L'informazione - Febbraio-Marzo 2012

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L’Informazione 1 L Informazione Febbraio-Marzo 2012 DIRETTORE LUCIANO MIRONE Distribuzione gratuita Periodico di attualità, varietà, sport e costume Il bel carnevale www.linformazione.eu

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L'Informazione Febbraio-Marzo 2012

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Febbraio-Marzo 2012L’Informazione 1

L’InformazioneFebbraio-Marzo 2012 DIRETTORE LUCIANO MIRONE Distribuzione gratuita

P e r i o d i c o d i a t t u a l i t à , v a r i e t à , s p o r t e c o s t u m e

Il belcarnevale

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Periodico di attualità, varietà, sport e costume

L’Informazione

Direttore responsabileLuciano [email protected]

Hanno collaboratoBarbara ContrafattoAngelo ContiNorma Viscusi

Progetto graficoLuciano Mirone

FotoFrancesco MironeArchivio L’Informazione

Impaginazione e StampaTipolitografia TMvia Nino Martoglio, 93Santa Venerina (CT)Tel. 095 [email protected]

Sede: via Fiume, 153 - Belpasso (CT)Tel. 095 917819 - 347 [email protected]

Registrazione del Tribunale di Catanian. 10/2000 dell’11/04/2000

L’Informazione è presente a:Catania, Acireale, Adrano,Belpasso, Biancavilla, Bronte, Motta S. Anastasia, Nicolosi, Paternò, Pedara, Ragalna,S.M. Licodia, Santa Venerina, Trecastagni, Zafferana Etnea.

L’Informazione da questo momento ha un fratello mino-re e diventa un quotidiano. Si chiama www.linforma-zione.eu

Al nome storico abbiamo aggiunto eu, che sta per Europa, nel senso che intende andare “oltre” certi confini. Lo trovate su web e si affianca al fratello maggiore che dal 2000 – ogni due mesi – esce in edizione cartacea, e nel suo piccolo sta segnando un pezzo di storia di un tratto della provincia di Catania: da Giarre fino a Bronte, una quindicina di comuni, circa settanta chilometri, duecentomila abitanti complessivi. Con lo spazio web, “L’Informazione” si collega col mondo, nel senso che allarga i suoi orizzonti. Sul sito infatti troverete gior-nalmente dei nuovi articoli, delle nuove inchieste, delle nuove notizie, ovviamente non circoscritte alla provincia di Catania, ma soprattutto alla Sicilia, anche se alcune volte troverete arti-coli che fanno riferimento ad altro. Due esperienze e due mondi – quello della carta stampata e quello di internet – che si integrano alla perfezione: attraverso il primo puntiamo soprattutto sugli eventi, sulle inchieste e sui personaggi, insomma su quelli che in linguaggio giornalistico si definiscono “pezzi freddi”; attraverso il secondo sull’attualità. Con questo nuovo progetto ci auguriamo di fare onore al nome che porta questa testata. Una parola che racchiude due parole importanti, in-formazione, e anche due doveri, quello di infor-mare e quello di formare. Parole grosse, forse troppo, per un giornale tutt’altro che ricco di mezzi. Ma anche il linguaggio, a volte, diventa adeguato quando si è autenticamente liberi, quando non ci sono padrini e padroni alle spalle. Parole come questa da pronunciare con fierezza e a testa alta: informazione.

IL QUOTIDIANOSUL WEB

L’editoriale

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Febbraio-Marzo 2012L’Informazione 3

50 ANNI FA IL REGISTA

FRANCESCO ROSI GIRÒ IL FILM SULLA STORIA DEL

BANDITOdi Luciano Mirone

Montelepre. 1961. Salvatore Giuliano è morto da undici

anni. Da diverso tempo un giovane regista napoletano, Francesco Rosi, ha in animo di girare un film sul bandito negli stessi luoghi dove si è svolta la storia, raccontandola fedelmente attraverso la reci-tazione della gente del posto. Rosi, regista di grande im-pegno civile, ha studiato nei minimi dettagli la vicenda, ne conosce molti lati oscuri, compresi gli stretti legami fra il banditismo, la mafia e la po-litica, e vuole fare conoscere certe verità attraverso il gran-de schermo. Un ostacolo deve superare: la diffidenza degli abitanti. Che vivono in modo lacerante quel ricordo. Da un lato il mito di Robin Hood che “toglieva ai ricchi per dare ai poveri”. Dall’altro l’incubo per le repressioni, l’uccisione di decine di carabinieri, il co-prifuoco, la strage di Portella della Ginestra. Nella primave-ra di quell’anno la Lux-Vides-Galatea di Franco Cristaldi manda in Sicilia Tullio Kezich -giovane giornalista che aveva

collaborato ne La dolce vita- per svolgere un’indagine sugli usi, sui costumi, sulle abitu-dini dei siciliani ai tempi di Giuliano. In un mese Kezich riempie decine di taccuini, parla con tantissime perso-ne, gira da cima a fondo quei posti. Il film che Rosi ha in mente non vuole essere una biografia sul bandito di Mon-telepre, ma la ricostruzione di una storia che, pur svolgendo-si in una Sicilia molto povera, ha collegamenti con gli alti vertici della politica nazionale ed internazionale. Intanto an-che il regista arriva nel piccolo paese palermitano, incontra

il sindaco Giovanni Proven-zano, e concorda con lui un incontro pubblico per espor-re il progetto. Alla riunione partecipa tutto il paese. Oltre al primo cittadino, sono pre-senti il prete, il maresciallo e il tenente dei carabinieri, il presidente del Circolo dei civili che ospita il dibattito. In sala ci sono momenti di tensione: la gente ha il timo-re che di Montelepre si possa continuare a dare un’imma-gine negativa. Rosi rassicura. Nessuna forzatura. Solo la ve-rità dei fatti ripresa dagli atti giudiziari e dalle testimonian-ze orali. Da quel momento

tutti sono disponibili a col-laborare. Alcuni anni prima il regista napoletano aveva recepito la lezione neorealista di Luchino Visconti, del qua-le assieme a Franco Zeffirelli era stato aiuto regista ne “La terra trema”, ambientata nel borgo marinaro di Acitrezza, vicino Catania. Una lezione che prevede la recitazione “ve-rista” della gente del posto. A quell’esperienza Rosi si ispira per girare “Salvatore Giulia-no”. Il film successivamente verrà scartato dal Festival di Venezia per il carattere “docu-mentaristico”, ma farà incet-ta di riconoscimenti altrove (fra gli altri: Orso d’argento a Berlino, Grolla d’oro a St. Vincent, Premio della stampa estera, Nastro d’argento) e ri-apre il dibattito in parlamento e sugli organi di informazione. Le piazze e i vicoli di Monte-lepre diventano il set naturale del film, così come il monte Sàgana, rifugio preferito di Turiddu, Portella della Gine-stra, e la casa dell’avvocato De Maria, a Castelvetrano,

(segue nelle pagg. successive)

GIULIANO AL CINEMA

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VIAGGIO A MONTELEPRE

(continua dalla pag. precedente)

nascondiglio del bandito ne-gli ultimi giorni di vita, con il famoso cortile dove il “re di Montelepre” fu trovato diste-so per terra, ormai senza vita. Gli unici attori professioni-sti sono l’americano Frank Wollf (Gaspare Pisciotta) e il grande Salvo Randone (presidente della Corte d’As-sise di Viterbo). Salvatore Giuliano viene interpretato dal giovane tranviere paler-mitano Pietro Cammarata, il quale non appena viene contattato chiede: “Ma un cci ‘nnè fimmini?”. Da allo-ra sono trascorsi molti anni. Diverse persone del paese che parteciparono al film, o che ne furono testimo-ni, sono morte. Riusciamo a comporre il mosaico con quelle rimaste e con alcuni giovani che raccontano ciò che hanno appreso dai più vecchi. Soffermarsi sull’ope-ra di Rosi senza scivolare nella storia reale diventa ine-vitabile. Come è inevitabile, malgrado le apparenze, non accorgersi di certe ferite an-cora aperte, soprattutto fra la gente anziana. Basti pen-sare che durante le riprese vennero uccisi una comparsa del film e il boss Nitto Mi-nasola, coinvolto nell’affai-re Giuliano. Oggi troviamo una Montelepre con palaz-zi a quattro o cinque piani,

decisamente diversa rispetto al paesino con le stradine di pietra e le case basse che nel ’61 furono riprese dalla macchina da presa. In questi anni il cemento ha “globaliz-zato” anche questo paese di 7mila abitanti in provincia di Palermo. Nel bellissimo municipio allora adibito a quartier generale del Corpo di repressione banditismo, incontriamo il settantaduen-ne Vincenzo Norvese. Ha fatto il duro in diverse pel-licole girate in Sicilia. Qua-rant’anni fa i suoi zigomi appuntiti e il suo volto sca-vato ricordavano il giovane Pasolini. “Salvatore Giuliano fu la prima opera alla quale partecipai”, dice. “Fui scel-to mentre giocavo a carte in un bar, entrarono Francesco Rosi, l’operatore Pasquale De Santis, l’ispettore di pro-duzione Bruno Sassaroli e il fratello di Gaspare Pisciotta, che li accompagnava. Il gior-no prima avevo saputo che cercavano degli attori. Mi presentai e mi dissero: vaf-fanculo. Quando Rosi mise gli occhi su di me gli risposi per le rime. ‘Cosa è succes-so?’. Gli spiegai il fatto. ‘Non ci pensare, domani presen-tati di nuovo’. ‘Quanto mi date?’ ‘Ventimila lire al gior-no’. Quei soldi mi servivano. Vendevo stracci americani, robe vecchie, allora la gente era molto povera e compra-

va queste cose. All’inizio feci la parte del bandito Nunzio Badalamenti, poi siccome me la cavavo, fui promosso sul campo: Nino Terranova, uomo di spicco della banda. Il vero Nino Terranova era mio cugino, un bravissimo ragazzo, come tutti gli uo-mini di Giuliano, compreso Turiddu, che aveva fatto il militare con mio fratello”. “Un giorno andammo a Pa-lermo per girare la scena di

un sequestro di persona. Pas-sammo da Altofonte armati fino ai denti. Scendemmo dalla Balilla ed entrammo in un bar. Ordinammo tre caffè. La proprietaria per la paura ruppe le tazzine. A un certo punto ci vide un bri-gadiere dei carabinieri. Pen-sava che fossimo dei banditi e scappò”. Signor Norvese, cosa le è rimasto del film? “Comprai la casa ed aprii un emporio fornito di tutto. Se non fossi stato analfabeta, avrei sfondato. Un giorno mi arrivò un telegramma dal produttore Dino De Lauren-tiis: “Caro Vincenzo, vorrei sapere se conosci la lingua inglese per girare Sacco e Vanzetti in America”. Do-vetti rinunciare a novanta

milioni e ad una carriera bel-lissima”. Nella parte alta del paese c’è la casa di Giuseppe Sapienza, 78 anni, che nel film fa il bandito: sul grande schermo si vede con il mitra in mano, intento a pagare un pastore per ottenere del-le informazioni importanti, e poi nell’aula del tribunale di Viterbo per rispondere dell’accusa di aver partecipa-to alla strage di Portella del-la Ginestra. “A quel tempo lavoravo in campagna con gli animali e portavo il vino a San Martino delle Scale. Fui contattato e partecipai al film. Il primo della mia vita. Non pensavo che negli anni successivi avrei fatto parte del “Gattopardo” e che avrei fatto il padre della Cardina-

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REPORTAGE DAI LUOGHI

DEL FILM SUL BANDITO. LE COMPARSE

RACCONTANO I RETROSCENA

VIAGGIO A MONTELEPREle in “Corleone” di Pasquale Squitieri”.Fra i vicoletti del paese c’è lo studio di Totò Chiaramonte, un fotografo di ottantacinque anni che nell’ultimo sessan-tennio è stato testimone pre-zioso di molti eventi svoltisi in quella zona. Nell’archivio ci sono decine di immagini del vero Salvatore Giuliano, e di parecchie foto scattate durante la lavorazione del film: Francesco Rosi che par-la con gli attori; Francesco Rosi che si intrattiene con i suoi ospiti più illustri (specie con Marcello Mastroianni e con lo scrittore Carlo Levi); Francesco Rosi che scherza con ‘u tammurinaru prima della scena in cui viene an-nunciato il coprifuoco (“Sin-titi sintiti sintiti, per ordine del comando militari…”). “Rosi era molto disponibile”, ricorda Chiaramonte, “vide le foto di Giuliano e impazzì, così mi fece fare il fotografo di scena”. Lasciamo Monte-lepre e ci avviamo verso la

Valle del Belice con i suoi vigneti e i suoi bagli di pietra gialla. Attraversi i paesini che dal ’43 al ’50 furono sotto il giogo di Giuliano, arrivi a Portella della Ginestra inon-data di luce, con l’ampio pia-noro erboso dominato dalle montagne Palavet e Kumeta. Qui il primo maggio del ’47 undici contadini furono tru-cidati dalla banda Giuliano e dalla mafia in occasione della festa del lavoro. Qui Rosi ricostruì magistralmen-te le scene della strage. Pochi

chilometri più in là ecco Pia-na degli Albanesi. Sulla via principale c’è la Camera del Lavoro che negli anni Qua-ranta e Cinquanta fu luogo di riunioni memorabili per l’organizzazione delle rivolte contadine. Nel ’61 in questa sezione molte comparse fu-rono ingaggiate per parteci-pare al film.Francesco Tàlia, 77 anni, fu una di queste. Una di quel-le persone che quattordici anni prima era scampato alla strage vera. “A selezionarci fu una donna. Mi diede una divisa: ‘Tu fai il carabiniere’. Mi portò a Portella dove in-contrai un carabiniere vero, osservò i miei gradi e disse: ‘Sono nuovi di zecca, me li regali?”. Francesco Guzzetta, 53 anni: “Avevo nove anni quando partecipai al film. Tutta Piana prese parte alla ricostruzione della strage. La gente volle essere presente per esprimere la propria in-dignazione e per dare la pro-pria testimonianza. Quelli che il primo maggio del ’47 erano stati a Portella torna-rono in occasione del film, a cominciare dal segretario della Camera del lavoro che

nella pellicola faceva l’ora-tore ufficiale della manife-stazione”. Ultima tappa del viaggio, Castelvetrano. Testi-mone d’eccezione, l’avvocato Gregorio Di Maria, perso-naggio-chiave della storia e del film, per aver dato ospi-talità a Giuliano nella casa di via Mannone dove nella notte fra il 4 e il 5 luglio del ’50 il bandito fu ucciso nel sonno dal cugino Gaspare Pisciotta.“Nel ‘61”, ricorda Di Maria, “vivevo ancora in quell’abi-tazione. Rosi venne a Ca-stelvetrano, mi avvicinò e mi parlò del lavoro che voleva fare. Gli misi a disposizione la casa e gli feci da consulen-te. Non ebbi alcuna diffiden-za a collaborare con lui, anzi me ne sentii lusingato. Mi ispirava fiducia, ebbi la sen-sazione immediata di trovar-mi davanti ad una persona perbene. La casa era ottocen-tesca ed apparteneva a mia madre che l’aveva ricevuta in eredità. C’è un primo piano con delle volte affrescate di bianco, i pavimenti decorati, le ampie stanze. Io nacqui lì e lì vissi per tanti anni. Nel ’65 fui costretto a venderla”. Il volto di Di Maria diven-ta improvvisamente triste: “Dopo la cattura di Giulia-no fui portato all’Ucciardo-ne e subii un processo che durò 14 anni. Fui costretto a vendere tutto. Da allora mi imposi di non guardare al passato e di non avere rim-pianti. Ci sono molti ricordi legati a quella casa, ma non voglio parlarne. La vita con-tinua, malgrado tutto”.

(tratto da La Repubblica)

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Febbraio-Marzo 2012 L’Informazione6

per imbalsamare il territorio, finanziamenti mai arrivati per la tutela dell’incolumità dei cittadini, finanziamenti che per essere appaltati necessita-no di anni di burocrazia, etc. etc. etc.Quanto basta per disgustare anche i più determinati, che si ritrovano ad affrontare ogni problematica da soli, senza mai riuscire a venirne a capo.Forse Sgarbi non aveva messo in conto tutto questo, forse si

cetto: “possiamo e dobbiamo cambiare”. Probabilmente il limite di quest’impostazione è stato quello di non valutare appie-no le difficoltà dell’operare in una terra dove è difficile riu-scire a non calpestare le mine sparse sul territorio.Condivido l’odierna scelta di Sgarbi, perché il coraggio non deve essere confuso con l’in-coscienza.Immagino e conosco le diffi-coltà che egli ogni giorno avrà incontrato nel suo percorso di Sindaco di un medio co-mune siciliano: impossibilità di spesa, personale in eccesso di cui non ci si può liberare, professionalità necessarie che non si possono assumere, vincoli urbanistici imposti

Apprendo con ram-marico la notizia delle dimissioni di

Vittorio Sgarbi, da Sindaco di Salemi.Io non so come e perché a Sgarbi sia capitato di candi-darsi ed essere eletto Sindaco di un Comune della provincia di Trapani, ma posso pensare che il personaggio, quale in-dubbiamente egli è, sia stato solleticato dall’idea di cimen-tarsi in un’impresa complessa; forse per misurare la propria forza interiore, per coltivare la passione di realizzare un mo-dello amministrativo nuovo in una terra difficile. È que-sta la lettura che io ho dato alle sue tante iniziative, che spesso sono state delle provo-cazioni per affermare un con-

A PROPOSITO DI SGARBI...

perché non c’è dubbio che se egli è diventato un potente, lo deve essenzialmente a questo rapporto di “do ut des” in-staurato con la politica. Unica eccezione di cui bisogna dargli atto: la battaglia contro “la ma-fia delle pale eoliche”. Il resto, il Museo della mafia o cose del genere, è più folclore che altro. Basta dare un’occhiata al suo curriculum: sindaco comuni-sta di San Severino Marche, cambia bandiera una decina di volte, a seconda dei momenti: dai liberali ai monarchici, dalla lista Pannella al Movimento per l’autonomia di Lombar-do, fino ovviamente a Forza Italia, quando il feeling con Berlusconi si fa più intenso. Diventa parlamentare e passa disinvoltamente da un sotto-segretariato a una presidenza di una commissione, fino ad arrivare a diventare Sovrinten-dente di diverse realtà impor-tanti. Dalle tv di Berlusconi – senza contraddittorio – in una trasmissione ritagliata apposta per lui (“Sgarbi quotidiani”), attacca violentemente quelli che non sono graditi al suo editore. Pochi anni fa compie l’ennesimo capolavoro: diven-ta sindaco di un minuscolo

e lontano paese della Sicilia: Salemi. A volerlo è la persona che nel comune trapanese ha preso il posto dei cugini Salvo (ricorda Nino e Ignazio Salvo, i potenti esattori mafiosi?): si chiama Pino Giammarinaro. Vittorio Sgarbi risponde al suo appello e si candida, lasciando-si andare a sperticati elogi nei confronti del suo nuovo riferi-mento politico. Da quel mo-mento è un unico ritornello: “La mafia non esiste”, “i veri mafiosi sono gli antimafiosi”, “Giammarinaro è una brava persona, un eletto anche, che non condiziona l’attività della mia giunta”. Di diverso parere il suo assessore agli Eventi, Oli-viero Toscani, che si dimette in polemica con lui. Ma soprat-tutto lo sono i magistrati, che scrivono: “Dall’esito di siffatte indagini, è emerso il costante

ragione che solo se si è davvero liberi da qualsiasi potere, senza farsi condizionare né cooptare da esso, si può esprimere “one-stamente” il proprio pensiero. Un intellettuale infatti ha il compito di esercitare il diritto-dovere di critica e di controllo nei confronti del Palazzo, e al tempo stesso deve mettere a disposizione il suo sapere af-finché l’opinione pubblica possa avere consapevolezza di chi la governa. Vittorio Sgarbi è un uomo molto intelligen-te, straordinariamente colto e possiede una dialettica fuori dal comune, ma ahimè, non può essere considerato un in-tellettuale in quanto mette la sua intelligenza, la sua cultura, la sua dialettica al servizio del potere, e quindi di se stesso,

Egregio Senatore Fir-rarello, mi consenta di dirle che la sua let-

tera aperta a Vittorio Sgarbi non mi trova d’accordo. Prima di dirle perché, vorrei spiegare chi è – a mio avviso – un intel-lettuale. Un intellettuale – per citare Sciascia – deve possedere cinque qualità: l’intelligenza, la cultura, la dialettica, l’onestà e la libertà. Il concetto di onestà è strettamente collegato con quello di libertà per la semplice

LETTERA APER-TA DEL SEN. FIRRARELLO DOPO LE DI-

MISSIONI DEL SINDACO DI SA-LEMI. IL PARERE

DEL NOSTRO DIRETTORE

era illuso che la sua volontà di fare, di vincere una scom-messa, di realizzare una vitto-ria personale, di poter essere sprone per altri, di metterci tutta la sua energia, gli avreb-bero consentito di realizzare un sogno.Il suo sogno si è infranto con-tro una realtà più grande di lui. Si è perduto in un mon-do vischioso, melmoso, dove ognuno ritiene di essere uni-co, indispensabile. Forse Sgarbi si illudeva di at-tuare una rivoluzione cultu-rale a 360 gradi, cosa di cui ci sarebbe immenso bisogno. Ma purtroppo non ha fatto i conti con le incrostazioni profonde, “rugginose”, che permeano la società siciliana, di cui tutti possiamo essere

responsabili, direttamente o no, e credere di potersi tira-re fuori, per chiunque abbia svolto ruoli pubblici in que-sta difficilissima quanto bel-lissima Sicilia, è un tentativo vano.Mi dispiace che tu abbia fal-lito, Vittorio, ma mi rendo conto che non potevi vince-re, pertanto non considerarti perdente perché hai fatto del tuo meglio. Sappi che se un giorno il tuo sogno svanito dovesse diventare realtà, quel giorno questa terra di Sicilia sarebbe la più bella che esiste al mondo.I giovani forse realizzeranno il sogno, noi abbiamo il dovere di incoraggiarli.

Pino Firrarello

tentativo da parte dell’ex sor-vegliato speciale di Pubblica sicurezza Giuseppe Giamma-rinaro di condizionare l’attivi-tà amministrativa del Comune di Salemi, partecipando occul-tamente alle fasi decisionali più importanti”. Adesso il Consiglio comuna-le di Salemi – su disposizione dell’ex ministro dell’Interno, Roberto Maroni – è stato sciolto per infiltrazioni ma-fiose. Sgarbi si è dimesso, di-cendo di non essersi accorto di nulla, e ha subito chiesto a Berlusconi di candidarlo a sindaco di Parma. Senatore Firrarello, le chiediamo: alla luce di tutto questo, Vittorio Sgarbi può essere considera-to un intellettuale? Può essere considerato un buon sindaco? Può essere considerato, come dice lei, un “sognatore”, uno che “forse si illudeva di attua-re una rivoluzione culturale a 360 gradi”? I fatti dimostrano che la Sicilia non ha bisogno di falsi rinnovatori, ma forse solo di Uomini veri.

Luciano Mirone

Il Senatore Pino Firrarello, sindaco di Bronte

Vittorio Sgarbi, ex sindaco di Salemi

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per imbalsamare il territorio, finanziamenti mai arrivati per la tutela dell’incolumità dei cittadini, finanziamenti che per essere appaltati necessita-no di anni di burocrazia, etc. etc. etc.Quanto basta per disgustare anche i più determinati, che si ritrovano ad affrontare ogni problematica da soli, senza mai riuscire a venirne a capo.Forse Sgarbi non aveva messo in conto tutto questo, forse si

cetto: “possiamo e dobbiamo cambiare”. Probabilmente il limite di quest’impostazione è stato quello di non valutare appie-no le difficoltà dell’operare in una terra dove è difficile riu-scire a non calpestare le mine sparse sul territorio.Condivido l’odierna scelta di Sgarbi, perché il coraggio non deve essere confuso con l’in-coscienza.Immagino e conosco le diffi-coltà che egli ogni giorno avrà incontrato nel suo percorso di Sindaco di un medio co-mune siciliano: impossibilità di spesa, personale in eccesso di cui non ci si può liberare, professionalità necessarie che non si possono assumere, vincoli urbanistici imposti

Apprendo con ram-marico la notizia delle dimissioni di

Vittorio Sgarbi, da Sindaco di Salemi.Io non so come e perché a Sgarbi sia capitato di candi-darsi ed essere eletto Sindaco di un Comune della provincia di Trapani, ma posso pensare che il personaggio, quale in-dubbiamente egli è, sia stato solleticato dall’idea di cimen-tarsi in un’impresa complessa; forse per misurare la propria forza interiore, per coltivare la passione di realizzare un mo-dello amministrativo nuovo in una terra difficile. È que-sta la lettura che io ho dato alle sue tante iniziative, che spesso sono state delle provo-cazioni per affermare un con-

A PROPOSITO DI SGARBI...

perché non c’è dubbio che se egli è diventato un potente, lo deve essenzialmente a questo rapporto di “do ut des” in-staurato con la politica. Unica eccezione di cui bisogna dargli atto: la battaglia contro “la ma-fia delle pale eoliche”. Il resto, il Museo della mafia o cose del genere, è più folclore che altro. Basta dare un’occhiata al suo curriculum: sindaco comuni-sta di San Severino Marche, cambia bandiera una decina di volte, a seconda dei momenti: dai liberali ai monarchici, dalla lista Pannella al Movimento per l’autonomia di Lombar-do, fino ovviamente a Forza Italia, quando il feeling con Berlusconi si fa più intenso. Diventa parlamentare e passa disinvoltamente da un sotto-segretariato a una presidenza di una commissione, fino ad arrivare a diventare Sovrinten-dente di diverse realtà impor-tanti. Dalle tv di Berlusconi – senza contraddittorio – in una trasmissione ritagliata apposta per lui (“Sgarbi quotidiani”), attacca violentemente quelli che non sono graditi al suo editore. Pochi anni fa compie l’ennesimo capolavoro: diven-ta sindaco di un minuscolo

e lontano paese della Sicilia: Salemi. A volerlo è la persona che nel comune trapanese ha preso il posto dei cugini Salvo (ricorda Nino e Ignazio Salvo, i potenti esattori mafiosi?): si chiama Pino Giammarinaro. Vittorio Sgarbi risponde al suo appello e si candida, lasciando-si andare a sperticati elogi nei confronti del suo nuovo riferi-mento politico. Da quel mo-mento è un unico ritornello: “La mafia non esiste”, “i veri mafiosi sono gli antimafiosi”, “Giammarinaro è una brava persona, un eletto anche, che non condiziona l’attività della mia giunta”. Di diverso parere il suo assessore agli Eventi, Oli-viero Toscani, che si dimette in polemica con lui. Ma soprat-tutto lo sono i magistrati, che scrivono: “Dall’esito di siffatte indagini, è emerso il costante

ragione che solo se si è davvero liberi da qualsiasi potere, senza farsi condizionare né cooptare da esso, si può esprimere “one-stamente” il proprio pensiero. Un intellettuale infatti ha il compito di esercitare il diritto-dovere di critica e di controllo nei confronti del Palazzo, e al tempo stesso deve mettere a disposizione il suo sapere af-finché l’opinione pubblica possa avere consapevolezza di chi la governa. Vittorio Sgarbi è un uomo molto intelligen-te, straordinariamente colto e possiede una dialettica fuori dal comune, ma ahimè, non può essere considerato un in-tellettuale in quanto mette la sua intelligenza, la sua cultura, la sua dialettica al servizio del potere, e quindi di se stesso,

Egregio Senatore Fir-rarello, mi consenta di dirle che la sua let-

tera aperta a Vittorio Sgarbi non mi trova d’accordo. Prima di dirle perché, vorrei spiegare chi è – a mio avviso – un intel-lettuale. Un intellettuale – per citare Sciascia – deve possedere cinque qualità: l’intelligenza, la cultura, la dialettica, l’onestà e la libertà. Il concetto di onestà è strettamente collegato con quello di libertà per la semplice

LETTERA APER-TA DEL SEN. FIRRARELLO DOPO LE DI-

MISSIONI DEL SINDACO DI SA-LEMI. IL PARERE

DEL NOSTRO DIRETTORE

era illuso che la sua volontà di fare, di vincere una scom-messa, di realizzare una vitto-ria personale, di poter essere sprone per altri, di metterci tutta la sua energia, gli avreb-bero consentito di realizzare un sogno.Il suo sogno si è infranto con-tro una realtà più grande di lui. Si è perduto in un mon-do vischioso, melmoso, dove ognuno ritiene di essere uni-co, indispensabile. Forse Sgarbi si illudeva di at-tuare una rivoluzione cultu-rale a 360 gradi, cosa di cui ci sarebbe immenso bisogno. Ma purtroppo non ha fatto i conti con le incrostazioni profonde, “rugginose”, che permeano la società siciliana, di cui tutti possiamo essere

responsabili, direttamente o no, e credere di potersi tira-re fuori, per chiunque abbia svolto ruoli pubblici in que-sta difficilissima quanto bel-lissima Sicilia, è un tentativo vano.Mi dispiace che tu abbia fal-lito, Vittorio, ma mi rendo conto che non potevi vince-re, pertanto non considerarti perdente perché hai fatto del tuo meglio. Sappi che se un giorno il tuo sogno svanito dovesse diventare realtà, quel giorno questa terra di Sicilia sarebbe la più bella che esiste al mondo.I giovani forse realizzeranno il sogno, noi abbiamo il dovere di incoraggiarli.

Pino Firrarello

tentativo da parte dell’ex sor-vegliato speciale di Pubblica sicurezza Giuseppe Giamma-rinaro di condizionare l’attivi-tà amministrativa del Comune di Salemi, partecipando occul-tamente alle fasi decisionali più importanti”. Adesso il Consiglio comuna-le di Salemi – su disposizione dell’ex ministro dell’Interno, Roberto Maroni – è stato sciolto per infiltrazioni ma-fiose. Sgarbi si è dimesso, di-cendo di non essersi accorto di nulla, e ha subito chiesto a Berlusconi di candidarlo a sindaco di Parma. Senatore Firrarello, le chiediamo: alla luce di tutto questo, Vittorio Sgarbi può essere considera-to un intellettuale? Può essere considerato un buon sindaco? Può essere considerato, come dice lei, un “sognatore”, uno che “forse si illudeva di attua-re una rivoluzione culturale a 360 gradi”? I fatti dimostrano che la Sicilia non ha bisogno di falsi rinnovatori, ma forse solo di Uomini veri.

Luciano Mirone

Il Senatore Pino Firrarello, sindaco di Bronte

Vittorio Sgarbi, ex sindaco di Salemi

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Febbraio-Marzo 2012 L’Informazione8

LA PASIONARIA DI FIUMEFREDDO

È stata una delle più grandi “pasionarie” degli anni Novanta,

appartenente a quel movimen-to spontaneo e straordinario che si affermò in tutto il Paese dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio: il movimento delle donne-sindaco. Tangentopoli era scoppiata da poco, i parti-ti crollavano sotto i colpi del “pool” Mani Pulite di Milano. Lei, Marinella Fiume, una in-tellettuale prestata alla politica, diventò sindaco di Fiumefred-do con una lista civica lontana anni luce dalle logiche di parti-to. Altre ventuno donne, con-temporaneamente, si afferma-vano in Sicilia allo stesso modo. Una “rivoluzione gentile” – se si pensa che prima delle stragi, le sindache siciliane si pote-vano contare sulle dita di una mano – che vide impegnate, fra le altre, donne straordinarie come Maria Maniscalco di San Giuseppe Jato, Gigia Cannizzo di Partinico, Graziella Ligresti

di Paternò, Marilena Samperi di Caltagirone.... Ventidue donne, in quei mo-menti drammatici, si scommi-sero in prima persona perché capirono che non si poteva più delegare ad altri il destino dei propri figli. E con sacrifici ine-narrabili – per una donna non è facile conciliare l’impegno politico con la famiglia – si catapultarono in campo, por-tando avanti un’attività ammi-nistrativa all’insegna della lega-lità, dell’intransigenza e della lotta alla mafia. Una stagione di “bella politica” che sappia-mo come è finita.Oggi Marinella Fiume è una docente di Lettere in pensione, una scrittrice di successo (il re-cente “Feudo del mare” – edi-tore Rubbettino – parla della sua esperienza politica), e pre-siede l’associazione antiracket e antiusura “Carlo Alberto Dalla Chiesa”. Qualcuno la definisce “Marinella la rossa” per la sua somiglianza con il magistrato

milanese Ilda Boccassini. L’ex sindaca ricorda quella stagione e traccia le linee-guida del futu-ro, che lei vede “assolutamente slegato dagli attuali partiti”.“Ricordo quel periodo come una primavera precoce e bre-ve”, dice. “Una primavera in cui il profumo dei fiori di man-dorlo era metafora del profu-mo di libertà, di pulizia di cui parlava Paolo Borsellino. Ne

ho scritto nel mio libro ‘Feudo del mare’, dove la protagonista, Costanza, voleva rappresentare tutte le donne-sindaco in Sici-lia all’indomani dell’entrata in vigore della legge sull’elezione diretta. Non l’ho scritto per in-censare me e le altre colleghe, ma perché i partiti che ci ave-vano sostenuto (o meglio: che avevano dovuto sostenerci), hanno fatto di tutto per ar-

Siciliani

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Febbraio-Marzo 2012L’Informazione 9

LA PASIONARIA DI FIUMEFREDDOchiviare colpevolmente questo periodo, relegandolo nel limbo della non-storia, della non-memoria. Per i politici di pro-fessione, il nostro compito era solo quello di supplenza. Molti di questi erano impresentabili perché troppo chiacchierati, molti più o meno compromes-si con la mafia, molti in carcere sotto il maglio di ‘Mani pulite’. Perciò i partiti avevano dovuto

fare un passo indietro e così si spiega la netta rappresentanza delle donne, specie in Sicilia. Ricordo l’entusiasmo della gente, la gioia del cambiamen-to, la partecipazione, la colla-borazione”.Cosa è rimasto di quell’espe-rienza?“Quasi niente. È stata un’espe-rienza prosciugata, triturata,

cancellata dal ritorno del vec-chio modo di amministrare a tutti i livelli, anzi, di un modo peggiore del vecchio, con-trassegnato dalla corruzione, dall’alleanza sistematica tra mafia e politica, dall’interes-se personale fino alle leggi ad personam, dalla mancanza dei controlli, dalla scarsissima qua-lità morale e culturale, da una stampa servile e asservita, da

una televisione da fare schifo, da una università affetta da fa-milismo amorale”.Oggi ci sono delle analogie con quegli anni?“Dopo l’ubriacatura mediatica delle promesse berlusconiane, la gente comincia a rimpiange-re quella stagione. La magistra-tura ricomincia a poter lavora-re. Ma non possiamo delegare tutto ai magistrati, il discorso deve essere sistematico e perciò politico, i magistrati possono reprimere i singoli corrotti, non il fenomeno che è invece compito della politica”.Cultura e politica come pos-sono andare d’accordo?“Nel periodo che abbiamo definito della ‘Primavera siciliana’ molti di noi non erano professionisti della po-litica: venivano dalla scuola, dal mondo delle professioni, dalla Società civile. Ci siamo illusi di far tornare la politica alle sue nobili origini. Oggi è assolutamente l’opposto”.

INTERVISTA A MARINELLA FIUME, ESPO-NENTE DEL-LA STAGIONE DELLE DON-NE SINDACO

In un suo recente intervento lei ha detto: “I partiti, così come sono, non ce la faran-no a cambiare l’Italia. Il fu-turo è la Società civile”. Può spiegare meglio?“Qualche giorno fa su face-book, mentre era in corso la trasmissione “L’Infedele”, ho scritto una frase che ha re-gistrato molti ‘mi piace’: ‘Se vedete Gad Lerner, vi accor-gerete che si sta cantando il ‘de profundis’ dei partiti’. Alla luce della storia di questo ven-tennio, c’è ragione di credere che essi davvero non assolvano più al compito costituzionale per cui sono nati. Si sono tra-sformati in gusci vuoti, privi di idee, di contenuti, di rapporti col territorio. La rete delle as-sociazioni può essere il futuro, ma a condizione che si allarghi quanto più possibile a tutti i movimenti credibili della so-cietà civile”. (l.m.)

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Febbraio-Marzo 2012 L’Informazione10

L’UNICO CARNEVALE DI SICILIA

Quest’anno non è solamente “il car-nevale più bello di

Sicilia”, ma l’unico, visto che la crisi economica ha azzerato in un sol colpo manifestazioni straordinarie come quelle di Sciacca e di Misterbianco. L’unico carnevale siciliano (almeno fra quelli di un certo livello) che, malgrado i pro-blemi finanziari, aumenta il numero dei carri allegorici ri-spetto allo scorso anno (dieci al posto di nove) e mantiene quello delle macchine infio-rate (sette). È il carnevale di Acireale – un milione di vi-sitatori provenienti da tutta Europa –, da moltissimi anni presente sulla scena per il per-fetto connubio tra le gigante-sche macchine in cartapesta e i palazzi barocchi del centro storico. Basti pensare che la lunghezza di un carro supera i tredici metri. Prova ne sia che dal 2005 al 2009 i carri di Acireale furono ammirati

anche a Viareggio. “Certo, in quanto a dimensioni, la città toscana ci supera di una decina di metri, ma in quan-to a colori, a coreografie e a fantasmagorie, Acireale non ha niente da invidiare a nes-suno”. A parlare è colui che da diciotto anni si aggiudica il primo premio: Giovanni Coco, 50 anni. Coco ci riceve nel suo capannone alla peri-feria di Acireale, nel quartier generale dei carri, dove ogni autore usufruisce di un han-gar messo a disposizione dal Comune per realizzare la pro-pria opera. Ogni carro copre esattamente le misure della struttura che lo ospita, sia in altezza che in larghezza: per arrivare nel minuscolo ufficio che Coco ha ricavato all’in-terno del capannone, bisogna fare i salti mortali, salire da una ripidissima scala a chioc-ciola e trovarsi direttamente a contatto, dalla finestra posta quassù, con un pezzo di bom-

betta di Totò, con il baffo di Ciccio Ingrassia, con il ciuffo biondo di Marylin Monroe, con la faccia ridente di Franco Franchi, con le gambe di Ani-ta Eckberg mentre fa il bagno

nella fontana di Trevi. In questa edizione Giovanni Coco è tornato alle “origi-ni”, ovvero agli anni Sessanta, “quando il mondo girava in un altro modo”. Pochi i carri-

SCIACCA E MI-STERBIANCO RI-NUNCIANO PER LA CRISI ECO-NOMICA. RE-

STA ACIREALE. INTERVISTA AL CARRISTA GIO-VANNI COCO

di Norma Viscusi

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Febbraio-Marzo 2012L’Informazione 11

L’UNICO CARNEVALE DI SICILIAsti che fanno riferimento alla politica attuale, a differenza di altri anni, si va oltre, come se la crisi economica la si voglia esorcizzare anche qui. Sem-

brano proprio lontani i tempi in cui Silvio Berlusconi tro-neggiava e veniva paragonato al Re Sole. Ma quel che ci in-teressa capire – in questa sin-

golare edizione del 2012 – è come mai il carnevale di Aci-reale resiste, mentre altre ma-nifestazioni altrettanto illustri chiudono i battenti, almeno per ora.“Fortunatamente abbiamo queste strutture dove possia-mo lavorare tutto l’anno”, dice Coco. “Altrove mi risulta che esistano problemi anche di questo tipo. Certo, ad Aci-reale fino ad alcuni anni fa i capannoni non c’erano, alla vecchia stazione si lavorava all’acqua e al vento, ma non abbiamo saltato una stagione. Se abbiamo superato difficol-tà inenarrabili come quelle, vuol dire che questo carneva-le è destinato a durare”. Dal punto di vista economico non pare – ascoltando il “re” dei carristi di Aci – che ci sia-no particolari problemi: ogni anno ogni opera usufruisce – a prescindere dalla classifi-ca – di un “premio” di 27mila

Euro. A questo va aggiunto il premio per i piazzamenti finali: il primo posto si aggiu-dica 35mila Euro, il secondo 33mila, il terzo 31, gli altri via via a scalare di 2mila Euro. “Ogni anno abbiamo spese da capogiro”, spiega Coco. “Su un carro ci sono tonnel-late di ferro, di lampadine e di cartapesta, ma fortunata-mente quest’ultima ci viene regalata dagli abitanti”. Dagli abitanti? “Proprio così”, dice orgoglioso. “Da tanti anni i giornali ce li fanno trovare a sacchi davanti ai capannoni. Ormai è una tradizione”. C’è un “quid” che inserirebbe per migliorare la manifestazione? “Per me va bene così”. Sicu-ro? Ci pensa per un attimo: “Mah, forse farei come fanno a Viareggio: darei la gestione della manifestazione diretta-mente ai carristi. Ma questa mi rendo conto che è un’uto-pia. Cambiamo discorso”.

CarnevaleAcireale

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Febbraio-Marzo 2012 L’Informazione12

Il Carnevale di Acireale vanta un’antica tradi-zione e già dalla fine

del’500 se ne parla.A quei tempi aveva ancora il carattere di una manifestazio-ne spontanea e la partecipa-zione di popolo era pressoché totale. Già nel 1600 nel ter-ritorio di Aci vi era l’usanza di duellare a suon di uova marce e agrumi per le strade, divertimento preferito. Nel 1612 un bando della Corte criminale di “Jaci” vieta ca-tegoricamente ai cittadini di qualunque ceto, di “giocare” al tiro di arance e limoni du-

IL CARNEVALE DI QUEI TEMPI...rante il periodo di “carneliva-ri” a causa di gravi fatti (feriti e danni alle cose) accaduti negli anni precedenti. Tale

usanza è tutt’oggi in voga nel-la lontana Ivrea. Agli inizi del ‘700 il carnevale acese andò raffinandosi e arricchendosi di una carica di ilarità grazie anche agli “abbatazzi”, poeti popolari abili nell’improvvi-sare spassose rime per le stra-de e nelle piazze. Nell’Otto-cento il carnevale compì un salto di qualità con l’introdu-zione della “cassariata”, sfilata di “lando”, carrozze trainate da cavalli riservati ai nobi-li della città che lanciavano raffiche di confetti agli spet-tatori. Negli angoli di ogni strada venivano organizzati i

giochi popolari, come l’albe-ro della cuccagna, il tiro alla fune e la corsa con i sacchi, giochi tornati alla ribalta da

diversi anni. Ma è solo alla fine degli anni Venti che per il carnevale di Acireale avvie-ne la grande svolta: un forte

richiamo turistico di autenti-co valore folklorico. All’inizio degli anni Trenta invece en-trano in scena le maschere in

cartapesta, che poi si trasfor-mano in carri allegorici trai-nati dai buoi, contornati da personaggi e gruppi satirici in

movimento.Un tocco di eleganza e di vivacità al carnevale di Aci-reale viene conferito dalle macchine infiorate: le prime automobili addobbate richia-mano il ruolo ricoperto dai “lando” durante l’Ottocento. Nel 1948 entra nel novero

delle più rinomate manifesta-zioni a livello internazionale. E’ così da oltre 70 anni che il carnevale di Acireale viene definito come il “più bel-lo della Sicilia”: ogni anno i carri allegorico-grotteschi re-alizzati in cartapesta e quelli infiorati vengono realizzati senza alcun risparmio di estro creativo. Ad Acireale i primi carri allegorici furono allestiti intorno al 1880. Nel corso di quest’ultimo secolo, diversi altri cantieri si sono avvicen-dati per arricchire sempre più il nostro carnevale, tra questi ricordiamo: Carlo Papa, Giu-seppe Longo (1883) Sebastia-no Longo (1908-1993) Lu-

ciano Grasso detto “Neddu”, Giovanni Condorelli e tanti altri. Nel 1930 per la prima volta furono allestite delle autovetture ricoperte di fio-ri, ma solo nel dopoguerra, si ha la creazione del “soggetto” infiorato posto sulle autovet-ture del tempo. Con fantasia personale ed un tocco di ma-estria, i partecipanti al con-corso curavano e realizzavano i loro “soggetti”. Ai giorni no-stri, alle macchine infiorate si potrebbe dare la denomina-zione di “carri floreali”, che non sono da meno, per tecni-ca, elaborazione e bellezza, ai carri di cartapesta, vanto del più bel carnevale di Sicilia.

LA STORIA DEL CAR-

NEVALE PIÙ BELLO DI SI-CILIA. TUT-TO INIZIÒ NEL ‘500.

NEL ‘900 LA SVOLTA

di Barbara Contrafatto

CarnevaleAcireale

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Febbraio-Marzo 2012L’Informazione 13

Il Carnevale di Acireale vanta un’antica tradi-zione e già dalla fine

del’500 se ne parla.A quei tempi aveva ancora il carattere di una manifestazio-ne spontanea e la partecipa-zione di popolo era pressoché totale. Già nel 1600 nel ter-ritorio di Aci vi era l’usanza di duellare a suon di uova marce e agrumi per le strade, divertimento preferito. Nel 1612 un bando della Corte criminale di “Jaci” vieta ca-tegoricamente ai cittadini di qualunque ceto, di “giocare” al tiro di arance e limoni du-

IL CARNEVALE DI QUEI TEMPI...rante il periodo di “carneliva-ri” a causa di gravi fatti (feriti e danni alle cose) accaduti negli anni precedenti. Tale

usanza è tutt’oggi in voga nel-la lontana Ivrea. Agli inizi del ‘700 il carnevale acese andò raffinandosi e arricchendosi di una carica di ilarità grazie anche agli “abbatazzi”, poeti popolari abili nell’improvvi-sare spassose rime per le stra-de e nelle piazze. Nell’Otto-cento il carnevale compì un salto di qualità con l’introdu-zione della “cassariata”, sfilata di “lando”, carrozze trainate da cavalli riservati ai nobi-li della città che lanciavano raffiche di confetti agli spet-tatori. Negli angoli di ogni strada venivano organizzati i

giochi popolari, come l’albe-ro della cuccagna, il tiro alla fune e la corsa con i sacchi, giochi tornati alla ribalta da

diversi anni. Ma è solo alla fine degli anni Venti che per il carnevale di Acireale avvie-ne la grande svolta: un forte

richiamo turistico di autenti-co valore folklorico. All’inizio degli anni Trenta invece en-trano in scena le maschere in

cartapesta, che poi si trasfor-mano in carri allegorici trai-nati dai buoi, contornati da personaggi e gruppi satirici in

movimento.Un tocco di eleganza e di vivacità al carnevale di Aci-reale viene conferito dalle macchine infiorate: le prime automobili addobbate richia-mano il ruolo ricoperto dai “lando” durante l’Ottocento. Nel 1948 entra nel novero

delle più rinomate manifesta-zioni a livello internazionale. E’ così da oltre 70 anni che il carnevale di Acireale viene definito come il “più bel-lo della Sicilia”: ogni anno i carri allegorico-grotteschi re-alizzati in cartapesta e quelli infiorati vengono realizzati senza alcun risparmio di estro creativo. Ad Acireale i primi carri allegorici furono allestiti intorno al 1880. Nel corso di quest’ultimo secolo, diversi altri cantieri si sono avvicen-dati per arricchire sempre più il nostro carnevale, tra questi ricordiamo: Carlo Papa, Giu-seppe Longo (1883) Sebastia-no Longo (1908-1993) Lu-

ciano Grasso detto “Neddu”, Giovanni Condorelli e tanti altri. Nel 1930 per la prima volta furono allestite delle autovetture ricoperte di fio-ri, ma solo nel dopoguerra, si ha la creazione del “soggetto” infiorato posto sulle autovet-ture del tempo. Con fantasia personale ed un tocco di ma-estria, i partecipanti al con-corso curavano e realizzavano i loro “soggetti”. Ai giorni no-stri, alle macchine infiorate si potrebbe dare la denomina-zione di “carri floreali”, che non sono da meno, per tecni-ca, elaborazione e bellezza, ai carri di cartapesta, vanto del più bel carnevale di Sicilia.

LA STORIA DEL CAR-

NEVALE PIÙ BELLO DI SI-CILIA. TUT-TO INIZIÒ NEL ‘500.

NEL ‘900 LA SVOLTA

di Barbara Contrafatto

CarnevaleAcireale

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Febbraio-Marzo 2012 L’Informazione14

dii a ventidue anni. Allora non c’erano i congegni elet-tronici di oggi, tutto veniva costruito a mano: in man-canza del gruppo elettroge-no, per alimentare l’impianto di illuminazione dovevamo caricare una batteria di cento chili. Eppure si facevano dei carri favolosi. Nel ’63, per conto del Comune, mi recai

al carnevale di Viareggio. Lì un carrista è considerato un professionista a tutti gli effet-ti, e viene retribuito per quel-lo che merita. Fui ospitato da Galli, l’artigiano più famoso della città, viveva in una villa che neanche un onorevole po-teva permettersi. Col passare del tempo eguagliai il Mae-stro Longo, fino a diventare

un raffinato maestro del car-ro. “Creavo nel dormiveglia, fantasticavo e sognavo, dra-ghi alati, principesse, castelli incantati; mi alzavo dal let-to, abbozzavo un disegno, lo modificavo. Le mie notti era-no popolate da queste figure che nei giorni di carnevale si materializzavano magica-mente sul carro”. La carriera del Maestro Lizzio cominciò subito dopo la guerra, quan-do la città fu attraversata da un fremito di euforia e di en-tusiasmo dopo le sofferenze patite. E così una schiera di valenti artigiani (fra questi vanno ricordati Neddu Gras-so, Salvatore Longo, Carlo Papa, e poi Condorelli, Mes-sina, Ardizzone) riprese una tradizione che nel corso de-gli anni è stata apprezzata ed ammirata in tutto il mondo. “Avevo diciotto anni quando iniziai a lavorare nella bot-tega di Longo. In poco tem-po, guardando il maestro, mi appassionai ai carri ed impa-rai ad allestire la cartapesta. All’inizio abbozzando una mano, un naso, un volto. Poi costruendo un carro vero e proprio. Come carrista esor-

Era dopo la festa di san Sebastiano che Ro-sario Lizzio metteva

mano al carro: costruiva il capannone (una struttura in legno, coperta da un telo di plastica) e con i suoi bravi collaboratori realizzava l’ope-ra. Per un mese la via Giu-seppe Sciuti veniva chiusa al traffico. Quella viuzza situata nel centro storico di Acireale palpitava di vita, si trasfor-mava in un teatro all’aperto dove i colori e gli odori delle vernici erano un tutt’uno con l’argilla, il gesso, la colla, la carta, l’amido “Singhiozzel-li” (“il migliore per trattare la cartapesta”), mentre il vocio degli artigiani si disperdeva tra i palazzi barocchi che co-steggiavano la stradina. E lui, Rosario Lizzio, falegname di vaglia, sovrintendeva al la-voro e dispensava consigli, memore degli antichi inse-gnamenti impartitigli dal suo vecchio Maestro Sebastiano Longo, che del carnevale ace-se nell’immediato dopoguer-ra fu uno degli antesignani. Per oltre trent’anni Rosario Lizzio, che di primavere ne ha ottantaquattro, è stato

IL DECANO DEI CARRISTI

CarnevaleAcireale

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Febbraio-Marzo 2012L’Informazione 15

il suo principale antagonista”. Acireale per oltre un venten-nio visse con passione la sfida fra Lizzio e Longo. E tifava ora per l’uno ora per l’altro: “La gente impazziva quando il mio carro entrava in piaz-za Duomo con l’orchestra che intonava l’Aida. Alcune volte vinceva lui, altre volte io. Quando perdeva (bisogna considerare che dal ’71 all’80 ho fatto incetta di primi pre-mi) Longo ci rimaneva male. Nei giorni successivi passava davanti alla mia bottega con il broncio e la testa bassa, senza fare la solita sosta. Poi i nostri rapporti si norma-

lizzavano, per raffreddarsi l’anno successivo quando la passione ci divideva ancora una volta”. “L’opera più bel-

ROSARIO LIZ-ZIO È IL PIÙ

VECCHIO MAESTRO

DELLA CAR-TAPESTA DI ACIREALE.

IL SUO RAC-CONTO

IL DECANO DEI CARRISTIla? Onestamente tutte. Ma di una ho un ricordo particola-re: negli anni Settanta realiz-zai un carro dal titolo ‘Il lupo e l’Agnelli’: su una Topolino decappottabile c’erano raf-figurati il patron della Fiat con una maglia bianconera. Sotto di lui, un lupo con la faccia dell’ex dittatore libico

Gheddafi, che indossava un berretto di generale. Più in basso una grande torta con la scritta Fiat, divisa fra il leader libico (in quegli anni azioni-sta della Casa automobilisti-ca) e Agnelli. Qualche giorno dopo presi la foto che ritraeva la scena e la spedii all’avvoca-to, accompagnata da una let-tera in cui chiedevo un posto di lavoro per mio genero. Con mia grande sorpresa l’avvoca-to mi rispose, dicendomi che il ragazzo poteva presentarsi nella sede di Catania per un colloquio”. Nell’80 il Mae-stro si ritirò definitivamen-te, “non per stanchezza, ma perché quell’anno il Comune aveva costruito i capannoni per i carri. Io che per tan-ti anni avevo lavorato in via Sciuti, che custodivo gelosa-mente ogni segreto della mia opera, dovevo trasferirmi in un luogo certamente più con-fortevole ma meno riservato. Declinai l’invito e mi ritirai per sempre. Da allora i carri mi mancano tanto. Nei primi anni, quando iniziava la festa, piangevo come un bambino; speravo che si scatenasse un temporale per non vederli sfi-lare. Poi mi sono rassegnato. Ma il mio cuore è rimasto per sempre lì, fra quei fantastici personaggi di cartapesta”.

(luciano mirone)

A sin.:1947. Il carro dal titolo: “Cento anni fa quando Berta filava”.Sopra: Rosario Lizzio con la moglie del suo maestro Sebastiano Longo

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Febbraio-Marzo 2012 L’Informazione16

L’InformazioneFebbraio-Marzo 2012 DIRETTORE LUCIANO MIRONE Distribuzione gratuita

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