3° LEZIONE TEORIE DI CONTENUTO -...
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3° LEZIONE
TEORIE DI CONTENUTO
Valutazione della teoria di Maslow Nella teoria di Maslow vi sono ovvie implicazioni per il comportamento sul lavoro ma vi sono molte difficoltà quando si tenta di correlare tale
teoria al procedimento di lavoro: 1°le persone non soddisfano necessariamente i loro bisogni, specialmente quelli più alti, nella
situazione di lavoro, ma anche attraverso altre aree della loro vita;2°le differenze individuali fanno sì che le persone attribuiscano valori diversi
allo stesso bisogno,vi è chi preferisce la sicurezza lavorativa in una organizzazione burocratica ad una posizione di più alto status, ma con minore sicurezza, in un’organizzazione diversa;3°alcune ricompense o
risultati del lavoro sono in grado di soddisfare più di un bisogno: più alti salari o promozioni, ad esempio, possono essere applicati a tutti i livelli
della gerarchia;4°i fattori motivanti possono differire anche tra le persone che appartengono allo stesso livello della gerarchia. Infatti vi sono molti modi, diversi per ricercare la soddisfazione, ad esempio,del bisogno di
stima;Infine, per Maslow la soddisfazione rappresenta il principale risultato motivazionale del comportamento; ma la soddisfazione nel
lavoro non comporta, necessariamente, l’aumento della performance.
P
Il modello della gerarchia dei bisogni fornisce un’utile base per la valutazione della motivazione al lavoro tanto che Steers e Porter (1991) propongono una lista di ricompense generali e fattori organizzativi che
possono essere utilizzati per soddisfare i differenti bisogni.
Tra le più recenti classificazioni delle teorie sulla motivazione al lavoro ricordiamo quella di Kanfer(1990) che individua tre diversi approcci:
1- approccio bisogni-motivi-valori: la gerarchia dei bisogni di Maslow, la teoria ERG di Alderfer, la teoria dei
due fattori di Herzberg,la motivazione alla riuscita di McClelland, la teoria di Atkinson della motivazione a realizzarsi, la teoria dell’equità di Adams.
2- approccio della scelta cognitiva : la teoria dell’aspettativa di Vroom, la teoria dell’orientamento al futuro di
Raynor, la teoria dell’attribuzione di Weiner, la teoria della dinamica dell’azione.
3- approccio dell’autoregolazione: il modello del goal setting, le teorie dell’apprendimento sociale
LA TEORIA DI ALDERFER Il modello di Alderfer (1972) riduce la gerarchia di Maslow a
tre livelli considerando i principali bisogni di esistenza, relazionalità e sviluppo (teoria ERG, dal
termine greco, ergon = lavoro): • i bisogni relativi all’esistenza, si riferiscono alla
sopravvivenza e riprendono i bisogni fisiologici e di sicurezza di natura materiale;
• i bisogni di relazione, considerano le relazioni nell’ambiente sociale (i bisogni di amore o di
appartenenza, affiliazione e relazioni di significato interpersonale di sicurezza e di stima);
• i bisogni di crescita, sono riferiti allo sviluppo del potenziale ai bisogni di autostima e di
autorealizzazione.
Come Maslow, Alderfer suggerisce che le persone progrediscono, attraverso la gerarchia, dai bisogni di esistenza al bisogno di relazione a quello di crescita solo in seguito alla soddisfazione dei bisogni più bassi. Tuttavia, Alderfer suggerisce che questi bisogni danno vita più a un continuum che non a una gerarchia, poiché più di un bisogno può essere attivato nello stesso tempo ed, inoltre,le persone possono anche regredire. Si può verificare, ad esempio, una condizione di frustrazione-regressione quando per una persona, che continuamente vede bloccati i suoi tentativi di soddisfare i bisogni di crescita,per cui riacquisteranno importanza i bisogni di relazione. Si conferma, tuttavia, l’idea che i bisogni più bassi, una volta soddisfatti, perdano la loro forza.
La teoria ERG sostiene che una persona è motivata a soddisfare uno o più
sets di bisogni di base. Perciò se un bisogno, ad un particolare livello, è bloccato l’attenzione
tenderà a focalizzarsi sulla soddisfazione dei bisogni di altri livelli.
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Teoria di FREDERICK HERZBERG
Frederick Herzberg mette in discussione la teoria che fonda la motivazione su una gerarchia di
bisogni. La sua analisi è rivolta alla situazione lavorativa e parte dalla constatazione che il lavoro,
che occupa la maggior parte della giornata di ogni persona, costituisce per alcuni una fonte di
soddisfazione mentre per altri è causa di frustrazione e di insoddisfazione.
prende origine dalla domanda: “Che cosa il lavoratore ricerca nel suo lavoro?
Herzberg e la teoria dei DUE FATTORI
Herzberg aveva rilevato l’esistenza di due differenti sets di fattori: il primo set è quello
che, se assente, causa l’insoddisfazione. Questi fattori sono definiti fattori d’igiene (con significato analogo al termine utilizzato in ambito medico, cioè
di prevenzione) o fattori di mantenimento, sono correlati al contesto lavorativo, si riferiscono
all’ambiente di lavoro, alle caratteristiche estrinseche
del lavoro stesso e servono a prevenire l’insoddisfazione (così come l’igiene previene dalle
infezioni).
L’altro set è, invece, quello che se presente, serve a motivare l’individuo a sforzi superiori e alla
performance. Tra questi fattori, definiti motivatori, troviamo l’achievement, il riconoscimento, la
responsabilità e l’autonomia, il contenuto del lavoro. La forza di questi fattori porterà alla
soddisfazione o alla non soddisfazione ma non all’insoddisfazione.
I motivatori sono, quindi, in relazione al contenuto del lavoro mentre, i fattori d’igiene, al contesto
I motivatori possono essere considerati come una forza che incide sull’atteggiamento
e sul rendimento mentre i fattori d’igiene non hanno il potere di
motivare; sono delle condizioni essenziali per rendere possibile la
motivazione
Quindi, due tipi di fattori determinano l’ insoddisfazione e la soddisfazione del lavoratore.
I primi sono detti fattori igienici: sono fattori che non motivano ma, se non vengono soddisfatti, producono
malcontento ed insoddisfazione. Rientrano fra questi per esempio:
Supervisione da parte dei superiori Le politiche delle risorse umane
Le condizioni di lavoro (orario, riposo settimanale, stipendio) La sicurezza del lavoro
Le relazioni interpersonali
I secondi, che sono detti fattori motivanti: sono quei fattori che appagano bisogni superiori e che portano la persona a
una maggiore motivazione e produttività sul lavoro. Nel momento in cui non dovessero essere soddisfatti, questi fattori non comportano l'insoddisfazione dell'individuo.
Rientrano in questa categoria per esempio: Il riconoscimento dei risultati raggiunti; La responsabilità, Lavoro qualificante ,
L’avanzamento di carriera. Un fattore d’igiene, una volta gratificato, perde la sua forza
motivazionale mentre un motivatore continua ad esercitarla attivando nuovi comportamenti. I
fattori d’igiene possono essere approssimativamente posti in relazione con i bisogni più bassi di Maslow e i motivatori ai bisognipiù alti. Un mo tivatore è, quindi, una forza che ha
generalmente un effetto stimolante sull’atteggiamento e sul rendimento.
Da questi risultati derivano i principi cardine della teoria dei due fattori, cioè che la
soddisfazione e l’insoddisfazione si muovono su due piani
paralleli e non sono l’una il contrario dell’altra così come
sostenuto dalla gerarchia maslowiana. L’opposto della soddisfazione è la non
soddisfazione e non l’insoddisfazione.
Herzberg è stato il primo a dimostrare che la soddisfazione e l'insoddisfazione sul posto di lavoro
dipendono da diversi fattori e che non sono semplicemente reazioni opposte agli stessi fattori.
Porre rimedio alle cause di insoddisfazione non crea soddisfazione; aggiungere fattori di soddisfazione
non elimina l'insoddisfazione.
Herzberg, non ha sviluppato le sue teorie come "strumenti motivazionali" con lo scopo esclusivo di migliorare le performance organizzative. Ha invece cercato di spiegare come gestire correttamente le
persone, per migliorare complessivamente il benessere delle risorse umane.
Herzberg ha concluso che il denaro non è un fattore motivante. Un aumento salariare avrebbe un effetto
palliativo nell'immediato ma, nel medio-lungo termine, l'insoddisfazione o mancata motivazione della persona tornerebbero ai livelli precedenti.
Il lavoro di Herzberg indica che è più probabile che una buona performance porti alla job satisfaction
che non ilcontrario. Applicazione:
Per applicare la teoria di Herzberg, è necessario adottare un processo in due fasi per motivare le
persone. In primo luogo, è necessario eliminare le insoddisfazioni e, dall'altro, è necessario aiutarli a
trovare soddisfazione.
LA MOTIVAZIONE ALLA RIUSCITA
McClelland e Atkinson (McClelland et al., 1953; Atkinson, 1957, 1958) partirono dall’assunto di Lewin che il comportamento è il risultato della
relazione individuo-ambiente riprendendo anche il pensiero di Murray circa la possibilità di individuare
delle classi generali di interrelazioni costituite sulla base di un particolare tema. Questi Autori hanno, inoltre, evidenziato l’importanza della
ricerca empirico-sperimentale in psicologia e fatto propria la concezione freudiana secondo la quale
il soggetto non sempre conosce le determinanti del suo comportamento
Per Heckhausen (1965, p. 604) la motivazione alla riuscita può essere definita come «l’intento di
perfezionare o mantenere possibilmente forte la propria abilità in tutte le attività in cui è ritenuto
vincolante uno standard di valore e la cui esecuzione può di conseguenza riuscire o fallire».
Riprendendo il pensiero di Lewin la motivazione alla riuscita è, quindi, dipendente sia
dall’individuo che dalla situazione.
Per comprendere la motivazione alla riuscita è necessario tenere presente che non tutti i tentativi e
gli sforzi di ottenere successo nelle varie attività hanno alla loro base il bisogno di riuscire. Motivi
diversi, economici e di prestigio, possono determinare prestazioni lavorative caratterizzate
dall’impegno senza, però, che si possa riscontrare un nesso con la motivazione alla riuscita.
In psicologia un comportamento è motivato
alla riuscita «solo se tende all’autovalutazione della propria abilità e
precisamente al confronto con degli standard di valore che si tratta di raggiungere
o superare» (Rheinberg, 1995, p. 60). In altre parole, la persona mette alla prova le
proprie capacità, si impegna e si confronta con uno standard di valore.
Il motivo di riuscita permette di differenziare gli individui e il
modo in cui lo stesso individuo valuta l’ambiente in cui si trova ad agire. In questo caso specifico la
classe situazionale è definita, soprattutto, dal fatto che in essa hanno, o potrebbero avere, molta
importanza gli standard di valore. Il motivo svolge, così, la funzione di filtro che permette di individuare situazioni del tutto particolari
(delle affordance, cioè cogliere le opportunità presenti nell’ambiente).
Dalle ricerche McClelland identificò quattro motivi principali basati sull’attivazione e sullo
sviluppo sociale: achievement, potere, affiliazione, evitamento. I primi tre corrispondono a grandi
linee all’autorealizzazione, al bisogno di stima e a quello di amore di Maslow.
La relativa intensità di questi motivi è diversa nei vari individui e tende anche a variare tra le
diverse occupazioni, così ad esempio, i managers hanno una motivazione più elevata in
achievement che in affiliazione
IL MODELLO DELLE SCELTE A RISCHIO Il livello di aspirazione è dato dalla possibilità che l’individuo ha di scegliere tra compiti, con gradi
diversi di difficoltà; è stabilito in base alla probabilità di centrare l’obiettivo o di realizzare il
compito scelto tenuto conto del suo grado di difficoltà. Pertanto, il successo o l’insuccesso non
dipenderanno direttamente dal compito portato a termine o dal risultato conseguito ma dal livello di
aspirazione.
La probabilità di successo è tanto più alta quanto più semplice è il compito o più basso l’obiettivo;
ma l’incentivo al successo è tanto più grande quanto più difficile è il compito realizzato e, di
conseguenza, quanto più basse sono le probabilità di successo. Pertanto tra probabilità e incentivo esiste un rapporto inversamente proporzionale
Per Atkinson la determinazione dell’obiettivo dipende sia dalla probabilità che dall’incentivo: un compito molto difficile avrà sì un alto incentivo ma
sarà poco attraente perché la sua probabilità di riuscita è pari a zero. Al contrario, la probabilità di un compito molto semplice avrà incentivo pari a zero. Pertanto, sono i compiti di media difficoltà quelli che attraggono e suscitano la motivazione
alla riuscita;
Inoltre, il grado di difficoltà dei compiti non può essere stabilito in termini assoluti ma deve sempre essere
ricondotto alle abilità dell’individuo. Le persone, poi, presentano delle differenze relativamente
stabili nel tempo rispetto alla tendenza ad affrontare situazioni impegnative con la speranza del
successo o la paura dell’insuccesso. Pertanto, il motivo di riuscita è scomposto in motivo di successo e di
insuccesso; le due componenti possono essere determinate separatamente e la somma dei due valori
esprime, in quanto motivazione complessiva, l’intensità con cui un individuo percepisce e
sperimenta tali situazioni. La differenza tra i due valori, speranza netta, esprime la direzione
prevalente del motivo
Atkinson ritiene che sono proprio i compiti di media difficoltà a mettere in luce l’abilità di un individuo, questi
compiti sono infatti preferiti dalle persone motivate al successo; mentre per una
persona che teme l’insuccesso costituiscono la categoria più pericolosa e da evitare. Per queste persone sono attraenti,
invece, i compiti semplici che escludono l’insuccesso: riuscire ad evitare
un’esperienza negativa è già un fatto relativamente positivo. Interessante è notare che coloro che temono l’insuccesso
non si sentono minacciati dai compiti estremamente difficili poiché, in questo
caso l’insuccesso che è scontato, non rappresenta una sconfitta in quanto nessuno sarebbe stato in grado di portare
a termine tale compito.
LE PERSONE CON FORTE NEED FOR ACHIEVEMENT Nonostante l’apparente natura soggettiva dei
giudizi, McClelland ha, dopo anni di ricerca empirica, identificato quattro caratteristiche delle persone con
un forte n-Ach definibili come: una preferenza per compiti di moderata difficoltà, per assumersi la
responsabilità della performance, il bisogno di feedback e di innovatività.
Queste persone preferiscono, come abbiamo visto, compiti di moderata difficoltà per avere così la
migliore opportunità di mettersi alla prova.
Se il compito fosse troppo difficile o troppo rischioso,
esso ridurrebbe le possibilità sia di successo che di raggiungere la soddisfazione del bisogno. Se il
corso dell’azione fosse troppo facile o troppo sicuro vi sarebbe, al contrario, poca stimolazione nel realizzare il compito e, di conseguenza, poca
soddisfazione deriverebbe dal successo. Chi ha un forte n-Ach ricerca la responsabilità personale per la
performance, vuole ottenere il successo facendo riferimento solo sulle proprie capacità ed
impegno piuttosto che raggiungerlo per l’intervento di fattori al di fuori del proprio controllo
o lavorando in gruppo.
La soddisfazione personale deriva dalla realizzazione del compito e
non dal riconoscimento che proviene da altre persone; importante è, quindi, avere un feedback
rapido, chiaro e non ambiguo su come sta procedendo il loro lavoro.
Diverso è il n-Ach tra le varie persone, alcune sono motivate più di altre, sono stimolate dalle
opportunità e lavorano solo per raggiungere gli obiettivi, altre invece, hanno un basso n-Ach. Per le persone con alto n-Ach il denaro non è un incentivo
ma serve solo come mezzo, come feedback relativo alla loro performance. È improbabile che le
persone con alto n-Ach rimangano a lungo in una organizzazione che non le retribuisce
adeguatamente per la loro buona performance
Per le persone, invece, con basso n-Ach il denaro può servire soprattutto come incentivo diretto per la performance.
Il modello delle scelte a rischio ha avuto risvolti di particolare importanza per la
ricerca dato che è in grado di predire il comportamento, inteso
come prodotto di interrelazioni individuo-situazione.
Rimane, però, ancora da spiegare cosa spinga un individuo ad agire in un modo piuttosto
che in un altro.
LE TEORIE DI PROCESSO
IN SINTESI - Differenza fra Teorie di CONTENUTO e di PROCESSO
- le teorie di contenuto tentano di identificare i bisogni fondamentali dell’individuo, cercando di
specificare i diversi ‘risultati’ che possono stimolare il comportamento dei lavoratori;
- le teorie di processo, sviluppatesi successivamente
dal punto di vista storico, centrano la loro attenzione sul processo psicologico coinvolto nella
motivazione. .
Molte teorie motivazionali (Maslow, Herzberg solo per fare
un esempio), non hanno preso in considerazione le differenze individuali, in questo modo tutte
le persone si impegnerebbero per gli stessi obiettivi. Ma prendendo in esame la realtà lavorativa ci
rendiamo conto che questa è molto più complessa e differenziata. Non è possibile ipotizzare una
soluzione unica in grado di motivare tutte le persone.
LE TEORIE DI PROCESSO Campbell e Pritchard (1976) definiscono la
motivazione come la forza risultante da tre variabili: • aspettativa - Espectancy (E)
• strumentalità - Instrumentality (I) • valenza - Valence (V)
Il concetto di aspettativa non è nuovo in psicologia, già Tolman (1932) e Lewin (1938) avevano evidenziato la connessione esistente tra il
comportamento di un individuo e la sua percezione e
valutazione dei risultati conseguibili.
L’utilizzo di questo concetto nello studio della motivazione al lavoro risale al 1957 ma è con Vroom (1964) che la teoria
dell’aspettativa entra nel campo della ricerca motivazionale fino a divenire una delle più seguite teorie della motivazione
nei contesto organizzativi.
Secondo Vroom, la motivazione può essere definita, in maniera forse semplicistica ma sicuramente essenziale, come
l’insieme delle ‘credenze’ o pensieri motivanti ovvero l’insieme dei ‘motivi’ che ‘ad un certo livello’ ed in uno certo momento storico dell’individuo, determinano in lui una serie
di comportamenti o un certo orientamento comportamentale. In relazione a quelli che sono gli obiettivi
dell’individuo, si può parlare di un atteggiamento di positività rispetto alle azioni da svolgere (comportamento motivato)
per raggiungere tale obiettivi.
La teoria dell’aspettativa: i legami motivazionali
La teoria di Vroom, con efficacia applicativa nei contesti organizzativi, pone la motivazione in
relazione sia all’aspettativa di risultato che precede il comportamento/azione sia al grado di attrattività
dei risultati stessi. In sostanza, Vroom ritiene che Il comportamento della persona abbia origine da una scelta conscia,
comporti la valutazione comparativa dei comportamenti alternativi e si basi
sull’aspettativa di ottenere i risultati più favorevoli.
In sostanza, alla base della teoria dell’aspettativa vi è l’assunzione che le persone sono influenzate dai risultati
attesi dalle loro azioni. La motivazione è funzione della relazione tra: lo sforzo
impiegato e il livello percepito di performance e l’aspettativa che le ricompense (risultati desiderati) saranno correlate alla performance. Inoltre, ci deve essere anche l’aspettativa che le ricompense (risultati desiderati) siano ottenibili Inoltre, ci deve essere anche l’aspettativa che le ricompense (risultati desiderati) siano ottenibili. Queste relazioni determinano la
forza del “legame motivazionale”
Vroom (1964) è stato il primo a proporre una teoria dell’aspettativa che puntava specificamente alla motivazione al lavoro. È una teoria cognitiva che parte dal presupposto che l’uomo sia un decisore
fortemente razionale e cosciente e che sia motivato all’attività lavorativa investendo impegno e
sforzo in vista dell’ottimizzazione dei risultati attesi.
Presuppone che le persone siano organismi decisionali che, anche se non sempre a
livello conscio, prendono decisioni e tali decisioni sono basate sulle percezioni individuali che un dato comportamento produrrà uno specifico
risultato. Le persone possono attribuire una valenza positiva
all’avanzamento di carriera o al riconoscimento (risultato) ma ritenere (percezione) che pur
impegnandosi moltissimo non riusciranno ad ottenerlo.
LA TEORIA DELL’ASPETTATIVA
La teoria dell’aspettativa - valenza si fonda su alcuni concetti base:
L’opera che presenta il modello interpretativo di Vroom è Work and Motivation
(1964) dove l’Autore affronta le problematicherelative alla scelta occupazionale, alla job satisfaction e alla job performance.
Valenza: è l’attrattiva o la preferenza che un individuo attribuisce ad un particolare risultato.
Per ogni coppia di risultati x e y una persona preferisce x ad y, y ad x o è indifferente ad ottenere x o y. La preferenza si riferisce alla relazione tra la forza del desiderio di una persona o all’attrazione
verso i due risultati.
Vroom distingue la valenza dal valore. Una persona può desiderare un obiettivo ma poi ricavare
scarsa soddisfazione la valenza è la soddisfazione anticipata da un
risultato, può differire sostanzialmente dal valore che è la soddisfazione attuale fornita da un risultato.
Un esempio è il denaro, alcune persone possono vedere il
denaro come avente un valore intrinseco e derivare la soddisfazione dall’accumulazione
della ricchezza. Altre, invece, considerano il denaro come indice di risultati soddisfacenti.
La ‘Expectancy Theory’ di Vroom, presuppone che il comportamento dell’individuo al lavoro sia
la risultanza consapevole di scelte effettuate ed effettuabili tra diverse alternative possibili, al fine di massimizzare i
benefici (pleasure) ed ovviamente minimizzare gli eventuale sforzi connessi (pain).
Di conseguenza, secondo Vroom, l’individuo si concentrerà sulla valutazione di una serie di vantaggi associati ai vari livelli di performance e sceglierà sempre di impegnarsi
(sentendosi quindi motivato all’azione) da quelli che promettono il raggiungimento di un maggior premio
(controvalore motivante).