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Direzione Agricoltura, Foreste, Sviluppo rurale, Alimentazione, Caccia e pesca Reg. CE 797/04 24 MAGGIO 2008 Giulianova Lido (TE) Sistema Gestione Qualità Certificata Settore EA37

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DirezioneAgricoltura, Foreste,Sviluppo rurale,Alimentazione,Caccia e pescaReg. CE 797/04

24 MAGGIO 2008Giulianova Lido (TE)

Sistema GestioneQualità Certificata

Settore EA37

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DirezioneAgricoltura, Foreste,Sviluppo rurale,Alimentazione,Caccia e pescaReg. CE 797/04

a cura di Silvano Calvarese

Sistema GestioneQualità Certificata

Settore EA37

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XI Convegno ApiAbruzzo 2008L’apicoltura vive

Convegno finanziato ai sensi del regolamento CE n. 797/2004

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Presentazione

Il convegno ApiAbruzzo 2008 - L’apicoltura vive giunge allasua XI edizione e, come da tradizione, si caratterizza inun’occasione di incontro e di confronto tra tutti coloro cheoperano nel campo dell’apicoltura: apicoltori, in primis, ope-ratori sanitari, veterinari, biologi, ricercatori e tecnici dellestrutture sanitarie del territorio.

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e delMolise “G. Caporale” ha avuto ancora una volta il piacere diorganizzare quest’importante evento regionale che affiancaprofessionalità e praticità di tutti coloro che si occupano diapicoltura e che nel tempo ha visto crescere il numero deipartecipanti; quest’anno oltre 100 sono stati coloro chehanno partecipato all’appuntamento annuale di apiAbruzzo.

Il convegno intende contribuire a migliorare le condizionidella prevenzione, cura degli alveari e commercializzazionedelle api. È l’occasione per affrontate le problematiche sani-tarie che derivano dalla peste americana e dalla varroasi,con indicazioni aggiornate sulle azioni pratiche da mettere inatto per contrastare tali malattie. Spazio di rilievo è dedica-to all’argomento di maggiore interesse in campo apistico diquesti anni: il problema dello spopolamento degli alveari.

Il convegno si presenta come un servizio a disposizione ditutti gli apicoltori per una crescita professionale e culturaledell’apicoltura regionale.

Silvano CalvareseIstituto Zooprofilattico Sperimentale

dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale” 3

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REGIONE ABRUZZODirezione Agricoltura, Foreste, Sviluppo rurale,

Alimentazione, Caccia e Pesca

Dirigente del servizio Produzioni Agricole e Mercatodirigente pro-tempore Dott. Ing. Mario Pastore

ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’ABRUZZO E DEL MOLISE “G. CAPORALE”

DirettoreProf. Vincenzo Caporale

Responsabili Progetto ApisticoSilvano Calvarese, Vincenzo Langella

Responsabile Reparto Formazione al mercatoGiulio D’Agostino

Progetto grafico e impaginazioneSandro Santarelli

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La responsabilità del contenuto degli articoli e dei dati pubblicatiè dei rispettivi Autori

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Indice

Presentazione ______________________________________________________3

Silvano Calvarese

Attualità e conseguenze della sindrome da spopolamento degli alveari in Italia ____________________________11

Raffaele Cirone

Azioni pratiche di prevenzione sullapeste americana __________________________________________________37

Maria Teresa Falda

Problematiche connesse con il commerciodelle api ____________________________________________________________47

Floris Vanni

Corretto trattamento delle api per il controllodella Varroasi ______________________________________________________58

Francesco Panella

Conclusioni _______________________________________________________104

Vincenzo Langella

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Attualità e conseguenze della sindrome da spopolamento

degli alveari in Italia

Raffaele CironePresidente della Federazione Apicoltori Italiani (FAI)

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Attualità e conseguenze della sindromeda spopolamento degli alveari in Italia

Il punto della situazioneLa sindrome da spopolamento degli alveari è unfenomeno che ha fatto molta strada prima digiungere nei nostri apiari. Solo di recente, conil Congresso internazionale di Apimondia 2007,svoltosi a Melbourne (Australia), Apicoltori eRicercatori hanno inteso percorrere assiemequesto sentiero, che è apparso fin da subitoimpervio e in salita.Da quel lontano mese di settembre si sono mol-tiplicate le occasioni in cui nei convegni e neiworkshop è stato possibile discutere di teorie edati certi relativi al problema: proviamo quindi afare il punto della situazione ad oggi.Le api, come tutti gli organismi viventi, sonosoggette a parassiti e microrganismi patogeni icui danni normalmente sono controllati dalsistema immunitario di questi insetti. Con lanascita dell’ “epopea esplorativa” e con i pro-gressi tecnologici, le distanze tra continenti ePaesi si sono annullate, consentendo flussimigratori che hanno introdotto non solo nuovespecie ma anche nuove malattie in quelle regio-ni dove prima non esistevano.Per capire meglio questi flussi, i loro impatti edinquadrare di conseguenza le cause patogeneti-che della sindrome, nasce in Europa un pro-gramma internazionale, coordinato dal Centrodi Ricerche Apistiche “Liebefeld” di Berna, in

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Svizzera. In occasione di un viaggio studio orga-nizzato dalla FAI nell’inverno 2008 e a cui hannopartecipato una trentina di attenti e motivatiApicoltori provenienti da tutta Italia, il Dott.Peter Neumann del Centro Ricerche svizzero,direttore di una vera e propria unità di crisidenominata COLLOSS (da Colony Loss, perditadelle colonie), ha sgomberato il campo da pet-tegolezzi (“rumors”). Alla luce dei dati sperimen-tali, radiazioni elettromagnetiche e OGM sem-brano essere, ragionevolmente, del tutto mar-ginali se non addirittura irrilevanti quali fattoriresponsabili, al momento attuale, della mortedelle api. Ecco invece apparire sulla scena apistica il con-cetto di “multifattorialità”: virosi, batteriosi emicosi, malattie spesso sottovalutate inApicoltura, sono innescate e aggravate da unagenerale immunocompromissione dell’ape dovu-ta al parassita principe, la Varroa (Varroadestructor), su cui si inseriscono gli impattidegli inquinanti ambientali e delle carenze nutri-zionali conseguenti a riduzione della biodiversitàvegetale e, quindi, pollinica.Successivamente, a pochi giorni dal viaggio inSvizzera, nel Workshop APAT di Roma, è statapiù volte sottolineata l’importanza di una reteefficiente di monitoraggio per inquadrare il feno-meno e riempire la caselle mancanti; ad oggi,purtroppo, in Italia non abbiamo dati sufficientisul polso della situazione mentre diventa sem-pre più emergente la necessità di conoscere ilpatrimonio apistico, la sua dislocazione, l’entità

Multifattorialità

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delle perdite invernali (da autunno a primaverasuccessiva) e di quelle primaverili più diretta-mente riconducibili al mondo agricolo. Se si indagano per intero, le cause dello spopo-lamento di api sono almeno 10-15. È vero chei fitofarmaci sono possibile causa di danno, main generale è stata più volte ribadita l’importan-za dello “stress” e di fattori che inducono le apiad essere più sensibili e delicate del passato. Un aspetto che non possiamo più trascurare èquello della gestione sanitaria degli alveari con-seguente la diffusione delle malattie apistichetra cui le infezioni da virus, sempre più emer-genti. A questo riguardo, la Virologia in partico-lare si sta rivelando una “terra promessa” dellaricerca in Apicoltura: la mole di informazioniscientifiche che vengono pubblicate ogni setti-mana a velocità impressionante conferma l’im-portanza di questo settore e la necessità di unavisione più chiara in merito.Dagli anni ’80 dello scorso secolo, infatti, gliapiari italiani sono messi duramente alla provada Varroa destructor, acaro di origine extraeu-ropea che ormai si è ben radicato sul nostroterritorio, strutturando la parassitosi. Negli ulti-mi convegni ai quali abbiamo partecipato, iRicercatori hanno messo in risalto il fatto che lasua azione di disturbo non è più sufficiente, dasola, a spiegare manifestazioni come lo spopo-lamento improvviso degli alveari. La sua azionedebilitante, infatti, è responsabile di aggravantiche. ove non controllate, risultano potenzial-mente distruttive per l’intera colonia in alleva-

Cause dellospopolamento

Gestione sanitariadegli alveari

Varroa destructor

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mento. In un articolo del maggio 2005, pubbli-cato su Proceedings of the National Academyof Science, si dimostra che Varroa è un vetto-re di micropatogeni virali e che la sua continuaazione di disturbo sulle api debilita la larva el’adulto. È come se il sistema immunitario del-l’insetto venisse “spento”, azione che provocal’evoluzione della singola virosi che da “quiescen-te” diventa “virulenta” oppure ingravescente segià in atto. Si è visto infatti che quando la varroa punge esucchia l’emolinfa dell’ape, le naturali sostanzedi difesa non sono più prodotte e questo provauna vera e propria immunodepressione da cuil’indebolimento generale e la morte delle api perle cause più diverse.Allo stato attuale delle conoscenze ci sonoalmeno tre quesiti cruciali a cui occorre darerisposta: determinare in che modo il sistemaimmune delle api regola la sopravvivenza, la tra-smissione e la replicazione dei virus; capirequali sono i meccanismi molecolari responsabi-li della transizione da infezione latente a malat-tia conclamata e quali sono gli effetti sulle api diquelle infezioni latenti trasmesse da una gene-razione all’altra, non solo per contagio direttoma anche attraverso le uova della regina e losperma dei fuchi (come ben illustrato in un arti-colo del marzo 2006 pubblicato su VirologyJournal e in un articolo del 2007 su Journal ofGeneral Virology). Quindi, se l’ipotesi patogenetica virale per la sin-drome da spopolamento è – all’evidenza dei dati

Varroa, vettore dimicropatogeni virali

Quesiti cruciali

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scientifici – confermata, sorge una domanda:“Quali virus sono specifici per le api?” E soprat-tutto: “Perché se ne parla così poco mentre diVarroa sappiamo infinitamente di più?”. I dati finqui disponibili appaiono già, ad una prima lettu-ra, potenzialmente dirompenti per le possibiliimplicazioni: esiste senza alcun dubbio un cata-logo nutrito di patogeni virali, tutti implicati inmalattie apistiche. Sul già citato “VirologyJournal”, nel gennaio 2008 un gruppo inglesedi ricerca, mediante tecniche molecolari, dimo-stra che alcuni di essi, come DWV (Virus delleali deformi), KV (Kakugo Virus, di recente indivi-duazione), VDV-1 (Varroa destructor Virus,anch’esso scoperto recentemente), classificaticome Iflavirus, sono straordinariamente similiper il loro genoma ai già noti ABPV (Virus dellaparalisi acuta), IAPV (Virus israeliano della para-lisi acuta, marker di spopolamento) e KBV(Kashmir Virus, molto simile al precedente),tutti appartenenti ai Dicistrovirus. In sostanza,i ricercatori dimostrano che i primi tre sonorecenti discendenti o varianti degli altri. Questaloro stretta parentela mette in dubbio l’efficaciadi una diversa classificazione sistematica, sug-gerendone una possibile revisione. L’idea è raccolta rapidamente da un altro grup-po di lavoro che pubblica sul web nel febbraio2008 e successivamente su “Archives ofVirology” in aprile, un articolo in cui si proponeufficialmente al Comitato Internazionale diTassonomia dei Virus la creazione dell’ordinePicornavirales il quale dovrebbe includere, tra

Virus specificiper le api

OrdinePicornavirales

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gli altri, il genere Iflavirus.Come è noto, quandoi Sistematici propongono e deliberano la crea-zione di un nuovo gruppo biologico, non lo fannomai con leggerezza ma vogliono indicare uncambiamento profondo nel modo di identificareun dato organismo. In questo caso, si tratta diraggruppare in un unico gruppo patogeni cheprima erano variamente sparsi nella classifica-zione dei viventi e che invece hanno proprietàsimili tra loro, non ultima la possibilità di diagno-sticarli attraverso un’identica e sensibilissimametodica molecolare.La revisione tassonomica in atto stimola a riflet-tere: anche i virus si diversificano in specie, sot-tospecie e addirittura ecotipi, come le nostreapi; i Microbiologi ce lo hanno raccontato neiconvegni: è un classico adattamento sia agliospiti che infettano che alle pressioni ambienta-li. Il raggruppamento di virus di interesse apisti-co da diversi ordini e famiglie in PicornaviralesIflavirus, suggerisce dunque l’inquietante possi-bilità che magari ce ne siano altri, attualmentenon assegnati, che possano far parte di questospecifico gruppo. Nel qual caso le modalità di diagnosi per tuttipotrebbero coincidere e quindi potrebberoemergere nuove patologie apistiche. O – nelmigliore dei casi – nuove sacche di possibileinfezione degli alveari, attualmente miscono-sciute.Ad esempio, sul sito dell’Institute for AnimalHealth inglese, aggiornato al 2007, è descrittoGmclV, un virus tipico della tarma della cera

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Galleria mellonella, provvisoriamente non asse-gnato ad alcuna classificazione. Ebbene: allaluce delle precedenti considerazioni, potrebberisultare anch’esso un Iflavirus, magari perchési è coevoluto in un insetto parassita a strettocontatto con le api o piuttosto perché derivastoricamente da un virus apistico, successiva-mente mutato per adattarsi alla larva di questafarfalla che vive a spese dei favi. Sulla base diquesta ipotesi, la tarma potrebbe rivelarsi unnuovo punto critico per la trasmissione di viro-si, attualmente sottostimato o addirittura nonconsiderato dall’Apicoltore e dal Veterinario. Inutile nasconderci dietro ad un dito: la Ricerca,specialmente quella italiana, in questo settorelangue. Nel frattempo, l’Apicoltore si difendecome può: per questo, come FAI - FederazioneApicoltori Italiani - sottolineiamo l’importanza delrispetto delle Buone Pratiche Apistiche, perlimitare la propagazione negli apiari di ospitiindesiderati e quindi dei loro danni. In attesa,ovviamente, che gli esperti ci consegnino meto-diche diagnostiche e terapeutiche sperimenta-te, più sensibili e soprattutto efficaci controquesti invisibili nemici dell’Apicoltura.L’argomento Buone Pratiche Apistiche è statoadeguatamente affrontato in occasione delConvegno che la nostra Federazione ha organiz-zato in occasione dell’Apimell 2008, aPiacenza, sul tema “L’Universo Ape in pericolo”. Dato che non esistono prodotti autorizzati con-tro virosi e malattie, Nosemiasi tra tutte, non sipossono curare le api in senso stretto, ossia

Buonepraticheapistiche

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con farmaci. L’unica strada percorribile è la pre-venzione, evitando che la carica di virus o dispore diventi così elevata da causare sicura-mente dei danni.Ciò si realizza in primo luogo attraverso lagestione della famiglia: più precisamente non sideve scambiare materiale tra le arnie e traapiari diversi se non si è sicuri che sia sano,che non sia stato infettato; è bene sterilizzaretutto ciò che esce dall’alveare, non solo leve eaffumicatori, ma in particolare i favi e il mieleperché sono i principali vettori di contagio equindi di malattia.La sterilizzazione con acido acetico fumigatofunziona a condizione che la temperaturaambientale non sia elevata e che i favi sianotutti disopercolati e senza miele; molto più rapi-da e sicura è la sterilizzazione proposta daiMicrobiologi mediante raggi gamma, che offreun’efficacia totale e la possibilità di sanificareanche quei favi occupati da polline e miele. Sispera che tale metodica sia disponibile a brevein centri appositamente attrezzati e a costi con-tenuti.Tra le buone pratiche si annovera anchela distruzione delle famiglie più deboli, eventodoloroso per l’Apicoltore, ma a volte necessarioper evitare di mantenere in apiario un focolaiodi infezioni ricorrenti. Altre pratiche evidenziate, non meno importan-ti, da non trascurare e quindi caldamente con-sigliate dagli esperti, sono soprattutto la venti-lazione delle arnie e la corretta nutrizione.La prima non costituisce un problema partico-

Prevenzione

Sterilizzazione

Distruzionedelle famiglie

più deboli

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Ventilazionedelle arnie

Correttanutrizione

Cause agricolee ambientalidello spopolamentodegli alveari

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larmente sentito in Italia se non nelle zonemolto umide; se le famiglie sono adeguatamen-te sollevate da terra o se addirittura si adotta,come in Polonia, una ventilazione forzata modi-ficando il tetto dell’arnia, si è visto che lo svilup-po di malattie fungine e batteriche è notevol-mente rallentato poiché questi microrganismiproliferano particolarmente in umidità.La nutrizione, invece, diventa fondamentale semantenuta in qualità e in quantità adeguate;corretta qualità vuol dire, ad esempio, evitaresciroppi con prevalenza di glucosio, il quale èsicuramente meno digeribile per l’insetto, prefe-rendo il fruttosio; ancora, è meglio adottare, sesi può, un’alimentazione acidificata, che si avvi-cini alle caratteristiche proprie del miele. In que-sto modo le api si stressano meno e sono menopropense ad ammalarsi.È importante, inoltre, gestire correttamente leintegrazioni alimentari, soprattutto in aree confenomeni di mortalità difficili da spiegare, utiliz-zando prodotti largamente in commercio, i qualicontribuiscono a mantenere lo stato di salutedegli insetti in allevamento e quindi ad aumenta-re la loro resistenza ai patogeni.Sulle cause agricole – e quindi ambientali – cheinfluenzano lo spopolamento degli alveari, vannoevidenziate l’insufficienza dei raccolti, aggravatodall’uso intensivo della monocoltura che ne ridu-ce la biodiversità, e il loro scarso valore protei-co per le api. Si ritorna quindi in ambito nutrizio-nistico e a questo proposito è interessante sot-tolineare le conclusioni riportate a fine aprile

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durante un convegno organizzato dalla FAI incollaborazione con l’APAT, Associazione Api-coltori di Belluno, Treviso e Venezia – AssociataFAI Veneto.Esiste una chiara relazione tra lo spopolamentodegli alveari, l’alimentazione e la diffusione delNosema. Ed è dimostrato che l’agente patoge-no di questa malattia – Apis o Ceranae che sia– riesce a perforare meglio le mucose intestina-li delle api che non hanno ricevuto, durante illoro sviluppo, un’adeguata dieta proteica. Asostenerlo è il dottor Paolo Detoma – Biologo epresidente dell’Associazione Provinciale Api-coltori di Biella – Associata FAI Piemonte –secondo il quale l’importanza dei pollini e dellaloro composizione è stata finora ingiustamentesottovalutata dal mondo apistico. Mentre è ben chiaro il ruolo del miele comefonte di zuccheri per la famiglia in allevamento,non è mai stata sottolineata sufficientemente lanecessità di scorte polliniche di buona qualità. A sostegno di questa sua tesi, Detoma docu-menta dati rilevati in un campione statistica-mente significativo, relativi ad alveari posiziona-ti anche a diversa altitudine, nei quali è statopossibile dimostrare una correlazione tra varie-tà di bottinature di polline e incidenza di malat-tie, soprattutto intestinali come la nosemiasi.Tutto ciò in funzione del contenuto in amminoa-cidi, i componenti fondamentali delle proteineche costituiscono il polline, nell’ambito delpascolo accessibile alle api. Una dieta costituitada pochi tipi di polline o da pollini con carenza di

Relazione traspopolamento

degli alveari, alimentazione

e diffuzionedel Nosema

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alcuni amminoacidi essenziali, determina dun-que gravi malnutrizioni che evolvono in alterazio-ni dell’apparato digerente e, conseguentemen-te, conducono all’insorgenza di malattie soprat-tutto negli insetti più anziani della colonia. Lafase finale di queste disfunzioni è lo spopola-mento conclamato. I dati di questa ricerca sonofrutto di una collaborazione che da oltre diecianni la piccola ma efficiente Associazione degliApicoltori di Biella e Vercelli conduce in collabo-razione con le Autorità sanitarie locali. Interessanti e innovativi anche i rimedi propostiche integrano le buone pratiche in apiario conla diagnosi precoce e l’integrazione della dietadelle api mediante sostituti proteici (polline diorigine certa e sanitariamente testato, farineproteiche a base di uova o lecitine di soia, ecc.).In particolare, sta destando interesse e molteaspettative una precisa specie di alghe,Chlamydomonas, appositamente coltivata, checontiene la stessa composizione in amminoaci-di di un pasto ben bilanciato. L’idea di utilizzarele alghe scaturisce dall’enorme interesse perquesti organismi in vari ambiti: come fonte dialimentazione, di vitamine e anche come ener-gia sottoforma di biocarburante; in questi con-testi, alcune varietà hanno già dato eccezionalirisultati sperimentali. Come alimento, esse con-tengono un elevato tenore di proteine ad altovalore biologico, tutte le vitamine e gli oligoele-menti necessari alle api, acidi grassi poliinsatu-ri e fattori probiotici tipici di una corretta dietabilanciata a base di polline e miele.

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Infine, sono facili da coltivare, da raccogliere esomministrare, e dimostrano un ottimo gradi-mento da parte degli insetti allevati.La sperimentazione, completamente autofinan-ziata e gestita dalla nostra Associazione locale,punta ora a testare altre varietà di alghe, a veri-ficare l’assenza di effetti dannosi a lungo termi-ne per le api e per i consumatori e a mettere apunto un metodo di coltivazione standardizzatoe alla portata di tutti.Anche in questo settore, nuovamente, i nostriRicercatori sono assenti e tuttora impreparati afornire dati – di rilevanza scientifica e di imme-diata utilità pratica – sia sui valori nutrizionali inaminoacidi dei pollini bottinati dalle api nei prin-cipali pascoli del nostro territorio nazionale chesulle specie di alghe eventualmente utilizzabili inapposite coltivazioni ad uso nutrizionale in apia-rio. Indisponibilità di informazioni e silenzi acca-demici cha appaiono decisamente imbarazzanti,soprattutto per un’Apicoltura di altissimo livelloe qualità come quella italiana. Lacune che devo-no essere immediatamente risolte in vista diquelle azioni strategiche le quali, nel loro insie-me, possono concorrere a salvare il patrimonioapistico nazionale.

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La situazione attuale

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Le api nel mondo sono stimate in 60.000.000di Alveari gestiti da 6.500.000 di Apicoltori.

La perdita globale è pari ad 1 miliardoeuro/anno, di cui

� Nessuna ape morta nei paraggi delle arnie� Poche api vive in arnia, con o senza regina� Presenza di miele, polline e covata� Nessun saccheggio evidente.� Apicoltura sempre più intensiva - stress

1°Focus-PointSettembre 2007multidisciplinareufficiale

Consistenzapatrimonioapistico

Danni accertatisulle popolazionidi api

Sintomi

Unione Europea Italia Abruzzo

Alveari 15.000.000 1.200.000 45,471

Apicoltori 700.000 75.000 367

Mondo Stati Uniti Cina UE Italia Abruzzo

1 miliardo/€ 20 milioni 70 milioni 500 milioni 40 milioni 5 milioni

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� Apicoltura sempre più intensiva - stress� Malattie: Varroa destructor; Nosema apis,

N. ceranae� Pressione chimica agricola� Pratiche apistiche anomale� Errata gestione sanitaria degli alveari - scar-

sa igiene� Eccessive nutrizioni artificiali� Diminuzione della Biodiversità vegetale:

carenze proteiche alimentari -> denutrizione � Import incontrollato di api, regine e pacchi:

movimentazione e globalizzazione di patogeni� Ibridazioni tra ecotipi di Apis mellifera ligusti-

ca S.

� Elettromagnetismo (reti Wi-Fi ??)� OGM� Disinfestazione chimica -> Artropodi urbani di

interesse sanitario (zanzare)� Scie chimiche aeronautiche.

Azioni� Monitoraggio e diagnosi� Studio dei patogeni� Studi su ambiente, nutrizione, conduzione a-

pistica e intossicazioni da xenobiotici� Studi di biologia delle api.� Coinvolge diversi Paesi, in tutto il mondo� È interdisciplinare� Si interfaccia con le Associazioni apistiche.

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Cause

Cause ipotetiche

Organizzazione all’estero:

Collos

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É un ottimo modello organizzativo perchè:� Prevede un Coordinamento nazionale e interna-

zionale� Consente di non sprecare risorse economiche

evitando di sovrapporre azioni simili� Coinvolge nelle sue attività direttamente gli

Apicoltori e le loro Associazioni.

Conclusioni� Perdita pari al 30-50% del patrimonio apisti-

co in Italia� In Italia: 7.000 tonnellate di insetticidi distri-

buite in ambiente� Richiesta di revisione delle procedure di auto-

rizzazione per gli Agrofarmaci� Solo il 50% delle perdite presenta dei sintomi

riconducibili ad infestazione da acari� Nelle colonie colpite da CCD è sempre pre-

sente Nosema ceranae� Occorre una più corretta gestione degli apia-

ri, relativamente ad una alimentazione bilan-ciata e alla salvaguardia degli ecotipi.

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COLLOSS“Colony Loss”International StudyGroupChief Researcher: Dr. P. Neumann

2°Focus-PointRoma, Gennaio 2008

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Evidenza di notevoli tracce virali in api campio-nate da alveari con chiara Sindrome da Spo-polamento

In particolare: in Danimarca per la prima voltasi è riscontrato KBV, “parente” di IAPV, consi-derato dai Virologi un ottimo marker di SSA.

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Febbraio 2008, Danimarca

DFJ,Centro Ricerche Agricole

Aarhus University

Kashmir Bee Virus KBV Virus Kashmir

Acute Bee Paralisys Virus ABPV Virus della paralisi acuta

Chronic Bee Paralisys Virus CBPV Virus della paralisi cronica

Israeli Acute Paralisys Virus IAPV Virus israeliano paralisi acuta

Black Queen Cell Virus BQCV Virus della cella reale nera

Sacbrood Virus SBV Virus della covata a sacco

Deformed Wing Virus DWV Virus delle ali deformi

Kakugo Virus KV Virus “Pronto all’attacco”

Varroa destructor-Virus VDV Virus della Varroa

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Sintomi

� Kashmir Virus (KBV)Indebolimento della colonia senza alcunsegno evidente di malattia della covata, conapi morte o moribonde nel nido o nell’intornodi esso; le api spesso appaiono tremolanti ebarcollanti con perdita di peluria e con tora-ce particolarmente scuro.

� Virus della paralisi acuta (ABPV); Virus dellaparalisi cronica (CBPV) Le api affette mostrano un tremore incontrol-labile e sono incapaci di volare; crollano aterra con le ali bloccate in estensione e sonoquindi sotto facile attacco da parte dei loropredatori.

� Virus israeliano della paralisi acuta (IAPV)È un virus omologo dei due precedenti, cosìnominato per la località dove è stato identifi-cato per la prima volta. È ritenuto il principa-le marker (indicatore biologico) di possibileSindrome da Spopolamento degli Alveari(SSA).

� Virus della cella nera reale (BQCV)È stato originariamente determinato in larvee pupe reali morte, ma non è limitato adesse; è correlato ad infestazione di Nosemaspp. Per cui i sintomi classici sono: diarrea,morte massiva di api.

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Malattie virali

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� Virus della covata a sacco (SBV)Già noto agli Apicoltori, causa malattia menograve rispetto ai precedenti. Gli opercoli sipresentano forati e dai fori si osserva il capodella larva, di colore brunastro; essa inoltresi presenta “a sacco” ed è asportabile facil-mente.

� Virus delle ali deformi (DWV)Il virus, apparentemente asintomatico, è tra-smesso da Varroa durante l’età di pupa del-l’ape; è comunque infettivo e produce defor-mità delle ali, tale da rendere l’insetto inadat-to al volo.

� Kakugo Virus (KV)Il nome è giapponese, in onore della terrad’origine degli scopritori. Significa “prontoall’attacco”, perché le operaie colpite hannodanni a livello del sistema nervoso e acquisi-scono insolita aggressività.

� Varroa destructor-Virus (VDV)Nuovo virus scoperto dai Ricercatori e asso-ciato in modo specifico a Varroa destructor;ancora in fase di studio da parte dei Virologi;patologia non nota.

Contemporaneamente� Dimostrata la somiglianza biologica tra

Iflavirus e Dicistrovirus (a cui appartengono igià citati virus di interesse apistico) “VirologyJournal”

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� Proposta al Comitato Internazionale diTassonomia Virale per una riclassificazione diquesti gruppi di virus nella nuova Famiglia“Picornavirales” “Archives of Virology”

� Ipotesi dell’esistenza di altri virus, attualmen-te ignoti nelle loro potenzialità patogenetichesulle api. Esempio: Gmcl-V, virus della Galleriamellonella -> emergenza di nuovi punti criticiin apiario??

� Conferma della tesi “Neumann” dell’avvenutosalto di specie per i virus (…ma non solovirus !!), parassiti delle api.

� Gestione degli apiari, evitando scambi dimateriale apistico e sterilizzando ciò cheesce dall’alveare (leve, favi…)

� Distruzione delle famiglie più deboli, per evita-re diffusione di eventuali patogeni

� Curare la ventilazione delle arnie, ad esempiomodificando il tetto per forzare il ricircolo del-l’aria

� Particolare importanza assume la correttanutrizione delle api in allevamento…

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3°Focus-PointPiacenza, Marzo 2008ConvegnoL’Universo Ape in PericoloLe Buone PraticheApistiche

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� Correlazione tra varietà di bottinature e inci-denza di malattie e spopolamento.

� Importanza del contenuto in amminoacidi,non solo quantitativo ma soprattutto qualita-tivo, nelle bottinature di polline:- pollini ad alto valore biologico- pollini a medio-basso valore biologico- pollini tossici.

� La nutrizione ha conseguenze sull’intestinodelle api, punto debole per l’attacco di paras-siti (nosema, peste…).

Salvaguardia e ripopolamento specie nettari-fere e pollinifere… e se proprio non ci sono adeguate risorse inambiente??

Una possibile soluzione potrebbe invece arriva-re dalle alghe unicellulari.

� Proteine ad alto valore biologico� Tutte le vitamine e gli Oligoelementi necessa-

ri alle api� Acidi grassi polinsaturi� Fattori probiotici.

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Inoltre...Treviso, Maggio 2008

Dott. Paolo DetomaNutrizione apistica,

troppo spessosottovalutata

Salvaguardiabiodiversità

Legge 313/2004artt. 1, 7, 9

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Alghe

Pollini

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� Sospensione d’uso degli agrofarmaci sistemi-ci dal 1999

� Continuo e ingravescente fenomeno di morìae di spopolamento fino ad oggi

� La causa principale delle pesanti perdite èrappresentata da inadeguata gestione sanita-ria delle patologie apistiche (varroasi, nose-miasi e malattie della covata).

Il problema non è solo agronomico ma va inqua-drato in modo globalizzato.

� Gli Apoidei privilegiano sempre polline di qua-lità

� Se c’è declino di Biodiversità vegetale, dimi-nuiscono anche i Pronubi

� Se diminuiscono i Pronubi, diminuisce l’effica-cia dell’impollinazione.

Collasso delle impollinazioni.

� Riduzione ulteriore del patrimonio apistico,già stimato intorno al 30-50%.

� Conseguente taglio dei finanziamenti apisticiUE.

� Disaffezione degli Apicoltori, NON supportatida ricambio generazionale.

� Perdita dell’integrità genetica dell’ape Ligu-stica, con il conseguente incremento di ibridi-smo, da cui: malattie, aggressività…

Si potrà fare ancora Apicoltura Professionale?

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Inoltre...Maggio 2008

Relazione AFSSAIn Francia

le cause di morìa delle api

sono sanitarie

S.S.A.Le conseguenze

Quindi...

Dilemma

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Azioni pratiche di prevenzionedella Peste americana

Maria Teresa FaldaPresidente COPAIT

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Il primo che parlò della peste americana comepatologia delle api, fu Aristotele (384-322A.CC.) descrivendola come malattia della cova-ta, dall’odore disgustoso. Il termine “peste delleapi” deriva, invece, dalla parola tedesca “fouleBrut” impiegata da Nickel Jacob, padre dell’api-coltura tedesca, per descrivere (anno 1568)una particolare patologia che colpiva la covatadelle api.

� Anche Dzierzon nel suo libro “Apicolturarazionale” scritto nel 1882, la descrisse

� Moses Quinby fu il primo a parlarne negliStati Uniti, nel suo libro “I misteri dell’apicol-tura”, pubblicato nel 1853

� Negli anni 1880, F. Cheshire, studiò ilBacillus larvae, associandolo allo sviluppo siadella peste americana che di quella europea.Pubblicò sulla rivista “British bee journal” ilrisultato dei suoi lavori, e le sue investigazio-ni conducevano all’idea che “esistesse unasola forma di patogeno che conduceva allediverse forme di peste.”

� Furono gli studi condotti da G. F. White(Ministero dell’agricoltura di New York), a

Malattiadella covata

Peste delle api

Azioni pratiche di prevenzionedella Peste americana

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dimostrare che le affermazioni di Cheshire edella sua corrente di sostenitori non eranocorrette: la peste europea e la peste ameri-cana non erano sviluppate dagli stessi pato-geni. White scoprì nel 1906 l’agente patoge-no della peste americana, e lo chiamòBacillus larvae

� Le patologie delle api furono chiamate Pesteamericana e Peste europea perché vennerostudiate la prima negli Stati Uniti e l’altra neipaesi Europei

� Recentemente, H. Shimanuki (Beltsville BeeLaboratory) attraverso analisi del DNA, haindividuato del genere Bacillus nuove sottope-cie. Di conseguenza, oggi, la definizionePaenibacillus ci riconduce al genere corret-to del batterio che provoca la peste america-na, indicato come Paenibacillus larvae sub-specie larvae

� É la malattia della covata delle api più diffusae grave per i danni che provoca

� Colpisce solo la giovane covata, e non le apiadulte

� L’ente patogeno è il batterio Paenibacilluslarvae WHITE

� Si può presentare in due forme: quella vege-tativa o quella di spora. Solo nello stadio dispora risulta infettiva per le api

� Gli opercoli diventano di colore scuro, tenden-te al nero, generalmente infossati.

Bacillus larvae

Peste americanae peste europea

Nuove sottospeciedel genere Bacillus

Paenibacillus larvaesubspecie larvae

Peste americana:ente patogeno

e sintomi

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� Le spore, inoltre, sono molto resistenti alcalore ed alla maggior parte dei disinfettantichimici. Potrebbero sopravvivere probabil-mente svariate decine di anni.

Sintomi

� Le api riconoscono le celletteinfette e bucano l’opercolo perrimuovere il contenuto.

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� Gli opercoli diventano di colorescuro, tendente al nero, gene-ralmente infossati.

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� Le larve infette mutano di co-lore e da bianche diventanomarroni.

� In stadio avanzato la malattiamanifesta un odore insisten-te, spesso associato a quellodella colla di pesce.

� Sintomo facilmente riscontra-bile è la filamentosità dellelarve e pupe colpite.

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� Le spore sono trasmesse dalle api adulte allelarve durante le operazioni di pulizia dei favi edurante le operazioni di nutrizione. P r op r i oper questo, il comportamento igienico dellafamiglia gioca un ruolo importante nel decor-so della malattia.

� In Italia è un problema diffuso su tutto il ter-ritorio e da una stima approssimativa, i danniprovocati riguardano: - la mancata produzione di miele stimata in

circa 2,5 milioni di Euro- la distruzione degli alveari per un valore

quantificato in circa 3 milioni di Euro- la contaminazione dei prodotti dell’alveare

dovuta all’impiego di chemioterapici (sulfa-tiazolo e ossitetracicline)

- la selezione di ceppi resistenti del batterio,con conseguenti difficoltà di convivenza pergli operatori del settore.

� Dal punto di vista scientifico, sono state fattefino ad oggi molte ipotesi

� L’esperienza dettata dal lavoro sul campopotrebbe suggerire ulteriori considerazioni

� La collaborazione tra ricerca e settore d’ap-plicazione potrebbe dare i migliori risultati.

� Da ricordare che, ad oggi, non esistono me-dicinali veterinari autorizzati per il trattamen-to di questa malattia

Quali fattoripossono provocareil manifestarsi dellapeste americana?

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� Controllo e Prevenzione pongono le loro basiprincipalmente sulla corretta gestione del-l’apiario, che consente una diagnosi precoceed un rapido intervento.

� Per prevenire e controllare la patologia, èimportante conoscere come si diffonde tra lecolonie (oggetto di discussione)

� Va tenuto però presente che, per infettareuna famiglia occorrono milioni e milioni dispore, sempre presenti negli alveari in misu-ra però non patologica.

� Trasferimento di melari tra le colonie (media-mente pericoloso se non si utilizzano favi chehanno contenuto covata)

� Trasferimento di covata tra le famiglie (alta-mente pericolosa)

� Scambio di accessori tra alveari (pericolositànon verificata)

� Saccheggio (altamente pericoloso)

� Attrezzature apistiche (leva, affumicatore,guanti, ecc) mediamente periocolosi

� Nutrizioni (altamente pericoloso)

Come si propagala peste americana?

Possibili cause di diffusione

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1.Resistenza larvale (Riessberger-Galle, U.Craisheim K. 2001) Secondo alcuni studi nel-l’intestino delle larve resistenti funziona unsistema di inibizione delle spore diPaenibacillus larvae. Il potere infestante delBacillus è, infatti, legato alla sua capacità diproliferare all’interno del canale intestinale edi penetrare attraverso la parete cellularedell’intestino

2.Filtrazione delle spore (Sturtevant Revel1953) Tutte le api possono rimuovere granu-li di polline ed altri corpuscoli dal nettareaccumulato nel sacco nettarifero. Le spore diPaenibacillus larvae sono più piccole dei gra-nuli di polline, ma si è osservato che le apidelle linee resistenti le rimuovono in modo piùefficace delle api delle linee sensibili.Probabilmente, le api operaie delle linee resi-stenti sono nutrite con alimentazione checontiene maggiori concentrazioni delle so-stanze indicate come antibatteriche. Colture sperimentali di Paenibacillus larvae interreni ai quali erano stati aggiunti concen-trazioni variabili di pappa reale proveniente dalinee resistenti, hanno dimostrato che la cre-scita del bacillo può essere inibita (W.C.Rothenbuler – V. C. Thompson 1956).

� Lindstrom A.(Departement of Ecology Swedish University)I risultati dimostrano che le spore non sonodistribuite in modo casuale fra le api; alcune

Importanzadel comportamentoigienico delle famiglie

Altre ricercheinteressanti

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api hanno un carico di spore molto più altorispetto ad altre. Chiaramente, se il numero di api contamina-te aumenta, il numero di spore contenutonelle api contaminate aumenta.I risultati della ricerca hanno inoltre dimostra-to che esiste una relazione tra il numero dicelle morte per contaminazione e la quanti-tà di api contagiate all’interno della colonia.

� I. Fries, A. Lindstrom, S. KorpelaTrasmissione Verticale della peste americananelle colonie d api.

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Problematiche connessecon il commercio delle api

Floris Vanni Consigliere UNAAPI

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� Le api (sciami, pacchi d’api, api regine ) sonoprodotti agricoli

� Il loro commercio è attività agricola.

Aspetti fiscali

Problematiche connessecon il commercio delle api

Imposta sul valore aggiunto (IVA)

N° voce doganale Prodotti % compensazione Aliquota ordinaria

01.06 Alveari 7.30% 10%

Ex 01.06 Api 7.30% 10%

Ex 15.15 Cera d’api greggia 8.80% 10%

Ex 22.07 Idromele 4% 20%

04.06 Miele naturale 8.80% 10%

04.07 Pappa reale pura 20%

21.07 Pappa realecon miele 10%

12.08 E Polline 4% 10%

15.15 BIPropoli: se classifi-cabile come cera

d'api greggia8.80% 10%

15.15 BIIPropoli: se classifi-cabile come cerad’api non greggia

20%

Servizi diimpollinazione 20%

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� articolo 1490 c.c.“il venditore è tenuto a garantire che la cosavenduta sia immune da vizi che la rendanoinidonea all'uso a cui è destinata o ne dimi-nuiscano in modo apprezzabile il valore”

� articolo 1494, comma 2° c.c. “Il venditore deve altresì risarcire al compra-tore i danni derivati dai vizi della cosa”Ciò significa che il venditore sarà tenuto asostituire l'esemplare o gli esemplari malati orimborsare il prezzo pagato dal compratoreper l'acquisto dell'animale viziato.

La Corte di Cassazione, sez. II, in sentenzadel 10-08-1977, n. 3690 ha infatti afferma-to che:“Nelle vendite di animali, se l'animale è affet-to da una delle malattie contagiose elencatenel regolamento di polizia veterinaria, e per lequali è previsto l'isolamento o il sequestro, ilnegozio deve ritenersi nullo per illiceità del-l'oggetto derivante dal divieto di alienazione, ilquale sussiste anche se l'incommerciabilitàdi cui trattasi non è espressamente dispostadal regolamento predetto”.

� Norme derivanti dal Regolamento di poliziaveterinaria ( DPR 320 del 1954)

� Norme derivanti da leggi o disposizioni locali� Norme derivanti dal Regolamento di polizia

veterinaria ( DPR 320 del 1954)� Per le api non esistono particolari restrizioni

relative alla commercio a meno di disposizio-

Aspetti commerciali

Responsabilitàcommercialedel venditore

Aspetti sanitari

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ni locali in presenza di indagini per specifichedenunce di patologie (disposizioni del Sin-daco).

� Legge Regionale 8 gennaio 1982, N. 3, arti-colo 14, Certificato sanitarioLa vendita di api vive o il trasferimento dialveari, possono avvenire solo quando questisiano accompagnati da un certificato che neattesti la sanità e la loro provenienza da alle-vamento sano e sito in zona non infetta, rilasciato da non oltre trenta giorni dallacompetente autorità sanitaria

Condizioni specifiche per le apiLe api (apis mellifera) devono:

a. provenire da una zona che non sia oggetto dimisure restrittive per la peste americana; ildivieto permane per almeno trenta giorni adecorrere dall'ultimo caso constatato dellamalattia e dalla data in cui tutti gli alvearisituati in un raggio di 3 chilometri sonostati controllati dal servizio veterinario ter-ritorialmente competente e tutti gli alveariinfetti sono stati bruciati o trattati sotto il suocontrollo;

b. essere accompagnate dal certificato sanita-rio conformemente alle disposizioni di cuiall'allegato.

� Prestare attenzione al materiale che “accom-pagna“ le api

Norme derivantida leggi regionali

Scambi tra paesidell’Unione Europea

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� 1 gennaio 2005- Reg 178/2002 “che stabilisce i principi e

i requisiti generali della legislazione alimen-tare e istituisce l'Autorità europea per lasicurezza alimentare e fissa procedure nelcampo della sicurezza alimentare” (introdu-ce il concetto di tracciabilità di filiera).Nello specifico dell’apicoltura, per garantirela rintracciabilità di alimenti e mangimi, gliapicoltori, in quanto diretti responsabilidella sicurezza dei prodotti finiti, devono- predisporre opportune registrazioni chepermettano di individuare chi ha fornitoloro animali (sciami, api regine, pacchid’api), mangimi (alimentazione proteica odi sostegno alle api) e alimenti (eventualemiele acquistato o altri prodotti utilizzatinelle fasi successive di lavorazione delmiele)

- predisporre opportune registrazioni chepermettano di individuare le imprese a cuiè stato ceduto il miele.

� 1 gennaio 2006- Reg.852/2004 “sull’igiene dei prodotti ali-

mentari” - Reg 853/2004 “che stabilisce norme spe-

cifiche in materia di igiene per gli alimenti diorigine animale”

� 9 febbraio 2006- Accordo tra il Ministero della Salute, le

Regioni e le Province autonome relativo a:

Tracciabilitàdelle produzioni

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“Linee guida applicative del Reg. CE852/2004 del Parlamento Europeo e delConsiglio sull’igiene dei prodotti alimentari”.

� Reg 853/04Il regolamento, che stabilisce norme specifi-che in materia di igiene per gli alimenti di ori-gine animale, non introduce specifici requisi-ti in riferimento alla lavorazione del miele edegli altri prodotti dell’apicoltura

� Reg 852/04Ambito di applicazione1. Il presente regolamento stabilisce norme

generali in materia di igiene dei prodottialimentari destinate agli operatori del set-tore alimentare, tenendo conto in partico-lare dei seguenti principi:- la responsabilità principale per la sicu-

rezza degli alimenti incombe all'operato-re del settore alimentare

- è necessario garantire la sicurezza deglialimenti lungo tutta la catena alimentare,a cominciare dalla produzione primaria

- ……- Il presente regolamento si applica a tutte

le fasi della produzione, della trasforma-zione e della distribuzione degli alimentinonché alle esportazioni e fermi restan-do requisiti più specifici relativi all'igienedegli alimenti.

2. Il presente regolamento non si applica:a. alla produzione primaria per uso dome-

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stico privatob. alla preparazione, alla manipolazione e

alla conservazione domestica di alimen-ti destinati al consumo privato

c. alla fornitura diretta di piccoli quantita-tivi di prodotti primari dal produttore alconsumatore finale o a dettagliantilocali che forniscono direttamente ilconsumatore finale.

� Reg 852/04Definizioni introdotte con le linee guida dell’ac-cordo Stato-Regioni- “fornitura diretta”- “commercio al dettaglio”- “livello locale”- “piccolo quantitativo”- Il ”livello locale” viene ad essere identificato

nel territorio della Provincia in cui insistel’azienda e nel territorio delle Province con-termini

- Art. n. 3. Obblighi generaliGli operatori del settore alimentare garanti-scono che tutte le fasi della produzione,della trasformazione e della distribuzionedegli alimenti sottoposte al loro controllosoddisfino i pertinenti requisiti di igiene fis-sati nel presente regolamento

Tre importanti concetti1. Abolizione del sistema autorizzativo2. Adozione di procedure basate sui principi

del sistema HACCP solo alle attività suc-cessive alla produzione primaria

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3. Elencazione dei requisiti igienici che devo-no essere garantiti nella produzione prima-ria (allegato I)

- Art. n. 6. Controlli ufficiali, registrazione ericonoscimentoIn particolare, ogni operatore del settorealimentare notifica all'opportuna autoritàcompetente, secondo le modalità prescrittedalla stessa, ciascuno stabilimento postosotto il suo controllo che esegua una qual-siasi delle fasi di produzione, trasformazio-ne e distribuzione di alimenti ai fini dellaregistrazione del suddetto stabilimento

- Dichiarazione attestante il possesso deirequisiti reg 852/04

- Le attività di produzione primaria possonoiniziare a partire dalla data di presentazionedella dichiarazione.

- Produzione primaria -> Adozioni corrette, prassi operative

- Trasformazione -> Adozionesistema HACCP

Tutte le attività relative alla produzione deiprodotti derivanti dall’apicoltura deve essereconsiderata produzione primaria, compresol’allevamento delle api, la raccolta del mieleed il confezionamento e/o imballaggio nelcontesto dell’azienda di apicoltura.Tutte le operazioni che avvengono al di fuoridell’azienda, compreso il confezionamentoe/o imballaggio del miele, non rientrano nellaproduzione primaria.

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- Adozione di buone pratiche di conduzionedell’allevamento (GFP) e nella lavorazionedel miele (GMP) finalizzate a salvaguardarela salubrità della produzione (protezione dacontaminazioni)

- Per la produzione primaria non c’è obbligodotarsi o elaborare alcun manuale

- Registrazione delle operazioni effettuate.

Implicazioniregistrazione di:- la natura e l’origine degli alimenti sommini-

strati agli animali- i prodotti medicinali veterinari o le altre

cure somministrate agli animali, con le rela-tive date e i periodi di sospensione

- l’insorgenza di malattie che possono incide-re sulla sicurezza dei prodotti di origine ani-male

- i risultati di tutte le analisi effettuate sucampioni prelevati da animali o su altri cam-pioni prelevati a scopi diagnostici, che ab-biano rilevanza per la salute umana

- abrogazione dei regolamenti e direttive pre-cedenti

- disapplicazione delle norme nazionali.

� Decreto Legislativo 6 Novembre 2007, n. 193, Abrogatonorme nazionali e Introdotto sanzioni- Legge 283/1962 (autorizzazione sanitaria)- Dlgs 155/1997 (HACCP e requisiti dei

locali)

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Titolo originaleLo “stato dell’arte” della lotta alla varroaLe scelte praticabili per una sfida impegnativa da affrontare con attenzione per evita-re di bruciare le - poche - armi disponibilia cura di: Luca Allais, Roberto Barbero, Francesco Panella, Riccardo Polide

Pubblicato da Aspromiele (Associazione Produttori Miele Piemonte)

Dossier realizzato con il contributo del reg. CEE 1234/07,Unione Europea e Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

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Corretto trattamento delle apiper il controllo della Varroasi

Francesco PanellaPresidente UNAAPI

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E’ l’ora di una messa a puntoL’U.N.A.API., con la sua CommissioneSanitaria, ha elaborato - da anni - una propostadi lavoro, indispensabile e unica, di confrontonazionale sulle possibili indicazioni di lotta allepatologie apistiche. Chiunque si occupi di sani-tà, animale o umana che sia, sa che condivisio-ne e comunicazione sono prerequisiti indispen-sabili per effettuare scelte. Tale funzione nondovrebbe essere assolta dall’associazionismoapistico, ma abbiamo dovuto farcene carico afronte dalla scarsa, se non nulla, iniziativa deidiversi responsabili pubblici. L’attività di surroganon ha certo l’obiettivo di risolvere quanto nondipende da noi nelle variegate emergenze vete-rinarie che vanno, ad esempio, dall’autorizzazio-ne d’uso di farmaci efficaci all’incapacità dei ser-vizi veterinari di prendere atto che la varroa èun parassita endemico. L’impegno e lo sforzo disupplenza nascono dalla nostra più che fondataconvinzione che il “fai da te” non sia la più ade-guata, moderna ed efficiente modalità di lottasanitaria.L’uso crescente di preparati chimici acaricidinon autorizzati è un dato innegabile nel nostropaese; in proposito non possiamo che ribadireche il risultato non può e non deve essere misu-rato sulla sola più o meno immediata puliziadagli acari ottenuta dal singolo apicoltore, mabensì nel medio/lungo periodo e riferito all’insie-me e varietà degli apicoltori.Siamo altrettanto coscienti dell’interazione tradiverse e intersecate cause e concause di

Presentazione

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stress delle api sia di carattere patologi-co/veterinario, sia di ordine ambientale. Sullapeste americana abbiamo espresso una propo-sta di lotta che individua nell’uso di antibiotici lascorciatoia che al di là del risultato apparente eimmediato comporta conseguenze irreparabilinel tempo. Tale approccio di lotta alla patologiasta ottenendo negli allevamenti apistici naziona-li sempre più positivi risultati. Di converso ilrecente sviluppo epidemico della peste europeaci vede disorientati, salvo la plurima constata-zione dell’insorgenza dei sintomi patologici suc-cessiva ad apicidi da pesticidi. Su questo nuovoe grave flagello cercheremo con tutti i “sogget-ti attivi di buona volontà” di sviluppare un con-fronto per individuare proposte operative. Per il momento ci limitiamo alla constatazioneche anche questa, come d’altronde varie pato-logie dell’alveare quali nosema e virosi, sembrarientrare tra le patologie che hanno uno svilup-po fattoriale dipendente dall’andamento dellevariabili. Nel sempre più arduo e complesso scenariodella difesa sanitaria degli allevamenti apisticiincidono sempre più fenomeni ambientali qualil’andamento climatico, la progressiva riduzionein quantità e varietà delle risorse botaniche el’effetto del crescente utilizzo di fitosanitari inagricoltura. Abbiamo investito tutte le nostreenergie per evidenziare l’incosciente e impru-dente autorizzazione d’uso di antiparassitaritossici per le api sia in modo immediato ed evi-dente, sia nel tempo in maniera più subdola,

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ma non meno preoccupante. I profitti di pochi sitraducono in una criminale irresponsabilità peril futuro non solo e non tanto di api e apicoltori,ma per l’insieme degli equilibri ambientali e perle stesse sorti dell’uomo sulla martoriataMadre Terra.Ci pare in proposito l’ora di finirla con la noiosa,pedissequa confezione di “minestroni” conl’elencazione di tutti gli ingredienti che contribui-scono alla crisi dell’apicoltura mondiale e italia-na, per cercare di affrontare in modo circostan-ziato ogni fattore su cui vogliamo e possiamosviluppare un’azione di contrasto.Raccogliere gli elementi d’analisi sullo sviluppodelle varie cause di crisi di sopravvivenza delleapi può e deve servire per capire come affron-tarle. Contenere la varroa a livelli accettabili èuna battaglia su cui registriamo crescenti diffi-coltà, cerchiamo assieme di capire comemigliorare in questa impegnativa sfida.Può sembrare facile dirlo ora, ma era già tuttoprevisto, sin dall’uscita dall’inverno 2006. Eccoperché quella del 2007 è stata una strageannunciata. Stupisce se mai l’entità della stra-ge, ma su questo hanno contribuito moltoanche alcuni fattori climatici. Cerchiamo di fareun po’ di ordine e di capire cronologicamentecosa è successo.

L’inverno mite del 2006/2007L’inverno 2006/2007 si è caratterizzato per lasua particolare mitezza. Raramente le tempe-rature minime sono scese sotto lo zero. Questa

2007:una strage annunciata

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particolare situazione ha avuto considerevoliripercussioni sulle api determinando in primis,anche in tutta la fascia a clima continentale, lamancanza del classico blocco di covata inverna-le. Ai problemi di eccessivo invecchiamentodelle api e soprattutto di abnorme consumo discorte (se le api, volando quasi giornalmente,hanno finito ovviamente con l’invecchiare piùprecocemente, le famiglie nel loro insiemehanno invece consumato molte più scorte siaper mantenere la temperatura per la covata siaper sopperire al maggior dispendio energeticolegato al quotidiano volo) si sono aggiunti anchei problemi legati alla varroa.Sempre si è scritto e detto che la lotta alla var-roa ha nell’intervento autunno-invernale il suoelemento cardine. Affinchè questo interventopossa esprimere la sua efficacia è indispensabi-le poter intervenire in condizioni di assenza dicovata. Il trattamento con acido ossalico goc-ciolato in soluzione zuccherina infatti richiede,per poter essere utilizzato con vantaggio, duerequisiti indispensabili: il giusto dosaggio e l’as-soluta assenza di covata. Già è difficile, comepiù volte ripetuto sulle pagine di L’Apis, riuscirea dosare correttamente il prodotto; se a questadifficoltà si somma la riduzione di efficacia con-seguente all’effettuazione del trattamento inpresenza di covata, allora la frittata è fatta!Questo è quanto è accaduto nell’inverno2006/2007. Le nostre famiglie sono quindiuscite dal “mancato inverno” con un carico divarroe eccessivo, varroe che per giunta non

Nell’inverno 06/07l’andamento climatico moltoparticolare ha determinatouna successione digenerazioni di varroainconsueta con quindi lo svi-luppo esponenzialedi popolazioni del parassita;già quindi “fuori sogliamassima” in molte situazio-ni nel giugno luglio del2007

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avevano mai smesso di moltiplicarsi. Una fami-glia per poter affrontare l’anno dovrebbe averea febbraio, quando in annate normali ripartireb-be la covata, non più di poche decine di acari;lo scorso anno erano con ogni probabilità alcu-ne centinaia. Troppe, decisamente troppe.

Giugno e luglio 2007Siccome piove sempre sul bagnato, a questasituazione di difficoltà se ne è poi venuta asovrapporre un’altra altrettanto grave.Giugno e luglio 2007 sono stati due mesi sicci-tosi e con temperature elevate. Soprattutto inluglio le api erano ferme: niente melata, nientenettare, poco polline. Che succede in questicasi? Drastica riduzione della covata. Peccatoche nei mesi precedenti la varroa aveva conti-nuato a riprodursi. Tante varroe si sono cosìconcentrate su una covata già sensibilmenteridotta. Ecco perché molte famiglie risultavano in gros-sa sofferenza già a fine luglio.

AgostoOrmai la popolazione di varroa era nella mag-gior parte dei casi comunque eccessiva, oltresoglia. Difficile cercare di porre rimedio con inormali interventi tampone se non abbinati adinterventi più drastici quali la rimozione dellacovata. Il timolo, principale se non unico princi-pio attivo impiegabile nell’intervento tampone,non è sufficientemente efficace in presenza diun altissimo livello di infestazione. Gli apporti

L’accavallarsi delle fiorituree la siccità nel luglio 2007hanno provocato in moltiareali un’improvvisa man-canza di risorse pollinichee un inconsueto, anticipatoblocco di deposizione cheha contribuito a renderepiù gravi e pesanti gli effettidelle varroe concentratesisulle api e sulle larve pre-sentii

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pollinici, fondamentali per la preparazione diuna buona popolazione inve rnale hanno conti-nuato a scarseggiare sia in qualità che in quan-tità in molti areali fino alla fine del mese di ago-sto.

SettembreLa maggior parte delle famiglie risultava ormaistremata, api vecchie, fortemente compromes-se nella loro vitalità dalla parassitizzazione subi-ta dall’acaro, poche api giovani e soprattutto uncarico di varroe (il 20-30% delle totali presentiad agosto) che continuava ad essere ancoratroppo elevato. Settembre è stato il mese in cuisi è concentrato il primo picco di mortalità dialveari.Sono stati tentati interventi con acido ossalicosublimato a cadenza stretta (3-4 giorni) conbuoni risultati in termini di efficacia nei confron-ti della varroa, ma ormai gli alveari erano forte-mente indeboliti e non più in grado di risollevar-si per affrontare l’inverno.

Autunno/Inverno 2007Pian piano le famiglie più deboli si sono esauri-te: qualche residuo di covata sparpagliatamorta perché non più riscaldata dalle api,poche api conficcate nelle cellette nel vano ten-tativo di suggere le ultime gocce di miele e poila morte per il freddo… ormai negli alveari nonera presente praticamente più nulla. Il secondopicco di mortalità si è concentrato in questomomento.

Nel 2007 perdite importan-ti si sono verificate già nellafase pre autunnale. Nellezone “fortunate” le pioggedi fine agosto/inizio settem-bre hanno determinato unbuon raccolto pollinico euna qualche ripresa dellepopolazioni d’api.

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Una stima attendibile indica, quantomeno nelCentro-Nord Italia, una perdita di alveari pervarroa che oscilla da un 20 ad oltre il 50 percento.

La gestione e il recupero del materiale dellefamiglie perse è oramai una nuova ricorren-te e triste attività per gli apicoltori.

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C’è un detto che dice “Non tutto il male vieneper nuocere”. Possiamo farne tesoro? Non solopossiamo, ma dobbiamo.Quanto accaduto nel 2007 ci offre infatti moltispunti di riflessione e di nuove proposte opera-tive. Questi 20-25 anni di confronto con l’acarosono stati contrassegnati da vittorie e sconfitte,complici anche gli andamenti climatici, le farma-coresistenze… E’ proprio nelle situazioni di diffi-coltà che la Commissione Sanitaria U.N.A.API.ha espresso il suo meglio per far tesoro di ogniesperienza e per proporre i necessari adatta-menti per affrontare con rinnovate proposte lalotta all’acaro. Il piano di lotta proposto per l’an-no 2008, solo apparentemente appare simile aquello degli anni trascorsi, contiene in realtàimportanti elementi innovativi; anzi forse implicamaggiori aggiustamenti tra le varie strategie etattiche di lotta sino ad oggi proposte, purbasandoci sempre sugli stessi principi attivi.

Il limite dell’ossalico gocciolatoTroppo diversa l’operatività di campo da quellapossibile in occasione delle prove di efficacia.Troppo vincolante il limite di poter effettuare unsolo intervento nel periodo invernale. L’acido ossalico gocciolato in soluzione zucche-rina garantisce elevati livelli di efficacia tutte levolte che si realizzano prove di campo, efficaciache si avvicina anche al 100%. Alla base di que-sti elevati valori esistono sempre due condizio-ni: l’assoluta certezza dell’assenza di covataabbinata ad un corretto e preciso dosaggio del

Pronti a partire

...Come far tesoro ditutte le esperienze pas-sate

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prodotto. Quando al contrario si opera incampo tutto cambia: si presume l’assenza dicovata e si dosa a spanne.Sull’effettivo blocco di covata invernale con ogniprobabilità dovremo iniziare a ricrederci. Troppele variabili in gioco. L’inverno mite 2006/2007ha avuto il merito di esasperare, portandolo allaluce in tutta la sua drammaticità, il problema.Coloro che nell’inverno 2006 hanno utilizzatoacido ossalico gocciolato in soluzione zuccheri-na sono quasi certamente intervenuti in presen-za di covata con gli ovvi limiti di efficacia. Siamoperò sicuri che nel più freddo inverno 2007 lefamiglie fossero certamente in blocco di cova-ta? Assolutamente no. Esposizione dell’apiario,forza delle famiglie, tipologia di materiale inver-nato (nuclei-famiglie), tipologie di arnie e delmateriale con cui sono costruite (nei nuclei nelpolistirolo la covata perdura più a lungo), insuf-ficiente popolazione (per varie cause di stress…quali l’eccesso di varroa) che induce la famigliaa protrarre la deposizione anche in condizioniclimatiche proibitive… troppe le variabili ingioco. Per essere certi bisognerebbe apriretutte le famiglie e controllare, ma in campo ciòavviene? Dobbiamo essere realisti: la risposta è no edallora semplicemente si presume che la covatanon ci sia più, con i possibili e conseguenti erro-ri. Drammatici nel caso dell’inverno 2006/2007, in cui come già più volte detto, presso-ché tutte le famiglie avevano covata, al momen-to dell’intervento.

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La “testa” e l’attenzione del-l’apicoltore proiettate suemergenze diverse dall’alle-vamento d’api, la raggiungi-bilità dell’apiario, le condizio-ni operative così come illimitato tempo a disposizio-ne possono molto influiresull’efficacia dell’“eradicazio-ne” invernale. Attribuirvil’opportuna priorità puòrivelarsi un buon investi-mento nella stagione suc-cessiva.

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Anche i dosaggi sono tutt’altro che semplici. Ilglomere, in funzione della temperatura esternapresente al momento in cui si interviene, puòessere più o meno compatto. Tanto più fa freddo tanto più il glomere sirestringe, ma il numero di api è sempre lo stes-so e pertanto il dosaggio dovrebbe essereuguale. Tre favi di api a 0°C potrebbero esserei quattro a 8°C o i cinque a 15°C. Qual è ildosaggio giusto? Il glomere è sempre così facil-mente visibile? No; quante volte abbiamo aper-to famiglie scoprendo che il glomere era basso,ovvero posizionato sul lato inferiore dei favi.Quante api ci saranno mai? Come capire alloraqual è il giusto dosaggio? Per completare talequadro di difficoltà in quel periodo stagionale sirealizzano altre condizioni quali: l’andamento cli-matico, problemi di accessibilità all’apiario, l’at-tenzione dell’apicoltore rivolta ad altre urgenze(commerciali e perché no di riposo…) tantiaspetti insomma possono concorrere a noncentrare il supposto “magic moment”. Se a tuttiquesti problemi, già di non facile soluzione, sisomma la possibilità di effettuare un solo inter-vento nella stagione invernale, pena rischio diestesi fenomeni di spopolamento, ne deriva unpreoccupante quadro sui limiti del possibile uti-lizzo di questa tecnica di somministrazione.L’acido ossalico gocciolato è arrivato al capoli-nea? Forse ancora no, ma certo l’impiego deveessere valutato con molta più attenzione.Dobbiamo sapere di avere nel momento oppor-tuno e “supposto risolutivo” una sola cartuccia

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da utilizzare e la possiamo giocare solo nelmodo migliore: dosandolo bene e in assenza dicovata. Peccato però che quest’ultimo aspettodipenda non tanto da noi, ma soprattutto dafattori esterni!

Cresce l’interesse e l’utilizzo dell’acido ossali-co sublimatoNotevole e crescente l’interesse verso questanuova modalità di utilizzo dell’acido ossalico, bentestimoniata sia dal sempre maggior numero diapicoltori che vi fanno ricorso sia dal fermentocui assistiamo nella presentazione di nuoviapparecchi sublimatori.L’ossalico sublimato non sembra avere alcuneffetto negativo sulle api, può quindi esseretranquillamente ripetuto, e non presenta alcunproblema di dosaggio, dal momento che è infunzione del volume dell’arnia e non del numerodi api presenti. Non richiede inoltre alcuna aper-tura dell’arnia. Nel 2007 abbiamo verificato incampo, grazie a plurime esperienze associativeed aziendali, ad una vera e propria rivoluzionenella proposta di utilizzo. Sino all’inverno 2006venivano consigliati tre interventi nel periodoinvernale a cadenza grosso modo mensile;l’obiettivo era che almeno uno dei tre sarebbecaduto in un momento di assenza di covata. Ilmetodo presenta una indubbia maggiore ed evi-dente elasticità rispetto al gocciolato, ma è benlontano dall’essere risolutivo in presenza diinverni miti, tanto è vero che anche chi ha uti-lizzato il sublimato ha lamentato perdite di

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La “testa” e l’attenzione del-l’apicoltore proiettate suemergenze diverse dall’alle-vamento d’api, la raggiungi-bilità dell’apiario, le condizio-ni operative così come illimitato tempo a disposizio-ne possono molto influiresull’efficacia dell’“eradicazio-ne” invernale. Attribuirvil’opportuna priorità puòrivelarsi un buon investi-mento nella stagione suc-cessiva.

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alveari imputabili a varroa nel corso della stagio-ne successiva.Ecco allora la vera novità: proprio alla luce delrischio di continua presenza di covata, in alcuneaziende sono state condotte prove per verificar-ne l’efficacia effettuando i tre interventi non acadenza mensile, ma settimanale. I risultatisono stati di notevole interesse: laddove il subli-mato è stato impiegato con questo criterio idanni da varroa nell’anno 2007 sono stati con-tenuti, tanto da poterli definire quasi come fisio-logici. Si è praticamente visto che il sublimato ininverno riesce a garantire un periodo efficace dicopertura di diversi giorni, pertanto, ripetendo-lo a cadenza all’incirca settimanale, riesce agarantire una buona efficacia anche in presen-za di covata. Le stesse considerazioni non sonoinvece valide in altri momenti dell’anno. Se lacovata presente è molta l’efficacia si riduce inmaniera significativa e se le temperature sonoalte il ciclo di intervento deve comunque essereabbreviato. Potrebbe al limite trovare impiego afine estate (settembre) per interventi di emer-genza e riducendo il ciclo di intervento a non piùdi tre giorni.

TimoloDobbiamo superare l’idea della rigidità di iniziointervento nei primi giorni di agosto per passa-re ad una maggiore elasticità ovvero intervenireprima che il numero di acari diventi eccessivo.Lo scorso anno nel mese di luglio, in buonaparte del nord Italia, le api erano in assenza di

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raccolto (nessun flusso nettarifero o di melatae altrettanto scarso bottino proteico) e già evi-denziavano i primi segnali di un preoccupantelivello di infestazione. Perchè non interveniresubito già in luglio? Chi ha optato per questascelta, raccomandata anche dai tecnici apisticidi Aspromiele e di U.N.A.API. e sul nostro sito,ne ha tratto indubbio beneficio.Il dosaggio del timolo deve inoltre essere megliomesso in relazione con l’andamento climatico(aumentandone il dosaggio se le temperaturesono basse).

Fluvalinate e AmitrazSe del fluvalinate (Apistan®) ormai si è ampia-mente parlato e si è visto che può essere presoin considerazione nel piano di lotta alla varroasolo in un’ottica territoriale e solo a rigorosacadenza quinquennale a condizione che neglianni intermedi non sia stato utilizzato, nel corsodel 2007 è stata presa in considerazione l’op-portunità di utilizzo di un altro prodotto l’Apivar®

(amitraz) che nelle prove sino ad allora condot-te aveva palesato alcune problematiche: se uti-lizzato, infatti, nei periodi di intensa presenza dicovata per i canonici due mesi ne risultava unaefficacia non constante e non sufficiente. Alcontrario, alla luce di come viene utilizzato inalcuni altri paesi europei, si è visto che può tro-vare utile collocazione in momenti con scarsapresenza di covata, lasciandolo all’interno del-l’alveare per un periodo più prolungato (fine set-tembre-fine dicembre/gennaio), diventando

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così un possibile sostituto dell’acido ossalicogocciolato, ovviamente valido per chi esercitauna apicoltura convenzionale e non bio.

I blocchi di covataPotevano essere una ipotesi operativa di ripiegoe possibile solo per aziende di limitate dimensio-ni. L’interesse verso questa possibile soluzionesta oggi crescendo e coinvolge anche aziendeprofessionali. L’uscita di nuovi e più validi model-li di gabbie fa sì che siano stati risolti alcuni pro-blemi legati alla riaccetazione delle regine. Ilmaggior impegno e qualità di lavoro richiestipossono trovare ampia giustificazione in terminidi efficacia nella lotta all’acaro.

La nuova proposta operativaNelle pagine seguenti verranno attentamenteesaminati i prodotti che possono essere impie-gati nella lotta alla varroa.A grandi linea la proposta operativa si articola:

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L’uso di Apistan® puòessere considerato solo indeterminate condizioni.

Interventi estivi(luglio - agosto)

Interventiautunno - invernali

Timolo Acido ossalico sublimato(tre interventi a cadenza settimanale)

Blocco di covata Acido ossalico gocciolato(solo in assoluta e certa assenza di covata)

Apistan(ogni 5 anni)

Apivar(da fine settembre a fine dicembre-gennaio)

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Principio basilare della vita democratica è,anche nella lotta alla varroa, un caposaldo cuinon si può prescindere.E’ stata la rapidità con cui la varroa ha sviluppa-to resistenza al fluvalinate ad evidenziare il pro-blema. Che era successo? Semplice, l’apicoltu-ra aveva a disposizione un prodotto che rac-chiude due requisiti fondamentali evidenti, ele-vata efficacia e facilità di utilizzo, e un’altracaratteristica di minor evidenza ma non perquesto meno rilevante:notevole e persistentecessione della molecola nella varie matrici del-l’alveare. Da tutti è stato ovviamente utilizzatoper alcuni anni consecutivi, esercitando cosìuna considerevole pressione selettiva nei con-fronti dell’acaro che è stato in grado, col sennodi poi era in realtà facile da capire, di seleziona-re subito ceppi resistenti. Si consideri inoltre ilmeccanismo di azione: un prodotto che devepermanere all’interno dell’alveare per almeno45-60 giorni con rilascio lento di un principioattivo che, essendo liposolubile, si scioglie e siaccumula nella cera del nido.Anche questo è stato, ed è tuttora, un graveproblema. Una volta che i vari principi attivi lipo-solubili entrano nella cera è impossibile rimuo-verli dalla stessa. Ecco perché ancor oggi siritrovano nella cera residui di fluvalinate imputa-bili proprio a quei trattamenti eseguiti agli inizidegli anni ’90. La cera ha azione protettiva neiconfronti dei principi attivi liposolubili e si puòsolo sperare nella loro diluizione nel tempo.Fondamentale è pertanto fondere separata-

Un principiofondamentale:

l’alternanza

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mente i favi da nido e l’opercolo e destinare lacera di nido ad usi non apistici; anche così ope-rando si attenua ma non si evita l’accumuloresiduale: il movimento delle api, il riciclo dicera e propoli fa si che naturalmente esista unamigrazione di principi attivi dal nido al melario,tanto più alta quanto maggiore è la loro concen-trazione. Ne segue l’ovvia considerazione chenella lotta alla varroa non tutti i prodotti sonouguali. Possiamo parlare di facilità di uso, dicosti, di efficacia, ma non si può dimenticareche la residualità degli stessi non è equiparabi-le. Non sono assolutamente paragonabili daquesto punto di vista interventi effettuati conacidi organici (non liposolubili) e timolo (evapo-ra), che non residuano nella cera, con fluvalina-te o amitraz o altri prodotti di sintesi chimicheinvece residuano accumulandosi nel tempo. Seè vero che i prodotti non sono tutti uguali in ter-mini di residualità, sembrerebbe altrettantovero che non siano uguali neppure per la possi-bilità di produrre farmacoresistenza.Da questo punto di vista, sembrerebbe (il con-dizionale è comunque d’obbligo) che prodotticon meccanismi di azione aspecifici, come l’os-salico che ha semplicemente azione caustica enon interferisce nel metabolismo del parassita,non possano produrre farmacoresistenza. E’ inpratica lo stesso motivo per cui nella lotta allaperonospora della vite è ancora valido il classi-co verderame, mentre hanno già perso effica-cia i primi prodotti sistemici di sintesi chimicaintrodotti negli anni ’80.

L’Apivar® ha una cessione diAmitraz alle matrici dell’al-veare considerevolmenteinferiore rispetto alle formu-lazioni “casalinghe” su baseoleosa o tramite fumigazio-ne. L’investimento, cui sonomeno propensi gli apicolto-ri, per l’acquisto di prepara-ti acaricidi potrebbe essereben ripagato sia dall’effica-cia immediata e sia soprat-tutto dalla possibilità di ser-barne l’uso nel futuro.

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Nella lotta alla varroa le caratteristiche residua-li o meno delle molecole utilizzate assumonovalore basilare. Vi sono prodotti che più facil-mente creano resistenze e che maggiormenteresiduano e si accumulano nella cera. Questodeve essere attentamente valutato. L’approcciochimico può tuttavia, in alcuni casi forse deve,essere preso in considerazione. Questo dossiercertamente non li esclude, anzi… sono parteanche della proposta; dobbiamo però ottimiz-zarne l’utilizzo al fine di non favorire nascita dinuove farmacoresistenze o ricomparsa di vec-chie, al fine di garantirne la loro più lunga pos-sibile durata di impiego. Sono poche le moleco-le utilizzabili, dobbiamo salvaguardarle. E’ fonda-mentale pertanto alternare i principio attivi nelcorso dell’anno (le varroe resistenti al primopossono essere eliminate con il secondo) e, nelcaso di utilizzo di prodotti di sintesi chimica, cheresiduano, avvicendandoli con trattamenti chenon residuano (timolo, acidi organici). All’even-tuale intervento estivo con fluvalinate fare sem-pre e comunque seguire l’intervento autunnoinvernale con ossalico sublimato. Gli interventiroutinari dovrebbero fondarsi soprattutto suquei prodotti che non residuano, non si accu-mulano nella cera, non creano farmacoresi-stenza, il cui impiego dovrebbe essere incenti-vato e non ostacolato! Per concludere una con-siderazione, forse filosofica in questo contestosociale, ma fondamentale. Se è vero che la dife-sa dell’ambiente è un dovere per quanto ognu-no di noi può fare, è altrettanto vero che in qua-

Preoccuparsi del futuro diapi e apicoltori deve tradur-si nel dedicare la massimaattenzione per la minorepossibile contaminazione,e accumulo, di molecolechimiche - dagli effettiimprevedibili sulle api - nellevarie matrici che compon-gono l’animale ape.

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lità di apicoltori dobbiamo fare il possibile siaper salvare le api, ma anche per salvaguardarel’ambiente alveare e la cera in primo luogo.Abbiamo il dovere di conservare l’ambiente perle generazioni future, ma in quanto apicoltori farsì che la cera, la propoli, il legno su cui le apifuture vivranno possa essere vivibile per le stes-se! E’ vero che le firme del settore non ci offro-no prodotti nuovi ormai da più di un decennio, èaltrettanto vero che chi dovrebbe proporre tace(quando va bene, perché quando parla è per lopiù non sempre a proposito), ma non facciamogli scaricabarili ed assumiamoci le nostreresponsabilità fino a quando è possibile soste-nerle. Questo significa usare i prodotti con ladovuta oculatezza, preferendo quelli che noncreano problemi residuali e ricorrendo agli altrinei casi di effettiva necessità e con una corret-ta alternanza degli stessi.

La tipologia e l’alternanzadelle molecole utilizzatesono aspetti fondamentalirispetto alla determinazionedi processi di selezione diceppi di varroe resistenti.

Controllare il livello d’infestazione emantenere sempre alta la vigilanzapreventiva sono precauzioni oramai

obbligate se vogliamo salvare le nostreapi. L’”alternativa” sono “trattamenti

al buio”, a calendario con dosaggicrescenti e/o mix di molecole

che rischiano di aumentare la pressioneselettiva e di incidere sul delicato

equilibrio vitale delle api.

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Il timoloL’utilizzo del timolo come acaricida è conosciutodagli anni ’80. Pur non essendo conosciuto ilsuo meccanismo di azione, è uno dei pochi prin-cipi attivi per cui non è ancora comparsa resi-stenza da parte dell’acaro. È utilizzabile in api-coltura biologica ai sensi del Reg CE 1804/99e non lascia residui nella cera. Essendo un prin-cipio attivo che funziona per evaporazionenecessita di idonee temperature. Il rischio èche con le basse temperature non se ne rag-giunga all’interno dell’alveare una concentrazio-ne sufficiente per uccidere la varroa; con le altetemperature o in presenza di sovradosaggi inve-ce le api si possono allontanare.Nel piano di lotta elaborato dalla CommissioneSanitaria U.N.A.API. e proposto da oltre 15anni, l’utilizzo di questo principio attivo è previ-sto nel periodo estivo nel trattamento denomi-nato TAMPONE. L’impiego importantissimo del timolo ha comeobiettivo generale di ridurre il livello di varroa dapoche migliaia (non oltre le 2000-3000) a qual-che centinaio in modo tale da permettere alleapi che si formano nel periodo estivo di esseresane e vivere il più a lungo possibile. Normal-mente il trattamento viene eseguito all’inizio delmese di agosto.Attualmente in Italia sono registrati due prodot-ti commerciali a base di timolo che sono l’ApiLife Var® della ditta Chemicals Laif e l’Apiguard®

della ditta Vita (Europe).

Gli interventi estivi

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L’Api Life Var®

E’ costituito da tavolette di materiale inerte(Oasis) impregnate di timolo, mentolo ed euca-liptolo. Normalmente per ogni alveare si impie-ga una tavoletta divisa in tre-quattro parti, posi-zionate sul listello portafavo. Si devono effettua-re almeno tre interventi a distanza di 6-7 giorni(più caldo c’è, minore deve essere l’intervallo).E’ indispensabile rimuovere i residui delle tavo-lette alla fine dell’ultimo intervento.Grazie al lavoro svolto in questi anni dallaCommissione Sanitaria U.N.A.API., è stato pos-sibile mettere a punto alcuni dettagli sia clima-tici che nella struttura dell’alveare che possonoottimizzare l’efficacia del prodotto. Sembra chesiano soprattutto le temperature minime ainfluenzare l’efficacia del trattamento. Infattiquando scendono sotto i 18-20 C° (cosa chepuò succedere nel mese di agosto molto piùfrequentemente di quanto si pensi) il timolo nonevapora in modo sufficiente e quindi parte dellavarroa non viene uccisa. In questi casi si sonoottenuti risultati migliori aumentando la quanti-tà di prodotto: anziché una tavoletta, occorreutilizzarne una e mezza divisa in sei parti, sem-pre con ripetizione settimanale. Un altro parti-colare da tenere in considerazione è che il pro-dotto funziona meglio se i coperchi degli alvearisono coibentati con struttura di legno/masoni-te e non di solo lamierino piegato e saldato. Altermine del ciclo di intervento è indispensabilerimuovere i residui di cera o propoli in cui vieneannegato.

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Nel caso in cui il prodotto venga utilizza-to in climi estivi molto caldi convieneinserire solo i 3/4 di una tavoletta aintervalli di 4-5 giorni. Per concludere sela quantità di varroa negli alveari è statastimata prima dei trattamenti oltre le2000 unità può essere considerata lasomministrazione a cinque giorni diquattro tavolette ad alveare. Alcuni api-

coltori invece, avendo osservato dopo la sommi-nistrazione della terza tavoletta di Api Life Var®

ogni sette giorni una caduta ancora eccessiva(alcune centinaia), hanno proseguito la sommi-nistrazione con una quarta tavoletta; in talcaso, considerato il disagio e lo stress che iltrattamento comporta alla famiglia d’api, rite-niamo opportuno consigliare di effettuare unavalutazione dell’infestazione iniziale più accuratae procedere dall’inizio alla somministrazione diquattro tavolette a cadenza di cinque giorni.

L’Apiguard®

E’ un gel brevettato la cui formulazione consen-te di rilasciare il timolo gradualmente. Vienecommercializzato sia in vaschette che in sec-chielli.Vaschetta da 50 grammi: il trattamento daapplicare ad ogni alveare consta di 2 sommini-strazioni, impiegando ogni volta una vaschettadi Apiguard®, a distanza di due settimane.Prima dell’utilizzo, ogni vaschetta deve essereaperta e posizionata sui telaini di covata. Andràsostituita con una seconda vaschetta dopo 10-

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Il timolo e gli oli essenzialiutilizzati da molti anni nonlasciano residui duraturinegli alveari. Un quesito irri-solto è se possono averesplicato una pressione diselezione di ceppi di varroacon fase foretica accorciata.

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12 giorni, se vuota, altrimenti si lasciala vaschetta nell’alveare fino a che il gelnon è completamente scomparso. E’molto importante che la soffitta dell’al-veare sia girata sottosopra in modo taleche le api riescano a veicolare meglio ilprodotto all’interno dell’alveare. Sembrache maggiore sia il volume della cameradi evaporazione maggiore sia l’efficaciadel prodotto.Secchielli da 3 chilogrammi: il gel andràspalmato su di un supporto (cartone,plastica…) delle dimensioni di 10x10 cmsui quali si stenderanno 25 g di Apiguard®. Iltrattamento consta di 3-4 somministrazioni adalveare ad intervalli di una settimana.L’esperienza fa sconsigliare l’applicazione diret-ta sotto il coprifavo.In conclusione: nell’utilizzo dei prodotti a base ditimolo occorre fare molta attenzione soprattut-to alla temperatura ambientale e al livello di infe-stazione della varroa.

Il fluvalinate - Apistan®

Il fluvalinate, dopo l’arrivo della varroa, è statoper lungo tempo utilizzato come unico principioattivo. Sembrava avesse risolto il problema var-roa ma, quando nel 1992, sono state ufficializ-zate le prime forme di resistenza, si sono imme-diatamente evidenziati i limiti e gli errori com-messi sia nell’averlo utilizzato quale unico princi-pio attivo, sia nell’averlo lasciato per perioditroppo lunghi negli alveari, sia infine per avere

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I preparati a base di timolonecessitano di tempoper esplicare una circoscritta efficacia per cui la loro azione si è rivelata ottimale solo se illivello di infestazioneè inferiore ad unadeterminata soglia.

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utilizzato, per risparmiare, altri pro-dotti agricoli con il medesimo principioattivo. La facilità di impiego e la suaelevata efficacia si sono rivelati in defi-nitiva proprio quale limite principaledel prodotto. Per più anni consecutivil’apicoltura italiana ha avuto nel p.a.fluvalinate l’unico prodotto utilizzatonella lotta alla varroa, con il risultatodi una grossa pressione selettiva nei

confronti dell’acaro. La presenza di dosaggisubletali nella cera del nido, dovuti al lungoperiodo di permanenza e cessione, può avercontribuito a favorire lo sviluppo della resisten-za. Ancor oggi le analisi chimiche sulla cera evi-denziano una presenza del p.a. sebbene non piùutilizzato negli ultimi anni. E’ stato evidenziatoche il carattere resistenza acquisita possa neltempo regredire, cioè diluirsi nella popolazionedi acari. In pratica non sparirà mai del tutto, maè come se fosse in un angolo. L’Apistan® puòancora oggi trovare utilizzo a patto che:� venga attentamente monitorata nel territorio

l’evoluzione della resistenza, o meglio dellasua regressione, nei confronti del fluvalinateda parte della varroa;

� esista una realtà associativa e di assistenzatecnica che conosca il territorio e possa assi-curare l’utilizzo contemporaneo da parte ditutti gli apicoltori;

� venga utilizzato il prodotto commerciale talquale ad intervalli minimi di almeno 5 anni traun impiego ed il successivo. Indispensabile,

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Le strisce debbono esserecollocate con cura epermanere il tempo necessario negli interspazidove è collocata l’attivitàdella famiglia d’api.

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pena gravi insuccessi, che non sia più utilizza-to, da alcuno in quel territorio, il piretroide oaltri con resistenza crociata quantomeno neisuccessivi 5 anni.

Dal punto di vista operativo il consiglio è di uti-lizzare l’Apistan® nel periodo estivo dopo l’ultimoraccolto, tolti i melari, si inseriscono due stri-sce per alveare e si lasciano agire per almeno40/60 giorni. Occorre fare molta attenzione aposizionare le strisce tra i favi in cui è maggio-re la presenza di api per tutto il periodo di utiliz-zo in modo tale che il p.a. possa essere ben vei-colato per tutto l’alveare. Una saggia decisionepotrebbe essere quella di verificare con test afine trattamento che l’efficacia sia stata suffi-ciente per non avere poi successive e bruttesorprese.Un consiglio molto importante per mantenerebassa la resistenza è di effettuare comunquesuccessivamente il trattamento invernale conun’altra molecola. La regola aurea di alternaredue principi attivi con diverso meccanismodi azione nell’ambito della stessa annata, contri-buisce in modo determinante a frenare lo svilup-po della resistenza da parte della varroa.

I blocchi di covataPerché interrompere la covata? Se partiamosemplicemente dalla constatazione che durantela stagione attiva ed in presenza di deposizionecirca l’ottanta percento degli acari si trova nellacovata opercolata, ci rendiamo immediatamen-te conto che l’efficacia di qualsiasi trattamento

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è subordinata al fatto di riuscire a col-pire quasi tutte queste varroe e nonsoltanto quelle attaccate alle api adul-te. Praticamente la totalità dei tratta-menti estivi presi fino ad oggi in consi-derazione era basata sull’utilizzo diprodotti evaporanti somministrati ripe-tute volte fino a coprire l’intero ciclodella covata maschile, anzi, per mag-gior sicurezza, si tendeva a prolunga-

re ulteriormente il periodo del trattamentodovendo comunque fare attenzione ad una seriedi variabili come le temperature minime, quellemassime, il volume d’aria nell’arnia, le tempera-ture sotto il coprifavo, l’umidità dell’aria, … Soloalcuni di questi parametri sono però realmenteprevedibili o controllabili dall’apicoltore cosicchési finiva per adottare questi presidi soprattuttoper la loro capacità di provocare almeno parzial-mente una riduzione della deposizione, salvo poiintervenire alla fine del ciclo con gli evaporanticon una o più somministrazioni di acido ossali-co gocciolato o sublimato. Il blocco della covataè invece basato su una azione di tipo esclusiva-mente meccanico e prevede la reclusione dellaregina in gabbiette concepite appositamentecon la fondamentale caratteristica di consenti-re il passaggio delle api operaie.Solo il contatto prolungato e continuo dellenutrici che entrano ed escono liberamente dallagabbietta permetterà, infatti, la diffusione deiferormoni reali a tutto l’alveare impedendo,nella maggioranza dei casi, la costruzione di

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L’individuazione di tutte leregine dell’apiario e il loroingabbiamento richiede unabuona capacità e a volte,specie in fasi stagionali nonpropizie e causa saccheg-gio, non è possibile.

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celle reali di sostituzione. Se l’ingabbiamento siattua in un periodo stagionale eccessivamenteavanzato e/o d’assenza d’importazione sonostati registrati vari casi di avvio di allevamentoreale da parte delle famiglie. La regina vienedunque catturata e inserita nella gabbietta incui dovrà trascorrere un periodo che va da unminimo di diciotto ad un massimo di ventottogiorni. Nelle gabbie più piccole la regina inter-rompe del tutto la deposizione mentre in quelledi dimensione maggiore, che le lasciano adisposizione una porzione di favo o addirittural’intero telaino, la deposizione continua seppur aritmo ridotto e dovrà chiaramente essererimossa ed eliminata prima dei nostri tratta-menti finali perché in quelle celle opercolate sisarà concentrata della varroa.Terminato il periodo di reclusione dovremointervenire con trattamenti a base di acidoossalico con varie possibilità e cadenze. Il prin-cipio fondamentale è che tutta la varroa dovràessere colpita prima che si opercoli la covatadeposta dopo la liberazione della regina.Alcuni giorni dopo la liberazione dovremo peròassolutamente controllare se la deposizioneriprende in modo regolare. In caso contrario sirenderà necessario sostituire in tempi rapidi laregina prima che la famiglia collassi misera-mente. Nello stabilire il calendario dei nostriinterventi dovremo comunque tenere presenteche l’acido ossalico per gocciolamento nonpotrà essere ripetuto a cadenze ravvicinate (inquanto scarsamente tollerato dalle api) e quindi

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il suo utilizzo dovrà essere alternato con altriprodotti o diverse modalità di somministrazionedello stesso.Altro elemento fondamentale da tenere presen-te è il livello di parassitizzazione iniziale, presen-te cioè nel momento in cui ingabbiamo la regi-na: nel caso il numero di varroe sia molto ele-vato non potremo permettere che, uscendodalla covata sempre più ridotta, finiscano per“danneggiare in modo irreparabile” le nostre apiadulte per un periodo così lungo e si renderàdunque necessario un primo trattamento tam-pone già in questa fase.Purtroppo negli alveari con regine un po’ attem-pate il metodo rischia di non ottenere i risultatiprevisti in quanto la famiglia approfitta dellasituazione per mandare definitivamente in pen-sione la vecchia mamma. Questa evoluzionenon è del tutto negativa in quanto il trattamen-to finale, in assenza quasi totale di covata oper-colata, permetterà comunque una buona puli-zia. L’ingabbiamento delle regine potrebbe esse-re anche positivamente attuato con successivee sinergiche operazioni apistiche quali la con-cessione di celle reali e quindi il cambio delleregine stesse. Oltre ai trattamenti veri e propribisognerà inoltre tenere presente che, dalmomento in cui la regina sarà liberata, trascor-reranno circa due giorni prima che riacquisti lacapacità di deporre uova. Nel periodo immedia-tamente successivo dovranno comunque esser-ci tutte le condizioni di flusso nettarifero e polli-nifero che consentano alla stessa regina di

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deporre abbondantemente e alla vecchia fami-glia di ricostituire rapidamente una giovanepopolazione. Se tutto questo non avviene, l’al-veare potrà nel tempo esaurirsi. Compito del-l’apicoltore sarà dunque anche quello di sommi-nistrare nutrizioni zuccherine e/o proteiche intutti i casi in cui si rendano necessarie.La scelta del periodo di ingabbiamento dovràtenere conto di alcuni elementi:� le condizioni anche se sfavorevoli del periodo

in cui la regina è reclusa (la famiglia genere-rebbe comunque poche api).

� Le condizioni ambientali assolutamente favo-revoli (in modo naturale o indotto) nelmomento di ripresa della deposizione.

� Il tempo sufficiente nel periodo tardo estivoaffinché la famiglia ricostituisca in modo suf-ficiente ed equilibrato la sua popolazione epossa invernarsi in modo appropriato.

Non è una gabbietta pergrilli! E’ di fabbricazionecinese e serve a imprigiona-re la regina tramite unaporticina a scorrimento,consentendo l’accesso delleapi.

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Pro Contro

� possibilità di pulizia da varroa conmetodi decisamente naturali tra-mite un’interruzione forzata dellacovata, ma continuando a mante-nere la regina all’interno dellafamiglia quindi, teoricamente,senza salassare la famiglia

� costo gabbiette� dispendioso per il tempo necessa-

rio di ricerca della regina� qualora vengano costruite celle

(ipotesi che può verificarsi in alcu-ni casi con regine di almeno dueanni) sirende necessario aspor-tarle

� necessaria buona capacità nellaricerca delle regine;

� a volte impossibile per nervosi-smo e/o saccheggio d’apiario;

� necessità di ritorno in apiario nelcaso di mancata individuazione eingabbiamento di parte delle regi-ne.

� posizionamento delle gabbiette;� temperature sotto il coprifavo;� relazione fra dimensione delle gabbiette e accettazione della regina libera-

ta;� relazione fra dimensione delle gabbiette e trend di ripresa della covata.

ELEMENTI SU CUI È NECESSARIO ANCORA SVILUPPAREOSSERVAZIONI PIÙ APPROFONDITE E CONDIVISIONE

Possibili tipi di gabbiette

� Telaini chiusi da escludiregina� Gabbietta Scalvini� Gabbietta Mozzato� Telaino Baragatti - Mondaini - Rinaldi� Gabbia Lega� Escludiregina di plastica sottile

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Acido formicoTema scottante; non tanto e non solo per lepossibili ustioni per il contatto con la soluzionedi acido formico (del resto bisogna essere one-sti e dire che l’utilizzo di tutti i prodotti richiedele necessarie e opportune attenzioni;ricordoche la prima volta che ho impiegato l’Api LifeVar®, per essere ordinato, mettevo i sacchettivuoti nelle tasche della tuta; pur non essendo ilfatidico “38 luglio” faceva comunque moltocaldo, si sudava ed i residui di timolo sul sac-chetto, proprio col sudore, si scioglievano edopo poco sono iniziati i bruciori…), ma per ladifficoltà di riuscire a tradurre il possibile utiliz-zo dell’acido formico in proposte concrete.Pensare che il dato certo è che per avere un’ot-tima efficacia è necessario che giornalmenteevaporino 8 cc di acido formico all’85%. Tuttoqui? Si, il segreto del formico è tutto qui. Tra ildire ed il fare c’è però di mezzo il mare: risultaestremamente difficile in realtà mettere in attoun sistema di erogazione del prodotto, ovvia-mente economico, che garantisca tale costan-za di evaporazione. Purtroppo le metodiche pro-poste sono estremamente varie e non standar-dizzabili e generalizzabili in ogni situazione. Sipensi semplicemente alle differenze tra i varisupporti su cui si può gocciolare il formico, ledimensioni della superficie evaporante, il posi-zionamento (sul fondo o sui listelli portafavo),l’eventuale tipo di tetto utilizzato (se di solalamiera o coibentato con legno o masonite) nelcaso in cui si impieghino erogatori tipo l’Er-

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Form, le temperature e l’umidità esterna,l’esposizione dell’apiario ed il suo eventualeombreggiamento, la forza della famiglia… levariabili in gioco sono tali e tante che il metododi utilizzo deve essere valutato ed adattato casoper caso. Ciò detto l’utilizzo di acido formico èindubbiamente possibile ed è ben testimoniatoda varie esperienze aziendali, che con efficacialo impiegano da anni; non sono però mai espe-rienze trasferibili tali e quali in altri contesti. Inestrema sintesi ognuno deve mettere a punto lapropria metodica!Come dimostrano molteplici esperienze e pro-cedure adottate tra l’altro da varie aziende pro-fessionali, come ad esempio Roberto Parisi inTrentino e Riccardo Polide per i suoi apiari nellevalli alpine cuneesi, con risultati più che apprez-zabili e interessanti. Per una più completo edesauriente trattazione rimandiamo il lettore aquanto pubblicato sul n. 7/2007 pagg. 44-45e sul n. 5/2006 pagg. 44-45 di L’Apis a firmadi Paolo Faccioli.

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Aziende anche di significative dimensioni utilizzano con soddisfazione l’acido formico.

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L’ossalico gocciolato: il passato?L’acido ossalico gocciolato in soluzione zucche-rina viene utilizzato ormai da svariati anni ed harappresentato un notevole passo in avantirispetto al precedente utilizzo dell’ossalico nebu-lizzato direttamente sulle api in soluzione acquo-sa al 2%. Il vantaggio è evidente: non più neces-sario il sollevamento di tutti i favi e l’operazionepuò essere svolta con notevole maggiore veloci-tà. Due le formulazioni proposte che variavanotra loro per la diversa concentrazione zuccheri-na.La prima prevedeva l’impiego di 100 g di acidoossalico, un kg di zucchero, un litro di acqua; laseconda 80 g di ossalico, 400 g di zucchero,un litro di acqua. La prima garantisce, da quan-to emerso dalle prove condotte, una maggioreefficacia, a scapito però di una minor tollerabili-tà da parte delle api.Preparata la soluzione, eventualmente riscal-dando leggermente il tutto per velocizzare lasolubilizzazione di zucchero ed ossalico, se neimpiegano 5 cc per ogni spazio tra i telainioccupato da api. La soluzione va gocciolatadirettamente sulle api e non sui listelli portafavoin quanto il prodotto agisce esclusivamente percontatto e non per via sistemica. La presenzadi zucchero non serve perché venga ingeritodalle api, ma garantisce semplicemente unamigliore adesività al corpo dell’ape. Eventualigocce di prodotto cadute fuori dal glomere eche non vanno a diretto contatto delle api per-tanto non contribuiscono all’efficacia del tratta-

Gli interventiautunno-invernali

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Le condizioni di lotta richiedono una sempre piùelevata capacità operativaagli apicoltori.

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mento. Il meccanismo di azione è legato nonall’acido ossalico in quanto tale, ma esclusiva-mente al pH della soluzione. E’ quindi l’aciditàdella soluzione ad uccidere la varroa e non ilprincipio attivo acido ossalico in quanto tale.Questo spiega il crescendo di efficacia riscon-trato nel tempo passando dall’acido lattico (ilmeno acido ed il primo ad essere utilizzato nellalotta alla varroa), al propionico, per finire conl’ossalico (il più acido).L’intervento non può in alcun modo essere ripe-tuto pena il rischio di estesi fenomeni di spopo-lamento negli alveari da mettere in relazionecon ogni probabilità alla stessa elevata aciditàdella soluzione. In pratica la stessa ape non puòmai essere bagnata due volte con la soluzionezuccherina di acido ossalico.Condizioni indispensabili per ottenere buoni ri-sultati sono rappresentate dalla assenza dicovata e dal giusto dosaggio.Problemi dei quali si è ampiamente parlato nellepagine precedenti. L’esperienza di campo matu-rata in questi anni non ha consentito di eviden-ziare in campo migliori risultati di una formularispetto all’altra; segno questo che la maggiorefficacia di una (100 g di ac. ossalico, un kg dizucchero, un litro di acqua) viene vanificata siadalle grosse difficoltà di dosaggio e sia dalla per-manenza di covata.Oggi l’impiego di tale formulazione risulta propo-nibile solo a condizione di una preventiva e certaverifica dell’assenza di covata, rimuovendoeventualmente quella ancora presente o inter-

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La somministrazione gocciolata servead acidificare l’ambiente èquindi opportunocolpisca le api negliinterspazi.

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venendo in tempi successivi man mano che glialveari si presentano in assenza di covata (maè realisticamente proponibile?). In caso di inver-ni non sufficientemente freddi il metodo risultaassolutamente inadeguato.L’acido ossalico in soluzione zuccherina puòinvece trovare ottimo impiego se abbinato alblocco di covata nel periodo estivo.

L’ossalico sublimato: il futuro?L’acido ossalico se riscaldato alla temperaturadi 149-160° C sublima, passando cioè diretta-mente dallo stato solido a quello gassoso. E’ ilmetodo più recente di impiego dell’ossalico, cheha iniziato a diffondersi da pochi anni a questaparte. Oggi il numero di apicoltori che ricorre aquesta metodica di somministrazione è sempremaggiore ed è ben testimoniato ed evidenziatodalla maggiore disponibilità sul mercato di nuovimodelli di sublimatori sia di realizzazione indu-striale che prodotti artigianalmente dagli apicol-tori stessi. Modelli con funzionamento a batte-ria, da collegare direttamente alla linea elettri-ca o ancora a gas. Modelli specifici per aziendeprofessionali, capaci quindi di trattare in pochisecondi il singolo alveare, e modelli un po’ piùlenti, di minor costo validi soprattutto per leaziende più piccole. Una ampia presentazione disublimatori, che si aggiungono al tradizionaleVarrox, è disponibile sui numeri 1 e 2 di L’Apisdel 2008.A differenza del gocciolato in soluzione zucche-rina, l’ossalico sublimato non sembra manife-

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stare alcuna tossicità nei confronti delle api epuò essere ripetuto più volte senza alcuna con-troindicazione. Si utilizzano per ogni intervento2 g di acido ossalico diidrato per alveare. E’opportuno chiudere l’alveare durante il tratta-mento e lasciarlo chiuso nei 5-10 minuti suc-cessivi all’intervento. L’efficacia media, in assen-za di covata, è dell’80-85%, inferiore quindi aquella riscontrata nelle prove con acido ossalicoin soluzione zuccherina. Perché quindi la prefe-renza verso questo nuovo metodo? Prestodetto: la necessità e l’impegno di ripetere il trat-tamento per tre volte, indispensabili per ottene-re un ottimo livello di pulizia, rappresentano inrealtà il grosso vantaggio e la possibile differen-za sostanziale nei confronti della somministra-zione gocciolata. Può, o meglio, deve essereripetuto ed intervenendo nel periodo invernale acadenza settimanale si riesce anche a garanti-re un ottimo livello di efficacia pur in presenzadi covata.Il limite della minor efficacia, abbinato alla pos-sibilità di ripetere più volte l’intervento diventaproprio in ultima analisi il grosso vantaggio delsublimato nei confronti del gocciolato che,come detto, non può assolutamente essereripetuto.Non richiede inoltre alcun dosaggio in funzionedella forza della famiglia; non richiede l’aperturadell’alveare e permette di lavorare a prescinde-re dalle condizioni climatiche esterne, che pos-sono eventualmente infastidire l’apicoltore, manon certamente le api.

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Tutte le opportune e indispensabili precauzionie attrezzature debbonoessere adottateper la somministrazionesublimata.

La reiterazione a breve scadenza- una settimana - almenotre volte, nella fasestagionale - in generedicembre - in cuisi ha meno covata, ha datorisultati interessanti indiverse realtà apistiche.

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Va inoltre sottolineato che l’acido ossalico è tos-sico per l’uomo per ingestione, per contatto eper inalazione.Fondamentale adottare adeguate attrezzaturedi protezione dell’apicoltore (guanti, occhiali…)ed in particolare idonee maschere con filtri peracidi organici durante tutte le fasi dell’interven-to. Al momento attuale l’intervento cardine nellastrategia di lotta all’acaro è proprio rappresen-tato dall’acido ossalico sublimato ripetuto pertre volte a cadenza settimanale nel periodoinvernale.Infine va ricordato che la somministrazione esti-va reiterata, pur possibile quale intervento diemergenza “tampone”, non ha dato in campo acadenza settimanale risultati accettabili. Inte-ressanti risultati sono invece stati segnalatianche nel periodo tardo estivo, accorciando lacadenza di intervento a non più di tre giorni.Per ottenere risultati interessanti sono quindinecessari almeno quattro interventi a cadenzadi tre giorni.

L’amitraz - Apivar®

Da quando si è prospettata la necessità di com-battere la varroa sono ben pochi (da contaresulle dita di poco più di una mano) i principi atti-vi che si sono dimostrati utili per abbattere unacaro che soggiorna su un insetto fragile comel’ape. In effetti il principio attivo amitraz è statouna delle prime molecole utilizzate nella lottacontro la varroa da quando agli inizi degli anni’80 è comparsa nel nostro Paese.

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Allora veniva utilizzato o con il “furetto” osu base oleosa poiché non era autorizza-to alcun preparato specifico efficace con-tro la varroa.A partire dal 1999 è stato autorizzato ilprodotto Apivar® della ditta LaboratoriesBiové, strisce plastiche che rilasciano lamolecola lentamente e per periodi prolun-gati all’interno dell’alveare.Le prove di campo effettuate a suotempo, anche dalla Commissione Sani-taria U.N.A.API., non hanno dato risultati inco-raggianti con percentuali di caduta insufficienti.Per anni la Commissione Sanitaria U.N.A.API.non lo ha individuato quale utile arma per lalotta alla varroa e l’apicoltura italiana non ha uti-lizzato Apivar® su grande scala. Peraltro le indi-cazioni d’uso sono nel frattempo passate dalleiniziali 6 settimane di durata del trattamentoalla necessità di permanenza di 10 settimanedelle strisce nella famiglia d’api. Inoltre la resi-stenza della varroa nei confronti del principioattivo ufficializzata in diversi paesi del mondo edevidenziatasi anche in più d’una regione italianaha fatto si che nel nostro paese questo prodot-to non avesse un gran successo. A fronte della strage d’api del 2007 l’U.N.A.API. ha attivato una estesa e approfon-dita inchiesta in Europa sui metodi di lotta inuso e in particolare sul preparato Apivar®. E’emerso che in Belgio l’Apivar® ha funzionatoegregiamente per ben 7 anni e si è poi eviden-ziata una resistenza; in Francia e Spagna seg-

E’ fondamentale chele strisce siano collocatenel glomere per garantireuna opportuna cessionedi p.a.

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menti (centinaia di migliaia di alveari) per-centualmente importanti dell’apicoltura (inparticolare professionali) lo utilizzano tut-t’ora con soddisfazione; in molti paesidell’Est è utilizzato il principio attivo ami-traz in strisce fumiganti (più o meno arti-gianali) e la reiterazione dei trattamenti,l’accumulo di residui hanno favorito la for-mazione di meccanismi di resistenza dellavarroa al p.a. Abbiamo approfondito l’in-chiesta e avviato un’importante riflessione

per arrivare alla conclusione che forse l’apicol-tura italiana nel suo complesso ha fatto ungrande errore di valutazione poiché ha confron-tato l’Apivar® con l’Apistan® (p.a. fluvalinate), equindi lo ha non considerato perché non garan-tisce equivalente efficacia. D’altronde nessunodei responsabili della sanità animale o dellaricerca apistica del nostro paese ha mai eviden-ziato e proposto le caratteristiche specifiche dipossibile utilizzo di questa arma di lotta.L’Apivar®, infatti, contrariamente all’Apistan®

(ante resistenza) non ha un forte e immediatopotere abbattente. Il lento rilascio del principioattivo non raggiunge velocemente tutte le var-roe presenti sulle api. Per ottenere un risultatoadeguato è necessario che l’Apivar® rimanganell’alveare per molte settimane e nel periodo incui non c’è covata o ve n’è pochissima.Se usato nel modo opportuno (se nel territorionon c’è ancora resistenza) intercalato con altrie diversi principi attivi può essere un’altra frec-cia nel nostro arco. Certo in fase estiva l’effica-

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L’Apivar® contrariamenteall’Apistan® (ante resistenzaal fluvalinate) non ha unforte e immediata efficaciaabbattente, ma nel temposembra esplicare unabuona pulizia acaricida. Vaperò ovviamente verificatala possibile presenza diceppi di varroa resistentianche all’Amitraz.

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cia dell’Apivar® su alveari fortemente infestatipuò essere insufficiente, mentre è necessario econsigliabile un trattamento tampone di buonaefficacia abbattente. L’Apivar® quale presidio di“pulizia radicale” invernale, può invece essereconsiderato e rivelarsi di notevole interesse.Va in questo caso sottolineato come, diversa-mente dal fluvalinate sia nel preparato commer-ciale e sia ancor più nelle preparazioni artigia-nali illegali, la cessione di residui nella cera ècon certezza notevolmente minore con l’Apivar®

rispetto alle varie formulazioni “casalinghe” (siasu base oleosa che fumigante). UtilizzareAmitraz in preparati “artigianali”, oltre ad esse-re illegale, può quindi facilitare notevolmentel’insorgenza della resistenza in tempi brevi. Leprime prove effettuate confermano queste indi-cazioni mentre ovviamente l’incognita riguardal’eventualità di resistenza in territori ove siastato usato recentemente l’Amitraz, in partico-lare su supporti oleosi o fumiganti.La Commissione Sanitaria U.N.A.API. ritienepertanto che l’utilizzo di Apivar® possa essereconsiderato nel periodo tardo estivo/autunno-invernale a ruota del trattamento tampone, cheha lo scopo di ridurre la quantità di varroa nel-l’alveare ed è indispensabile per permettereall’amitraz di funzionare in modo corretto.Si impiegano due strisce per alveare da colloca-re tra i favi con la poca covata residua, control-lando successivamente che il glomere si posi-zioni sulle strisce stesse. Se così non fosse è opportuno riposizionare le

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strisce al centro del glomere, ricontrollando inseguito nel corso dell’autunno il posizionamentodelle strisce nel glomere.Il periodo ottimale sembrerebbe prevedere l’ini-zio del trattamento a metà-fine settembre.

Liberare un insetto sociale da un acaro è appar-sa, da subito, una sfida non facile. In effetti, leprocedure di tipo biomeccanico sono utili, mainsufficienti e le molecole utilizzabili sono pochese non pochissime, sempre le stesse; anzi ilrischio è che se ne riduca progressivamentedisponibilità ed efficacia. Riporre la speranzanell’aspettativa di nuove “medicine” miracoloseo ancor peggio nella crescita dei dosaggi e nellasomministrazione di micidiali miscelazioni chimi-che rischia di tradursi in un immane disastro.L’alveare, come abbiamo già avuto modo di sot-tolineare, è una forma vitale basata su una rela-zione, inscindibile, tra materia animata e inani-mata. L’interazione dell’insieme degli elementicostitutivi dell’alveare determina un metaboli-smo unico e particolare sia sotto il profilo dellasomministrazione e sia della vita e durata deipreparati chimici. Se si irrora un cane conasuntol o gli si somministra un antibiotico si sache in un certo tempo tali molecole saranno inparte espulse nell’ambiente e in parte assorbi-te senza lasciare traccia significativa. Se invecegli stessi farmaci vengono somministrati ad unalveare si ha, al contrario, la certezza che pergenerazioni e generazioni tali molecole permar-

Concludendo

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ranno e, anzi si accumuleranno, nelle variematrici costitutive dell’alveare (cera, propoli,miele…). Solo gli olii essenziali e gli acidi organi-ci non sembra manifestino tale grave inconve-niente. Concetti veterinari basilari, inerenti ilciclo vitale delle sostanze somministrate negliallevamenti, quali “tempo di carenza” e “tempodi sospensione”, sono ben difficilmente utilizza-bili in rapporto a questo peculiare metabolismo.Tali notevoli fenomeni di fissazione e di accumu-lo di molte molecole nelle materie costituentil’animale, hanno rilievo sia rispetto al perduraredella loro efficacia acaricida e/o sanitaria, siaperché tali presenze residuali possono esserecausa di stress/intossicazione nel tempo dellefamiglie d’api, così come possono indebolirne ledifese immunitarie. Questo aspetto, emerso in tutta la sua dirom-pente pericolosità già ai tempi dell’autorizzazio-ne del Folbex VA, non è stato preventivato dallaricerca e tutt’oggi non è sufficientemente com-preso.E’ un dato non adeguatamente considerato, conil rilievo che merita: tra le -poche- armi e mole-cole di cui disponiamo, alcune non comportanoresidui nell’alveare, mentre altre è certo lascinotraccia che dura, che si accumula e che può neltempo esplicare sempre più pericolosi effetti.Se davvero il nostro obiettivo non si limita almero interesse quotidiano, ma è di sperare chel’apicoltura possa essere praticata anche dallegenerazioni future, dobbiamo nella lotta alla var-roa guardare anche e soprattutto al domani.

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Proponiamo quindi la condivisione di una visionebasata sui seguenti obiettivi “strategici”:� la minimizzazione della residualità nelle varie

matrici dell’alveare;� il massimo contrasto possibile dei fenomeni

di selezione della varroa.Tale approccio e indirizzo può e deve tradursi inovvie conseguenti opzioni “ tattiche” per:� il massimo possibile coordinamento territo-

riale;� la più oculata e adeguata scelta dei momenti

e degli strumenti di intervento;� l’alternanza nello stesso anno e nel succeder-

si delle stagioni dei mezzi di lotta impiegati.In definitiva nei frangenti più difficili l’armamigliore per l’uomo, dai tempi delle caverne, èsempre la stessa: l’uso dell’intelligenza per azio-ni sociali efficaci.Se invece anteponiamo a tutto il solo risultatoimmediato, disinteressandosi del futuro, nonpossiamo certo rimproverare a Bayer &Company di fare altrettanto.

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Conclusioni

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Conclusioni

L’elevato numero di partecipanti al convegno“ApiAbruzzo 2008” è senz’altro un segno delvivo interesse che tutti gli apicoltori dimostranonei confronti di queste iniziative. Il Convengo siè svolto quest’anno nella piacevole cittadina diGiulianova che ha offerto tutta la sua ospitalitàper un attivo e sereno svolgersi dei diversi inter-venti che si sono tenuti durante il convegno.

“ApiAbruzzo 2008 L’apicoltura vive” è statoaperto dal dott. Silvano Calvarese che con lasua esperienza e passione di apicoltore e con lasua sagacia ha introdotto i temi del convegno ei diversi relatori, ponendo un particolare accen-to su alcune problematiche e criticità che afflig-gono l’apicoltura in quest’ultimo decennio: lasindrome da spopolamento degli alveari.

Una panoramica esauriente sulle possibili causee sui possibili rimedi è stata presentata dalprimo relatore sulla sindrome da spopolamentoche ha suscitato in aula un vivace dibattito tra ivari apicoltori e gli operatori di sanità pubblica.

La sindrome, come sottolinea il termine, nonconosce, a tutt’oggi, cause specifiche, ma unaserie di fattori che possono contribuire alla“moria delle api”. In attesa che la ricerca scien-tifica riesca a fare piena luce su questa patolo-gia, il relatore sottolinea l’importanza delle

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buona gestione dell’apiario, dell’igiene, dell’ali-mentazione e del controllo della varroa.

La relazione successiva sul controllo della pesteamericana è stata brillantemente presentata daun’apicoltrice professionista nonché presidentedel COPAIT, la quale ha illustrato le diverse azio-ni pratiche che si possono effettuare duranteun’infezione da peste e anche tutti quei compor-tamenti che hanno la finalità di prevenire l’infe-zione.

Altro importante contributo ha trattato tutte leproblematiche legislative legate al commerciodelle api e prodotti dell’alveare sottolineando lanecessità di una chiara e specifica legislazionenel campo dell’apicoltura che, per le peculiaricaratteristiche, richiede una particolare atten-zione rispetto ad altri allevamenti zootecnici.

L’ultima relazione del Convegno, ma non certoper imporanza, verteva sull’uso dei trattamentichimici per il controllo della varroa ponendo l’ac-cento su un uso intelligente e mirato di questesostanze chimiche che determinano un impattoimponente sull’ambiente e sulla salute pubblica.

In conclusione si può confermare che il conve-gno “ApiAbruzzo 2008, L’apicoltura vive” ha for-nito un buon raccolto! tanto per utilizzare untermine tecnico e considerando la partecipazio-ne degli apicoltori e l’interesse per i vari argo-menti trattati.

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Si ringraziano tutti gli apicoltori che hanno parte-cipato, i relatori con i loro interventi tecnici ed ilpersonale del Reparto Formazione dell’IZS A&Mche con professionalità ha permesso l’ottimaorganizzazione logistica del Convegno.

Vincenzo Langella

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Relatori al convegno

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Partecipanti al convegno

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Un altro momento del convegno

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Finito di stampareLuglio 2008

© Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”