2010 12 23 Martina Serra 0000304512 l'Informazione in Guerra

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 L'informazione in guerra Martina Serra 0000304512

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Tesina per l'esame di Comunicazione Giornalistica. Prof. Mauro Sarti

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L'informazione in guerra

Martina Serra

0000304512

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INDICE:

Introduzione pag 4  

Le origini del reporter di guerra pag 6 

Come ebbe inizio la censura militare pag 7 

Dalla seconda guerra mondiale agli anni '60 pag 8 

La guerra del Vietnam pag 10 

Le due guerre del Golfo pag 11

La guerra del Kosovo pag 13  

La guerra in Afghanistan pag 13 

Chi è un giornalista di guerra pag 15 

Bibliografia e Sitografia pag 17 

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«Il vero giornalismo è quello intenzionale,

vale a dire quello che si dà uno scopo

e che mira a produrre

una qualche forma di cambiamento»1

Ryzard Kapuściński

1 Ryszard Kapuściński, Il cinico non è adatto a questo mestiere: conversazioni sul buon giornalismo, E/O, Roma 2000,

 p.393

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INTRODUZIONE

Esistono due principali tipi di giornalismo di guerra: il giornalismo cosiddetto

embedded o non embedded . Il primo vede il giornalista seguire le truppe durante

le operazioni militari, nel secondo il giornalista si reca da solo nella zona del

conflitto.

Uno dei limiti del giornalismo embedded , forma di giornalismo diventata nota

soprattutto grazie alle cronache di guerra in Medio Oriente (forma diventata poi

unica, salvo rare eccezioni), è quello di raccontare la guerra dal punto di vista del

soldato. L'inviato, infatti, è inserito in uno degli eserciti coinvolti, alle stesse

condizioni del personale militare. Da qui egli segue e racconta l’evento bellico.

Senza potersi muovere liberamente.

La figura è nata recentemente da un regolamento del Dipartimento della Difesa 

Americana Statunitense , diffuso nel febbraio del 2003, poche settimane prima

dell'inizio della seconda guerra in Iraq.

Il suddetto documento s’intitola Guida sull'arruolamento di media, in possibili 

 future operazioni, nell'area di responsabilità del Comando Centrale degli Stati Uniti .

Il significato dell'operazione è così spiegato:

«La politica del Dipartimento della Difesa in fatto di copertura mediatica di future

azioni militari è che i media abbiano un accesso di lunga durata e per nulla

restrittivo alle forze armate USA, navali, aeree e di terra.» 2

Ai giornalisti embedded viene dato quindi il privilegio di vivere in prima linea e

osservare i soldati in azione, condividendo i rischi della vita in guerra.

Il testo poi precisa che: «la copertura mediatica di ogni futura operazione dovrà

formare, in senso lato, la percezione pubblica della sicurezza nazionale. Oggi e

negli anni a venire. Questo è valido per il pubblico statunitense; per quello degli

Stati alleati, la cui opinione può condizionare la durata della coalizione; e anche

per il pubblico delle nazioni in cui sono condotte le operazioni militari, la cui

percezione degli Stati Uniti può influenzare il costo e la durata del nostro

2 Public affairs guidance (PAG) on embedding media during possible future operations/deployments in the U.S. Central 

Commands (CENTCOM) area of responsability (AOR), art. 2a

4

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impegno.» 3

Il documento sembra esprimere un'idea dei media esclusivamente funzionale al

servizio di sicurezza nazionale, o meglio alla 'percezione’ della sicurezza

nazionale, e prosegue cosi:

«Questi embedded media vivranno, lavoreranno, viaggeranno come parte delle

unità in cui saranno inseriti per facilitare la copertura delle azioni delle forze di

combattimento. Sarà dunque necessario bilanciare la necessità di accesso

all'informazione con la necessità della sicurezza operativa».4 E ancora: « I

comandanti delle unità possono imporre ai media temporanee restrizioni alle

trasmissioni elettroniche per ragioni di sicurezza operativa.»5

Il che equivale a: i giornalisti possono osservare i soldati in azione, ma non

raccontare fino in fondo ciò che vedranno.

Con i molteplici mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione oggi, il

pubblico può seguire la diretta delle operazioni militari in prima linea. I

giornalisti, a contatto con i soldati dell'esercito, forniscono in tempo reale notizie

sulla guerra.

Ma, se da una parte per gli inviati questo risulta essere un motivo di maggiore

sicurezza, per noi rappresenta un'informazione limitata. Raramente riusciremo

ad avere un quadro complessivo del conflitto. Nei servizi giornalistici infatti

l'attenzione è rivolta più al conflitto militare, mentre la società, la popolazione,

principale vittima, riveste spesso un ruolo secondario.

Altro punto fondamentale riguarda il fatto che i reporter di guerra rappresentano

l'unica fonte da cui possiamo ricevere informazioni e conseguentemente anche un

unico punto di vista, per non parlare dell'omologazione delle informazioni che il

sistema mediatico ci propone oggi. Agli editori ed ai direttori spetta infatti la

selezione delle notizie, il cosiddetto newsmaking . Si può facilmente intuire come

questi sono spesso guidati da criteri tutt'altro che etici e deontologici nel decidere

che cosa è giusto divulgare, e che cosa deve essere nascosto, similmente a come

3 Ibidem

4 Ibidem

5 Ivi, art. 2 c45

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accade nello svolgersi di un conflitto.

Riporto a tale proposito le parole di Mimmo Cándito nel suo libro, I Reporter di 

guerra : «[...] Quando si dichiara guerra, la prima vittima è sempre la verità.

Arthur Ponsonby, in “Falsehood in Wartime”»6.

Inoltre, la televisione, uno dei principali canali d'informazione, ci ha sempre

proposto un giornalismo di guerra a misura di piccolo schermo, capace di entrare

nelle case senza traumatizzare nessuno. Per contro, accade che la maggior parte

degli eventi acquisti rilevanza solo se riesce a colpire abbastanza l'immaginario

pubblico, talvolta in modo forte e drammatico. È stato cosi sin dalle origini del

giornalismo di guerra.

LE ORIGINI DEL REPORTER DI GUERRA

Le cronache di guerra esistevano già nella Roma antica, eppure, la storia ricorda

l'irlandese William Howard Russell, che nel 1854 fu inviato di guerra in Crimea

( 1853-18569), conflitto tra la Russia zarista e la coalizione di alcuni stati

europei, tra cui il Regno Unito, la Francia e il Regno di Sardegna. Egli descrisse la

rovinosa carica della cavalleria leggera a Balaklava e le difficili condizioni dei

soldati inglesi al fronte. A causa della sua cronaca Russell venne fatto rimpatriare

immediatamente, per la paura di diffondere scomode informazioni. Scriveva cosi:

«Queste sono verità difficili, però il popolo inglese deve ascoltarle. Deve sapere che

il mendico che si trascina sotto la pioggia nelle strade di Londra vive una vita da

principe, in confronto con quella vissuta dai soldati che combattono per il loro

paese.» 7

Prima di lui, sulle cronache dei giornali, le guerre venivano raccontate mediante

resoconti tratti da bollettini oppure attraverso un insieme di notizie, più o meno

veritiere, raccolte dagli stessi militari. Russell, invece, ebbe il coraggio di

descrivere la sconfitta dell’esercito inglese: raccontò i corpi straziati, i moribondi

che soffrivano, il caos, gli errori strategici dei generali, lo spreco delle risorse e di

6 M. Cándito, I reporter di guerra: storia di un giornalismo difficile da Hemingway a Internet, Baldini Castoldi Dalai,

Milano 2009, p.219.

7 http://it.wikipedia.org/wiki/William_Howard_Russell6

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uomini, la corruzione. Retroscena mai svelati prima, per cui si rischiava di venire

accusati di tradimento.

«Alle undici e dieci, la nostra brigata di cavalleria leggera avanzò trionfante nel

sole del mattino, fiera in tutto il suo bellico fulgore. Da una distanza che non era

nemmeno un miglio, l’intero schieramento nemico vomitò da trenta bocche di

fuoco un inferno di fumo e di fiamme. Il punto di arrivo dei colpi fu segnato da

vuoti improvvisi che si aprivano nelle nostre fila. [...] I Cavalleggeri si lanciarono

dentro le nuvole di fumo; ma prima che si perdessero alla nostra vista, la pianura

era punteggiata dei loro corpi. Alle undici e trentacinque non un solo inglese

restava davanti alla bocca dei sanguinari cannoni moscoviti. Solo i morti e i

moribondi».8

Gli effetti furono notevoli: i racconti di Russell fecero raddoppiare le tirature del

Times , sconvolsero l’opinione pubblica, spinsero ad allestire a Scutari, città

colpita dalla guerra, un servizio d’infermeria e un ospedale, contribuirono alla

sostituzione di un comandante in campo e alla caduta del governo di allora.

Le corrispondenze integrali di Russell circolarono in ambienti governativi,

provocando la rabbia della Corona e del corpo militare che chiuse ogni rapporto

col giornalista, prima cacciato nelle retrovie, poi costretto a rimpatriare.

COME EBBE INIZIO LA CENSURA MILITARE

Con la prima corrispondenza dal fronte nacque anche la censura militare: nel

febbraio 1856 venne emanato per opera del comandante in capo della spedizione

britannica, sir Edward Codrington, il Divieto di ogni pubblicazione per ogni notizia 

utile al nemico .

È forse un caso che la nascita della figura dell'inviato di guerra coincida con

l'istituzione della censura militare?

Durante la guerra di Secessione americana (1861-1866) la cronaca di guerra

raggiunse una notevole rilevanza. Sul fronte erano presenti ben 500 reporter.

Erano cambiate anche le tecniche utilizzate sino ad allora: il telegrafo aveva

8 M. Cándito, I reporter di guerra, cit., p.221.7

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sostituito definitivamente i cavalli per inviare gli articoli; i reportage dovevano

quindi essere sintetici, con un linguaggio adeguato alla velocità e lo stile letterario

di Russell venne così superato.

Per lungo tempo i cronisti furono liberi di recarsi sul fronte e parlare con i

militari, nonostante l'accoglienza riservata loro non fosse delle migliori (come

succede ancora).

Con la prima guerra mondiale, invece, la censura militare divenne prerogativa

statale. I politici non sopportavano che le crude corrispondenze dei cronisti

avessero infranto la visione romantica che da sempre accompagnava i conflitti,

con la sua celebrazione di eroi ed alti valori. La guerra era stata finalmente offerta

ai lettori in tutta la sua atroce crudezza e non c’era niente ormai che potesse

attenuare l’orrore della morte. Si era aperto, con le cronache dal fronte, uno

spaccato sulla vita vera e reale. Alle autorità politiche e militari questo non

piaceva.

La censura alla sua nascita aveva già il duplice scopo che la caratterizza ancora

oggi: non solo il controllo serrato sulle informazioni, ma anche la manipolazione

dell’opinione pubblica.

Quando l’Italia entrò in guerra, il 24 maggio del 1915, venne stabilito l’ Ufficio di 

Censura , chiamato 'Ufficio stampa'. Una contraddizione in termini.

La realtà rimaneva cosi custodita solo dai soldati e dai civili che la vivevano.

DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AGLI ANNI '60

La guerra mette in discussione ogni cosa. Il rapporto di collaborazione che può

esistere tra forze politiche e sistemi d'informazione si trasforma in dipendenza

reciproca dei media dal sistema politico, e nello stesso tempo ne intensifica anche

il contrasto.

La guerra è una minaccia istituzionale. Insieme alla domanda di senso dei

telespettatori cresce anche la volontà di governi e comandi militari nel nascondere

verità inopportune.

Durante la seconda guerra mondiale, la consapevolezza del cambiamento del

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rapporto fra media e politica era più forte che mai. L'intero apparato Statale

gestiva l'opinione pubblica in guerra tramite appositi ministeri, per mobilitarla

contro il nemico, convincerla a sostenere sacrifici ed ad arruolarsi.

In Italia durante il ventennio fascista la censura militare toccò i suoi massimi

livelli: ogni cronista ed ogni direttore riceveva le direttive da seguire tramite le

veline del Minculpop (il Ministero della Cultura Popolare), che indicavano

chiaramente quali notizie dare e quali ignorare.

Anche negli Stati Uniti la situazione della censura e della manipolazione fu

particolarmente rilevante: gli americani applicarono una vera e propria censura

alla fonte, impedendo ai corrispondenti di accedere al luogo del conflitto. Nel

1942 questo 'accordo', fino ad allora informale, divenne il Code of War Practise for 

the American Press , un decalogo che raccomandava ai cronisti di non pubblicare

notizie riguardanti navi, aerei, truppe, fortini, tempo meteorologico o armamenti.

Non erano comunque previste punizioni specifiche per chi disattendeva il codice,

si trattava solo di 'suggerimenti'.

Nel giugno dello stesso 1942, nacque l'Office of War Information , che da quel

momento in poi gestì le immagini e le notizie della guerra, dentro e fuori dagli

Stati Uniti, come ritenne più opportuno.

Negli anni '60, con John Fitzgerald Kennedy alla Casa Bianca, nacque la politica

spettacolo e soprattutto il news managment.

Con questo termine ci si riferisce adesso come allora, al modo in cui individui o

organizzazioni tentano di controllare il flusso delle notizie verso i media. Le

strategie generalmente utilizzate includono la pianificazione ed il dosaggio delle

informazioni, allo scopo di limitare eventuali effetti negativi, o al contrario

enfatizzare eventi di grande rilevanza e guadagnarne i benefici di popolarità che

derivano da un’attenta collaborazione coi mezzi comunicativi. Il news managment 

non si basa sulla menzogna in quanto tale, ma sugli eventi che vengono creati

apposta per rientrare nei criteri di notiziabilità dei giornalisti, e che sono in grado

di fare notizia indipendentemente dalla loro falsità o veridicità. L'informazione

non viene limitata, ma al contrario diventa parte di una strategia, articolata in

due attività antinomiche, in questo caso 'l'informare' e 'il segretare'.

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LA GUERRA DEL VIETNAM

Fu necessario attendere la guerra in Vietnam, la prima vista in televisione, perché

gli inviati potessero di nuovo avere contatti diretti con le fonti, e accesso alle zone

operative.

Si trattò di un caso molto particolare, dove la relazione tra i corrispondenti di

guerra e le istituzioni fu molto fluida, con ampissimi spazi di libertà per i media.

I reportage risultarono spesso molto severi, con larga autonomia di giudizio,

anche da parte dei corrispondenti americani. Inoltre, le tattiche di guerriglia, su

cui si basò il conflitto, resero difficile la censura da parte delle forze armate.

L’unica formalità che il governo americano chiese ai giornalisti, fu quella di

firmare la solita dichiarazione d’impegno sulla sicurezza militare.

Nonostante questo, il lavoro dei reporter non fu affatto facile. C’era sia il faticoso

lavoro sul campo, sia l’angoscia di trovare una risposta ad una problematica di

fondo: capire se quella guerra fosse giusta, dovuta, e dunque da sostenere

nell’interesse dell’occidente, oppure no. Il dibattito politico-ideologico che si era

creato si riversava infatti sui giornalisti, soprattutto quando la denuncia delle

atrocità e dei massacri degli americani non lasciava molti spazi di riflessione sul

contrasto tra imperialismo e terzomondismo, ( emblematico fu per esempio Il

massacro di My Lai, dove 109 civili vietnamiti furono fatti uccidere da un

sottotenente americano, il 16 marzo 1968).

«La guerra in Vietnam ha rappresentato uno spartiacque nella storia del

giornalismo di guerra. La stampa libera rivelò all'opinione pubblica americana le

atrocità commesse dai militari e gli scarsi risultati ottenuti sul campo di

battaglia. I giornalisti, con la loro posizione super partes , svelarono le bugie delle

fonti ufficiali.» Dario Moricone, giornalista RAI.

Con la guerra in Vietnam, la censura si riprese la propria rivincita. Da quel

momento le forze militari capirono che i giornalisti rappresentavano seriamente

una minaccia.

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LE DUE GUERRE DEL GOLFO

«Non sarà un altro Vietnam.» Queste furono le parole di Bush alla vigilia della

Guerra del Golfo.

Così la musica cambiò di nuovo. La Cnn seguì in diretta bombardamenti su

Baghdad ma venne accusata di tendenziosità.

Gli alleati concentrarono gli inviati a Dhahran, obbligandoli a rispettare una serie

di regole, per esempio, essere sempre accompagnati da una scorta militare nelle

visite alle unità sul fronte, non filmare o fotografare soldati feriti o morti, non

pubblicare informazioni sul tipo di armi, equipaggiamento, spostamenti,

consistenza numerica delle unità e non fornire dettagli sulle perdite subite dalle

forze di coalizione. Solo 192 giornalisti, per lo più americani, seguirono le unità di

combattimento, tutti gli altri riutilizzarono i materiali distribuiti durante le

conferenze stampa. Veniva fornita loro una tale quantità di notizie e materiale da

far ritenere inutile un’ulteriore ricerca.

Le notizie su questa guerra si basarono su una sapiente opera di regia che andò a

formare un'illusione collettiva.

La «Hill & Knowlton» , l’agenzia americana di pubbliche relazioni (in quel periodo la

più grande del mondo) fu l'ideatrice della massiccia campagna Citizens for a Free 

Kuwait, messa in atto per convincere gli americani ad appoggiare una guerra di

liberazione del Kuwait, occupato dall'Iraq.

Per provare a volgere a proprio favore la situazione «Hill & Knowlton» , organizzò

dei gruppi in cui veniva studiata la reazione personale nei confronti di immagini

che raffigurassero il Kuwait come una democrazia liberale. Vennero utilizzate

immagini che demonizzavano Saddam Hussein, (ad esempio il suo accostamento

con Hitler). Ma questa campagna venne portata ai limiti. A questo proposito è

bene ricordare la testimonianza di una ragazza quindicenne kuwaitiana, davanti

alla Commissione di Difesa di Washington, in cui raccontò che i soldati iracheni

staccavano la corrente elettrica alle incubatrici negli ospedali, per far morire i

neonati kuwaitiani. Questa testimonianza si rivelò essere un falso: la ragazza era

in realtà la figlia dell’ambasciatore kuwaitiano all’ONU e aveva recitato un

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copione preparato dall'agenzia.

Cito nuovamente Mimmo Cándito, inviato a Daharan nel 90-91:

«Abbiamo raccontato un’altra guerra. A dieci anni di distanza, noi giornalisti

dobbiamo ammettere almeno questo. Abbiamo mostrato una realtà, una guerra

virtuale, a cui pure credevamo, ma che era solo un sapiente mix di fiction e di

verità accuratamente sceneggiato dai comandi alleati». 9

La Guerra del Golfo fu al centro di un processo di mediatizzazione che diede vita

a una letterale spettacolarizzazione dell'informazione.

Pochi dissensi si crearono intorno a questa guerra, il limite tra finzione e realtà fu

cosi ben manipolato che tutti credevano alla 'guerra pulita' di cui si parlava.

Questa rappresentazione virtuale, che rappresenta oggi uno dei linguaggi specifici

della comunicazione, plasma il modo di conoscere la guerra, fa in modo che il lato

verosimile, che ci viene mostrato, ci soddisfi e ci basti.

Fu una guerra televisiva anche quella che venne dodici anni dopo, la seconda

guerra del Golfo, il conflitto in Iraq. L’uso dei mezzi satellitari e la diffusione dei

network televisivi permise infatti, sia la trasformazione dell’avvenimento bellico in

un evento spettacolarizzato, sia la possibilità di 'vedere' la guerra in diretta.

Forse per questo, la censura utilizzata precedentemente, si fece più sottile e

sofisticata.

«A Kuwait city, quando andavamo al comando Usa, ci veniva chiesto di metterci

in posa con un muro alle spalle, si veniva fotografati, e ci venivano consegnate le

ground rules, le “regole di ingaggio” dei giornalisti. Si trattava di 50 disposizioni,

un vero e proprio contratto, nel quale il giornalista che firmava si impegnava,

nella sostanza, a non dire quanti soldati, quanti morti, quanti feriti, quanti carri

armati, quanti aerei, quante navi vedeva, a non descrivere i luoghi dei

combattimenti, chi vince, chi sopravvive, chi soccombe, quanti prigionieri, chi

sono i prigionieri, a non divulgare notizie che possono anticipare operazioni

militari, ecc. Era un vero e proprio manuale dell'auto-censura preventiva.» 10 Toni

Fontana, inviato dell'Unità, morto nel 2005.

Da non dimenticare un altro fattore sconcertante. La guerra in Iraq ha segnato

9 M. Cándito, I reporter di guerra, cit.

10 http://www.peacelink.it/pace/a/19621.html 12

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un terribile bilancio di morte. Più di 200 reporter inviati in Iraq, infatti, morirono

nel conflitto.

LA GUERRA DEL KOSOVO

La guerra del Kosovo fu simile a quella del Golfo. Il limite tra informazione e

propaganda fu incerto, e anche qui ci furono notizie da proteggere e territori

off-limits a cui i giornalisti non potevano accedere.

Si trattò di una guerra invisibile, i danni irrimediabili creati alla popolazione non

furono mai ripresi, mai documentati, se non alla fine del conflitto quando le fosse

comuni e le camere di tortura vennero allo scoperto.

Oltre alla censura e alla falsificazione degli eventi, attraverso il news

management, si manipolò l'informazione attraverso la sua prima manifestazione:

il linguaggio. La guerra del Kosovo non veniva presentata al mondo come una

guerra: veniva chiamata missione di pace. Per giustificarla si ricorse al pretesto

dell'ingerenza umanitaria, usata come paravento dietro cui si assassinava e si

torturava.

Paradossalmente la guerra del Kosovo venne chiamata anche infowar . Si parlava

del conflitto, ma lo si faceva attraverso una sapiente manipolazione dei media,

come sostegno delle forze politiche e militari, per guadagnarsi il consenso

dell'opinione pubblica.

In questo clima di forte censura Internet giocò un ruolo essenziale, tutti poterono

fornire i retroscena di una guerra che non veniva documentata. Le informazioni

alternative che non trovavano posto nei giornali venivano messe on-line.

LA GUERRA IN AFGHANISTAN

La guerra in Afghanistan, una guerra silenziosa come tutte le altre.

La censura fu al centro di questo conflitto e colpì tutti quanti i giornalisti inviati,

come ha scritto Cándito:

«Tenuti lontani dal campo di battaglia di queste ultime guerre del millennio,

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privati della possibilità di verificare sul terreno le informazioni che ricevevano dai

comandi militari, imbottiti di notizie preconfezionate e di filmati selezionati con

un'attenta gestione del “messaggio” da far passare, i giornalisti hanno finito ormai

per trasformarsi in -magari tormentati, ma comunque impotenti- strumenti della

propaganda delle forze in campo.» 11

I principali quotidiani americani veicolarono, fedelmente al governo Bush, questa

propaganda, ponendo in primo piano la lotta al terrorismo, come chiese

espressamente anche Condoleeza Rice.

Il «Washington Post» ricordava «che non v'è contraddizione alcuna tra il

patriottismo di un giornalista e la sua professionalità»12. Ottima spiegazione se ci

si chiede perchè, ad esempio, due editorialisti del «The Texas City Star» e del «The

Daily Courier»  vennero licenziati dopo aver espresso giudizi negativi sulla fuga di

Bush l'11 settembre, o perchè la Cnn inviò un ordine di servizio ai reporter in

Pakistan chiedendo di non concentrare le notizie sulle vittime dell'Afghanistan,

ma di focalizzare l'attenzione sui talebani colpevoli delle sofferenze del loro

popolo. Queste disposizioni vennero anche trascritte nel decalogo del reporter

televisivo in guerra, che suonava un po' come un galateo. I primi tre punti

ricordavano che le parole chiavi di un buon giornalismo di guerra erano

'riequilibrare', 'contestualizzare' e 'ricapitolare'. In realtà il decalogo non

conteneva dei semplici suggerimenti per svolgere un buon lavoro ma delle vere e

proprie regole che ogni giornalista doveva rispettare. «Il risultato era un

inquietante (tanto più inquietante in quanto velata) pressione sull'autocensura, la

spinta verso una sorta di obbligata omertà acritica.»13 

In un contesto di forte controllo politico e ideologico il lavoro del reporter non fu

affatto facile. La raccolta d' informazioni diventava un lavoro complesso. I

giornalisti venivano visti come potenziali strumenti d'interessi, sequestri di

persona e ricatti erano pratica quotidiana e se si voleva avvicinarsi un po' alla

verità bisognava letteralmente pagare caro.

11 M. Cándito, I reporter di guerra , cit., p.31

12  Ibidem

13  Ivi, p.3714

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CHI è UN GIORNALISTA DI GUERRA

L’inviato di guerra è un testimone, è qualcuno mandato sul luogo del conflitto per

raccontare all’opinione pubblica cosa accade in quel dato conflitto, per mostrarlo

sui nostri schermi cosi com’è e fare in modo che ognuno di noi possa crearsi

un’opinione. Ma questo processo di testimonianza, di 'trasporto' di fatti e

immagini da posti lontanissimi ai salotti di casa nostra, non è così semplice ed

immediato. Abbiamo visto in quest'analisi che ogni inviato, nelle diverse epoche

storiche, ha avuto i suoi problemi, sempre uguali pur essendo sempre differenti:

rapporto con le fonti e con le autorità militari, meccanismi di censura sempre più

sottili e tentacolari. Per questo la complessità della figura dell'inviato di guerra è

rimasta immutata nel corso del tempo, nonostante le innovazioni tecnologiche e i

cambiamenti sociali.

Mimmo Cándito ci dice che «il corrispondente di guerra deve anche saper essere

un reporter, il migliore, il più attento, e sveglio, dei reporter. Deve cercare i fatti, e

raccontarli, anche quando nessuno parla, o quando le bombe ti piovono addosso,

o quando ti minacciano che se scrivi quella roba lì ti espellono dal fronte.» 14

Sono queste parole forti che svelano la passione dietro a questa professione.

Una passione che spesso viene soffocata e imprigionata, ma che spesso è riuscita

a trarre forza dalla consapevolezza del ruolo che si stava intraprendendo.

Come hanno fatto Oriana Fallaci, testimone in Vietnam di una sanguinosa follia,

come lei stessa la definì, o Peter Arnett, licenziato nel 2002 dalla Cnn dopo

un'intervista rilasciata alla tv Irachena, o lo stesso Mimmo Cándito,

corrispondente di guerra dei principali conflitti dell'ultimo ventennio.

La vita di un giornalista di guerra, seppur dura e pericolosa, è comunque solo

una piccola parte dell'infinita sofferenza che coinvolge la gente che in guerra ci

sta davvero. Per questo dice bene Ryszard Kapuściński che «il corrispondente di

guerra è una professione, o una missione che presuppone una certa

comprensione per la miseria umana.»15

14 M. Cándito, I reporter di guerra, cit.

15 Ryszard Kapuściński, Il cinico non è adatto a questo mestiere: conversazioni sul buon giornalismo, cit., p.15

5/10/2018 2010 12 23 Martina Serra 0000304512 l'Informazione in Guerra - slidepdf.com

http://slidepdf.com/reader/full/2010-12-23-martina-serra-0000304512-linformazione-in-guerra 16/17

 

L'inviato non è un eroe, non è più importante della situazione che va a seguire,

non fa di più che svolgere una professione, la sua professione, e per questo va

incontro a rischi e problemi, pagandone talvolta il prezzo. Come chiunque altro.

Ogni professione ha il suo lato peggiore. L'inviato di guerra, quello interessato allo

scopo del suo lavoro, si ritrova a vivere e a indagare una realtà a cui non è

abituato. Incontra difficoltà nella lingua, nel trovare il modo di comunicare con

l'altro, nel conoscere e ricordare in modo oggettivo tutti gli avvenimenti di un

preciso luogo, nel trovare una sistemazione, approvvigionarsi e successivamente

crearsi una rete di contatti fidati.

Ma «non potrà mai fare il corrispondente chi ha paura della mosca tse-tse, del

cobra nero, degli elefanti, dei cannibali... chi trema al solo pensiero dell'ameba e

delle malattie veneree, o dell'idea di essere derubato e picchiato, chi mette da

parte i dollari per farsi una casetta in patria, chi non sa dormire in una casetta

africana e chi disprezza la gente di cui scrive […] Chi non sa che in politica e nella

vita bisogna aspettare e che un uomo non afferra una scure a difesa del suo

portafoglio ma della sua dignità, chi non sa chiedersi cosa faccia di un fatto una

notizia e se sia più quel che si dice o quel che si tace. Chi crede nell'oggettività

dell'informazione, quando l'unico resoconto possibile è quello personale e

provvisorio.» 16 Ryszard Kapuściński

16  Ibidem16

5/10/2018 2010 12 23 Martina Serra 0000304512 l'Informazione in Guerra - slidepdf.com

http://slidepdf.com/reader/full/2010-12-23-martina-serra-0000304512-linformazione-in-guerra 17/17

 

BIBLIOGRAFIA:

- Alberto Papuzzi, Professione Giornalista , Donzelli, Roma 2003

- Ryszard Kapuściński , Il cinico non è adatto a questo mestiere: conversazioni sul 

buon giornalismo, E/O, Roma 2000 

- Mimmo Cándito, I reporter di guerra: storia di un giornalismo difficile da 

Hemingway a Internet, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2009

 

SITOGRAFIA:

http://www.aggiornamentisociali.it/

 www.defenselink.mil/news/Feb2003/d20030228pag.pdf 

http://it.wikipedia.org/

http://www.odg.mi.it 

http://it.peacereporter.net 

http://www.undicom.it 

http://embedded.blogosfere.it/ 

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