APOCALISSE MAYA

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“Apocalypto”, il nuovo film di Mel Gibson, dopo lo scandalo dell’arresto in stato di ebbrezza a Los Angeles e le polemiche su “The Passion”, è destinato a far discutere: centotrentanove minuti di sangue, violenze brutali, decapitazioni e sacrifici umani; una storia feroce ambientata ai tempi della civiltà Maya, di cui Gibson sembra aver voluto cogliere il lato più oscuro, nella sua fase più decadente, calcando la mano sull'aspetto grandguignolesco dei sacrifici umani. Un'operazione che sa molto di propaganda (filo-cattolica), e che rischia di occultare la grandezza della civiltà maya. La caduta della civiltà Maya è scandita da teste mozzate, pugnali infilati nella pancia, sgozzamenti, stupri, torture, massacri di donne e bambini inermi, cuori pulsanti strappati dal petto. Come fu per “Passion”, Gibson sceglie di nuovo la via della violenza esplicita. Il film è interessante se si paragona la violenza del potere primordiale e pre-moderno a quello di oggi: le immagini di Apocalypto si sovrappongono a quelle dell'esecuzione di Saddam Hussein, diffuse dai telegiornali di tutto il mondo con sufficiente indifferenza (perché non sono state censurate?, ndr), simbolo dell' “Impero del Male” statunitense che vorrebbe portare la “salvezza” in Iraq. Da questo punto di vista, i massacri di Apocalypto vorrebbero far passare alcuni messaggi elementari tipo: i Maya siamo noi, civiltà sull'orlo del baratro, dedita all'idolatria di falsi dei e al saccheggio della natura. Le ultime immagini del film mostrano il protagonista e due feroci inseguitori attoniti di fronte all’arrivo delle tre Caravelle, la cui sagoma con tanto di croce vuole rappresentare l'arrivo della Cristianità e della salvezza in un mondo che affoga nel sangue (il riferimento è all'Apocalisse e alla seconda venuta di Cristo, ndr).

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Per i Maya, vi era un altro aspetto importante: quello della cosmogonia, secondo cui c'erano state quattro epoche anteriori alla nostra, ognuna delle quali era finita con un grande cataclisma ordinato dagli dei...

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“Apocalypto”, il nuovo film di Mel Gibson, dopo lo scandalo dell’arresto in stato di ebbrezza a Los Angeles e le polemiche su “The Passion”, è destinato a far discutere: centotrentanove minuti di sangue, violenze brutali, decapitazioni e sacrifici umani; una storia feroce ambientata ai tempi della civiltà Maya, di cui Gibson sembra aver voluto cogliere il lato più oscuro, nella sua fase più decadente, calcando la mano sull'aspetto grandguignolesco dei sacrifici umani. Un'operazione che sa molto di propaganda (filo-cattolica), e che rischia di occultare la grandezza della civiltà maya.

La caduta della civiltà Maya è scandita da teste mozzate, pugnali infilati nella pancia, sgozzamenti, stupri, torture, massacri di donne e bambini inermi, cuori pulsanti strappati dal petto. Come fu per “Passion”, Gibson sceglie di nuovo la via della violenza esplicita.

Il film è interessante se si paragona la violenza del potere primordiale e pre-moderno a quello di oggi: le immagini di Apocalypto si sovrappongono a quelle dell'esecuzione di Saddam Hussein, diffuse dai telegiornali di tutto il mondo con sufficiente indifferenza (perché non sono state censurate?, ndr), simbolo dell' “Impero del Male” statunitense che vorrebbe portare la “salvezza” in Iraq.

Da questo punto di vista, i massacri di Apocalypto vorrebbero far passare alcuni messaggi elementari tipo: i Maya siamo noi, civiltà sull'orlo del baratro, dedita all'idolatria di falsi dei e al saccheggio della natura. Le ultime immagini del film mostrano il protagonista e due feroci inseguitori attoniti di fronte all’arrivo delle tre Caravelle, la cui sagoma con tanto di croce vuole rappresentare l'arrivo della Cristianità e della salvezza in un mondo che affoga nel sangue (il riferimento è all'Apocalisse e alla seconda venuta

di Cristo, ndr).

Quello che non convince, e non ha convinto molti studiosi e ricercatori, è la scelta dei Maya come simbolo dell'Impero del Male: sarebbe stato molto più “politically incorrect” rappresentare il genocidio dei nativi americani da parte dei conquistatori (che tutto hanno portato tranne che la salvezza, ndr). Così facendo, invece, Gibson rischia di fare disinformazione su una delle antiche civiltà più sviluppate e sapienti, che solo nell'ultima fase degenerò.

Più precisamente, in seguito all'insediamento progressivo di popolazioni provenienti da Tula, che influenzarono in maniera considerevole i costumi maya. In particolare, essi furono portatori di nuovi valori legati alla guerra ed al militarismo sconosciuti al pacifico popolo

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Maya, e con essi fu importato il culto di Kukulcan, traduzione maya del dio messicano Quetzalcoatl, il serpente piumato. Dal 987 d.C., e per due secoli, anche l'architettura subì profonde variazioni dovute all'egemonia culturale tolteca, ravvisabili nell'apparizione di decorazioni raffiguranti non solo aquile e giaguari che simboleggiavano gli ordini militari, ma anche figure di guerrieri, serpenti piumati, ed inoltre la rastrelliera di teschi, lo “tzompantli”, che esibisce le teste scarnificate dei sacrificati. Lo sconosciuto costume del sacrificio umano divenne a Chichen-itzà una pratica diffusa soprattutto con l’utilizzazione del grande “cenote”, ritenuto sacro, intorno a cui venne edificata la città, e che per centinaia di anni ha custodito le macabre ed al contempo preziose testimonianze di quella grande civiltà: parecchi scheletri umani appartenenti a donne, bambini e uomini, oltre ad una grande quantità di oggetti sacri gettati nel cenote in offerta insieme alle vittime per ottenere le grazie degli dei.

Insieme a queste nuove concezioni importate dai messicani di Tula, la società maya conobbe la decadenza progressiva della classe sacerdotale a vantaggio della categoria dei guerrieri, i quali lentamente si guadagnarono il privilegio d’essere considerati i salvatori del popolo, a scapito dei sacerdoti che in una società militarizzata occupavano ormai soltanto un posto marginale. Dopo duecento anni di egemonia, intorno al 1200 d.C., anche Chichen-itzà dovette conoscere il declino ed il potere cadde in mano ai governanti di Mayapàn che dominò la regione sino al 1450 d.C., ma non seppe ripercorrere il cammino di Chichen. Ubicata in

una zona poco favorevole alla coltivazione, Mayapàn esasperò il militarismo terrorizzando i vicini ed ottenendo facilmente mano d'opera e beni materiali, ma il suo dominio segnò un vero e proprio crollo nelle arti, tanto che in questo periodo le uniche opere architettoniche furono soprattutto dei lavori di fortificazione, come ci testimonia in particolare la fortezza di Tulùm sulla costa caraibica. Questo declino culturale e le continue lotte per il potere segnarono la fine di Mayapàn e con essa la fine del potere centralizzato. Infatti, all'alba del XVI sec. la penisola si trovò suddivisa in varie province, i “cacicazgos”, in perenne guerra fra loro, ed il processo di secolarizzazione della cultura proseguì ulteriormente, decretando uno stato di progressiva decadenza artistica e di impoverimento culturale.

Inoltre, le tre caravelle non toccarono terra nella penisola messicana dello Yucatán, dove il film è ambientato, ma sull’isola di San Salvador, nel Mar dei Caraibi. Gli odierni abitanti maya - residenti in gran parte in Guatemala - oltre a contestare il fatto di essere stati rappresentati solo come brutali, disumani, simili a animali feroci, hanno protestato anche per il fatto che i loro avi sono interpretati da attori americani di origine pellerossa impegnati a dialogare con un linguaggio antico spesso adoperato in maniera imperfetta. Due fra i più importanti archeologi mayanisti, Mary Weismantel e Cynthia Robin della Northwester University, hanno imputato a Gibson di riproporre stereotipi razzisti nei confronti degli indigeni simili a quelli di cui si servirono i conquistatori per sterminare 75 milioni di nativi delle America nel periodo seguente alla scoperta del Nuovo Mondo.

(...) Montezuma ha vinto a Teuctepec. Nei templi ardono i fuochi. Risuonano i tamburi. L'uno dopo l'altro, i prigionieri salgono i gradini verso la rotonda pietra del sacrificio. Il sacerdote conficca loro in petto il pugnale di ossidiana, solleva il cuore nel pugno e lo mostra al sole che spunta dai vulcani azzurri. A quale dio si offre il sangue? Il sole lo pretende, per nascere ogni giorno e viaggiare da un orizzonte all'altro. Ma le pompose

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cerimonie della morte servono anche un altro dio, che non compare nei codici né nelle canzoni. Se quel dio non regnasse sul mondo, non ci sarebbero schiavi né padroni, né sudditi, né colonie. I mercanti aztechi non potrebbero strappare ai popoli sottomessi un diamante in cambio di un fagiolo, né uno smeraldo per un chicco di mais, né oro per lusinghe, né cacao per sassi. I portatori non attraverserebbero l'immensità dell'impero in lunghe file, recando sulle spalle tonnellate di tributi. La gente del popolo oserebbe vestire tuniche di cotone e berrebbe cioccolata e avrebbe l'audacia di ostentare piume proibite di quetzal e bracciali d'oro e magnolie e orchidee riservate ai nobili. Cadrebbero allora le maschere che nascondono i volti dei capi guerrieri, il becco d'aquila, le fauci di tigre, i pennacchi di piume che ondeggiano e brillano al vento. Sono macchiate di sangue le scalinate del tempio maggiore e i teschi si accumulano nel centro della piazza. Non solo perché si muova il sole, no: anche perché quel dio segreto decida al posto degli uomini. In omaggio allo stesso dio, sulla sponda opposta del mare gli inquisitori friggono gli eretici sui roghi o li tormentano nelle camere di tortura. È il Dio della Paura, che ha denti di topo e ali di avvoltoio (...) (Eduardo Galeano, “Memoria del Fuoco”, RCS Sansoni Editore, 1989).

La vista dei centoquattordici gradini coperti di sangue umano del Teocalli (in azteco, “Casa di Dio”), uno dei due santuari del Tempio Mayor, riempì di orrore gli spagnoli al seguito di Cortès. Essenzialmente, il sacrificio umano praticato dai Maya e dagli Aztechi - così come quello praticato in tutto il mondo pagano, Europa compresa - si fondava sull'idea di sacrificio cosmico: essi credevano che questa pratica fosse in grado di sanare squilibri fra le forze cosmiche e di consolidare dei poteri cosmici, grazie all'energia che si liberava nell'aria durante l'esecuzione (il cuore del sacrificato veniva estratto ancora pulsante e innalzato verso il sole). Primo interesse degli astronomi Maya era il passaggio allo zenit del Sole (molte delle città Maya erano a sud della latitudine 23,5 gradi (altezza solare nel solstizio d'estate), dalle quali si poteva osservare il passaggio zenitale del Sole due volte l'anno). I Maya potevano determinare facilmente quelle date, per la mancanza di ombra, e le attribuirono ad un dio, il Dio Immergente. L'oggetto celeste di maggior interesse era, oltre al Sole, Venere, che osservarono molto accuratamente, tanto è vero che avevano un Almanacco (“Codex Dresdensis” o “Codice di Dresda”) con la descrizione dell'intero ciclo di Venere, suddiviso in cinque settori di 584 giorni, cioè 2920 giorni, approssimativamente 8 anni o 5 cicli venusiani. Venere aveva effetti psicologici sui Maya e sulle altre culture centroamericane: è stato dimostrato che i loro tempi di guerra erano basati sugli stazionamenti di Venere e Giove. I sacrifici umani avvenivano al momento della prima apparizione di Venere dopo la congiunzione superiore (momento di massima magnitudine, minima brillantezza), come se avessero timore del primo sorgere eliacale dopo la congiunzione inferiore.

Il Sole era stato osservato soprattutto per il suo passaggio zenitale. A Chichen Itza, durante il tramonto, il Serpente Solare sale dalla parte della scalinata della piramide El Castillo nei giorni degli equinozi primaverile e autunnale. Nei calendari Maya c'era anche una componente lunare. I periodi lunari erano di 29 e 30 giorni alternativamente. Essendo il periodo sinodico della Luna di quasi 29,5 giorni, riuscivano a inserire la luna nei loro calendari senza difficoltà. Avevano cognizioni sui periodi lunari tali da poter predire le eclissi (Codice di Dresda). I Maya descrissero l'Eclittica nei loro disegni come un

Serpente a due teste. Non si sa esattamente come i Maya descrivessero le costellazioni

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dell'eclittica (Zodiaco). Sappiamo che parlavano di uno scorpione, equivalente al nostro, mentre nei Gemelli individuavano un maiale o un pecari (suino americano). Altre costellazioni dell'eclittica erano identificate come un giaguaro, almeno un serpente, un pipistrello, una tartaruga, un mostro xoc (squalo o mostro marino). Le Pleiadi erano assimilate alla coda di un serpente a sonagli, chiamato Tz'ab.

Anche la Via Lattea era oggetto di forte venerazione, veniva chiamata Albero del Mondo, un albero fiorito molto grande e maestoso. Altro nome era Wakah Chan (Wak=sei, eretto; Chan=quattro, serpente, cielo). Gli ammassi nell'Albero erano visti come fonte di vita e particolare importanza aveva il punto dove la Via Lattea interseca l'eclittica, vicino al Sagittario. L'Albero comprendeva anche il mostro Kawak, un gigante. In cima all'Albero c'è il dio Uccello Principale o Itzam Ye. Veniva preso in considerazione anche il passaggio del Sole nella Via Lattea nel solstizio invernale.

L'epoca classica del Mesoamerica, che va dal 250 d.C. al 900 d.C., vide l'apogeo di molte civiltà. In questo arco di tempo, i Maya eressero grandi centri cerimoniali nella foresta pluviale del Peten e dello Yucatan, le cui rovine, strappate nuovamente alla giungla solo a partire dalla fine del 1800, rivaleggiano per fascino e splendore con le vestigia delle antiche civiltà del Medioriente. La decifrazione, seppure incompleta dei geroglifici maya, ha rivelato che i grandi centri cerimoniali, da Palenque a Copan, da Tikal a Bonampak, rappresentavano il cosmo intero, e che i sacerdoti di queste città-stato erano esseri semi-divini in contatto con gli dei, che governavano in modo assolutistico in base a leggi cosmiche da loro stabilite. Nuovi palazzi e nuove piramidi venivano spesso eretti su costruzioni preesistenti, in periodi significativi del loro complicatissimo calendario o per celebrare la nascita e la morte di qualche regnante. Queste celebrazioni erano spesso accompagnate da sacrifici umani, onde restituire agli dei il sangue versato durante la creazione.

Fino a poco tempo fa si era sempre ritenuto che la civiltà maya si fosse evoluta in una sorta di “splendido isolamento”, ma le più recenti scoperte archeologiche hanno messo in luce i frequenti contatti con le civiltà messicane, in particolare con la lontana Teotihuacan, la Città degli Dei, e, a fine dell'era classica, con i popoli guerrieri di origine tolteca.

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Per i Maya, vi era un altro aspetto importante: quello della cosmogonia, secondo cui c'erano state quattro epoche anteriori alla nostra, ognuna delle quali era finita con un grande cataclisma ordinato dagli dei, che volevano eliminare le imperfezioni createsi durante l'epoca precedente. L'idea d'una catastrofe imminente divenne una vera e propria ossessione per i maya (e a quanto pare anche per Gibson, ndr) e contribuì a incrementare la pratica dei sacrifici umani di origine tolteca. Il gioiello per eccellenza della calendaristica Maya, il cosiddetto “Lungo Computo”, era un sistema per calcolare le date ma espressione di credenze riguardanti il passato, soprattutto quella diffusa secondo cui il tempo operava in Grandi Cicli, durante i quali avevano luogo ricorrenti distruzioni e creazioni del mondo. La funzione del Lungo Computo era di annotare il passare del tempo a partire dall'inizio dell'attuale Grande Ciclo, ossia letteralmente di spuntare, uno dopo l'altro, i 5125 anni destinati al nostro attuale creato. Naturalmente, i calcoli del Lungo Computo non venivano fatti con i nostri numeri. I maya utilizzavano un particolare sistema di simboli, che avevano preso dagli Olmechi, i quali lo avevano preso da… nessuno sa chi.

Questi simboli erano una combinazione di punti (che rappresentavano unità o multipli di venti), barre (cinquine o cinque volte venti) e un geroglifico a conchiglia che rappresentava lo zero. Gli intervalli di tempo venivano contati in giorni (kin), periodi di venti giorni (uinal), anni di 365 giorni (tun), periodi di venti tun (detti katun) e periodi di venti katun (detti bactun). C’erano anche periodi di ottomila tun (pictun) e di centossessantamila tun (calabtun) per far fronte a calcoli ancora più complessi. Secondo i Maya, l’attuale Grande Ciclo iniziò nell’oscurità il 4 Ahau 8 Cumbu, una data che corrisponde al 13 agosto 3114 a.C. del nostro calendario. Credevano che il Ciclo si sarebbe concluso nella distruzione totale il 4 Ahua 3 Kankin (il 23 dicembre 2012 del nostro calendario).

Anche gli Aztechi attendevano la fine del mondo e cercavano di rinviarla con immensi sacrifici umani (circa duecentocinquantamila vittime l’anno). Pure gli Aztechi credevano nei Grandi Cicli di creazione e distruzione e anche loro credevano che ci fossero stati già quattro Cicli e che quello attuale (loro, ma anche nostro) fosse il Quinto. I Cicli erano detti “Soli” e dei documenti Aztechi, raccolti nel Codice Latino-Vaticano, così li descrivono: primo Sole, Matlactli Atl, durata 4008 anni. Fu distrutto dall'acqua (e qui segue un mito che assomiglia in modo preoccupante a quello del Diluvio Universale e successiva ripopolazione da

parte degli uomini trasformati in pesci); secondo Sole, Ehecoatl: durata 4010 anni. Distrutto dal “Serpente di vento”. Gli uomini trasformati in scimmie. Un uomo e una donna si salvarono e da essi si ripopolò il mondo; terzo Sole, Tleyquiyahuillo, durata 4081 anni, distrutto dal fuoco; quarto Sole, Tzontlilic, durata 5026 anni. Gli uomini morirono di fame dopo un diluvio di sangue e di fuoco.

Il quinto e ultimo Sole, Tonatiuh, è detto il Sole del Movimento, perché alla fine di questo Ciclo

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ci sarà un movimento della Terra che ci farà perire tutti. Una sintesi di questo culto è rappresentata dalla "Pietra del Sole" (oggi nel Museo di Città del Messico): la testa del Quinto Sole, Tonatiuh, è posta al centro della pietra, circondata dagli altri quattro soli che l'hanno preceduto e che rappresentano le quattro ere durante le quali il genere umano si estinse tragicamente.

LO STERMINIO DEI MESOAMERICANI

1517: Hernandez de Cordoba, dopo aver conquistato le isole di Cuba e di Hispaniola (Haiti / Repubblica Dominicana), alla continua ricerca di territori ed oro, continuò sbarcando su un'isola presso la costa nordorientale dello Yucatan. Gli invasori per la prima volta ebbero l'impatto visivo di costruzioni non più costruite con paglia e legno, ma complessi edificati in pietra e di strutture complesse. Furono ritrovati monili d'oro e idoli dalle forme femminili e l'isola fu battezzata l'Isola Delle Donne. Continuando la sua espansione, ed incoraggiato dal ritrovamento di oro, Cordoba continuò la sua ricerca spostandosi verso lo Yucatan dove avvenne il primo scontro con le popolazioni indigene che riuscirono a infliggere grosse perdite agli invasori. Cordoba perì in questi scontri.

1519: A febbraio, l'esercito di Hernan Cortés, forte di 11 navi e 508 soldati, partì alla volta del Messico. Giunto a destinazione, l'8 novembre 1519, Cortes incontrò a Tenochtitlan l'imperatore Montezuma, che lo credeva essere il dio Quetzalcoatl. Montezuma lo onorò con fiori del suo stesso giardino: per lui, il più grande onore. Cortés ordinò di porre fine a tutti i sacrifici umani: Montezuma accettò, il sangue del tempio sarebbe stato lavato via e le immagini degli degli aztechi sarebbero state rimpiazzate da icone cristiane. Montezuma accettò anche di essere battezzato e si dichiarò suddito del re

Carlo I di Spagna. Montezuma ricevette Cortés nel palazzo di Axayacatl, con tutti i suoi uomini e 3.000 alleati indios. Durante l'assenza di Cortés, il vice governatore Pedro de Alvarado interruppe la celebrazione azteca di Toxcatl e uccise i personaggi più in vista delle classi nobili azteche, durante quello che fu chiamato "Il Massacro del Grande Tempio". Si è calcolato che il numero dei morti sia stato tra i 350 e i 1.000. Il popolo si sollevò in rivolta e gli spagnoli fecero prigioniero Montezuma.

Il primo luglio 1520, nel tentativo di calmare la folla inferocita, Montezuma apparve sul balcone del suo palazzo, facendo appello alla sua gente di ritirarsi. Il popolo rimase esterrefatto davanti alla complicità del loro imperatore con gli spagnoli e lo bersagliò di pietre e frecce. Il 13 agosto 1521, al termine di un assedio durato due mesi e mezzo, durante il quale morì Montezuma, la capitale azteca Tenochtitlan cadde in mano ai conquistadores spagnoli.

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1532: Il 15 novembre, Francisco Pizarro entrò nella città di Cajamarca (che si trova a 1000 km a nord da Cuzco, capitale dell'Impero Inca) dove incontrò l'imperatore inca Atahualpa. Atahualpa lo attendeva con un esercito di circa 30.000 uomini. Dopo una trattativa condotta da Hernando de Soto e Hernando Pizarro, fratello di Francisco, la spedizione spagnola entrò pacificamente nella città. Secondo alcune versioni, Atahualpa venne convinto anche dal domenicano Vicente de Valverde ad entrare in città disarmato con il suo seguito dove venne fatto prigioniero dagli spagnoli il 16 novembre. Per Pizarro, la leggenda vuole che il segnale di attacco degli spagnoli fu dato da Valverde che sottopose la Bibbia al giuramento di Atahualpa. Rifiutatosi o, secondo alcune testimonianze

probabilmente apocrife, scostando violentemente l'ignoto testo sottopostogli dal frate spagnolo (gli Inca tra l'altro non conoscevano alcun sistema di scrittura), obbligò Valverde a gridare al sacrilegio scatenando le truppe spagnole. Nonostante l'enorme differenza numerica, gli Inca non conoscevano né l'acciaio né altre armi che non fossero frecce o mazze e fionde di pietra, evidentemente assai inefficaci contro le armature e le spade d'acciaio degli spagnoli, che contavano tra l'altro su alcuni piccoli pezzi di artiglieria, ubicati in modo strategico nella piazza, di un gruppo di archibugieri e degli immancabili cavalli. Inoltre, la rapida mossa di impossessarsi dell'imperatore e semi-dio Atahualpa, seguendo l'esempio di Cortéz con Montezuma, ridusse l'opposizione incaica, timorosa di rappresaglie nei confronti del venerato regnante. Nella speranza di

salvare la vita e attraverso la completa dipendenza che la teocrazia incaica imponeva ai suoi sudditi, Atahualpa ed il suo apparato burocratico organizzarono un enorme sistema di spogliazione dell'oro e dell'argento dagli edifici pubblici e privati di tutto l'impero. Secondo alcuni, la stima dell'ammontare è pari a oltre 40 milioni di euro in oro e argento. Stime più affidabili parlano di un volume di circa 80 metri cubi solo di oro (il che, alla quotazione dell'oro del maggio 2006, media di 510€ l'oncia, farebbe una cifra orientativa di 25 miliardi di €). Nonostante ciò, Atahualpa venne condannato a morte per una tentata ribellione - avvenuta in assenza di Pizarro - e ucciso il 29 agosto 1533 a Cajamarca. Il 15 novembre 1533 venne conquistata, saccheggiata e incendiata Cusco. Nel corso della conquista, il popolo inca venne massacrato.

1527: Francisco de Montejo inizia ufficialmente le operazioni di conquista della penisola yucateca, prendendo possesso della città indigena di Xelhà, cui fu posto il nome di Salamanca in onore del luogo di nascita del comandante. I primi anni della conquista furono caratterizzati da alterne vicende ed innumerevoli battaglie nelle quali gli Spagnoli non ebbero sempre la meglio per il grande coraggio con cui i Maya seppero difendersi, tanto che nel 1529 ottennero una parziale vittoria che decretò la totale espulsione degli intrusi. Fu solo nel 1542 che Montejo il Giovane riuscì a piegare ogni forma di ribellione e fondò Merida sulle rovine dell'antica Tihoo. Un importante fattore per la vittoria dei conquistadores fu la diffusione di nuove malattie e infezioni contro le quali i nativi non possedevano le difese immunitarie adatte, cosa che causò una debilitazione generale dello schieramento autoctono in un momento decisivo e produsse un gran disorientamento causato dalla difficoltà dei nativi nel rimpiazzare i capi nel campo di battaglia (ma anche gli spagnoli furono decimati dalle temibili malattie tropicali a cui non erano abituati). Il modo di fare guerra degli spagnoli, come della maggior parte degli europei, era più cruento e coinvolgeva un numero maggiore di guerrieri rispetto a quanto erano abituati i nativi. Le armi di ferro e di acciaio producevano un maggiore spargimento di sangue delle frecce avvelenate. Inoltre, i nativi non erano soliti uccidere i nemici sul campo di battaglia, piuttosto li catturavano e li mantenevano in vita per poi sacrificarli in occasioni cerimoniali.

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Per questi fatti, le pratiche guerresche europee sembrarono più brutali rispetto a quelle indigene.

Nel 1562, il Vescovo Diego De Landa continuò, in nome di Dio e della evangelizzazione, la distruzione etnica. Il Vescovo, per sconfiggere l'idolatria utilizzò strumenti quali tortura, omicidi, e la distruzione totale di tutto ciò che potesse essere tramandato. Da parte sua, il De Landa ci ha tramandato una “Relaciones de la Cosas de Yucatan” che resta l'unica testimonianza scritta sull'ultima fase dell'antica civiltà dello Yucatan.

(Pubblicato su Ecplanet 20-02-2007)

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