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VIII “Se non sai una cosa, insegnala”, diceva Peter K. Thomas, grande protesista e gnatologo, oltreché uomo di spiccata saggezza. Potrebbe essere questa la definizione che meglio descrive la mia partecipazione a questo significativo evento. La profonda competenza e il preciso rigore scientifico, che gli Autori hanno manifestato nell’estensione della bozza di programma, mi hanno convinto della particolare utilità di questo tomo, meritevole quindi anche di un ulteriore piccolo apporto da parte mia. Sì, perché la maggior parte della classe medica italiana intravede nel grande mare della medicina nC delle certezze ormai consolidate: l’agopuntura, l’omeopatia, la fitoterapia, come ha ben descritto Carlo Di Stanislao, quasi delle isole di sicuro approdo, fanno ipotizzare la positiva realtà di altre branche, ma non riescono spesso a cogliere il percorso, la via di azione, le interrelazioni con le vie patogeniche. Inoltre, se pensiamo all’implantologia odontoiatrica, per esempio, la conduzione di certe branche della terapia è stata spesso appannaggio di operatori improvvisati, che hanno, da un piccolo eventuale successo, dedotto l’universalità del- “La pratica della medicina combina scienza e arte. Il ruolo della scienza in medicina è chiaro. La tecnologia scientifica e il ragiona- mento deduttivo sono il fondamento della soluzione di molti pro- blemi clinici. Eppure, l’abilità nelle applicazioni più avanzate di la- boratorio e di farmacologia non fa, di per sé, un buon medico. La combinazione di conoscenza, intuizione e capacità di giudizio defi- nisce l’arte della medicina, che è tanto necessaria quanto lo è una solida base scientifica.” A. BRAUNWALD E COLL. “Voi mi rimproverate la mia obiettività, e la chiamate indifferenza al bene e al male, mancanza d’ideali e d’idee, e via dicendo. Vorreste che io, descrivendo i ladri di cavalli, dicessi: rubare i cavalli è male. Ma questo è già noto da un pezzo, anche senza di me. Li giudichino pure i giurati, a me spetta soltanto di mostrarli come sono.” Insom- ma, una serie di interessanti spunti di riflessione, senza certezze, ma comunque con punti fermi a cui fare riferimento per capire cosa e co- me scrivere. Senza dimenticare, però, che “soltanto gli imbecilli e i ciarlatani sanno e comprendono tutto.” A. LAZAREV-GRUZINSKIJ Dal non essere nasce l’essere; dal silenzio, lo scrittore genera una canzone. Lo scrittore offre la fragranza dei fiori freschi, un’abbondanza di germogli che sboccia. Venti vivaci sollevano le metafore; nuvole si alzano da una foresta di pennelli LU JI Perché si scrive è una domanda a cui posso rispondere facil- mente, dato che me lo sono chiesto spesso. Penso che un au- tore scriva soprattutto perché ha bisogno di creare un mon- do in cui poter vivere. Ora è chiaro che aver preso parte (e con grande riconoscenza verso gli altri due Autori) a un’ope- razione di questo tipo dimostra che, in campo medico (ma non solo), io credo nell’«integrazione» dei contenuti e delle conoscenze. Mallarmé diceva che “il mondo è fatto per finire in un bel libro” e io credo che questo libro (che posso senza falsa modestia e nonostante il mio esiguo apporto, definire «bello») apra la via a un «mondo» in cui, finalmente, scienza medica accademica e medicine complementari e tradizionali sono trattate con pari dignità, profondità e rigore. Ecco il motivo principale del mio scrivere e, credo, il motivo ispira- tore degli altri Autori. Scrivere è un compito che richiede fa- tica ed esercizio, oltre naturalmente a competenza, equili- brio e maturata esperienza originale. Soprattutto è indispen- sabile avere la consapevolezza di cosa si sta scrivendo e usa- re un linguaggio e uno stile appropriati a questo scopo. Non basta davvero, per portare a termine una buona operazione editoriale, conoscere le regole (ortografiche, grammaticali, sintattiche) della lingua in cui ci si esprime, affinare lo stile, usare correttamente la punteggiatura, non essere ripetitivi o banali nella scelta lessicale; occorre principalmente mettersi dalla parte del lettore, perché si scrive per essere letti e com- presi da qualcuno. Aleksandr Lazarev-Gruzinskij ricordava che “prima d’esser messa sulla carta, ogni frase deve restarvi in testa un paio di giorni per rimpolparsi”. Qui le frasi sono rimaste in diverse teste e per diversi giorni, fatte sedimenta- la terapia attuata, e così, come nel Settecento con la «triaca veneziana», si usa e abusa di una terapia, talora rinviando invece una corretta diagnosi e la possibilità di interventi me- dici o chirurgici risolutivi. La competenza biologica, il rigore scientifico che Carlo Di Stanislao e Francesco Deodato portano nella stesura del nostro manuale sono invece la garanzia che ogni considera- zione o suggerimento nasce dalla scienza ma anche dalla co- scienza e competenza nelle loro specifiche branche. Ciò è molto significativo anche nel campo delle patologie articolari e nelle sue interconnessioni con tutte le funzioni cervico-rachidee e posturali. La cosiddetta multidisciplina- rietà di queste disfunzioni rende la materia terribilmente soggetta a un elevato numero di variabili, reciprocamente interagenti. “Il medico ti restituisce la vita, lo gnatologo il piacere di viverla”, diceva mio padre, e questo è il mio augurio di felice apprendimento e buon lavoro. Roberto Giorgetti Presentazione

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“Se non sai una cosa, insegnala”, diceva Peter K. Thomas,grande protesista e gnatologo, oltreché uomo di spiccatasaggezza. Potrebbe essere questa la definizione che megliodescrive la mia partecipazione a questo significativo evento.

La profonda competenza e il preciso rigore scientifico,che gli Autori hanno manifestato nell’estensione della bozzadi programma, mi hanno convinto della particolare utilità diquesto tomo, meritevole quindi anche di un ulteriore piccoloapporto da parte mia.

Sì, perché la maggior parte della classe medica italianaintravede nel grande mare della medicina nC delle certezzeormai consolidate: l’agopuntura, l’omeopatia, la fitoterapia,come ha ben descritto Carlo Di Stanislao, quasi delle isole disicuro approdo, fanno ipotizzare la positiva realtà di altrebranche, ma non riescono spesso a cogliere il percorso, la viadi azione, le interrelazioni con le vie patogeniche.

Inoltre, se pensiamo all’implantologia odontoiatrica, peresempio, la conduzione di certe branche della terapia è stataspesso appannaggio di operatori improvvisati, che hanno,da un piccolo eventuale successo, dedotto l’universalità del-

“La pratica della medicina combina scienza e arte. Il ruolo dellascienza in medicina è chiaro. La tecnologia scientifica e il ragiona-mento deduttivo sono il fondamento della soluzione di molti pro-blemi clinici. Eppure, l’abilità nelle applicazioni più avanzate di la-boratorio e di farmacologia non fa, di per sé, un buon medico. Lacombinazione di conoscenza, intuizione e capacità di giudizio defi-nisce l’arte della medicina, che è tanto necessaria quanto lo è unasolida base scientifica.”

A. BRAUNWALD E COLL.

“Voi mi rimproverate la mia obiettività, e la chiamate indifferenza albene e al male, mancanza d’ideali e d’idee, e via dicendo. Vorresteche io, descrivendo i ladri di cavalli, dicessi: rubare i cavalli è male.Ma questo è già noto da un pezzo, anche senza di me. Li giudichinopure i giurati, a me spetta soltanto di mostrarli come sono.” Insom-ma, una serie di interessanti spunti di riflessione, senza certezze, macomunque con punti fermi a cui fare riferimento per capire cosa e co-me scrivere. Senza dimenticare, però, che “soltanto gli imbecilli e iciarlatani sanno e comprendono tutto.”

A. LAZAREV-GRUZINSKIJ

Dal non essere nasce l’essere;dal silenzio,lo scrittore genera una canzone.

Lo scrittore offrela fragranza dei fiori freschi,un’abbondanza di germogli che sboccia.

Venti vivaci sollevano le metafore;nuvole si alzanoda una foresta di pennelli

LU JI

Perché si scrive è una domanda a cui posso rispondere facil-mente, dato che me lo sono chiesto spesso. Penso che un au-tore scriva soprattutto perché ha bisogno di creare un mon-do in cui poter vivere. Ora è chiaro che aver preso parte (econ grande riconoscenza verso gli altri due Autori) a un’ope-razione di questo tipo dimostra che, in campo medico (manon solo), io credo nell’«integrazione» dei contenuti e delleconoscenze. Mallarmé diceva che “il mondo è fatto per finirein un bel libro” e io credo che questo libro (che posso senzafalsa modestia e nonostante il mio esiguo apporto, definire«bello») apra la via a un «mondo» in cui, finalmente, scienzamedica accademica e medicine complementari e tradizionalisono trattate con pari dignità, profondità e rigore. Ecco ilmotivo principale del mio scrivere e, credo, il motivo ispira-tore degli altri Autori. Scrivere è un compito che richiede fa-tica ed esercizio, oltre naturalmente a competenza, equili-brio e maturata esperienza originale. Soprattutto è indispen-sabile avere la consapevolezza di cosa si sta scrivendo e usa-re un linguaggio e uno stile appropriati a questo scopo. Nonbasta davvero, per portare a termine una buona operazioneeditoriale, conoscere le regole (ortografiche, grammaticali,sintattiche) della lingua in cui ci si esprime, affinare lo stile,usare correttamente la punteggiatura, non essere ripetitivi obanali nella scelta lessicale; occorre principalmente mettersidalla parte del lettore, perché si scrive per essere letti e com-presi da qualcuno. Aleksandr Lazarev-Gruzinskij ricordavache “prima d’esser messa sulla carta, ogni frase deve restarviin testa un paio di giorni per rimpolparsi”. Qui le frasi sonorimaste in diverse teste e per diversi giorni, fatte sedimenta-

la terapia attuata, e così, come nel Settecento con la «triacaveneziana», si usa e abusa di una terapia, talora rinviandoinvece una corretta diagnosi e la possibilità di interventi me-dici o chirurgici risolutivi.

La competenza biologica, il rigore scientifico che CarloDi Stanislao e Francesco Deodato portano nella stesura delnostro manuale sono invece la garanzia che ogni considera-zione o suggerimento nasce dalla scienza ma anche dalla co-scienza e competenza nelle loro specifiche branche.

Ciò è molto significativo anche nel campo delle patologiearticolari e nelle sue interconnessioni con tutte le funzionicervico-rachidee e posturali. La cosiddetta multidisciplina-rietà di queste disfunzioni rende la materia terribilmentesoggetta a un elevato numero di variabili, reciprocamenteinteragenti.

“Il medico ti restituisce la vita, lo gnatologo il piacere diviverla”, diceva mio padre, e questo è il mio augurio di feliceapprendimento e buon lavoro.

Roberto Giorgetti

Presentazione

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ISBN-88-408-1313-6 Presentazione

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re e pesate oltre l’iniziale spinta emotiva o passionale. Hascritto Vincenzo Cerami che “non si scrive per dire qualcosa;si scrive perché si ha qualcosa da dire”: ha perfettamente ra-gione. La cosa che qui volevamo dire, oltre alle considerazio-ni strettamente tecniche, è che mondo scientifico e comple-mentare possono coabitare, integrarsi, potenziarsi e comple-tarsi se attuati, sviluppati, studiati e applicati con pari pro-fessionalità, rigore e competenza. Credo che i diversi capito-li della biomedicina e della MnC parlino da soli sulle inten-zioni: fornire suffragio e forza scientifica agli argomenti gna-tologici e umanizzare il più possibile gli stessi, calandoli, at-traverso lo studio delle MnC, nelle problematiche individua-li. Ma vorrei spendere ancora qualche parola sull’uso dellostile, sulla forma prescelta (non casualmente). Va ricordatoche il primo passo verso una ricerca delle radici e del sensodella scrittura non può prescindere da un percorso storico. IlWen Fu di Lu Ji è la prima, grande dissertazione in cinese an-tico sull’arte della scrittura, una fonte preziosa di saggi sug-gerimenti e un testo fondamentale. “La parola wen è tra lepiù antiche della lingua cinese” scrive Sam Hamill nell’In-troduzione “quando già significava arte, comprendendo siala letteratura che le arti plastico-figurative”, ma non bisognadimenticare che “wen era il termine più comunemente usatoper indicare la «cultura» in senso lato. La civiltà nasce dun-que con la scrittura.” L’Introduzione termina con un’impor-tante riflessione sull’opera che ne riassume la validità e l’at-tualità: “A Lu Ji non interessava promuovere alcuna scuoladi scrittura, né affermarsi alla guida di alcun particolare mo-vimento letterario. Il suo obiettivo era rivitalizzare la radiceetica e spirituale dei grandi scrittori, ricollegarsi a coloro peri quali, prima di lui, l’arte della scrittura non era mai stataimpresa facile né egoistica, articolare la vita interiore delpoeta e della tradizione e comprendere ciò che tutto questosignifica nel contesto di un’esistenza piena condotta all’inse-gna del qui e ora”. Scrivere le nostre idee, presentarle in mo-do piano e articolato, mitigare la passione e lasciare spaziosolo a ciò che l’esperienza ci ha dettato (e confermato) sonostati i motivi autentici di ispirazione e i paradigmi «filosofi-ci» di questo libro. Nel normale non convivono due mondimedici, ma un unico modo di vedere la medicina, persuasiche, come ha scritto Paracelso: “Solo il medico che ha moltoviaggiato e conosciuto varie culture può ben dirsi formato”.La pratica medica occidentale si è affermata all’interno di unsistema di pensiero basato su una scrupolosa disamina deidati e sull’autoanalisi. Una cultura fortemente improntataalla ricerca produce migliaia di studi che, naturalmente, de-vono essere «misurati» in base al valore e al «peso». L’inda-gine clinica in doppio cieco, controllata con placebo (o ver-sus strategia nota e consolidata), è divenuta contrassegnodella ricerca condotta «su basi rigorose». Tutto questo non èpresente nel vasto mondo delle MnC. Tuttavia, proviamo adaprirci a un altro tipo di riflessione. La maggior parte di que-ste medicine ha una storia secolare (quando non millenaria)

e una cumulazione di esperienze, anche singole, meritevolidi grande attenzione. Il fatto che, anche nel moderno mondooccidentale, milioni di persone traggano profitto e sollievodalle MnC è un dato oggettivo non sfuggito ai più avvertitistudiosi di fenomeni sanitari o sociali. Cionondimeno, è al-trettanto innegabile che, sia quando si pratica la scienza me-dica di tipo accademico che le cosiddette MnC, si debba ve-nir fuori da un iter formativo adeguato al fine di non incor-rere in grossolani errori di valutazione di fronte a un pazien-te che denunci una certa sintomatologia (eclatante il casodell’agopuntore cinese, non laureato, che ha trattato con a-ghi un dolore addominale, non riuscendo a comprendereche si trattava di una visceroalgia riflessa da infarto miocar-dico posteriore, che ha portato a morte, per complicanze cir-colatorie, il malcapitato paziente). È stato detto in diversecircostanze recenti e da vari presidi di facoltà mediche (pro-fessor Gian Franco Genzinini della facoltà di Medicina di Fi-renze, Adolfo Puxeddu e Ferdinando di Iorio, rispettiva-mente presidi presso le Università di Perugia e L’Aquila),che attualmente le sopracitate facoltà sono chiamate a far ac-quisire, nel corso degli studi, particolari e nuove «abilità»mediche agli studenti, e più in particolare si sono orientate arispondere a due precise condizioni: saper fare e saper conti-nuare (a imparare) in tutti i campi dell’arte e delle scienze sanitarie[1]. Occorre sottolineare che questo tipo di forma-zione va erogata anche nel caso delle MnC e che esse, o al-meno quelle definite atti medici da organismi sia nazionali(FNOMCeO) che internazionali (OMS, CEE), debbano esseread appannaggio dei laureati in materia sanitaria (medici, o-dontoiatri e veterinari). Il nostro libro è stato pensato in que-sti termini e si basa sul presupposto che il terapeuta sia statoformato in modo da saper distinguere fra basi organiche efunzionali di una certa patologia. Insomma, esso è un riusci-to esempio (posso esclamarlo senza falsa modestia) di con-nesione transculturale e davvero multidisciplinare, che con-sente un approccio mentale rigoroso e, al contempo, intelli-gentemente «allargato» alle problematiche del paziente.

Il percorso formativo dei medici chirurghi, degli odon-toiatri e anche di altre professioni sanitarie dovrebbe inclu-dere notizie sulle MnC. Secondo la visione ideale della me-dicina integrata, il risultato di questo aumento di conoscen-za sarà che il medico convenzionale potrà discuterne con isuoi pazienti, dare loro un consiglio sull’uso e i rischi, colla-borare con i colleghi che praticano le MnC ed eventualmenteinviare loro i casi, se vi è qualche possibilità di successo e serichiesto dal paziente. Viceversa, i medici che utilizzano pre-valentemente le MnC dovrebbero essere aggiornati sugli a-vanzamenti della medicina scientifica (strumenti diagnosti-ci, nuovi farmaci) in modo da collaborare con i medici con-venzionali e inviare loro i casi per monitoraggio o per tera-pie allopatiche, se indicato. Di fatto questo è, a tutti gli effet-ti, un manuale di medicina integrata. Altri[2] hanno avuto mo-do di sottolineare che l’unica via per non creare conflittualità

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tra sistemi medici diversi (cosa che non farebbe che riper-cuotersi in ultima analisi in una cattiva cura dei pazienti) èquello di aprire un discorso di medicina integrata. Quest’ul-tima non è una medicina «alternativa», ma consiste essen-zialmente nella costruzione di complessi modelli fisiopato-logici e, di conseguenza, nel consiglio preventivo e terapeu-tico più aderente al disordine che affligge il paziente, vistonella sua globalità e individualità. Non si tratta di sostenerela superiorità di un metodo o di un altro, ma di partire dallaconsiderazione che nessun metodo può dirsi esclusivo e che,secondo le dinamiche del processo patologico, si possonopresentare opzioni di diversa priorità e di integrazione divarie metodologie. Da una parte la medicina «ufficiale», gra-zie al metodo scientifico correttamente applicato, dovrebbeessere in grado di porre rimedio ai difetti che man mano si e-videnziano nell’uso dei farmaci o delle nuove tecnologie,dall’altra le Medicine non Convenzionali, correttamente ap-plicate non come alternativa ma come complemento a unacura più completa ed efficace, possono dare un valido con-tributo nell’ambito di un sistema sanitario pluralistico e inte-grato. Molti medici hanno volto l’attenzione verso metodo-logie terapeutiche diverse da quelle ufficialmente praticatenella medicina occidentale moderna e, verificandone alcunirisultati, le hanno incorporate nella loro attività clinica, nonin chiave di sostituzione, ma piuttosto di autentico «valoreaggiunto». Non v’è dubbio che le Medicine non Convenzio-nali siano portatrici di un messaggio positivo legato alla ri-scoperta della globalità dell’atto medico, della cura della sa-lute in tutti i suoi aspetti, del rapporto medico-paziente piùdiretto e partecipato. Quanto all’efficacia di tali trattamenti,gli studi condotti con criteri moderni hanno fornito risultatiincoraggianti almeno in alcuni campi (agopuntura, fitotera-pia, omeopatia), anche se molti problemi, soprattutto di tipometodologico, rimangono aperti[3]. Ora va chiarito che l’inte-grazione, a un primo livello, è integrazione di conoscenzetra culture diverse, che in tale dinamica si arricchiscono reci-procamente. Quando tale arricchimento culturale raggiungela professionalità del singolo medico, sta a lui operare la me-diazione tra le conoscenze acquisite e la decisione clinica,che viene presa sulla base di un numero maggiore di opzio-ni. A un secondo livello, l’integrazione coinvolge il «siste-ma», le istituzioni, le strutture. Qui si danno tante possibilitàdi integrazione, da una semplice comunicazione tra entitàdiverse che intendono comunque convivere pacificamente, auna vera e propria cooperazione strategica e integrazionestrutturale, organizzativa e anche operativa. Un’efficace de-finizione di un obiettivo raggiungibile si trova in un edito-riale intitolato Integrated medicine e pubblicato dal «BritishMedical Journal» nel gennaio 2001. Lesley Rees, direttore delprogramma di formazione del Royal College of Physicians, eAndrew Weil, direttore del “Program in Integrative Medici-ne” della University of Arizona, Tucson, definiscono la me-dicina integrata (o integrative, come è anche chiamata negli

Stati Uniti) come: “L’esercizio della medicina attuato in mo-do da incorporare elementi della medicina complementare ealternativa in piani diagnostici e terapeutici solidamente or-todossi”[4]. Lo scopo della medicina integrata è quindi iden-tificare i trattamenti più appropriati fra un ampio spettro dicure basate su evidenze ed esperienze condotte con rigore.Una ricerca del gennaio 2001 sulle MnC più accreditate hadato i risultati riportati nella tabella della pagina seguente[5].

Tutti gli schemi non convenzionali descritti nel libro sonostati riportati solo a fronte di un’attenta verifica clinica. Inol-tre, anche se di per sé determinati trattamenti sono dotati discarso rischio (per esempio, agopuntura o omeopatia), nuoviproblemi possono nascere quando essi vengono usati insie-me a quelli convenzionali, cosa che riguarda la maggior par-te dei consumatori. I potenziali effetti avversi e le potenzialiinterazioni (soprattutto in campo fitoterapico) sono partico-larmente preoccupanti se si pensa che la maggior parte degliutilizzatori non vi ricorrono in accordo col medico curantema come una loro personale iniziativa, spesso senza neppu-re avvisare il medico. Tutti i rischi di possibile correlazione einterazione farmacologica sono stati chiariti e indicati. Unaconsiderazione, poi, va fatta su un tema «strisciante» nel li-bro e che riguarda tanto l’arte «scientifica» che quella «com-plementare». Questo tema concerne un’attenta riflessione(che il lettore è costretto a fare) sui concetti di salute e di ma-lattia, soprattutto in campo gnatologico, ma con necessari al-largamenti di ordine generale. Sia la medicina scientifica (fi-no a un trentennio fa) che le MnC considerano che influenzedi ordine fisico, chimico e biologico siano in grado di deter-minare lo stato fisiologico o patologico di un essere vivente.Per questo motivo le strutture e le funzioni si modificano in-cessantemente lungo l’arco della vita e, come proprietà prio-ritaria degli esseri viventi, si registra un adattamento funzio-nale alle influenze esterne garantita da sistemi, più o menocomplessi, di «autocontrollo» e di «omeostasi»[6]. Ovviamen-te le possibilità di adattamento (e quindi di conservazionedella salute degli esseri viventi) non sono inesauribili e, di làda certi limiti, l’organismo non può modificare l’intensitàdelle proprie funzioni e tende o a rimanere nello stato dimassima prestazione o a regredire da questo e modificare, inmodo progressivo, il proprio ambiente interno. In questomodo, sia per la medicina scientifica che per le medicine tra-dizionali, lo stato di salute deriva da un equilibrio ideale,molto plastico e instabile, con oscillazioni incessanti attornoa un valore basale. Con l’affermarsi, negli ultimi trent’anni,del determinismo statistico (nel tentativo di identificare i va-lori normali e patologici di una qualsiasi variabile inserita incurve gaussiane), al termine «salute» si è, di fatto, sostituitoquello di «normalità» e al termine «malattia» quello di «a-normalità», il che, pur valido sotto il profilo matematico, in-duce a considerazioni molto ampie, critiche e con numeroseriserve. Passata da assunti biologici a contenuti statistici, lamedicina scientifica, dagli anni Sessanta-Settanta, ha sosti-

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tuito alla definizione di salute quella, più agevole, di «statonormale», creato, in definitiva, attraverso un’analisi mate-matica dell’intensità dei fenomeni. Secondo questo ormaidiffuso modo di vedere, l’idea di malattia deriva da uno spo-stamento di un carattere da un valore di normalità indivi-duato statisticamente a un valore diverso che, lungi dall’im-plicare una perturbazione di equilibrio ideale o desiderabileper l’individuo, finisce per costituire l’unico parametro di ri-ferimento del biologo e del clinico. L’attuale medicina giudi-ca salute e malattia in termini numerici e statistici e, dimenti-cando il problema dell’individualità, non valuta più l’adat-tamento dinamico e progressivo fra uomo e ambiente, masemplicemente quanto un valore (chimico o morfologico) sidiscosti dal suo indice ideale nella popolazione generale[7].Nella pratica, la moderna medicina sembra essere distantedal concetto di salute espresso dall’OMS solo 23 anni fa:“Stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e nonsoltanto assenza di malattia o di infermità”. Oggi la contrap-posizione fra salute e malattia non sembra più essere giocatasulla percezione individuale, ma valutata in ragione di datistrumentali ed ematochimici che non tengono in nessun con-to le psicodinamiche individuali, né nella debita considera-

zione che la scala fra normalità e anormalità e molto grandee con infinite gradazioni individuali. Il problema, in verità,non è di poco conto, né soltanto d’importanza semantica omarginale. Nell’integrazione fra medicina scientifica (ancoraclinica e non statistica) e le MnC, il tipo di impostazione me-dica, l’interrogatorio semplice e comprensibile, l’indubbiorapporto cooperativo dettato dalla raccolta dei dati consenteun feeling che indubbiamente giova, anche sotto il profilopsicologico, e rende più efficace l’intervento nel suo com-plesso. Siamo oggi convinti che la MnC e la biomedicinapossono cooperare in senso diagnostico e terapeutico, maanche culturale, poiché, come recentemente sottolineato, ilmondo scientifico permetterà di comprendere i meccanismidi base descritti dalla MnC e questa di restituire spessore u-manistico a una medicina tecnocratica e forse troppo distan-te dai reali e primari bisogni dell’uomo. La consapevolezzadel passato, la riflessione sui percorsi anche ascientifici con-dotti attraverso i secoli da culture e civiltà diverse, una pa-dronanza metodologica dei contenuti concettuali e deglistrumenti conoscitivi scientifici e tradizionali sono valori ir-rinunciabili, ieri e oggi, per un corretto approccio allo studiodell’uomo e della sua sofferenza. D’altra parte, nell’attuale

Medicina Numeri di lavori in Medline complementare al gennaio 2001 Commento breve

Agopuntura 7691 Efficacia provata in molte, e accettata in alcune, condizioni.Teoria complessa (aspetti scientifici, semantici e filosofici).

Fitoterapia 5263 Efficacia provata in molte, e accettata in alcune, condizioni.Problema degli effetti avversi e interazioni.

Omeopatia 1768 Efficacia probabile ma non provata, comunque non è placebo.Scarsa accettazione scientifica delle alte diluizioni (potenze).

Omotossicologia 4 Efficacia provata in alcune condizioni, non è placebo.Teoria delle omotossine non accettata, problemi di integrazione.

Chiropratica 2577 Efficacia provata in alcune condizioni.Teoria accettabile, problemi di integrazione.

Medicina ayurvedica 771 Efficacia provata in alcune condizioni.Teoria complessa (aspetti scientifici, semantici e filosofici).

Medicina antroposofica 90 Efficacia provata in poche condizioni.Teoria complessa, difficile integrazione.

Test elettrodermici 11 Specificità molto discussa, poche prove sicure.Scarsa ricerca scientifica sul principio bioelettromagnetico.

Ipnosi terapeutica 450 Efficacia provata in alcune condizioni.Teoria complessa.

Stress management 982 Efficacia provata in alcune condizioni.Teoria complessa.

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filone di ricerca scientifica inaugurato all’inizio degli anniOttanta da alcuni neurofisiologi ed esperti di neuroscienzecrediamo di ravvisare ulteriori motivi di conforto per unacollaborazione futura. Oggi è finalmente possibile intrave-dere le basi biologiche non solo del pensiero e della coscien-za in generale, ma, più nel dettaglio, del sogno e della me-moria, della psicopatologia, e immaginare che l’idea dellaMnC di un legame stretto fra forma fisica e pensiero coscien-te ed emotivo non è così distante dalla moderna concezionedelle neuroscienze[8].

Carlo Di Stanislao

BIBLIOGRAFIA

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Il vostro medico trova che non è bene che voi dormiate o mangiateuna certa carne o facciate uso di vino? Bene, ve ne troverò un altroche è di diverso avviso. C’è qualcuno che ha mai visto un medicovalutare la ricetta di un suo collega senza tagliare o aggiungerviqualcosa? Raramente accadrà che più di due condividano la stessadiagnosi. E vedendo l’uno smentire le teorie degli altri bisogna es-sere meravigliosamente ciechi per sentirsi sicuri nelle loro mani.”

M.E. MONTAIGNE[1]

Non cambieremo né assolutizzeremo alcun concetto, soprattuttonon smentiremo teorie di altri. Proveremo a integrarle, perché in o-gnuna può esserci sempre una parte di verità o una giusta osserva-zione.

GLI AUTORI

La gnatologia è quella branca dell’odontoiatria che studia lamasticazione e i disturbi a essa correlati. L’osservazione el’approfondimento dello gnatologo erano rivolti, sino aqualche anno fa in maniera praticamente esclusiva, allo statoocclusale e al suo equilibrio in relazione alla condizione disalute delle articolazioni temporo-mandibolari.

Successivamente, si è sviluppata una considerazione piùvasta della problematica e l’apparato stomatognatico è statoconsiderato parte integrante di un sistema funzionale moltopiù complesso e affascinante.

Così, se prima l’occlusione era considerata tra le princi-pali cause di patologia articolare, e la riabilitazione occlusalela terapia elettiva e assoluta, nuove conoscenze, alcuni in-successi terapeutici, la comparsa di patologia in soggetti conocclusioni perfette, così come l’assenza di patologia in con-dizioni occlusali estremamente alterate e con parafunzioni e-stremamente evidenti1, ha fatto rivedere molte posizioni.

Infatti, mentre si continuavano ad approfondire e scan-dagliare con precisione estrema le caratteristiche anatomo-fisiologiche dell’articolazione e i suoi più raffinati microco-stituenti, l’attenzione si è spostata anche su distretti semprepiù distanti: alterazioni posturali, viscerali, emozionali sonostate prese in esame, perché ritenute potenzialmente correla-te con nesso causa-effetto alla problematica2.

Nella ferma considerazione che in ambito medico non sipossa prescindere da acquisizioni scientifiche così come nonsi possano ignorare evidenze cliniche, tratteremo nel libromolti di questi punti, proprio a testimonianza di quello che èil nostro primo obiettivo: l’integrazione.

Considerando necessario un loro approfondimento spe-cifico su altri testi e lavori per la loro complessità, prescinde-remo dalla trattazione di patologie a carattere strettamentechirurgico quali neoplasie, patologie degenerative irreversi-bili (anchilosi), alterazioni morfologiche congenite (iperpla-sie), fratture e quant’altro sia riconducibile a danni organiciimportanti.

Tratteremo soprattutto quelle condizioni funzionali chespesso turbano anche gnatologi più esperti, costringendo adiagnosi differenziate ardue ed estremamente complesse.

Attualmente, sui disturbi temporo-mandibolari non sipuò negare che gli interrogativi più grandi si pongano inmerito a:

• alterazioni funzionali o sintomi non inerenti all’articola-zione in senso stretto;

• patologie migranti;• patologie ad andamento intermittente, con periodi di re-

gressione spontanea e periodi di aggravamento apparen-temente inspiegabile;

• refrattarietà di alcuni individui ed estrema sensibilità dialtri in patologie apparentemente uguali e a terapie codi-ficate;

• patologie presenti solo in particolari momenti dell’anno,a seguito di variazioni climatiche o di alterazioni emo-zionali;

• patologie non rilevabili con esami clinico-strumentali,ma accuratamente descritte dal paziente.

Siamo convinti che in queste situazioni (e un po’ in ogni cir-costanza) sia necessario introdurre un nuovo concetto già fa-miliare in altre discipline (quali la psicologia o la psichia-tria): la soglia individuale dell’assistito e la sua biotipologiacostituzionale, in altri termini la sua patergia e reattività.

Attraverso questa «chiave di lettura» può essere possibi-le dare un significato a rilevazioni anamnestiche o clinicheritenute spesso poco significative solo perché non rilevatedai mezzi di cui disponiamo oppure, ancora, perché troppoconcentrati a valutare i distretti che ci competono!

Potrebbe essere importante, e necessario, comprendereo intercettare disequilibri anche non “strutturalmente, or-ganicamente manifesti”, fornire una medicina preventivapiù che curativa anche in relazione ai disturbi temporo-mandibolari.

Elementi diagnostici e terapeutici interessanti possonoessere forniti dalle medicine cosiddette non convenzionali.

Sarebbe un errore, in un momento in cui la scienza ha raggiun-to elevatissimi standard qualitativi nell’analisi specifica e detta-gliata di ogni piccolo particolare, perdere di vista la valutazioneglobale del fenomeno, e non riuscire a integrare tutte le informa-zioni specifiche alla complessa e perfetta armonia delle parti che co-stituiscono e caratterizzano l’individuo e che lo legano per tutta lavita all’ambiente circostante3, in cui vive e con cui si relaziona di-namicamente e continuamente.

Caratterizzazioni presenti alla nascita cambiano duranteil corso della vita, allo stesso modo patologie si instaurano eregrediscono a volte spontaneamente, senza intervento alcu-no, mentre altre si aggravano in maniera repentina pur sottostretto controllo farmacologico.

Introduzione al libro

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L’articolazione temporo-mandibolare ISBN-88-408-1313-6

XIV

L’adattamento continuo alle situazioni che viviamo e affron-tiamo quotidianamente, alle stimolazioni che provengonodall’ambiente che ci circonda producono in noi variazionisostanziali, intervenendo sul nostro sistema psiconeuroen-docrino-immunitario, la relazione tra individuo e ambientecircostante è fonte di scambio continuo, di equilibrio e dise-quilibrio, le cui manifestazioni si esprimono sulla salute del-l’essere umano.

Proprio per i casi più «atipici», per quelli che non si rie-scono a classificare tra i disequilibri biomeccanici posturali oocclusali, per le situazioni borderline in cui psiche, soma e in-tegrazione nell’ambiente circostante sembrano essere imbri-gliati in un unico disequilibrio funzionale è nostra profondaconvinzione che il primo fine terapeutico sia proprio il «nonnuocere», e che pertanto, sino a prova contraria e soprattuttosino a soddisfacente formulazione diagnostica, sia assoluta-mente controindicata alcuna manovra terapeutica irreversibile.

La medicina è una sola e deve potersi avvalere di tuttociò che esperienza, tradizione e metodo scientifico ci hannopermesso di verificare e conoscere, pena una visione parzia-le delle cose.

Allo stesso modo, però, bisogna essere cauti nel procede-re con terapie «dolci» se non si sono prima escluse patologiegravi, importanti e urgenti.

Per questo riteniamo, e più volte sottolineeremo durantela trattazione, che tutta l’attività terapeutica debba svolgersiall’interno delle competenze di ciascun operatore, sotto stret-to controllo medico nei casi in cui si proceda ad affrontarequalunque aspetto diagnostico/terapeutico “oltre il distrettodi competenza professionale”, con la precisa convinzioneche la medicina occidentale riesce (spesso) a salvare la vita, leMedicine non Convenzionali (tra cui si pone la Medicina Tra-dizionale Cinese) possono (spesso) aiutare a vivere meglio[2].

Solo evitando la sterile ricettazione dettata dall’appartenen-za a una particolare scuola di pensiero e coltivando curio-sità, umiltà e abnegazione potremo allargare gli orizzontinell’unico fine di aiutare chi si presenta, sempre comunque,con una chiara richiesta d’aiuto.

Con questo fine nasce il libro: il desiderio e il piacere dicomunicare quanto anni e anni di studio esclusivo del-l’ATM, di interrogativi posti a seguito di successi insperati edi insuccessi inaspettati, di esperienza, osservazione, studioe sperimentazione ha portato a considerare, nella speranzache possa, pur in piccola parte, aiutare qualcuno a dare unarisposta ai propri interrogativi.

Gli Autori

NOTE

1 Argomento approfondito nel capitolo 8 sull’approccio al pazientecon DTM.2 Attraverso mediazioni neuropeptidiche, biochimiche, recettorialie biomeccaniche.3 Vedi il capitolo 10 sulle Medicine non Convenzionali.

BIBLIOGRAFIA

[1] De Montaigne M.E., La gioia di vivere. Meditazioni per uomini di o-gni tempo liberamente tradotte dai “Saggi”, trad. it. di G. Messina, Sci-pioni, Viterbo 2001.[2] Gatto R., Agopuntura: stato dell’arte e validazione scientifica, Con-gresso SIA, Firenze 1 giugno 2002.

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XV

“Avevo un nomeMia sorella e i miei figli avevano un nomeDall’oggi al domaniImprovvisamente ci hanno affibbiato un nome unicoCome un’uniforme da scolaro:Tutti siamo ormai chiamati Nemico.”

LAMEA ABBAS AMARA

“Nulla giova di più ai malati che l’esser curati dai medici che essi stessi hanno scelto.”

SENECA

“La ragione regola e governa tutto.”CICERONE

“Non a tutti gli ammalati giovano gli stessi rimedi.”CELSO

“Non si vince la natura se non obbedendo alla natura.”BACONE

Dell’integrazione tra medicina basata sul metodo sperimen-tale e pratiche terapeutiche complementari si discute moltoanche in Italia. Nel 2003, in occasione del Congresso Nazio-nale della Società Italiana di Psichiatria, si è voluta promuo-vere la prima conferenza di consenso sulle Medicine nonConvenzionali organizzata in Italia in ambito accademico. Ildocumento di consenso che ne è scaturito

“auspica che l’evento sia di stimolo per la piena integrazione diinterventi analoghi nella cosiddetta medicina di base e presso al-tre specializzazioni mediche. Il diritto di scelta, riconosciuto a o-gni persona come punto focale di ogni moderna considerazionedi rispetto della volontà individuale nei confronti del propriostato di salute e malattia, è stato implicitamente già espresso e siè concretizzato con il ricorso, da parte di sempre più ampi stratidella popolazione, ad alcune discipline e pratiche terapeutichenote con il termine complessivo di «Medicine non Convenziona-li». In una nazione civile come la nostra dovrebbe essere ricono-sciuta la legittimità di ogni scelta soggettiva riguardo alla pro-pria salute, d’altro canto resta sul tappeto la questione riguar-dante la previsione di medicine cosiddette «non convenzionali»tra le prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale. No-nostante il numero degli studi di valutazione di questi tratta-menti sia in aumento, i risultati non sono ancora incoraggianti,mentre sembrano emergere problematiche non banali riguar-danti le interazioni con farmaci e gli effetti indesiderati dell’as-sunzione e delle terapie alternative erogate. Per evidenziarel’importanza dell’informazione in medicina, può essere signifi-cativo ricordare il discorso politico interrotto sulle Medicine nonConvenzionali con la possibilità di una loro integrazione con lamedicina tradizionale nel panorama dei mezzi di salute dispo-nibili per la popolazione. Nel suo quotidiano confronto con la

malattia e con tutto quello che questo rapporto comporta in ter-mini di spesa pubblica e di costo sociale, la società odierna nonpuò permettersi di trascurare le potenzialità preventive e tera-peutiche delle Medicine non Convenzionali, in un’ottica costan-te di massima integrazione con la scienza medica accademica.La problematica più evidente è sicuramente quella di una cor-retta informazione all’utenza, troppe volte disorientata di frontea un’offerta che spesso di olistico e di naturale ha solo le sem-bianze. È necessario affrontare con serie argomentazioni stori-che e scientifiche le varie discipline non convenzionali con ilpreciso obiettivo di stabilirne i campi di applicazione e i limitiper la tutela e il recupero della salute e del benessere di pazientiche, anche secondo l’ultimo sondaggio ISTAT, in numero sem-pre crescente decidono di farne uso. Arenato in Parlamento l’ul-timo progetto di legge che intende porre ordine in questo setto-re, la nota più dolente riguarda ancora il percorso di formazioneprofessionale delle figure coinvolte. Il mondo universitario, chedovrebbe essere deputato istituzionalmente a questo ruolo, fati-ca ad accettare (con qualche felice eccezione) quello che in molticasi appare come un insieme slegato di dottrine e di insegna-menti apparentemente privi di un linguaggio comune e ricco ditante, troppe intuizioni e di pochi dati confrontabili. Allo stessomodo, occorre tutelare il paziente mediante un’informazione se-ria e attendibile che non si limiti a un freddo consenso informatodi stampo chirurgico. In questo contesto viene sottolineata l’in-coraggiante opera iniziata da molti Ordini dei Medici che, Romain testa, hanno aperto appositi «Registri» in cui si possono iscri-vere i medici che hanno deciso di spendere tempo e fatica peraggiungere al loro bagaglio scientifico un approccio terapeutico,integrato e sinergico con quello accademico: una cautela in piùper il paziente, che troppo spesso si trova costretto a «subire» u-na terapia invece di collaborare con il medico per trovare unapronta risoluzione ai suoi problemi. Ora va segnalato che è diffi-cile comprendere in una definizione, unica ed esaustiva, le oltrecento medicine «alternative», «complementari», «dolci», «nonconvenzionali», «non ufficiali» o «non scientifiche» che sonopresenti sullo scenario mondiale delle terapie di oggi. Con esse,in generale ci si riferisce a quell’insieme di pratiche e di cure ete-rogenee che, prescindendo dai metodi della medicina scientifi-ca, traggono origine o da tradizioni popolari tramandateci da unlontano passato o da correnti di pensiero filosofico extrascienti-fico o da ideologie, culture e religioni orientali, e sono accomu-nate dalla rivendicazione di una maggiore tollerabilità ed effica-cia delle pratiche cosiddette «naturali» in confronto con l’«artifi-ciosità» della medicina scientifica e tecnologica moderna. Non sipuò ignorare tuttavia che un numero crescente di cittadini nelnostro paese, al pari di ciò che accade nel resto d’Europa e nelmondo, ricorre a pratiche e terapie non convenzionali in modoindiscriminato e senza alcun controllo medico. È evidente che inquesta sorta di «fuga» dalla medicina scientifica ortodossa, si co-glie un segno di contestazione, di insoddisfazione, di denuncianei confronti di una pratica medica o psichiatrica che, oltre amostrare perduranti limiti in larghe fasce della fenomenologianosologia, proprio in relazione agli sviluppi di specializzazionisettoriali, finisce per obliterare la struttura globale dell’indivi-duo e della persona”.

Prefazione

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L’articolazione temporo-mandibolare ISBN-88-408-1313-6

XVI

Secondo indagini recenti, da prendere con beneficio di in-ventario riguardo alle cifre fornite, alcuni milioni di italianiricorrerebbero, esclusivamente o saltuariamente, a pratichealternative; e una percentuale di questi, non facilmentequantificabile, si rivolgerebbe contemporaneamente al medi-co curante e al «guaritore» a scopo di rassicurazione o di in-tegrazione, con gravi rischi di reazioni avverse e interazioni trafarmaci prescritti e rimedi assunti senza controllo. Contrariamen-te a quanto si pensa, la maggioranza delle persone che si ri-volgono alle Medicine non Convenzionali (come è megliodefinirle secondo Fiori) apparterrebbe a classi sociali elevatecon un livello di istruzione superiore e un reddito familiaremedio-alto. Questo deve indurci ad alcune riflessioni critichee autocritiche non soltanto sulla pratica moderna della medi-cina ma anche sui rapporti tra questa e la società contempo-ranea. L’uomo moderno vive infatti in una realtà contingentefrustrante e angosciosa, responsabile di un malessere social-mente diffuso, pur avendo raggiunto in larga parte del mon-do occidentale un alto grado di benessere materiale. Il biso-gno di sicurezza, le aspettative di salute e di immortalità, in-sieme all’aspirazione a una perenne giovinezza, alla bellezzae a performance sessuali eroiche enfatizzate dai mass media,inducono una domanda pressante di guarigioni sollecite egarantite nonché di un illusorio benessere fisico, psichico esociale perdurante. In realtà, al progresso tecnologico scienti-fico, responsabile di un aumento delle attese di vita impensa-bile (in un recente passato) e di un mutamento epidemiologi-co caratterizzato dall’aumento delle malattie croniche, che sicurano a lungo ma non guariscono, ha fatto riscontro lo sca-dimento graduale di una pratica medica sempre più desacra-lizzata, impersonale e burocratizzata, più attenta a ciò che ècurabile che capace di «prendersi cura» di coloro che nonpossono più giovarsi delle cure. Paradossalmente, i successidella medicina contemporanea rischiano di essere pagati intermini di insoddisfazione crescente, specie in quei cittadiniche diffidano della scienza, che non hanno più speranza diguarire, che non sopportano i limiti della medicina, che con-fidano nel rimedio naturale «che non fa male» o che sono vit-time di frequenti riacutizzazioni della malattia. Nel 1977,l’OMS raccomandava ai governi dei paesi in via di sviluppodi riconoscere l’importanza dei sistemi medici tradizionaliindigeni, conformemente alla volontà delle popolazioni loca-li, con gli adattamenti appropriati al peculiare sistema, e in-sieme lanciava una campagna tra i paesi evoluti per lo svi-luppo di una migliore conoscenza delle pratiche terapeuti-che tradizionali prescientifiche basata su tre punti: valutazio-ne oculata dei lati positivi, utilizzabili per la salute della po-polazione, integrazione delle pratiche tradizionali entro i si-stemi convenzionali della medicina occidentale, con critericonvalidabili caso per caso, formazione di esperti, per lo stu-dio delle nozioni e delle pratiche della medicina tradizionaleindigena, e di guaritori tradizionali addestrati alle nozioni ealle tecniche della medicina convenzionale occidentale. L’au-

spicato avvio di una revisione epistemologica delle pratichetradizionali, e l’auspicio di una «creolizzazione» tra culturediverse, non ha dato ancora dappertutto risultati soddisfa-centi. L’incomprensione e l’indiscriminato rifiuto di moltimedici di studiare pratiche non convenzionali per coglierneeventuali aspetti originali relativi al vissuto di malattia e allasalute in contesti etico-sociali distanti dal nostro rischianopiuttosto di favorire imposture e pratiche truffaldine a spesedi clienti ingenui. Nei vari paesi, la medicina ufficiale e la le-gislazione hanno dato risposte diverse alle Medicine nonConvenzionali. Francia, Olanda e Germania hanno accettatoe regolato la contemporanea presenza della medicina tradi-zionale e di quella convenzionale, mentre Austria, Svizzera,Belgio, Lussemburgo e Stati Uniti hanno opposto finora unaforte resistenza al loro riconoscimento. In Italia, il T.U. di leg-ge ha subito ritardi gravissimi e, ancora adesso, si registranoresistenze come quelle emerse dal recente (23 aprile 2004) delComitato Nazionale di Bioetica. Va in primo luogo detto che,a nostro avviso, anche alla luce delle politiche di altri paesi, esegnatamente di quelli comunitari, un preconcetto ostraci-smo verso le «pratiche non convenzionali» sarebbe quantomeno sterile. Una netta e decisa opposizione, pertanto, sem-brerebbe da porsi in essere contro i guaritori alternativi (nonmedici) piuttosto che contro le Medicine non Convenzionaliesse stesse. È innegabile, inoltre, che sia in crescente aumentoil numero degli studi sull’efficacia e i limiti di alcune terapienon convenzionali, pubblicati su autorevoli riviste medico-scientifiche internazionali, e che la letteratura attuale per-mette già di delineare i contorni dell’argomento in modo o-biettivo e documentato, stabilendo dei confini tra ciò che è si-curamente accertato e ciò che appartiene alle opinioni o alleintuizioni non verificate. Pur tuttavia vanno fatte alcune ri-serve sui cosiddetti studi controllati e randomizzati e sull’e-videnza in medicina. Diceva Sikorsky, genio dell’aeronauticae papà degli elicotteri, che il calabrone, secondo le leggi dellafisica, non potrebbe volare. Lui, però, non lo sa e continua avolare lo stesso. I malati, spesso, sono un po’ come il calabro-ne. Loro non sanno che la patologia di cui soffrono non è sta-ta studiata con megatrial e meta-analisi, ma si ostinano ad a-verla e a richiedere di essere curati, se non addirittura guari-ti, al povero medico, che rischia di essere colpito da una nuo-va, ulteriore patologia, la «paralisi flaccida da assenza di evi-denza» di recente descrizione, e almeno altrettanto grave (senon così diffusa) della tristemente famosa BSE. Che farequando non ci sono «prove di efficacia» di un trattamento ri-spetto a un altro, o peggio ancora di qualsiasi terapia rispettoa nulla? Un esempio vicino alla nostra esperienza quotidianaservirà a chiarire meglio il pensiero. La terapia medica delledissezioni carotidee è ancora argomento estremamente con-troverso, e una recente revisione della letteratura dell’autore-vole Cochrane Library conclude che: “There is no evidence tosupport the routine use of anticoagulants or antiplatelet drugs forthe treatment of ICAD. The reported non-randomised studies did

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ISBN-88-408-1313-6 Prefazione

XVII

not show any difference between the two. We suggest that a RT in-cluding at least 1000 patients in each treatment arm is clearly nee-ded”[1]. Questa affermazione, ineccepibile dal punto di vistascientifico, merita due osservazioni. La prima è semantica: lapercezione comune dell’espressione “Non c’è evidenza di” èin realtà “C’è evidenza di non”, mentre non è il messaggioche vogliono trasmettere gli esperti di EBM (Evidence BasedMedicine). Vogliono semplicemente dirci che il trattamentoin questione non è stato studiato con criteri adeguati per di-mostrarne l’efficacia secondo i principi della EBM, ma nonche ne è stata provata l’inefficacia. La seconda osservazione èuna domanda, che sorge spontanea davanti a patologie comequella di cui stiamo parlando, abbastanza rare da rendereproblematica l’effettuazione di grandi trial (e da essere pocointeressanti per le industrie biomedicali), ma abbastanza fre-quenti perché riusciamo a incontrare qualche caso nella pra-tica clinica: “D’accordo sul trial, ma che cosa faccio nell’atte-sa che questi benedetti 2000 pazienti vengano randomizza-ti?”... Il dubbio è veramente amletico, e coinvolge il mediconel suo profondo, perché deve fare i conti con le sue paure,preso fra Scilla di deludere le aspettative del paziente e didover rinunciare a un senso di onnipotenza che titilla il suoego e Cariddi di ricorrere a trattamenti inadeguati, forse pe-ricolosi, danneggiando il paziente. E poi c’è l’aspetto medi-co-legale, che viene evocato a bassa voce, timorosi di destareun mostro che può venirci a prendere, come il Bau Bau ol’Uomo Nero... Non ce ne vogliano i medici legali, la lorospecialità è bella e utile, è che sono i medici stessi ad averlaimpoverita, riducendola a un qualcosa che frena la praticaclinica, anziché esserne strumento di miglioramento, comepotrebbe e dovrebbe essere. Che fare? E nell’incertezza passail tempo e si finisce per non fare nulla, senza rendersi contoche in realtà questa è già una scelta, e che come tale sarebberispettabile se di decisione consapevole si trattasse, anzichédi una non-scelta. Due autori australiani[2] proponevano inun divertente articolo del «British Medical Journal» di un po’di tempo fa diverse alternative alla EBM, molte delle qualiquotidianamente applicate in modo inconsapevole da molticolleghi, come per esempio l’Evidenza, l’Eminenza, la Vee-menza, l’Eloquenza, la Provvidenza o la Diffidenza. A que-ste, però, vorremmo aggiungerne un’altra, che potremmodefinire «Medicina Basata sull’Intelligenza» o, per analogiacon la EBM, IBM. Che cos’è? È una medicina che recupera lebasi del ragionamento fisiopatologico e lo applica a quei casiche cadono tra le maglie della rete della EBM. È una medici-na sicuramente umile, che non vuole avere la Risposta Unicae Definitiva, ma che cerca di dare una risposta a una doman-da estremamente puntuale e contingente posta da un pazien-te. Per fare questo cerca di rispondere, volta per volta, ad al-cuni quesiti essenziali[3]:

• Chi e che cosa voglio curare?• Come lo curo?

• La cura è efficace?• La cura è sicura?• Ho alternative più economiche?

È sulla base di queste domande (e di possibili, ragionevolirisposte) che abbiamo immaginato questo libro. È evidenteche molti di questi quesiti non hanno risposte chiare, altri-menti saremmo nell’ambito della EBM, ma ci devono aiuta-re a recuperare un metodo di ragionamento. Ci ricordano,per esempio, che dobbiamo curare dei pazienti con tutta laloro complessità, e non un bruxismo, un serramento, un do-lore articolare. Ci ricordano anche che il nostro obiettivo èridare benessere, se possibile, a una persona, e non curareun esame di laboratorio e un’indagine di diagnostica stru-mentale. Ci ricordano ancora di valutare sempre con grandeattenzione e, si spera, buonsenso, se quello che facciamo hauna ragione fisiopatologica, se il rapporto rischio-beneficioè ragionevole, se stiamo disponendo delle risorse della col-lettività con la stessa cura con cui utilizziamo il nostro bud-get familiare. Sono considerazioni banali, certo, e universal-mente condivise, ma non così universalmente applicate.EBM e IBM non sono in contrapposizione – esattamente co-me non lo sono (o non dovrebbero esserlo) medicina con-venzionale e non convenzionale – sono (o dovrebbero esse-re) complementari. Il ragionamento epidemiologico rigoro-so e la metodologia della EBM ci forniscono le basi su cui co-struire un nostro ragionamento che parte là dove l’EBM siferma. Senza i trial non saremmo in grado di conoscere lebasi fisiopatologiche dei nostri trattamenti, i loro vantaggi ei rischi, non saremmo neppure in grado di fare una IBM. Maè altrettanto importante tenere in allenamento questa capa-cità di ragionare in modo autonomo ma rigoroso, e che civenga insegnato a farlo con almeno altrettanta cura di quellacon cui vengono trasmessi i dogmi della EBM. Dobbiamoanche acquisire consapevolezza che in realtà il divertimentoinizia proprio quando non ci sono evidenze, ed entra in gio-co la componente di «arte» del nostro mestiere. Perché an-che il calabrone, poverino, ha diritto a volare, come il nostropaziente ha diritto a una risposta sensata alla sua domandadi essere curato. Nonostante gli innegabili progressi scienti-fici della medicina occidentale, che l’hanno resa insostituibi-le nella terapia di alcune malattie, si fanno strada numerosiinterrogativi circa l’accettabilità degli effetti collaterali dicerte cure e circa l’evidente ingerenza degli interessi econo-mici dell’industria farmaceutica nelle scelte dei medici. An-cora di più si sente l’esigenza di una maggiore attenzione al-l’uomo nella sua interezza, in contrasto con l’ottica a voltetroppo freddamente scientifica adottata dalla medicina con-venzionale, solitamente mirata a curare la malattia più che ilpaziente e orientata ad adottare le cure in base a criteri di ti-po statistico, troppo rigidi per adattarsi alle infinite sfaccet-tature della personalità umana. È pertanto crescente il nu-mero di persone che si rivolge a medicine diverse da quella

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XVIII

cosiddetta «ufficiale» per curare la propria salute. Medicinaoccidentale, medicina ufficiale, medicina convenzionale so-no tutti termini con i quali si designa la «nostra» medicina,basata sul paradigma biomedico proprio della cultura del-l’Occidente. In contrasto, altrettante sono le definizioni dellemedicine cosiddette «alternative». Abbiamo scelto fra tutti il termine «Medicine non Convenzionali» (MnC), mentre laFNOMCeO ha proposto (nel marzo 2004) quello di «Medici-ne Complementari e Tradizionali» e nei paesi anglofoni sipreferisce «Medicine Naturali». Forse è quest’ultimo il ter-mine migliore, perché rispecchia meglio degli altri l’essenzadi queste arti mediche. Si tratta di un patrimonio enorme dicultura terapeutica cresciuto e sviluppatosi nei millenni indiverse aree del mondo e caratterizzato dal principio di fon-do dell’armonizzazione dell’uomo con le energie che lo cir-condano come via per il benessere e la guarigione. In questonostro lavoro ci siamo anche impegnati a mostrare, nei fattioltre che nei contenuti teorici, il valore «scientifico» di que-sta integrazione medica nel campo delle problematiche del-l’ATM. In genere, definiamo «scientifica» la medicina occi-dentale, come dire che tutte le altre culture mediche non losono, e creiamo così un grave equivoco. Le Medicine Natu-rali non sono infatti antiscientifiche, a patto che vengano ap-plicate nel pieno rispetto delle loro caratteristiche. Ma cosasignifica «scientifico»? Per definire la scientificità di una me-dicina ci si rifà solitamente ai criteri euristici enunciati da fi-losofi della scienza quali Sarton, Popper e Porkert. Il primocriterio richiede che la medicina si basi su un atteggiamentodi empirismo positivo, che si basi cioè su osservazioni ripe-tute, derivate dall’esperienza pratica. Si pensi che caratteri-stica di tutte le Medicine Naturali è proprio l’attenta e raffi-nata osservazione dell’uomo e della natura, che può vantaremillenni di esperienza. Il secondo criterio impone che le os-servazioni vengano riferite in termini comunicabili obietti-vamente, attraverso l’adozione di un sistema di convenzioni(un «linguaggio scientifico»). Ogni medicina nasce in unpreciso contesto culturale e ne utilizza linguaggio e conven-zioni per poter comunicare senza incertezze quanto vieneosservato. Come i dati della medicina occidentale vengonotrasmessi in termini quantitativi utilizzando il sistema me-trico, così le osservazioni delle Medicine Naturali vengonorese nei termini (misure, immagini, convenzioni) propri deiparadigmi culturali da cui nascono e che molte volte sono ingrado di rendere aspetti qualitativi altrettanto bene di quelliquantitativi. Pensiamo all’importanza dell’esame della lin-gua in molte Medicine Naturali. Quando un medico cineseosserva la lingua di un paziente, la descrive in termini diforma, dimensioni, consistenza, colore e umidificazione esecondo un criterio topografico. Si tratta di dati oggettiviche, inseriti nel paradigma della Medicina Tradizionale Ci-nese, forniscono un quadro estremamente preciso e raffinatodegli equilibri interni al paziente. Terzo criterio euristico èappunto la necessità di una sistematizzazione delle osserva-

zioni in una struttura razionale. L’inserimento delle osserva-zioni raccolte e descritte in termini oggettivi in un quadro diriferimento chiaro e incontrovertibile permette di definirescientifica una medicina, e ciò accade per tutte le MedicineNaturali prese nel loro contesto autentico. Per rimanere sul-l’esempio della Medicina Tradizionale Cinese, le osservazio-ni effettuate sulla lingua del paziente vengono vagliate conun sistema diagnostico molto raffinato, che permette di in-terpretarle ricavandone una diagnosi e un principio di trat-tamento, necessari per impostare la corretta terapia. Dallascientificità di una medicina deriva la sua capacità di affron-tare in modo non casuale o istintivo, ma sistematico e ripeti-bile, l’analisi, la prevenzione e la terapia di qualsiasi situa-zione patologica. A differenza della medicina ufficiale, tutta-via, le Medicine Naturali richiedono di costruire, su solidebasi di conoscenza dei fondamenti, un affinamento della ca-pacità di osservazione e della sensibilità del terapeuta. Ilprocedimento della medicina ufficiale è per lo più a blocchichiusi e rigidamente standardizzato. Un dato quadro clini-co, confortato dalla coerenza dei dati di laboratorio e delleindagini diagnostiche, prevede poche e ben definite scelteterapeutiche. L’indagine è indirizzata a diagnosticare la ma-lattia, e per una data malattia esiste una determinata cura. Ilprocedimento delle Medicine Naturali, invece, molto spessoè di tipo dialogico. I dati dell’osservazione non devono ne-cessariamente essere tutti coerenti, proprio perché non ap-partengono alla malattia, ma alle sue manifestazioni nell’in-dividuo, e queste manifestazioni nascono dall’interferenzadei fattori che causano la malattia con le componenti dell’u-nità corpo/mente di quel dato soggetto. Il medico è davantial paziente come davanti a un dipinto: l’insieme orienta giàcon un’impressione immediata, ma solo dall’attento esamedi come si combinano linee e colori si può avere la confermae la comprensione fine di quella prima impressione, che por-ta alla scelta terapeutica appropriata[4]. Un altro aspetto dinon trascurabile importanza è l’uso consapevole del cosid-detto effetto placebo, attuale grazie alla persuasa e razionaleintegrazione fra medicina scientifica e naturale[5]. È noto co-me l’effetto complessivo di una terapia derivi dalla sommadegli effetti farmacologici del medicamento e delle risposteplacebo aspecifiche associate con l’intervento terapeutico. Iltermine «placebo», che pare tragga origine dai salmi funebriinglesi del XVII secolo che recitavano: “Placebo Domino in re-gione vivorum”, configura un finto medicamento che peròcostituisce un elemento indispensabile di uno studio clinicocontrollato. Risale al 1811 la traduzione letterale «piacerò»dell’Hoopers Medical Dictionary, che all’epoca definì il pla-cebo come “Medicamento dato più per compiacere il pa-ziente che per fornirgli beneficio”. Agli inizi degli anni No-vanta il dizionario medico di Arnold Shapiro descrisse ilplacebo come “Qualsiasi trattamento o parte di esso che vie-ne deliberatamente impiegato per determinare un effetto fa-vorevole sul paziente pur essendo obiettivamente privo di

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un’attività specifica nei confronti della malattia o sindromepresumibilmente in causa”. Più recentemente, nel 1987, ilDizionario Medico Illustrato Dorland[6] definì il placebo comeuna “sostanza o preparazione somministrata per gratificareo soddisfare la necessità psicologica di una terapia da partedel paziente o, anche, una procedura senza alcun potere te-rapeutico intrinseco, effettuata a scopo preordinato”. Si di-stingue un placebo intenzionale, quando una sostanza vengaintenzionalmente data come placebo (e lo è effettivamente),da un placebo involontario, quando venga somministrato unprodotto creduto attivo, ma in realtà senza provata efficacia.È ragionevole ipotizzare che il placebo rappresenti il «medi-cinale» maggiormente studiato e conosciuto per l’enormemole di lavori che, nel corso dei decenni, l’hanno confronta-to (non sempre con esito perdente) con le più svariate mole-cole. Chissà quante ricerche non hanno mai trovato pubbli-cazione poiché caratterizzate da risultati non “statistica-mente significativi” dell’uso del principio attivo versus pla-cebo? Quest’ultimo, sostanza farmacologicamente inerte mapsicologicamente attiva, utilizzata durante la sperimenta-zione dei farmaci o per studi scientifici, resta lontano dagliambulatori medici; tuttavia l’«effetto placebo», e cioè il potereche il placebo ha sul paziente, è sempre a fianco del medico,costituendo spesso un prezioso alleato nella pratica clinica.Il placebo vero e proprio va infatti distinto dall’effetto place-bo, cioè da quella carica di fiducia che il medico deve sapertrasmettere al paziente nei confronti del farmaco per riusciread addizionare alla sostanza un’ulteriore potenzialità tera-peutica. Quest’ultima deriva da quello che il farmaco signi-fica per il paziente e varia, dunque, da caso a caso. È di fon-damentale importanza che il paziente abbia la convinzioneche il farmaco sia personalizzato e che, tramite esso, il medi-co si occupi di lui e si prenda cura del suo stato di salute.L’effetto placebo è, dunque, l’effetto psicologico e psicofisio-logico prodotto dal placebo; si riscontra per qualunque com-posto, attivo o inerte che sia, ed è una conseguenza del rap-porto medico-paziente, dell’importanza che il paziente attri-buisce all’intervento terapeutico e dell’attegiamento menta-le indotto dalla situazione terapeutica e dal medico. L’entitàdell’effetto placebo varia notevolmente da individuo a indi-viduo e in uno stesso paziente nei diversi momenti e il risul-tato può essere favorevole o sfavorevole rispetto agli obietti-vi terapeutici prefissati. Sfruttata vantaggiosamente, que-st’arma può integrare notevolmente gli effetti farmacologicie decretare il successo o il fallimento di una terapia. Non sitratta solo di forza di suggestione ma anche di fiducia, disperanza, di voglia di guarire e ascoltare il medico: una mi-scela di ingredienti che non devono essere mai scordati in u-na prescrizione. Si è di fronte a una vera e propria «medici-na» che mette in moto meccanismi ancora poco noti ma chehanno un importante ruolo a livello biologico. Dato che unaparte consistente dell’effetto di un farmaco deriva dalla con-vinzione del paziente, ma anche del medico, di trovarsi di

fronte alla risoluzione del male, anche la visita o il colloquiocon il medico assumono valore placebo, in quanto l’incontroe la presenza rassicurante rappresentano, per il malato, unaterapia. Molti risultati nella pratica clinica derivano dalla fi-ducia che il paziente ripone nella terapia e nel curante: que-st’ultimo sa bene di non poter mai prescindere dall’effettoplacebo. La forza del placebo risiede non solo nella sostanzain sé, ma soprattuto nella personalità del malato e nelle ca-pacità del medico: di conseguenza è da ritenere possibile l’e-sistenza di medici in grado di indurre costantemente un ef-fetto, a prescindere dalla pertinenza della cura. Quanto det-to è particolarmente vero quando il curante riesca a cancel-lare la paura e l’ansia nel paziente; infatti la tensione innescauna serie di meccanismi a livello neuro-ormonale che hannoripercussioni negative dal punto di vista biologico. Ansia,depressione, panico, tensione e stress devono essere consi-derati delle vere e proprie patologie e per chi ne è affetto ilprimo placebo risulta essere proprio il medico[7]. Vi sono evi-denze che all’effetto placebo siano sensibili anche animali esoggetti sani[8]. In uno studio del 1961, Patrick Pichot som-ministrò, senza alcun commento, pillole di lattosio a studen-ti di medicina che, per loro stessa ammissione, non presen-tavano alcun sintomo. L’indomani una percentuale dal 15 al25% dei partecipanti dichiarò di aver ricevuto un beneficiorispettivamente in campo fisico, intellettuale e dell’umore.La forza del placebo sta dunque anche nel far stare megliochi già sta bene e questo esempio ci dimostra quanto sia po-tente la forza della psiche[9]. Non c’è nulla di più erroneo cheritenere che l’effetto placebo non implichi nulla di organico:esso, al contrario, è capace di modificare parametri fisici co-me l’acidità gastrica (in effetti, l’efficacia del placebo in pato-logie quali reflusso gastroesofageo, dispepsia e persino ulce-ra peptica è solo leggermente inferiore agli antiacidi e anti-H2, potendo arrivare a dare remissioni sino al 35-40%), laperistalsi intestinale, il diametro pupillare, la frequenza e lagittata cardiaca, la pressione arteriosa e, persino, parametrisanguingni come la colesterolemia. In uno studio, quest’ul-tima risultava inferiore del 30% in pazienti che fossero statiricevuti con cortesia in ambiente accogliente e dopo aver lo-ro concesso 15 minuti di rilassamento su un lettino, rispettoad altri soggetti esaminati in condizioni stressanti. Conside-rando tutte le varietà di condizioni cliniche in cui è statosperimentato il placebo, si notano valori di risposta positivaassai costanti, che si pongono in media attorno al 35-40%[10]

(si veda in proposito la tabella seguente).

Ipertensione 51-60%Mal d’aria 58-61%Ulcera peptica o duodenale 55-88%

Artrosi 50-80%Parkinson 6-18%

Depressione 30-40%Allergie a graminacee 22%Ipomobilità intestinale 27%Ansia e tremori 30%Dolori 4-86%

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Gli studi condotti sull’effetto placebo ci inducono a ritenereche il corpo possiede due tipi di forze interne per il manteni-mento dell’equilibrio omeostatico. Il primo tipo di forza è in-conscia e può essere definita una sorta di forza vitale ripara-trice. Il secondo tipo di meccanismo passa attraverso stati dicoscienza e di consapevolezza e implica la capacità della vo-lontà umana di controllare le diverse funzioni organiche[11].Il dominio della psiche sul soma dimostra la priorità dellamente conscia sopra processi fisiologici come l’immunità o ilcontrollo del dolore1, [12]. Ciò implica, in primo luogo, un’e-norme responsabilità del medico e del terapeuta, che devonosempre tenere in considerazione lo stato emotivo e mentaledel paziente, soprattutto nel caso di malattie croniche o par-ticolarmente gravi. Il tipo di approccio dettato dalle MnC(MTC, omeopatia, fiori di Bach, ecc.) stabilisce un patto di al-leanza, una vicinanza intima e una relazione reciproca medi-co-paziente, che favorisce stati mentali positivi ed effetti pla-cebo di tipo guaritorio o migliorativo. Va anche aggiuntoche, in una corretta visione «integrata» della medicina (equindi del rapporto positivo medico-paziente), il terapeutadeve sempre incoraggiare stati d’animo positivi, che amplifi-chino le risposte adattative del sistema psiconeuroimmu-noendocrino[13] [14]. Molti medici credono che il placebo fun-zioni, in soggetti ansiosi, sempre e comunque. Questa è unaconvinzione del tutto erronea[15]. Se il medico non si è con-quistato la fiducia dei propri pazienti il placebo può provo-care effetti collaterali (effetto nocebo) non di rado simili a quel-li provocati dai farmaci di confronto. Particolarmente intensisono gli effetti secondari del placebo utilizzati in doppio cie-co con le benzodiazepine. I sintomi più frequentemente ac-cusati dai pazienti sono, in ordine decrescente, la sonnolen-za, la stanchezza, i disturbi gastrointestinali, la difficoltà diconcentrazione, la cefalea, le vampate di calore e il tremore.La tipologia degli effetti collaterali rispecchia quella attesadal paziente in relazione al tipo di farmaco che lo stesso sup-pone di aver assunto. In uno studio (CARE) di qualche annofa sull’efficacia della terapia ipocolesterolemizzante, che ar-ruolò oltre 4000 soggetti randomizzati, metà dei quali tratta-ti con 40 mg di pravastatina, gli altri con placebo, il tutto indoppio cieco, furono costretti a interrompere l’assunzionedelle pillole per eventi avversi il 2,2% dei trattati contro il3,6% dei controlli[16]. La fiducia dovrebbe sostenere tutti gliaspetti della interazione terapeutica. Il paziente deve aver fi-ducia nella capacità del medico di curarlo e il medico, a suavolta, deve aver fiducia nella terapia[17]. Avere a disposizioneterapie e modelli diversi implica differenti possibilità di scel-ta e, quindi, di volta in volta, scelte più consapevoli, motiva-te e, pertanto, motivanti. Inoltre, integrare i modelli scientifi-ci e naturali condiziona visite ed esami clinici più attenti econcentrati sull’individuo. Nella vita di tutti i giorni siamosottoposti a numerosi fattori stressogeni: oltre il sovraffolla-mento, che la nostra specie percepisce al massimo quandosiamo imbottigliati in un ingorgo stradale, ci confrontiamo

costantemente con lo stress da rumore e con quello da ecces-siva illuminazione, che altera i fisiologici ritmi sonno-veglia(ritmi circadiani), solo per citarne alcuni esempi. Recenti ri-cerche sull’uomo stanno dimostrando che gli effetti dellostress provocano gli stessi danni riscontrati nei pesci in un e-sperimento di alcuni anni fa[18]. Per tale esperimento si eranoutilizzati dei pesci «aggressivi» in un modello sperimentalesociale «stressogeno» generato dal sovraffollamento nell’ac-quario. Dopo un po’ di tempo si generò la predominanza diun pesce sull’altro e si stabilirono i ruoli di pesce dominantee di pesce subordinato. Gli autori riscontrarono nel pescesottomesso, e quindi stressato, uno stato immunodepressivovalutabile secondo vari parametri immunologici: la diminui-ta citotossicità non specifica (quella che per prima intervienein caso d’infezione, ovvero linfociti T citotossici e granulocitineutrofili) e la diminuita proliferazione linfocitaria (fig. 1).

Tali cambiamenti erano causati dall’aumento degli ormo-ni dello stress (l’ormone corticotropo, ACTH, che stimola ilsurrene, l’adrenalina e la noradrenalina). Nel pesce subordi-nato si erano riscontrati dei cambiamenti significativi, comeaumento della glicemia, danni alla mucosa gastrica, perditadi colore delle branchie, aumento del cortisolo e delle cateco-lamine plasmatiche, diminuzione del movimento natatorio eiperventilazione. Queste variazioni metaboliche, a loro vol-ta, agiscono sul sistema immunitario e l’animale sarà piùpredisposto a contrarre malattie e quindi a soccombere. Gliinterventi di MnC, attivando meccanismi complessi, fra cuiuna consapevolizzazione e un positivo effetto placebo, sonoin grado di ridurre lo stress e migliorare l’indice di adatta-mento, anche immunitario, dell’individuo. In questo modo,segnali positivi, attraverso un equilibrato, umano e profes-sionale rapporto medico-paziente, influenzano non solo lefunzioni volontarie e propiocettive2, ma anche quelle di tipoviscerale e generale (fig. 2).

Una recente ANSA (maggio 2004) ci informa che un catti-vo rapporto medico-paziente è il primo motivo del boomdelle MnC. Ogni anno, sono centomila le nuove visite diMnC in una regione come la Lombardia, con 9 milioni di abi-tanti3. Ci troviamo di fronte a un evidente paradosso, poichémai come oggi la medicina è stata così potente, così capacedi guarire. La causa di questo paradosso sta nel fatto che ilmedico parte subito a caccia della diagnosi e della terapiacorrette, indipendentemente dal desiderio del paziente dicomunicare con lui. Gli studi effettuati dimostrano che il me-dico interrompe il paziente con una domanda chiusa doposoli 18 secondi dall’inizio della visita medica, quando è inve-ce vero che per raccogliere in modo esaustivo le informazio-ni sui problemi del paziente il medico avrebbe bisogno di al-meno 2 minuti. Tutto questo ci mostra, in modo evidente,che al paziente non basta che il suo medico alla fine dia unagiusta diagnosi e una buona terapia, ma che sappia ascoltar-lo, che si prenda cura di lui. Secondo il Boston Consulting, il50% dei pazienti-clienti dopo sole 2 settimane dall’inizio del-

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la terapia modifica autonomamente la posologia o il dosag-gio, creando non risposte o, più spesso, effetti indesiderati.Quale soluzione propone l’importante organo americano? Ilcosiddetto metodo patient centred, in cui è il malato e non lamalattia il protagonista della visita medica. Questo metodoimpone al medico di confrontarsi con il vissuto di malattiadel paziente, con i suoi bisogni e le sue preoccupazioni. Per-ché tutti i pazienti che vanno dal medico pensano sempre diavere qualcosa di grave e vogliono che il medico ascolti le lo-ro angosce. Tutto questo diviene più facile per chi abbia per-corso la via maestra dell’integrazione in Medicina e/o O-dontoiatria[19].

NOTE

1 Una recente ricerca statunitense condotta a Ann Arbor da Wagnere coll. ha chiarito l’azione del placebo sul dolore. Wagner ha selezio-nato un certo tipo di volontari, sottoponendoli a stimoli dolorosi mainnocui (lievi scariche elettriche, ecc.); dopo le prime sessioni di«tortura», il team ha dato ad alcuni dei soggetti-cavia una cremaper la pelle, sostenendo (in modo ingannevole) che il prodotto inquestione era in grado di ridurre la percezione del dolore: scopo

Pesce subordinato

Disturbi metabolicie dell’equilibrio

elettrolitico

Abbassamento del Na+ e del K+

Aumento del glucosio plasmatico

Cambiamentimorfologici

IMMUNOMODULAZIONELinfopeniaGranulocitosiDiminuzione dei linfocitiT citotossiciDiminuita proliferazione linfocitariaAumentata fagocitosi

Diminuita resistenza ai patogeni

Atrofia della mucosa gastrica

Degenerazione dell’epitelio branchiale

Aumento del cortisolo

Aumento delle catecolamine

Anormali movimenti natatori

Aumento della frequenza respiratoria

Atteggiamento di evitamento del pesce dominante

Cambiamentiendocrini

Cambiamenticomportamentali

Figura 1

Figura 2

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dell’operazione era, dunque, quello di scatenare nei volontari l’ef-fetto placebo (tanto che coloro che utilizzarono la crema dichiararo-no in media di soffrire meno). Nel frattempo, Wagner e coll. hannomonitorato l’attività cerebrale dei partecipanti mediante la risonan-za magnetica. Risultato: mentre i soggetti sprovvisti di crema atti-varono soprattutto aree nervose deputate alla percezione del dolore(per esempio, il talamo), gli altri volontari attivarono anche la cor-teccia prefrontale (collegata alle attività cognitive superiori), segnoinequivocabile che l’effetto placebo è una realtà, e che non agiscecancellando le sensazioni dolorose (che i volontari continuavano aprovare), ma processandole e «interpretandole» in modo diverso. Eil team del Michigan sta già pensando alla possibilità di svilupparefarmaci specifici in grado di stimolare chimicamente le aree cere-brali preposte al placebo, provocando questo fenomeno a comando.Vedi Sparti L.: Secondo i neurologi il placebo non sarebbe suggestione,«Libero», 24 febbraio 2004.2 Legate alla specifica capacità recettoriale data da terminazioninervose nelle articolazioni e nei muscoli, che inviano informazionisulla postura nello spazio delle varie parti del corpo, la quale s’inte-gra con la funzione dell’equilibrio, a cui è preposto il labirinto loca-lizzato nell’orecchio interno, e, come visto, di grande interesse inmolte DTM.3 Vedi: http://www.benessere.com/salute/news/notizie_1.htm?ric_notizia=20040510.002.

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