2012. Vincenzo Cicero, Dalla Introduzione a Essere e Analogia

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VINCENZO CICERO iCentotalleri L’essere costituisce il tema per eccellenza, antichissimo e inesauribile, della filosofia, nel cui ambito l’analogia, d’altra parte, viene prevalentemente considerata come un meccanismo logico subordinato alle leggi universali del pensare e funzionale ad argomenti più eminenti (assai istruttivo in proposito è il caso dell’analogia entis). In questo scritto si propone invece una rara tematizzazione della struttura analogica come tale, con ciò prospettando la possibilità di ripensare in modo radicale l’essere e il suo senso. Tra i diversi interlocutori, due spiccano su tutti: Aristotele, il primo a fornire una definizione tecnica di analogia, e Heidegger, che nel XX secolo ha rilanciato la questione del senso di essere. Vincenzo Cicero (1962) è ricercatore di filosofia della scienza presso l’Università di Messina. Tra le sue pubblicazioni: Filosofia, matematica e storia in Platone (1998); Il Platone di Hegel (1998); L’opera d’arte come finestra (2006); Istante durata ritmo. Il tempo nell’epistemologia surrazionalista di Bachelard (2007); Detective del tempo (2010). Ha anche curato diverse traduzioni italiane di opere di Hegel e Heidegger. ESSERE E ANALOGIA € 15,00 www.ilprato.com ESSERE E ANALOGIA

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ESSERE E ANALOGIA L’essere costituisce il tema per eccellenza, antichissimo e inesauribile, della filosofia, nel cui ambito l’analogia, d’altra parte, viene prevalentemente considerata come un meccanismo logico subordinato alle leggi universali del pensare e funzionale ad argomenti più eminenti (assai istruttivo in proposito è il caso dell’analogia entis). In questo scritto si propone invece una rara tematizzazione della struttura analogica come tale, con ciò prospettando la possibilità di ripensare in modo radicale l’essere e il suosenso. Tra i diversi interlocutori, due spiccano su tutti: Aristotele, il primo a fornire una definizione tecnica di analogia, e Heidegger, che nel XX secolo ha rilanciato la questione del senso di essere.

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VINCENZOCICERO

iCentotalleri

L’essere costituisce il tema per eccellenza, antichissimo e inesauribile, della filosofia, nel cui ambito l’analogia,

d’altra parte, viene prevalentemente considerata come unmeccanismo logico subordinato alle leggi universali del

pensare e funzionale ad argomenti più eminenti (assaiistruttivo in proposito è il caso dell’analogia entis).

In questo scritto si propone invece una rara tematizzazionedella struttura analogica come tale, con ciò prospettando la

possibilità di ripensare in modo radicale l’essere e il suosenso. Tra i diversi interlocutori, due spiccano su tutti:Aristotele, il primo a fornire una definizione tecnica di

analogia, e Heidegger, che nel XX secolo ha rilanciato laquestione del senso di essere.

Vincenzo Cicero (1962) è ricercatore di filosofia dellascienza presso l’Università di Messina. Tra le sue

pubblicazioni: Filosofia, matematica e storia in Platone(1998); Il Platone di Hegel (1998); L’opera d’arte come finestra

(2006); Istante durata ritmo. Il tempo nell’epistemologiasurrazionalista di Bachelard (2007); Detective del tempo(2010). Ha anche curato diverse traduzioni italiane

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RingraziamentiLa mia gratitudine va innanzitutto a Diego Fusaro, per aver ac-colto in questa fresca e vivace collana de philosophicis la mia fatica(che è peraltro da considerarsi prodotto della ricerca di cui alprogetto d’ateneo dell’Università di Messina, anno accademico2008/9). Quindi a Fabio, Pietro e Salvo, per la pazienza con cuihanno letto in progress le varie parti del dattiloscritto. E a Barbarae Claudia, per la revisione delle ultime bozze.

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Introduzione

Legame di comunanza tra legami: è la formula con cui sembrapossibile pensare l’analogia in una maniera inedita, senzanel contempo abbandonare la prossimità con le sorgenti ei flussi (le cascate e i riflussi) della tradizione filosofica. Laprima condizione di questa possibilità noetica è che nellacomunanza (koinwniva) si colga il senso strutturale princi-piale di ei\nai, essere. L’altra è che il legame venga conside-rato, secondo anche le sue ascendenze etimologiche, comel’espressione più propria del levgein dell’ajnalogiva. Così, da un profondo ripensamento dei due filosofemi

classici dell’essere e dell’analogia, sia ciascuno per sé sia –decisivamente – nel loro connubio, potrà (in un momentoulteriore e in altra sede) profilarsi una nuova sistematicadel sapere, una epistemologia generale che sia in grado difacilitare l’intercomunicazione teorico-pratica fra le tre areefondamentali dello scibile: scientifica, filosofica, poietica.

§ 1. La filosofia non è finita

Essere, accomunare. Assai arduo pensare ora che l’esserepossa avere un senso più radicale, più paradigmatico – più“originario” – di quello dell’accomunamento. Perciò, aquasi un secolo dalla più poderosa riproposizione recentedella questione del senso di essere, è giunto il momento dirisentire tale senso e, se possibile, consentirvi. Riproporre la questione spetta eminentemente al sapere

filosofico, che nel suo genoma reca inscritto il vincolo pri-vilegiato all’essere. Ma allora si impone subito la conside-razione che: la filosofia, nonostante Heidegger ne abbiaredatto con solennità un singolare necrologio, non è affattogiunta alla sua fine. A una nuova svolta sì, non però al suoconfine estremo – quale stolto autoprofeta, del resto, vor-rebbe millantare una simile apocalissi? Filosofia resta il sa-

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persi dell’uomo come essenzialmente limitato, come mar-chiato dal fuoco del tempo, eppure, benché lungi dall’es-sere un dio, come qualcosa di divino; il sapersi del mortalecome mortale eppure – nell’intimo, in qualche modo, in-sieme – immortale.Poiché però il discorso heideggeriano sulla fine del pen-

sare filosofico, pur non costituendo certo il referto su unmero decesso, è una meditazione che delinea comunqueuno scenario in cui philosophia consummata est, la gravità diquesta prospettiva per l’avvenire del filosofare rende quiindispensabile riguardarne almeno gli aspetti più rilevanti.Il primo dei quali consiste nella considerazione della fineinnanzitutto come confinamento.Il gioco fine/confinamento, Ende/Vollendung, viene eseguito

da Heidegger nel quadro delle due schiette identificazionicon cui si apre il suo scritto del 1964 Das Ende der Philosophieund die Aufgabe des Denkens: «filosofia è metafisica», e «lametafisica è platonismo»1. Il destino della filosofia apparequi intrecciato, anzi agglutinato alle varie vicende della me-tafisica, la quale, sempre nell’ottica heideggeriana, riceve lasua misura decisiva e configurazione essenziale dalla specu-lazione platonica: «Attraverso tutta la storia della filosofia,nelle sue diverse figure rimane decisivo il pensiero di Pla-tone»2. Il finire del filosofare coinvolge quindi in manieradiretta il destino, platonicamente segnato, della metafisica;e non può essere confuso con un mero cessare, concludersi,decadere o estinguersi, cioè con determinazioni tendenzial-mente solo negative. È un avvenimento epocale, dice Hei-degger, un accadimento che, rispetto all’epoca storica che neviene investita, s’instaura come inattuale, intemporale, inquanto appartiene alla (proviene dalla) epocalità dell’Essere3.

1 Heidegger, Das Ende der Philosophie, in: Id., Zur Sache des Denkens, pp.69 e 71.2 Ibid., p. 71.

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La fine, das Ende, dev’essere intesa disambiguando la parolaaffine Vollendung, che di solito viene impiegata nel significatodi «compimento», ma qui, non essendo in causa alcuna per-fezione (Vollkommenheit) – «come se la filosofia, con la suafine, dovesse aver raggiunto la perfezione suprema» –, va ac-cepita senz’altro come «confinamento», riduzione entro iconfini di una località definita:

Il discorso sulla fine della filosofia significa il confina-mento della metafisica. [...] La fine della filosofia è illuogo in cui il tutto della sua storia si raccoglie nella pos-sibilità estrema. Fine, inquanto confinamento, indicaquesto raccoglimento.4

3 Cfr. ibid., p. 70, nota 4 (marginale): «L’epocale non è però l’attuale /bensì ciò che per l’epoca è inattuale». Sull’epocalità dell’Essere cfr. Hei-degger, Der Spruch des Anaximander, pp. 337 s.4 Heidegger, Das Ende der Philosophie, pp. 70 s. – Che in questa Vollen-dung sarebbe fuori luogo parlare di maggiore o minore perfezione, Hei-degger lo ribadisce tramite l’argomento della naturale assenza digraduatorie in filosofia: «Non solo ci manca ogni criterio (Maßstab) checi consenta di valutare la perfezione di un’epoca della metafisica rispettoa un’altra, ma non sussiste in generale alcun diritto di valutare in questomodo. Il pensiero di Platone non è più perfetto di quello di Parmenide.La filosofia di Hegel non è più perfetta di quella di Kant. Ogni epocadella filosofia ha la sua propria necessità. Noi dobbiamo semplicementericonoscere che una filosofia è così com’è. Non sta comunque a noi pre-ferirne una rispetto a un’altra, così come è invece possibile riguardo allediverse visioni del mondo» (ibid., p. 70). Tuttavia, poche righe piùavanti sta la frase in cui si parla del pensiero platonico come determi-nante (maßgebend) per l’intera storia della metafisica: ma allora in questocaso la misura (Maß) c’è, è data dalla stessa filosofia platonica! Difficilepoter chiamare questo incontro proposizionale altrimenti che contrad-dizione. Del resto, è difficile che le parole sulla necessità di astenersidal preferire singole epoche metafisiche rispetto ad altre si conciliinocon la noncuranza o scarsa attenzione heideggeriana verso certe epochemetafisiche (la tardo-antica, la medievale, e buona parte dell’epoca mo-derna fino a Kant) e certi pensatori (Plotino, Tommaso, Cusano e Spi-noza su tutti). In Heidegger si trovano non di rado situazioni analoghein cui degli enunciati, acriticamente assunti ed espressi, assurgono d’un

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Heidegger ammonisce che, dal raccogliersi o concen-trarsi dell’intera vicenda metafisica nella località della suapossibilità estrema, non bisogna ovviamente aspettarsi ilrampollare di neofilosofie modulate secondo lo stile fin lìconosciuto. La filosofia finisce confinata in un luogo in cuiavviene il suo estremo, definitivo trapasso – iniziato al-l’epoca del pensiero greco – nelle molte scienze autonomeil cui tratto fondamentale unitario è la tecnicità. Dall’ori-ginario distacco di matematica e fisica, a quello di chimicae biologia, agli ambiti scientifici di più recente autono-mizzazione esplicitamente menzionati nello scritto del1964 (psicologia, sociologia, antropologia culturale, logi-stica e semantica), il pensare filosofico ha dovuto via viarinunciare a zone rilevanti dell’antico dominio, e adesso,nel tempo del suo definitivo passaggio a scienza empiricadell’uomo, è costretto infine a subire la colonizzazione daparte dell’operazionalità e modularità del pensare calco-lante-rappresentante. Alla fine non sparisce, la filosofia,proprio perché si perpetua in una prole folta e ognora piùpotente, ma così il suo confinamento si rivela un intermi-nabile sfinimento (Verendung)5 davanti all’attuale trionfodel positivo, del positum e dispositum dell’organizzazione tec-nico-scientifica su scala mondiale.

tratto a (presunti) elementi corroborativi dell’argomentazione princi-pale. Si tratta di asseverazioni solenni, frasi epocali alla cui appariscentepensosità non corrisponde però in circumstantia alcun travaglio specula-tivo: gesti quindi spiccatamente inadatti alla filosofia, la quale d’al-tronde, se non ammettesse alcun tipo di graduazione, non potrebbeneanche giudicare se stessa. Senza un Maßstab, come si può fare distin-zione tra ciò che appartiene alla filosofia autentica e ciò che ne restafuori, p.es. le Weltanschauungen?, e come pronunciare la stessa sentenzasulla metafisica quale platonismo? Certo, in filosofia non si fanno clas-sifiche: ma davvero non si può esibire la superiorità della filosofia diKant rispetto p.es. a quelle di Mendelssohn e di Lambert?5 Cfr. ibid., p. 69, n. 3 (marginale): «Che cosa significa [qui]: essergiunto alla fine? inizio di un lungo s-finire [Ver-enden]».

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Confinamento e sfinimento, Vollendung e Verendung, sonoperciò le parole per intendere adeguatamente la Auflösungcon cui Heidegger contrassegna l’ultima possibilità – lafine – del pensare metafisico, cioè: «la dissoluzione dellafilosofia nelle scienze tecnicizzate»6. Dopo di che, con unamossa non proprio sorprendente, anzi per lui consueta, ein genere accompagnata (come qui) da una processione didomande retoriche, Heidegger chiede se, essendo giuntoil pensare della filosofia alla sua possibilità ultima, non sidischiuda per il pensare inquanto tale una possibilitàprima, quella che la stessa filosofia, pur discendendone, nonsarebbe mai stata in grado di esperire e recepire propria-mente: «Se così fosse, allora nella storia della filosofia, dalsuo principio alla sua fine, in modo nascosto dovrebbe an-cora essere riservato al pensare un compito che non sarebbeaccessibile né alla filosofia inquanto metafisica, né allescienze provenienti da essa. Pertanto chiediamo: ...» (se-guono cinque domande, la prima delle quali dà il titoloalla seconda e ultima parte dello scritto: «Quale compito,alla fine della filosofia, rimane ancora riservato al pensare?»)7.Nel prosieguo del discorso heideggeriano, fatta la tara

alla tattica retorica (il saggio Das Ende der Philosophie erastato redatto in vista di una conferenza), questo pensareancora possibile, non-calcolante e non-filosofico – cioè, in-sieme non-metafisico e non-platonico –, si profila comepensare estatico entro la Lichtung des Seyns, il luco dell’Es-sere8. È qui chiaramente all’opera uno sfilacciamento, senon uno strappo, del legame tra sapere filosofico ed essere,

6 Ibid., p. 73.7 Ibid., pp. 73 s.8 Per la terminologia heideggeriana in italiano rinvio ai miei lavori:Nota del traduttore e Glossari, in: Heidegger, Holzwege, pp. IX-XVII e 447-702; Parole fondamentali di Heidegger (sulla Lichtung part. § 2, pp. 207-213). Cfr. anche Henologia e oblio dell’Essere, in cui tratto tra l’altro ilrapporto tra l’Essere, l’esserci e la storia della metafisica.

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che non può dunque essere trascurato da chi invece ritieneche oggi tale legame, debitamente ripensato, sia ancora ingrado di offrire risvolti inattesi.

§ 2. Lux e luminarium. Decostruire un metaforemaassoluto

A una studiata distanza dalla potente metaforica della luceche ha dominato nella tradizione culturale d’Oriente e Oc-cidente, Heidegger delinea da Sein und Zeit in avantiquello che al lume (al lucore) delle opere più tarde puòchiamarsi il pensiero extrametafisico del luco dell’Essere.Un gesto che vale una decostruzione del metaphorema lucisabsolutum9. Secondo la provocatoria teoria di Blumenberg, i meta-

foremi assoluti sono refrattari a ogni istanza di fissazioneterminologica, irriducibili a qualsiasi concettualità, purpotendo venire sostituiti da altri metaforemi più efficaci opiù precisi – e quest’ultimo carattere fa sì in particolareche i metaforemi assoluti abbiano Geschichte, storia, in unsenso ancora più radicale dei concetti, giacché, risiedendoessi nella sottostruttura del pensare, nel substrato nutritivodelle cristallizzazioni sistematiche, la loro mutazione faemergere gli orizzonti di senso e scorci prospettici all’in-terno dei quali nozioni e concetti patiscono le loro modi-ficazioni10. Questi traslati speciali e rari, la cui verità è

9 L’espressione Destruktion der Lichtmetaphysik riferita a Heidegger è diJae-Woo Song (Licht und Lichtung).10 Cfr. Blumenberg, Paradigmen zu einer Metaphorologie, Einleitung, pp.12 s. Al posto della parola tedesca Metapher leggo automaticamente Me-taphorem, secondo la distinzione operata in Cariati-Cicero, to; metafo -rikovn, II, § 1.0, pp. 39 s., tra la metafora, come atto poietico diattribuzione onomatica, e il metaforema inquanto locuzione attribuitamediante quell’atto.

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essenzialmente pragmatica in quanto il loro contenutocostituisce stella polare di comportamenti e attività, con -feriscono struttura a un mondo, forniscono una rap pre -sentazione della inesperibile e inabbracciabile totalità delreale11. Nella cerchia ristretta dei metaforemi assoluti, la cui re-

sidenza negli strati geologici della regione noetica ne assi-cura lo schietto ruolo fondativo per ogni filone ditradizione12, le civiltà iscrivono spontaneamente la luce.Da qui la sua vocazione strutturale a metamorfizzarsi (me-taforizzarsi) in direzione metafisica, ben prima di ogni co-difica filosofica esplicita, quale si trova nella Repubblica diPlatone (libri VI-VII, 508-519), e della stessa metaphysicalucis sviluppata da Roberto Grossatesta. Così lo Hegel dellelezioni sulla Ästhetik, se nell’Ahura Mazda del riformatoreZarathustra leggeva l’ingenua inseparatezza primordialedell’Assoluto dalla sua esistenza lucente, l’indistinzione delDivino dalla luce come sua espressione o immagine sensi-bile, e più avanti tratteggiava l’autentico rapporto tra loSpirito-Luce e la luce naturale secondo il discrimine tral’automanifestantesi ritornante entro sé e il mero manife-stante-altro, non mancava tuttavia di ascrivere al sinnlichesLicht, inquanto pura identità con sé e pura relazione a sé,una serie di primati: «la prima idealità, il primo Sé dellanatura», «nella luce la natura comincia per la prima voltaa divenire soggettiva ed è ora l’Io fisico universale»13 – for-nendo con ciò un’autorevole legittimazione sistematica alla

11 Cfr. ibid., II, p. 25.12 Alla fine del cap. VII, Blumenberg usa a proposito delle tradizionioccidentali l’espressione fundierende Metaphern (scil. Metaphoreme).13 Cfr. Hegel, Vorlesungen über die Ästhetik, I, pp. 409 ss.; II, pp. 62 s.;III, p. 24. – Per la religione della luce cfr. Id., Vorlesungen über die Phi-losophie der Religion, 2, pp. 186-209 e 316-321. – Sulla luce come Sédella materia, cioè come essere-fuori-di-sé inseparabile e semplice, cfr.Id., Enzyklopädie, §§ 275 s.

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virtù metaforico-metafisica della lux ipsa corporeitas cele-brata dal Vescovo di Lincoln14. Ma da Platone, Grossatesta e Hegel, e prima ancora da

Mosè e Zarathustra, erompe a una sola voce l’avvertenza:la luce non è il sole. La luce del sole non è dal sole, piuttostol’astro “diurno” è fatto e sussiste in virtù della luce che at-traverso esso si progaga. Esempio tipico di questo legamedi differenza-nella-comunanza è la netta distinzione biblicatra il fiat lux (Genhqhvtw fw'") del primo giorno della crea-zione e il fiant luminaria (Genhqhvtwsan fwsth're") delquarto giorno (Genesi 1,4 e 1,14-15). Sole e luna sono dallaluce protocreaturale.Extra chorum Derrida, con la sua consueta arguzia, ha ri-

levato che «il sole propriamente detto, il sole sensibile, ...è soltanto metaforico»15, e ha provato a mostrare l’impla-cabilità di questo metaforema nel preimprontare e assog-gettare la metafisica hegeliana, così come poco prima avevastigmatizzato con analogo tenore critico le riflessioni diDescartes sul lumen naturale. Il suo testo classico sulla me-tafora, La mythologie blanche (1971), mira a rilanciare sullanota puntata heideggeriana: «Il metaforico si dà solo al-l’interno della metafisica»16, per far emergere che è piut-tosto il pensiero metafisico come tale a edificarsi su unametaforica che, appunto, lo predisegna nascostamentequanto irresistibilmente e indefinitamente. Proprio perquesto la metafisica non scompare, come pretenderebbeBlumenberg17, semmai va incontro al suo finimento o, per

14 Cfr. Roberto Grossatesta, De luce, p. 52.15 Derrida, La mythologie blanche, p. 300. 16 Heidegger, Der Satz vom Grund, VI, p. 72. A questa sentenza è dedi-cato il mio studio: Metaphorisches und Metaphysik (1993).17 Cfr. Blumenberg, Paradigmen zu einer Metaphorologie, X, p. 193: «Lametafisica ci si è rivelata spesso come metaforica presa alla lettera. Lascomparsa della metafisica richiama la metaforica al suo posto» (è il pe-riodo conclusiva dello scritto).

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usare la figura derridiana, al suo invaginamento, al ripie-gamento entro se stessa, secondo una dinamica di continuaintro- e ri-marginazione dei suoi margini18.Convinto però di aver imboccato il giusto circuito deco-

struttivo rinvenendo nella parola héliotrope la più equivocae destabilizzante – e perciò più pertinente (auto-de-co-struente)19 – metafora della metafora, Derrida è parso a suavolta lasciarsi circuire dal sole di questa piccola scoperta,assoggettandovi in toto il proprio intento di seguitare letesi heideggeriane sulla metafisica, ma trascurando giustoun aspetto decisivo su cui Heidegger ha fatto leva per pen-sare la fine (lo sfinimento) dell’homo metaphysicus20. Infatti

18 Cfr. Derrida, Le retrait de la métaphore, p. 72: «Non ho mai credutoall’esistenza o alla consistenza di qualcosa come la metafisica. ... Nonci sarebbe mai “la” metafisica, perché la “chiusura” non è qui il limitecircolare ai bordi di un campo omogeneo, ma una struttura più ritorta,oggi sarei tentato di dire con un’altra figura: “invaginata” (invaginée)»;e Id., La différance, p. 25: «Il testo della metafisica è ... attraversato dalsuo limite, marcato al suo interno dal solco multiplo del suo margine».19 «Il metaforico ... costruisce indefinitamente la sua distruzione» (ibid.,p. 320). Eliotropio: la metafora come tropo del sole, quindi come tropoper eccellenza.20 Nonostante in seguito, ne Le retrait de la métaphore, Derrida abbia cer-cato di rettificare l’impressione (registrata da Ricoeur ne La métaphorevive, VIII, pp. 362 e 373) di voler estendere o radicalizzare continuisti-camente il movimento “anti”-metafisico heideggeriano, le sue parolenello scritto del 1971 suonano eccezionalmente inequivoche: «La me-tafora porta dunque sempre la sua morte in se stessa. E questa morte èsenza dubbio anche la morte della filosofia. Ma questo genitivo è du-plice. È tanto la morte della filosofia, morte d’un genere appartenentealla filosofia che vi si pensa e vi si riassume, vi si riconosce compiendosiin essa; tanto la morte di una filosofia che non si vede morire e non visi ritrova più» (La mythologie blanche, p. 323). È vero che Derrida irreg-gimenta anche Heidegger tra i metafisici, con una operazione di sma-scheramento a sua volta tipica del pensatore tedesco (secondo cuismascherante e smascherato sono sempre legati a doppio filo, e p.es. ilNietzsche antimetafisico non può non essere anche metafisico), ma nelbrano citato è difficile non vedere la prosecuzione del programma hei-

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nella Mythologie blanche la luce è ritratta solo come effettodell’irraggiamento solare, è come fatta decadere dalla sualongeva assolutezza metaforica, in quanto viene soggiogatadal meta-metaforema del sole a fungere da ancilla nel rife-rimento d’illuminazione ai vari tropismi metafisici. Lux deSole, insomma – quoniam lux ex Sole est, et non Sol ex luce,come sensatamente sul finire del ‘600 Miguel de Palacioscommentava riguardo al prologo del Vangelo giovanneo (I10, p. 28). In altre parole, Derrida ha attivato una decostruzione del

metaforema assoluto della luce facendo trapelare dal suopalinsesto multistrato il sodalizio figurale ultimo su cui sireggerebbe la metaforica-metafisica: il sole e l’eliotropi-smo. Non ha quindi accordato rilevanza decostruttiva allegame tra luce e luco, tra Licht e Lichtung, il quale nellastrategia “anti”-metafisica heideggeriana risulta assai piùprofondo e determinante di quello tra luce e sole. Eppure,nel corso di un esercizio di facile ironia verso alcune espres-sioni cartesiane su teologia e metaforica contenute nel Col-loquio con Burman, è lo stesso Derrida a riportare ladomanda: Pourquoi est-il dit, en effet, que les tenebres ont précédéla lumière?21, che Descartes adduceva come esempio di que-stione biblica formulata in termini metaforici e perciò dalasciare ai teologi (Theologis relinquenda), e che invece af-frontata con serietà puramente speculativa potrebbe far af-facciare su nuovi paesaggi epistemici; ma Derrida,trascurando anche lui la questione come fosse confinataesclusivamente nella regione teologica, ha perso un’occa-sione rara di inoltrarsi nella Lichtung di Heidegger.

deggeriano di pensare la fine de “la” filosofia-metafisica nel senso delconfinamento/sfinimento.21 Derrida, La mythologie blanche, p. 320. Nell’originale latino di De-scartes: Cur enim dicitur tenebras praecessisse lucem? (Colloquio con Burman,p. 1288).

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§ 6. Pensare l’essere, scrutare mondi

Il metaforema della radura, che – così come il claro zam-braniano – è depistante rispetto al significato dichiarata-mente extrametafisico della Lichtung heideggeriana, vieneimpiegato in chiave intrametafisica da Severino per descri-vere lo stato attuale della filosofia nel suo rapporto con lescienze e la cultura in generale. Se in antico la filosofia eraun grande centro urbano da cui molte strade si diramavanoverso zone differenti, oggi, mentre quelle vie si sono mol-tiplicate e trasformate in ampie autostrade che collegano amille e mille metropoli, dell’antica città è rimasta solo unapiccola radura, eppure la sua capacità irradiante è ancoravigorosa, e la musica che ne proviene «è lo spazio in cui lanostra civiltà è cresciuta e continua a crescere, il terreno sucui è tracciata ogni autostrada ed edificata ogni metro-poli»44. Balza subito agli occhi l’affinità con il discorso heideg-

geriano sulla fine della filosofia, con la importante diffe-renza che qui il confinamento entro una località semprepiù stretta, che da urbana trapassa a boschiva, non coim-plica uno sfinimento, ma, all’opposto, un affinarsi dellosguardo, capace finalmente di scandagliare le cave più re-mote dell’Occidente e di portare alla superficie l’inconscionichilistico dei suoi abitatori – per preparare il tramontodestinale dell’Occidente. Secondo Severino, con lui la filo-sofia accetta oggi una responsabilità immane, di cui soloessa è comunque in grado di farsi carico, perché il suo pen-sare è tutt’altro che sfinito, come vorrebbe Heidegger, anzi

44 Severino, La filosofia antica e medievale, Introduzione, p. 7.note

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è più stabile che mai, occhio che vede eternamente la veritàincontrovertibile – luce intramontabile – del Tutto.Luco nascondente di Heidegger e luce indefettibile di

Severino sono in realtà figure di due interpretazioni del-l’essere che, per quanto differenti tra loro e a tratti perfinocontrapposte, convengono almeno in due punti centrali:1) la sopravvalutazione in direzione criptoteologizzante delsenso dell’“è”, a scapito di una più avveduta e compiutaesplorazione della sua struttura; 2) l’epocalizzazione del-l’intera storia del pensare dell’Occidente, rubricata cosìsotto la voce di un “destino” di cui ciascuno di loro si è au-toeletto profeta. Due poderosi apparati teoretici che a malapena riescono a dissimulare, nonostante l’impostazione a-teologica della loro meditazione sull’essere, il desiderioiperbolico di sapere il Deus absconditus e il Deus-Esse, e cheappunto a questa segreta forza che li muove devono, al dilà del diniego tra-volgente dell’uno e della sofia solare edeterna dell’altro, il loro sussistere quali autentiche philo-sophiae.Ma qual è il proprio del filosofare? A questa domanda,

con la memoria vigile e i sensi tesi per tutte le direzioni,non so tuttora trovare migliore risposta che: pensare l’essereinquanto essere. Nessuno degli altri saperi – naturali, logico-matematici,

informatici, socio-antropologici, teologici, etici, poietici –che sono rampollati dalla fonte filosofica, o comunque sonostati costitutivamente irrorati dalle sue acque, può prefig-gersi il compito di pensare l’essere come tale, a meno diabdicare alla propria specifica vocazione epistemica per ri-tornare nel seno della madre di ogni umano sapere. Tra leparole che hanno caratterizzato p.es. gli inizi della filosofiain Grecia (ajlhvqeia, o{lon, e{n, fuvsi~, cavo~, kovsmo~, ej-pisthvmh, ajrchv ...), solo lovgo~ può forse vantare – ma certonon oltre l’avvento del cristianesimo – una così stricta pro-prietas philosophiae analoga a quella di o[n e famiglia (oujsivainclusa); non è infatti un caso che verità, tutto, uno, natura,

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caos, cosmo, sapere, inizio ..., pur avvalendosi ancora oggidi certi privilegi noetici concessi loro dal filosofare, nonsiano affatto sue tematiche esclusive: logos e verità sonoanche concetti eminenti della teologia, inizio e tutto sonoargomenti all’ordine del giorno in astrofisica ecc. L’essere inquanto tale è tema di pertinenza esclusiva del

pensare filosofico. Ogni altra cerchia epistemica non puòfare a meno di occuparsi costantemente dell’essere, ma intali casi esso viene visto sempre e soltanto in determina-zioni particolari, sotto forme specifiche, si tratta insommadell’essere inquanto qualcosa, p.es. inquanto numero e fi-gura in matematica, fermione e bosone in fisica, buono inetica. All’inevitabile e ogni volta nuovo coinvolgimentoatematico dell’essere in tutti i saperi sta dunque di frontela sua unica possibile tematizzazione, quella questionantedella filosofia. E nel suo essere decisiva per l’intero scibile,ma decidibile solo entro il sapere filosofico, sta la singolaritàdella questione dell’essere, quaestio quaestionum. Che è filo-soficamente decidibile, sì, mai però una volta per tutte,appunto perché nuove forme d’essere di continuo appaionoe premono per essere affrontate e comprese, fino a rendereurgente in certi momenti una reinterpretazione dell’esserestesso. Da tale circostanza proviene lo strutturale (e paradigma-

tico) carattere indefinitivo della filosofia, il suo perenne,ardente ricercare la sofia impossibile ai mortali45, quellache Socrate attribuiva solo al dio (oJ qeo;~ sofov~), e al cuiconfronto ogni sapienza umana è di scarso o nullo valore46.Dirò, parafrasando un testo famoso, che il mio proposito è

45 Cfr. Cacciari, Della cosa ultima, p. 96: «Proprio la ricerca a colmarel’assenza di ciò che tuttavia ardentemente desideriamo è la forza chemuove la filo-sofia».46 Cfr. Platone, Apologia Socratis, 23 A: hJJ ajnqrwpivnh sofiva ojlivgou tino;"ajxiva ejsti;n kai; oujdenov".

note

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di collaborare affinché la filosofia non deponga mai il suonome di amore per il sapere, e sappia resistere alle tenta-zioni autolesionistiche (si tratti di condannarsi in bloccocome oblio o di divenire sapere assoluto, di spalmarsi sullescienze esatte o di farsi fagocitare dalle umane). La confi-gurazione essenziale dell’attuale complessità del sapere puòvenire restituita soltanto dallo specchiarsi dello stesso sa-pere filosofico nella struttura dell’essere inquanto essere. Gli altri saperi guardano nello specchio per scrutarvi gli

innumerevoli mondi. La filosofia si sforza di sentire in -nanzitutto lo specchio, e, quando le riesce di pensarlo, peri pilastri del multiverso si preannuncia allora una trasfor-mazione permanente.

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Indice

Introduzione§ 1. La filosofia non è finita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5§ 2. Lux e luminarium. Decostruire un metaforema assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10§ 3. La strana natura della parola Lichtung . . . . . . . . . . . . . . . . 15§ 4. Claros del bosque? Un luogo poetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17§ 5. Esperire il luco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22§ 6. Pensare l’essere, scrutare mondi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

I. Essere§ 7. La copula nelle proposizioni speculative hegeliane . . . . . 31§ 8. Assoluto – è – essere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35§ 9. Parusie “metafisiche” secondo Heidegger, o essere = presenziare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37§ 10. Questioni relative alla sintassi primaria . . . . . . . . . . . . . . 42§ 11. Derrida, laddove la traccia inizia a tracciarsi . . . . . . . . . . 45§ 12. Intuizione aristotelica della strutturalità dello h|/ . . . . . 51§ 13. L’Als-Struktur nella riflessione heideggeriana . . . . . . . . . 55§ 14. Senso e struttura, prima e dopo la Kehre . . . . . . . . . . . . . . 59§ 15. Non altro che inquanto trascendentale . . . . . . . . . . . . . . . . . 65

II. Analogia§ 16. L’enunciato e altre definizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73§ 17. I due elementi correlati della sintassi enunciativa . . . 80§ 18. Per una logica unitaria della copula . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86§ 19. Uguaglianza e identità (e somiglianza) . . . . . . . . . . . . . . . . 92§ 20. La questione proporzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100§ 21. Il medio analogico, il più bello dei legami . . . . . . . . . . . . . 104§ 22. Irriducibilità dell’ajnalogiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109§ 23. ... sed magis amica analogia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114§ 24. Accomunare differendo, il senso principiale di inquanto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119§ 25. La copula e la direzione identitaria del senso di inquanto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124§ 26. L’analogo, all’improvviso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

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