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Filosofia teoretica I, Corso 2007-2008

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lo spazio che spetta al concetto di immagine:

 

mera bidimensionalità

spazio del concetto di immagine

 

mera tridimensionalità

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“Riprodurre oggetti amati e angolini di natura? Mi ricorda il comportamento di un ladro che si entusiasma per i propri piedi incatenati” (Malevitch)

Il rifiuto della concezione mimetica dell’arte

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Si deve ripudiare “il volgarissimo trompe-l’oeil prospettico, giochetto degno tutt’al più di un accademico, tipo Leonardo, o di un balordo scenografo per melodrammi veristi» (Carlo Carrà, La pittura dei suoni, rumori e odori, 1913)

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“La prospettiva è l’errore che è all’origine di ogni altro errore del Rinascimento e della pittura sino ai nostri giorni. L’idea che fosse possibile rappresentare lo spazio servendosi di un trucco meccanico ha avvelenato la pittura per secoli”

(Delaunay)

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«Quando sono state stabilite le leggi della prospettiva, l’arte rappresentativa è stata messa al cappio. Si è approntata la stalla nella quale l’artista doveva operare»

(Malevic)

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«Ci sono molti i quali, vedendo in una pittura di Giotto o di Beato Angelico un uccello più grande della casa che gli è accanto, ridono. Ci son dei critici illustri i quali, vedendo coteste stesse cose, spiegano che si tratta evidentemente di errori di prospettiva. [...] Gli uni e gli altri sono degli imbecilli. [...] La verità è che l’artista antico sentiva, come l’artista moderno sa, che la scienza non ha nulla a che fare con l’arte e che basta riprodurre la propria impressione per render viva e vera l’immagine [...]. Onde la sua prospettiva, che io direi psicologica piuttosto che scientifica, era la vera, ed è la sola che si confaccia al carattere lirico dell’arte» (A. Soffici)

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La prospettiva: che noia!«Le prospettive fanno sbadigliare» (Paul Klee)

“La prospettiva? La legge dei binari e delle traversine” (Delaunay)

“l’orizzonte prospettico è la rete in cui la pittura è rimasta imbrigliata” (Malevic)

La finestra albertiana è la “catacombe della prospettiva cuneiforme”(Malevic)

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Due tesi:

1. La storia delle immagini è l’eco di una vera e propria storia della visione.

2. Non vi è storia della visione, ma vi è una storia dei diversi impieghi dell’immagine e le immagini nel tempo variano perché diverse sono le funzioni che epoche diverse attribuiscono loro.

Credo che la prima tesi sia falsa e che sia vera invece la seconda.

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La prima tesi ci invita a pensare alla storia della pittura del Novecento con una sorta di senso di colpa. Non abbiamo ancora imparato a guardare come dovremmo, ma verrà un giorno in cui finalmente non ci sembrerà più strano il tratto di Picasso o di Chagall o di Matisse.

“Il realismo è relativo, determinato dal sistema di rappresentazione in una data cultura, in un dato tempo. I sistemi nuovi, arcaici o stranieri sono considerati artificiali o maldestri. Per un egiziano della quinta dinastia, il modo più chiaro per rappresentare qualcosa non è il medesimo che vale per un giapponese del XVII secolo; e nessuno dei due è quello che vale per un inglese del Novecento” (Goodman)

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Alle immagini non si chiede più di essere una finestra albertiana che ci consenta di vedere lo spettacolo visibile del mondo sia pure idealizzato. Si vuole invece fare dell’immagine il luogo di una sperimentazione che ci riveli quello che non si può vedere, ma che deve essere pensato dietro o al di là della forma visibile. L’immagine deve assumere una piega iconoclastica.

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PIET MONDRIAN

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1908 1921

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“Nell’espressione plastica della forma, i confini sono definiti da una linea chiusa (il contorno): è necessario invece che questa linea venga tesa in una retta” (Mondrian) – e questo equivale a dire che non si debbono più disegnare oggetti, ma solo la griglia astratta che mette in luce la forma vuota dello spazio.

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Mondrian:

Le tappe del cammino di apertura e di

rettificazione del contorno e quindi della

linea chiusa

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La domanda che dobbiamo porci: qual è il fine di questa rettificazione delle linee che è insieme negazione degli oggetti e riconduzione della pittura a pura spazialità?

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La natura, il capriccio e il tragico

“In natura il tragico si manifesta plasticamente per mezzo della corporeità, la quale si esprime a sua volta plasticamente attraverso la forma e il colore naturali, attraverso la corporeità, il plasticismo naturale, la curva, la capricciosità e le irregolarità della superficie”

“Soggettivamente è il dominio della natura dentro di noi, oggettivamente il dominio della natura fuori di noi a causare il tragico”

«Lo squilibrio tra l’individuale e l’universale crea il tragico e si esprime in una plastica tragica. In ciò che è, tanto nella forma quanto nella corporeità, domina il naturale: da questa situazione scaturisce il tragico»

(Mondrian)

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La natura deve essere tolta e l’immagine deve diventare non il luogo in cui si rappresenta il visibile, ma uno spazio in cui si sperimenta ciò che sta dietro ad esso – la struttura calma, ordinata e priva di vita di ciò che permane, al di là e al di sotto dei capricci dell’individuale.

Alle immagini ora si chiede questo: di non raffigurare il visibile, ma di aiutarci ad andare al di là della sua tragicità, per mostrarci la forma astratta di ciò che permane e sta sotto la vicenda temporale delle cose.

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Tragicità e natura:

la tragicità delle forme naturali

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«Vorrei […] mettere in risalto l'ingenuità con cui la pianta, mediante la semplice forma, manifesta ed esprime il suo carattere, la sua natura o la sua volontà; perciò le fisionomie delle piante destano un vivo interesse. Nelle piante, la volontà si svela completamente, ma in maniera assai meno intensa, e come pura sua tendenza a vivere, senza un fine, senza un disegno. La pianta infatti esibisce tutto il suo essere a prima vista: la sua innocenza non soffre per nulla del fatto che gli organi della riproduzione, riposti presso gli animali nelle parti più nascoste, fan libera mostra di sé alla cima»

(Schopenhauer)

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PAUL KLEE

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La poetica di Klee ha alla sua origine la distinzione romantica tra forma e figurazione: non bisogna mostrare la forma conclusa, ma la genesi che ha condotto ad essa.

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Le ragioni di questa scelta: la forma è diventata muta.

“il pittore è stato gettato in un mondo proteiforme [in eine vielgestaltige Welt gesetzt wurde], in cui bene o male gli tocca raccapezzarsi (P. Klee,)

“Oggigiorno vediamo attorno a noi forme esatte d’ogni tipo: nolens volens l’occhio ingurgita quadrati, triangoli, cerchi, elaborazioni d’ogni specie quali trame di fili di ferro su sbarre, cerchi su leve; cilindri, sfere, cupole, cubi più o meno elevati e combinati in una molteplicità di effetti. L’occhio ingurgita gli oggetti”(Klee).

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Il pittore “contempla con occhio penetrante le cose che la natura gli pone sott’occhio già formate. E quanto più a fondo egli penetra, tanto più facilmente gli riesce di spostare il punto di vista dall’oggi allo ieri; tanto più gli si imprime nella mente al posto di un’immagine naturale definita, l’unica essenziale immagine, quella della creazione come genesi. Egli allora si permette il pensiero che la creazione non possa dirsi ancora conclusa e con ciò prolunga quell’atto creativo dal passato al futuro, conferendo durata alla genesi. Egli, restando nell’al di qua, si dice: il mondo ha avuto aspetti diversi e aspetti diversi il mondo avrà” (Klee).

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Le immagini debbono assumere una funzione sottilmente iconoclasta: debbono raffigurare qualcosa, per negarla — perché solo così si può sottrarre alla forma la sua stabilità e disporsi nuovamente sul terreno della figurazione e quindi della forma in divenire che ha nella sua genesi il suo senso.

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Due tesi sottilmente contraddittorie

- L’immagine non deve mostrare la forma, ma la genesi

- la genesi non può essere data in una immagine

Come è possibile che ciò accada? Si può raffigurare qualcosa, creando una forma, e poi pretendere che ciò che il quadro ci vuole mostrare non sia quella forma che abbiamo sotto gli occhi?

Come è possibile negare nell’immagine ciò che l’immagine mostra?

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Una contraddizione implica una posizione e una negazione. Ogni immagine pone qualcosa: la raffigura. Ma come può negarla?

La prima forma di negazione nell’immagine: la negazione del “non ancora”.

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BahnEinst dem Grau der Nacht enttaucht Dann schwer und teuer und stark vom Feuer Abends voll von Gott und gebeugt Nun ätherlings vom Blau umschauert, entschwebt über Firnen zu klugen Gestirnen.

PercorsoUn tempo dal grigio della notte emersoPoi grave e caroe forte di fuocoLa sera di Dio ricolmo e ricurvoOra etereamente avvolto in un tremito blufugge librandosi sopra vecchie neviverso sagge costellazioni.

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Una seconda forma di negazione dell’immagine interna all’immagine: l’ironia.

L’ironia è una “personcina invisibile” (Kierkegaard) che nega ciò di cui ci fa sorridere.

L’immagine ironica è un’immagine sottilmente iconoclasta: si pone, ma ci invita a sorriderne e a negarla nella sua staticità, a metterla in movimento.

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