3. In che cosa consiste la politica comune dei trasporti? · ... all’art. 28 TFUE l’unione...

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Le politiche dell’Unione europea 173 3. In che cosa consiste la politica comune dei trasporti? Riferimento normativo: artt. 90 ss. TFUE. Caratteristiche: — obiettivi: eliminazione degli ostacoli, integrazione comunitaria dei trasporti, organizzazione generale dei trasporti; — ambiti: trasporti su strada, trasporti ferroviari, trasporti marittimi, trasporti aerei. Articolazione della risposta La politica comune dei trasporti, che ha per oggetto trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili, persegue gli obiettivi di: — l’eliminazione degli ostacoli che i trasporti recano alla realizzazione del mercato interno e, quindi, soppressione delle discriminazioni di prezzo e delle condizioni di trasporto (art. 95 TFUE); — l’integrazione comunitaria dei trasporti, con conseguente abolizione delle discriminazioni tra i trasportatori (ciò riguarda la libera circola- zione delle persone e dei servizi); — l’organizzazione generale dei trasporti nell’Unione europea, che consiste essenzialmente in una tariffa doganale comune e in un coordi- namento in materia di investimenti. Il regolamento n. 11/1960, tuttora vigente, attua il divieto, previsto dai Trattati, di praticare prezzi e condizioni differenti in relazione al paese di origine o di destinazione dei prodotti trasportati per le stesse merci. Gli Stati segnalano tariffe, accordi sui prezzi, condizioni di trasporto, alla Commissione, che ha il compito di vigilare su eventuali violazioni e di infliggere sanzioni pecuniarie alle imprese. Per quanto riguarda i trasporti su strada, si è proceduto all’adozione di sistemi omogenei per la determinazione delle tariffe. Attualmente, dopo una disciplina provvisoria in vigore fino al 31 dicem- bre 1989, con il regolamento (CEE) n. 4058/89 del 21 dicembre 1989, il Consiglio dell’Unione ha stabilito che i prezzi di trasporto di merci sono concordati liberamente tra le parti del contratto di trasporto. Nel regime vigente occorre operare una distinzione fra: trasporto passeggeri, disciplinato dal regolamento 1073/2009 che fissa norme comuni per l’accesso al mercato internazionale dei servizi

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3. In che cosa consiste la politica comune dei trasporti?

Riferimento normativo: artt. 90 ss. TFUE.

Caratteristiche:

— obiettivi: eliminazione degli ostacoli, integrazione comunitaria dei trasporti, organizzazione generale dei trasporti;

— ambiti: trasporti su strada, trasporti ferroviari, trasporti marittimi, trasporti aerei.

Articolazione della risposta

La politica comune dei trasporti, che ha per oggetto trasporti ferroviari, su strada e per vie navigabili, persegue gli obiettivi di:

— l’eliminazione degli ostacoli che i trasporti recano alla realizzazione del mercato interno e, quindi, soppressione delle discriminazioni di prezzo e delle condizioni di trasporto (art. 95 TFUE);

— l’integrazione comunitaria dei trasporti, con conseguente abolizione delle discriminazioni tra i trasportatori (ciò riguarda la libera circola-zione delle persone e dei servizi);

— l’organizzazione generale dei trasporti nell’Unione europea, che consiste essenzialmente in una tariffa doganale comune e in un coordi-namento in materia di investimenti.

Il regolamento n. 11/1960, tuttora vigente, attua il divieto, previsto dai Trattati, di praticare prezzi e condizioni differenti in relazione al paese di origine o di destinazione dei prodotti trasportati per le stesse merci.

Gli Stati segnalano tariffe, accordi sui prezzi, condizioni di trasporto, alla Commissione, che ha il compito di vigilare su eventuali violazioni e di infliggere sanzioni pecuniarie alle imprese.

Per quanto riguarda i trasporti su strada, si è proceduto all’adozione di sistemi omogenei per la determinazione delle tariffe.

Attualmente, dopo una disciplina provvisoria in vigore fino al 31 dicem-bre 1989, con il regolamento (CEE) n. 4058/89 del 21 dicembre 1989, il Consiglio dell’Unione ha stabilito che i prezzi di trasporto di merci sono concordati liberamente tra le parti del contratto di trasporto.

Nel regime vigente occorre operare una distinzione fra:

— trasporto passeggeri, disciplinato dal regolamento 1073/2009 che fissa norme comuni per l’accesso al mercato internazionale dei servizi

Parte Sesta174

di Trasporto effettuati con autobus. Il regolamento 2454/92 ha inoltre introdotto una parziale liberalizzazione del trasporto effettuato all’in-terno del singolo Stato membro;

— trasporto merci. Una serie di regolamenti (3916/90, 296/91, 881/92, 3118/93) ha previsto un regime transitorio che, iniziato il 1º gennaio 1994, si è concluso nel 1998, con la completa liberalizzazione del tra-sporto merci. Dal 1994 erano stati aboliti i contingenti per il trasporto internazionale e dal 1998 sono venuti meno anche i contingenti per il cabotaggio (ovvero la possibilità di collegare fra loro due punti interni ad un paese straniero).

Per quanto riguarda i trasporti ferroviari, l’obiettivo dell’Unione è la determinazione di un quadro normativo comune per la sicurezza ferro-viaria, in modo da far fronte all’eterogeneità di principi, norme e standard di sicurezza impostati su concetti tecnici ed operativi nazionali.

La direttiva 29-4-2004, n. 2004/49/CE persegue lo sviluppo e il miglioramento della si-curezza del sistema ferroviario, nonché l’accesso al mercato per la prestazione dei servizi attraverso:

— l’armonizzazione della struttura normativa degli Stati membri; — l’istituzione, in ciascuno Stato membro, di un’autorità nazionale con compiti di regola-

mentazione e supervisione della sicurezza ferroviaria al fine di agevolare la cooperazione a livello dell’UE, affiancata da un organismo indipendente incaricato di svolgere indagini sugli incidenti e sugli inconvenienti;

— la definizione di principi comuni per la gestione, la regolamentazione e la supervi-sione.

Nel 2004, è stata istituita l’Agenzia ferroviaria europea, operativa dal 2006, con il compito di contribuire all’attuazione della normativa dell’Unione europea, potenziando il livello di interoperabilità dei sistemi ferroviari, e sviluppare un approccio comune in materia di sicurezza del sistema ferroviario europeo, attraverso il dialogo, la consultazione e lo scambio fra tutti gli agenti del settore.

Per quanto riguarda i trasporti marittimi, l’art. 100 paragrafo 2 TFUE prevede che «il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire le opportune disposizioni per la navigazione marittima e aerea».Solo a partire dagli anni ’80, l’allora Comunità ha adottato una serie di misure riguardanti la difesa dell’industria marittima comunitaria e l’armo-nizzazione delle legislazioni nazionali in materia di condizioni di esercizio e di sicurezza della navigazione marittima.

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In particolare, il regolamento n. 4055/1986 ha affermato, nei trasporti marittimi e aerei, il principio di libera prestazione dei servizi, sancendo la libertà di accesso a tale tipo di servizi da parte del prestatore di trasporti marittimi stabilito in uno Stato membro diverso da quello della prestazione.Il regolamento n. 3577/1992 introduce una liberalizzazione parziale, consentendo di eser-citare l’attività di trasporto marittimo agli armatori le cui navi siano iscritte nei registri ed abbiano i requisiti richiesti nello Stato ove essi hanno la sede.Il regolamento n. 1406/2002 ha istituito l’Agenzia europea per la sicurezza marittima, con il compito di assicurare maggiore sicurezza alle attività marittime dei passeggeri e del personale dei porti, nonché garantire una maggiore prevenzione dell’inquinamento causato dal passaggio delle navi nell’UE.

Per i trasporti aerei è solo a partire dalla metà degli anni ottanta che si è mirato alla creazione di un vero mercato interno. Fondamentale è stata la sentenza n. 209A-213/84 (nota come Nouvelles Frontières), con cui la Corte ha stabilito che le regole di concorrenza previste dal trattato si applicano anche ai trasporti aerei e marittimi. Ha avuto così inizio un processo di liberalizzazione che si è svolto in tre tappe (1987, 1990, 1992): in seguito a questa deregulation (condotta sull’esempio di quella americana) la Unione viene ad essere considerata un unico mercato.

Il principio generale è, e resta, quello della piena liberalizzazione anche se sono previste alcune eccezioni:

a) accesso all’interno del singolo Stato solo per i voli internazionali che effettuino più scali all’interno di esso;

b) imposizione di obblighi di servizio pubblico per determinate aree o affidamento della gestione del servizio ad un solo vettore;

c) limitazioni temporanee cagionate da congestione delle rotte o da pro-blemi ambientali.

In occasione della terza fase della liberalizzazione, con il regolamento 2409/92 (ora sostituito dal Reg. CE n. 1008/2008) è stato introdotto un regime di piena liberalizzazione delle tariffe merci, charter e per il nolo, con un potere di controllo sia degli Stati sia dell’Unione.Ancora in materia di trasporto aereo, la Comunità europea ha aderito, con decisione del Consiglio del 5 aprile 2001 n. 539, alla Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale, in particolare in materia di responsabilità per danni derivanti dalla morte o lesione dei passeggeri e per i bagagli e le merci.

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Come per la sicurezza marittima, anche in questo settore, con regolamento n. 1592/2002 (successivamente sostituito dal reg. n. 216/2008), è stata istituita un’Agenzia europea per la sicurezza aerea con il compito di assistere il legislatore europeo nell’elaborazione di norme comuni finalizzate a garantire il più alto livello di sicurezza e protezione ambientale e di vigilare sull’applicazione uniforme di queste norme e su quelle di salvaguardia necessarie.

4. In che cosa consiste la politica commerciale comune?

Riferimento normativo: artt. 206 ss. TFUE.

Articolazione della risposta

La politica commerciale comune è disciplinata agli artt. 206 e 207 TFUE ed è condotta nel quadro dei principi e obiettivi dell’azione esterna dell’Unio-ne. In particolare essa mira ad incoraggiare l’integrazione di tutti i Paesi nell’economia mondiale, anche attraverso la progressiva abolizione delle restrizioni agli scambi internazionali.Mentre, infatti, all’art. 28 TFUE l’unione doganale è contemplata quale elemento fondamentale del mercato interno, dunque in un’ottica «interna» all’Unione, all’art. 206 TFUE essa, invece, è interpretata nella rilevanza che ha nelle relazioni esterne dell’Unione, quale strumento con cui l’Unione «contribuisce nell’interesse comune allo sviluppo armonioso del commercio mondiale‚ alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi inter-nazionali e agli investimenti esteri diretti, e alla riduzione delle barriere doganali e di altro tipo».A seguito della riforma di Lisbona il campo di applicazione di tale politica, che resta tra le materie oggetto di competenza esclusiva dell’Unione, è stato esteso al commercio dei servizi e alla proprietà intellettuale.Nel dettaglio, l’art. 207 TFUE fonda la politica commerciale comune «su principi uniformi‚ in particolare per quanto concerne le modificazioni tarif-farie‚ la conclusione di accordi tariffari e commerciali relativi agli scambi di merci e servizi, e gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale‚ gli investimenti esteri diretti, l’uniformazione delle misure di liberalizzazione‚ la politica di esportazione e le misure di protezione commerciale‚ tra cui quelle da adottarsi nei casi di dumping e di sovvenzioni». Nel rinnovato quadro normativo dell’Unione sono stati, inoltre, ampliati i poteri del Parlamento in tale settore stante l’adozione della procedura legislativa ordinaria per la definizione, mediante regolamento, del quadro di attuazione della politica commerciale comune e le modifiche apportate

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al processo di stipula dei trattati internazionali per cui anche gli accordi commerciali potranno essere conclusi soltanto previa approvazione di tale istituzione.Fanno parte della politica commerciale comune anche le misure di prote-zione commerciale, volte ad evitare pratiche di dumping e di concessione di sovvenzioni sui prodotti provenienti dai paesi terzi.Il dumping è una pratica commerciale (sleale) consistente nella vendita di merci (da parte di uno o più produttori) in un mercato estero ad un prezzo più basso rispetto a quello praticato sul mercato interno. In tal modo i pa-esi importatori potranno riceverne un pregiudizio dal momento che le loro merci risulteranno meno competitive e i produttori interni rischieranno di perdere quote di mercato. La strategia del dumping, tuttavia, non ha valore se praticata tra gli Stati membri, in quanto, non esistendo barriere interne nel mercato c’è il rischio che i prodotti esportati a prezzi più bassi vengano successivamente reimportati nel paese originario ad un prezzo più basso rispetto a quello esistente sul mercato interno (cd. effetto boomerang).Anche le sovvenzioni statali, riducendo i costi delle imprese esportatrici, sono volte a favorire la vendita di merci nazionali sui mercati esteri attra-verso l’applicazione di prezzi particolarmente competitivi. Anche in questo caso sono oggetto delle misure di protezione commerciale quelle pratiche poste in essere da Stati non membri dell’Unione. Le possibili misure di protezione disciplinate dal regolamento 1225/2009 del 30 novem-bre 2009 e applicabili solo a seguito di un’indagine della Commissione che ne abbia accertato i presupposti, consistono nell’imposizione di un dazio addizionale sulle importazioni (dazio antidumping e dazio compensativo) in modo da eliminare la competitività delle merci provenienti dai paesi terzi attraverso un aumento dei costi per l’importazione nell’Unione (e, quindi, un aumento dei prezzi delle merci).

Sezione QuintaLe altre politiche dell’Unione europea

1. In che cosa consiste la politica economica e monetaria?

Riferimento normativo: artt. 119 ss. TFUE.

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Evoluzione della politica:

— Trattato di Roma: coordinamento delle politiche economiche nazionali; — 1978: creazione SME;— AUE: inserimento nel Trattato del capo relativo alla cooperazione in materia

di politica economica e monetaria; — 1989: rapporto Delors; — Trattato di Maastricht: distinzione tra politica economica, di competenza degli

Stati, e politica monetaria, di competenza dell’Unione.

Caratteristiche:

— politica economica: coordinamento tra Stati e sorveglianza multilaterale; controllo dei disavanzi pubblici eccessivi;

— politica monetaria: competenza dell’Unione europea. Organi: SEBC; Banca Centrale; Consiglio ECOFIN; Comitato economico e finanziario; Consiglio euro.

Articolazione della risposta

Con il Trattato di Roma gli Stati membri, pur sottolineando la necessità di accompagnare l’instaurazione del mercato comune con un maggior coordi-namento delle rispettive politiche economiche nazionali, non si mostrarono disposti a cedere alle istituzioni comunitarie un aspetto di fondamentale importanza della loro sovranità interna.Un tentativo di stabilire un più stretto coordinamento nel settore della politi-ca monetaria fu promosso nel 1978 con la creazione del Sistema monetario europeo (SME), entrato in vigore il 13 marzo 1979. Si trattava di un mec-canismo creato al fine di stabilire tra le economie dei paesi membri non soltanto delle relazioni di cambio più stabili, ma anche una disciplina comune nel campo della politica economica e monetaria.Lo SME si poneva come obiettivo la creazione di una zona di stabilità monetaria in Europa grazie all’attuazione di determinate politiche in materia di cambi, crediti e trasferimenti di risorse, per evitare che il disordine monetario ostacolasse il processo d’integrazione comunitario.L’elemento cardine del Sistema era rappresentato dall’European Currency Unit (l’unità monetaria europea), il cui valore era dato dalla media ponderata delle diverse monete nazionali: le monete potevano variare rispetto all’ECU nell’ambito di una banda di oscillazione, inizialmente pari a ± 2,25%.Il meccanismo dello SME, pur tra fasi alterne, ha retto per diversi anni. Tra il 1992 ed il 1993, tuttavia, anche lo SME è entrato in una fase di profonda crisi e risultava notevolmente ridimensionato rispetto agli originari obiettivi.

Le politiche dell’Unione europea 179

L’esperienza dello SME è comunque terminata con l’adozione della moneta unica a partire dal 1° gennaio 1999; da quella data non solo l’ECU è stato sostituito dall’euro, ma non ha più ragione d’essere un meccanismo di stabilizzazione dei cambi.Il problema della stabilità monetaria si è posto, invece, per le monete degli Stati che non partecipano alla moneta unica, che comunque devono garantire una stabilità nel tempo e rispettare il vincolo della permanenza nello SME per almeno due anni per poter partecipare in futuro all’euro. Per questi motivi nel corso del 1996 sono state presentate alcune proposte per l’istituzione di un meccanismo di cambio tra l’euro e le monete degli Stati non partecipanti (i cosiddetti outs): lo SME-2.Quest’ultimo meccanismo ha lo scopo di evitare che le monete che non partecipanti all’euro possano deprezzarsi, svantaggiando indiretta-mente le altre economie.

L’Unione economica e monetaria (UEM) fa parte a pieno titolo dell’Unio-ne europea. Dall’Atto unico al Trattato sull’Unione europea il salto di qualità è netto. Quella che, nel primo, dove s’introduce l’articolo sulla «coopera-zione in materia di politica economica e monetaria», era più un’aspirazione che un inizio di progetto entra, con il secondo, a chiare lettere nel Trattato della Comunità europea occupandovi uno spazio preciso e legittimando la prevista istituzione di un Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e di una Banca centrale europea (BCE). Un passo avanti deciso nella scansione delle tre fasi dell’UEM ha i suoi riferimenti nel Rapporto Delors del 26 e 27 giugno 1988, elaborato da un comitato presieduto da Jacques Delors che aveva il compito di studiare e proporre le tappe concrete per giungere all’unione economica e monetaria. Il rapporto finale, nelle sue grandi linee, riprendeva le ipotesi di integrazione economica e monetaria già tracciate nel Rapporto Werner del 1970.

Nella prima fase dell’UEM era prevista la completa liberalizzazione dei movimenti di capitale e una maggiore convergenza economica tra gli Stati membri.Nella seconda fase si doveva procedere ad una più stretta integrazione delle politiche economiche degli Stati membri, fissando regole vincolanti per evitare disavanzi pubblici eccessivi. Dal lato monetario, si doveva procedere all’istituzione di un organismo capace di coordinare e monitorare il livello di convergenza e valutare la possibilità di passare ad una politica monetaria comune.La terza fase, avrebbe comportato la creazione di una moneta unica e l’istituzione di un organismo comunitario cui sarebbe spettato il compito di gestire la politica monetaria comune, operandosi in questo campo un definitivo trasferimento di sovranità dagli Stati membri alla Comunità.

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Le indicazioni contenute nel Rapporto Delors furono fatte proprie dal Trattato di Maastricht, che apportò agli originari trattati radicali modifiche volte a realizzare una piena convergenza delle politiche economiche degli Stati membri e procedere successivamente alla realizzazione della completa integrazione monetaria.Con il Trattato di Lisbona è stata sostanzialmente confermata l’impostazione dei trattati previgenti, mantenendo l’asimmetria esistente tra una politica di bilancio «nazionale» e una politica monetaria «europea».L’art. 119 TFUE prevede, infatti che, ai fini enunciati all’articolo 3 del TUE (ovvero quello di «assicurare uno sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata, sulla stabilità dei prezzi e su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva») l’azione degli Stati membri e dell’Unione comprende l’adozione di una politica econo-mica fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri. Questa azione comprende una moneta unica, l’euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche con l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, solo subordinatamente a questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell’Unione. Tale previsione è importante in quanto sottolinea la sostanziale separazione tra la politica economica e la politica monetaria dell’Unione. La politica economica, infatti, è governata in modo indipendente dagli Stati membri che sono tenuti al coordinamento delle loro scelte in base agli indirizzi di massima dettati dal Consiglio, fermo restando che agli Stati membri la cui moneta è l’euro si applicano disposizioni specifiche (art. 5, par. 1, TFUE). Al contrario, la politica monetaria, il cui obiettivo principale è la stabilità dei prezzi, costituisce per gli Stati membri che hanno adottato l’euro un settore ormai pienamente «europeizzato», stante la competenza esclusiva riconosciuta in materia all’Unione europea.

Le nuove disposizioni concernenti la politica economica e monetaria dell’Unione sono raccolte nel Titolo VIII della parte terza del TFUE e consistono in:

— disposizioni di politica economica (artt. 120-126 TFUE) che discipli-nano il coordinamento delle politiche economiche nazionali al fine di raggiungere gli obiettivi dell’Unione e prevedono una rigida disciplina di controllo delle finanze pubbliche degli Stati membri;

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— disposizioni di politica monetaria (artt. 127-133 TFUE) che riguardano la moneta unica e affidano ad uno specifico dispositivo istituzionale (SEBC e BCE) la competenza esclusiva in tale materia;

— disposizioni istituzionali (artt. 134 e 135 TFUE) che disciplinano la composizione, i compiti e i poteri degli organi in tale settore;

— disposizioni specifiche agli Stati membri la cui moneta è l’euro (artt. 136-138 TFUE) che configurano un regime di cooperazione speciale tra gli Stati membri che hanno adottato l’euro;

— disposizioni transitorie (art. 139-144 TFUE) che concernono la di-sciplina applicabile ai cosiddetti “Stati membri con deroga”, intesi quali i Paesi dell’UE riguardo ai quali il Consiglio non ha deciso che soddisfano le condizioni necessarie per l’adozione dell’euro.

Riguardo ai Paesi della zona euro, in particolare, il nuovo Trattato contempla:

— un ampliamento della capacità decisionale;— la possibilità di avere una rappresentanza esterna unificata in seno alle istituzioni e alle

conferenze finanziarie internazionali;— la possibilità di formulare una raccomandazione al Consiglio in merito all’adesione di

un altro Stato alla zona euro.

L’art. 121 TFUE precisa che «gli Stati membri considerano le loro po-litiche economiche una questione di interesse comune e le coordinano nell’ambito del Consiglio». A differenza, dunque, degli altri campi di intervento dell’Unione, quello della definizione di una politica economica resta di competenza degli Stati membri, i quali devono considerare le loro politiche economiche una questione di interesse comune e, quindi, oggetto di coordinamento da parte delle istituzioni dell’Unione.

Tale coordinamento è attuato in seno all’Unione attraverso due strumenti:

1) l’approvazione periodica da parte del Consiglio di raccomandazioni, predisposte dalla Commissione, contenenti gli indirizzi di massima (art. 121 TFUE) il cui rispetto da parte dei Paesi membri è oggetto di un meccanismo di sorveglianza multilaterale;

2) il controllo delle istituzioni dell’Unione sui bilanci pubblici degli Stati membri al fine di evitare disavanzi pubblici eccessivi (art. 126 TFUE).

Per disavanzo pubblico si intende la differenza negativa tra le entrate e le uscite del settore pubblico in un esercizio finanziario.

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In particolare, secondo il Protocollo n. 13 allegato al Trattato il disavanzo pubblico è considerato eccessivo se:

— il prodotto tra il disavanzo pubblico ed il prodotto interno lordo (PIL) supera il 3%;

— il rapporto tra debito pubblico e PIL è superiore al 60%.

Gli strumenti di coordinamento delle politiche economiche sopra descritti prevedono una fase di sorveglianza affidata alla Commissione, il cui ruolo in materia è stato reso ancora più incisivo dall’avvento della riforma di Lisbona mediante la previsione di un collegamento più immediato tra tale istituzione e gli Stati membri.In relazione al controllo del rispetto da parte dei Paesi membri degli in-dirizzi di massima dettati dal Consiglio, l’art. 121 TFUE prevede, infatti, che, qualora si accerti che le politiche economiche di uno Stato membro non sono coerenti con tali indirizzi o rischiano di compromettere il buon funzionamento dell’unione economica e monetaria, la Commissione, in piena autonomia, potrà rivolgere un avvertimento direttamente allo Stato interessato e non più al Consiglio come accadeva nella vigenza dei vecchi trattati (art. 121, par. 4, TFUE). Nell’ambito della procedura per i disavanzi eccessivi alla Commissione spetta, invece, il compito di sorvegliare l’evoluzione della situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di in-dividuare errori rilevanti. A questo proposito, è riconosciuto alla Commis-sione il potere di trasmettere un parere direttamente ad uno Stato membro (e non più, come in passato, al Consiglio che ora ne viene solo informato) qualora ritenga che nello Stato in questione esista o possa determinarsi in futuro un disavanzo eccessivo. Nel settore della politica monetaria, la riforma di Lisbona ha operato modifiche volte essenzialmente alla razionalizzazione del quadro normativo esistente mediante l’introduzione di semplificazioni procedurali e l’elimi-nazione di disposizioni e/o riferimenti ormai superati.Di valore puramente formale è anche la previsione dell’art. 3, par. 4, TUE, laddove si prevede che l’Unione «istituisce un’unione economica e mone-taria, la cui moneta è l’euro». La circolazione delle monete e banconote in euro è, infatti, avvenuta a partire dal 2002 e, dopo un breve periodo di doppia circolazione, l’euro ha ormai definitivamente sostituito le valute nazionali.

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Ai fini della partecipazione alla moneta unica, era necessario che gli Stati rispettassero i criteri di convergenza previsti all’art. 140 TFUE e cioè: — stabilità del cambio. Le monete nazionali dovevano far parte da almeno due anni dello

SME rispettando il proprio margine di oscillazione (15% in più o in meno rispetto alla parità centrale) e non dovevano aver subito svalutazioni;

— inflazione. Il tasso medio di inflazione misurato sui prezzi al consumo e rilevato in tutti gli Stati membri non doveva superare di 1,5% quello dei tre Stati membri che avevano conseguito il più basso tasso d’inflazione nei dodici mesi precedenti l’esame d’ammis-sibilità;

— tasso d’interesse. I tassi d’interesse a lungo termine di ciascuno Stato membro non dovevano essere superiori del 2% rispetto a quelli adottati dai paesi in cui il costo della vita era cresciuto meno;

— disavanzo pubblico. Il rapporto tra disavanzo pubblico (indebitamento della pubblica amministrazione) e PIL non doveva essere superiore al 3%. Il debito totale non doveva superare il 60% del PIL.

Nel corso di un Consiglio europeo straordinario dell’1-2 maggio 1998 sono stati individuati gli undici Paesi membri che rispettavano i criteri di convergenza ed erano pronti per adottare l’euro, sono stati scelti il Presidente e i membri della Banca centrale europea e sono stati fissati i cambi bilaterali tra le monete degli Stati partecipanti. Dal 1° gennaio 1999 è iniziato il periodo transitorio, durante il quale l’uso dell’euro (che esisteva solo come valuta di conto, scritturale) è stato reso obbligatorio nel settore del credito (politica monetaria, sistema dei pagamenti, mercati finanziari) e nel settore pubblico (emissione dei titoli di Stato). Era facoltativo, invece, nelle attività finanziarie dei privati i quali potevano utilizzare l’euro al posto della valuta nazionale. Dal 1° gennaio 2001 si è aggiunta agli Stati ammessi alla moneta unica la Grecia, inizialmente in ritardo nell’adempimento dei criteri di convergenza. Dal 1° gennaio 2002 l’euro è entrato materialmente in circolazione e le valute nazionali sono state progressivamente ritirate. Dal 1° marzo 2002, l’euro è l’unica moneta legale in tutti gli Stati aderenti. Gli Stati che non adottano l’euro sono il Regno Unito e la Danimarca, che godono di un regime di opting-out, ovvero di opzione a restare fuori dall’applicazione dell’euro, e la Svezia, che mostra resistenze ad adeguarsi al sistema di stabilità dei cambi e controllo del deficit pubblico. A questi Stati si sono aggiunti successivamente la Slovenia (dal 1° gennaio 2007), Cipro e Malta (dal 1° gennaio 2008), dal 1° gennaio 2009 si è aggiunta anche la Slovacchia e il 1° gennaio 2011 aderirà l’Estonia.

1 bis. A quali organi è affidata la gestione della politica monetaria europea?

La gestione della politica monetaria europea è affidata ai seguenti organi:

— il Sistema europeo di Banche Centrali (SEBC), composto dalla BCE e dalle Banche centrali nazionali. Esso ha come obiettivo principale è il mantenimento della stabilità dei prezzi.

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I compiti fondamentali affidati al SEBC dall’art. 127 TFUE sono:

a) definire e attuare la politica monetaria della Unione;b) svolgere le operazioni sui cambi;c) detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;d) promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento;

— la Banca centrale europea (BCE) è entrata in funzione il 3 maggio 1998, a seguito della nomina del Comitato esecutivo, del Presidente e del Vice-presidente. La BCE gode, secondo l’art. 282 TFUE, di personalità giuridica e il suo capitale è detenuto dalle Banche centrali nazionali. Le disposizioni concernenti la BCE sono confluite, a seguito della riforma di Lisbona, nella parte dedicata alle istituzioni dell’Unione rafforzando in tal modo la veste istituzionale della BCE la cui disciplina in passato era invece collocata in una categoria separata rispetto alle altre istituzioni dell’Unione;

— il Consiglio dei ministri economici e finanziari (ECOFIN), l’unico organo autorizzato a formulare e adottare indirizzi di massima per le politiche economiche e a cui spetta sancire l’unità e la coesione della Unione;

— il Comitato economico e finanziario, che costituisce il trait-d’union fra gli organi comunitari;

— il Consiglio dell’Eurogruppo, che costituisce un apposito organismo che raggruppa i Ministri delle Finanze dei soli paesi euro (una sorta di ECOFIN ristretto) in quanto Consiglio informale, che si riunisce prima del Consiglio ECOFIN per discutere questioni d’interesse comune per i paesi partecipanti alla moneta unica.

2. In che cosa consiste la politica di coesione economica, sociale e territoriale?

Riferimento normativo: artt. 174-178 TFUE.

Evoluzione della politica:

— anni ’70: consapevolezza della necessità di sostenere le regioni in ritardo di sviluppo;

— AUE: nuovo titolo del Trattato sulla coesione economica e sociale;— Trattato di Maastricht: rafforzamento della coesione economica e sociale.

Elenco delle caratteristiche della presente programmazione:

— obiettivi: convergenza, competitività e cooperazione territoriale;— strumenti: fondi strutturali (FESR, FSE; Fondo di coesione); BEI, FEI;

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— documenti: orientamenti strategici, quadri strategici nazionali, programmi operativi;

— attuazione: gestione e controllo, sorveglianza, valutazione.

Articolazione della risposta

La politica di coesione economica e sociale consiste nell’insieme delle misure che, riducendo il divario tra livelli di sviluppo delle Regioni europee, promuovono una evoluzione armoniosa dell’Unione europea.

L’art. 3, par. 3, co. 3 TUE, nell’enunciare i compiti dell’Unione, prevede quello di promuo-vere la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli Stati membri, ma solo nei primi anni ’70 si è affermata la consapevolezza che, per l’affermazione di un mercato unico fondato su una concorrenza non falsata, fosse necessario correggere i vari squilibri regionali, attraverso la previsione di programmi di sviluppo regionali.Dal 1978, la Commissione ha poi posto in essere una serie di azioni volte a favorire lo sviluppo delle zone rurali svantaggiate o di aree colpite da crisi di riconversione, mediante la programmazione dei fondi strutturali comunitari, dei prestiti ed aiuti CECA e dei prestiti della Banca Europea per gli Investimenti. L’Atto unico europeo ha aggiunto al Trattato un nuovo titolo (artt. 158-162 TCE) relativo alla coesione economica e sociale.

Il Trattato di Maastricht ha previsto «il rafforzamento della coesione economica e sociale» come uno degli obiettivi fondamentali dell’azione della Comunità e ha previsto alcune novità degne di rilievo. In particolare:

— ha esplicitamente menzionato le zone rurali fra quelle meno favorite;— ha previsto una ridefinizione degli obiettivi e degli interventi dei fondi già operanti;— ha creato un nuovo strumento finanziario di intervento, il Fondo di coesione;— ha associato il Comitato delle Regioni nella gestione della politica regionale comunitaria.

Il Trattato di Lisbona, infine, non parla più soltanto di coesione economica e sociale bensì anche territoriale (artt. 174-178 TFUE).La disciplina attuale della politica di coesione economica, sociale e terri-toriale è contenuta nel regolamento 11-7-2006, n. 1083/2006, che traccia le linee guida da seguire nel periodo 2007-2013.

L’attuale programmazione si fonda su tre obiettivi:

1) obiettivo convergenza, volto ad accelerare la convergenza degli Stati membri e l’adeguamento delle Regioni in ritardo di sviluppo.

Riguarda le Regioni il cui prodotto interno lordo pro capite è inferiore al 75% della media comunitaria. È finanziato dal FESR, dal FSE e dal Fondo di coesione (quest’ultimo per gli Stati il cui reddito nazionale lordo pro capite è inferiore al 90% della media comunitaria).

Parte Sesta186

L’ingresso nell’Unione di paesi dell’Est, aventi un PIL pro capite nettamente inferiore, ha determinato un abbassamento della media comunitaria; di conseguenza, alcuni Stati membri che, secondo i canoni precedenti all’allargamento, avrebbero avuto diritto ai benefici della politica di coesione, ne sono esclusi. Al fine di ovviare a tale inconveniente, l’Unione ha disposto, in favore dei paesi che risentono di tale effetto statistico, un aiuto transitorio che consenta loro di completare il processo di convergenza. Tale aiuto ha carattere decrescente e sarà concesso fino al 2013;

2) obiettivo competitività regionale e occupazione, che mira a sostenere le Regioni che non rientrano nell’obiettivo convergenza nella necessità di ac-quisire competitività sul mercato globale, attraverso misure volte a garantire l’incremento ed il miglioramento della qualità degli investimenti, l’innova-zione, l’imprenditorialità, l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese allo sviluppo dei mercati, anticipando i cambiamenti economici e sociali, inclusi quelli connessi all’apertura degli scambi. È finanziato dal FESR e dal FSE;

3) obiettivo cooperazione territoriale europea, che mira a rafforzare la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale, in uno con lo scambio di esperienze al livello territoriale adeguato, mediante azioni volte allo sviluppo territoriale integrato connesse alle priorità comunitarie. È finanziato dal FESR.

La politica di coesione dell’Unione è finanziata soprattutto (ma non solo) attraverso gli strumenti finanziari di cui dispongono le istituzioni dell’UE. Tali risorse sono i fondi strutturali e gli altri strumenti finanziari, tra i quali, il Fondo di coesione, la Banca europea per gli investimenti (BEI), il Fondo europeo per gli investimenti (FEI).

2 bis. Che cosa sono i fondi strutturali?

I fondi strutturali, in particolare, sono i principali strumenti finanziari volti a promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle Regioni a svi-luppo ritardato, a riconvertire le aree a declino industriale, a lottare contro la disoccupazione strutturale, a facilitare l’inserimento professionale dei giovani e ad accelerare la riforma del sistema agrario, al fine di promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione europea.Attualmente, i fondi strutturali che operano in ambito europeo per il raf-forzamento della coesione economica sono il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e il Fondo Sociale Europeo, cui può peraltro essere affiancato il Fondo di coesione. I fondi sono soggetti ad una programmazione ciclica pluriennale, attualmente settennale.

Le politiche dell’Unione europea 187

A partire dalla riforma del 1988, la programmazione e la gestione dei fon-di, che avvenivano prima per ciascun fondo autonomamente, avvengono secondo una logica di coordinamento.

I criteri fondamentali cui devono attenersi i fondi strutturali nella loro azione sono:

— la concentrazione delle risorse dell’UE in determinate aree e su determinati obiettivi;— il partenariato, ovvero la stretta cooperazione tra la Commissione, Stati membri, au-

torità regionali e locali, altre autorità pubbliche, parti economiche e sociali, ogni altro organismo che sia rappresentativo della società civile;

— la complementarità, ovvero il fatto che i fondi intervengono a completamento delle azioni nazionali, comprese le azioni a livello regionale e locale, integrandovi le priorità dell’Unione;

— la coerenza, con le altre attività, politiche e le priorità comunitarie e complementarietà con gli altri strumenti finanziari dell’UE;

— l’addizionalità dei fondi strutturali rispetto alle risorse ordinarie statali;— la programmazione, ovvero la pianificazione dell’utilizzazione degli stanziamenti

dell’Unione nell’arco dei sette anni e l’articolazione in diverse fasi che coinvolgono sia le Istituzioni dell’UE che quelle nazionali e locali;

— l’efficacia, ovvero la massimizzazione del rapporto obiettivi realizzati/obiettivi prefissati.

Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), istituito con regolamento del Consiglio 18-3-1975, n. 724, si propone di sostenere lo sviluppo armonioso e la coesione economica delle diverse Regioni di cui si compone l’Unione eu-ropea, attraverso la correzione dei principali squilibri e l’adeguamento strutturale delle Regioni in ritardo. Attualmente è disciplinato dal regolamento 5-7-2006, n. 1080/2006, le cui modalità di applicazione — così come quelle del regolamento generale — sono stabilite con il regolamento 8-12-2008, n. 1828/2006.Il Fondo sociale europeo, invece, è stato creato dal Trattato di Roma per risolvere i problemi di occupazione suscitati dalla stessa integrazione europea. Esso partecipa al finanziamento delle azioni in favore della for-mazione professionale e dell’occupazione. È attualmente disciplinato dal regolamento 5-7-2006, n. 1081/2006.

Le fasi della programmazione degli interventi sono:

1) quantificazione delle risorse finanziarie che si renderanno disponibili allo scopo e la definizione del nuovo quadro normativo;

2) determinazione, da parte del Consiglio, degli Orientamenti strategici comunitari (Community Strategic Guidelines for Cohesion - CSB). Tali orientamenti definiscono un contesto indicativo per l’intervento dei fondi, tenendo altresì presenti gli orientamenti delle altre politiche dell’Unione;

Parte Sesta188

3) definizione, da parte degli Stati, del Quadro di riferimento strategico nazionale (National Strategic Reference Framework-NSRF). Ciascuno Stato membro trasmette il quadro di riferimento strategico nazionale alla Commissione entro cinque mesi dall’adozione degli orientamenti strategici comunitari. La Commissione prende atto della strategia na-zionale e dei temi prioritari prescelti per l’intervento dei fondi ed entro tre mesi dalla presentazione del documento formula le osservazioni che ritiene opportune;

4) redazione, nell’ambito di un negoziato tra autorità di programmazione (nazionali o regionali) e Commissione, dei programmi operativi PO (Operational Programmes - OPS). Sono in sostanza lo strumento per dare attuazione, nell’ambito del Quadro di riferimento strategico nazionale, agli interventi dei Fondi in ciascuno degli Stati membri. Entro cinque mesi dall’adozione degli orientamenti strategici comunitari, ciascuna autorità di programmazione presenta il programma operativo alla Com-missione che lo valuta e, qualora ritenga che questo non contribui sca alle finalità indicate nel quadro di riferimento nazionale e degli orientamenti comunitari, entro due mesi può invitare l’autorità di programmazione a fornire delle informazioni supplementari o a rivedere il programma proposto. Ogni piano operativo, di regola, può riguardare solo uno degli obiettivi proposti ed è finanziabile con un solo Fondo.

La programmazione dei fondi strutturali si fonda su un sistema di gestione e controllo, sorveglianza e valutazione altamente complesso.

Gli altri strumenti che concorrono al finanziamento della politica di coesione sono:

— Il Fondo di coesione, previsto dall’articolo 177 TFUE, istituito con il regolamento n. 1164/1994, e oggi disciplinato dal regolamento 11-7-2006, n. 1084/2006. I suoi finan-ziamenti sono principalmente volti al sostegno di progetti nei settori dell’ambiente e delle reti di trasporto transeuropee, ma solo negli Stati membri il cui PIL è inferiore al 90% della media europea; pertanto, potranno beneficiarne tutti i paesi di nuova adesione, più la Grecia, il Portogallo e la Spagna, quest’ultima, però, ammessa solo in via transitoria;

— la Banca Europea per gli Investimenti (BEI), creata con un protocollo allegato al Trattato di Roma, contribuisce allo sviluppo equilibrato dell’Unione mediante la con-cessione di prestiti e garanzie. I partecipanti al capitale della BEI sono gli Stati membri dell’Unione e la sua amministrazione è affidata ad un Consiglio di governatori, composto dai ministri delle finanze;

— il Fondo Europeo per gli Investimenti, istituito nel 1994, strumento dell’UE che opera a sostegno delle piccole e medie imprese.

Le politiche dell’Unione europea 189

3. In che cosa consiste la politica dell’Unione per le imprese?

Riferimento normativo: art. 173 TFUE.

Evoluzione della politica:

— Trattato CE del ’57: assenza di competenza comunitaria in materia di politica industriale;

— primi interventi sulla base di altre politiche; — Trattato di Maastricht: ruolo di coordinamento dell’Unione delle azioni degli

Stati.

Elenco degli strumenti della politica:

— marchio comunitario; — ravvicinamento delle legislazioni; — società europea; — società cooperativa europea; — gruppo europeo di interesse economico;— enti di normalizzazione;— raccomandazione sulla definizione di imprese; — sostegno alla creazione di reti di PMI.

Articolazione della risposta

Differentemente dal Trattato CECA e Euratom, il Trattato CE non conferiva alla Comunità alcuna competenza di politica industriale, cioè di garantire alle imprese europee capacità strutturali e dimensioni tali da poter affrontare la concorrenza internazionale.

Le Istituzioni comunitarie, intervenivano sulle caratteristiche strutturali delle imprese indirettamente, attraverso l’utilizzo degli artt. 94 e 308 TCE (ora artt. 115 e 352 TFUE) e, principalmente, attraverso le regole in materia di concorrenza di imprese (art. 81 TCE) (ora art. 101 TFUE) e di abuso di posizione dominante (art. 82 TCE) (ora art. 102 TFUE), oltre che di quelle relative agli aiuti di Stato (artt. 87 e ss. TCE) (ora artt. 107 e ss. TFUE). A partire dagli anni ’70, tuttavia, la Commissione ha incominciato a farsi promotrice di azioni a sostegno delle imprese per aiutarle ad adeguarsi al mercato. Sulla scorta del cd. Memo-randum Colonna del 1970, intitolato «Principi ed orientamenti della politica industriale delle Comunità», il Consiglio ha emanato, il 17 dicembre 1973, una risoluzione che stabiliva un programma d’azione. Il 22 giugno 1978, nel cd. Rapporto Davignon, si trattavano le problematiche strutturali da affrontare per lo sviluppo dell’economia e dell’industria.In questo documento si faceva chiaro riferimento all’esigenza di procedere ad una politica industriale «attiva», fondata cioè su di una serie di sovvenzioni settoriali all’industria e stret-tamente collegata alla politica commerciale europea. Nel Libro bianco sul completamento del mercato interno del 1985, alla politica industriale si riconosceva un carattere strumentale al

Parte Sesta190

mercato interno. A partire da questo momento sono stati predisposti una serie di strumenti a favore della cooperazione transfrontaliera delle imprese (sono di questi anni la proposta di società per azioni europea e l’istituzione del Gruppo europeo di interesse economico, oltre diverse direttive in materia di diritto delle società) e si è introdotto un programma d’azione per le piccole e medie imprese.

Con il Trattato di Maastricht «il rafforzamento della competitività dell’in-dustria europea» è inserita tra le azioni indicate all’art. 3 TCE.

Il TFUE prevede un unico articolo (art. 173 TFUE) volto a disciplinare la politica industriale. L’articolo fornisce una propria base giuridica alla politica industriale, che mira ad assicurare la competitività dell’in-dustria dell’Unione. In questa prospettiva, si individuano gli obiettivi dell’azione comunitaria:

— «accelerare l’adattamento dell’industria alle trasformazioni strutturali;— promuovere un ambiente favorevole all’iniziativa ed allo sviluppo delle

imprese di tutta l’Unione, segnatamente delle piccole e medie imprese;— promuovere un ambiente favorevole alla cooperazione tra imprese;— favorire un migliore sfruttamento del potenziale industriale delle poli-

tiche d’innovazione, di ricerca e di sviluppo tecnologico».

Se gli Stati membri mantengono un ruolo preponderante nelle decisioni di politica industriale, la loro azione deve inquadrarsi nelle relazioni in-tergovernative in ambito dell’UE. Gli Stati sono, dunque, tenuti ad una reciproca consultazione, mentre alla Commissione è riservato il compito di promuovere tale coordinamento attraverso «ogni iniziativa utile» in tal senso. L’azione dell’Unione si realizza principalmente attraverso le altre politiche o azioni condotte nel quadro dei Trattati. Si riconferma, dunque, il carattere trasversale della politica industriale rispetto alle altre politiche dell’Unione e l’interdipendenza funzionale di queste.Per la realizzazione degli obiettivi di cui al paragrafo 1 dell’art. 173 TFUE, il Consiglio può adottare «misure specifiche, destinate a sostenere le azioni svolte negli Stati membri».L’articolo 173 TFUE conclude precisando che «il presente titolo non costitu-isce una base per l’introduzione da parte dell’Unione di qualsivoglia misura che possa generare distorsioni di concorrenza o che comporti disposizioni fiscali o disposizioni relative ai diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti».Si tiene, dunque, a puntualizzare che le misure adottate dagli Stati membri e dall’Unione devono essere compatibili con i principi, posti dai Trattati,

Le politiche dell’Unione europea 191

in materia di concorrenza e che la politica industriale dell’Unione non può costruirsi sul concetto di deroga, bensì puntare all’edificazione di una struttura industriale libera dalle influenze e dalle garanzie dell’intervento pubblico.

Tra la azioni intraprese dall’Unione a favore delle imprese possono annoverarsi:

1) il marchio dell’Unione europea, che consente loro di proteggere i propri prodotti; 2) le direttive volte al ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia societaria;3) l’istituzione, con regolamento (CE) 8-10-2001, n. 2157/2001, della Società europea

(SE), e la disciplina, con direttiva 8-10-2001, n. 86/2001, del coinvolgimento dei la-voratori negli organi direttivi;

4) l’introduzione, con il regolamento 22-7-2003, n. 1435/2003, della Società cooperativa europea (SCE), struttura societaria che ha per oggetto principale il soddisfacimento dei bisogni e/o la promozione delle attività economiche e sociali dei propri soci, in particolare mediante la conclusione di accordi con questi ultimi per la fornitura di beni o servizi o l’esecuzione di lavori nel quadro dell’attività che la SCE esercita o fa esercitare;

5) la creazione, con regolamento 25-7-1985, n. 2137/1985, del Gruppo europeo di interes-se economico (GEIE), organismo associativo dell’Unione finalizzato a consentire agli imprenditori europei lo svolgimento di iniziative economiche comuni, la realizzazione di proficui rapporti di cooperazione internazionale, nonché la partecipazione congiunta a gare di appalto per la realizzazione di opere pubbliche o private;

6) la creazione di enti di normalizzazione, volti alla definizione e al controllo del rispetto da parte delle imprese degli standard tecnici stabiliti a livello Europeo.

A partire dagli anni ’80, un’attenzione particolare è rivolta alle piccole e medie imprese PMI. Nel dicembre 1992 è stato istituito l’Osservatorio europeo per le piccole e medie imprese, che provvede alla diffusione delle informazioni necessarie allo sviluppo delle PMI nell’ambito del mercato interno.In particolare, si è proceduto a dare una nuova definizione di impresa, definendo tale «qualsiasi entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che svolga un’attività economica, incluse in particolare le entità che svolgono un’attività artigianale o altre attività a titolo indi-viduale o familiare, le società di persone o le associazioni che svolgono regolarmente un’attività economica».

Sono stati fissati, inoltre, nuovi parametri dimensionali, classificando adesso come:

— media impresa, quella che occupa meno di 250 persone, il cui fatturato non supera i 50 milioni di euro ovvero il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro;

Parte Sesta192

— piccola impresa, quella che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio non superiore a 10 milioni di euro;

— microimpresa, quella che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro.

Al fine di rendere competitive le PMI, sono state realizzate diverse reti di informazione ed assistenza fra cui:

— gli Eurosportelli (EIC);— i Centri di collegamento per l’innovazione (IRC);— l’European technology transfer network (ETTN).

Riveste poi particolare interesse l’Europartenariato volto ad incoraggiare la coopera-zione tra le piccole e medie imprese delle zone svantaggiate e con lo sviluppo industriale in declino.L’intervento dell’Unione si realizza attraverso l’organizzazione, in un paese membro dell’Unione, di incontri periodici (ogni due anni) tra le imprese del paese ospitante e imprese di paesi terzi che ne hanno fatto richiesta, in vista della conclusione di accordi di cooperazione.

4. In che cosa consiste la politica di ricerca e sviluppo?

Riferimento normativo: artt. 179-190 TFUE.

Articolazione della risposta

La disciplina della ricerca e dello sviluppo tecnologico scaturita dall’Atto Unico europeo rappresenta un punto di riferimento per quella attualmente in vigore, la quale ne ha ereditato la struttura incentrata su di un programma quadro per la ricerca a carattere pluriennale.Il Trattato sul funzionamento dell’Unione contempla 12 articoli TFUE dedicati alla ricerca (179-190 TFUE), di cui alcuni introdotti ex novo dal Trattato di Maastricht, altri riletti in una nuova versione.L’obiettivo proposto è quello di rafforzare le basi scientifiche e tecnologi-che dell’Unione con la realizzazione di uno spazio europeo della ricerca (European Research Area, ERA) nel quale i ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino liberamente, di favorire lo svilup-po della sua competitività, inclusa quella dell’industria europea, e di promuovere le azioni di ricerca ritenute necessarie.

Le politiche dell’Unione europea 193

In vista di tali scopi, l’articolo 180 TFUE dispone che l’Unione integri l’azione degli Stati membri e adotti una serie di misure volte a favorire:

a) l’attuazione di programmi di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostra-zione, promuovendo la cooperazione con e tra le imprese, i centri di ricerca e le università;

b) la promozione della cooperazione in materia di ricerca, sviluppo tecno-logico e dimostrazione dell’Unione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali;

c) la diffusione e valorizzazione dei risultati delle attività in materia di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione dell’Unione;

d) l’impulso alla formazione e alla mobilità dei ricercatori dell’Unione.

L’azione si svolge, come detto, attraverso i programmi quadro pluriennali (art. 182 TFUE), cui si ricollegano i programmi specifici. Il programma quadro fissa gli obiettivi da realizzare, indica, a grandi linee, le azioni da compiere, stabilisce il budget da impiegare e le quote rispettive per ciascu-na delle azioni previste. Esso è adottato dal Consiglio e dal Parlamento, secondo la procedura legislativa ordinaria. I programmi specifici, invece, sono adottati dal Consiglio secondo una pro-cedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale.Con la decisione n. 1982/2006/CE, adottata il 18 dicembre 2006 dal Par-lamento europeo e dal Consiglio, è entrato in vigore il settimo programma quadro comunitario in materia di ricerca e sviluppo tecnologico che si propone di realizzare, nel periodo 2007-2013, una serie di obiettivi volti a rilanciare la strategia di Lisbona, al fine di rendere l’Europa l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo.

L’intento è, essenzialmente, quello di accrescere la competitività del sistema produttivo europeo fino a far ricoprire a tale settore il 3% del PIL dell’Unione: a tale scopo, è stato stanziato un budget di 70 miliardi di euro, più del doppio del bilancio del sesto programma.

La riforma introdotta dal Trattato di Lisbona, infine, al fine di favorire il progresso tecnico e scientifico, la competitività industriale e l’attuazione delle politiche dell’Unione, ha previsto altresì una politica spaziale europea (art. 189 TFUE).Il programma spaziale europeo è adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria.

Parte Sesta194

5. In che cosa consiste la politica dell’Unione in materia am-bientale?

Riferimento normativo: artt. 191-193 TFUE.

Caratteristiche:

— obiettivi;— principi; — procedure; — settori di intervento.

Domande conseguenziali: politica comunitaria in materia di energia; coopera-zione comunitaria in materia di protezione civile.

Articolazione della risposta

La politica ambientale dell’Unione europea è costituita dall’insieme delle misure previste in ambito europeo a tutela dell’ambiente. Il termine ambiente è inteso in un’accezione ampia che comprende lo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali.

Il Titolo XX, attualmente in vigore, comprende gli articoli da 191 a 193 TFUE. In particolare:

— l’articolo 191 TFUE enuncia gli obiettivi ed i principi della politica ambientale dell’Unione europea;

— l’articolo 192 TFUE fa riferimento alla procedura da seguire per darvi esecuzione;

— l’articolo 193 TFUE prevede la facoltà accordata agli Stati membri di riconoscere all’ambiente una protezione maggiore rispetto a quella disposta dai Trattati.

Ai sensi del primo paragrafo dell’articolo 191 TFUE, gli scopi cui mirano le azioni dell’Unione nel settore dell’ambiente sono:

— la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente;— la protezione della salute umana;— l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali;— la promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i

problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale.

Le politiche dell’Unione europea 195

Il successivo paragrafo specifica che l’azione dell’Unione mira a garantire un elevato livello di tutela, tenendo però conto della diversità delle situazioni nelle varie Regioni dell’Unione. Secondo l’articolo 191 TFUE:

— il principio dell’azione preventiva, secondo il quale è necessario pre-disporre tutte le misure volte a prevenire eventi nocivi per l’ambiente;

— il principio della correzione (soprattutto alla fonte) dei danni ambientali, che impone, qualora si verifichi un evento pregiudizievole per l’ambiente, l’immediata rimozione della fonte di inquinamento ad esso connessa;

— il principio chi inquina paga, in base al quale chiunque produca un danno all’ambiente è tenuto a rimuoverne, a sue spese, gli effetti ed a provvedere al risarcimento in favore della collettività. La ratio è di far ricadere i costi di un’attività inquinante in capo al soggetto che l’ha posta in essere; in tal modo, il principio in questione costituisce un deterrente all’esercizio di atti potenzialmente dannosi per l’ambiente, che si estrinseca sia in misure ex ante che in misure ex post;

— il principio della precauzione prevede che, laddove sussista una minac-cia ad uno degli interessi tutelati dall’articolo 191 TFUE, siano adottate misure appropriate per impedire che questa si concretizzi.

Il principio di precauzione, differisce da quello dell’azione preventiva poiché ammette l’ado-zione di misure riparatorie anche in riferimento a circostanze la cui dannosità per l’ambiente non è scientificamente accertata. In effetti, pur non essendo in nessun caso giustificato un intervento arbitrario, il ricorso al principio di precauzione è ammesso nell’ipotesi di un rischio soltanto potenziale.

Nel predisporre la sua politica in materia ambientale l’Unione deve tener conto quali parametri di riferimento:

— dei dati scientifici e tecnici disponibili;— delle condizioni dell’ambiente nelle varie Regioni dell’Unione;— dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall’azione o dall’assenza

di azione;— dello sviluppo socioeconomico dell’Unione nel suo insieme e dello

sviluppo equilibrato delle sue singole Regioni (art. 191, par. 3, TFUE).

L’articolo 192 TFUE prescrive le procedure che devono essere adottate per i provvedimenti in materia di politica ambientale. Si distingue tra:

— azioni da intraprendere per realizzare gli obiettivi delineati dall’art. 191 TFUE. In questo caso il trattato stabilisce che le decisioni siano assunte secondo la procedura legislativa ordinaria (art. 294 TFUE);

Parte Sesta196

— disposizioni in particolari settori. Si tratta di alcuni casi, tassativa-mente elencati nel secondo paragrafo dell’articolo 192 TFUE, in cui il Consiglio deve deliberare all’unanimità secondo procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni;

— adozione di programmi d’azione generali. Tali programmi vanno anch’essi adottati secondo la procedura legislativa ordinaria (art. 294 TFUE).

L’articolo 193 TFUE attribuisce agli Stati membri la facoltà di andare oltre quanto disposto dal legislatore europeo, approntando all’ambiente una tutela maggiore di quella prevista dal diritto dell’Unione.L’articolo 193 TFUE fissa il limite del potere degli Stati di prevedere tutela rafforzata dell’ambiente nella compatibilità dei provvedimenti nazionali con i Trattati UE e FUE. Ciò significa che le misure predisposte in ambito statale a tutela dell’ambiente non possono spingersi al punto da negare una delle libertà previste dai Trattati, introducendo, ad esempio, misure discri-minatorie a carico di beni o servizi provenienti da un altro paese membro.

Il documento fondamentale per l’attuazione delle politiche dell’Unione in materia ambientale è costituito dal programma d’azione, periodicamente varato dalle istituzioni per delineare le strategie dell’azione UE nel rispetto dei principi stabiliti dal Trattato. Il programma attualmente vigente (adottato con decis. 1600/2002 del 22 luglio 2002), che resterà in vigore fino al 2012, è il «sesto» e ha indicato quattro priorità:

— stabilizzazione delle fonti responsabili del cambiamento climatico (gas ad effetto serra);

— tutela della natura e della diversità biologica;— riduzione dell’inquinamento ambientale;— miglioramento nella gestione delle risorse naturali e dei rifiuti.

La valenza trasversale della tutela ambientale rispetto all’insieme delle po-litiche dell’Unione ha portato alla riforma, dell’art. 11 TFUE, per il quale, in sostanza tutte le politiche e azioni dell’Unione debbono tener conto delle esigenze connesse alla salvaguardia dell’ambiente, soprattutto nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile, vale a dire una forma di progresso economico tale da non alterare il delicato equilibrio ambientale.La definizione di sviluppo sostenibile, è contenuta, nel rapporto Brundt-land del 1987 che, preso atto che le risorse esistenti in natura sono limitate, ha affermato l’idea di uno sviluppo che garantisca i bisogni delle generazioni

Le politiche dell’Unione europea 197

attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future siano in condizione di soddisfare i propri.In vista della realizzazione di siffatto principio sono state previste, da parte delle autorità dell’Unione europea, una serie di misure che si sono tradotte in un organico piano di intervento.

5 bis. Esiste una politica europea dell’energia?

Le problematiche insorte negli ultimi anni sulla fornitura di gas naturale hanno reso evidente la vulnerabilità dell’Europa nel settore dell’energia rendendo urgente lo sviluppo di una politica comune che garantisca all’UE la sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Pertanto, il nuovo Trattato ha introdotto una nuova base giuridica che consen-te esplicitamente all’Unione di intervenire nel settore dell’energia (art. 194 TFUE). All’insegna del principio di solidarietà e in considerazione dell’esigen-za di preservare e migliorare l’ambiente tra Stati membri, l’azione dell’Unione in tale nuovo ambito è tesa a garantire il funzionamento del mercato dell’ener-gia e la sicurezza dell’approvvigionamento energetico nell’Unione, nonché a promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica, lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili e l’interconnessione delle reti energetiche.Già in precedenza si era avvertita comunque l’esigenza che l’Unione elabo-rasse in tale settore una politica comune stante l’importanza fondamentale che la questione energetica rivestiva nel processo di integrazione. In tale senso un passo importante fu compiuto con la pubblicazione, nel gennaio 1995, del Libro verde con il quale la Commissione ha provveduto a delineare i tre principali obiettivi verso cui devono tendere gli Stati membri nell’elaborazione di una politica energetica comune: assicurare la sicu-rezza dell’approvvigionamento, promuovere la tutela dell’ambiente e garantire la sicurezza dei consumatori.

Il Libro bianco, pubblicato dalla Commissione nel dicembre dello stesso anno, ha poi provveduto a tradurre questi obiettivi in veri e propri orienta-menti per la politica energetica. Questo documento, intitolato «Una politica energetica per l’Unione europea», ha proposto un programma d’azione da realizzarsi attraverso i seguenti interventi strategici:

— l’integrazione del mercato energetico, con la fissazione di un quadro politico generale tenendo conto delle differenze strutturali del mercato dell’energia all’interno degli Stati membri;

Parte Sesta198

— il sostegno dello sviluppo durevole, attraverso la compatibilità degli obiettivi energetici e di quelli ambientali;

— la promozione della ricerca e delle tecnologie avanzate, allo scopo di contribuire alla diffusione delle fonti energetiche alternative, allo sviluppo durevole e alla riduzione dei consumi;

— la gestione della dipendenza energetica, allo scopo di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti.

Dopo la strategia delineata nel libro verde del 2000 in base alla quale l’Unione si prefigge di orientare i consumatori verso un uso dell’energia più razionale e rispettoso dell’ambiente e ad incentivare energie nuove e rinnovabili, nel 2007 viene approvato un piano d’azione per una «Politica Energetica per l’Europa»; dove sono definiti tre obiettivi della politica energetica europea: sostenibilità, competitività e sicurezza delle forniture. Fra gli strumenti elaborati nel quadro della politica energetica durante gli anni ‘90, riveste una particolare importanza l’adozione della Carta europea dell’energia, un documento informale sottoscritto nel 1991 da 51 Stati e contenente i principi fondamentali che i paesi firmatari dovrebbero osservare per consentire la creazione di un libero mercato delle risorse energetiche, attraverso il miglioramento delle possibilità di accesso all’energia ed un più efficiente sistema di produzione, impiego e trasporto.I principi enunciati nella Carta sull’energia sono stati tradotti in disposi-zioni normative vincolanti contenute nel Trattato sulla Carta europea dell’energia, firmato il 17 dicembre 1994 a Lisbona.

Il Trattato di Lisbona contiene il Titolo XXI, Energia, che introduce una specifica politica europea dell’energia, fondata sul principio della solida-rietà tra gli Stati membri in caso di crisi energetica. Lo scopo della politica energetica è quello di:

— garantire il funzionamento del mercato dell’energia;— garantire la sicurezza dell’approvigionamento energetico nell’UE;— promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo

di energie rinnovabili;— promuovere l’interconnessione delle reti energetiche.

Tali obiettivi (art. 194, par. 1 TFUE) sono conseguiti mediante misure stabilite dal Parlamento europeo e dal Consiglio, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria, previa consultazione del Comitato eco-nomico e sociale e del Comitato delle regioni.

Le politiche dell’Unione europea 199

5 ter. In che cosa consiste la cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione nel settore della protezione civile?

La cooperazione avviata in ambito europeo nel settore della protezione civile che a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona trova ora una propria base giuridica nell’art. 196 TFUE. L’intervento dell’Unione in tale ambito è finalizzato ad incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri al fine di rafforzare l’efficacia dei sistemi di prevenzione e di protezione dalle calamità naturali o provocate dall’uomo.

L’azione dell’Unione è intesa a:

a) sostenere e completare l’azione degli Stati membri a livello nazionale, regionale e locale concernente la prevenzione dei rischi, la preparazione degli attori della protezione civile negli Stati membri e l’intervento in caso di calamità naturali o provocate dall’uomo all’interno dell’Unione;

b) promuovere una cooperazione operativa rapida ed efficace all’interno dell’Unione tra i servizi di protezione civile nazionali;

c) favorire la coerenza delle azioni intraprese a livello internazionale in materia di protezione civile.

Si tratta, in sostanza, di migliorare la cooperazione tra i diversi servizi nazionali e prevedere forme permanenti di collaborazione che possono risultare estremamente utili in situazioni di emergenza o quando si è in presenza di disastri che coinvolgono più Stati.

6. In che cosa consiste la politica sociale dell’Unione europea?

Riferimento normativo: artt. 151 ss. TFUE.

Evoluzione della politica:

— Trattati originari: assenza di un quadro normativo unitario; — AUE: semplificazione iter di adozione degli atti; — Trattato di Maastricht: Protocollo a 11 Stati;— Trattato di Amsterdam: inclusione del Protocollo nel Trattato e previsione

della politica di occupazione; — Trattato di Nizza: semplificazione delle procedure decisionali.

Caratteristiche:

— complementarietà dell’azione dell’UE;

Parte Sesta200

— misure dell’UE:

a) misure volte ad incentivare la cooperazione tra Stati; b) standard minimi;

— procedure;— nuova agenda sociale europea: obiettivo solidarietà e obiettivo prosperità; — settori di intervento.

Domande conseguenziali: politica di occupazione; formazione professio-nale.

Articolazione della risposta

La politica dell’occupazione e la politica sociale sono tra di loro stretta-mente connesse; la prima, infatti, comprende l’insieme delle misure volte a favorire l’impiego dei membri di una comunità in attività che concorrano al benessere della società, in base alle loro inclinazioni. La seconda, inve-ce, attiene alle modalità in cui quest’attività viene svolta, occupandosi, in particolare, di tutelare e salvaguardare gli interessi dei lavoratori (si pensi, ad esempio, alle disposizioni in tema di salubrità dell’ambiente di lavoro, di divieto di discriminazione ecc.).

Il Trattato di Roma, pur prevedendo una serie di disposizioni relative alla politica sociale (in particolare, in materia di sicurezza dei lavoratori e di pari opportunità tra uomini e donne), era privo di un impianto normativo che disciplinasse compiutamente tale ambito. Un primo impulso ad una più incisiva politica sociale si è avuto con l’approvazione dell’Atto unico europeo, che ha semplificato l’iter per l’adozione degli atti comunitari in questo settore, prevedendo una procedura di cooperazione in sostituzione della decisione unanime del Consiglio precedentemente prescritta.Lo stesso Trattato ha tentato di ampliare e sviluppare il dialogo tra le parti sociali a livello europeo, prefigurando la stipula di contratti collettivi di lavoro, applicabili su tutto il ter-ritorio comunitario.Tali novità, tuttavia, non hanno prodotto gli effetti sperati; infatti, nonostante la loro entrata in vigore, la politica sociale europea stentava a decollare. Per questo motivo, durante i lavori preparatori del Trattato di Maastricht, si è deciso di ampliare notevolmente la dimensione sociale della Comunità, estendendo le sue competenze anche a settori fino ad allora esclusi. Tale decisione ha incontrato, però, la netta opposizione del governo inglese, fortemente determinato a contrastare qualsiasi intervento comunitario in questo campo.La contrapposizione è stata superata solo attraverso l’aggiunta, al Trattato comunitario rimasto invariato, di un accordo sulla politica sociale (APS), sottoscritto da 11 Stati (pra-ticamente da tutti i paesi all’epoca membri della Comunità, escluso il Regno Unito), che, sostanzialmente, introduceva una disciplina parallela (e molto più dettagliata) in materia sociale che si aggiungeva a quella contenuta negli articoli del Trattato. Con il Trattato di Amsterdam, si è provveduto a trasfondere il contenuto dell’Accordo sulla politica sociale

Le politiche dell’Unione europea 201

nei nuovi articoli da 136 a 145 TCE ed è stato contestualmente abrogato il Protocollo n. 14, che conteneva, le disposizioni adottate a Maastricht.Il Trattato di Amsterdam è andato oltre la politica sociale, introducendo una serie di dispo-sizioni relative all’occupazione (contenute negli articoli da 125 a 130 TCE) e colmando una lacuna del Trattato, che nulla prevedeva al riguardo. Del tutto marginali, invece, le modifiche apportate dal Trattato di Nizza, che ha semplificato le procedure decisionali, aggiunto nuovi settori di intervento e istituzionalizzato il ruolo del Comitato per la protezione sociale.

La disciplina della politica sociale comunitaria è contenuta nel titolo X del TFUE; in particolare, l’art. 151 detta i principi cardine della materia, indicando, al primo comma, gli obiettivi da raggiungere.Ai sensi di tale disposizione, la politica sociale dell’Unione europea è volta a realizzare la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione.

Nel comma 3 del citato articolo si precisa che il conseguimento di tali obiettivi sarà il risultato di un’azione fondata su due pilastri:

— il funzionamento del mercato comune, che favorirà l’armonizzarsi dei sistemi sociali;

— l’utilizzo delle procedure previste dai Trattati e il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative.

L’art. 152 TFUE prevede che l’Unione riconosce il ruolo delle parti sociali in materia di politica sociale, tenendo conto della diversità dei sistemi na-zionali e facilitando il dialogo tra tali parti, nel rispetto della loro autonomia.L’articolo 153 TFUE precisa che, nel condurre la politica sociale, l’Unio-ne sostiene e completa l’azione degli Stati membri. In applicazione del principio di sussidiarietà, pertanto, l’intervento dell’Unione ha carattere complementare rispetto alla politica degli Stati membri e mira a realizzare una base di diritti sociali fondamentali che sia riconosciuta nell’ambito dell’intero territorio dell’UE.

Entrando in dettaglio, l’articolo 153 TFUE individua gli specifici settori di intervento comunitario:

a) miglioramento, in particolare, dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori;

b) condizioni di lavoro;c) sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori;

Parte Sesta202

d) protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro;e) informazione e consultazione dei lavoratori;f) rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro,

compresa la cogestione, fatto salvo quanto previsto dal paragrafo 5 che esclude qualsiasi tipo di intervento in materia di retribuzioni, diritto di associazione, diritto di sciopero e diritto di serrata;

g) condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel ter-ritorio dell’Unione;

h) integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro, fatto salvo l’articolo 166 TFUE;

i) parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed il trattamento sul lavoro;

j) lotta contro l’esclusione sociale;k) modernizzazione dei regimi di protezione sociale, fatto salvo quanto già previsto dalla

lettera c) in materia di sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori.

In tali settori il Consiglio e il Parlamento europeo possono:

— adottare misure destinate ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri attraverso iniziative volte a migliorare la conoscenza, a sviluppare gli scambi di informazione e di migliori prassi, a promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze fatte, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri;

— prevedere, mediante direttive, le prescrizioni minime applicabili progressivamente. Tale facoltà è esclusa per l’azione nel settore della lotta contro l’esclusione sociale e la modernizzazione dei regimi di protezione sociale.

L’emergere, in materia sociale, di una disciplina UE organica ha determinato la necessità di delineare una strategia comune, pianificando gli obiettivi da raggiungere e le azioni da intraprendere a tal fine. Ciò ha portato all’approvazione, nel corso del Consiglio europeo di Nizza del 10 dicembre 2000, dell’Agenda sociale europea che rappresenta una tappa fondamentale nello sviluppo della dimensione sociale ed economica dell’Unione.E a seguito di quella adottata il 9 febbraio 2005, è stata rinnovata il 2 lu-glio 2008, completando per il periodo 2008-2010 la strategia di Lisbona.L’agenda sociale rinnovata, adottata il 2 luglio 2008, completa per il periodo 2008-2010 la strategia di Lisbona, al fine di rispondere più adeguatamente alle sfide economiche del XXI secolo. L’esigenza è quella di non limitarsi alle questioni tradizionali della politica sociale ma affrontare una serie di problematiche connesse alle politiche del mercato del lavoro, dell’istruzione, della salute, dell’immigrazione e afferenti al dialogo interculturale.

Le politiche dell’Unione europea 203

L’agenda sociale rinnovata che comprende una serie di iniziative in tema di occupazione, affari sociali, istruzione e giovani, affari sociali e società dell’informazione, è strutturata su tre obiettivi prioritari:

— opportunità: significa creare un’occupazione di migliore qualità e accre-scere il benessere, facilitare la mobilità, combattere la discriminazione, favorire l’eguaglianza, sostenere le famiglie e lottare contro la povertà e l’esclusione sociale;

— accesso: si tratta di facilitare l’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria, ai servizi sociali d’interesse generale;

— solidarietà: si tratta di proporre azioni per combattere la povertà, l’esclusione sociale e per aiutare le persone adeguarsi ai cambiamenti tecnologici e alla globalizzazione.

Tali obiettivi sono realizzati attraverso le proposte, il dialogo sociale, i finanziamenti europei e la cooperazione tra gli Stati membri

6 bis. In che cosa consiste la politica di occupazione?

L’azione dell’Unione in tale settore deve sostanzialmente limitarsi a pro-muovere il coordinamento delle politiche intraprese dai singoli Stati membri, i quali restano i soli titolari dell’avvio di politiche occupazionali, come, del resto, è esplicitamente affermato nell’articolo 147 TFUE (sono … rispettate le competenze degli Stati membri). All’Unione spetta unicamente il compito di promuovere la cooperazione e di intraprendere politiche di sostegno e di integrazione alle azioni degli Stati membri.Ai sensi del nuovo art. 5 si chiarisce che «l’Unione prende misure per as-sicurare il coordinamento delle politiche occupazionali degli Stati membri, in particolare definendo gli orientamenti per dette politiche».

L’attività di coordinamento passa attraverso le seguenti fasi:

— un primo esame della situazione occupazionale è svolto dal Consiglio europeo, che adotta le relative conclusioni;

— su questa base il Consiglio elabora, annualmente, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale, del Comitato delle Regioni e del Comitato per l’occupazione, gli orientamenti generali sull’occupazione, di cui devono tener conto gli Stati membri nell’elaborazione delle rispettive politiche in materia;

— gli Stati membri presentano annualmente al Consiglio e alla Commissione un rapporto, il Piano d’azione nazionale (PAN), nel quale illustrano le concrete iniziative intraprese per dare attuazione agli orientamenti decisi dal Consiglio. Tali Piani sono esaminati dalla

Parte Sesta204

Commissione che, oltre a ricavare proposte per migliorare la strategia europea in materia di occupazione, evidenzia alcune politiche nazionali che sono risultate particolarmente efficaci, suggerendole come esempi di «buona pratica», anche ad altri Stati;

— il Consiglio su raccomandazione della Commissione, se lo considera opportuno, può rivolgere raccomandazioni agli Stati membri.

Inoltre, il Consiglio e il Parlamento europeo, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Re-gioni, possono adottare misure volte a sviluppare gli scambi d’informazione e delle migliori prassi, a fornire analisi comparative e indicazioni, nonché a promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze realizzate, in particolare mediante il ricorso a progetti pilota; si tratta delle cosiddette azioni di sostegno e di integrazione previste dall’art. 149 TFUE.

L’articolo 150 TFUE dispone l’istituzione di un Comitato per l’occupazione, cui spetta il compito di:

— monitorare la situazione dell’occupazione, soffermandosi, in particolare, sulle politiche approntate in tale ambito dagli Stati membri e dall’Unione;

— formulare pareri (di propria iniziativa o su richiesta del Consiglio o della Commissione) e contribuire alla preparazione dei lavori del Consiglio in materia occupazionale.

Il Comitato è formato da due rappresentanti di ciascuno Stato membro e da due membri nominati dalla Commissione.

La politica europea dell’occupazione si fonda su una serie di orientamenti, che si basano su tre pilastri:

a) il primo pilastro si identifica nel cosiddetto processo di Lussemburgo. Con una decisione alquanto anomala, gli Stati membri anticiparono l’ap-plicazione delle norme introdotte dal Trattato di Amsterdam in materia di occupazione; essi, infatti, decisero di dare esecuzione a tali principi prima ancora che lo stesso Trattato entrasse in vigore.

A tal fine, il 20-21 novembre 1997, fu convocato, a Lussemburgo, un Consiglio europeo straordinario, interamente dedicato alle problematiche del lavoro e, nel corso di questo, si elaborarono i primi orientamenti in materia;

b) il secondo pilastro della politica europea dell’occupazione rientra nel processo di Cardiff. I capi di Stato e di Governo, nel corso del Consiglio tenutosi nel 1998 nella località scozzese, individuarono nella crescita economica un elemento fondamentale per un aumento duraturo dell’oc-cupazione; perché si raggiungesse lo scopo prefissato era necessario che si approntasse una serie di profonde riforme economiche, volte a migliorare la competitività e il funzionamento dei mercati delle merci, dei servizi e dei capitali;

Le politiche dell’Unione europea 205

c) il terzo pilastro della strategia europea sull’occupazione, detto processo di Colonia, è stato elaborato nel corso del Consiglio tenutosi nella città tedesca il 3-4 giugno 1999 e si incentra sul cd. dialogo macroeconomico. Lo scopo era quello di avviare un forum di consultazione permanente nel quale le parti sociali, i rappresentanti del Consiglio e i responsabili della politica monetaria, con la partecipazione della Commissione, potessero scambiare idee su come ritengono possibile realizzare un dosaggio di politiche che promuovano la crescita e l’occupazione senza, tuttavia, dar vita a fenomeni inflazionistici.

Sempre nel corso del Consiglio di Colonia, si è provveduto a dare una cornice unitaria a tutte le strategie europee in materia di lavoro attraverso l’approvazione del Patto europeo per l’occupazione. Questo documento rappresenta la sintesi delle diverse azioni avviate dalla Comunità in questo settore dopo la firma del Trattato di Amsterdam. Gli obiettivi delineati nel corso dei precedenti vertici hanno trovato una compiuta definizione con l’approvazione, nel corso del Consiglio tenutosi nel marzo del 2000, della cosiddetta strategia di Lisbona.Tale espressione indica il piano d’azione adottato nella capitale portoghese che si pone l’obiettivo di trasformare l’Unione europea, entro il 2010, in un’«eco nomia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale» (così si esprimeva la Presidenza nelle sue conclusioni).Il 17 giugno 2010 il Consiglio europeo ha adottato una nuova strategia per l’Europa denominata «Europa 2020 (UE2020)» che rappresenta la prosecuzione della strategia di Lisbona (ormai giunta al termine nel 2010) pur differenziandosi dalla stessa in virtù delle nuove sfide che l’Unione è chiamata ad affrontare per uscire dalla crisi e per garantire una crescita sostenibile nel futuro.Il programma UE 2020 è concentrato, infatti, su quegli ambiti di intervento chiave che possono migliorare la collaborazione tra l’Unione e gli Stati membri e rilanciare l’economia dell’Unione. In particolare, al fine di pro-muovere la crescita per tutti i membri dell’Unione la nuova strategia può essere modulata in funzione dei punti di partenza e delle specificità nazionali tenendo conto dei diversi livelli di sviluppo e delle diverse esigenze degli Stati dell’Unione.

Parte Sesta206

In tale nuovo quadro strategico, la Commissione ha individuato tre motori di crescita dell’Europa, da realizzare mediante azioni concrete a livello europeo e nazionale:

— crescita intelligente (promuovendo la conoscenza, l’innovazione, l’istru-zione e la società digitale);

— crescita sostenibile (rendendo la produzione dell’Europa più efficiente sotto il profilo delle risorse e rilanciando contemporaneamente la com-petitività dell’UE);

— crescita inclusiva (incentivando la partecipazione al mercato del lavoro, l’acquisizione di competenze e la lotta alla povertà).

Al fine di raggiungere tali obiettivi la Commissione ha posto i cinque se-guenti traguardi che l’Unione dovrebbe raggiungere entro il 2020:

— il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro;

— il 3% del PIL dell’Unione deve essere investito in ricerca e sviluppo;— i traguardi “20/20/20” in materia di clima/energia devono essere rag-

giunti;— il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno

il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma;— riduzione del 25% del tasso di povertà portando più di 20 milioni di

persone fuori dal rischio di povertà.

6 ter. In che cosa consiste la politica dell’Unione europea in materia di formazione professionale?

La politica di formazione professionale è diretta a migliorare, nell’ambi-to degli Stati membri, la qualità di quelle forme di insegnamento che preparano all’esercizio di una determinata professione.L’intervento dell’Unione in tale settore si svolge mediante l’impiego dei fondi strutturali e, in particolare, del Fondo sociale europeo, cui vanno ad affiancarsi numerosi programmi specifici di incentivazione e sostegno.Il Trattato di Lisbona, infatti, all’art. 166 TFUE, prevede che tale materia sia oggetto di una serie di iniziative comunitarie tese al completamento dell’azione degli Stati membri, nel pieno rispetto delle responsabilità nazionali in merito al contenuto e all’organizzazione della formazione professionale.

Le politiche dell’Unione europea 207

L’impegno dell’Unione è essenzialmente volto al perseguimento dei se-guenti obiettivi:

— a facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale;

— a migliorare la formazione professionale iniziale e la formazione per-manente, per agevolare l’inserimento e il reinserimento professionale sul mercato del lavoro;

— a facilitare l’accesso alla formazione professionale ed a favorire la mo-bilità degli istruttori e delle persone in formazione, in particolare dei giovani;

— a stimolare la cooperazione in materia di formazione tra istituti di inse-gnamento o di formazione professionale e imprese;

— a sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di formazione degli Stati membri.

Il Trattato esclude esplicitamente qualsiasi misura volta ad armonizzare le disposizioni legislative e regolamentari adottate in materia a livello nazionale.

7. In che cosa consiste la politica di istruzione e cultura?

Riferimento normativo: artt. 165 e 167 TFUE.

Caratteristiche:

— obiettivo: valorizzazione del patrimonio culturale europeo; — azioni: istruzione e cultura;— articolazione in programmi.

Articolazione della risposta

Le azioni dell’Unione nel settore dell’istruzione, della cultura e della diffusione dei mezzi di comunicazione sono ricollegabili all’obiettivo di valorizzare il patrimonio culturale europeo. Essa opera su diversi fronti:

— nell’ambito dell’istruzione, incentiva la cooperazione fra istituti di insegnamento, favorisce la mobilità degli studenti e degli insegnanti, incoraggia lo scambio di informazioni ed esperienze e promuove l’ap-prendimento di altre lingue europee;

— nell’ambito della cultura, favorisce la conoscenza e la diffusione tra i cittadini del patrimonio culturale europeo, attraverso diverse azioni

Parte Sesta208

(restauro architettonico, promozione dei libri e della lettura, incentivi alla diffusione di opere e artisti etc.).

Nel settore delle telecomunicazioni e dell’audiovisivo incentiva una mag-giore apertura e favorisce la cooperazione tra diversi operatori europei.La politica dell’istruzione ha trovato una specifica base giuridica, nell’am-bito del diritto dell’Unione, solo con il Trattato di Maastricht.L’art. 165 TFUE prevede che l’Unione deve contribuire allo sviluppo di un’istruzione di qualità nel pieno rispetto delle diversità linguistiche e culturali degli Stati membri.

L’intervento dell’Unione mira al perseguimento dei seguenti obiettivi:

— sviluppare la dimensione europea dell’istruzione, con particolare riguar-do all’apprendimento e alla diffusione delle lingue negli Stati membri;

— incoraggiare la mobilità degli studenti e degli insegnanti, anche attra-verso la promozione del riconoscimento accademico delle lauree e dei diplomi;

— favorire la cooperazione fra gli istituti di insegnamento;— agevolare lo scambio di informazioni e di esperienze fra gli Stati

membri sui problemi inerenti i sistemi di insegnamento;— sostenere lo sviluppo dell’istruzione a distanza;— favorire lo sviluppo degli scambi di giovani e di animatori di attività

socio-educative e a incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita democratica dell’europa;

— sviluppare la dimensione europea dello sport.

L’azione dell’Unione incentiva la cooperazione tra gli Stati membri e, se necessario, sostiene ed integra la loro azione.Accanto alle azioni in materia di istruzione sono previste quelle in materia di cultura, a cui il Trattato di Lisbona dedica un titolo specifico, il XIII.L’articolo 6 del TUE prevede che l’Unione ha competenza per svolgere azioni, tra gli altri, nel settore relativo alla cultura.Ai sensi dell’articolo 167 TFUE, inoltre, l’Unione assume un ruolo attivo per promuovere, nel rispetto delle diversità nazionali e regionali, la specificità culturale europea e valorizzare il retaggio culturale comune.

L’azione dell’UE, volta ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare ed integrare la loro azione, è diretta:

— al miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei;

Le politiche dell’Unione europea 209

— alla conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea;

— all’incentivazione di scambi culturali non commerciali;— alla tutela della creazione artistica e letteraria, compreso il settore au-

diovisivo.

In vista di tali obiettivi, sono state individuate quattro grandi aree di in-tervento:

— tutela del patrimonio architettonico, attraverso l’avvio di progetti pilota e il finanziamento di lavori sul restauro di monumenti e siti europei di grande valore storico;

— promozione della creatività culturale e artistica;— promozione dei libri e della lettura, attuata mediante il sostegno a progetti

di cooperazione e alla traduzione contemporanea;— promozione del settore audiovisivo europeo.

In questo settore è attualmente operativo il programma Cultura, disciplinato dalla decisione n. 1855/2006/CE e valido per il periodo 2007-2013. Al fine di valorizzare la ricchezza, la diversità e le caratteristiche comuni delle culture europee per il rafforzamento delle identità locali e dell’integrazione europea è stata istituita l’azione comunitaria Capitale europea della cultura, valida per il periodo dal 2005 al 2019 (cfr. ora decisione n. 1622/2006/CE). L’azione designa, annualmente e a rotazione, delle città (indicate da ogni Stato membro ad intervalli regolari), quali capitali europee della cultura.

Sezione SestaLa PESC e la PSDC

1. Quali sono le caratteristiche della politica estera e di sicurezza comune (PESC)?

Riferimento normativo: artt. 23-41 TUE.

Evoluzione della politica:

— Trattato di Maastricht: PESC come secondo pilastro dell’Unione europea;— Trattato di Lisbona.

Caratteristiche:

— principi;— obiettivi: mantenimento della pace e garanzia di sicurezza;

Parte Sesta210

— quadro istituzionale: prevalenza del ruolo del Consiglio europeo e del Consi-glio, marginalità di Commissione e Parlamento, assenza di ruolo della Corte di giustizia, Alto rappresentante.

Articolazione della risposta

Sin dalla sua fondazione, l’ordinamento europeo ha progressivamente esteso il proprio campo d’azione con il consapevole obiettivo di passare da una comu-nità di tipo essenzialmente economico ad una vera e propria Unione politica.Tappa fondamentale di questo processo è stata la firma del Trattato di Maastricht il 7 febbraio 1992, che ha introdotto, oltre alla cooperazione nell’ambito della giustizia e degli affari interni (GAI), una politica estera e di sicurezza comune (PESC).L’assenza di strumenti efficaci per garantire un’azione europea coesa sulla scena internazionale e far fronte alla nuove sfide globali ha spinto i Paesi membri ad un ripensamento generale dell’impianto istituzionale disegnato a Maastricht, che si è tradotto, con la firma del Trattato di Lisbona, in una complessiva razionalizzazione dell’azione esterna dell’Unione europea.I riferimenti normativi relativi alla PESC sono contenuti nel TFUE il cui Titolo V “Disposizioni generali sull’azione esterna dell’Unione e dispo-sizioni specifiche sulla Politica estera e di sicurezza comune” contiene il Capo I titolato “Disposizioni generali sull’azione esterna dell’Unione” ed il Capo II con le “Disposizioni specifiche sulla Politica estera e di sicurez-za comune”. Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, invece, disciplina tutte le politiche affini alla PESC.

L’art. 21, par. 1 TUE elenca i principi su cui si fonda l’azione dell’Unione sulla scena internazionale, vale a dire il rispetto:

— della democrazia;— dello Stato di diritto;— dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;— della dignità umana;— dei principi di uguaglianza e di solidarietà;— dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.

Il paragrafo 2 dello stesso articolo elenca invece gli obiettivi che l’Unione europea si prefigge di raggiungere mediante la sua azione esterna, vale a dire:

— salvaguardare i valori, gli interessi fondamentali, la sicurezza, l’indi-pendenza e l’integrità della stessa UE;

Le politiche dell’Unione europea 211

— sostenere la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo e i principi del diritto internazionale;

— preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza interna-zionale;

— favorire lo sviluppo sostenibile dei paesi in via di sviluppo;— incoraggiare l’integrazione di tutti i paesi nell’economia mondiale;— preservare e migliorare la qualità dell’ambiente e la gestione sostenibile

delle risorse naturali mondiali;— aiutare le popolazioni e le regioni colpite da calamità naturali;— promuovere una cooperazione multilaterale rafforzata e il buon governo

mondiale.

Nel quadro degli obiettivi e dei principi che informano l’azione esterna dell’Unione, questa conduce, stabilisce e attua una politica estera e di sicurezza comune sullo sviluppo della reciproca solidarietà politica degli Stati membri, sull’individuazione delle questioni di interesse generale e sulla realizzazione di un livello sempre maggiore di convergenza delle azioni di Stati membri (art. 24 TUE). Il quadro istituzionale della PESC risente di alcune novità introdotte dal Trattato di Lisbona, tra cui quella dell’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, nominato dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata, con l’accordo del presidente della Commissione (art. 18, par. 1 TUE). La funzione dell’Alto rappresentante consiste nel gui-dare la politica estera e di sicurezza dell’Unione, di contribuire, mediante proposte, all’elaborazione di detta politica e di assicurarne l’attuazione in qualità di mandatario del Consiglio (art. 18, par. 2 TUE). Esso presiede il Consiglio Affari Esteri (CAE), è uno dei vicepresidenti della Commissione e proprio in seno ad essa “è incaricato delle responsabilità che incombono a tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione”. Il Consiglio e la Commissione cooperano tra loro, assistiti dall’Alto rappresentante, al fine di assicurare la coerenza tra i vari settori dell’azione esterna dell’Unione e tra questi e le altre politiche (art. 21, par. 3, co. 2 TUE).La riforma introdotta dal Trattato di Lisbona, infatti, prevede che la PESC, e con essa tutta l’azione esterna dell’Unione europea, sia ricondotta in un unico contesto e sia assoggettata all’individuazione di interessi e obiettivi strategici dell’Unione ad opera del Consiglio europeo. Alla Commissione e all’Alto rappresentante è riconosciuta la possibilità di presentare proposte

Parte Sesta212

congiunte al Consiglio, in particolare la Commissione lo potrà fare per tutti i settori che rientrano nell’azione esterna dell’Unione; l’Alto rappresentante per il solo settore della politica estera e di sicurezza comune (art. 22 TUE). Al Parlamento europeo non è riconosciuta alcuna competenza in materia di politica estera e di sicurezza comune, eccetto la partecipazione a concludere accordi internazionali.Il compito di rappresentare l’Unione nelle sedi internazionali è attribuito dal Trattato di Lisbona all’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune (art. 27, par. 2 TUE). Questi, nelle materie rientranti nella PESC, conduce il dialogo politico con i paesi terzi a nome dell’Unione e ne esprime la posizione nelle organizzazioni internazionali e in seno alle conferenze internazionali. Nell’esercizio delle sue attività, l’Alto rappre-sentante si avvale di un servizio europeo per l’azione esterna, composto da funzionari dei servizi competenti del segretariato generale del Consiglio e della Commissione e da personale distaccato dai servizi diplomatici na-zionali. Il funzionamento e l’organizzazione del servizio europeo è stabilito dal Consiglio mediante una decisione (art. 27, par. 3 TUE).

Il Trattato di Lisbona ha previsto l’adozione di un’unica procedura deci-sionale con il superamento della vecchia distinzione tra posizioni comuni, azioni comuni e strategie comuni. In particolare il nuovo TUE prevede l’adozione di decisioni mediante le quali vengono definiti:

a) gli orientamenti generali;b) le azioni da intraprendere;c) le posizioni da assumere;d) le modalità di attuazione delle decisioni.

Gli interessi strategici, gli orientamenti generali e gli obiettivi della PESC sono stabiliti dal Consiglio europeo che a tal fine adotta le decisioni ne-cessarie. Conformemente ad essi, il Consiglio elabora la politica estera e di sicurezza comune e prende le decisioni necessarie per la definizione e l’attuazione di tale politica.Nonostante le importanti novità introdotte, il Trattato di Lisbona ha confer-mato il carattere sostanzialmente intergovernativo della PESC.L’art. 31 TUE prevede infatti che il Consiglio europeo e il Consiglio, per quanto riguarda le decisioni della PESC, votino all’unanimità. Con il Trat-tato di Amsterdam si è introdotto il meccanismo di astensione costruttiva, secondo il quale, qualora uno Stato motivi con una dichiarazione formale

Le politiche dell’Unione europea 213

la sua astensione, non è obbligato ad applicare la decisione, ma accetta che gli altri Stati deliberino.

È, però, previsto dallo stesso art. 31 TUE che il Consiglio possa votare a maggioranza qualificata:

— quando adotta una decisione che definisce un’azione o una posizione dell’Unione, sulla base di una decisione del Consiglio europeo sugli interessi e obiettivi strategici dell’Unione;

— quando adotta una decisione che definisce un’azione o una posizione dell’Unione in base a una proposta dell’Alto rappresentante;

— quando adotta decisioni relative all’attuazione di un’azione o una posi-zione;

— quando nomina un Rappresentate speciale.

Se, però, «un membro del Consiglio dichiara che, per specificati e vitali motivi di politica nazionale, intende opporsi all’adozione di una decisione che richiede la maggioranza qua-lificata, non si procede alla votazione». In tal caso l’Alto rappresentante cercherà, in stretta consultazione con lo Stato membro interessato, una soluzione accettabile per quest’ultimo. In mancanza di un risultato il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può chiedere che della questione sia investito il Consiglio europeo, affinché si pronunci all’unanimità.

2. Che cosa s’intende per politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC)?

Riferimento normativo: artt. 42-46 TUE.

Caratteristica principale: evidenziare che la politica di sicurezza e difesa co-mune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune.

Articolazione della risposta

L’art. 42 TUE stabilisce esplicitamente che la politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune e «comprende la graduale definizione di una po-litica di difesa comune dell’Unione che condurrà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, avrà così deciso». Qualora questa ipotesi si verificasse, il Consiglio europeo raccomanderà agli Stati membri di adottare una decisione in tal senso conformemente alle rispettive norme costituzionali.

Parte Sesta214

La volontà di avviare un processo di integrazione tra i Paesi europei anche in ambito politico-militare risale già al secondo dopoguerra, quando forti erano le preoccupazioni circa una rinascita militare tedesca e, soprattutto, un eventuale attacco da parte del blocco sovietico.Nel 1954 fu istituita a Parigi l’Unione dell’Europa occidentale (UEO) come mera strut-tura militare di raccordo tra Belgio, Olanda, Lussemburgo, Gran Bretagna, Francia, Italia e Repubblica federale tedesca; negli stessi anni, si propose di creare una vera e propria organizzazione militare di tipo continentale, capace di divincolarsi dalla supervisione politico-diplomatica che gli Stati Uniti già esercitavano in Europa attraverso la NATO: tale organizzazione, denominata Comunità europea di difesa (CED), fu dapprima istituita nel 1952, ma il suo trattato istitutivo non fui mai ratificato a causa della strenua opposizione francese.L’unica alleanza militare a carattere regionale in Europa è rimasta, per più di trent’anni, l’UEO, che ha sempre operato all’ombra della NATO senza alcun rilievo politico reale. Solo durante i negoziati per la firma del Trattato di Maastricht si è riaperto il dibattito sull’esi-genza di dotare l’allora Comunità europea di una struttura operativa di difesa, sfociato nella creazione della politica estera e di sicurezza comune (PESD) quale aspetto settoriale della più generale politica estera e di sicurezza comune.

Il Trattato di Amsterdam (1997) ha, poi, compiuto un ulteriore passo in avanti inserendo all’art. 17 del previgente TUE le cd. «Missioni di Petersberg», che il Consiglio dei Ministri dell’UEO aveva istituito nel 1992 in seno a tale organizzazione. Si trattava, in particolare, di:

— missioni umanitarie o di soccorso;— attività di mantenimento della pace;— missioni di unità di combattimento nella gestione della crisi, ivi comprese le missioni

tese al ristabilimento della pace.

Per svolgere e gestire autonomamente tali missioni, l’Unione europea è stata dotata di un primo nucleo operativo nel giugno 1999, in occasione del Consiglio europeo di Colonia che ha predisposto un corpo di 50-60.000 uomini in grado di essere schierato nell’arco di 60 giorni e di mantenere la posizione per almeno un anno.Con la riforma di Lisbona, infine, nell’ambito della politica di sicurezza e difesa comune (PSDC, così come ora denominata la politica europea di sicurezza e difesa) è stato previsto un ampliamento dello spettro delle missioni cui l’Unione può dare corso, includendo la possibilità di svolgere anche azioni congiunte in materia di disarmo, missioni di consulen-za ed assistenza in materia militare, missioni di prevenzione dei conflitti e stabilizzazione post-conflitto. Inoltre, tutte le missioni potranno contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche sotto forma di azioni di sostegno a Paesi terzi per contrastare il terrorismo nei loro territori (art. 43, par. 1, TUE).

La PSDC mira ad assicurare all’Unione i mezzi civili e militari necessari in missioni esterne per il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, in conformità ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L’esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri, che restano tuttavia su base volontaria.

Le politiche dell’Unione europea 215

Come la PESC, anche la PSDC mantiene il suo carattere peculiare nell’am-bito delle politiche UE, continuando ad essere governata dal principio dell’unanimità: ex art. 42, par. 4 TUE, infatti, le decisioni vengono deli-berate dal Consiglio con voto unanime su proposta dell’Alto rappresentante o su iniziativa di uno Stato membro, comprese quelle inerenti all’avvio di una missione.Ai sensi dell’art. 46 TUE, inoltre, i Paesi membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia possono instaurare una cooperazione strutturata permanente al fine di attuare le missioni più impegnative della PSDC.

Le cooperazioni strutturate permanenti rappresentano una forma di integrazione diffe-renziata introdotta dal Trattato di Lisbona in seno alla PSDC al fine di favorire lo sviluppo delle capacità militari europee di gestione delle crisi. Al fine di istituire una cooperazione di questo tipo, gli Stati devono notificare la loro intenzione al Consiglio e all’Alto rappre-sentante; entro tre mesi dalla notifica della richiesta, il Consiglio adotta una decisione a maggioranza qualificata dopo aver consultato l’Alto rappresentante, fissando anche l’elenco degli Stati membri partecipanti.

Le missioni avviate dall’Unione nella gestione internazionale delle crisi si svolgono sia in chiave di prevenzione dei conflitti, sia nelle situazioni post-conflitto. La loro realizzazione può essere affidata dal Consiglio ad un gruppo di Stati membri che lo desiderino e dispongano delle necessarie capacità, fermo restando il necessario accordo con l’Alto rappresentante per quanto riguarda la gestione di dette operazioni.Un’ulteriore novità introdotta dal nuovo TUE nel settore della PSDC è co-stituita dalla clausola di mutua assistenza (art. 42, par. 7, TUE), in virtù della quale se uno Stato membro subisce un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri saranno tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò tuttavia non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri, in particolare di quelli che fanno parte della Organizzazione del Trattato del Nord-Atlantico (NATO).

I principali attori della PSDC, oltre al Consiglio europeo e al Consiglio, sono:

— l’Alto rappresentante, che condivide con gli Stati il potere di propo-sta su questioni afferenti alla PSDC e provvede a coordinare, in stretto contatto con il comitato politico e di sicurezza (COPS), gli aspetti civili e militari delle missioni dell’UE;

Parte Sesta216

— il Comitato politico e di sicurezza (COPS) permanente, che deve garantire la direzione politica delle strutture di difesa comune;

— il Comitato militare dell’Unione europea (CMUE), composto dai Capi di Stato maggiore della difesa, che formula pareri e raccomandazioni sugli aspetti militari della PSDC e impartisce le proprie direttive allo Stato Maggiore dell’UE;

— lo Stato maggiore dell’Unione europea (EUMS), che fornisce con-sulenza e sostegno in campo militare alla politica di difesa comune, compresa l’esecuzione delle operazioni di gestione militare delle crisi sotto la guida dell’Unione.

Sezione SettimaGli altri settori dell’azione esterna dell’Unione

1. Che cos’è la personalità giuridica dell’Unione europea?

Riferimento normativo: art. 47 TUE.

Definizione: evidenziare che si tratta della capacità di essere destinatari di diritti e obblighi derivanti dal diritto internazionale.

Caratteristica principale: sottolineare che l’Unione gode di soggettività inter-nazionale.

Articolazione della risposta

Per personalità (o soggettività) giuridica internazionale si intende la capacità di essere destinatari di diritti e obblighi derivanti dal diritto internazionale.Se di tale capacità godono ormai a pieno titolo le organizzazioni interna-zionali, a maggior ragione essa è stata riconosciuta alle Comunità europee prima, e all’Unione poi, che si caratterizzano come ordinamenti in cui ai tradizionali elementi di cooperazione intergovernativa si alternano altri, straordinariamente innovativi, di sovranazionalità.In materia, l’art. 47 TUE, inserito dal Trattato di Lisbona, afferma laco-nicamente che «l’Unione ha personalità giuridica», senza però riferirsi espressamente alla personalità giuridica internazionale in quanto essa non

Le politiche dell’Unione europea 217

può essere imposta da un trattato a soggetti terzi, ma può scaturire soltanto dal concreto atteggiarsi dell’ordinamento internazionale.

Ne deriva che l’attribuzione della personalità giuridica all’Unione europea deve essere valutata alla luce del principio di effettività, ossia rintraccian-do quali prerogative proprie dei soggetti di diritto internazionale l’Unione eserciti di fatto. Da tale valutazione risulta che l’Unione gode della sog-gettività internazionale in quanto:

— è titolare del diritto di legazione attiva e passiva, potendo inviare i propri rappresentanti presso Stati membri, non membri e presso altre organiz-zazioni, nonché ricevere i rappresentanti di questi ultimi;

— è immune dalla giurisdizione dello Stato territoriale in cui ha sede ed i suoi organi godono delle stesse immunità diplomatiche concesse ai rappresentanti di uno Stato;

— ha fini propri, diversi da quelli degli Stati membri, ed organi in grado di perseguirli mediante l’emanazione di atti dotati di efficacia giuridica;

— gode di un diritto di riparazione nei confronti di Stati membri e Stati terzi per danni causati ai propri funzionari e/o al patrimonio;

— conclude autonomamente accordi internazionali (cd. treaty-making power), istituendo diritti ed obblighi facenti capo all’Unione medesima e, pertanto, affermandosi come centro autonomo di imputazione di rapporti soggettivi;

— instaura rapporti e collegamenti con altre organizzazioni internazionali (partecipa, ad esempio, come osservatore ai lavori dell’Assemblea ge-nerale delle Nazioni Unite);

— partecipa a varie conferenze internazionali (tra cui i negoziati tariffari del WTO).

2. La conclusione degli accordi con Stati terzi

Riferimento normativo: art. 216 TFUE.

Tipologia di accordi:

— accordi commerciali;— accordi di cooperazione allo sviluppo;— accordi di cooperazione economica, finanziaria e tecnica.

Istituzioni coinvolte nel procedimento di conclusione:

— Commissione;— Consiglio.

Parte Sesta218

Articolazione della risposta

La conclusione di accordi con Stati terzi costituisce la manifestazione più significativa della capacità dell’Unione di agire nelle relazioni in-ternazionali (POCAR).Tale potere è definito, in via generale, nell’articolo 216 TFUE, secondo cui «l’Unione può concludere un accordo con uno o più Paesi terzi o organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare, nell’ambito delle politiche dell’Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell’Unione, oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata».La nuova disposizione interviene, in realtà, a codificare una prassi seguita da tempo dalle istituzioni europee, avvallata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui le Comunità erano legittimate a conclu-dere accordi anche in settori nei quali i «vecchi» trattati non prevedevano espressamente tale potere.

Tra le tipologie di accordi espressamente previsti dal TFUE vi sono, tra gli altri:

— gli accordi commerciali (art. 207);— gli accordi di cooperazione allo sviluppo (art. 209);— gli accordi di cooperazione economica, finanziaria, e tecnica (art. 212).

L’art. 217 TFUE prevede, inoltre, che l’Unione possa concludere con uno o più Paesi terzi o con organizzazioni internazionali accordi che istituiscono un’associazione caratterizzata da diritti ed obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari (cd. accordi di associazione). Tali ac-cordi differiscono dagli altri in quanto non specificano il settore o i settori di competenza materiale del trattato su cui possono incidere (ADAM); sono, inoltre, caratterizzati da azioni in comune e procedure particolari, cioè da una istituzionalizzazione del rapporto tra l’Unione e lo Stato o gli Stati associati di solito assente negli altri accordi internazionali.Il nuovo Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede un’unica pro-cedura per la stipula di trattati internazionali da parte dell’Unione europea.

Tale procedura, disciplinata in via generale dall’art. 218 TFUE, si articola nelle seguenti fasi:

— la Commissione, o l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (quando l’accordo previsto riguarda esclusi-

Le politiche dell’Unione europea 219

vamente o principalmente la politica estera e di sicurezza comune), presenta raccomandazioni al Consiglio. Non si tratta di raccomandazioni rientranti tra gli atti tipici dell’Unione; si fa qui riferimento a comuni-cazioni dirette al Consiglio in merito alla possibilità o alla necessità di concludere accordi bilaterali o multilaterali con Stati terzi ed altre organizzazioni internazionali;

— il Consiglio autorizza l’avvio dei negoziati mediante una decisione adottata in via generale a maggioranza qualificata, e designa, in funzione della materia dell’accordo previsto, il negoziatore o il capo della squadra di negoziato dell’Unione. È, però, richiesto il voto all’unanimità:

a) quando l’accordo riguarda un settore in cui gli atti di diritto derivato dell’Unione sono votati anch’essi all’unanimità;

b) per gli accordi di associazione;c) per gli accordi di cooperazione economica, finanziaria e tecnica con

gli Stati candidati all’adesione;d) per l’accordo sull’adesione dell’Unione alla Convenzione europea

per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; in più, la decisione sulla conclusione di tale accordo entra in vigore previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispet-tive norme costituzionali.

Sebbene spetti al negoziatore il compito di condurre i negoziati per la conclusione di accordi o per l’adesione dell’Unione ad accordi già esistenti, definendo gli aspetti legali e politici dell’accordo, è comunque previsto il potere del Consiglio di impartire direttive al negoziatore e designare un comitato speciale che deve essere consultato nella condu-zione dei negoziati;

— il Consiglio, su proposta del negoziatore, adotta una decisione che autorizza la firma dell’accordo (eventualmente accompagnata da una decisione riguardante l’applicazione provvisoria prima dell’entrata in vigore) e procede mediante decisione alla conclusione dell’accordo stesso.

Il ruolo del Parlamento europeo nell’ambito della procedura di conclusione degli accordi internazionali è differenziato in base alla tipologia di atto che deve essere sottoscritto. In particolare, l’art 218 TFUE prevede che, salvo i casi di accordi riguardanti esclusivamente la PESC, la decisione di concludere l’accordo è adottata dal Consiglio.

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3. Il procedimento di adesione

Riferimento normativo: art. 49 TUE.

Concetto iniziale: spiegare che ogni Stato europeo che garantisce i principi di democrazia, dignità, uguaglianza può chiedere di aderire all’Unione.

Altri elemeti essenziali: evidenziare che i criteri di Copenaghen sono alla base dell’adesione di nuovi Stati.

Domande consequenziali: si può recedere dall’Unione?

Articolazione della risposta

I Trattati CEE, CECA ed Euratom furono concepiti come trattati aperti attraverso l’inserimento di una clausola di adesione, che consentiva agli Stati diversi da quelli firmatari di partecipare alle tre Comunità in un mo-mento successivo alla loro istituzione, previo espletamento di una procedura disciplinata dai trattati stessi.Tale clausola è oggi contenuta all’art. 49 TUE, così come riformulato dal Trattato di Lisbona, conformemente al quale ogni Stato europeo che garantisce il rispetto della dignità umana, dei principi di libertà e uguaglianza, della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fon-damentali dell’uomo può chiedere di diventare membro dell’Unione. A detti principi si aggiungono i criteri di Copenaghen, stabiliti nel 1993 contestualmente all’esame delle domande di adesione presentate dagli Stati dell’Europa centro-orientale (stabilità politica, rispetto della democrazia, tutela delle regole attinenti allo Stato di diritto, dei diritti dell’uomo e delle minoranze, instaurazione e consolidamento di un’economia di mercato, capacità di assumere tutti gli impegni derivanti dall’acquisizione dello status di membro).La domanda di adesione deve essere trasmessa al Consiglio, che si pronuncia all’unanimità previa consultazione della Commissione e previa approvazio-ne del Parlamento europeo (a maggioranza dei membri che lo compongono). Di essa devono essere, altresì, informati i Parlamenti nazionali.Le condizioni di ammissione e gli eventuali adattamenti tecnici dei trattati formano l’oggetto di un accordo tra lo Stato richiedente e gli Stati membri dell’Unione, che viene sottoposto alla ratifica di tutte le parti contraenti conformemente alle rispettive norme costituzionali.

Le politiche dell’Unione europea 221

Dall’articolo ora citato si evince che l’adesione, oltre ad essere riservata ai soli Stati europei, è subordinata alla stipula di un accordo internazionale; essa ha carattere progressivo, in quanto è generalmente previsto un periodo transitorio, e comporta l’accettazione, da parte del nuovo Stato membro, dell’acquis «communautaire» (ossia dei trattati istitutivi e del diritto deri-vato dell’Unione).

3 bis. Si può recedere dall’Unione?

Se il Trattato di Lisbona, da un lato, ha riconfermato in larga misura le disposizioni relative al procedimento di adesione già disciplinato dal Trat-tato di Maastricht, dall’altro ha introdotto una significativa innovazione consistente nella facoltà, da parte degli Stati membri, di recedere ad nutum dall’Unione.L’art. 50 TUE, infatti, stabilisce che lo Stato interessato deve notificare la sua intenzione al Consiglio europeo; quest’ultimo formula degli orienta-menti in materia sulla base dei quali l’Unione avvia i negoziati e conclude con lo Stato recedente un accordo che definisce sia le modalità di recesso, sia i suoi futuri rapporti con l’Unione. L’accordo deve essere approvato dal Parlamento europeo e concluso dal Consiglio a maggioranza qualificata; dalla data della sua entrata in vigore o, in mancanza, due anni dopo la notifica della data in cui ha avuto inizio la procedura di recesso, i trattati dell’Unione cessano di essere applicabili allo Stato in questione, salvo che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato stesso, decida all’unanimità di prorogare tale termine.Nell’esercizio della facoltà di recesso, uno Stato è vincolato al solo rispetto delle proprie norme costituzionali, non essendo richiesto alcun obbligo di motivazione. L’art. 50 TUE prevede, altresì, che esso possa decidere in qualsiasi momento di aderire nuovamente all’Unione secondo la procedura di cui all’art. 49 TUE.