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2012: l’anno dei Maya Arte dal Mesoamerica Arner Quaderni

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2012: l’anno dei MayaArte dal Mesoamerica

Arner Quaderni

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La civiltà dei Maya

La complessa civiltà dei Maya che suscita da sempre fascino, mistero e inquietudine ha la sua antica genesi in una storia parallela a quella dei popoli di altri continenti, percorsi da uomi-ni nomadi per circa due milioni di anni; società di piccoli gruppi tribali, vita nelle foreste e nelle caverne, sussistenza dalla raccolta di frutti e con i prodotti della caccia e della pesca.Una teoria possibile sui primi abitatori delle Americhe si basa sull’ipotesi che circa 17 000 anni fa (ma altri dicono 40 000) alcune tribù dell’Asia attraversarono lo stretto di Bering grazie all’abbassamento delle acque intrappo-late nei ghiacciai dell’ultimo periodo glaciale. L’assenza d’acqua negli oceani ridusse di oltre 90 metri il livello del mare che separa l’Asia dall’America con una profondità fra 30 e 50 metri, trasformandolo in un ponte terrestre verso l’Alaska, usato dai nomadi per inseguire i branchi di animali e poi per espandersi sempre più a sud.Nel secondo decennio del XXI secolo, con lo spostamento dell’asse economico a Oriente e lacrescente importanza della Cina anche nello scacchiere politico e culturale mondiale, questa ipotesi plausibile di una lontana origine dei popoli americani dal continente asiatico sta assumendo un particolare rilievo. Da parte cinese, infatti, si tende a indicare, pur senza prove conclusive, un rilevante rapporto dei Maya con la Cina che sarebbe suggerito, ad esempio, dal largo e frequente impiego della giada e dal fatto che le tombe dei Maya fossero

rivolte a Oriente. La giada era il materiale più prezioso per i Maya (più dell’oro che veniva usato per i gioielli) perché il verde-blu rap-presenta il centro del mondo ed è il massimo simbolo della fertilità.Circa diecimila anni fa, in tutti i continen-ti, e quasi contemporaneamente, i nomadi si trasformarono in agricoltori. La Cina scoprì il riso, il grano si diffuse in Mesopotamia e in Egitto, in America il mais, alla base dell’econo-mia maya, seguito da cotone, fagioli, manioca, zucche e dal cacao. Con la coltivazione, l’uomo stabilì un legame forte e stabile con la madre Terra e la sua vita venne sempre più scandita dalle stagioni e dal tempo. I Maya mettevano in parallelo il grano di mais, che deve morire nella terra per rigermogliare, con la sepoltura dei morti. L’agricoltura, con il suo spazio e i suoi cicli, si rivelò un paradigma essenziale per il graduale sviluppo della matematica, della cultura e del pensiero. Con lo sviluppo del cal-colo, nacque il complesso dei calendari maya, il più accurato dell’antichità, che considerava la creazione del mondo avvenuta l’11 agosto del 3114 a.C. quando il Conto Lungo, uno dei calendari maya, cominciò a scandire i giorni dell’era presente, con l’anno di 365 giorni che iniziava il 16 luglio, con il sole allo zenit, diviso in 28 settimane di 13 giorni.

“Tutto era mistero, tenebroso, impenetrabile misteroe ogni nuovo passo lo infittiva”.

John Lloyd Stephens (1805-1852)Esploratore nelle terre dei Maya

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rale, politica, tecnologica. Attorno al 900, le città cominciarono a essere abbandonate per ragioni ancora ignote, forse per carestie o cataclismi naturali, e la popolazione si trasferì nello Yucatan, dove sorsero i centri di un nuovo potere, come Chichén Itzá, Labnà, Mayapan e Uxmal, che raggiunsero il loro ver-tice attorno al 1000 d.C. cui seguì una gradua-le decadenza nell’epoca detta maya-tolteca. In realtà, la società maya continuò a svilupparsi anche nell’epoca post-classica, ma in senso più democratico, con le opere d’arte maggiore progressivamente sostituite da manufatti di uso comune.Il declino non avvenne per un improvviso cataclisma, ma fu dovuto anche a catastrofi naturali e siccità che, distruggendo i raccolti, portarono carestie e continue guerre con città e popoli confinanti e quindi la popolazio-ne abbandonò i grandi centri urbani, facen-do crollare i commerci e minando l’intera società. Come scrisse Hernán Cortés: Omne regnum in seipsum divisum desolabitur.I Maya furono gradatamente assoggettati dagli Aztechi che i Conquistadores spagnoli, sbarcati nel 1527, rovesciarono con facilità, anche se l’ultima città maya cadde solo nel 1697.

I primi insediamenti della civiltà Maya si pos-sono far risalire al 1500 a.C. mentre le prime città furono costruite attorno al 317 d.C. (la prima data che si desume da un monumento Maya). L’impero dei Maya occupava un’area di circa 320.000 chilometri quadrati, poco più estesa di Svizzera, Austria e Italia insieme, entro i confini del Messico (Chiapas, Tabasco, Campeche, Yucatan, Veracruz e territorio di Quintana Roo), del Guatemala, del Belize, dell’Honduras, del Salvador, influenzando anche le terre centro-americane delle attua-li repubbliche di Nicaragua, Costa Rica e Panama.Tra il 300 e il 900 d.C. si situa il periodo classico dei Maya, le cui principali città-stato furono Bonampak, Copan, Palenque, Piedras Negras e Tikal, centri d’irradiazione cultu-

Splendore e declino di un grande popolo

Chichén Itzá, Osservatorio El Caracol

Chichén Itzá, Tempio di Kukulkan (Quetzalcoatl) o El Castillo

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Alla ricerca della città perduta

I Maya emergono tra le antiche civiltà per aver saputo esprimere opere architettoniche straordinarie, seppure non conoscessero la statica dell’arco né la ruota e neppure gli attrezzi di metallo. La riscoperta delle città perdute, in gran parte invase dalla giungla e ormai scomparse dalla memoria degli stessi abitanti della regione è dovuta dapprima agli Spagnoli. Tipico è l’esempio di Palenque, le cui architetture nel 1567 furono visita-te per la prima volta dal frate domenicano Pedro Lorenzo de la Nada, condottovi su una portantina per 112 chilometri nella giungla, quando ancora si chiamava Otolum, terra dalle case forti, che ribattezzò Palenque ovve-ro fortificazione, ma la chiamò anche Gran città dei serpenti nel suo libro Una Historia de la Creación del Cielo y la Tierra. Seguì nel 1730 Antonio de Solis, poi nel 1773 Don Ramon de Ordonez y Aguilar, e quindi, nel 1784, con José Calderòn, dall’arquitecto real Antonio Bernasconi (X-1785, un ticinese,

ricostruttore di Città del Guatemala dopo i terremoti del 1773) che fece mappa e disegni di Palemke. Gli seguì nel 1787 Antonio Del Rio che con 79 Indios riuscì a liberare dalla vegetazione i templi. Nel 1805-6-7, il capitano austriaco dei Dragoni di Almansa Guillermo Dupaix e l’artista José Luciano Castañeda fecero rilievi e disegni, modificati dall’editore inglese Lord Edward Kingsborough in uno strano stile egizio-ebraico, non senza sottrarre uno dei “pannelli della Croce” che venne resti-tuito solo vari anni dopo dallo Smithsonian Institute. Si credeva allora che le figure delle sculture e dei bassorilievi di Palenque rappre-sentassero Egizi, Cartaginesi, Polinesiani o le Dieci tribù perdute di Israele, attribuzioni del tutto errate, quanto nel XX secolo le assurde attribuzioni ad alieni di altri mondi. Solo nel 1831, l’esploratore militare Juan Galindo osservò che le figure di Palenque erano sem-plicemente identiche ai tratti somatici della popolazione locale.Palenque venne visitata nel 1832 per due anni dall’esploratore, antiquario e cartografo francese Jean Frédéric Waldeck e disegnata in schizzi che alternavano realtà e miti. Nel 1840 il governatore del Honduras Britannico inviò Patrick Walker e Herbert Caddy, ma la sua maggior fama si deve ai due intrepidi

Palenque

Palenque

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Maudslay

Charnay

CatherwoodCatherwood

esploratori, Frederick Catherwood e John Lloyd Stephens che ne lasciarono un’ecce-zionale descrizione illustrata. Un pioniere della fotografia francese fu Désiré Charnay che scattò, sviluppandole subito sul posto, le prime foto di Palenque nel 1858, ritornandovi nel 1881-1882 per trovare crolli e danni inter-venuti nel frattempo. Un ottimo fotografo di Palenque fu Teobert Mahler nel 1877. Nel 1890, l’esploratore inglese Alfred Maudslay pose l’accampamento a Palenque, dove fece numerose fotografie per poi realizzare dei modelli tridimensionali. Con lui si apre la fase delle esplorazioni scientifiche. L’antropologo americano William Holmes arrivò a Palenque nel 1895, ma la rivoluzione messicana, quella con Pancho Villa ed Emiliano Zapata, impedì altre esplorazioni fino al 1922, con una delle più importanti, quella di Frans Blom nel 1923-25-27 che scoprì aree meno esplorate e promosse la conservazione delle rovine. La scoperta sotto il Tempio delle Iscrizioni della tomba del re Pacal il Grande (K’inich Janaab’ Pakal), la più importante ritrovata in tutta l’area mesoamericana, avvenne tra il 1949 e

il 1952, a opera dall’archeologo messicano Alberto Ruz Lhuillier.Le città perdute, i templi e le iscrizioni hanno consentito agli archeologi di conoscere sem-pre meglio l’arte sacra dei Maya che è di rara potenza ed efficacia, ma anche una scien-za matematica sorprendente, con l’uso della cifra 0 che era rappresentata dal disegno di una conchiglia, mentre un punto rappresen-tava ogni unità fino a 4 e una linea il 5. La loro organizzazione economico-sociale, inoltre, costituisce un riuscito esempio d’integrazione ecologica tra uomo e natura, in una geografia che presenta tuttora immani difficoltà naturali.

Hergé

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Matrice disciplinare del pensiero magico e mi-tico dei Maya è il Sole, il dio supremo che gene-ra il tempo, signore delle quattro stagioni cui si affianca il vasto universo delle deità legate ai fenomeni naturali, connesse prevalentemente all’agricoltura, come la pioggia. Le figure delle divinità maya sono una stilizzazione di esseri sovrannaturali ispirati ad animali, vegetali e forme umane. Le sculture che li rappresentano danno figura al pensiero che l’uomo è domi-nato dalle diaboliche forze del male del dio della guerra, il giaguaro, che combatte contro l’aquila della luce e della cultura. Le divinità maya si evolsero nei secoli e nel periodo tardo della civiltà maya-tolteca venne introdotto il nuovo culto di Quetzalcoatl (da quetzal, piu-me preziose e còatl, serpente) degli Aztechi, chiamato dai Maya Kukulcán, che da iniziale benefico dio del vento, del verde e portatore di piogge, in seguito incrementò l’attività guer-riera e il sacrificio umano, accentuando anche l’idolatria e un rituale più elaborato. Gli an-tichi Maya avevano un sacro rispetto dei loro sacerdoti-artisti custodi del sapere e respon-sabili della compilazione del calendario, della cronologia e della scrittura che chiamavano“uomini veri”. Gli scultori maya, abilissimi nel lavorare pietra, legno, stucco, giada, ossidiana, realizzarono monumentali altari, lapidi, steli, architravi, colonne, ma anche troni, tavoli e sti-piti, tutti a rilievo, rifiniti a colori, fitti di segni calligrafici e ornamentali. Notevoli le steli di Copán, Quiriguá, e Tikal, i pannelli di Palen-que, i palazzi e i templi coperti d’iscrizioni che fissano nella pietra l’universo della religione maya. Le maschere funerarie di giada, secondo la credenza dei Maya, potevano trasfigurare il volto del defunto nel personaggio rappresenta-to nella pietra, così se ne conservava l’essenza, ovvero la sua anima. Per questo, le maschere

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Divinità spietate e arte sacra

erano lo strumento e il veicolo per comunicare con i tre livelli del cosmo: il mondo degli Infe-ri; la superficie terrestre verde-blu del giovane Yum Kaax dio del mais, della Natura e della caccia; il cielo.Le sculture maya erano eseguite con tecnica neolitica, impiegando martelli e scalpelli di pietra e mazze di legno, dato che non dispone-vano di attrezzi di metallo e il lavoro si basava su abilità, costanza e tempo. Nella ceramica, non esistendo la ruota, i vasi erano formati a mano senza il tornio da vasaio. Se questo po-polo non conosceva metalli da utensili, si lavo-ravano rame oro, argento, ed esisteva una vasta rete idrica caratterizzata da piccoli canali per alimentare le cisterne naturali cenotes e per irrigare i campi. Va anche notato che nell’au-stera arte maya praticamente non si trovano raffigurazioni femminili. Il denaro era rappre-sentato da campanelli di rame, chicchi di caffè, conchiglie e piume colorate ornamentali.

San Lorenzo

Uxmal

La Venta

Xiuhtec

Codice maya

Testa di giada

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I Maya si procuravano le enormi rocce per re-alizzare le stele da cave nella giungla, traspor-tandole per lunghe distanze senza carri, non usando veicoli a ruote, né bestie da traino. Le pietre erano poi lavorate ed erette in loco. La più grande è la stele E a Quiriguá che pesa 65 tonnellate e misura 10,5 metri, con otto metri di pannelli scolpiti.

Colossi nella giungla

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La cultura Maya ha ispirato letteratura e cine-ma, ma anche archeologi e studiosi, che hanno ripreso, e spesso travisato, gli enigmi di quel-la civiltà scomparsa. Grande protagonista di questa ricerca del mistero è il calendario maya utilizzato anche da Aztechi e Toltechi, molto elaborato, che parte dall’11 agosto 3114 a.C., data ritenuta la nuova creazione del mondo, dopo un’immane catastrofe. L’era attuale è detta dai Maya l’Età dell’oro ed è governata dal dio Quetzalcoatl. Il 20 dicembre 2012 terminerà un ciclo del calendario maya, il 13º b’ak’tun (12.19.19.17.19) e il 21 inizierà il 14º b’ak’tun (13.0.0.0.0) e, secondo alcuni, il 21

dicembre 2012 si dovrebbe verificare la fine del mondo o una grande rivoluzione dell’umanità in senso spirituale. Questo evento tanto caro ai catastrofisti non è mai riuscito prima né con l’anno Mille e non più mille, né con il 2000 e il Millennium Bug, né con la cometa di Halley. Nessuna di queste profezie ha alcun fonda-mento scientifico e sono state più volte smen-tite dalla comunità geofisica e astronomica.Da un’iscrizione sul Monumento 6 si desume la data del 2012, in cui potrebbe verificarsi qualcosa che coinvolgerebbe la misteriosa divi-nità maya Bolon Yokte, associata in genere alla guerra e alla creazione. Tuttavia, molte altre tavolette riportano date successive al 2012.Nel Popol Vuh - uno dei principali documenti storici dei Maya - si legge che gli dei avrebberodistrutto col diluvio quattro precedenti cre-azioni imperfette e non sarebbero contenti nemmeno del solstizio con la congiunzione di Marte, Giove, Saturno. Si tratta di uno spetta-colo astronomico insolito, ma che non com-porta la fine del mondo, né che la rotazione della Terra sul proprio asse dovrà subire una fermata che durerà 72 ore per poi ruotare in senso inverso, con l’inversione dei poli magne-tici e catastrofi immani.Per gli archeologi, il calendario Maya è ciclico, quindi non farà altro che ripartire, esattamen-te come il calendario gregoriano non fa finire il mondo il 31 dicembre, ma riprende (per pura convenzione) il primo gennaio. La fine di un ciclo del calendario era, infatti, vista dal popolo Maya semplicemente come occasione di grandi celebrazioni per festeggiare l’in-gresso nella nuova epoca, in questo caso il 14º b’ak’tun.

I Maya e la fine del mondo

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Coperchio d’incensiereChorotega di terracotta

Arte dal Mesoamerica

Divinità di giada

Coperchio d’incensiereChorotega di terracotta

Pietra cerimoniale per macinare il grano

Tlahuizcalpantecuhtli, o Venere

Chichén Itzá, Tempio dei mille guerrieri

Incensiere maya di terracotta

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Figura votiva

Testa di iguanaCane di pietra

Guerriero maya di pietra vulcanica

Uxmal

Tikal

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Fungo cerimoniale

Fungo cerimoniale

Testa di giaguaro di terracotta

Testa di idolo di pietra

Tulum Area della civiltà maya

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I giochi

Il gioco della palla per i Maya assumeva un si-gnificato religioso e divinatorio. Una palla di caucciù contesa fra due squadre di cinque uo-mini doveva essere lanciata attraverso un anel-lo di pietra nel muro, senza essere toccata con le mani o i piedi. I perdenti rischiavano spesso di finire vittime di un sacrificio rituale.

Tikal

Uxmal

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I Maya furono i primi agricoltori a colti-vare la pianta del prezioso cacao, il kakaw da cui trassero il kakaw uhanal, il cibo degli dei, nasceva così il chocolatl, dal maya chocol che significa caldo e dall’azte-co atl che significa acqua, la cioccolata.Dal burro dei semi del cacao si ottiene il cioccolato che i Maya preparavano tostando i semi e riducendoli in polvere che mescolavano ad acqua e spezie pic-canti. I semi erano utilizzati anche come merce di scambio o moneta.

Il cioccolato

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Nel capitolo della conquista spagnola dell’America centrale, ha svolto un ruolo chia-ve una giovane, bellissima donna, detta La Ma-linche o Doña Marina (1496 - 1529), l’inter-prete del condottiero Hernán Cortés.Malinalli, dal nome indigeno della dea dell’er-ba, era una nobile azteca. Dopo una guerra fu ceduta come schiava nel territorio maya. Per questo parlava sia il nahuatl azteco, sua lingua madre, che la lingua dei vincitori, il maya yuca-teco. Dopo essere stata donata a Hernán Cortés il 15 marzo 1519 dagli abitanti di Tabasco con altre 19 donne, alcuni pezzi d’oro e un com-pleto di mantelli, imparò da lui lo spagnolo.Ribattezzata Marina e nota come La Malin-che, dal nahuatl Mãlintzin, poté evitare in-comprensioni ed errori con un’opera che andò ben oltre a quella di interprete, tanto che la sua figura è tuttora venerata come un’eroina nazionale. Da Cortés ebbe un figlio, Martín, considerato il primo dei Mestizos e anche per questo La Malinche è considerata la fondatrice del Messico attuale. Il suo rilievo fondamen-tale fu riconosciuto da subito, come testimo-niano Bernal Díaz del Castillo nella Historia Verdadera de la Conquista de la Nueva España

La Malinche o Doña Marina

e il conquistador Rodríguez de Ocana. La figu-ra della Malinche è stata protagonista di molti romanzi, come Montezuma’s Daughter (1893) di H. Rider Haggard, dell’opera La conquista (2005) del compositore italiano Lorenzo Fer-rero e in Star Trek una nave spaziale porta il suo nome, la USS Malinche.

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Arner e la cultura

I valori che sono alla base del modo di essere e di operare di Banca Arner si riflettono anche nel suo interesse per il mondo della cultura, un patrimonio della collettività che va diffuso, protetto e conservato.Arner interviene in ambito culturale a diversi livelli: la tutela e la valorizzazione della pro-pria sede storica di rilevante interesse architet-tonico, il patrocinio dell’opera di artisti e ricer-catori, l’organizzazione di esposizioni d’arte, di collezioni etnografiche e di mostre fotogra-fiche, progettate e realizzate autonomamente o in collaborazione con collezionisti o musei.