22Discepolo
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IL DISCEPOLOun porto sicuro per tutti coloro che cercano
la via, la verità e la vita
Provvedimento del Presidente del Tribunale
di Modena Iscritto al n.1866 del 19/02/2008
del Registro Stampe e Periodici.
anno 6 - n. 22trimestrale - ottobre/dicembre 2013€ 5,00
COPIA OMAGGIO
Copyright 2007
questa rivista è emanazione della Draco Edizionifondata nel 2006, per diffondere in termini moderni l’antica conoscenza esoterica.
in collaborazione con l’associazione Atman, fondata nel 1994 per la diffusione del raja yoga e dell’esoterismo,
di Energheia, fondata nel 1996, la prima scuola italiana per terapeuti esoterici,di Agnihotri I Custodi del Fuoco, Il Sentiero di Guarigione del Guerriero di Fuoco,
fondata nel 2010 come scuola di Yoga, Vita e Salute,e dell’omonimo portale www.yogavitaesalute.it, fondato nel 2012.
Nel tempo tutto cambia e niente cambia. Le realtà essenziali della vita, le sue strutture fondamentali, l’ana-tomia e la fisiologia della coscienza rimangono fedeli all’emanazione primordiale di quel verbo che tutto pervade. Nel tempo, quello che cambia sono i modi della manifestazione, sempre più aderenti alle forme cangianti che lo spirito può usare, di era in era, nel suo lungo pellegrinaggio tra le pieghe della materia. Nello spirito che discende nella carne si compie la parabola del figliuol prodigo che prima o poi ritornerà nella casa del padre. Questa rivista, in fin dei conti, vuole solo prendere atto dei modi diversi oggi necessari ad esprimere adeguatamente le immutabili verità dell’antica saggezza esoterica. Questo spazio vuole essere utile a tutti i pellegrini che nel loro viaggiare sono arrivati a rivolgere gli occhi verso la casa in cui sono nati. Che il potere del padre, l’amore del figlio e la sapienza dello spirito santo ci uniscano in un’unica vita.
Massimo Rodolfi
La tensione è tale che il Mondo freme. Gli eventi sono in pressione. A tutti i livelli le energie del-la Luce sono impegnate a fondo per salvarlo dalla distruzione, mentre le tenebre si insinuano, con ma-schere luminose, decise ad annientare ciò che la Luce crea e, dove possibile, a demolire le basi stesse dell’opera creativa. Nell’epoca grave dell’Armageddon è specialmente necessario sapere quali sono le forze che causano le azioni di ogni singolo giorno, di ogni singolo evento, di ogni fenomeno; poiché è l’ora della decisione, e non ci sono mezze misure sulla via del Mondo del Fuoco.
Maestro Morya
Immagine di copertina: Tempio di Luxor e cuore della galassia, entrambe le foto di Massimo Rodolfi‘L’Egitto, porta per il Cielo, porta per il nostro cuore...’
Collaborazione progetto grafico Simona MurabitoStampato presso la tipografia Nuovagrafica s.c.
Sommario
Editoriale Curatore: Massimo Rodolfi
I DUBBI SUL SENTIERO pag. 2 Letteratura e spiritualità Curatore: Anna Todisco
COMUNQUE VADA pag. 4 il Raja Yoga e l’esoterismo Curatore: Luca Tomberli
LA TRASFORMAZIONE DELLE EMOZIONI NEGATIVE (quarta parte) pag. 6 Conoscere la conoscenza Curatore: Andrea Innocenti
I SENSORI DELLA COSCIENZA ASSOLUTA (seconda parte) pag. 9 Il Sentiero Iniziatico Curatore: Massimo Rodolfi
LA FORZA E IL CORAGGIO pag. 12 Mitologia e Sentiero Iniziatico Curatore: Graziano Fornaciari
ERCOLE E LA FATICA IN CAPRICORNO pag. 14 Astrologia esoterica Curatore: Maria Grazia Barbieri
VULCANO, PLUTONE E IL 1° RAGGIO pag. 18 Geometria Sacra Curatore: Enrica Battaglia
LA DANZA... LUNGO IL SENTIERO DELLE API pag. 21 Fitoterapia energetica Curatore: Donatella Donati
AL DI LÀ DELLE FAVOLE pag. 23 La coppia sul sentiero Curatore: Giorgio Ricci Garotti e Monica Giovannini
L’ABBRACCIO pag. 25 Educare per la consapevolezza Curatore: Anna Grazia Fiorani
EDUCAZIONE: UNIONE CHE COLLEGA GLI ASPETTI DELL’ESSERE UMANO pag. 27 La Comunicazione Umana Curatore: Anna Maria Fabene
QUEL BAMBINO INVISIBILE pag. 29 Psicologia sociale e del lavoro Curatore: Diana Ferrazin
DAI! GIOCHIAMO UN PO’ INSIEME (parte prima) pag. 32 Le fiabe della Manu Curatore: Manuela Baccin
CANTO DI GUERRA (seconda parte) pag. 34
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“Accidenti a me e a quando ho cominciato
questo percorso!” Chi non ha mai pronun-
ciato questa frase, qualche tempo dopo aver
iniziato ad approfondire la conoscenza di sé,
scagli la prima pietra. “Stavo meglio quando
ero più ignorante! Mi sento come se non
avessi più scampo! È come se la mia vita
stesse accelerando sull’orlo di un precipizio!
Adesso mollo tutto e non ci penso più!” E
via con frasi di questo tipo, a significare tutta
la difficoltà che si incontra a percorrere ve-
ramente un cammino di consapevolezza. In
genere poi, dopo un tempo più o meno lun-
go, la crisi passa, e si continua con ancora più
fervore a ricercare dentro se stessi.
Questo tipo di crisi si presenterà innume-
revoli volte, cambiando apparentemente di
aspetto, ma concretamente si proporrà sem-
pre come manifestazione delle resistenze al
cambiamento da parte della propria coscien-
za. Lo dico perché, ovviamente, nel corso
della mia vita di ricerca spirituale, non sono
per niente stato esentato da questo tipo di
esperienza. Ora le cose sono un poco cam-
biate, e magari sento di più la fatica di ope-
rare continuamente per cercare di diffondere
l’insegnamento dell’Antica Saggezza, e le
mie resistenze mi dicono piuttosto “ma chi
te lo fa fare... non vedi che comunque alla
gente non gliene frega niente”, ma ormai
sono momenti passeggeri, e credo di avere
abbastanza imparato dalla vita che ciò che im-
porta è la vita stessa, con tutti i suoi limiti e le
sue contraddizioni.
Il dubbio ha una sua intrinseca necessità, in
un mondo fatto di dualità, chi non dubita mai
di niente, soffre quanto meno di una notevo-
le rigidità. Coloro che affermano con orgoglio
di non avere mai cambiato idea in vita loro,
dovranno come minimo reincarnarsi per ac-
quisire quella leggerezza e quell’elasticità che
la vita richiede. ‘Il Tao è come l’acqua’, ci ri-
corda Lao Tze, ed è proprio nella morbidezza
della goccia che scava la pietra che dovrem-
mo identificarci. Il dubbio è l’espressione del-
la nostra percezione dinnanzi alle cose mai
viste, non ancora comprese, che ci aiuta a
comparare le nostre esperienze, in modo che
possiamo arrivare a produrre quella sintesi
necessaria, che ci provvederà una momenta-
nea a certezza, probabilmente già messa in
discussione dall’esperienza successiva.
È più che lecito dubitare, finché non si giunge
ad una sufficiente esperienza, che ci possa
testimoniare la fede delle cose ‘viste’. Im-
pariamo col tempo che la vita è movimento
continuo, e che la nostra Weltanschauung, la
nostra visione del mondo, è in bilico come un
equilibrista sulla corda, e che ha bisogno di
continui movimenti, spostamenti e ribilancia-
menti, per non precipitare nel baratro dell’in-
consapevolezza. Il dubbio ci fa oscillare sulla
EditorialeCuratore: Massimo Rodolfi
I DUBBI SUL SENTIERO
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fune tesa, ed entro certi limiti quindi ha una
funzione positiva. Il problema nasce quando
l’oscillazione diventa eccessiva, e ci impedi-
sce di procedere.
Credo ci siano poche persone al mondo più
convinte di me della perfezione della legge
del karma, per cui è per me evidente che
nessuno potrà sfuggire alla propria natura in-
teriore, fosse anche la più dubbiosa ed inerte
che si possa concepire. Però, analizzando le
diverse tipologie caratteriali, e dopo aver am-
messo la ‘legalità’ del dubbio, non possiamo
far altro che riconoscere che il dubbio non
risolto diviene paralizzante. Sicuramente è
l’espressione di forze di varia natura, che non
staremo qui ad analizzare, che manifestano
le proprie caratteristiche inerti, atte a mante-
nere un controllo distorto sull’esistenza, piut-
tosto che a manifestare il proprio bisogno di
attenzione.
Comunque sia, l’aspirante, o il discepolo sul
Sentiero, è bene che abbia un atteggiamento
dubitante, contrariamente ai dogmatismi, gli
idealismi e i devozionalismi tanto diffusi, per-
ché non ha per lo più esperienza di ciò che
inizia a scoprire. Come ho ripetuto infinite vol-
te, in trent’anni di insegnamento esoterico,
dubitate anche di quello che vi sto dicendo
adesso, tutt’al più potrà esserci risonanza
tra quello che dico e quello che sentite, ma
finché non avrete sperimentato veramente,
non sarà un’esperienza vostra, quindi di per
sé sarà ‘incredibile’. Vi è però un limite oltre
il quale il dubbio diviene patologia. Niente di
male, gli esseri umani sono tutti malati, tutti
contengono all’interno della propria coscien-
za, materia distruttiva e disarmonica, ma vo-
lendo procedere sul Sentiero Evolutivo, sarà
bene rendersi conto dell’effettivo valore del
dubbio, e dei limiti che contiene.
Vi ricordo che ha avuto qualche tentenna-
mento anche Gesù, il Cristo, prima di bere
quel calice, che racchiudeva in sé tutta l’e-
sperienza e la sofferenza umana, ma meno di
una notte gli bastò per confermare la propria
volontà di salire sulla croce. E la croce atten-
de ogni essere umano, alla fine del cammino
nel quarto regno di natura. È il simbolo del su-
peramento della conflittualità dei quattro tipi
di materia che costituiscono la realtà condivi-
sa dagli esseri umani. Quindi, fino all’ultimo,
fino al Getsemani, preludio della liberazione
finale e della Resurrezione, dubitate pure, ma
imparate anche a superare rapidamente i vo-
stri dubbi, perché la vita ha un senso solo...
sale continuamente.
Di questi tempi poi, le nostre coscienze sono
particolarmente sotto attacco da parte di for-
ze, sia fisiche che più sottili, che vogliono
condizionarci, controllarci e usurpare le no-
stre menti. Non mi sembra proprio il caso di
offrire troppo il fianco a chi, per un motivo o
per l’altro, ha interesse a ridurci allo stato del-
la zucchina lessa. Una delle prime cose che
operano queste occulte forze della ‘persua-
sione’, è la crescita del dubbio nei confronti
di ciò che può darci vera libertà, alimentando
continuamente tutto ciò che invece svilisce la
bellezza della natura umana. In un mondo mi-
gliore non ci sarà più posto per tali bassezze,
oggi molto diffuse e condivise, e la bellezza,
la bontà e la verità, renderanno integre le no-
stre coscienze, non ho dubbi. Purtroppo oggi
non è ancora così, per cui vi invito a conside-
rare i vostri dubbi come stati transitori della
vostra coscienza, trattandoli come tali.
Massimo Rodolfi
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dire deterministica, secondo quella che viene
definita la linea di minor resistenza.
Tante volte i bambini, in situazioni che vivo-
no come ansiogene, preferiscono addirittura
rimanere fuori dal gioco con i compagni, si
precludono a priori quel piacere che la situa-
zione ludica in sé comporta; e un po’ come
la nostra volpe si convincono che a loro non
piace quel gioco. Ma questa immaturità, che
ci spinge ad evitare le situazioni che perce-
piamo come sgradevoli, se non addirittura
“rischiose”, non è una questione anagrafica.
Anzi, prima di poter conseguire quella ma-
turità contraddistinta da equilibrio e armonia
comportamentali, noi uomini agiamo per
lungo tempo sotto la spinta esclusiva del
piacere e del dolore: cioè, aspirando a quello
e temendo questo, dirigiamo le nostre azioni
per inseguire il primo e rifuggire il secondo.
Fin qua tutto sembra rientrare nel comune
buon senso, se non fosse che attualmente la
coscienza media dell’uomo è ancora ampia-
mente perturbata, metaforicamente parlan-
do, dal fango in cui sono immersi i suoi piedi;
in altri termini egli è abituato ad agire super-
ficialmente, completamente soggiogato da
istinti, pregiudizi e automatismi negativi e di-
struttivi, dove il piacere non necessariamen-
te si sposa con la volontà di bene. In realtà
finché non si diventa alquanto consapevoli di
come funzionano i rapporti di forza all’interno
Letteratura e spiritualitàCuratore: Anna Todisco
COMUNQUE VADA
Chi non conosce la vecchia favoletta della
volpe e dell’uva?
Una Volpe, chi dice di Guascogna,
e chi di Normandia,
morta affamata, andando per la via,
in un bel tralcio d’uva s’incontrò,
così matura e bella in apparenza,
che damigella subito pensò
di farsene suo pro’.
Ma dopo qualche salto,
visto che troppo era la vite in alto,
pensò di farne senza.
E disse: - è un’uva acerba, un pasto buono
Per ghiri e per scoiattoli (J. De La Fontaine)
Probabilmente a suo tempo, quando ce l’han-
no raccontata oppure quando l’abbiamo letta,
ci avrà divertiti se abbiamo in essa colto qual-
che analogia con il modo di fare di qualche
nostro conoscente. Ci sarà, invece, sicura-
mente piaciuta di meno se, non volendo, vi
abbiamo ravvisato affinità con qualche no-
stro comportamento, anche se non abituale.
Al di là della morale specifica cui l’autore della
favola vuole rimandare (sminuire il valore del-
le cose che non sono alla nostra portata, l’or-
goglio nel non riconoscere e accettare i propri
limiti, etc.), a me la volpe in questa circostan-
za ricorda molto la tendenza umana di agire
secondo una traiettoria obbligata, potremmo
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della nostra coscienza, non solo siamo schia-
vi dei nostri impulsi senza neanche renderce-
ne conto, ma non siamo in grado di affermare
in modo incisivo la nostra volontà di bene, né
tantomeno di scegliere. Lo sapeva bene un
ricercatore spirituale, che visse con grande
smarrimento e profonda sofferenza la con-
flittualità tra bene e male all’interno della sua
coscienza, come lo scrittore Lev Tol’stoj, se
mise in bocca al suo Pierre Bezuchov di Guer-
ra e pace parole che suonano un po’ come
quelle che S. Paolo scrisse nella lettera ai Ro-
mani: C’è in me il desiderio del bene, ma non
la capacità di attuarlo; infatti io non compio il
bene che voglio, ma il male che non voglio.
Giungerà però il tempo , per l’aspirante, di
acquisire la dignità di scegliere e la libertà di
agire. Ma solo quando avrà a fatica, piano
piano, spezzato le catene che lo hanno tenu-
to a lungo aggiogato alla sua natura inferiore,
privandolo della sua vera identità. Tutto que-
sto a prezzo di fatica, che è il grande fecon-
datore della materia, con reiterato impegno
per resistere alle tendenze imprigionanti del-
le nostre cattive abitudini emotive, mentali e,
conseguentemente, fisiche.
Nei conflitti in cui ci imbattiamo nella nostra
quotidianità tra una spinta che ci vuole con-
durre verso una direzione abituale (dar sfogo
alla rabbia, per esempio), e la meta che inve-
ce riconosciamo come legittima e alla quale
vogliamo aderire (dominare l’impulso distrut-
tivo), senz’altro faremo i conti con delle for-
ze che si sono radicate e consolidate col tem-
po, che ci appartengono, in quanto parte della
nostra coscienza, ma che non siamo in grado
di gestire al momento; nell’oscillazione tra i
due poli, il magnetismo di quello che ci vuole
indurre all’automatismo e la volontà di affer-
mare il nostro potenziale positivo, sperimen-
teremo resistenze, malessere, insofferenza.
Resistere a tutto ciò, andare oltre comunque
è già un successo. Nei giochi di potere tra
l’attaccamento all’inferiore e l’aspirazione al
superiore, potremmo avere spesso la sensa-
zione dell’insuccesso. Ma così non è, perché
abbiamo maturato comunque esperienza;
anche solo tentare di esprimere una forza di-
versa da quella che solitamente ci domina e
governa ha il suo peso; dal cumulo di espe-
rienze si distilla la saggezza. Ergersi e deci-
dere di trasformarsi è un atto grandemente
eroico e creativo. Allora comunque vada,
qualunque sia il risultato del nostro agire, sarà
stato un successo l’aver semplicemente con-
trastato l’impulso della paura, della rabbia,
della pigrizia. Il non essersi sottratti alla sfida
e l’essersi misurati con tali forze è già riorien-
tamento e trasformazione. Come testimonia
questo giovane: “Avevo sempre desiderato
di domandarle di uscire con me; ma poiché
non la conoscevo e per carattere sono troppo
timido e ansioso, non le avevo mai rivolto la
parola. […] ho valutato la faccenda […] non
volevo il male, ma solo il bene della ragazza e
di me stesso. […] Avevo il cuore che mi bat-
teva forte, ma sono felicissimo di essere ri-
uscito a trovare la forza di attaccare discorso.
[…] è già fidanzata […],ma pazienza. Ritengo
già un risultato notevole l’essere riuscito a
vincere la timidezza. […]”1
Anna Todisco
1 Dalai Lama e Howard C. Cutler, L’arte della felicità, Mondadori, Milano, 2000
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Verso i venti anni volevo cambiare il mondo, anche
se ben presto capii che cercavo di modificare le
regole del gioco per la difficoltà del vivere quotidia-
no. Per la voglia di sperimentare la meditazione e
per una certa sintonia con gli insegnamenti buddi-
sti mi trovai a gambe incrociate con la speranza di
placare la mente. Dopo aver incontrato l’austerità
della disciplina Zen passai a sperimentare la Via di
Mezzo, secondo gli insegnamenti della tradizione
tibetana Ghelupa. Ricordo ancora con piacere
quelle giornate passate ad ascoltare insegnamen-
ti impartiti da sorridenti lama tibetani. Nonostante
ciò, seguendo l’irrequietezza che mi caratterizza-
va, decisi di prendere un’altra direzione. In quel
periodo ero molto attratto dal mondo emotivo e
così iniziai a sperimentare delle terapie di gruppo
ed individuali. Nonostante la bontà del lavoro svol-
to fino a quel momento mi ritrovai in un grosso
conflitto. Ero arrivato ad un punto tale che definirei
limite, gli ambienti che avevo sperimentato fino a
quel momento mi sembravano dei mondi chiusi in
se stessi. Nelle terapie psicologiche sentivo la
mancanza della forza dello Spirito, mentre appena
mi avvicinavo ad un sentiero spirituale mi sembra-
va di non lavorare abbastanza sulla personalità.
Oltretutto in quegli anni era arrivata in Italia l’onda-
ta lunga della New Age, con il conseguente fiorire
di offerte di corsi che promettendo risultati mira-
colosi con pochi sforzi contribuivano non poco a
confondere chi cercava. Inaspettato come un ar-
cobaleno in un cielo invernale arrivò l’incontro con
l’insegnamento di Massimo Rodolfi, che da subito
mi fece intravedere la possibilità di integrare la
pratica spirituale con la vita quotidiana. Penso che
non scorderò mai il mio primo corso di Raja Yoga.
Alla fine di ogni incontro, nonostante la difficoltà
nel metabolizzare quanto appreso, sentivo cresce-
re la consapevolezza di essere nel posto giusto.
Molte questioni che mi avevano fino a quel mo-
mento attanagliato iniziavano a trovare una loro
collocazione. Quello che stavo vivendo aveva un
senso ben preciso e stava contribuendo a ribaltare
la mia visione della vita. Tra i tanti insegnamenti
trasmessi da Rodolfi uno in particolare mi attraeva
particolarmente: “Ascoltati”. Quando sentivo pro-
nunciare quella parola mi sembrava di percepire
una spada che roteando vorticosamente tagliava
alle radici secoli di ignoranza. Durante il momento
della condivisione esponendo le nostre perplessi-
tà cercavamo di scappare dalla sofferenza dando
spazio al ragionamento mentale; invece grazie alla
parola sapientemente modulata dal tono di voce
del Maestro venivamo condotti al cospetto di
quella porta che conduce alla conoscenza di se
stessi. Adesso, dopo qualche anno di pratica della
meditazione, penso che l’ascolto sia una delle pra-
tiche più importanti per espandere la consapevo-
lezza. Non sarà un caso che il Maestro Gesù termi-
nasse le sue parabole con l’insegnamento “Chi ha
orecchie per intendere intenda”. Anche il signifi-
cato della parola discepolo, cioè colui che ascolta,
indica qual è l’attività necessaria per poter impara-
Il Raja Yoga e l’esoterismoCuratore: Luca Tomberli
LA TRASFORMAZIONE DELLE EMOZIONI NEGATIVE (quarta parte)
7
re dalla vita. In oriente possiamo trovare altre indi-
cazioni in tal senso. Patanjali descrive con il termi-
ne attenzione lo stadio che precede la meditazione.
Penso che non sia sbagliato comparare l’essere
attenti con la capacità di ascoltare. Comunque an-
che in occidente si possono trovare utili indizi per
capire meglio cosa è l’ascolto. Alcuni giorni fa mi è
capitato il libro di uno stimato psicologo francese,
che nel titolo afferma: “Se mi ascolto almeno mi
capisco”. Infine quale parola fra le tante potrebbe
al meglio rappresentare sinteticamente l’insegna-
mento socratico dell’arte della maieutica? Mi sem-
bra di vederlo, Socrate, aggirarsi per l’agorà, ma-
gari utilizzando google map, intrattenersi in
amabili colloqui ed all’occorrenza sguainare come
una spada al sole il “conosci te stesso”, l’antico
ascoltati verso il bencapitato di turno. Magari non
aveva una cerchia di amici numerosa in Facebook
ma di certo, insegnando la maeiutica, ha contribu-
ito ad educare l’umanità. Considerata la valenza
degli esempi utilizzati mi sento di affermare che
per l’essere umano l’attività dell’ascolto ha una
portata universale ed è una modalità necessaria
per procedere nella vita con equanimità e com-
mensura. La pratica del sentire provoca un corto
circuito nei meccanismi della coscienza: provate a
farvi attraversare consapevolmente da un’emozio-
ne invece di reagire meccanicamente ad essa
come fate di solito, in quel caso sperimenterete
una maggior libertà di azione. La difficoltà di rima-
nere in contatto con un’ emozione deriva dalla por-
tata stessa dell’emozione con cui ci rapportiamo.
Emozione deriva da “emotus”, ciò che muove il
sangue, quindi, come ci insegnano i nostri proge-
nitori, abbiamo a che fare con qualcosa che per
sua stessa natura non può essere bloccato a lun-
go, casomai cavalcato. Percepire una emozione ci
mette in contatto con avvenimenti del passato im-
pressi e bloccati nella coscienza secondo le moda-
lità che ho già spiegato nelle altre parti dell’artico-
lo. Quando si riesce a stare sintonizzati nel
presente l’emozione si rivela un’onda calorosa e
vitale che spinge verso l’esperienza. Il problema
sopraggiunge nel momento in cui, identificandosi
con essa, avviene lo scambio dell’ora con l’allora e
ciò provoca la conseguente visione distorta della
realtà. Mi posso accorgere di quando l’emozione
mi rapisce osservando se esiste commensura tra
quello che vivo e come reagisco. Nel momento in
cui mi rendo conto che il mondo di relazione mi
rimanda dei segnali sgraditi posso lavorare sui
comportamenti e sugli atteggiamenti. In ambito
emotivo riorientare la coscienza consiste nel viver-
si l’emozione per quello che è cercando di sospen-
dere il giudizio ― possono bastare alcuni attimi ―, e
soprattutto cercando di non identificarsi con essa.
Ascoltandovi sprofonderete maggiormente dentro
di voi e da quel punto più interno avrete maggior
possibilità di percepire la vita e di direzionare la
personalità. Il sentire può essere paragonato alla
sospensione del respiro, quel momento racchiude
in sé tutta quella forza generativa che troverà
espressione successivamente nella espirazione e
nella inspirazione, quindi è insito nell’ascoltare la
formazione di quella matrice su cui verrà costruita
l’azione futura. In particolare sentire le emozioni
permette di riconoscere la qualità delle forze per-
turbanti la coscienza. Tutto ciò dovrà essere fatto
e rifatto molte volte e nel tempo affinché venga
metabolizzato dalla coscienza e ne divenga un mo-
dus operandi. La trasformazione delle emozioni
distruttive inizia con la pratica dell’ascolto e trova
la sua realizzazione definitiva con lo sviluppo del
pensiero opposto. Una volta che è stata ricono-
sciuta la qualità dell’emozione distruttiva è neces-
sario uscire dalla forza gravitazionale che essa
stessa esercita sulla coscienza. Applicare una for-
za contenente tanta buona volontà può non basta-
re a riportare la quiete nella coscienza. Affinché si
realizzi la sospensione delle modificazioni della
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mente, cioè lo Yoga, è necessario che le due forze
in gioco siano opposte e di valore confrontabile.
Lavorare alla trasformazione delle emozioni nega-
tive comporta soprattutto il resistere a se stessi e
quindi alla tentazione di cedere al piacere distorto
insito nella meccanicità. Durante la giornata per
quanto tempo nella mente si affollano pensieri se-
miconsci di dubbio o di paura senza che vi sia
un’apparente motivazione che ne spieghi la pre-
senza... Se diamo per scontato che tali moti distor-
ti della coscienza debbano essere presenti soggia-
ciamo al male e ne siamo intimi alleati. Poter
uscire da questo circolo vizioso comporta di dover
affermare in pratica di essere qualcosa di altro per
svariate volte. Per approfondire ulteriormente la
pratica della trasformazione delle emozioni vi ri-
mando ad un corso di Raja Yoga dell’associazione
Atman o alla frequentazione di Energheia, la prima
scuola in Italia di formazione per terapeutici esote-
rici. Intanto possiamo andare a rileggere il passo
del Vangelo in cui vengono descritte le tentazioni
nel deserto . Il Maestro Gesù per sconfiggere il
male si identifica con la legge affermandolo con
tutto il suo essere. Per quello che posso capirne ci
insegna che una coscienza identificata nella sua
essenza e quindi coesa non può venire toccata dal
male, anzi la negatività, quando ne viene ricono-
sciuta l’attività ingannevole, ci dà l’opportunità di
identificarci ancora più profondamente con la Na-
tura Divina che è alla base della creazione stessa.
La pratica quotidiana rappresenta il terreno giusto
per coltivare il pensiero opposto alimentando così
le qualità positive, infatti tutte le volte che sarà
sperimentata verrà sviluppata la potenza intrinse-
ca di amore che nonostante tutto ci tiene uniti con
l’esperienza in un unico campo di potere.
Luca Tomberli
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In questo articolo riprendiamo il nostro com-
mento alla lezione del Maestro Kempis “I
sensori della Coscienza Assoluta” Così
Kempis: “Dicevo che esistenza e sentire
sono una cosa sola; tant’è vero che niente
può esistere se non sente o se non è senti-
to. La materia definita inanimata non sen-
te ma è sentita dalla coscienza cosmica, la
quale sente l’intera realtà cosmica di cui
è costituita, cosicché la materia esiste in
forza della coscienza cosmica.”
Questa rappresentazione della Realtà è de-
cisamente idealista, quindi forse troppo par-
ziale, ma se la si considera nella totalità dell’
insegnamento, si vede che si tratta di un ide-
alismo sui generis , che non si allontana mol-
to, nella sostanza, da una certa prospettiva
materialista. Continua la voce:
“Ora, come ho detto in un’altra occasio-
ne, siccome la coscienza cosmica è tutta
e solo quella che tutti i sentire degli esseri
compongono, ciò significa che l’intera re-
altà cosmica è costituita da tutti i sentire di
tutti gli esseri, e che la coscienza cosmica
sente la realtà cosmica per mezzo dei sen-
tire degli esseri. Sicché non può esistere
una materia inanimata senza che almeno
un essere la senta, la percepisca; e se è
percepita saltuariamente, nei tempi in cui
non è percepita da alcuno, non esiste.“
Questa affermazione dà grande forza e valo-
re al sentire di coscienza di ciascun essere,
perché per essa è dal particolare che nasce
l’archetipo e non viceversa. Questo è un
aspetto assai meno idealista dell’affermazio-
ne precedente. Piuttosto appare sconvolgen-
te e qui decisamente idealista, l’implicazione
per la quale esiste solo ciò che è percepito
o percepisce, potrei quindi logicamente dire:
“Il tavolino, che mi trovo davanti, cessa d’e-
sistere, nel momento in cui mi allontano dalla
stanza, perché non è più da alcuno percepi-
to.” Presa così di per sé questa osservazione
è coerente con le premesse fatte, ma queste
vanno coniugate con la concezione unitaria
del tutto, per la quale è il sentire della co-
scienza cosmica, trascendenza e fusione dei
sentire di coscienza individuali, che permette
l’esistenza anche di ciò che non è percepito
soggettivamente. La contraddizione appare
qui evidente e può essere superata solo con
l’intuizione ed il salto conoscitivo della logica
dialettica, perché la logica, che ha il postula-
to della non contraddizione, non lo consente.
È il nodo della trascendenza, a mio parere, il
punto focale. Contimua Kempis:
“Immaginiamo un ipotetico cosmo. Tale
cosmo sarà costituito solo da ciò che gli
esseri di quel cosmo percepiscono. E sic-
come il sentire degli esseri è in graduale
ampliamento, anche il cosmo, considera-
to nella successione dei sentire dei suoi
Conoscere la conoscenzaCuratore: Andrea Innocenti
I SENSORI DELLA COSCIENZA ASSOLUTA (seconda parte)
10
esseri è di conseguenza in graduale am-
pliamento. Cosicché quanto gli esseri per-
cepiscono, sentono in senso lato, come
conseguenza dell’ampliamento della loro
coscienza, prima non esisteva. E siccome
il cosmo è un dossier costituito da tutte le
situazioni percepite dagli esseri, sono gli
esseri stessi che creano il cosmo.”
La coscienza cosmica è costituita dall’insie-
me di tutti i sentire, quindi sono questi che
fanno la nostra realtà. Non bisogna dimenti-
care però che essa non ne è la sommatoria,
ma la loro fusione, che dà luogo alla trascen-
denza, quindi abbiamo una realtà completa-
mente diversa perché non ha più i limiti dei
sentire individuali, anche se tali sentire sono
algebricamente sommati fra loro. Ancora
Kempis:
“Totale rovesciamento del concetto di
”realtà” che ha l’uomo. Dire che la realtà
cosmica è formata dall’insieme delle per-
cezioni, da quanto gli esseri percepiscono,
può suonare come una contraddizione.
Infatti può sembrare che la realtà sia lì e
che l’essere la colga con la percezione. Per
non incorrere in tale errore, bisogna rifarsi
al concetto di realtà più volte illustrato, ed
in particolare al fatto che tutto fa parte di
Dio e che tutto, quindi, è costituito di divi-
na sostanza, cioè di spirito; e che l’essere,
il soggetto limitato, percepisce la divina
sostanza che lo costituisce, e nella quale
è immerso, limitatamente. È in forza del-
la sua percezione limitata che la realtà gli
appare in un certo modo ed egli crede che
la realtà in sé, al di là del soggetto perce-
pente, è radicalmente diversa: dal punto di
vista della sostanza, è sostanza indifferen-
ziata.”
Questo è un punto particolarmente impor-
tante, la teoria che Kempis presenta è direi
quasi kantiana: Esiste un Tutto, costituito
quantitativamente da materia indifferenziata,
da un altro punto di vista Coscienza Assoluta.
Questa virtualmente è frazionata in sentire di
coscienza limitati, che sono tali non perché
lo siano oggettivamente, ma perché così si
sentono, le loro limitazioni determinano il film
della vita. Questo è in sé soggettivo, non so-
lipsista, perché le leggi che lo determinano
sono comuni, ma per chi lo vive è reale, ed
è giusto così, perché è dall’appalesamento
di tale esperienza che la coscienza percorre
il sentiero del ritorno al Padre. Da ciò la re-
latività della vita, assai difficile da accettare
per l’io, che avviluppato in sé, vuole chiude-
re l’esistente nelle proprie spire. La vera e
sincera tolleranza è una qualità assai difficile
da trovare, perché implica la comprensione
che ognuno è in cammino, e sempre la vita
in ogni sua forma è possibilità d’evoluzione.
Questo è il messaggio che Gesù ci ha dato
con l’invocazione al Padre nel culmine della
sofferenza: “Perdona loro, perché non sanno
quello che fanno”. Kempis :
“Un oggetto che voi percepite in forza dei
vostri sensi, esiste come voi lo cogliete in
base alle limitazioni della vostra capacità
di percepire la divina sostanza. Al di là di
ogni limitazione della percezione, l’ogget-
to non esiste. In sé non esiste se non come
sostanza indifferenziata. Ecco perché il co-
smo non può che essere l’insieme di tutte
le percezioni, cioè del sentire in senso lato
di tutti gli esseri, e ciò che non è sentito
non esiste. Ed ecco perché chi sente esi-
ste: infatti sentire significa, prima di tutto,
sentire se stessi, sentire di esistere. Da
una simile concezione della realtà discen-
de che ogni essere è un nucleo, un centro
11
di sentire; sentire che è come minimo sen-
sazione e come massimo coscienza onni-
comprensiva; il quale, con la sua vita, con
l’esistenza, contribuisce a creare, a deter-
minare, a fare esistere non solo l’insieme
dei cosmi, ma addirittura la coscienza as-
soluta.”
La percezione è sempre soggettiva, può
essere più o meno ampia in funzione delle
limitazioni del soggetto percepente, non cre-
do però sia corretto, come potremmo essere
tentati, fare una scala di valori, perché tutto
ciò che è percepito pur non esistendo in sé
permette alla coscienza assoluta d’esistere.
L’Assoluto infatti è in quanto il relativo si ma-
nifesta, vale naturalmente anche il viceversa,
potremmo dire che ogni istante di vita espri-
me la gloria di Dio, il sentire ne è per Kempis
l’essenza ed il sentirsi d’esistere ne è in noi la
più intima manifestazione. Da tale considera-
zione fuggire l’istante senza coglierlo in piena
consapevolezza vuol dire negare Dio, ecco
perché la gioia in tutti i suoi aspetti è uno dei
più importanti valori della vita. Ancora :
“Ogni essere è un sensore della coscien-
za assoluta, il quale però non è un punto
passivo di ricezione; al contrario: è un ma-
nifestatore, un creatore di una parte dell’e-
sistente. Di più: ciò che esiste, esiste quale
risultato del sentire, dell’esistere di ogni
essere. Perciò tutto discende o risale al
sentire. La stessa delimitazione dei cosmi
non è un fatto precostituito, è un fatto con-
sequenziale; cioè non è creato un cosmo
nel quale sono collocati gli esseri, bensì
dalla qualità dei sentire che sono conse-
guenza logica l’uno dell’altro e quindi del-
la loro aggregazione, nasce un sistema,
un insieme che si definisce cosmo. Ogni
insieme, ogni sistema di sentire, ha uno
svolgimento logico indipendente rispetto
agli altri ed ha un solo punto di contatto:
quello dove è risolta la diversità, origine e
fine della separatività, della molteplicità.”
La responsabilità di ognuno appare qui evi-
denziata in tutta la sua bellezza e gratificante
potenza, perché è dalla qualità dei sentire che
nasce il sistema dal quale proviene la strut-
tura di un cosmo, ovviamente tutto avviene
secondo una sequenzialità logica che va dal-
la minore evoluzione o atomo del sentire a
quella massima o della coscienza cosmica
stessa, la quale però unisce in sé tutto ciò
che la compone ed in parte la determina, poi
lei stessa si fonde con le altre scintille divine
o coscienze cosmiche per dare corpo alla co-
scienza assoluta. Continua.
Andrea Innocenti
12
Secondo quel tempio della cultura contem-
poranea che è Wikipedia (ovviamente sto
scherzando), una forza è una grandezza fisica
vettoriale che si manifesta nell’interazione di
due o più corpi, sia a livello macroscopico, sia
a livello delle particelle elementari. La sua ca-
ratteristica è quella di indurre una variazione
dello stato di quiete o di moto dei corpi stes-
si; in presenza di più forze, è la risultante della
loro composizione vettoriale a determinare la
variazione del moto. Mentre il coraggio (dal
latino coraticum o anche cor habeo, aggetti-
vo derivante dalla parola composta cor, cordis
cuore e dal verbo habere avere: ho cuore) è la
virtù umana, spesso indicata anche come for-
titudo o fortezza, che fa sì che chi ne è dotato
non si sbigottisca di fronte ai pericoli, affronti
con serenità i rischi, non si abbatta per dolori
fisici o morali e, più in generale, affronti a viso
aperto la sofferenza, il pericolo, l’incertezza e
l’intimidazione.
Dal che deduciamo che forza e coraggio
possono essere considerati sinonimi. In re-
altà, per me, scomponendo bene a modo
la realtà, in fin dei conti tutto si riduce a una
questione di quantità e di qualità, ossia ogni
determinato pensiero, parola, azione, ogget-
to, essere, è caratterizzato da un certo quan-
titativo di energia di una specifica qualità. Per
esempio io posso amare od odiare qualcuno,
ossia esprimere qualità diverse, in modo più
o meno intenso, ossia con più o meno forza.
Oppure, come essere umano, io esprimo la
mia umanità in un modo particolare ed inten-
so... qualità e quantità.
Ma non mi interessano in questo contesto
considerazioni di carattere generale, quanto
piuttosto prendere in esame quelle caratte-
ristiche che possono indurre una variazione
dello stato di quiete o di moto nel campo del-
la coscienza. Ed è in questo campo che mi
interessa comprendere come il coraggio, che
io considero l’aspetto qualitativo, e la forza,
aspetto quantitativo, siano, quando è possi-
bile, gli elementi fondamentali per chi vuole
cambiare la propria vita. Dico ‘quando è pos-
sibile’, perché finché domina l’inconsapevo-
lezza e l’automatismo della coscienza, non vi
è quel minimo di autonomia che possa con-
sentire ad un individuo di iniziare a scegliere il
proprio comportamento.
Deve essere raggiunta una soglia di consape-
volezza che metta la persona nelle condizio-
ni di poter almeno ‘desiderare’ di evolversi,
e questo è possibile solo dopo che la nostra
anima ha vissuto un numero consistente
di incarnazioni, ed ha maturato sufficiente
esperienza per andare oltre il meccanicismo
del proprio karma. In definitiva, è ancora una
questione di forza, ossia, per poter avere il
desiderio di conoscersi meglio, e di andare
oltre se stessi, bisogna avere acquisito l’e-
Il Sentiero IniziaticoCuratore: Massimo Rodolfi
LA FORZA E IL CORAGGIO
13
nergia, la forza necessaria, per affrontare i
mari avversi del nostro cosiddetto inconscio.
Il Sentiero della Ricerca Interiore infatti non
è per tutti, ma solo per chi ha la Forza ed il
Coraggio necessari per guardare dentro allo
specchio delle proprie esistenze.
Bella l’immagine del cavaliere che affronta
mille difficoltà durante la ricerca del Santo
Graal, ma ci dimentichiamo spesso che af-
finché questa ricerca possa avere inizio, bi-
sogna essere cavalieri, ossia bisogna avere
acquisito, fuor di metafora attraverso l’espe-
rienza, le qualità necessarie affinché la cer-
ca possa iniziare. Si calcola poi per esempio,
che un cavaliere templare, per mantenersi in
armi, doveva come minimo possedere cento
ettari di terreno. Questo per affermare una
cosa spesso trascurata da certi ‘spiritualisti’
molto scollegati dalla materia, cioè che servo-
no anche discrete risorse materiali per poter
essere efficaci nelle proprie realizzazioni. O
rimanendo nella metafora, bisogna già avere
acquisito un certo bagaglio di forza e qualità,
per poter combattere la battaglia definitiva
della propria coscienza.
Guadagnare quindi il Graal, collocarlo sull’al-
tare del Tempio, perfezionato dalle mille e
mille azioni delle nostre vite, significa espri-
mere una Forza ed un Coraggio, adeguati
all’impresa. Bisogna che la Forza che riesco
a radunare dentro di me, sia tutta, e continua-
mente, orientata (in modo vettoriale) ad azze-
rare le onde di forza negative che emergono
dalle profondità del mio essere, e a costruire
la bellezza che riesco a concepire. Significa
anche che, con tutto il Coraggio di cui dispon-
go, starò fermo dinnanzi a quel demone or-
ribile che può ancora trovare spazio in certe
pieghe della mia coscienza, lo guarderò negli
occhi, e con calma profonda lo abbraccerò,
trasmettendogli tutto l’amore che potrò aver
compreso nella vita.
Chi arriva ad esprimere questa Forza e que-
sto Coraggio, in realtà non teme più niente,
perché ha compreso che, prima di ogni altra
cosa, bisogna cercare il Regno dei Cieli, che
è in noi e fuori di noi, e ogni altra cosa gli sarà
data in più. Perché ha compreso che dinnan-
zi al non violento cessa ogni violenza, ed ha
anche compreso che la verità ultima della no-
stra esistenza, sta nascosta in fondo al nostro
cuore, che non si è mai mossa di lì, ma che
bisogna andare a cercarla, con Forza e con
Coraggio. E così sia, Cavalieri!
Massimo Rodolfi
Fortitudo, Botticelli, Museo degli Uffizi
14
In questa decima fatica Ercole deve liberare
Prometeo e per fare ciò deve discendere ne-
gli inferi governati dal re Ade e sconfiggere
il mostro Cerbero, un cane con tre teste su
ognuna delle quali vi sono dei serpenti arro-
tolati. Per arrivare in questo luogo deve far-
si trasportare da Caronte, il traghettatore di
anime, pagandogli un obolo. Prima di tutto
questo, per non farsi mancare nulla, dovrà
sconfiggere la Medusa, che con i suoi capelli
di sibilanti serpenti tenterà di aggrovigliarlo
senza successo, visto che saranno recisi dal-
la spada che il nostro Eroe sguainerà.
Il personaggio di Prometeo è già stato pre-
so in considerazione in occasione della terza
fatica, per quanto riguarda Ade, era il dio dei
morti e signore del regno sotterraneo dell’Ol-
tretomba. Egli era fratello di Zeus e veniva
considerato una divinità fredda che applicava
le regole del suo regno a tutti senza discri-
minazione alcuna, senza per questo essere
ritenuto malvagio o ingiusto. I morti erano
pure ombre che vagavano per sempre nel
Tartaro, continuando a dedicarsi a ciò a cui si
erano dedicati durante la vita. Questo luogo
indicava ove Zeus aveva rinchiuso i Titani, es-
seri sovrumani padri degli dei ai quali questi
ultimi avevano sottratto il potere nell’Olimpo,
la montagna più alta della Grecia, durante la
lotta fra Dei e Titani per sottrarre il primato
a questi ultimi. Il Tartaro, che secondo la vi-
sione greca si trova sempre sotto terra, è
comunque distinto dall’Ade ed è identificato
come una voragine buia e talmente profonda
che, come scriveva Esiodo nella sua Teogo-
nia, lasciando cadere un incudine questa im-
piegava nove giorni e nove notti a toccare il
fondo, in questo luogo giacevano i malvagi.
Nella prateria degli Asfodeli, fiori che veniva-
no utilizzati per ornare le tombe, si riunivano
coloro che non erano stati né malvagi né vir-
tuosi, mentre nei Campi Elisi soggiornavano i
virtuosi, coloro che erano amati dagli dei.
Caronte era colui che trasportava i morti at-
traverso il fiume Stige verso la dimora fina-
le nel regno di Ade. Era descritto come un
vecchio dal cattivo carattere che chiedeva
una moneta come obolo ai passeggeri ed era
tradizione in Grecia seppellire i morti con una
moneta in bocca. Quando Ercole costrinse
Caronte a traghettarlo, Ade lo punì tenendo-
lo incatenato, così narra il mito, per un anno.
Caronte era figlio di Erebo (che generalmente
è un luogo, la profondità più oscura del Tarta-
ro) e della Notte, dea dei greci generata da
Caos con Erebo. Dalla Notte nacquero le più
potenti forze, tra le quali: Tanato (la morte),
Ipno (il sonno), le Moire (il destino), Oneiroi
(i sogni), Nemesi (la vendetta), Eris (la discor-
dia) e Gera (la vecchiaia). La Notte procreò
senza alcun aiuto maschile; con il fratello Ere-
bo concepì Emera (il giorno) ed Etera (l’aria).
Mitologia e Sentiero IniziaticoCuratore: Graziano Fornaciari
ERCOLE E LA FATICA IN CAPRICORNO
15
La Medusa era una delle Gorgoni (etimolo-
gicamente terribile, feroce e torvo) ed aveva
due sorelle, Steno ed Euriale. Queste crea-
ture avevano un terribile aspetto ed erano
figlie di Forco e di Ceto, abitanti del mare,
rispettivamente i loro nomi erano astuta, for-
te e ampio-vagante. Medusa, unica delle tre
sorelle ad essere mortale, venne uccisa da
Perseo e la sua ombra andò nel regno di Ade
a spaventare le ombre dei morti.
Cerbero, il guardiano del Tartaro nato da Ti-
fone e da Echidna, il fratello della mitologica
Idra di Lerna viene solitamente descritto con
tre teste, aveva la coda di un serpente e dal
suo dorso spuntavano molte teste di serpen-
ti. La sua principale funzione era di divorare
chiunque cercasse di sfuggire dal reame di
Ade. Accoglieva i nuovi arrivati all’ingres-
so del Tartaro e non approvava che i viventi
entrassero nel regno a cui faceva la guardia.
Narra il mito che Orfeo dovette incantarlo
con la sua musica, la Sibilla Cumana, figura
profetica, gli gettò una offa (dolce imbevuto
di vino drogato) per poter passare. Anche Er-
cole ebbe a che fare con lui, Ade gli permise
di affrontarlo soltanto alla condizione che non
usasse armi se non le mani nude. La bestia si
scagliò contro Ercole che però, afferrandolo
per la gola principale, lo strinse in una morsa
soffocante fino a fargli venir meno le forze.
Dopo aver superato brillantemente tutti gli
ostacoli, il nostro Eroe continuò il suo cam-
mino e trovò Prometeo, che giaceva incate-
nato e agonizzante dal dolore su una lastra di
pietra, liberandolo ed acquisendo il meritato
riposo.
Questo è, per sommi capi, il mito riportato ai
nostri giorni vissuto nel segno del Capricor-
no che, come afferma il Maestro Tibetano è
uno dei più difficili a descriversi e anche il più
misterioso di tutti i dodici segni. Egli afferma
che il simbolo del segno non è mai stato di-
segnato correttamente e questo perché l’uso
del simbolo autentico attirerebbe un afflusso
di forza inadatto per l’attuale livello evolutivo
dell’umanità. Questo simbolo è talvolta chia-
mato la “firma di Dio”. Il capro, ai piedi della
montagna, cerca il nutrimento nei luoghi ari-
di, salendo trova i fiori dei desideri realizza-
ti attraverso le proprie illusioni. In cima alla
montagna il sacro capro, come citato nelle
Fatiche di Ercole di A. A. Bailey, ha la visione
e l’iniziato appare, divenendo l’unicorno.
Per salire in alto dobbiamo scendere in bas-
so, come in Cielo così in Terra, bisogna scen-
dere negli inferi della propria coscienza e libe-
rare ciò che è ancora incatenato e incapace
di esprimersi con pienezza. Un Salvatore de-
sidera prendersi cura di tutta l’umanità, fino
a quando anche l’ultimo essere umano non
abbia ritrovato la strada di casa. Tutti i Salva-
tori sono nati in Capricorno, nel momento più
buio dell’anno, quando il bisogno di luce si
fa più pressante ma, oltre al meglio, i nati in
Capricorno possono esprimere anche il peg-
gio, la testa prevale sul cuore manifestando
testardaggine, materialismo, crudeltà, su-
perstizione, egoismo e altro. Questo segno
governa i ginocchi infatti, ci si inginocchia in
Spirito e Verità quando si è pronti per il pro-
cesso iniziatico.
L’iniziato comprenderà allora il senso di quel-
la Luce crescente che ne saluta i progressi
mentre si avvicina alla vetta. La Luce maggio-
re, rappresentata dall’anima si fonde con la
minore, rappresentata dalla personalità, pro-
ducendo sul Sentiero Iniziatico “l’esperienza
della Vetta”. Tutto è necessario, come affer-
ma il Tibetano, il fondo, la pianura e la vetta,
così da poter acquisire la liberazione e la pos-
16
sibilità di Servire. La Luce Iniziatica rischiara
la via per la vetta e trasfigura rivelando il Sole
che sorge.
Essere nati in Capricorno non significa esse-
re degli iniziati. Bisogna avere il senso delle
proporzioni e riconoscere che gli aspiranti
soffrono, a volte, di un complesso d’inferio-
rità che li fa sentire incapaci, oppure si danno
eccessiva importanza possedendo un lieve
contatto con l’anima, un contatto che esula
dal reale procurando orgoglio. Questo segno
simboleggia la terza iniziazione, la prima delle
iniziazioni maggiori. Nel Vangelo di Matteo,
leggiamo che Gesù prese con sé tre discepo-
li, Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse
in cima alla montagna trasfigurandosi davanti
a loro. Pietro, la roccia, è simbolo del corpo
fisico, Giacomo, l’illusionista, simboleggia la
natura emozionale, Giovanni, il cui nome si-
gnifica: “il Signore ha parlato”, simboleggia la
mente. Abbiamo qui rappresentato il simboli-
smo dei tre aspetti della personalità di fronte
al Cristo glorificato.
La caratteristica del Capricorno è l’espansio-
ne che noi chiamiamo iniziazione, stadio che
non ci può essere rivelato da nessuno... un
vero iniziato non pretende mai di essere tale.
Il marchio che contraddistingue l’iniziato è il
silenzio che diviene impersonale. L’imperso-
nalità non è un rinchiudersi in se stessi, co-
struendo barriere, ma è un amore universale,
possibile nel momento in cui siamo in gra-
do di riconoscere le persone per quello che
sono. L’iniziato, non solo si cala negli inferi,
ma lavora continuamente fra gli uomini, inte-
ressandosi di tutti.
Nel testo di A. A. Bailey, Astrologia Esoterica
si parla del segno del Capricorno, come del
momento in cui l’Illuminazione può governa-
re l’Intuizione, esprimendo le ultime fasi della
coscienza dell’anima potendo così affermare
IO CAPISCO. Si tratta di un interludio fra il
Cristo e la forma, un equilibrio nel quale, fino
ad un certo punto, le due paia di opposti oscil-
lano senza prevalere l’una sull’altra. Questo
segno rappresenta un momento di sconcerto
fra chi vuole essere semplicemente umano
e scopre in sé ostacoli e impulsi che lo indi-
rizzano a qualcosa di superiore. La concen-
trazione si sposta nella direzione dell’anima
trovando in sé cose che di continuo lo attrag-
gono alle vecchie abitudini e desideri. L’idea
di Dio in Ariete diventa piano concreto in Ca-
pricorno, desiderando realizzare i piani divini
e farli propri. In Capricorno la materia trionfa;
vi consegue l’espressione più densa e con-
creta, ma le succede la gloria dello Spirito,
infatti, questo segno è talvolta indicato come
“il segreto della Gloria nascosta”.
Vi sono tre costellazioni connesse con il se-
gno del Capricorno. Una è chiamata Sagitta,
da non confondere con la costellazione del
Sagittario ove l’arciere scocca la freccia che
trafigge la personalità. Qui abbiamo la freccia
cosmica che trafigge il cuore del Salvatore,
chiamato il Cristo, il più vicino a noi tra i gran-
di Salvatori del mondo, colui che conosce le
pene dell’umanità. Questa freccia è detta “la
solitaria”, e il sentiero che ogni discepolo
percorre è necessariamente un percorso so-
litario e quello dell’iniziato a maggior ragione.
Ora vi sono molti aspiranti e discepoli così da
permettere il radicamento di una coscienza
di gruppo e, se prima si parlava di una soli-
tudine individuale, ora potrà affermarsi una
solitudine di gruppo. Questa costellazione è
collocata tra le stelle più splendenti del Cigno
e dell’Aquila, e si presenta come un grup-
po di quattro stelle, non particolarmente lu-
minose, poste in fila a formare una freccia.
17
Secondo il mito più accreditato, rappresenta
la freccia con cui Ercole uccise l’Aquila che
divorava il fegato di Prometeo. Naturalmente,
a questa freccia sono abbinati altri miti come,
per esempio, l’uccisione dei Ciclopi, giganti
dall’unico occhio, da parte di Apollo, mentre,
in un’altra versione è la freccia scoccata da
Cupido, dio dell’amore.
La seconda costellazione connessa a questo
segno è l’Aquila, la quale è l’uccello della luce
che si manifesta come anima portata a com-
pimento. Nella mitologia era l’uccello legato
a Zeus, re degli dei: era l’animale che gli por-
tava le saette e aveva il merito di aver rapito
e condotto in cielo il mortale Ganimede per-
ché gli facesse da servitore, Ganimede era
figlio di del re di Troia, il cui nome Troo diede il
nome alla città. L’Aquila è una piccola e bella
costellazione che si staglia sulla Via Lattea:
Altair, la sua stella più luminosa, forma insie-
me a Deneb, nella costellazione del Cigno,
e a Vega, nella costellazione della Lira, il co-
siddetto “triangolo estivo”. I nomi di queste
tre stelle sono di origine araba e significano
nell’ordine “aquila volante”, “la coda del Ci-
gno” e “avvoltoio che plana”.
La terza costellazione è rappresentata dal
Delfino che, in un antico zodiaco è raffigurato
come un pesce pieno di vita che salta fuori
dall’acqua e piroetta nell’aria, per gioco. È il
simbolo del Figlio di Dio che assume una for-
ma e vive nell’acqua e nell’aria, potendo così
giocare con le forze della natura. L’origine del-
la costellazione si riconduce al mito di Arione
re di Mileto, città dell’Asia Minore, che venne
salvato da un delfino che lo riportò sul dorso
a riva dopo essere stato gettato in mare. Le
sue due stelle maggiori si chiamano Sualocin
e Rotanev, nomi che letti al contrario forma-
no Nicolaus Venator, cioè la versione latiniz-
zata del nome Nicolò Cacciatore, in seguito
direttore dell’Osservatorio astronomico di
Palermo. Ancora una volta le costellazioni ci
indicano le possibilità future, certo che ci vor-
rà ancora tempo prima che il Delfino possa
avere per noi un vero significato personale.
Il mito, sempre attraverso gli scritti di A. A.
Bailey, ci rimanda al significato della parola
“puro”, condizione imprescindibile per poter-
si calare negli inferi della propria coscienza,
parola che significa esseri liberi dalla limita-
zione della materia. Ercole, prima di affron-
tare il cane Cerbero dovette purificarsi ed
impegnarsi in un’azione di servizio liberando
Prometeo dalla sua sofferenza. Per l’iniziato il
servizio viene sempre prima di ogni altra cosa,
basato sempre sulla coscienza di gruppo.
Graziano Fornaciari
18
Plutone e Vulcano portano entrambi in mani-
festazione all’interno del sistema solare l’e-
nergia di 1° raggio. Vulcano, pianeta sacro,
e di cui si dice che sia velato da Mercurio, e
Plutone, pianeta non sacro, e che la scienza
attuale ha declassato a semplice asteroide, in
realtà sono i due pianeti più influenti e potenti
che ora agiscono sui piani esoterici dell’anima
e dello spirito, e a cui rispondono i discepoli e
l’Umanità intera intesa come Discepolo mon-
diale.
L’Umanità si sta avvicinando molto rapidamen-
te al discepolato, poiché sempre più uomini si
approssimano al Sentiero, e quindi inizia a re-
agire all’influsso del 1° raggio tramite Plutone
e Vulcano, i quali con la loro opera provocano
effetti sempre più diretti sul 4° regno. Prima
la loro influenza giungeva solo a livello pla-
netario, invece ora l’Umanità sta reagendo in
modo crescente e veloce agli influssi spirituali
permettendo così a forze sempre più sottili ed
elevate di manifestarsi nel nostro pianeta.
Plutone e Vulcano non sono manifesti sul pia-
no della personalità, infatti su questo piano
non li troviamo in qualità di pianeti reggen-
ti di nessun segno zodiacale. La ragione sta
nel fatto che il 1° raggio sul piano fisico non
è ancora direttamente manifesto, ma è pre-
sente solo come sottoraggio del 2° raggio,
cioè la volontà e il potere sono filtrati, ricevuti
e ritrasmessi all’uomo dall’aspetto coscienza.
Quindi abbiamo Plutone in Pisces e Vulcano in
Taurus, entrambi come reggenti solo sul pia-
no animico e monadico. Essi agiscono anche
sulla forma e sulla materia, ma operano ad un
livello di consapevolezza e di coscienza eleva-
to, nel più profondo Sé interiore di ogni uomo,
il quale spesso non riesce neppure ad essere
consapevole del loro influsso, anche se que-
sto influsso, comunque, ne motiva l’agire.
La mitologia li ha sempre rappresentati come
Dei di regni sotterranei, posti nelle profondità
più recondite della Terra. Plutone, Dio dell’A-
de, il regno dei morti, solo due volte salì in
superficie: la prima per curarsi una ferita e
l’altra per rapire Persefone affinché divenisse
sua sposa e di conseguenza regina degli infe-
ri, ma, anche in queste due sole occasioni, si
narra che Plutone indossasse un elmo che lo
rendeva invisibile, affinché gli uomini non po-
tessero vederlo. Anche Vulcano, Signore del
regno minerale, operava nelle pieghe profon-
de della Terra, forgiando, nel suo antro oscuro,
con i metalli più duri, armi invincibili con cui gli
umani combattevano le loro guerre.
La mitologia, però, oltre a raccontarci storie
avvincenti, ci racconta anche le prove a cui
deve sottostare il discepolo, come guerriero,
sul sentiero iniziatico, e di come Plutone e
Vulcano, signori del 1° raggio, lo affiancano in
questo cammino, compiendo la loro opera.
Plutone e Vulcano sono connessi a due stelle
Astrologia esotericaCuratore: Maria Grazia Barbieri
VULCANO, PLUTONE E IL 1° RAGGIO
19
dell’Orsa Maggiore, la quale è in stretto rap-
porto con la costellazione di Aries: Merak e
Dubhe. Qualità come direzione, volere e pro-
posito sono tutte connesse al Logos solare, la
cui attività coinvolge le molte vite all’interno
della sua manifestazione, ovvero il sistema so-
lare. Tutte rispondono al potere del 1° raggio
che altro non è che energia della volontà divi-
na manifesta.
All’interno del sistema solare Plutone e Vulca-
no esprimono e custodiscono questa energia,
portando il discepolo a rispondere al volere
spirituale che discende sul pianeta Terra at-
traverso una linea diretta di trasmissione di
energie i cui punti focali sono: Merak, Dubhe,
Aries, Plutone e Vulcano, fino a giungere al
centro planetario di Shamballa, dove è custo-
dito il piano che riguarda l’evoluzione del pia-
neta Terra.
Vulcano scandisce il martellare del tempo e
batte i colpi che danno alla materia la forma
voluta. Questo, oggi, è vero più che mai, in-
fatti Vulcano prepara la via dell’Avatar che sta
giungendo, e che al momento giusto apparirà
manifestando la volontà di Dio, la divina volon-
tà di bene fondata sui giusti rapporti fra i popo-
li. Tramite Vulcano, il potere della costellazione
del Toro, rafforzato da Shamballa, ci inonderà
della Luce che custodisce. Le potenti energie
soggettive di Taurus presiedono e dirigono la
vita spirituale in tutti i suoi accadimenti e mai
come ora questo afflusso di Luce è stato così
potente e magnifico.
Sotto l’egida di Shamballa, attualmente è in
essere un rapporto particolare fra Taurus, Plu-
tone e Terra; è un triangolo cosmico che con-
diziona gli avvenimenti umani e che causa la
maggior parte delle crisi attuali. L’energia del
volere, diffusa da Sanat kumara sulla Terra,
proviene dall’Orsa Maggiore, abbassa la pro-
pria frequenza attraversando una stella delle
Pleiadi e quindi pervade l’intero sistema so-
lare, e da qui viene accentrata da Shamballa,
centro planetario principale, che rafforza così il
suo già potente effetto.
Plutone, reggente esoterico di Pisces, espri-
me il potere della morte: morte del desiderio,
della personalità e di tutto ciò che trattiene
l’uomo nell’oscurità della materia, nell’eter-
na lotta fra gli opposti, per giungere poi alla
liberazione. Infatti Plutone, inteso come sepa-
razione e come morte, non distrugge mai la
coscienza, ma solo ciò che la limita e la impri-
giona. Il potere distruttivo del 1° raggio accen-
trato in Plutone provoca mutamenti profondi
nell’oscurità della materia, e porta alla morte,
ma la morte data da Plutone non è altro che
una trasformazione inevitabile e necessaria
che, come raccontano le antiche scritture,
porta l’uomo a scendere agli Inferi, ma que-
sti non riescono a trattenerlo e allora l’uomo,
dopo lunghe ere, sale dal fondo fino alla vetta
più alta, fino davanti al cospetto di Dio.
Vulcano, reggente esoterico di Taurus, incar-
na la volontà divina di manifestarsi attraverso
la forma. Vulcano governa i popoli nella loro
fase di manifestazione dell’anima, ne regola
le attività, fornendo gli armamenti quando la
guerra diviene l’unica forma di liberazione. In
questo momento attuale l’energia di Vulcano
si fa sentire potentemente, e questo spiega i
conflitti che esplodono fra gli uomini di volon-
tà egoistica e avida di potere e di comando e
quelli di buona volontà che cercano di realizza-
re il bene comune e la fratellanza dei popoli.
Vulcano, velato dalla Luna, reggitore esoterico
di Virgo, mette in rapporto Virgo con Taurus, e
pone l’accento su un aspetto importante della
volontà: la sopportazione, qualità necessaria
per potere attraversare tutte le esperienze
20
nell’oscurità della personalità, vista qui come
matrice, come Madre generante, che un Figlio
di Dio deve affrontare prima del ritorno al Pa-
dre. Quindi l’uomo deve sviluppare resisten-
za, capacità di sopportazione e costanza nel-
lo sforzo, qualità stimolate da Vulcano e che
sono attributi del 1° raggio, anche se contra-
stanti con le qualità di solito poste in evidenza
quando si parla del 1° raggio, come la morte e
la distruzione. Vulcano è anche il pianeta dell’i-
solamento e della solitudine, fasi che l’uomo
deve vivere per potere comprendere il volere
divino e riuscire a piegare la volontà del sé in-
feriore alla volontà del sé superiore. Solo così
Vulcano, insieme a Plutone, porta l’uomo a
toccare il fondo più buio, ad annientare il pro-
prio volere e a divenire semplice strumento
della volontà di Dio; solo così l’uomo può sa-
lire verso la luce e divenire spirito in manife-
stazione.
Questo processo alchemico di trasformazio-
ne, operato da Plutone e da Vulcano, compor-
ta uno stato sconvolgente e doloroso, con for-
ze potenti che influenzano il discepolo in base
alla capacità di reazione agli influssi emanati.
Infatti la rispondenza al loro potere dipende
dal grado dell’apparato reagente, poiché è
proprio la sensibilità, la qualità che distingue
il discepolo dall’uomo comune. L’uomo, dive-
nuto discepolo, è in grado di dare una risposta
cosciente e partecipa attivamente al processo
di trasmissione delle energie cosmiche attra-
verso questa precisa sequenza: trasmissione
ricezione, assorbimento, relazione e attività,
attraverso la duplice modalità di invocazione
ed evocazione.
Descrivere le qualità del 1° raggio e dei pia-
neti che lo portano in manifestazione significa
parlare del piano, del proposito e della volontà
divini, significa cercare di comprendere lo spi-
rito, andando oltre l’anima. Significa tentare di
avvicinarci alla vita del padre, che, spinta dalla
volontà della Monade, esprime la realizzazione
dello Spirito nella materia. Il 1° raggio è il rag-
gio del Distruttore, poiché la morte distrugge
la morte, poiché essa in realtà non esiste, è
solo parte di quella grande Illusione in cui l’uo-
mo è immerso e in cui resterà immerso fino a
che non riuscirà a guardare la vita con gli occhi
del cuore. Solo allora l’uomo, con il governo
di Vulcano e di Plutone, sarà vera espressione
dell’energia di 1° raggio, della volontà che ini-
zia tutte le cose.
Maria Grazia Barbieri
21
“Il giardino appare, Fiori e alberi vivono
in ordinata bellezza. Ovunque si odono
ronzare api e insetti in rapido volo.
L’aria è carica di profumi. I colori
contrastano vivaci con l’azzurro del cielo...
Il vento di Dio, il Suo alito divino,
spazza il giardino... I fiori reclinano.
Curvi, gli alberi sono devastati dal vento.
Poi su tanta bellezza devastata, piove.
Il cielo è nero. Tutto rovina. Poi, la morte...
Ecco poi un altro giardino! Ma il tempo
sembra remoto. Chiamate un giardiniere.
L’anima, il giardiniere, risponde. Chiamate
la pioggia, il vento, il sole che arde.
Chiamate il giardiniere. Poi lavorate.
La distruzione cede sempre alla bellezza.
La rovina precede il reale. Giardino
e giardiniere si devono svegliare.
Il lavoro prosegue”.
(Trattato dei sette raggi - volume secondo)
Nel precedente articolo ho accennato al signi-
ficato della danza sotto punti di vista archeti-
pici e universali, umani e scientifici. In questo
articolo invece vorrei andare sullo specifico di
alcune dimostrazioni intelligenti della natura,
che esprimono la danza per fare fronte alla
propria vita, al proprio modo di stare nel mon-
do, in perfetta sincronia con le leggi che lo
regolano, comunicando gli aspetti di bellez-
za veramente esemplari che per ogni essere
umano possono essere paragonati al perse-
guire la legge del dharma, ovvero vivere al
proprio posto con gioia e bellezza, mettendo
a disposizione la propria energia per contribu-
ire alla realizzazione della vita. Come accenna
Massimo Rodolfi sul dharma: “Per il Sag-
gio, il Dharma è ineccepibile. La Legge della
Vita, in Cielo come in Terra, non ha bisogno
dell’approvazione di nessuno, né è offuscata
dal desiderio delle masse, semplicemente è,
per sua spinta interiore. Quanto è lontana la
mente umana da questa ineluttabile sempli-
cità.” (www.yogavitaesalute.it - la legione di
fuoco).
Ed è nella semplicità che su questo pianeta
vive la natura incontaminata, lontana dalla
consapevolezza di esistere, baluardo dell’es-
sere umano che volge lo sguardo al divino,
ma splendida nella sua semplicità e aderen-
te alle regole della vita che mai viene messa
in discussione, ma vissuta così com’è. Vor-
rei parlare per esempio della vita delle api,
di quel piccolo insetto di colore giallo e nero
che è conosciuto per il frutto del proprio me-
ticoloso lavoro: il miele. Il lavoro che, come
dice un proverbio, nobilita l’uomo e lo rende
migliore, è per le api il solo motivo della loro
breve vita, una missione che viene espres-
sa instancabilmente fino alla morte. E le api
lavorano danzando; famosi etologi hanno ri-
conosciuto che in quella danza esprimono il
geometria sacraCuratore: Enrica Battaglia
LA DANZA...LUNGO IL SENTIERO DELLE API
22
loro modo per comunicare informazioni utili a
sostenere un progetto vitale: indicare alle so-
relline la direzione da seguire per raggiungere
i prati fioriti o i ruscelli, dove trovare polline
e acqua, che consentiranno alla comunità di
poter vivere continuando a produrre il miele
e la pappa reale. Soltanto le api appena nate
e l’ape regina si nutrono di questa primizia.
Gerarchia, ordine e adesione al progetto di
sussistenza, sono i comandamenti che le api,
ognuna nel proprio ruolo, rispettano, perché
il sistema possa generare altra vita. I voli a
forma di otto e gli ondeggi eseguiti scodin-
zolando, servono a comunicare, alle proprie
colleghe bottinatrici, dove si trova la fonte di
nettare che hanno appena raccolto e traspor-
tato fino all’alveare, e che verrà trasformato
in miele, così che la colonia possa attingere
a quella fonte di sussistenza indicata. Nell’al-
veare vi sono anche le api operaie, ognuna
specializzata nel proprio compito.
Le pulitrici, che si occupano di mantenere pu-
lito tutto l’alveare; le nutrici, che attraverso
delle ghiandole ipofaringee producono pappa
reale; le produttrici della cera, che costruisco-
no le arnie; le immagazzinatrici, che ricevono
il polline raccolto e lo collocano nei favi; le api
guardiane, che sorvegliano la porticina d’in-
gresso dell’alveare affinché non entrino api di
altri alveari; le ventilatrici, che sbattendo le ali
generano una corrente d’aria per deidratare
il nettare e mantenere stabile la temperatura
all’interno dell’alveare.
Un vero e proprio ingranaggio sociale che
funziona alla perfezione.
Per i primi ventuno giorni di vita, queste api
non escono dall’alveare e contribuiscono alle
mansioni appena accennate; passato questo
periodo, qualcuna di loro esce e si specializza
come bottinatrice in quattro modi differenti:
raccoglitrice di nettare, raccoglitrice di polli-
ne, raccoglitrice di propoli oppure raccogli-
trice di acqua. Non è così per tutte le api,
qualcuna di loro diventa bottinatrice da subito
senza passare da altre mansioni. Le api han-
no una vista molto sviluppata che consente
loro di avvistare la fonte del raccolto. Nelle
zampine posteriori hanno una modifica chia-
mata corbìcola, come un cestello che serve
loro per trasportare il polline e la propoli, op-
pure l’acqua.
Non c’è nulla di più sacro che utilizzare il pro-
prio tempo per costruire qualcosa di comu-
ne, non c’è nulla di più perfetto dell’ordine in
cui questo lavoro si compie; numeri e figu-
re geometriche hanno accompagnato anco-
ra una volta lo svolgersi di un pezzettino di
vita su questo pianeta, rievocatore di antiche
perfezioni che lo inseriscono in un universo
più grande. Per finire vorrei accennare anche
all’aspetto sacro-simbolico che l’ape ha avuto
per la sua operosità nelle tradizioni religiose
della storia. Nell’antico Egitto l’ape era con-
siderata sacra al punto di poter ridare vita al
defunto che l’avesse accolta dentro di sé;
inoltre al frutto del suo lavoro è attribuito un
grande valore esoterico, a causa del miele
che serviva alla preparazione dell’ambrosia,
bevanda sacra presso i Celti, i Germani e i
Greci. É emblema dell’eterna rinascita, per la
sua sparizione nei mesi invernali e il suo ritor-
no in primavera. Per finire, la capacità dell’a-
pe di trasformare il polline in miele viene ac-
costata al lento e meticoloso lavoro iniziatico
che conduce l’uomo lungo il sentiero che lo
porterà a congiungersi con il suo sé spirituale,
attraverso la trasformazione del karma, che
ha in sé i semi del perfezionamento, e che,
una volta purificato, diverrà nettare divino.
Enrica Battaglia
23
Le favole non dicono ai bambini che i draghi
esistono. Perché i bambini lo sanno già.
Le favole dicono ai bambini che i draghi
possono essere sconfitti.
Gilbert Keith Chesterton,
Enormi sciocchezze, 1909
Succede, a volte, durante l’infanzia, che ci
sia un evento drammatico a farci perdere il
contatto con il mondo della fantasia. A me è
successo, e da allora ho “perso” una qualità
di fiducia e di leggerezza che sentivo riscal-
darmi il cuore.
Ora, a quarant’anni, ritrovo quel contatto sot-
tile con la fantasia attraverso la mia mente; il
mio mondo interiore riprende forma e, final-
mente, lo lascio vivere. Si matura tornando
bambini, abbattendo i muri eretti nella solitu-
dine e nella chiusura, almeno, questa è la mia
storia.
Non vuole essere questo un momento nel
quale fare outing, ma il raccontare qualcosa
di noi è un modo per arrivare dritto al cuore di
chi legge (almeno così è stato per me...) e va
nella direzione, alquanto “banale”, della pura
immedesimazione o empatia.
Poche settimane fa, ho letto il libro di Belle
e Sebastien, dolcissimo cartone animato dei
primi anni ‘80, e ci ho ritrovato la mia vita
dentro: la mia solitudine, la mia chiusura, ma
anche il coraggio di ribaltare pregiudizi, di
smascherare il falso e rimanere aderenti alle
scelte fatte.
Sebastien è un bimbo “qualunque”, che at-
traverso la sua forza e il suo coraggio riesce
ad essere di esempio a molti protagonisti del-
la storia.
Viviamo in un periodo storico in cui non c’è
più spazio per la sensibilità. Sei emotivo? C’è
una pillolina giusta per te. Ti senti solo e non
parli? Sei sicuramente da psichiatra. Sono
da psichiatria tutti coloro che si aggirano a
“istruire” le persone su come capire cosa
vuole l’altro, sul: conquista il tuo datore di la-
voro con il linguaggio del corpo. Ma basta!
Non voglio questa umanità riprogrammata,
controllata e autocurata (ma sarà vero?). Tutti
questi fenomeni, Guru occidentalizzati, han-
no soltanto la sindrome del “patacca”.
Se penso al mio passato, ai miei ideali, non
posso non pensare a quanto un rugbista,
rude e sporco, non sia più nobile e umano di
questi manager che si aggirano come vampiri
a raccontare una qualche americanata ai pri-
mi sprovveduti che incontrano, e a succhiar-
gli un sacco di soldi (fosse solo quello...).
Viviamo per sembrare, per attirare, e finiamo
per non commuoverci più. Questo mondo
multimediale ci fa dimenticare il calore di un
abbraccio, di una presenza, e ci allontana dai
nostri veri bisogni. Questo mondo alieno ci
Fitoterapia energeticaCuratore: Donatella Donati
AL DI Là DELLE FAVOLE
24
vuole far credere che siamo belli tutti ugua-
li, magri come la morte che cammina, e che
puoi essere felice solo con il tuo smartphone.
Belle e Sebastien (tornando al cartone ani-
mato) con pazienza si osservano, si toccano,
sbagliano, ma reinvestono sempre nella loro
amicizia. Dobbiamo riprenderci la possibilità
di aver fiducia in un amico, nella vita che scal-
da le vene.
Ci stanno gasando veramente come topi da
laboratorio, inoculando la tristezza e la soli-
tudine come standard delle nostre vite. Ri-
versano sulle nostre teste le più disparate
sostanze tossiche per alterare ogni cosa che
abbia vita, calore e dolcezza. Ci raffreddano i
sensi con ciò che non è organico, ci operano
occultamente sostituendo i meccanismi ce-
rebrali, ci sospendono la coscienza facendo
saltare i nostri circuiti nervosi, sostituiscono
gli elementi atti alla vita dei nostri organismi;
ad esempio, il bario contenuto nelle scie chi-
miche si sostituisce al calcio, in quanto ap-
partiene allo stesso gruppo del sistema perio-
dico, ed agisce sulla percentuale di potassio
presente nel corpo, alterando la facoltà delle
cellule di selezionare le sostanze che entrano
ed escono e quindi l’equilibrio extra ed intra-
cellulare.
Per non parlare delle attività fisiche, che la
presenza di questi elementi riversa sul corpo.
Molti di questi elementi hanno un’alta elet-
tronegatività (vedi alluminio, silicio e manga-
nese), e spesso proprietà piezoelettriche (il
quarzo, composto tra l’altro da silicio). Qui si
aprirebbe un mondo sulle onde sonore e su
come ci vogliono far diventare, anche, dei ri-
cetrasmettitori.
La lotta è impari. Siamo già alterati e forse
siamo “solo” in una fase di resistenza. I no-
stri corpi devono essere coerenti, uniti e so-
stenuti da qualità (o materia) coesa, così che
chi ci vuole utilizzare come cavie sia respinto
nello spazio infinito.
In fisica, nello specifico in elettrologia, si par-
la di resistività, come qualità intrinseca di un
materiale ad opporre resistenza al passaggio
di cariche elettriche. Chissà, magari un giorno
si esprimerà una tale qualità verso chi cerca
di invadere, alterare e modificare irreversibil-
mente i nostri corpi.
Credo che riusciremo ad essere tanto saldi e
distaccati da creare un nuovo modo di scrive-
re la scienza. Sogno quel momento, un’era in
cui le leggi fisiche saranno misurate in aper-
tura di cuore, e niente e nessuno potrà per-
turbare uno stato perfetto di equilibrio, dove
la durezza si tramuta in forza e la sensibilità
– tanto da curare ora – in grande capacità di
visione
Gli eroi dei bimbi non saranno più gli alieni e
i demoni, ma torneranno i vecchi cartoni, tra
cui Belle e Sebastien, e i draghi, grazie anche
alla resistività, saranno già sconfitti.
Donatella Donati
25
Per la serie il Tantra a casa vostra, iniziamo
una serie di articoli su questo tema, cose
semplici, puntando sempre all’utilità e alla
consapevolezza e, per chi ne ha voglia, con
la possibilità di mettere in pratica piacevoli
“esercizi” a due.
Dopo “Comunicazione e Incontro”, ecco che
la naturale sciarada, con-seguimento o segui-
to che dir si voglia, ci porta a considerare l’ab-
braccio. Da quale punto? Non certo l’abbrac-
cio di consuetudine o doveroso, come quello
al parente sgradito o con la varicella, si fa per
dire, bensì sentito, e ancora prima desiderato,
quindi partecipato.
Nell’ambito dell’algida personalità che tutto
controlla, i modi per ergere barriere possono
essere svariati; sappiamo infatti che la mente
è alquanto abile nella sottile arte del raccon-
tarsela, e anche l’intenzione di riconoscere e
dare fiducia all’altro, come considerato nell’ar-
ticolo precedente, può restare un po’ isolata,
se ristretta a pura e semplice affermazione
mentale. Dobbiamo toccare con mano – e
non è una metafora – e attraversare l’astrale,
vivendone le emozioni, se vogliamo arrivare
al piano fisico. Se non diamo un colpo di te-
lefono all’Anima però è probabile che cada la
linea… della possibile comunicazione, ma su
questo poi ritorniamo.
La vita è ritmo; il rischio è perdersi nella quo-
tidiana frenesia che la vita spesso impone, le
mille necessità, le mille difficoltà, i mille au-
tomatismi, che ti fanno dare tutto per scon-
tato. Ma non c’è niente di meno scontato di
una relazione… e anche l’abbraccio non viene
sempre spontaneo, a volte bisogna “quasi”
imporselo per andare oltre. È come sempre
una questione di forze… interrompi un ritmo
disarmonico per riallinearti a un flusso più ar-
monico: Patanjali docet. È in quest’ottica che
l’abbraccio ci consente di affermare la relazio-
ne. Sì, perché l’abbraccio avvolge, o meglio,
può avvolgere, non come un nastro adesivo,
isolante come quello dell’elettricista e quindi
soffocante, ma come gesto di unione, sem-
plice ma tutt’altro che banale, atto a favorire
il permeare della vita attraverso uno scambio
reciproco nel darsi l’uno all’altro. E ci consen-
te di ribadire con un gesto un ruolo, quello
dell’uomo e della donna che si fondono in-
sieme, un ruolo interattivo di manifestazione
intrinseco ed estrinseco.
Un gesto che si richiama a una forma: pen-
siamo al simbolo del Tao, sintesi archetipica
della creazione. All’interno del cerchio, totali-
tà del cosmo, perfezione appunto, lo Yin e lo
Yang coesistono l’uno a contatto con l’altro,
e all’interno di ognuno, l’elemento, sempre
sferico, della controparte. Due gocce d’acqua
irresistibilmente attratte l’una dall’altra anche
perché in ognuna c’è una parte dell’altra. Un
equilibrio quali-quantitativo perfetto e al con-
La Coppia sul SentieroCuratore: Giorgio Ricci Garotti e Monica Giovannini
L’ABBRACCIO
26
tempo dinamico: scambio e compenetrazio-
ne, in cui la simbiosi generata dalla fusione è
estremamente creativa e di grande potenza.
La ruota gira; il maschile ed il femminile si in-
tersecano, si intrecciano, si mischiano conti-
nuamente, e, tornando al nostro contesto di
coppia, come in ogni relazione amorosa per-
fettamente imperfetta, a questo gioco evolu-
tivo in divenire si partecipa insieme. Questo
processo sviluppa unione, che poi è la vita
stessa, cioè Amore, o meglio, spinta ad una
progressiva manifestazione creativa di Amo-
re, che tutto avvolge, che tutto abbraccia.
Un’opportunità, dunque… perché finché
ognuno resta al suo posto, assiso sul suo
trono di pietra, ci si confronta poco e ci si in-
contra meno. Muovere verso l’altro, volerlo
incontrare, volerlo sentire nella sua interezza,
a partire dalla sua fisicità, attizza il desiderio
di compenetrazione e di completamento re-
ciproco.
Bisogna volerlo. Come ogni gesto d’amore
“vero”, può costare fatica, perché partiamo
sempre da ciò che realmente siamo e, per
creare unione ed esserne partecipi, dobbiamo
smembrare in noi ciò che divide, riconoscerlo
e sentirlo, prima di reintegrarlo come com-
pete, e non è teoria. Imparare ad amare non
è un processo indolore, non lo è mai stato,
perché come fai a sciogliere le catene della
sofferenza che infliggi a te stesso e agli altri,
se non la vedi, se non la senti, se non la vivi?
L’altro è lì che te lo sta mostrando, quanto sei
distante da tutto questo: avvicinati, abbraccia-
lo, e abbraccia te stesso.
E così, io donna percepisco questo mio cede-
re nelle braccia dell’altro... e mi abbandono,
so che posso offrire riparo e calore e una for-
za dolce mi attraversa, una forza che non pre-
varica perché sa tacere e ascoltare; è un darsi
senza riserve, che non sente e non vede limiti
nell’altro, e allora tutto cade, le piccole e gran-
di recriminazioni cadono, dettagli insignifican-
ti che si perdono nella potenza dell’unione.
Ed io uomo, nella misura in cui riesco a la-
sciarmi andare, mente, emozioni e corpo, ve-
ramente… attraverso l’abbraccio entro nell’al-
tro, che può accogliermi e, in quella pace,
sento una forza fluire, un’energia che riscalda
le parti fredde, una vitalità che sostiene en-
trambi. Emerge un’armonia nuova che acco-
muna, sottile ma pervasiva, a lambire tutta la
coscienza, a sancire che non c’è mai ragione
per imporre e prevaricare, pretendere e giu-
dicare.
“Siamo ciò che percepiamo e capirlo è mol-
to importante” scrive Massimo Rodolfi ne La
Psicologia dello Yoga. L’uso della percezione
si rivela quindi uno strumento guida straordi-
nario poiché ci consente in ogni momento,
in una incessante dinamizzazione, di vedere
dove la nostra coscienza è polarizzata; da lì
ci possiamo muovere come su un elastico,
da un lato limite, e dall’altro possibilità… de-
terminando l’esito della capacità di reazione
e intervento nella vita. Il desiderio di vivere
il bello, il buono, il vero trova nell’abbraccio
consapevole un’adeguata risposta e altrettan-
ta ispirazione, fornendo elementi utili al risa-
namento, che possiamo tradurre, per come
il processo viene descritto in queste poche
righe con semplicità, in espansione ed ele-
vazione. Elevazione verso l’Anima natural-
mente, a prescindere, sempre e comunque,
perché la Vita passa da lì. E allora è bello per-
cepirlo, sentirlo, viverlo, coltivarlo, ribadirlo
insieme, anche abbracciandosi… spesso, e
pure volentieri.
Giorgio Ricci Garotti e Monica Giovannini
27
Per comprendere il significato di educare ci
rifacciamo al suo etimo che deriva dal verbo
latino educere, ossia tirare fuori. Dobbiamo
partire da qui se vogliamo descrivere il con-
cetto della nuova educazione, dove, realiz-
zando l’azione del tirare fuori ciò che sta den-
tro, impareremo a conoscerci e ad unire tutte
le parti di cui siamo dotati o meglio composti,
ma se affineremo il nostro sentire verso il
piano dell’anima (che vede e percepisce tut-
to unito) potremo renderci conto che questo
non viene ancora agito completamente. La
nostra scuola si basa su dei metodi ancora
incompleti, educando attraverso relazioni di
potere ed esercitando l’obbedienza a coman-
do del tipo: “stai zitto”, “stai attento”, “non
devi fare così”, e qui mi fermo anche se l’e-
lenco potrebbe andare avanti, mostrando ra-
ramente la capacità di mostrarsi coerenti con
ciò che si afferma e di sostenere le parole
con l’esempio.
Se vogliamo che i bambini siano tranquilli
dovremo assumere una posizione coerente,
raggiungibile solo se esprimeremo un atteg-
giamento di unione all’interno delle strutture
di cui siamo formati, come la capacità di rap-
portarci sul piano fisico, emotivo e mentale;
in questo modo si creerà un’onda unificante
dei cuori che porterà a compimento il nostro
progetto creativo in maniera armonica, favo-
rendo la condivisione di questo stato di co-
scienza che appartiene a tutti gli esseri umani
che lo agiscono. Ancora meglio lo possiamo
descrivere come un processo che appartiene
al patrimonio dell’umanità, al quale ogni esse-
re umano può accedere nel momento in cui
comincerà a varcare la soglia della porta che
ci apre al significato delle parole appartenen-
za e unità, che ci condurranno alla possibilità
di vivere il benessere.
I limiti attuali non consentono ancora la rea-
lizzazione di questi aspetti, e fino a quando
diremo: “no così” oppure “no assolutamente
no”, non aderiremo pienamente al progetto
della conoscenza di noi stessi, ma esprimere-
mo l’identificazione col nostro ego bambino,
nutrito dal bisogno di visibilità da parte degli
altri. Stare bene è un lungo processo che sfo-
cerà nella realizzazione della consapevolezza
e di conseguenza nella capacità creativa, ed
iniziandolo a fare nei nostri confronti sarà ine-
vitabile che questo tipo di atteggiamento tro-
vi corrispondenza con tutto ciò che è esterno
a noi. In questo modo potremo vedere l’edu-
cazione come la possibilità di prepararci alla
vita, al riconoscere le strutture vitali entrando
in relazione armonica con il dentro e fuori di
noi.
Riportando il tutto a ciò che stiamo vivendo,
possiamo affermare di essere cellule di una
struttura più grande, cellule che sono malate
e disarmoniche in quanto il nostro sistema
Educare per la consapevolezzaCuratore: Anna Grazia Fiorani
EDUCAZIONE: UNIONE CHE COLLEGA GLI ASPETTI DELL’ESSERE UMANO
28
immunitario non è in grado di affrontare sti-
moli nuovi percepibili nella relazione intorno
a noi. In mancanza di questo ci muoviamo
senza la consapevolezza del senso di unione
che ci porterebbe a conoscerci e a conosce-
re pienamente la vita. Ci sentiamo invece in
uno stato di malessere al quale rimaniamo
attaccati, chiudendoci ad ogni possibilità di
relazione chinando il capo e ripiegando su noi
stessi.
A questo punto diviene più chiaro ciò che ho
scritto precedentemente, infatti non saremo
mai capaci di realizzare unione se continue-
remo a fare, tra l’altro in maniera automati-
ca, ciò che ci pare, perché non siamo nella
condizione di sperimentarci e di conseguenza
scoprirci insieme agli altri, ma attratti sempre
da noi stessi e dal nostro bisogno di attenzio-
ne. Ne consegue, come adulto e insegnante,
la grande importanza della percezione, che in
mancanza di coerenza mi porterà a tentare
di piegare la vita sentendomi in disarmonia e
quindi non compresa. Se invece la percezio-
ne è coerente diviene verticale e mi metterà
in relazione con il senso di unità, fino a sentir-
mi felice di felicità nel trovarmi a vivere nuove
relazioni che mi metteranno a contatto con
nuove conoscenze.
Faccio a questo punto un esempio. Ogni
volta che inizio a lavorare con una classe di
bambini è mia premura spiegare il significato
dell’unione che consiste nell’imparare a stare
insieme, imparando gli uni dagli altri… Che i
bambini non siano abituati a recepire queste
mie parole lo so e lo vedo, ma voglio citare un
episodio che mi ha particolarmente colpito, in
seguito ad una mia affermazione nella quale
dicevo che potevo imparare anche da loro.
Un bambino ha reagito in maniera ferma ma
nello stesso tempo dolce dicendomi: <<Anna
Grazia, io non ci credo che tu impari da noi,
non è possibile… spiegami cosa puoi impa-
rare? E come fai?>>. Stavo per rispondere
ma una bambina meravigliosamente lentiggi-
nosa mi ha preceduta dicendo: <<Certo che
impara, metti che la maestra non è brava in
disegno mentre tu sì, lei impara da te come si
disegna, disegnando insieme a te>>. Meravi-
glia delle meraviglie, chi meglio di un bimbo
ti può spiegare la vita? Ricordo di avere det-
to con non poco entusiasmo: <<Sì è proprio
così, grazie>>. Che bello sentire l’aria acquie-
tarsi e poter partire insieme per una nuova
avventura che ci conduca alla conoscenza
della vita e quindi di noi stessi.
Non posso certo spiegare loro i concetti della
materia educativa, ma evocare in loro ciò che
naturalmente conoscono come il bello, il buo-
no ed il vero mi sembra che corrisponda al si-
gnificato della nuova era educativa, in quanto
il bambino è continuamente in contatto con la
sua armonia interiore che deriva dal contatto
del suo piano animico. Queste esperienze mi
fanno riflettere sull’ancora obsoleto mondo
educativo da cui siamo influenzati, rapporti
per la maggioranza passivi dove non è an-
cora possibile avere relazioni verticali che ci
inducano alla trasformazione e alla conoscen-
za della materia attraverso il riconoscimento
dell’anima.
Solo riconoscendo la frequenza e l’esistenza
di questo mondo possiamo evolvere le no-
stre coscienze nel moto unitario influenzando
anche la materia di cui siamo composti. Que-
sto rafforza ancor più l’importanza di cono-
scere se stessi, prendendo contatto con ciò
che siamo in essenza, attraverso gli aspetti
che manifestano le nostre azioni.
Anna Grazia Fiorani
29
Fin dall’inizio del secolo scorso il bilinguismo
è stato circondato da preconcetti e scarsa in-
formazione. A distanza di quasi un secolo,
permangono ancora alcuni pregiudizi circa la
possibilità che l’esposizione a più lingue possa
esercitare effetti negativi sullo sviluppo cogni-
tivo del bambino o problemi di ragionamento
causati da una confusione tra le due lingue. I
risultati di numerose ricerche stanno contri-
buendo a sfatare questi pregiudizi negativi,
riscontrando una relazione tra bilinguismo e
minore o ritardata incidenza di demenza seni-
le. Gli studi dimostrano che già alla nascita i
bambini esposti a più di una lingua sembrano
in grado di differenziare e apprendere grazie
alla plasticità del cervello. L’immersione in una
o più lingue straniere dovrebbe avvenire in età
precoce, durante l’asilo nido o la scuola d’infan-
zia. Un’educazione più tardiva, dopo i sette-otto
anni, apporterebbe risultati più scadenti. Alcu-
ni studi scientifici stanno cercando di spiegare
come si formi, si mantenga,si valuti e si riabiliti
una competenza plurilingue. Si parla, allora, di
bilinguismo compatto quando un individuo ha
appreso le lingue contemporaneamente pri-
ma dei sei anni. Nel bilinguismo subordinato,
invece, una delle lingue rimane quella di base
e funge da intermediaria alle altre. In Europa
circa il 56% della popolazione usa almeno due
lingue nella vita quotidiana. Il numero delle lin-
gue utilizzate in numerosi paesi è in costante
aumento a causa dei massicci fenomeni mi-
gratori. Dunque la migrazione crea bilinguismo.
Contrariamente a quanto si possa pensare in
un primo momento, però, se si lasciano andare
le cose senza intervenire, il contatto linguisti-
co di solito non innesca la conoscenza perfetta
delle due lingue bensì la perdita graduale della
prima a favore della nuova. Questo si verifica
maggiormente quando la lingua d’origine non
viene considerata una preziosa risorsa ecolo-
gica, apportatrice di retroterra culturali diversi
da conoscere ed apprezzare al fine di favorire
lo sviluppo armonioso di tutta la collettività. Le
difficoltà nell’apprendimento del bilinguismo,
in questo caso, sono indicatori di un disagio
più profondo come quello determinato dall’in-
stabilità familiare socio-economica, che induce
i genitori alla rinuncia della trasmissione della
lingua madre e della cultura natia ai propri figli.
Questo riguarda soprattutto quei nuclei familia-
ri in cui l’emigrazione è avvenuta in condizioni
di violenza sociale o per ragioni economiche.
Anche il modo di vedere i migranti e i giudizi
che vengono dati nei loro confronti svolgono un
ruolo nella non trasmissione. In un paese dove
si teme la discriminazione e che attribuisce
all’immigrato una appartenenza squalificante
e discriminante, non bisogna essere visibili ma
è necessario liberarsi dal marchio di straniero.
La difficoltà di un bambino, figlio di migranti,
nell’apprendimento del linguaggio, mi ha per-
La Comunicazione UmanaCuratore: Anna Maria Fabene
QUEL BAMBINO INVISIBILE
30
messo di scoprire una nuova realtà sociale che
richiede particolare attenzione e preparazione
anche da parte del sistema sanitario – oltre che
scolastico – nel quale mi trovo ad operare.
In genere, non mi accorgo subito che la rela-
zione con una nuova famiglia ed il loro figlio ha
già nella profondità del mio essere i prodromi
per quell’incontro. Solo dopo, gradualmente,
nell’approfondire la loro conoscenza per cerca-
re di trovare il canale più consono alla risoluzio-
ne del problema del loro bambino, la risonanza
interiore inizia a farsi sentire. Immagini del pas-
sato affiorano apportando emozioni, pensieri
e atmosfere simili. Alla supponenza iniziale,
determinata dall’identificazione col ruolo pro-
fessionale, inizia a subentrare la comprensio-
ne e con essa il desiderio di conoscere mag-
giormente quei mondi da cui quelle persone
provengono. Mi sento spinta ad andare oltre i
limiti angusti del mio guscio. Andando verso il
nuovo legame riconosco il vecchio che unisce.
Credendo di dare, puntualmente mi accorgo di
ricevere molto di più.
I genitori sono peruviani e si sono trasferiti in
Italia qualche anno fa. Il bambino è nato qui ma
non ha imparato a parlare né lo spagnolo, lin-
gua madre, né l’italiano. Dopo l’iniziale fase di
lallazione,le prime parole sono comparse verso
l’anno. Il linguaggio poi si è arrestato. La madre
lo ha allattato al seno fino a tre anni e mezzo.
Lei ha un lavoro più stabile mentre quello del
marito è precario. Il bambino trascorre più tem-
po col padre e come lui è timido, la loro voce è
sommessa. Vivono in un piccolo appartamen-
to. Per far fronte alle spese la donna si sottopo-
ne a turni stressanti di lavoro. Gira in motorino
da una parte all’altra della città. Parte la mattina
presto e torna tardi. La preoccupazione di non
riuscire a pagare le bollette la rende tesa, ner-
vosa. È diventata autoritaria e insensibile, sgri-
da il figlio e non sopporta più il marito. Non ce
la fa più a sostenere quell’ansia. A volte l’asma
le blocca il respiro e deve correre in ospeda-
le per riaprire i polmoni e far passare l’aria. Il
lavoro non è sicuro neppure per lei, in questo
momento. Quello del marito lo costringe a umi-
li servizi di accudimento delle persone anziane.
Solo questo si trova sul mercato, e lui non sa
adattarsi a quegli odori sgradevoli mentre si
prende cura di quei vecchi. Il bambino sembra
vivere come sospeso nel tempo e nello spa-
zio. Inizialmente si esprimeva con neologismi,
una sorta di idioma che neppure i genitori com-
prendevano. Per esprimere le proprie esigenze
utilizzava i gesti. Aveva difficoltà a separarsi
dai genitori quando lo accompagnavano insie-
me a scuola. Si comportava come un bambino
molto più piccolo e come tale lo trattavano il
padre e la madre. Aveva sempre un dinosauro
con sé, era il suo gioco preferito, ma in realtà
oltre che con quello non sapeva giocare con
niente. La scoperta del gioco è cresciuta col
tempo e con le nuove possibilità che gli sono
state proposte. Alla scuola materna è un bam-
bino invisibile. Difficile individuarlo perché se
ne sta a giocare da una parte prediligendo un
compagno più piccolo. In fondo non dà noia a
nessuno e non chiede niente. Neppure i geni-
tori, che lo lasciano là frettolosamente al mat-
tino presto, chiedono alle insegnanti cosa fa,
come va. Questo rende il loro figlio ancora più
trasparente, senza spessore, senza un’identità.
Le insegnanti sono molto irritate dal compor-
tamento dei familiari… Ma insomma,come si
permettono di ignorarle, di non rivolgere loro
mai una domanda sul loro operato? Non si ren-
dono conto, le maestre, che anche i genitori di
quel bambino dai capelli corvini e lucenti sono
trasparenti, senza identità. Quella l’hanno per-
sa quando, costretti dalla povertà, hanno dovu-
31
to allontanarsi dalla loro terra, dalle loro usan-
ze, dai loro cari. Certo qui, seppure con lavori
saltuari, guadagnano sicuramente di più. Sono
certi che restando in Italia potranno garantire al
loro bambino un futuro migliore, un benessere
altrimenti negato se tornassero nel loro pae-
se. Erano preoccupati perché lui non riusciva
a parlare, ma adesso che ha iniziato a farlo il
bisogno di riabbracciare i propri cari è divenuto
pressante per la madre. Tra poco partiranno lei
ed il figlio, staranno via qualche mese, il padre
resterà qui a lavorare. Il bambino dai capelli cor-
vini e lucenti, dagli occhi tristi e dalla voce som-
messa vedrà per la prima volta i luoghi che il
padre e la madre conservano con nostalgia nei
loro cuori. Riuscirà finalmente a dare identità
e dignità a quella lingua che lo ha cullato men-
tre era nel grembo materno. Che la nostalgia e
la tristezza svaniscano dal cuore di tua madre,
che possa ritrovare se stessa donandoti così la
forza di vivere con gioia la tua esistenza.
Anna Maria Fabene
32
Il Natale, le feste, i regali, i parenti... i pranzi infi-
niti con portate luculliane in quantità da saziare
eserciti affamati anche se si è solamente in...
5! Poi però anche tanta allegria, soprattutto tra
i piccini, dove l’attesa di Babbo Natale, che por-
ta i regali preventivamente ordinati, conserva
sempre quel suo alone magico.
Si sa, è storia questa, non si può sfuggire alla
buona tradizione, soprattutto in certe famiglie
dove rappresenta un sacrosanto momento di
relazione parentale.
Eppure molti temono le feste, già settimane pri-
ma del loro affacciarsi.
C’è quello che io vorrei chiamare l’esercito dei
delusi, cioè di tutti coloro che si trovano a vivere
una vita – e oggi sono molti davvero – distan-
te da come se l’erano prefigurata anche solo
qualche anno fa; è chiaro che qui meriterebbe
spazio qualche precisazione sulle grandi illusio-
ni che stanno dietro i nostri sogni di successo
in ambito sentimentale, professionale e di rela-
zione, spesso non accompagnati dalla fatica e
dal sacrificio necessari al raggiungimento degli
stessi, ma non è questo il momento.
Ammetto di comprendere bene il poco piacere
provato nel trovarsi a dover condividere la ta-
vola per più giorni con il mitico prozio Giovanni,
che ha la fama di sapere tutto in ogni settore
dello scibile umano, usando un forbito e stra-
tegico linguaggio di 20-30 vocaboli al massimo,
e che, ogni volta che cerchi di aprire bocca per
dire la tua, ti interrompe per raccontare la sua.
O come ignorare la cugina Angelica, che non
fa altro che parlare di gossip al femminile, e tu
sei una donna sì, ma... non te ne frega niente
del flirt della vip del momento, e anzi fai la fi-
gura dell’asociale, che sta sempre zitta e non
partecipa.
Mi passano dinanzi i ricordi della mia infanzia,
quando le feste a casa mia erano il momento
del vestitino nuovo, fatto con tanto amore da
mia madre. Creava con le sue mani delle vere e
proprie opere d’arte… avevano solo un piccolo
difetto ai miei occhi: usava lo stesso “stampo”
per me e mia sorella... lascio immaginare il ri-
sultato... belli, bellissimi, ma... non riuscivo a
togliere quel “ma”, anche perché il doppione
ce l’avevo proprio di fianco al letto, ah ah ah!
Interessante lezione di vita... Ora mi scappa una
gran risata al pensiero di come fosse stridulo
andare in giro con un vestitino gemello in ver-
sione mignon. Sono shock infantili terribili, eh?
Dai, che ridereeee!
Per fortuna i problemi di quell’età erano ade-
guati alla coscienza di una bambina, non come
oggi, dove generazioni di pargoli hanno sulle
spalle le tragedie emotive e mentali dei loro ge-
nitori! Lasciamo perdere, va’!
Un po’ mi dispiace che si sia perso questo negli
anni, mica il vestito nuovo per Natale, ma quel
chiaro e limpido prepararsi ad una festività che
è tutt’altro che banale e noiosa! Perché questo
Psicologia sociale e del lavoroCuratore: Diana Ferrazin
DAI! GIOCHIAMO UN PO’ INSIEME (prima parte)
33
si respirava allora nell’aria prenatalizia.
Le feste per fortuna continuano a festeggiare
il nostro bisogno di relazione, di comunione, di
condivisione, anche se sono strumentalizzate
da un mercato che vive in superficie; festeggia-
no il miracolo della nascita, la nostra capacità
creativa per eccellenza, che è gioiosa, non triste
e malinconica, perdinci!
Il fatto è che in queste giornate sei costretto
a sentire maggiormente quel fatidico “vuoto”
(come lo definiscono i media di questi giorni),
che nel tran tran quotidiano riesci abilmente a
velare dietro una vita frenetica, a volte per for-
tuna anche piena di quel sano fare, medicina
di tanti mali; allora, dopo quel picco altissssimo
di entusiasmo che ti concedi per il momento
dello scarto dei regali, inizia la discesa... e tu ti
ritrovi a scivolare pian piano con la pancia piena,
quasi senza rendertene conto, in un clima emo-
tivo pregno di una sottile malinconia, ma direi
anche di noia claustrofobica, che ti porta irrime-
diabilmente a trascinarti pesantemente fino al
momento del ritorno a casa. Sembra quasi una
visione fantozziana.
Per fortuna ci sono le colonne portanti delle
feste, che godono appieno di questi momenti:
c’è chi ama cucinare per 40 persone... che me-
raviglia! C’è chi ama parlare di niente per ore
e ore... che barba! C’è chi si diverte come un
matto a guardare la televisione fino a quando
ti vengono le occhiaie verdi! Meno male che ci
sono anche loro.
Ma dentro di te quella percezione non se ne
va, nonostante la pienezza di stimoli di quelle
stanze, e tu? Stai a rimuginare sui tuoi nodi:
sulla fidanzata che ti ha lasciato, sul lavoro pe-
rennemente precario, e ti chiedi senza riuscire
a darti degna risposta come mai la tua vita non
sia meno “sfigata” di quanto ti sta dimostrando
per le feste 2013!
Girala e rigirala, ma alla fine sei sempre lì a ruo-
tare come un farfallone nella zona rossa!
Io credo che ci meritiamo qualche sorriso in più!
I problemi ci sono, ce li abbiamo tutti, ognuno
ha i suoi e ognuno porta sulle spalle la sua Cro-
ce, quella che non gli toglie nessuno perché
grande privilegio esclusivo di crescita persona-
le, che gli permetterà di maturare i suoi colori;
allora sarebbe davvero rivoluzionario comincia-
re a cambiare punto di vista da questo Natale,
a valutare questa vita di scoperta continua con
valori che vanno dallo 0 all’infinitamente bello!
E smetterla di bollarla con disprezzo e continuo
senso di ingiustizia!
Ma procediamo per gradi! Quest’anno cosa di-
cono gli esperti? Per una volta tanto mi trovano
d’accordo: in queste festività dobbiamo tornare
a... giocare!!!!
E... di questo parleremo nel prossimo articolo!
Diana Ferrazin
34
La frase prese forma, così Sigrùn la lesse ad alta
voce: “Il lampo che squarcia lo spazio purifica
le sfere. Tutte le manifestazioni del Cosmo tra-
smutano le energie che ne hanno bisogno. Nel
laboratorio universale sono numerosi i mezzi per
produrre scariche spaziali. La purificazione è un
processo indispensabile nel Cosmo.
Chi trasmuterà lo spirito umano? Noi rispondia-
mo: il portatore del Fuoco, con i suoi lampi.
Chi scoccherà la freccia cosmica che distrugge
il male? Chi si assumerà il compito di ripulire le
bandiere a lui affidate? Quando le energie cosmi-
che tendono le loro potenze ignee, e le folgori
purificanti saettano nello spazio, lo Spirito arden-
te crea in egual misura.
Il mondo soffre a causa delle mezze misure, e
soffoca per eccesso d’indulgenza. La folgore spi-
rituale rigenera lo spazio, e rivela i Mondi lontani,
e appresta uno splendido futuro, poiché satura lo
spazio con le sue energie di fuoco.
Chi accenderà la fiamma profetica che purifica?
Solo Colei che collabora con le Forze cosmiche,
solo Colei che coadiuva le Forze della Luce. A
Lei, assistente e compagna, ho comandato di
illuminare lo spirito. A lei è stato demandato il di-
ritto di creare con la Spada cosmica. A Lei è sta-
to donato il Cuore ardente - che la Luce sia quella
sfolgorante della Bellezza - così Ho detto!”1
Sigrùn rimase ferma immobile lo sguardo si per-
deva in quelle parole di luce… il suo volto illumi-
nato da esse, era rapito, assorto in pensieri e im-
magini che si svelavano repentinamente, poi di
scatto si voltò verso il Re e fissandolo con sguar-
do incredulo cercava risposte nei suoi occhi.
Per un istante rimasero in silenzio guardandosi,
poi Sirgùn si allontanò e incominciò a correre ver-
so la stanza del castello. Brynja cercò di fermarla
ma non ci riuscì, così, quando la raggiunse, con
tono imponente disse: “Scappare non serve,
l’hai fatto oramai da troppo tempo ed è giunta
l’ora della tua rinascita. Hai lasciato nell’ombra
del tuo cuore la Luce che porterebbe alla scon-
fitta le tenebre, non far sì che il sacrificio fatto da
molti, nei millenni, sia stato invano.”
In quell’istante Sigrùn si girò verso di lui e in la-
crime si accasciò a terra e con voce rotta: “il mio
tempo è stato vissuto tra le fiamme del sacrifi-
cio, ho visitato gli stati inferiori del mondo sotti-
le, il marakara, le viscere infernali, e sono stata
nutrita dall’universo della Pace ho partecipato a
battaglie nei cieli di Mondi lontani… ho lottato
con la spada in una mano e con il cuore nell’altra.
Mio Re, le mie carni gridano la sofferenza, ma la
mia fede è già sul campo di battaglia.”
Brynja si chinò in terra, prese le sue mani, e sor-
ridendogli rispose: “ Il rifugio che hai trovato in
me, non diventi la tua gabbia, in questa epoca
in cui hai scelto di esistere, fai si che le tue ge-
sta, vissute nelle vite passate, siano solo piccoli
lumi al confronto di questa sfolgorante impresa.
Io ero, sono, e sarò, sempre al tuo fianco.”
Ormai albeggiava, il cielo portava le sfumature
Le fiabe della ManuCuratore: Manuela Baccin
CANTO DI GUERRA (seconda parte)
35
più dolci del sole, il celeste prendeva il soprav-
vento… e la terra lentamente mormorava.
Così il Re ordinò che fossero richiamati all’ordine
tutti i cavalieri e guerrieri.
Che la missiva del Re fosse portata fino ai confini
delle Montagne di Fuoco, arrivando anche alle
Coste dei Mari Impetuosi e alle frontiere della
Terra dei Ghiacci.
Sigrùn a quel punto informò il Re che la sua
presenza sarebbe stata utile in un altro luogo. Il
tempo le era contro, per cui doveva partire im-
mediatamente, ma in quel momento di certo
non poteva sapere con certezza quando sarebbe
potuta tornare.
A quel punto Brynja disse: “All’alba del terzo
giorno io sarò sulla vetta della Montagna Sacra,
e tu dovrai essere al mio fianco.”
Nella notte arrivarono tutti i cavalieri e i guerrieri
giunti dai confini delle Terre…
Il Re li convocò tutti, nella sala del trono, ove po-
tessero ascoltare l’annuncio…
“Valorosi Cavalieri e Grandi Guerrieri, le vo-
stre gesta vi hanno preceduto nei racconti che
echeggiavano dalle Montagne alle Coste… sie-
te qui dinnanzi a me, perché la mia voce possa
trasportare nei vostri cuori la forza e l’audacia.
Queste saranno la nostra spada per combattere
la grande battaglia, non per la nostra gloria ma
per salvare il cuore della nostra Terra.”
“Ora mai un male sta proliferando in silenzio, im-
possessandosi ambiguamente dell’animo uma-
no. Questo male è invisibile, poiché nella sua
natura è intrinseca la codardia.
Ricordate, il male giunge alla vittoria rapidamen-
te, ma altrettanto si consuma velocemente. La
Forza del Bene, così poco evidente all’occhio
umano, si abbarbica alle radici della vita, e con
lei fa crescere la luce nel buio più profondo. Noi
saremo questo, noi non grideremo Vittoria… Noi
saremo la sua testimonianza!”
Gli uomini che saranno soggiogati da questo,
saranno combattuti o salvati, ma mai saranno il
mezzo per far proliferare la sofferenza sulla Ter-
ra.
Ora vi congedo, riposate e pregate…che domani
sarà un nuovo giorno.”
E congedandosi urlò con potenza il Canto di
Guerra: “Non per Me, non per Noi innalziamo
il Fuoco all’universo, ma per la Luce, Per la
Vita e per Il Cuore vittorioso perenne.”
Il Re si ritirò nella sua stanza, la stanchezza prese
sopravvento, e così si distese sul letto per far
riposare i pensieri. Si addormentò, e gli apparve
in sogno Sigrùn, leggiadra nelle sue vesti lumino-
se. Il viso di lei gli si avvicinò sempre più, fino a
sussurrargli: “un tuo fedele Cavaliere nell’ingan-
no ti sta servendo, ma in verità è un servo del
male, allerta il tuo cuore e ascoltalo.”
Brynja si svegliò di soprassalto, si alzò e si sporse
dalla finestra, subito il suo sguardo fu catturato
da una figura a cavallo. Era lontana e non riusci-
va a distinguerla, ma gli sembrò che quell’ombra
volesse farsi riconoscere… questa, dopo essere
rimasta qualche minuto immobile, indirizzò con
le briglie il cavallo a muoversi lentamente.
Il Re rimase sconcertato, e con lo sguardo fisso
seguì questa figura misteriosa…
Segue…
Manuela Baccin
1 N.d.a. Tratto dal Mondo del Fuoco
www.yogavitaesalute.it
LA RINASCITA D’ITALIA ATTRAVERSO L’AMOREdi Massimo RodolfiQuesto libro è un grido d’allarme! Stiamo vivendo in un sogno, che sta rapidamente diventando un incubo. La vita nel nostro paese, e di tutto il pianeta, è minacciata da realtà inquietanti che stanno ledendo le basi della nostra umanità. Abbiamo creduto in ideologie, visioni del mondo, lottato per realizzare una vita migliore, ma tutto questo era solo nel sogno, per-ché in realtà una potente organizzazione mondiale transnazionale decide-va nel frattempo i destini del pianeta. La volontà dei popoli è sempre più schiacciata dal potere di una congrega segreta ed occulta che si spartisce il dominio del mondo. Esseri alieni a questa umanità, forze malefiche ed esseri umani avidi e crudeli, operano per condizionare e sottomettere la popolazione mondiale ai loro criminali disegni. Non esiste forza politica nel nostro paese che non sia condizionata dai progetti del Nuovo Ordine Mondiale. E noi dormiamo... e loro ci dominano! Vi è un solo modo affin-
ché il futuro non sia minacciato ulteriormente da forze distruttive: risvegliare le coscienze e condividere un progetto di vita basato sull’innocuità e sul bene comune. L’amore è trasversale ad ogni etica, politica o religione, riconoscerci nell’altro è l’unico modo che abbiamo per superare gli egoismi che distruggono il mondo. È per questo motivo che la rinascita d’Italia è possibile solo attraverso l’amore. L’odio l’abbiamo già sperimentato, e non ha funzionato!
NELLA RETELuci ed ombre del “media” che ha invaso le nostre vitedi Monia BeniniLa rete è entrata con irruenza nelle nostre vite ed è rapidamente diventata una sorta di piazza virtuale, raggiungibile stando comodamente seduti sul divano, quando non addirittura da scuola o dal lavoro.Dall’analisi tecnica della rivoluzione comunicativa nel web, il libro passa a una valutazione delle potenzialità e dei rischi derivanti dall’uso e dall’abuso di Internet: dall’informazione alternativa al coinvolgimento su temi di impegno civico, ma anche lo scatenarsi di atteggiamenti da branco nei social network, il finanziamento e il controllo dei portali, l’accanimento per spegnere i coraggiosi casi di informazione ‘fuori dal coro’, la censura pronta ad abbattersi sui contenuti non allineati al sistema di potere. E ancora, la manipolazione mentale in atto sin dalla più tenera età, con le trappole di videogiochi sempre più violenti o con la presenza di spot per il
perfetto consumatore, la dipendenza patologica da Internet.Una rete con luci e ombre, da saper navigare con spirito critico e vigile per non restarvi intrappolati. Una rete che è virtuale e che, pur preziosissima, non dovrebbe sostituirsi alla nostra vita reale.
ISSN 2283-9763