3 - La principessa Aida e il castello di sale

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FIABA DI MAURO NERI ILLUSTRAZIONI DI FULBER www.risparmiolandia.it Le avventure dI GELLINDO GHIANDEDORO AVVENTURA NEL DESERTO 3 - La principessa Aida e il castello di sale

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AVVENTURA NEL DESERTO

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FIABA DI MAURO NERIILLUSTRAZIONI DI FULBER

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Le avventure dI GELLINDO GHIANDEDORO

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Provate a pensare al mare immenso che avete visto la scorsa estate.

L’avete pensato? Bene!Adesso fate un altro piccolo sforzo è

immaginatelo pieno zeppo fino all’orlo di... sale! Ma sì, un’enorme distesa di sale bianchissimo che si perde all’oriz-zonte...

L’avete immaginata? Bravi!Lo sterminato Lago Salato, che Gellin-

do e gli altri affrontarono a folle velocità a bordo della jeep color argento guida-ta dall’impavido Momò, assomigliava proprio al “vostro” mare pieno di sale: una pianura smisurata e candida, che all’orizzonte si confondeva con un cielo bianco anch’esso, al centro del quale il sole dardeggiava senza sosta e senza risparmio.

– Ma tutto questo bianco è proprio sale? Sale... salato? – domandò incurio-sito Fra’ Vesuvio.

– Sicuro! Qui molti millenni fa si sten-deva il mare, che poi s’è ritirato lasciando però parecchi metri sottoterra gigan-tesche riserve d’acqua salata – spiegò il mercante Omar. – D’inverno le falde fanno affiorare l’acqua salmastra, che in estate evapora coprendo il terreno con una crosta sale...

La quattro-per-quattro sferragliava furente sulla distesa salata, incurante delle buche, delle crepe e dei sassi che qui e là costellavano la sconfinata di-stesa. I nostri eroi avevano lasciato da appena due ore il Caravanserraglio dei datteri d’oro e stavano viaggiando ve-loci verso meridione, quando il sole calò all’improvviso e la penombra inghiottì

l’immenso lago.– Dobbiamo fermarci – urlò Momò

per sovrastare il rumore del motore spinto al massimo.

– Ma Scia-krun ci scappa! – si lamen-tò il povero Omar, che non riusciva a distogliere la mente dal suo piccolo Alì, il fennec rapito da quel ladro di pellicce morbide e preziose.

– Sarà costretto a fermarsi anche lui, se non vuol sfiancare tutti i suoi cavalli carichi di pelli, perciò domattina saremo pari come oggi!

Viaggiarono ancora per alcuni minuti, dopo di che a un comando silenzioso Momò frenò e spense il motore. – Ci fermiamo qui: ceniamo e poi dormiamo a bordo della jeep!

Sarà stato per la posizione scomoda sul sedile posteriore, oppure per le fatiche e le tensioni delle prime giornate nel de-serto, fatto sta che quella notte Gellindo Ghiandedoro dormì poco e male.

S’appisolò solo poco prima dell’alba e fece un breve sogno.

Nessuno se n’era accorto, ma Giada, la regina della Città di Pietra, viaggiava sulla loro jeep chiusa nel bagagliaio! Fu proprio lo scoiattolo ad accorgersene con un colpo al cuore: «Ma guarda un po’... come mai sei nascosta dietro la ruota di scorta?»

«SSShhh! E gli altri che fanno?» Gellindo si girò a guardare i suoi

compagni di viaggio: MoMò guidava con gli occhi fissi sulla pista che tagliava con una linea retta l’immenso Lago Salato, mentre Fra’ Vesuvio e Omar s’erano

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appisolati sul sedile davanti. «Dormono, stai tranquilla! Ma si può sapere perché ci hai seguiti di nascosto?»

«Perché mi sono dimenticata di dirvi che dovete fare attenzione agli altri due terribili Predoni Traditori! Uno si chiama Scia-krun, ed è un ladro di fennec...»

«Lo so, l’abbiamo conosciuto purtrop-po!»

«Il terzo Traditore, invece, riesce a leg-gervi nel cervello e quindi sa benissimo quel che avete intenzione di fare, ancor prima di farlo! Ma se voi pensate cantando, i suoi malefizi nulla potranno contro di voi!»

«E come si fa a pensare... cantando?»«È sufficiente pensare in rima! Voi pen-

sate in rima e quel manigoldo non riuscirà a capire quel che avete in testa! Ricordalo, Gellindo: pensate sempre in rima! Adesso ti saluto...»

«E dove vai?»«Torno alla mia Città di Pietra: è scritto

nei libri dei Maghi che io debba attendere il vostro ritorno per festeggiare la liberazione, oppure per piangere la prigionia di tutti noi... Chissà che cosa accadrà, nel nostro futuro... Ciao, Gellindooo!»

«Nooo! ASpettA! GiAdA, ASpettAAA...»

– Sveglia! Gellindo, svegliati! Stai tran-quillo: Giada non c’è, non urlare... è solo un brutto sogno, adesso passa tutto in un istante!

La voce dolce di Fra’ Vesuvio ebbe l’effetto di calmare il povero Gellindo, che aprì a fatica gli occhi e si guardò attorno. Momò si stava stiracchiando al posto di guida; Omar si stropicciava gli occhi e Vesuvio era girato ad accarez-

zare la coda vaporosa dello scoiattolo spaventato.

Gellindo alzò lo sguardo e guardò fuori dal finestrino della jeep: quel che vide lo lasciò senza fiato.

WoooMMM... un respiro profondo e rumoroso d’un vento irruente scuoteva l’abitacolo del fuoristrada... WoooMMM... mentre all’esterno una polvere bianca-stra... WoooMMM... impediva di vedere a cinque centimetri al di là dei vetri dei finestrini. Sei rettangoli bianchi cir-condavano l’abitacolo, che oscillava... WoooMMM... sotto la spinta di un vento feroce.

– Ma che cos’è? – domandò Gellindo, dimenticandosi all’istante del sogno di poco prima.

– È la famosa “teMpesta di sale”! – ri-spose Momò. – S’è alzata prima dell’alba e ne avremo ancora per alcuni minuti.

– E quella polvere bianca là fuori?– Non è polvere, quella: è sale fi-

nissimo che il vento alza verso il cielo – spiegò Omar. – Una volta i beduini che abitavano sulle rive del Lago Salato aspettavano impazienti che scoppiasse qualche tempesta di sale, perché allora innalzavano teli bianchi grandi come vele e catturavano quintali e quintali di ottimo sale ripulito dalle scorie, che poi rivendevano ai nomadi delle montagne del Nord.

Omar non riuscì a terminare la sua spiegazione, che... WoooMMMMMM... con un ultima sventata la tempesta si placò all’improvviso e l’aria polverosa e salata in breve si ripulì. Quel che apparve ai no-stri eroi a qualche centinaio di metri dal-

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la jeep ha veramente dell’incredibile.Un complesso formato da quattro

torri tozze e tonde poste sugli angoli di un quadrato, unite tra di loro da un muro alto almeno quindici metri al centro del quale s’alzava un palazzo senza finestre e con il tetto merlato, aveva tutta l’aria di essere proprio un... Castello! Ma non un castello di sassi squadrati e di tegole di ardesia: quello che si alzava poco distan-te dal luogo dove la jeep s’era fermata la sera prima era un castello interamente di mattoni fatti col... sale!

– Qualcuno si ricorda d’aver visto quel castello, quando siamo ci siamo fermati ieri sera? – chiese Momò con voce esitante.

Omar aprì la portiera e scese dall’au-to: – E come facciamo a saperlo? Era buio, buio pesto e avevamo gli occhi pesanti di sonno.

Il portone di quel castello di sale era fatto di legno scuro e scricchiolò mentre si apriva girando sui cardini arrugginiti. Uscì un’ombra vestita di bianco, un fan-tasma sottile sottile che camminò svelto in direzione della jeep. Omar tornò di corsa nell’abitacolo e porte e finestrini vennero chiusi ermeticamente. Ma non ce n’era motivo, perché...

– Non dovete aver paura di me, stranieri – disse quello spirito pallido e dagli occhi spenti, che si rivolse ai nuovi venuti con un sorriso malinconico. – Io sono Aida, la principessa del Lago Salato, e quello è il mio castello.

I nostri amici scesero dalla jeep e cir-condarono Aida sorreggendola, quando

si accorsero che le gambe della poverina stavano cedendo rischiando di farla cadere. Momò prese dal cruscotto una bottiglietta misteriosa e fece bere alla giovane principessa alcune gocce di una medicina strana... Aida tossì, ma un po’ di colore le tornò sulle guance e poté riprendere a parlare.

– Siete arrivati giusto in tempo, ami-ci miei! Il Lago Salato è in pericolo, il deserto è in pericolo... tutta l’Africa è in pericolo!

– E per colpa di chi? – domandò Gel-lindo Ghiandedoro, che in fondo al cuore già sapeva quel che avrebbe risposto Aida.

– Voi conoscete i Tre Predoni Tradi-tori? – chiese la ragazza.

– Come no! – rispose Momò. – Io in persona ho fatto la conoscenza del ter-ribile Sim-bal, il ladro d’acqua!

– E io ho avuto a che fare con Scia-krun, il malefico rapitore di fennec! – sibilò furioso il povero Omar, che non riusciva a dimenticare il suo piccolo e dolce Alì.

Aida attese alcuni istanti prima di par-lare. Poi chinò gli occhi, respirò a fondo e... – Io, invece, ho penato col mio cuore a causa della perfidia di Uadi-Karim, il terzo Predone Traditore che si diletta a rapire dromedari!

– Hai detto dromedari? – chiese Fra’ Vesuvio. – Sono quegli strani animali con due gobbe, vero?

– Con una gobba – lo corresse Momò. – I dromedari hanno una gobba soltanto, a differenza dei cammelli che ne hanno due, e in questa parte di deserto sono

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molti i nomadi che per lavoro allevano dromedari...

– Anche il mio vecchio padre Ismail, il Re del Lago Salato, era proprietario di dromedari – intervenne Aida, – e si vantava di possedere gli esemplari più belli e robusti dell’intero deserto! Aveva cento dromedari dal manto bianco che teneva nelle stalle del nostro castello di sale. La settimana scorsa s’è presentato il malvagio Uadi-Karim, che s’è portato via tutti i nostri preziosi dromedari ed ha rapito anche mio padre, che è stato degradato a scudiero. Ve l’immaginate un re condannato a lavorare agli ordini di un malfattore?

Un lungo silenzio carico di dolore e di tristi presagi scese sul gruppetto dei nostri amici. Il primo a rompere quell’atmosfera di malinconia fu Gellin-do Ghiandedoro.

– Allora fatemi capire. I Predoni Tra-ditori, detti anche “Cavalieri della Notte Nera”, sono tre. Uno si chiama Sim-bal, che dopo aver rapito Abdu Al-Bar, cu-gino di Fra’ Vesuvio, s’è specializzato nel rubare l’acqua trasformando ogni cosa umida in polvere e sassi. Ha rapito i soldati e il popolo della povera regina Giada ed ha caricato sui suoi cento asini tutti gli averi della Città di Pietra. E fin qui ci siamo. Il secondo porta il nome di Scia-krun, che viaggia con cento cavalli arabi e s’è specializzato nel rapire i po-veri fennec per farne mantelli e coperte preziose. Infine c’è questo Uadi-Karim, che ha appena rubato cento dromedari bianchi al povero re del Lago Salato che risponde al nome di Ismail ed è il padre

della principessa Aida.– La cosa strana – disse a quel punto

la povera ragazza, – è che Uadi-Karim non sapeva dove fossero i cento dro-medari bianchi, ma dopo aver guardato fisso negli occhi e per alcuni istanti mio padre, ha dato ordine alle sue guardie di entrare nel castello e di far uscire tutta la mandria...

Gellindo con un colpo al cuore si ricordò del breve incubo fatto la notte appena trascorsa: «...il terzo Traditore rie-sce a leggervi nel cervello – gli aveva detto Giada in sogno, – e quindi sa benissimo quel che avete intenzione di fare, ancor prima di farlo...», ma per il momento non disse nulla e...

– I Cavalieri della Notte Nera – escla-mò lo scoiattolo aprendo lo sportello della jeep, – stanno viaggiando tutti e tre

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verso Sud, ognuno seguendo piste diver-se. Temo, però, che quando si riuniranno chissà dove, in un punto imprecisato del deserto meridionale, il loro potere di-venterà catastrofico e terribile, come tre uragani che s’incontrano per formarne uno solo, dieci volte più grande e cento volte più potente...

– Purtroppo hai dimenticato una cosa, Gellindo – mormorò Fra’ Vesuvio, che cominciava a pentirsi d’aver risposto con entusiasmo alla richiesta di aiuto di Abdu. – Sim-bal ha rapito il povero Abdu per un motivo ben preciso: i Predoni Traditori pensano che mio cugino sappia dov’è nascosto un favoloso tesoro, casse e casse piene d’oro, d’argento e di gem-me preziose. Se i tre cattivi s’incontrano,

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saranno scintille vere: sarà la fine della pace, sarà la fine del deserto e dell’Africa intera, me lo sento!

– Be’, allora non perdiamo tempo – sospirò Momò balzando alla guida della jeep. – Tutti a bordo, perché abbiamo già perso anche troppo tempo...

– Posso venire anch’io? – sussurrò Aida con uno sguardo timido.

– Ma certo, principessa! – esclamò Gellindo con un gran sorriso. – Sarà un vero piacere andare tutti assieme a libe-rare tuo padre e tutti i vostri dromedari bianchi!

Lo scoiattolo non poteva immaginare quel che il destino aveva in mente per loro!

(3. continua)

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