2011 newsletter Dubbieverità 01

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1 DUBBI(E)VERITÀ Newsletter Febbraio 2011 Perché non torni a fare la calzetta? Interrogativi sul perché alcuni “slogan” non passano mai di moda. Perché non torni a fare la calzetta? Questa frase deve essere risuonata familiare anche alle orecchie di alcuni pubblicitari/e che, interpretando la società nella sua naturale evoluzione, superando gli ormai logori tentativi maschili di “fare la calzetta” interpretati da un magnifico Cary Grant, ripropongono per il mer- cato italiano un’immagine più attuale, più moderna, più in linea con i tempi, con la naturale evoluzione dell’essere donna e del fa- re la calzetta oggi, in Italia. E così trova adeguata spiegazione anche il mancato invito a fare la calza contenuto in una lettera ricevuta da Isabella Bossi Fedrigotti da parte del Sig. Ugo Agostini (Milano). Le scrive il Sig. Ugo: “… Devo anche dirle che a giudicare dalla foto il suo nome, Isa- bella, non le si addice. Non sarò così scortese da suggerirle di ri- scoprire la nobile occupazione di qualche sua nonna e cioè la cal- za…”. Una semplice frase, un invito scherzoso, una battuta: semplice sessismo ordinario. Quel sessismo strisciante, difficile da combat- tere, a volte addirittura da cogliere, sul quale Brigitte Gresy ha ritenuto si dovesse scrivere un trattato 1 , seppur breve. Tra le cita- zioni del testo quella celebre di Albert Einstein “È più facile spez- zare un atomo che un pregiudizio”. Perché non torni a fare la calzetta? È meraviglioso come in una sola immagine, in una frase così ele- mentare, si riesca a condensare lo spregio tanto per il lavoro delle donne di ieri, quanto per quelle di oggi; quando si dice il miracolo della sintesi! Disprezzo per il lavoro delle nostre nonne, che nei ritagli di tempo, per rilassarsi un po’: cucivano, ram- mendavano e lavoravano a maglia, creando sciarpe, maglioni, guanti e appunto perfino calzini. Disprezzo per il lavoro di molte donne di oggi che lavorano fuori casa, nel mondo del lavoro vero, quello riconosciuto come tale, da cui il gentile invito di tornare a fare altro, quel lavoro do- mestico, sotterraneo, nero e privo di qualsiasi riconoscimento sociale che è, ed è stato, il lavoro di casa. In questo numero: Perché non torni a fare la calzetta? Analisi linguistica, iconografica e storica — Quote e linguaggio. La legge provinciale della Provincia autonoma di Bolzano del 2010 — Il sessismo nella lingua italiana — François Poullain de la Barre. “De L’éducation Des Da- mes” (1674)— Vietato offendere l’amante del marito — Odile Decq: l’architetta 1 Gresy Brigitte - Breve trattato sul sessismo ordinario - Castelvecchi, 224pp., € 16.00 Che la tasa, che la piasa, che la staga a casa. Che taccia, che piaccia, che stia a casa: è l’indovinato titolo di un convegno promosso dall’Assessorato per le Pari Opportunità della Provin- cia autonoma di Trento tenutosi pro- prio a Trento il 18 novembre 2010. Un titolo che fa intuire che la questio- ne “che la staga a casa” (a fare la cal- zetta) non è solo uno scherzo o una battuta per sorridere del passato, ma è una questione di triste attualità.

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DUBBI(E)VERITÀ Newsletter Febbraio 2011

Perché non torni a fare la calzetta? Interrogativi sul perché alcuni “slogan” non passano mai di moda.

Perché non torni a fare la calzetta? Questa frase deve essere risuonata familiare anche alle orecchie di alcuni pubblicitari/e che, interpretando la società nella sua naturale evoluzione, superando gli ormai logori tentativi maschili di “fare la calzetta” interpretati da un magnifico Cary Grant, ripropongono per il mer-cato italiano un’immagine più attuale, più moderna, più in linea con i tempi, con la naturale evoluzione dell’essere donna e del fa-re la calzetta oggi, in Italia. E così trova adeguata spiegazione anche il mancato invito a fare la calza contenuto in una lettera ricevuta da Isabella Bossi Fedrigotti da parte del Sig. Ugo Agostini (Milano). Le scrive il Sig. Ugo: “… Devo anche dirle che a giudicare dalla foto il suo nome, Isa-bella, non le si addice. Non sarò così scortese da suggerirle di ri-scoprire la nobile occupazione di qualche sua nonna e cioè la cal-za…”.

Una semplice frase, un invito scherzoso, una battuta: semplice sessismo ordinario. Quel sessismo strisciante, difficile da combat-tere, a volte addirittura da cogliere, sul quale Brigitte Gresy ha ritenuto si dovesse scrivere un trattato1, seppur breve. Tra le cita-zioni del testo quella celebre di Albert Einstein “È più facile spez-zare un atomo che un pregiudizio”. Perché non torni a fare la calzetta? È meraviglioso come in una sola immagine, in una frase così ele-mentare, si riesca a condensare lo spregio tanto per il lavoro delle donne di ieri, quanto per quelle di oggi; quando si dice il miracolo

della sintesi! Disprezzo per il lavoro delle nostre nonne, che nei ritagli di tempo, per rilassarsi un po’: cucivano, ram-mendavano e lavoravano a maglia, creando sciarpe, maglioni, guanti e appunto perfino calzini. Disprezzo per il lavoro di molte donne di oggi che lavorano fuori casa, nel mondo del lavoro vero, quello riconosciuto come tale, da cui il gentile invito di tornare a fare altro, quel lavoro do-mestico, sotterraneo, nero e privo di qualsiasi riconoscimento sociale che è, ed è stato, il lavoro di casa.

In questo numero: Perché non torni a fare la calzetta? Analisi linguistica, iconografica e storica — Quote e linguaggio. La legge provinciale della Provincia autonoma di Bolzano del 2010 — Il sessismo nella lingua italiana — François Poullain de la Barre. “De L’éducation Des Da-mes” (1674)— Vietato offendere l’amante del marito — Odile Decq: l’architetta

1 Gresy Brigitte - Breve trattato sul sessismo ordinario - Castelvecchi, 224pp., € 16.00

Che la tasa, che la piasa, che la staga a casa. Che taccia, che piaccia, che stia a casa: è l’indovinato titolo di un convegno promosso dall’Assessorato per le Pari Opportunità della Provin-cia autonoma di Trento tenutosi pro-prio a Trento il 18 novembre 2010. Un titolo che fa intuire che la questio-ne “che la staga a casa” (a fare la cal-zetta) non è solo uno scherzo o una battuta per sorridere del passato, ma è una questione di triste attualità.

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In effetti, visti gli standard estetici e le mise richieste oggi per fare la calzetta, suggerire questa attività alla Sig.ra Fe-drigotti, scrittrice e giornalista nata nel '48, non sarebbe stato opportuno. Ecco la nuova frontiera del fare la cal-zetta: donna avvenente e seminuda, ada-giata dolcemente su una coltre di pellic-cia, forse per rimembrare antichi riti tri-bali, risalenti presumibilmente all'età della pietra quando giovani donne veni-vano prese per i capelli (notare la coda di cavallo della modella) e trascinate con forza “virile” in buie caverne lastri-cate di pellicce. Nella stessa rivista non ho potuto fare a meno di notare una pubblicità poche pa-gine dopo con protagonista un modello. La modernità sembra toccare solo alla donna, che fa la calzetta in negligé, per l'uomo resta sempre verde il modello Supereroe, senza alcuna variazione sul tema: nessun perizoma, nessuna moder-na stravaganza, neppure un orecchino. Sguardo concentrato, la potenza dei pet-torali pronta all'esplosione, zoom sullo strappo di camicia per mostrare il segno inequivocabile del Supereroe. Insomma, con un supereroe non sbagli mai con lui, qualunquemente, con “PIÙ PILU” non sbagli mai CON LEI!

Monica Amici

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QUOTE E LINGUAGGIO. La legge provinciale della Provincia autonoma di Bolzano del 2010

La Provincia autonoma di Bolzano festeggia l’8 marzo del 2010 regalando alla sua gente una nuova legge in tema di pari opportunità. La legge ha l’espressa finalità di promuove-re la parificazione fra donne e uomini in ogni ambito sociale, rimuovere gli svantaggi esistenti e rendere più compatibili famiglia e lavoro per le donne e gli uomini (art. 1). Una legge semplice come semplici sono gli strumenti che sceglie: persegue le sue finalità principalmente introducendo quote al suo interno, sostenendo l’introduzione di quote all’e-sterno, ponendo attenzione al linguaggio e autorizzando contributi per le aziende attive nella conciliazione lavoro-famiglia e, dimenticavo, dando il buon esempio. All’articolo 2 la LP 5/2010 introduce alcune definizioni. Vediamole per entrare nel vivo. Quote: ... situazione di equilibrio fra i generi, quella in cui ogni genere è rappresenta-

to in proporzione di almeno un terzo; Linguaggio: ... linguaggio rispettoso dell’identità di genere, quello che dà visibilità

alla donna sul piano linguistico; esso non abbisogna necessariamente di continue di-zioni doppie.

Maschile e femminile Rappresentanti elette o eletti dal popolo 1 ricorrenza donne e uomini 4 ricorrenze delle/dei dipendenti, le dipendenti e i dipendenti 6 ricorrenze delle figlie e dei figli 1 ricorrenza una candidata o di un candidato 3 ricorrenze giovani agricoltrici e dei giovani agricoltori 1 ricorrenza l’assessore/l’assessora 4 ricorrenze sostituto/sostituta 1 ricorrenza lavoratrice o lavoratore 3 ricorrenze per occupati e occupate con famiglia 1 ricorrenza

Voce generica Persone, per persone con obblighi familiari, ecc. 5 ricorrenze Genere 20 ricorrenze

Solo maschile datore di lavoro (pubblico o privato) 4 ricorrenze i datori di lavoro e/o i loro rappresentanti 1 ricorrenza misure di cura e assistenza per bambini 1 ricorrenza

Solo femminile donna 7 ricorrenze

Di LINGUAGGIO la legge si occupa nell’art. 7, quello delle “Disposizioni sulla parità negli atti normativi e amministrativi”, dove si afferma che:

Le leggi provinciali, i regolamenti e le delibere della Giunta provinciale nonché i regolamenti e gli atti amministrativi dell’amministrazione provinciale devono essere formulati in un linguaggio rispettoso dell’identità di genere. La Giunta provinciale emana direttive in tal senso.

Mi sono letta tutta le legge con attenzione, andando a cercare ogni singolo sostantivo che facesse riferimento a una persona e prendendo nota di come esso fosse declinato rispetto al genere. Questo è il risultato.

Nel complesso la legge rispetta i suoi stessi dettati: assessore e assessora, attenzione agli arti-coli, ai figli e alle figlie, rega-landoci un bilancio complessi-vamente positivo. Le donne da sole sono citate molte volte ma in maniera as-solutamente funzionale e non per dimenticanza/assorbimento dell’altro genere. Per esempio il Servizio Donna è solo un servizio donna. Per quanto riguarda le ricor-renze al solo maschile lascio giudicare voi. Forse pensare che i datori di lavoro possano essere anche delle datrici di lavoro e che i loro rappresen-tanti possano essere anche delle rappresentanti è ancora troppo futuristico. Lavoratrice passi, datrice di lavoro ancora no.

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Monica Amici

Quote all’interno dell’amministrazione ASSUNZIONI (Art. 5) Fino al superamento della sottorappresentazione nella relativa qualifica funzionale ovvero posizione si dà la precedenza nelle assunzioni, a parità di qualificazione, al genere sottorap-presentato, a meno che non prevalgano motivi comprovati e documentati inerenti alla persona di una candidata o di un candidato. AVANZAMENTO PROFESSIONALE (Art. 6) In sede di promozione a una funzione o posizione desiderata di livello più alto, a parità di qualificazione, si dà la precedenza al genere sottorappresentato, a meno che non prevalga-no motivi comprovati e documentati inerenti alla persona di un candidato o una candidata, fino al superamento della sottorappresentazione nella relativa qualifica funzionale ovvero posizio-ne. NOMINE E COMPOSIZIONE DEGLI ORGANI (Art. 10) In tutti gli organi regolamentati per legge e nominati all’interno dell’amministrazione provin-ciale deve esserci complessivamente una situazione di equilibrio fra i generi. In tutti gli organi nominati dal Consiglio provinciale ovvero dalla Giunta Provinciale … Nei casi in cui la nomina di singoli componenti di organi spetta al Consiglio provinciale ovvero alla Giunta provinciale … Per le società a partecipazione provinciale, nei casi in cui la nomina di singole ovvero singoli componenti di organi o funzioni spetta alla Giunta Provinciale … le nomine devono avvenire secondo un rapporto complessivamente equilibrato fra i generi. PROPOSTE NOMINATIVE (Art. 11) Chi è legittimato a presentare proposte nominative in organi o funzioni di cui all’articolo 10 deve indicare, a pena di inammissibilità, una candidata e un candidato per ogni componente da nominare o funzione. Fanno eccezione le organizzazioni con più dell’80 per cento dei com-ponenti appartenenti allo stesso genere, non considerando i componenti in forma di società. MODIFICA ALLA LEGGE URBANISTICA (Art. 12) “ Ogni consiglio comunale deve costituire una commissione edilizia comunale composta di al-meno sette componenti e in ognuna devono essere rappresentati entrambi i generi. Se la commissione edilizia non è stata nominata in osservanza delle succitate disposizioni, sono nulli gli atti da essa emanati. La commissione edilizia comunale è composta dalle seguenti persone:”

Quote all’esterno dell’amministrazione

PRINCIPI GENERALI (Art. 13) 1. La parificazione delle dipendenti e dei dipendenti nell’economia privata e un ambiente di lavoro favorevole alla famiglia sono promossi con incentivi economici per i datori di lavoro. 2. A tal fine, in sede di decisione su criteri e modalità per la concessione di contributi e agevola-zioni economiche alle imprese e alle loro associazioni di rappresentanza, si deve tener conto della promozione del genere sottorappresentato, della promozione della compatibilità fra fami-glia e lavoro e della classificazione della o del beneficiario dell’agevolazione come favorevole alla famiglia ai sensi della presente legge. 3. La promozione del genere sottorappresentato nell’imprenditoria avviene con la concessione di particolari contributi. CERTIFICAZIONE DI CONCILIABILITA’ FAMIGLIA-LAVORO (Art. 32) 1. La certificazione di conciliabilità famiglia-lavoro può essere rilasciata a tutti i datori di lavoro privati che soddisfino i requisiti previsti dall’articolo 33. 2. Nei criteri di settore riguardanti la concessione di incentivi e benefici alle aziende la Provin-cia prevede priorità di accesso e maggiorazioni dei punteggi per le aziende richiedenti che siano in possesso della certificazione di cui al comma 1. CRITERI PER IL RILASCIO DELLA CERTIFICAZIONE (Art. 33) La certificazione è rilasciata ad aziende private che soddisfino almeno quattro dei seguenti crite-ri: a) mantenimento del posto di lavoro per almeno 1,5 anni in caso di assenza per obblighi fami-liari; b) concessione a tempo determinato del lavoro a tempo parziale su richiesta della lavora-trice o lavoratore con obblighi familiari; c) flessibilità dell’orario di lavoro su richiesta della lavoratrice o lavoratore con obblighi familiari; d) flessibilità del luogo di lavoro su richiesta della lavoratrice o lavoratore con obblighi familiari; e) misure di cura e assistenza per bambini; f) prestazioni aggiuntive per occupati e occupate con famiglia; g) promozione della paternità attiva.

La semplicità delle quote e la loro previsione in ogni ambi-to fanno ben sperare che dalle intenzioni la Provincia di Bolzano voglia passare ai fatti. La modifica nella stessa leg-ge della composizione della commissione edilizia comu-nale, pena nullità dei suoi atti, evidenzia questa serietà d’intenti e nuovamente il suo voler passare ai fatti, alla concretezza delle soluzioni e superare la fase delle splen-dide dichiarazioni in cui annaspiamo da oltre un ven-tennio. Sulle quote all’esterno mi fermo alla mera enunciazio-ne dei principi, ma vi infor-mo che la loro applicazione pratica è già avviata. Un esempio dei loro stru-menti lo offre pochi articoli più in là l’utilizzo della certi-ficazione nell’ambito della conciliazione famiglia-lavoro. La Provincia ha già speri-mentato una certificazione alla stregua di quella dei p r o c e s s i d i q ua l i t à (ISO9000) applicandola alla conciliazione (Audit fami-glia); ora sta ponendo le bas i pe r age vo l are -finanziare con precedenza le aziende certificate. Se farà lo stesso con aziende che rispettino le “quote” c’è da ben sperare. E pensare che sembra sia già dimostrato che con l’Audit l’azienda ci guadagna!

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Monica Amici

desi-nenza

Femminile

Maschile

TORE TRICE

L’amministratrice unica La direttrice

La scrittrice, l’attrice L’operatrice

L’informatrice La questrice

La rettrice dell’Università

L’amministratore unico Il direttore

Lo scrittore, l’attore L’operatore

L’informatore Il questore

Il rettore dell’Università

TARIO TARIA

La segretaria generale La sottosegretaria

La segretaria

Il segretario generale Il sottosegretario

Il segretario

ERE ERA

La consigliera comunale

L’ingegnera

Il consigliere comunale

L’ingegnere

ATO ATA

L’avvocata (NO Avvocatessa)

La magistrata

L’avvocato Il magistrato

ETTO ETTA

L’architetta La prefetta

L’architetto Il prefetto

O A

La chirurga L’arbitra

La medica La notaia

La sindaca La deputata La ministra

La cancelliera

Il chirurgo L’arbitro Il medico Il notaio

Il sindaco Il deputato Il ministro

Il cancelliere

E E

La preside La presidente

La parlamentare La vigile

Il preside Il presidente

Il parlamentare Il vigile

ETA ETA

La poeta L’atleta

La profeta

Il poeta L’atleta

Il profeta

Il SESSISMO nella lingua italiana Non pensare all’elefante. Lo so, hai visto il tuo elefante. Negli USA l’elefante è il simbolo dei repubblicani e nel suo libro “Non pensare all’elefante” Lakoff analizza gli errori di comunicazio-ne dei democratici che, ricorrendo al linguaggio tipico della destra, di fatto spingono costantemente tutti a pensare all’elefante, alla destra e ai suoi valori, di fatto facendo il gioco dell’avversario. Per Lafoff tanto le singole parole quanto gli aggregati complessi cui esse danno vita possono contribuire in maniera considerevole al processo di formazione dei pensieri da parte della mente umana, al punto che quest’ultima non riesce a fare a meno di ricorrere a tali parole. “In principio era il Verbo”, la parola creatrice, dove la sua assenza, l’assenza di parola, di voce, nega l’esistenza e impedisce tanto l’im-magine quanto lo sviluppo del pensiero intorno a essa.

La discussione intorno al “sessismo” nella lingua italiana na-sce nel 1987 quando Alma Sabati-ni pubblica per la Presidenza del Consiglio dei Ministri uno studio dal titolo “Il sessismo nella lingua italiana”, di cui uno dei capitoli c e n t r a l i è q u e l l o d e l l e “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”. Negli anni a seguire il testo di Alma Sabatini è stato ripreso, rimaneg-giato, riproposto, e a volte ingloba-to, in varie altre pubblicazioni (p.e. nel Manuale di stile - Strumenti per semplificare il linguaggio delle pubbliche amministrazioni del 19-97). Esso viene continuamente ci-tato ogni qual volta si affronta l’ar-gomento, tanto nelle Universi-tà quanto nei dibattiti sul tema, ma nonostante ciò, le raccomanda-zioni del 1987, ancora oggi attuali, sono sostanzialmente disattese, sia dai media sia dalla pubblica ammi-nistrazione, salvo rare virtuose ec-cezioni. Nel 2007 la Direttiva Nicolais - Pol-lastrini per le “Pari Opportunità” nella Pubblica Amministrazione ci riprova, ma sembra tutto inutile. Arriviamo al 2010 e la Provincia di Bolzano ne incorpora l’essenza in una legge provinciale. Forse doma-ni qualche giornale in più seguirà l’esempio, forse qualche altra am-ministrazione seguirà l’esempio, forse qualche assessora e qualche ingegnera e chissà che piano piano accanto all’elefante si legga e veda anche un’elefantessa.

Un ringraziamento a tutte le donne del passato che, non so proprio come, son però riuscite e senza spargimenti di sangue a far passare termini come pittrice, scultrice, scrittrice. Grazie di cuore!

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François Poullain de la Barre De L’éducation Des Dames (1674).

“De l’èducation des dames” viene pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1674. È l’epoca di Luigi XIV e delle gran-di conquiste intellettuali, scientifiche e artistiche. Un secolo in cui autorità e assolutismo si confondono. Il re era un Dio in terra e la disobbedienza al re era un atto sacrilego. La Chiesa era un "forte sostegno ideologico e morale della monarchia". Entrambe le istituzioni condividevano l’interesse per la gerarchia e per l’ordine e lottavano insieme con-tro la diffusione del cartesianismo che, per la sua natura dubitativa e critica nei confronti del sapere tradizionale e del costume consolidato, rappresentava un potenziale attentato all’ordine. Con le grandi conquiste intellettuali, si faceva strada la preoccupazione per una adeguata istruzione delle donne che, con la loro emancipazione, potevano realiz-zare il progresso democratico di tutta la collettività. Il dibattito culturale provocato in quegli anni dal cartesianismo investiva un’intera generazione di filosofi e scrittori. Anche Poullain de la Barre recepisce da un lato la costante pre-occupazione per l’ordine; ritiene essenziale garantire la pacifica conviven-za fra gli uomini, e per questo bisogna eliminare tutto ciò che può costitui-re un attentato all’ordine politico. Dall’altra parte la sua teoria dell’ugua-glianza tra i due sessi sconvolge il costume tradizionale, comporta "la lotta al pregiudizio, e la necessità della istruzione femminile, pre-supposto indispensabile per l’inserimento della donna in ogni ambito sociale con un ruolo paritario a quello maschile". È la contraddizione del secolo: si cerca di combattere teoricamente il pregiudizio, di criticare il costume, ma non si osa intaccare concretamente l’ordine politico. Poullain de la Barre, nella sua affannosa ricerca della verità, intorno al 1670 viene colpito dalla nuova filosofia che rivoluziona la sua vita e la sua visione del mondo. Egli, seguendo il metodo cartesiano, proclama la supremazia della ragione quale soluzione per tutti i problemi: "stabilire tra gli uomini una ragione sovrana che li renda capaci di esaminare tutte le cose con giudizio e senza prevenzione", contesta il principio di autorità in ogni attività intellet-tuale e teorica. Sempre il 1670, considerato l’anno della conversione di Poullain al credo cartesiano, è indicato come l’anno della "rivoluzione pedagogica" che il filosofo francese recepisce interamente applicandola anche all’educazione femminile. Siamo di fronte a un processo iniziato nel 1500 secondo il qua-le ogni riforma della società passa attraverso l’educazione, non più destinata a trasmettere conoscenze ma a trasformare l’uomo e la col-lettività in cui vive. Per i maggiori rappresentanti dell’umanesimo cristia-no (Tommaso Moro, Erasmo da Rotterdam, Jean Luis Vives), l’educazio-ne rimane connessa con l’etica, considerata come strumento essen-ziale per "plasmare un buon cittadino e per conservare una buona società". Poullain rigetta completamente la tesi della inferiorità naturale, dimostrando che questa ultima deve attri-buirsi esclusivamente alla cultura, al costume ed alla tradizione. Afferma che "solo motivi di interesse hanno guidato gli uomini a conculcare i diritti delle donne impedendo la loro istruzione, mentre non vi è che un uni-co metodo da adoperarsi per gli uni e per le altre, in quanto entrambi esseri appartenenti alla medesima spe-cie umana". Supera la tradizione classica e gli umanisti in quanto la sua opera educativa è volta a promuovere lo spirito critico, la responsabilità e la maturazione del singolo individuo, in particolare quello femminile. Contesta la distinzione tra l’educazione maschile e quella femminile derivante dalla diversa destinazione sociale dei due generi, affermando che il fine dell’educazione femminile non deve più essere quello di formare delle spose e delle madri cristiane, ma esseri pensanti in grado di conoscere e di avere idee chiare e distinte. L’educazio-ne deve essere la stessa per entrambi i generi che hanno la medesima natura umana composta di corpo e di spirito. L’affermazione viene supportata da una esplicita adesione al razionalismo (tramite la ragione sovrana si po-trà giudicare senza pregiudizi e prevenzioni), attraverso i riferimenti ai primi secoli dell’era cristiana quando molte donne rivestivano ruoli importanti (diaconesse) all’interno delle comunità, nonché dal principio dell’uguaglianza se-condo natura di tutti gli uomini. Da questo principio deriva che nessuno deve essere sottomesso all’altro, anche se nel contesto dell’opera de la Barre lo adopera per "affermare che non si deve aderire alle affermazioni di nessuno in quanto tutti sono soggetti all’errore; l’unica autorità riconosciuta è quella della ragione. Dalla recensione del libro di François Poullain de la Barre, De L’éducation Des Dames (1674), a cura di Maria Corona Corrias, Cagliari, Edizioni AV, 2005, pp. 163. Rosanna Marsala http://www.isspe.it/Dic2005/recensioni.htm

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Vietato offendere l'amante del marito: multa di 800 euro per donna tradita Nessuno sconto per lo sfogo avvenuto in pieno centro cittadino Roma, 5 feb. (Adnkronos) - L'amante non si offende. L'avvertimento arriva dalla Cassazione che promette multe a chi osa rivolgere epiteti sgradevoli a chi intrattiene una relazione adulterina. Nessuno sconto nemmeno se lo sfogo ingiurioso rivolto all'amante arriva dalla moglie tradita. In questo modo la Quinta sezione penale ha convalidato una mul-ta di 800 euro per ingiuria nei confronti di una 43enne di Catanzaro colpevole di es-sersi sfogata in pieno centro cittadino, a pochi metri dal Tribunale, dicendo all'a-mante del marito di professione avvocato: "Sei un cesso, ma ti sei vista? Io sono la moglie di Flavio e questo cesso è l'amante...". È da tempo che propongo un’alleanza tra donne oltre ogni limite ed ecco che la Cassazioni viene in aiuto. Non è tra donne che ci si deve offendere in caso di tradimento del marito, ma con il fedifrago stesso. Inutile prendersela con l'amante del marito, è il marito che tradisce. L'amante, se non è tua sorella o la tua migliore amica, non ti tradisce, ella non ha siglato alcun patto con te. Non è lei che ti ha promesso fedeltà e amore, quindi perché ingiuriarla?

ROMA Ha voluto diventare architetto quando progettare era un mestie-re riservato agli uomini. E adesso che è adorata come una star si ribella ai divismi e rivendica il diritto di costruire come impegno sociale. E, soprattutto, di sognare. Perché, come spiega sempre ai suoi studenti, «quando si crea bisogna credere ai sogni». Odile Decq, classe 1955, ar-chitetto premiato con il Leone d'oro, Commandeur de l'Ordre des Arts et des Lettres, direttore della École spéciale d'architecture di Parigi e Chevalier de la Légion d'Honneur, è una donna speciale. In Francia la chiamano "La dame noir". Ma lei è dark solo a modo suo. Basta incon-trarla una volta per non dimenticarla più. Controcorrente, e non per vez-zo, stupisce per la lunga chioma arruffata, nero corvino. Nero è anche il pesante trucco perennemente dipinto intorno agli occhi, il vestito am-pio, e lo smalto che decora le mani affusolate. La voce morbida, invece, è talmente femminile che conquista. Avvolta nella trasparente cornice del Macro, il museo che ha inaugurato a Roma, Odile Decq si racconta con ironia: «Ho sempre saputo che avrei lavorato nell'arte e nella creati-vità, ma escludevo l'architettura perché pensavo fosse un qualcosa riservato agli uomini. Poi, mentre studiavo arte controvoglia, mi sono ribellata. Per fortuna ho capito in tempo che si poteva diventare ar-chitetto pur essendo donna. E, soprattutto, senza essere brava in matematica». La sua determinazione, nel voler rovesciare le regole, stupisce. Nata e cresciuta nel piccolo comune francese di Laval, negli anni Settanta si trasferisce a Parigi all'Ecole d'Architecture de La Villette. Porta con sé una valigia con poche cose e tanta energia. I geni-tori la guardano con sospetto: «La mia famiglia non voleva che andas-si nella metropoli, temevano che sarei diventata una ragazza perduta, ma io non ho sentito ragioni e ho fatto i miei scatoloni». La laurea, per la ragazza bretone che vuole sognare, arriva con un anno d'anticipo rispetto ai compagni di corso. È bravissima, talento allo stato puro, lascia senza fiato i professori con la sua immaginazione. Con il diplo-ma ancora fresco in tasca, si catapulta nel mondo del lavoro. «Andavo fiera alle riunioni e ci rimanevo malissimo perché i clienti mi scambia-vano per una segretaria e mi chiedevano come mai non cercavo lavoro presso un architetto uomo.

Forse è per questo che la giornalista non la chiama architetta? Un pizzico di descrizione fisica, sul trucco, l’abbigliamento, ecc. quando si tratta di una donna non sta mai male, vero? Mai che mi raccontassero la manicu-re curata di La Russa o il gessato, fumo di Londra con righine bianco tendenti al panna di D’Alema o che so, la chioma sparsa al vento di Fas-sino. Per fortuna che con il maquil-lage di Berlusconi ogni tanto si pa-reggia la partita. Possibile che anche Odile Decq riba-disca lo stereotipo che le donne non sono brave in matematica? Lo avrà detto veramente? Le paure dei genitori di ieri come quelle dei genitori di oggi: avere una FIGLIA che diviene una ragazza perduta.. Una figliola perduta non è mica un figliol prodigo … lei si per-de e basta, lui si perde ma ritorna, come l’influenza. Nel passaggio sul rendimento scola-stico e l’anticipo sui colleghi, in ef-fetti, si rispettano le statistiche che vedono da tempo le donne studiare di più e riuscire meglio. Anche nel ruolo della segretaria ci ritroviamo perfettamente. In effetti da quando in qua una donna è l’ar-chitetta e non la segretaria dell’ar-chitetto?

Odile Decq: l’architetta Liberi spunti su lingua e professioni al femminile con l’aiuto di un articolo di Repubblica dell’8 agosto 2010 di IRENE MARIA SCALISE

Il commento segue l’ar-ticolo passo passo nel box sottostante.

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Monica Amici

Era piuttosto deprimente e, in certi momenti, mi veniva una gran tenta-zione di mollare. Ma il desiderio di aprire il mio studio da sola è stato più forte di tutto». E così, sorridendo, prosegue per la sua strada. «È sta-to un continuo esame per i primi dieci anni di vita professionale e persi-no gli operai nei cantieri non mi davano credito. Oggi, parlando con le altre architette donne della mia generazione, ho capito che è stato un problema comune per tutte ma allora non potevo saperlo». Nel 1985 Odile Decq decide di aprire lo studio Odbc con Bernoit Cornette, architetto e medico, diventato suo compagno nel lavoro e nella vita. Nel 1990 per la coppia arriva la svolta professionale con la realizzazione della Banque Populaire de l'Ouest di Rennes. (…). Quindi il padiglione francese per la Biennale di Venezia. E proprio Venezia, nel '96, premia lei e Cornette con il Leone d'Oro per l'architettura. Tutto sembra andare a meraviglia ma il destino decide di farle male. Nel '98 Bernoit muore in un incidente d'auto dove anche lei rimane coinvolta. È la fine di un pezzo di vita, ma Odile prosegue a testa alta. Costruisce ancora. Di nuovo urbanistica ma anche ristoranti e musei. (…) L'occasione per diventare più italiana è però l'ampliamento del Macro, il museo di arte contemporanea del Comune di Roma(…) «Era il suo obiettivo: inven-tando quello spazio così originale avendo in testa i cittadini della capitale, le persone comuni alla ricerca di uno svago fuori dal caos dei centri commerciali e degli outlet a poco prezzo(…) Lo sfondo rosso fuoco del "suo" museo fa spiccare ancora di più la carnagione avorio e i capelli corvini. Indefinita e indefinibile si aggira nei saloni con l'entusiasmo gioioso di una ragazza al suo esordio. (…) Per un attimo lo sguardo s'incupisce, poi il broncio si trasforma in una risata: «Forse è per questo che gli architetti donne restano a lungo sole, mentre i colleghi uomini cambiano spesso moglie». Ma il divismo che ultima-mente circonda il suo mondo non le strappa alcun sorriso. Anzi. Detesta la sola definizione di “archistar” e, per difendersi, punta dritta alla sostanza. «In un mondo sempre più bizzarro c'è un forte bisogno di va-lori e di profondità, che è esattamente l'opposto del fanatismo ...». Per una donna come Odile Decq il successo si deve fondare su altro. Su fat-ti concreti … Detesta le immense fabbriche di architettura. Nonluo-ghi di disumanità. «Non mi piace realizzare edifici che non avrò modo di seguire personalmente ... amo seguire con attenzione tutti i miei progetti, lavorarli con le mani e curarne ogni aspetto, perché solo le cose fatte così sono quelle che danno soddisfazione». … La gioia è an-che quella che cerca di trasmettere ai suoi studenti. «Ai ragazzi dico sempre che, nonostante le avversità del mercato e di questo terribile mo-mento economico, hanno il diritto di sognare. Se rinunciano sarà la loro fine».

Perché gli operai dovrebbero disco-starsi dai luoghi comuni e darle cre-dito? Non sono forse immersi anche loro nella società? Ecco affacciarsi un altro luogo comune. Si ipotizza che per l’operaio debba essere “normale” un maggiore rispetto nei confronti dell’architetta. Sbagliato, sono persone come tutte le altre, condizionate dagli stesso luoghi co-muni e imbevute degli stessi stereoti-pi dei dirigenti d’azienda. Compaiono le altre architette, ma perché scrivere appresso che sono donne, se fossero stati uomini si sa-rebbero chiamati architetti, o no? ArchitettA femmina ArchitettO maschio Vita familiare, piccolo assaggio. In effetti non troppo invasivo, per ora.. La vita privata continua … Grazie Odile per pensare che le per-sone abbiano bisogno di posti dove incontrarsi che non siano outlet e centri commerciali. Grazie! O cielo! Ci risiamo con Cime tempe-stose! La carnagione avorio suoi capelli corvini … basta! E basta an-che con le ragazzine esordienti. L’-entusiasmo di una donna viene spes-so associato a quello delle ragazzine esordienti, non ricordo la stessa as-sociazione per gli uomini. Perché? Forse il loro entusiasmo è più matu-ro, meno esordiente? La parola broncio sarebbe stata mai usata per un uomo? Fatti concreti, niente fabbriche di architettura, seguire personalmente i propri progetti, trasmettere ai propri studenti gioia e perseveranza. Grazie Odile Decq per un finale di fatti e sostanza, tutta femmnile.

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