2010 - Sebastiano A. Patanè - Album

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Sebastiano A. Patanè Ferro A l b u m (Percezioni e paesaggi) Catania 2010

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poesia contemporanea

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Sebastiano A. Patanè Ferro

A l b u m (Percezioni e paesaggi)

Catania 2010

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© “Album (percezioni e paesaggi)”

by Sebastiano A. Patanè Ferro

Catania 2010

in copertina

“Album”

di Egon Furstenb

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A L B U M (Percezioni e paesaggi)

Catania 2010

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Prologo

[cantiamo ai ceppi che fioriscano cantiamo loro

le promesse della meraviglia che per logica vuole

l’acqua sorgere dal fuoco. Sorprendimi ancora

penetrante come un verso di Montale sogno mio

a scrutarti silenzioso le punte e gli argini]

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# 2 del ricordo Acerba mela la tua bocca fino a tarda sera. Sulla rotta delle cicogne i tetti del riposo e sentivamo il polso della terra respirare ancora dopo il lungo abbraccio e giorni e giorni a cercare nel frastuono di una lacrima dove scartato il profano rimaneva amore preso nella rete dei soliti gesti. Gradino di sole appena sciolto nella calce delle strade di campagna fra l’obliquo segno delle spine ed il rosso rotto delle arance, fra una gobba e l’altra dell’ultima passione, in un sospiro perso tra i ciuffi delle canne. Adesso il treno passa e fa rumore

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La baronessa delle galline (mia nonna)

Bolle

giostre

souvenir

tempo del cuore che batte

incanto del tempo che scuote

il seme delle lune del miracolo

per tavoli generosi

e geometrie impazzite

Matriarca svezzata ai tronchi

scavati da piccoli meteoriti

prosciugata nel ventre

dei soccorsi e cuciture

parallassi errate lungo le vetrine

Bolle

fioriture

quadri

appendini libanesi per meraviglie e

ceramiche laccate "se viene qualcuno"

profumi di pane e miele

"gira di cca buttana"

per l'uovo appena munto

e la farina… teoremi quotidiani

e bucce d'arancia nella brace

simmetrie contadine giù per la trazzera

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Pianto

pianto

pianto

troppi andati, tempo che frena

maledizione del tempo che uccide

26 gennaio 2010

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Febbraio Febbraio passa sulle rive come un piccolo vento che non piega i vetri dove muoiono le falene e gli entusiasmi del ragazzo sempreverde. Vibra dei fuochi di S. Agata e delle illusioni senza armonie dei percorsi malandati come quegli occhi senza più colore, come le punte dei combattimenti Ah se ci fosse spazio prima del debito d’aprile, se ci fosse luna senza cosce bianche o secchi melograni per lasciare con fierezza ogni garanzia e anche tu, Leda viola e lacci, a rimandarmi scolaretto ‘61, sui nuovi libri… nuovi libri… Nessuna risposta in quegli intonaci, solo graffi e cenci e piccole, molto piccole gemme incastonate nell’avorio della dignità, palandrana che ci copre appena, che non sfugge ai principi della concorrenza, della geniale sopravvivenza A febbraio il circolare s’apre a tutte le risacche e rientra il tempo gravido d’incompreso vero amore

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Marta ha preso un libro Marta ha preso un libro -era l’ultimo all’edicola, è fortunata Marta - parla di storie di mani contadine, mi parla di riflussi e negazioni, rughe avvolte in carta grezza e figli morti di sifilide Racconta, Marta, delle prospettive usurate in lento scorrere della protagonista con deodorante fumo di castagno e pane tra le dita, del persistente odore d’orzo la mattina, del miele di carrubo e i suoi antibiotici. Strani i concetti del “servire” confuso dono matriarcale che alza lo sgabello del maschio seminante a ruolo di monarca, corona in plastica e posto a capotavola. Salta il mistero mariano -ci tornerà più tardi- racchiuso nell’icona ma sparso dappertutto come talco o semi di basilico gigante. Gira la ruota e gira la sostanza dell’effimero riguardo, settant’anni nello schiocco delle dita, dalla romana frusta all’obice, dall’omeopata al cobalto, rimane il seme miracolo immutato. “È veramente un discorso nobile quello che dice: “Ciò che la vita promette a noi, sia la promessa che noi onoriamo alla vita!” ( Friedrich Nietzsche)”

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Ed è lì che s’imbocca la distanza. nella promessa per scarsa visuale: oltre la siepe non c’importa! Marta lo sa e salta sulle cime senza curarsi del sangue sotto l’ unghia.

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Febbraio stecca… Febbraio stecca negli acuti e rimpicciolisce i sogni rimettendo in gioco la memoria, quella senza scrupoli con le mani in tasca e nessuna remora I ti amo cancellano i ti amo con spugnette appese al collo da sempre lungo i salti con rimbalzo degli amori più infiniti… e Febbraio stecca negli acuti e raggomitola le spalle - finto serio che sa di fritto - e non si cura della solitudine Nunzia piangeva, era Febbraio sotto i limoni e i bagnasciuga e nessuno ricorda il perché Altro rimase, altro passò come il tempo che sparisce

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Com’è fatta una poetessa?

Com’è fatta una poetessa? Con tutti quegli occhi che non si vedono, quei cuori nascosti dietro le parole ed una reflex per cellula sempre in posizione… E’ sostanza rarefatta sui gradini della sera e compensa l’umano nei primitivi suoni Senza riparo lungo la bufera, quindi, una poetessa è sola! "come le pizie cumane io canto il dolore di tutti" (Alda Merini) ed io che parlo con te, quindi, sono solo anch’io… e poeta…! e noi, noi… quale sostanza ci avvinghia, dunque? Di che amore è fatto il disprezzo d’ogni libertà schiavi come siamo di noi, di te e di me che da fuori della porta ci bussiamo inuditi?

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La stazione di Lagonegro La stazione di Lagonegro ha tre occhi e un ombrello e nessun tappeto rosso sopra o sotto il marciapiede (Ho cercato ovunque una ragione per dire - finiamola una buona volta con questo cuore - perché ho dentro tutte le pietre e tutti i fiori, le colpe e i canti. Ma a che servono adesso che non ho un “dentro” da svuotare o riempire?) Racconta molto la Stazione di Lagonegro, confine di due menti cambio di pensiero tra sonnecchiante sei del mattino e schifoso odore di caffè ma non c’entrano i gerani , il macchinista, il freddo… (Ti rubo un tempo nel tempo, porto via qualche attimo per scansare la tristezza. Nulla più.) Tutto quel grigiocadmio del cielo grava sui tetti come se volesse, come se potesse violentare il mondo o sono gli occhi lasciati sui divani volanti che vedono la parte bassa dell’arcobaleno? Non ci sono richiami nelle scritte sui muri o negli alberi dei “ti amo” nati morti per arricchimento e constatazione

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(Dimenticanza. Oh nume! lasciami pensare che sono ancora vivo nel mio bell’inferno, seppur senza cavallo e dama nella torre. Che sia una parola, menzogna o no, a darmi la speranza.) La stazione di Lagonegro ha un ombrello e tre occhi e mi spia.

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Febbraio (# 4 del mattino)

continuerà a finire come sempre questo febbraio retroguardia della neve, con le guance stanche di luci e coriandoli. Nulla penderà dalle cime né dagli anulari quando cadranno gli ultimi ventotto -Seguiamoci, amore, sulle rotte delle api, nei nettari golosi del millefiori acceso aprendo varchi nelle cartapeste… prendiamo le corde per tutte le giunture luna e sole e poi ancora luna-

Verso le unghia s’aprono i compleanni, nei pacchetti d’ametista e rose, senza dolcetti o…boschi di betulle ma pece germogliata da freddi persistenti. Rincorre l’anatra le linee dei canti nei cieli neutri di questo mezzogiorno Vicini al silenzio dei rosmarini, già rossi in viso apriamo le finestre, noi

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La raffineria di Sannazzaro Ero lì C’ero anch’io tra i fumi solfurei ed i camminatoi unti d’olio A destra e a sinistra solo tubi e pompe, premesse al consumismo e rari germogli avvelenati di cristalli frettolosi Oltre la cortina, più in là degli occhi, nell’impalpabile memoria dei numeri a venire, c’eri tu! I rumori, le canzoni in media frequenza, le cinture di sicurezza certo non profumavano di te. Intanto eri là con le tue mani e tutto l’armamentario di sensi che mi avrebbe invaso E tu, chissà, guardavi dalla tua luna quegli strani movimenti di gru e di braccia confusi dalle ciminiere e da un pulsare nuovo del cuore… quanto ci siamo avvicinati per poi allontanarci e di nuovo sorprenderci vicini e tutto questo solo per un veleno che nemmeno la raffineria di Sannazzaro riusciva a processare? Eppure, se di questo scrivo, t’amo ancora

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Sono stato a Mosca Sono stato a Mosca ed era freddo Come voi, anch’io curiosavo tra le gemme espressione di un tempo o da sotto le cupole di questi santi amati a metà ma c’era un profumo di ampio, di lontano di vero, perché sofferto, perché a lungo emanato e mai respirato che insinuava l’importanza del vivere, il ruolo! Sono stato a Mosca, a partire da Tallinn dove il blu è altra cosa dove sul treno l’uomo magro porta il tè sul vassoio d’argento…e un violino nell’aria… e mille cartoline correvano la fuori, duemila sogni, tremila desideri E il profumo, ancora, di una spezia che sta nel cuore di quei russi in quelle donne color Matisse, in quel bianco che non è solo neve A Mosca sono stato ed era forte il senso di Cechov la smania di Seenni, il dolore di Lila; giravano tra le insegne di Armani e le birre giovani di Nikol’skaya ulitsa o tra le ambre della Neva. Era freddo e una fiamma d’arsenico mi serrava la gola quando sono stato a Mosca

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Tallinn

A Tallinn c'era una luna molto seria ed anche triste per le imprecazioni di qualche deluso e c'era un sapore di chiari ancora giovani per esser definiti Quello che mancava a Tallinn era una spilla da accendere la sera… ma dal muretto della chiesa si vedeva il mare. C'era un senso a tutto, pure

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Leonor - Adesso dici che erano gialle le rose…- Scansati dalle risacche, appesantiti dal sale che rimaneva di noi, Leonor? -nada- continuavi a dire, -tampoco el mar - Ed io? continuavo a contare i giorni delle biciclette le rimanenze dei supermercati e dei Tai-jap, delle mutande verdi nella doccia per quel gioco che invadeva le scale o i taxi Che rimaneva chica del Central Park, delle carote a mezzogiorno di quella New York millenovecentonovantacinque che ci impregnava del suo ferro e dei vapori con i vagoni in senso opposto alla nostra corsa dell’amore sulle terrazze, di noi gli stessi delle scatole di carta che fiorivano oltre le maniglie e le traduzioni arbitrarie -Que pasa mi amor- e un attimo dopo eri un puntino che perforava gli occhi -Non andare via- dissi, ma tu continuavi a credere

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che fossero rosse le rose

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Interrogativi -guarda come sono equilibrate le masse- dicevo indicandoti un Paul Klee -si percepisce l’armonia ai soli movimenti delle labbra- dicevi ascoltandomi mentre ti leggevo Baudelaire C’erano due strade, di cui una tua mia solamente, l’altra

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Marzo Tesi verso la forma delle calle i giorni di marzo, consapevoli del pianto, coraggiosi prima delle chiese o degli androni ridipinti, con le piante ai lati, nei futuri manomessi da fiorai e pasticcieri. Riempiamo le cisterne di catrame per tutte le ferite se non bastassero le dita, correggiamo i punti di sutura e versiamo nelle valli cardinali le chiome e le condanne mariane, le pietà e le sinistre fedi Cinquantasettesimo marzo eppure non è chiaro l’incontro del falò e dell’agnello lungo la piatta che precede i lutti e la maestà dei gialli

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Bilanci Tu, noi il seno, la spesa forse il costume Il giorno che si piega altrimenti la sera

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Simmetrie

Guarda come raccolgono la luce le simmetriche geometrie della terra

e come - vedi - non soffrono questo nostro tempo…

Rincorri quel sogno Marta

non temere la perfezione delle mosche

e se ti chiedono, dì che sai volare!

Nelle clamorose rotazioni dei dervisci crescono i venti

che apriranno le nuove curve del silenzio e più in là, verso il caos

un piccolo dardo accenderà la rosa

Rimandiamo ogni gesto alla prossima stagione

notte regina,

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Canale di Sicilia - E’ possibile, signore, che dalle basse maree non giungano notizie? - Cercavo lampare disossate ma solo fossili rimangono sul margine del gene di razza in razza fino allo sterminio gloria del bianco di tipo occidentale - Lei ha visto, signore, l’ultimo tiggì? lasci pure perdere, ai dadi non c’è più rivincita - [- Il cieco dice al sordo: - vedi quella piccola formica lì su quel muretto?- e il sordo: - no ma sento il tonfo dei suoi passi! -] Gira mondo, gira!

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Se ti fossi… Se ti fossi cielo, se ti stessi accanto clamore e silenzio certo di registrare ogni sorriso ai bordi del cammino nello scarso senso della corteccia rotta… Piegami di venti e piene, di venti e turbini senza più istantanee con i respiri larghi delle mareggiate, molla e sostegno della mia incertezza, lato di lati inaccessibili. Se ti fossi stella se ti fossi panca, su me conteresti i petali mostrandomi la scelta sotto la piega esatta del delizioso seno Riempimi di spezie l’alchemico disagio, prendi e trascina tutte le sentenze, lasciale nei fossi dai fuoco alle persiane chiuse e sveglia -che è l’ora- ogni circostanza C’era un rifugio sul colle del mio cuore e se ti fossi mare o se ti fossi cielo lì ti propagherei in successioni d’amoroso estendersi verso l’altra forma Chiara è la curva della ricorrenza che torna e reclama tutte le distanze quando al passaggio delle margherite si spezzano i gialli per dar posto alle glorie

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Sopra il cielo in questo cielo sotto casa dove si radunano gli anni persi nei filtri ormai vinti dalla consapevolezza, i banchetti divorati dalle amanti per cambiare e i soliloqui che rotolano cotoni in questo sotto casa che mai scolora si abbeverano le illusioni I morti stanno sopra i tetti, antenne vigili, in un cielo condominiale a circuito chiuso e da li tentano ingressi onirici per quotidiane profezie Nemmeno gli occhi lunghi sfuggono le giostre che incastrano nel vuoto quel pensiero oltre l’uomo, quelle simmetrie di sassi qualche piano sopra il cielo

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Poligono di tiro Non mi distraggono le confuse direzioni delle rane quando tra le canne cerco volti o almeno parvenze di qualcosa che ancora mi somigli e perdersi fra titoli nelle librerie tra le fessure delle persiane per facili chiusure alle democrazie alle diatribe popolari ma non alle spore della solitudine per quelle, è vero ci vogliono clessidre goniometri e provette numerate così da vedere i gradi della mente lucida e decidere quando e se scrivere questa poesia Le tracce si smarcano man mano le percorri nei repertori triti e ripassati mille volte e bisogna dire basta alle interferenze bisogna che si spezzi l’angolo che torna riprendere quei fili già mollicci, tenderli oppure rimanere sagoma concentrica sul treppiedi monco

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Susan Era il selvatico, il tribale che mi portava sul tuo albero L’ incolto furore gocciolava da ogni movimento nel tono alto della tua passione, nel gesto, la parola, Susan Dirò t’amavo e t’amavo davvero nerazzurro d’Africa sorpresa ogni momento, nel caffelatte, nel pettinarmi nell’avvolgermi di braccia e seno dietro le conchiglie quasi flaccide del tigre innamorato e tu, cucciolo dagli artigli d’aquila ti mostravi al cuore con tutte le tue eliche, succinta e attesa come la sera alla finestra prima della sera Era il chiaroscuro o forse le punte dei tuoi sguardi a squarciare il buio col gemito d’amore, seme mai esposto agli occhi ma antico dentro l’anima. Nei tessuti delle favole s’intrecciavano le dive che moltiplicavi ad ogni bacio regina d’alveare, nervo disteso della mia preghiera alba e notte e nuovamente alba sotto le ciglia maliziose Soccorrimi ché muoio di pazienza, quando sotto quei vestiti fonde il bronzo e gelano correnti: Torna, nera dismisura soccorrimi che di pazienza muoio

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Lei lo sa lei certo sa allargare i cieli quando i pioppi dipingono le nuvole certamente lo sa che gli occhi non si bagnano solo di dolore Ha visto le sabbie smussare i piani delle apparenze e voci sempre più sottili i corridoi chiudersi le ghirlande farsi gemito e infine sonno Rimane il tempo delle parole vuote come urla nei quadri senza fiati o cormorani e niente che possa dare numeri Rimane il taglio nella gonna la piega del ritorno il ferro le camicie, tre lune oltre le ginestre e la sera che rotola giù dai lampadari… rimane il segno del caffè diluito da menzogne Il sale delle circostanze diventa insipido …e poi malore

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Giovanna

l’incontro d’angolo

spiega gli aironi

La notte

Il giorno

Sulle spighe si propaga

una sera d’agosto

ad ogni risveglio si smaglia un sogno

dalle reti oceaniche

ragnatela d’ombre e mastice

i rientri costanti delle geometrie m’incatenano ai tralicci

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Giovanna (espansione)

l’incontro d’angolo

spiega agli aironi la notte

il giorno

sulle spighe si propaga

una sera d’agosto

ad ogni risveglio si smaglia

un sogno dalle reti oceaniche

ragnatela d’ombre e mastice i rientri costanti delle geometrie m’incatenano ai tralicci nota - In questa “frammentazione” ho voluto dare un effetto tridimensionale alle immagini attraverso la dimensione del carattere, avvicinando ed allontanando la scena. La lettura segue ancora una forma di incolonnamento, a parte “il giorno” e “la notte” che possono essere lette in qualsiasi punto del quadro in quanto rappresentano solamente il fondo e non fanno parte del testo nel senso classico della parola.

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Indice

Album (Percezioni e paesaggi) 2010

Prologo # 2 del ricordo La baronessa delle galline (mia nonna) Febbraio Marta ha preso un libro Febbraio stecca… Com’è fatta una poetessa? La stazione di Lagonegro Febbraio (#4 del mattino) La raffineria di Sannazzaro Sono stato a Mosca Tallinn Leonor Interrogativi Marzo Bilanci Simmetrie Canale di Sicilia Se ti fossi… Sopra il cielo Poligono di tiro

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Susan Lei lo sa Giovanna Giovanna (espansione)

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