poter suonarecontenendo le spese. E inve-ce manca ai nostri comunil’iniziativa di scommetteresulla musica, di creare uno

spazio capace di richiamare numerosi giovani.Capita allora di vedere un numero sempre

maggiore di gruppi che ricavano la loro salettadentro una cascina, in una cantina, con impe-gno di soldi e fatica ma anche con tanta soddi-sfazione. Magari non diventeranno famosi, magruppi come quello dei ‘Something’ hannopotenzialità e voglia di fare musica. Chiedonosolo spazio e la possibilità di provarci, di conti-nuare a sognare. E se loro credono di potercitrasmettere buona musica e parole nuove, cosaaspettiamo ad accontentarli?

Jacopo Tadolti

eppur si scrive sì

Mara e la scritturaca, e deve averlo avvertito anche laGiuria dello Straparola che scrivenella motivazione del Premio: “Èdavvero sorprendente che l’esperi-mento formale più radicale, fraquanti la giuria ha avuto quest’an-no fra le mani, sia dovuto a unaautrice giovanissima”.

Il vincitore di questa edizionedello Straparola, premiato alla pre-senza del sindaco Ettore Pirovanoe dell’Assessore alla Cultura LauraImeri, è risultato Nicola BalossiRestelli con il racconto intitolato“Viso Sfumato” nel quale descrivecon estrema cautela e raffinatezzala storia di un ragazzo sullo sfondodella tragedia dell’11 settembre2001.

Nicoletta Bianchi

PICCOLO DIZIONARIO DELLO SLANG GIOVANILE

DAL TRUZZO ALL’HARD-CORETruzzo: giovane che veste alla moda, ma in manieraabbastanza appariscente: indossa magliette attilla-te, porta pantaloni e scarpe catarifrangenti. E’ unfrequentatore abituale delle discotecheSfattone: giovane che veste in modo trasandato,preferibilmente porta capelli lunghi, ascolta musicanon commerciale.Gabber: frequentatore assiduo di discoteche, porta icapelli rasati e ha molti piercing.Veste esclusiva-mente “Londsdale”.Punk: giovane che ascolta musica punk, tinge icapelli con colori appariscenti (verde, blu, rosso,rosa), magari con la cresta, indossa abiti stracciatied è politicamente anarcoide.Metallaro: giovane che ascolta musica heavy metal,veste di pelle o in nero, a volte con borchie.Zarri: detti anche maranza, vestono “elegante” main maniera esibita, portano stivali in pelle, indossa-no catenelle dorate messe vistosamente in evidenza.Quando viaggiano in macchina sono soliti tenere ifinestrini abbassati in modo da far sentire la musicache è tenuta ad alto volume.Fighetti: giovani che vestono con molta eleganza ealla moda, portano scarpe, maglioni e abiti Prada,indossano occhiali da sole semitrasparenti da 200euro anche la sera, frequentano posti “in”.

***Musica disco: genere musicale tipico degli anni ’70ma ultimamente ancora di moda,caratterizzato daun tipico genere di basso, da tonalità alte e canto infalsetto a cui si sovrappongono cori.Musica house:genere musicale caratterizzato da ungiro di basso molto semplice, ritmica a quattroquarti, melodie di tastiere ripetitive.Musica techno: derivazione della house, caratteriz-zata da sonorità più incisive.Musica hard-core:musica caratterizzata da suonimartellanti e ripetitivi. I testi sono molto spessoestremi e depravati

· m · u · s · i · c · a · e · g · i · o · v · a · n · i · m · u · s · i · c · a · e · g · i · o · v · a · n · i

stile di vita e nei valori.Un’adesione al consumismo sfrenato, all’ostentazio-

ne, ma anche ad un’estrema eleganza caratterizza icosiddetti “zarri” e i locali da loro frequentati. Discote-che, discopub, pub, sono il luogo di ritrovo di questepersone. Qui si balla, si conosce gente nuova, si bevonococktails, insomma, si trascorrono serate in compa-

gnia, serate che però non sono peròconcesse a tutti. È infatti difficile tro-vare un discopub o una birreria tra lepiù “in” al cui ingresso non si presentiun addetto alla “sicurezza” che “sele-zioni” le persone a cui permettere dientrare. Gli sfortunati a cui non èconsentito l’ingresso hanno la “colpa”di non aver indossato una camicia odelle scarpe abbastanza eleganti.

Forse la sicurezza è compromessada pantaloni troppo larghi o da ma-gliette a mezze maniche, fatto sta chechi non bada troppo all’abbigliamen-to si ritrova con la porta chiusa.

Una maggiore attenzione ai proble-mi sociali unita al disinteresse perl’eccessiva esteriorità contraddistin-gue il gruppo degli “sfattoni”. Tra-scorrono le serate nei loro pub, achiacchierare e a bere ascoltandomusica rock, o nei locali dove si esibi-scono gruppi dal vivo, nei quali lapossibilità di conoscere nuove perso-ne si unisce a quella di ascoltare mu-sica rilassandosi.

La maggior parte dei giovani non siritrova però in nessuna delle catego-

rie qui descritte. C’è chi “sta in mezzo”, e sono appuntoqueste persone che contribuiscono alle fortune delmercato discografico italiano.

È difficile vincolarsi a un solo genere di musica o diabbigliamento, e avere gusti eclettici caratterizza unpo’ tutti i giovani. Così giudicare le persone solo apartire dai gusti musicali risulta un’operazione difficilee forse neanche troppo ortodossa.

Valentina Vologni & Giorgio Zuccotti

Fotogramma tratto dalla soap ‘Vivere’