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Porta il tuo cuore in Africa Anno VII, n. 4 – Ottobre 2007 Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 2, DCB Lecco www.amaniforafrica.org E invece sono lupi di Arnoldo Mosca Mondadori pag 2 Lo Spunto Sembène Ousmane: popolare, polemico, politico di Pier Maria Mazzola pag 4 News Nord Uganda, le difficoltà di un negoziato di Renato Kizito Sesana pag 5 Un sms per lo sviluppo a cura di Lella Pennisi pag 7 Adozioni a pag. 2 News AMANI Un mondo di città di Fabrizio Floris* Se ne discuteva da oltre un de- cennio, ma la notizia si è mate- rializzata il 23 maggio 2007. Nes- sun conto alla rovescia ha scan- dito l’evento; non ci sono state dirette televisive; qualcosa di sto- rico ci è passato davanti senza che ce ne rendessimo conto: per la prima volta la popolazione che vi- ve nelle città ha superato quella insediata nelle campagne. Il da- to è stato verificato dall’Univer- sità della North Carolina e da quella della Georgia che studia- no la crescita della popolazione terrestre. In base alle proiezioni statisti- che risulta che il 23 maggio 2007 erano insediati nelle città 3.303.992.253 abitanti contro i 3.303.866.404 che vivono nelle campagne. Nei primi anni del Novecento solo il 10% della po- polazione viveva in città e anco- ra negli anni Cinquanta era ur- banizzata solo una persona su quattro. Ciò significa miliardi di abitanti che sono nati o che si sono spostati verso le città. Tut- to è avvenuto e continuerà ad avvenire nel Sud del mondo: se- condo Habitat, l'agenzia delle Nazioni Unite per gli insedia- menti, il 95% della crescita ur- bana mondiale da qui al 2050 si registrerà negli agglomerati d’A- frica, d’Asia e d’America Latina; il 38% della crescita avviene nel- le baraccopoli che già “accolgono” un miliardo di abitanti e che rad- doppieranno nel prossimo ven- tennio. Le frontiere non sono sparite co- me si pensava con la caduta del muro di Berlino, ma vengono continuamente ridefinite; oggi esse non si innalzano più tra Est ed Ovest e nemmeno tra Nord e Sud, ma dentro le città, dove si contrappongono quartieri di clas- se alta e sobborghi. La città così frammentata, inve- ce di essere il luogo dell’incontro e dell’integrazione tra gruppi so- ciali diversi per livello economico, cultura e provenienza, si sta tra- sformando in una sorta di arci- pelago di tante isole, che spesso si convertono in enclave, ghetti e quartieri dormitorio, e segnano un orizzonte urbano sempre più privo di una sintesi architetto- nica, politica e sociale. Da un la- to, la città offre una globalità senza frontiere – per merci, im- magini e messaggi –, dall’altro propone una frammentazione crescente delle opportunità, per persone, ceti e quartieri. Come osserva il sociologo Zygmunt Bauman, le città «sono piene di uomini costantemente in cerca di qualcosa d’altro. Sembra che cor- Ma come fanno i marinai Partono dalla Puglia o dalla Sicilia. Se ne vanno al largo, inverno ed estate, a pescare. A volte va bene, a volte meno. Ogni tanto incrociano le barche dei migranti, che magari affondano. E allora diventano pescatori di uomini pag 3 © Francesco Cocco / Contrasto Migranti a Lampedusa intercettati dalla Guardia costiera

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News Porta il tuo cuore in Africa di Arnoldo Mosca Mondadori Lo Spunto Adozioni pag2 popolare, polemico, politico www.amaniforafrica.org le difficoltà di un negoziato di Pier Maria Mazzola pag 4 pag 5 di Renato Kizito Sesana pag 7 a cura di Lella Pennisi Spedizione in A.P. D.L.353/2003 (conv.in L.27/02/2004 n.46) Art.1 comma 2, DCB Lecco di Fabrizio Floris* Anno VII,n.4 – Ottobre 2007 Migranti a Lampedusa intercettati dalla Guardia costiera a pag. 2 © Francesco Cocco / Contrasto

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Porta il tuo cuore in Africa

Anno VII, n. 4 – Ottobre 2007Spedizione in A.P.

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)Art. 1 comma 2, DCB Lecco www.amaniforafrica.org

E invece sono lupi

di Arnoldo MoscaMondadori

pag 2 Lo Spunto

Sembène Ousmane:popolare, polemico, politico

di Pier Maria Mazzola

pag 4 News

Nord Uganda, le difficoltà di un negoziato

di Renato Kizito Sesana

pag 5

Un sms per lo sviluppoa cura di Lella Pennisi

pag 7 Adozioni

a pag. 2

News

AMANIUn mondo

di cittàdi Fabrizio Floris*

Se ne discuteva da oltre un de-cennio, ma la notizia si è mate-rializzata il 23 maggio 2007. Nes-sun conto alla rovescia ha scan-dito l’evento; non ci sono statedirette televisive; qualcosa di sto-rico ci è passato davanti senza chece ne rendessimo conto: per laprima volta la popolazione che vi-ve nelle città ha superato quellainsediata nelle campagne. Il da-to è stato verificato dall’Univer-sità della North Carolina e daquella della Georgia che studia-no la crescita della popolazioneterrestre.In base alle proiezioni statisti-che risulta che il 23 maggio2007 erano insediati nelle città3.303.992.253 abitanti contro i3.303.866.404 che vivono nellecampagne. Nei primi anni delNovecento solo il 10% della po-polazione viveva in città e anco-ra negli anni Cinquanta era ur-banizzata solo una persona suquattro. Ciò significa miliardi diabitanti che sono nati o che sisono spostati verso le città. Tut-to è avvenuto e continuerà adavvenire nel Sud del mondo: se-condo Habitat, l'agenzia delleNazioni Unite per gli insedia-menti, il 95% della crescita ur-bana mondiale da qui al 2050 siregistrerà negli agglomerati d’A-frica, d’Asia e d’America Latina;il 38% della crescita avviene nel-le baraccopoli che già “accolgono”un miliardo di abitanti e che rad-doppieranno nel prossimo ven-tennio. Le frontiere non sono sparite co-me si pensava con la caduta delmuro di Berlino, ma vengonocontinuamente ridefinite; oggiesse non si innalzano più tra Ested Ovest e nemmeno tra Nord eSud, ma dentro le città, dove sicontrappongono quartieri di clas-se alta e sobborghi.La città così frammentata, inve-ce di essere il luogo dell’incontroe dell’integrazione tra gruppi so-ciali diversi per livello economico,cultura e provenienza, si sta tra-sformando in una sorta di arci-pelago di tante isole, che spesso siconvertono in enclave, ghetti equartieri dormitorio, e segnanoun orizzonte urbano sempre piùprivo di una sintesi architetto-nica, politica e sociale. Da un la-to, la città offre una globalitàsenza frontiere – per merci, im-magini e messaggi –, dall’altropropone una frammentazionecrescente delle opportunità, perpersone, ceti e quartieri. Comeosserva il sociologo ZygmuntBauman, le città «sono piene diuomini costantemente in cerca diqualcosa d’altro. Sembra che cor-

Ma come fanno i marinaiPartono dalla Puglia o dalla Sicilia. Se ne vanno al largo, invernoed estate, a pescare. A volte va bene, a volte meno. Ogni tantoincrociano le barche dei migranti, che magari affondano. E allora diventano pescatori di uomini pag 3

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rano e invece sono fermi, in unacondizione di angosciante stati-cità. Credono di intercettare, diinterpretare il cambiamento.Stanno bene solo quando arri-vano prima degli altri, e questoindipendentemente da quale siala meta». C’è anche chi la metala conosce, ma non ha le oppor-tunità per raggiungerla. Per que-sto nessuno si sente a casa pro-pria, pur non sentendosi nem-meno a casa degli altri.Occorre quindi ripensare le cittàa partire dalle frontiere, per farsì che non siano più uno sbarra-mento, ma un passaggio. Essesegnalano a uno stesso tempo lapresenza altrui e la possibilità diricongiungersi.Le frontiere non si cancellano,dunque: vengono ridisegnate. Ilnostro compito è di “stare” suqueste frontiere, di abitarle af-finché siano un punto di incon-tro e un momento di risposta.Come ci ricordava Italo Calvino(Le città invisibili): «In una cittànon godi delle sette o delle set-tanta meraviglie, ma della ri-sposta che sa dare a un tuo pro-blema». Ad esempio il problemadella terra nei paesi del sud oquello degli alloggi vuoti in quel-li del nord (solo l’Italia ha5.324.477 abitazioni vuote!). Ilmercato ha grandi capacità diprodurre e accumulare beni, maè incapace di ridistribuirli: lo spa-zio sta diventando solo la formaterritoriale della moneta.Il problema attuale di chi vivenelle zone rurali del Sud del mon-do è la mancanza di possibilità discegliere. Si migra verso le areeurbane perché forzati dai bisognifondamentali, perché dove si stanon c’è cibo e acqua a sufficien-za. Nelle periferie, poi, si vivrà incondizioni simili se non peggio-ri, perché all’impoverimento ma-teriale potranno associarsi altreforme di deprivazione sociale,culturale e umana. In città, tut-tavia, le opportunità quanto me-no esistono, così come una mag-giore probabilità di cambiare lapropria condizione; ma sarebbeanche possibile migliorare le con-dizioni di vita delle zone rurali.Per lo sviluppo delle baraccopo-li e dei villaggi non c’è bisogno diun’agenda lunga e complessa. Ilrispetto di alcune priorità puòcambiare radicalmente la realtà:risolvere il problema della ter-ra, garantire la certezza dei dirittie sostenere gli investimenti. Mabisogna volerlo. E da questo si èancora lontani.Il vescovo sudafricano DesmondTutu al Forum Sociale Mondia-le di Nairobi ci ha ricordato cheè «certo che sappiamo di avereuna terra in cielo, ma ne voglia-mo un pezzettino anche quag-giù». La sfida che abbiamo da-vanti si giocherà nelle periferie.È qui che l’umanità si eleverà osi degraderà. L’Africa ci mostraquante frontiere dobbiamo anco-ra varcare nei nostri quartieri,nelle nostre politiche e nelle no-stre economie per ricongiunger-ci agli altri, e a noi stessi.

*Fabrizio Floris è ricercatore di antro-pologia economica. Autore di Eccessi dicittà. Baraccopoli, campi profughi e cittàpsichedeliche (Paoline, 2007).

Lo Spunto

Kivuli Centre, un progetto educativo nato dall’iniziativa dei giovani della co-munità di Koinonia, che a Nairobi accoglie e sostiene i bambini di strada didue grandi baraccopoli della capitale. Il Centro Kivuli accoglie in forma residenziale 60 bambini di strada curan-done la crescita e l’educazione, copre le spese scolastiche di altri 70 bam-bini ed è aperto con vari progetti animativi a tutti i bambini del quartiere. Kivuli è diventato un punto di riferimento per i giovani e per gli adulti, conun progetto di microcredito, laboratori artigianali di avviamento profes-sionale, una biblioteca, un dispensario medico, un progetto sportivo, unlaboratorio teatrale, una sartoria, un pozzo che vende acqua a prezzi cal-mierati, una scuola di lingua, una scuola di computer e uno spazio sededi varie associazioni, aperto a momenti di dibattito e confronto per i gio-vani del quartiere.

Casa di Anita, una casa di accoglienza sorta a N’Gong (piccolo centro agri-colo a 20 km da Nairobi), curata da tre famiglie keniane, inaugurata nell’a-gosto 1999. La Casa di Anita accoglie 60 ex bambine di strada, alcune or-fane e altre figlie di famiglie poverissime, vittime di abusi sessuali, inseren-dole in una struttura familiare e protetta, permettendo una crescitaaffettivamente tranquilla e sicura.

Mthunzi Centre, un progetto educativo realizzato dalle famiglie della comu-nità di Koinonia di Lusaka (Zambia) a favore dei bambini di strada. Il Cen-tro Mthunzi, oltre ad accogliere 60 bambini di strada in forma residenzialecurandone la crescita e l’educazione, è un punto di riferimento per la popo-lazione locale, con il suo dispensario medico e con i suoi laboratori di fale-gnameria e di sartoria per l’avviamento professionale.

Riruta Health Project, un programma di prevenzione e cura dell'Aids, in col-laborazione con Caritas Italiana che offre assistenza a domicilio a malati ter-minali e a pazienti sieropositivi nelle periferie di Nairobi.

Centro Educativo Koinonia, due scuole primarie sui monti Nuba che ga-rantiscono l’educazione di base (l’equivalente della formazione elementaree media in Italia) ai bambini della zona circostante, in assenza di altre strut-ture scolastiche. Attualmente ognuna delle scuole ha circa 600 alunni. Il pro-getto include anche una scuola magistrale per selezionare e formare gio-vani insegnanti nuba (circa 50 ogni anno) in modo da riattivare la rete sco-lastica autogestita dalle popolazioni della zona.

News from Africa, un’agenzia di informazione mensile prodotta da giovaniscrittori e giornalisti africani, che raccoglie notizie e articoli di approfondi-mento provenienti dai paesi dell’Africa subsahariana per poi diffonderle intutto il mondo per via telematica e cartacea. www.newsfromafrica.org

Africa Peace Point, organizzazione laica e apolitica che si prefigge la realizza-zione di iniziative popolari per la costruzione e la diffusione di una cultura dipace nelle comunità africane; la sede è a Nairobi, dove APP si è dotata di uncentro di documentazione e ha creato uno spazio in grado di ospitare forum,sessioni di formazione sulla pace e incontri tra gruppi di base.

Amani People’s Theatre, una compagnia di giovani attori che lavorano per unacultura di pace utilizzando il teatro per la mediazione di conflitti, con performancee rappresentazioni nei campi profughi del Kenya e nelle comunità di base.

Geremia School, una scuola di informatica che fornisce una formazione pro-fessionale di qualità, nell’ottica di contribuire a colmare il digital divideNord/Sud.

Ndugu Mdogo (Piccolo Fratello), un progetto dotato di tre strutture: una ca-sa che accoglie in forma residenziale 40 bambini; un centro diurno di pri-ma accoglienza con un pasto caldo, cure mediche, scuola e affetto; un isti-tuto di formazione per educatori professionali.

Siamo seduti intorno a un tavo-lo, a una serata di inaugurazionedi un importante spazio milane-se. C’è una coppia di fronte a mee mia moglie. Il marito: «Sapete,siamo di ritorno da Nairobi». Col-go subito l’occasione per parlareanche di Amani, ma il marito cam-bia discorso, la butta sul politico:«Non si sta più bene, come ai tem-pi di Moi». La moglie sorride sod-disfatta.Intervengo: «Come?... Ai tempidi Moi1? Ma era un criminale!». Ilmarito: «È un discorso troppo lun-go, per capire bisognerebbe par-lare molto». Avrei molto da ridi-re ma mi trattengo: vicino a mec’è un caro amico, che ha orga-nizzato la serata e non mi va di ro-vinargli il clima. La moglie: «Stia-mo facendo molto per l’Africa», elo dice con un sorriso così com-piaciuto che l’azzurro vitreo de-gli occhi si unisce a uno strano scintillio del gioiello che por-ta sulla mano sinistra, la stessa mano che dopo un istante al-za e mostra a tutti noi: «Sì, faccio gioielli, sapete, gli africaninon sanno cosa siano le pietre preziose… Non sanno come la-vorarle… Se non ci fossimo noi….».Il marito le sorride e le sfiora la mano con una carezza. Miamoglie mi guarda impallidendo, tento di nuovo di parlare dibambini di strada; il marito, dopo due brevi e misurati colpidi tosse, interviene: «Quei bambini danno fastidio ai turisti,danno fastidio a tutti». A questo punto è tale la rabbia mistaalla tentazione di alzare le mani che mi giro verso mia mogliee interrompo qualsiasi contatto con la zona del tavolo in cuisi trova la coppia.Ma il marito ci chiede: «Conoscete...?» e cita il nome di una

nota organizzazione che si occu-pa di progetti in Africa. «Sapete,parte dei guadagni raccolti con igioielli li versiamo a questa asso-ciazione». Vedo chiaramente il de-monio, che si ferma per un istan-te sul nostro tavolo, accanto allacoppia che ora si bacia piena di or-goglio.E mi vengono in mente in quelmomento tanti ricchi milanesi cheho incontrato negli ultimi mesi.Ricordo quel noto editore, cheaveva promesso una ragguarde-vole donazione davanti a testi-moni e poi è scomparso, oppurequel grande finanziere (chi non loconosce?) che promise «un im-portante contributo» – e se anco-ra oggi mi incrocia per strada mievita. Mi vengono in mente tuttii loro sguardi, identici a quelli diquesta coppia che ho di fronte, epoi, improvvisamente, quelle me-

ravigliose parole del Vangelo: "Si travestono da agnelli e in-vece sono dei lupi".Mi volto: non ci sono più. Mi sembra di intravederli dallagrande finestra di vetro: camminano veloci, poi sempre più infretta. Li vedo sempre più lontani: sembra che si siano chinatie che usino anche le mani per correre via. Ora corrono chia-ramente a quattro zampe. Con mia moglie esco per guardaremeglio. Accanto a loro ci sono ora anche gli altri lupi: c’è l’e-ditore, c’è il finanziere. Si annusano, si riconoscono e proce-dono in gruppo. Il branco è al completo. Stiamo attenti.

1. Daniel arap Moi, presidente del Kenya dal 1978 al 2002.

*Arnoldo Mosca Mondadori è direttore della collana “I libri di Arnoldo Mosca Mon-dadori”, Frassinelli.

da pag. 1 Un mondo di città

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Progetti

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er tutto il tragitto daBari a Mola di Bari ho pensato aquel disegno e a quella frase: suuna cartolina di Orgosolo, picco-lo borgo della Sardegna, c’è unodei murales di cui si colorano lesue stradine. C’è scritto: «Feliceè il popolo che non ha bisogno dieroi». Credo sia una frase di Ber-tolt Brecht. Sotto è disegnato unvecchio dalla barba bianca che siregge su un bastone. Mi recavo a Mola per conoscere,guardare, e parlare con Vincen-zo Nardulli, professione pesca-tore di lungo corso. Prima di co-noscerlo era per me “solo” il cu-stode di una storia stupenda chenasce da un paese a sud di Bari.Uno dei tanti che vivono di pe-sca e turismo. Vincenzo Nardul-li il 20 luglio ha ricevuto il pre-mio «Per mare – Al coraggio dichi salva vite in mare», iniziati-va dell'Alto commissariato Onuper i rifugiati (Acnur), Capita-nerie di porto e Guardia costie-ra. Di Vincenzo Nardulli sapevoanche il motivo per cui que-st’uomo era stato insignito di unpremio così importante. Circa unanno fa, in un pomeriggio di ven-to, navigando a sud di Malta abordo del “Saverio De Ceglia”c’erano con lui suo fratello Giu-seppe e due marinai. Quattropersone. Spinte lontano da casasolo per far fruttare un’attivitàche spesso conosce periodi di ma-gra. In quelle acque al centro delMediterraneo non è difficile in-crociare la solitudine di imbar-cazioni cariche di profughi consperanze e orizzonti che seguo-no l’altalenarsi delle onde. Dal-la poppa del “Saverio De Ceglia”Vincenzo Nardulli scorge un bar-cone alla deriva, ormai senzacontrollo e con a bordo decine diprofughi, scappati da chissadovee con destinazione un non meglioprecisato punto sulla terra ferma.Un Belpaese. Il barcone vieneavvistato proprio nel momento incui inizia ad affondare, impen-nandosi e inabissandosi dallapoppa. Vincenzo con il suo equi-paggio salva uno, uno, un altroancora. Tredici. Ben tredici per-sone.Questo racconta la cronaca. Maio mi trovavo lì non solo per sen-tire con voce originale un susse-guirsi di fatti compassionevoli estrappalacrime. Ero lì per ascol-tare la peggiore declinazione del-le migrazioni con i suoi attori im-provvisati e sprovvisti di copioneattraverso la voce narrante diuna straordinaria persona co-mune.L’accoglienza singolare che rice-vo a bordo del “Mandingo”, lanuova imbarcazione del signorVincenzo, mi fa intuire che sto-

rie di moderni eroi del mare so-no purtroppo cosa assai diffusa.L’uomo che mi riceve a bordo èun ennesimo Vincenzo salvatoredi naufraghi (come titolò un quo-tidiano) che quanto l’originale èdepositario di altri strazianti nu-merosi salvataggi. Con la pro-verbiale ironia levantina dei dia-letti pugliesi mi chiede una breveintervista che concedo volentierinell’attesa di essere ricevuto. Po-co dopo vengo condotto nella ca-bina di comando dove vengo ac-colto con una energica e sincerastretta di mano da Vincenzo. Unsignore dall’aria giovanile, daimodi gentili ed accomodanti econ un morbido sorriso alla Wal-ter Matthau: «Le cose devonocambiare presto sennò succedeun macello. Penso che quelli han-no ragione. Se io stavo bene a ca-sa me ne stavo a casa», dice conle mani unite di chi si domandaqualcosa e trasmettendomi l’in-quietudine di chi si meravigliaper un messaggio che tarda adessere compreso. «Quelli – pro-segue – per rischiare la vita... checosa vuol dire? Se va bene, va be-ne. Sennò meglio morire così.Che ne sappiamo noi in Italia diche cosa significa vivere lì con laguerra e la fame? Questi sono po-poli che non hanno nulla nem-meno per fare la guerra». A Vin-cenzo avevo appena chiesto checosa ne pensasse della situazionedei profughi. La pronta rispostanon fu né veemente né concita-ta. Mi palesava con straordinarialucidità e consequenzialità le ra-gioni per cui questo tempo stagenerando questi frutti. Poco pri-ma mi aveva raccontato, in mo-do rapido ma molto dettagliato,la vicenda che lo ha reso celebre.«Erano stremati»; «Uno di 16 an-ni viaggiava a bordo con la ma-dre e i cinque fratellini. Dette dimatto quando si rese conto di es-ser rimasto solo». «Sembravanoringraziarti già con gli occhi. Nonavevano la forza di parlare». Maiuna volta dal suo volto così ac-cogliente e paterno ho scorto unbenché minimo messaggio dipietà e buonismo incondizionato.Si leggeva solo un profondo sen-so di comprensione e di umanità.

Ciò che veramente lo alterava eraricordarsi di come fu palleggia-to, dopo il recupero in mare, traItalia e Malta per i soccorsi. Vin-cenzo trova incomprensibile laquestione politico-amministra-tiva: «Che mi avessero chiesto,vuoi qualcosa? Tu stai bene? Nul-la. Mi dissero solo di andare aMalta». I connazionali prima.«Addirittura volevano facessi pu-re la dogana per ripartire e per-dere un altro giorno di pesca». Imaltesi, poi. Mi giustifica così ilmotivo per cui alcuni suoi colle-ghi hanno riserve a caricare gen-te. La burocrazia eccessivamen-te anaffettiva in cui viene la-sciato chi casualmente si ritrovaprotagonista in una storia così.«Questo per i vivi recuperati. Peri morti è un altro problema». Sul-la panca mi disegna con un ditotraiettorie e rotte. Indica puntisull’orizzonte. Gli chiedo delpremio appena ritirato e, perquanto volesse minimizzare la suaimpresa, gli occhi gli brillavanoricordando le strette di mano di al-ti ufficiali e facendo trapelare l’or-goglio dei suoi tre figli, grandi econsapevoli dell’uomo ecceziona-le che chiamano padre. Non era unluogo comune dirmi: «Non ho fat-to nulla di speciale», se la vocetrovava ulteriore forza in occhitrasparenti. L’uomo del porto lochiama dalla banchina. Gli ricor-da che è domenica con tutti i suoirituali e cerimoniali della tavola.Sono le 12:30. E anche Vincenzodeve andare dalla sua famiglia.Mentre lo guardavo e cercavo diabbozzare un sincero ringrazia-mento per la sua disponibilità chenon cadesse nel solito stucchevo-le saluto, il capitano mi inter-rompe con viso sornione dicendo-mi: «Che vuoi che ti dica? Se litrovo di nuovo li prendo di nuovo.Speriamo che non li trovo. Se litrovo non è che mi posso giraredall'altra parte. Li devo prenderee basta». Una frase che non la-scia adito a dubbi e incertezze.Come il saluto che ci scambiamosul pontile con il crepitio del legnoproprio delle cose vere. Consu-mate ma resistenti.

*Antonio Spera è volontario di Amania Bari.

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Dossier

di Antonio Spera*

Pescatori di uomini

Vincenzo non èun eroe, però...

Ha salvato, insieme al suoequipaggio, tredici persone.«Nulla di speciale. Mica mi

posso girare dall'altra parte»,sostiene il capitano Nardulli

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In questa prima edizione di “Per mare – Al coraggio di chisalva vite in mare” sono stati premiati gli equipaggi di tremotopescherecci per i salvataggi compiuti nel 2006. Hanno ritirato i premi Vincenzo Nardulli e Salvatore Cifali,capitani rispettivamente della “Salvatore De Ceglia” e del-la “Anadro”, e Davide Russo, figlio del capitano della “Ofe-lia I”, Pietro.Secondo l'Acnur sono stati almeno 200 i morti e i disper-si nel solo mese di giugno nelle acque tra Nord Africa, Mal-ta e Italia.Fortress Europe (http://fortresseurope.blogspot.com/) hacensito quasi 10.000 “vittime della frontiera” dal 1998: inmare, ma anche nei tir.

Al coraggio di chi salva vite in mare

Il capitano Nardulli

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Migranti nel Mediterraneo

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Algeria

Ghana

Costad’Avorio

Liberia

Sierra Leone

GuineaGuineaBissau Benin

Togo

Libia Egitto

Sudan

Rep.Centrafricana

Etiopia

Eritrea

Gibuti

RuandaBurundi

R.D.Congo

Gabon

Camerun

Nigeria

Niger

Burkina Faso

Guinea Eq. Congo

Tanzania

Uganda

Malawi

Swaziland

LesothoSudafrica

Zambia

Botswana

Namibia

AngolaMozambico

Madagascar

Comore

Seicelle

Zimbabwe

Kenya

Mauritania Mali

Marocco

Ciad

Somalia

Tunisia

SenegalGambia

Capo Verde

Nel 1958 la rivista americana Forbes pubblicòper la prima volta l’elenco dei più ricchi nelmondo. La lista era formata da 140 persone cheavevano almeno un miliardo di dollari. Oggil’elenco contiene 946 nomi e, soprattutto, ben153 hanno fatto la loro apparizione fra il gen-naio 2006 e il gennaio 2007. Com’è generosala globalizzazione con chi è già ricco!Nell’elenco, guidato sempre da Bill Gates con56 miliardi, figurano “Paperoni” di ogni conti-nente, salvo – naturalmente, vien da dire – l’A-frica. Se qualche simpatizzante del grande con-tinente ne fosse dispiaciuto, si può ricordargliche almeno un terzo dei profitti ottenuti su suo-lo africano se ne va, segretamente, all’estero:è come se non esistessero. Oppure ricordare dit-tatori come Mobutu o Abacha, miliardari e cri-minali doc.

In Breve

Africa senza “Paperoni”

Africa dei contrasti. Il grande continente lo di-mostra anche nella politica relativa alle “quo-te rosa”. L’Africa vanta infatti un primato mon-diale in questo campo: il Ruanda con il 48,8%di donne in parlamento ha superato i paesinordici europei. Purtroppo, nelle 53 nazioniafricane i vertici rimangono saldamente ma-schili. Il campo femminile può vantare la pre-sidenza della Liberia, quattro vicepresidentie un primo ministro (in Mozambico); le de-tentrici di ministeri importanti sono ventuno.«Ma il vero problema è un altro», dice Wan-gari Maathai, Nobel per la Pace 2004, che nel1971 fu la prima donna a conseguire la libe-ra docenza nell’Africa dell’Est. «Nella povertàvige una legge: il poco che c’è va agli uomi-ni. Le donne devono arrangiarsi»

Quote rosa e nere

L’Africa sembra correre in soccorso del mon-do occidentale angosciato dal problema delriscaldamento climatico globale. Dal conti-nente, che spesso i paesi ricchi trattano co-me deposito di rifiuti, viene una notizia rela-tivamente confortante: i ghiacciai del Kili-mangiaro, dati ormai per praticamente estinti,resistono e rimandano la loro fine.Sul massiccio montuoso della Tanzania, alto5.895 metri, i ghiacciai – o, se volete, le fa-mose «nevi del Kilimangiaro» di popolari filmhollywoodiani – non spariranno nei prossimianni come avevano previsto molti ricercato-ri. Studiosi austriaci, dopo anni di misurazionisu temperature, radiazioni solari, umidità,vento e precipitazioni, hanno rinviato a dopoil 2050 il momento critico per i ghiacciai ada-giati sul vulcano spento che è la più alta ci-ma dell’Africa.

Ma il Kilimangiaro resiste

Maurizio

Sahara Occ.

Il cinema di Sembène Ousmane

AMANI

S.Tomée Principe

di Pier Maria Mazzola*

Popolare, polemico, politico

er primo se n’è andato il più giovane, quasi dieci an-ni fa. Il più fantasista, forse il più poeta, dei registi africani. Dji-bril Diop Mambéty. Adesso è toccato al patriarca, anch’egli se-negalese: Sembène Ousmane. Era la notte tra il 9 e il 10 giu-gno, aveva 84 anni e ancora un film da girare: La confraternitadei topi. Sarebbe stato un altro dei suoi affondi – questa voltariguardante la corruzione – nella società che ben conosceva, lasua. Lo avrebbe fatto chirurgicamente, senza dubbio, e con iro-nia. Perché Sembène, che era nato scrittore, era passato al ci-nema per rendere più popolare il suo impegno civile. Contro l’op-pressione, tutte le oppressioni, di non importa quale prove-nienza: coloniali o neocoloniali, e soprattutto se africane. Di classeo di religione. O di “cultura”: come in Moolaadé, il suo film con-tro le mutilazioni genitali femminili uscito l’anno scorso anchesugli schermi italiani (e in dvd per Feltrinelli).Sembène sapeva di che parlava. Il suo primo romanzo, Le dockernoir (1956), aveva dato voce agli scaricatori di porto di Marsi-glia, città dove lui stesso era sbarcato, clandestino, dieci anniprima. E il suo primo lungometraggio, La noire de…, raccon-tava una (tragica) storia di immigrazione al femminile.Fu praticamente lui a tenere a battesimo il cinema africano, an-che se ad altri va l’onore della primogenitura. In ogni caso nefu il primo, autorevole ambasciatore, a partire dal 1963. Gli ba-starono 18 minuti per un cortometraggio che, senza lasciarsi

tentare dagli sperimentalismi allora in voga nel cinema euro-peo, anzi prediligendo la linearità, ancora oggi cattura il pub-blico. In Borom Sarret – un carrettiere che si trova a che farecon un religioso musulmano, quindi con un neoborghese e poicon un agente – c’è già «tutto ciò che maturerà con gli anni nel-l’opera del regista senegalese», annota Cinemafrica.org. Il bo-rom sarret «è simbolo dell’uomo del popolo schiacciato dalla bu-rocrazia e dalle forze politiche e religiose».La burocrazia, kafkiana come non mai, è invisibile protagoni-sta anche di Le mandat: un vaglia inviato da un emigrato in Fran-cia alla sua famiglia a Dakar, e impossibile da riscuotere. Il film,una commedia amara, rappresentò la prima volta dell’Africa aVenezia, nell’ambito di quella complicata edizione che fu laMostra del ’68, e meritò al suo autore il Premio della critica in-ternazionale. Vent’anni dopo, Sembène porta al Lido CampoThiaroye, un film che ricostruisce il massacro da parte dei fran-cesi, nel 1944, di un battaglione di militari africani smobilita-ti che avevano combattuto per la Francia e ai quali Parigi ne-ga il soldo. Di nuovo si porta a casa un premio. Ma il vero premio (l’ultimo in ordine di tempo è stato l’italia-no Nonino, attribuitogli a Udine il gennaio scorso) era per luiil favore del pubblico, di quegli “eroi quotidiani” alla cui in-tenzione egli concepiva le sue opere. Soprattutto le “eroine”.Da Diouana, l’umiliata colf che si uccide perché «io non saròuna schiava», a Collé Ardo, la travolgente pasionaria contro l’e-scissione, nel cinema di Sembène le donne hanno quasi sempreun ruolo fondamentale. L’ammirazione per loro, confessò ungiorno, gli veniva dall’aver osservato il loro atteggiamento «du-rante gli scioperi in epoca coloniale: erano loro i pilastri del mo-

vimento». Lo facevano loro, lo sciopero: dell’amore, se il mari-to non si univa ai compagni in agitazione. E organizzando il pic-chettaggio. E poi bisognerebbe citare almeno i titoli di Emitaï,Guelwaar, Faat-Kiné… Come ha confermato Fatou Kiné Camara,professoressa universitaria senegalese – docente di diritto e«soprattutto femminista africana» –, quella di Sembène è la «don-na dalle tre “P”: popolare, polemica, politica».Esattamente come lo sono i suoi film.

*Pier Maria Mazzola è giornalista. Collaborò al lancio, nei primi anniOttanta, della Rassegna di cinema africano di Verona.

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Sembène Ousmane durante le riprese di Moolaadé

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5AMANI

NewsNord Uganda in cerca di pace

l nord dell’Uganda è stato devastato da una guerra ci-vile crudele, che ha visto bambini rapiti e forzati a combatte-re, ragazze rapite, violentate e costrette a vivere come mogli deiribelli. Il movimento che è il primo responsabile di questa guer-ra è il Lord’s Resistance Army (Lra, Esercito di resistenza delSignore); si chiama così perché nacque nel 1987 con motivazionireligiose, già molto confuse all’inizio, che nei venti anni di guer-ra sono state completamente distorte e utilizzate per imporreriti e pratiche che non hanno la benché minima e lontana re-lazione con il Signore. Dal luglio 2006 una delegazione dello Lra partecipa a un tavo-lo di negoziati a Juba, capitale del Sud Sudan, assieme a unadelegazione del governo ugandese. Il cui esercito – bisogna sot-tolinearlo – nel corso di questa lunga guerra civile non ha man-cato di praticare gravissimi abusi di diritti umani, i quali peròin genere sono stati sottaciuti, in nome della vicinanza del go-verno ugandese al mondo occidentale. Le due parti, dopo ap-pena un mese di negoziati – che hanno visto come mediatore ilvicepresidente del Sud Sudan Riek Machar –, hanno firmato nel-l’agosto dello scorso anno un accordo di cessazione delle osti-lità che resta finora il risultato più importante dei colloqui.

Sono stati molti i fattori che hanno spinto i leader dello Lra adaccettare di sedere a un tavolo, rinunciando alle azioni arma-te. Innanzitutto il crescente e sempre meglio coordinato inter-vento militare del governo ugandese; poi le pressioni di vari grup-pi della società civile, non ultimi i leader tradizionali e religio-si (tra i quali ha avuto, e mantiene, un ruolo preponderante JohnBaptist Odama, l’arcivescovo di Gulu); infine la condanna deiquattro principali leader dello Lra da parte della Corte penaleinternazionale. Altre istituzioni locali e internazionali sono en-trate successivamente a far parte del processo di pace. Si puòanche pensare, anche se ciò non è mai stato riconosciuto dalloLra, che i leader del movimento si siano resi conto che la gen-te era ormai sfinita da questa guerra e che quindi temessero diperdere completamente ogni sostegno.Dopo il promettente avvio dei colloqui lo scorso anno, è però se-guito un lungo stallo. Probabilmente perché da un lato i mem-bri della delegazione, per lo più non militari, scelti dai leaderLra fra i membri della diaspora acholi1 , non si sentono suffi-cientemente in contatto con la leadership. Dall’altro lato, mol-ti di questi delegati non hanno una specifica competenza di-plomatica e – come alcuni di loro mi hanno confidato – «non han-no nessuna fiducia né nella controparte, né nel mediatoreprincipale, né nelle istituzioni che assistono la mediazione» equindi temono di essere indotti a firmare documenti che po-trebbero rivelarsi, in un secondo momento, delle trappole.La mancanza di fiducia nei negoziatori divenne molto chiaraquando, alla fine dello scorso dicembre, la delegazione Lra se

ne andò da Juba e in un comunicato stampa di metà gennaiodichiarò che voleva fossero cambiati sia la sede dei colloqui siail mediatore sia il team che lo appoggiava. Nessuno fu capacedi impedire questo passo. I colloqui sono ripresi solo a fine apri-le, quando lo Lra è stato convinto ad accettare lo stesso luogoe lo stesso mediatore, in cambio di vantaggi materiali e sottouna pressione internazionale enorme.

I colloqui sono incominciati per merito di alcuni membri delladiaspora acholi, che dopo essere tornati in Uganda sono riusci-ti a organizzare alcuni incontri con la leadership Lra. Dopo averriallacciato i rapporti e stabilito un’intesa basata sulla recipro-ca fiducia, sono riusciti a far passare l’idea che era importantearrivare a una pace negoziata per il bene di tutti.Il nucleo iniziale della delegazione Lra è nato così intorno a per-sone che avevano un contatto continuo e positivo con la leader-ship e che si sentivano autorizzate a parlare a nome delle po-polazioni marginalizzate del Nord Uganda.Nell’iniziare questo processo la condanna della Corte penale in-ternazionale – al contrario di quanto viene talvolta affermato –ha avuto un ruolo molto marginale. Solo successivamente si ètrasformata in un serio ostacolo. Inoltre, con il passare del tempo e il costante cambiamento dimembri della delegazione dovuto al fatto che molti di loro han-no impegni professionali che non possono permettersi di so-spendere indefinitamente, la delegazione Lra sembra avere per-so il suo obiettivo iniziale: sono entrati in gioco interessi e ri-valità personali che hanno lentamente reso la mediazione piùdifficile e hanno scavato un solco fra la leadership Lra e la suastessa delegazione, al punto che oggi non si può mai essere si-curi che la delegazione rappresenti adeguatamente la leadership.Altri fattori concomitanti che hanno contribuito a indebolire icolloqui sono l’impreparazione del mediatore capo, l’inade-guatezza delle strutture e dei servizi dei locali dove si svolgo-no i negoziati (i quali sono praticamente una grande balera inriva al Nilo) e l’atmosfera di poca serietà, per non dire di cor-ruzione, che vi si respira. Per esempio tutti sanno che gli “al-berghi” e le strutture per i negoziati affittate a costi assoluta-mente esorbitanti appartengono a persone molto vicine – e chea volte coincidono – ad alte personalità del governo sudsuda-nese, eppure l’ufficio delle Nazioni Unite che gestisce econo-micamente i negoziati continua imperterrito in questa pratica.

Africa Peace Point, una ong keniana nata da Koinonia, ha ac-compagnato in questi mesi la delegazione dello Lra cercando difare capacity building e convincendoli a riprendere i negoziatia Juba, lo scorso aprile. Non è stata un’azione facile. Ci si è scon-trati con interessi consolidati di molte parti, perfino di asso-ciazioni e istituzioni che si sono nominate da sole “facilitatori”e che dovrebbero essere interessate a una rapida conclusionedei colloqui, ma che invece sembrano più che altro attente a pro-teggere la propria “zona d’influenza”. Abbiamo constatato che esiste un gran bisogno di persone com-petenti, credibili e neutrali per facilitare il proseguimento deicolloqui, in modo che non solo si arrivi a firmare una pace, mache questa risulti sostenibile a lungo termine, tenendo contodei legittimi interessi di tutte le parti coinvolte.

1. Gli acholi sono la popolazione principale dell'Uganda settentrionale:circa 800mila persone che vivono nei distretti di Kitgum, Gulu e Pader.Alcune comunità acholi vivono anche in Sud Sudan, nella zona al confi-ne con l'Uganda (NdR).

*Renato Kizito Sesana, giornalista e padre comboniano, è socio fonda-tore di Amani.

Le difficoltà di un negoziato

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Mentre l’Esercito di resistenza del Signore (Lra)continua a dichiararsi contrario ai mandati dicattura internazionali, il governo di Kampala haannunciato in luglio di voler creare un tribunalespeciale per giudicare i crimini commessi dai ri-belli nei vent’anni di conflitto in Nord Uganda. Il ministro degli interni, Ruhakana Rugunda, haprecisato che la futura corte non processerà in-vece i militari accusati di violazioni dei dirittiumani, già sottoposti alla giurisdizione internadell’esercito.Per Martin Ojul, capodelegazione dei ribelli ai col-loqui di pace di Juba, «è una notizia deludente.La responsabilità delle violenze riguarda en-trambi».

Quale tribunale per i criminali di guerra?

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di Renato Kizito Sesana*

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No, non è vero che i miracoli non esistono, c’è comunque chipersiste nel credere che la nostra vita e le nostre scelte a vol-te assumono la parvenza o quantomeno il profumo del mi-racoloso. Io sono fra questi. Il miracolo risiede forse nelle coin-cidenze che si adoperano per architettare gli incontri.Penso ad esempio all’incontro con alcune persone e a comesia cambiata la mia vita. Siamo fortunati e senza grandi me-riti, o siamo molto fortunati perché davvero lo meritiamo?Pensavo più o meno a questo mentre un giorno partivo daMilano, su un treno con direzione Venezia. A Vicenza sonostato costretto a scendere: treno bloccato, manifestanti sul-le vie ferroviarie.A Venezia si inaugurava la 52ª Biennale d’arte. In quei gior-ni era necessario un pass per l’ingresso; io non l’avevo manon disperavo, immaginando che non sarebbe stato compli-cato trovarlo. Indossavo una maglietta arancione regalatami da un amicodopo aver partecipato ad uno dei campi di volontariato cheAmani organizza nel mese di agosto in Kenya. Allora capitache un distinto signore mi incrocia e notando la mia maglietta

incomincia a spiegarmi chi è stata sua madre, quale il suoimpegno per i minori in Italia, a Milano e in Kenya; mi rac-conta un po' la sua storia e perché successivamente a un mul-tiplo lutto di due giovani ragazzi – uno a Nairobi e uno a Mi-lano – si pensò di dedicare a quella signora, Anita, una gio-vane casa che da poco era diventata la culla di ragazze ebambine con la voglia di essere, un domani, donne coraggiosee forti. Anita Pavesi in quei giorni perdeva un figlio e que-sto signore un fratello. A Nairobi moriva Andrew Awour.Così eccomi a raccontare di nuovo e a dare testimonianza deipiccoli miracoli della vita, degli incontri fortuiti con perso-ne qualunque con storie profonde da raccontare, con perso-ne straordinarie che hanno magari poco da raccontare ma tan-to da insegnare; e poi ripenso ad alcune storie di vite butta-te, calpestate, drogate, violentate, e a volte rinate con undiverso sorriso.Il treno riparte, il distinto signore mi regala il pass per la Bien-nale e io non dimentico che la Casa di Anita è un posto stu-pendo perché l’impegno e la volontà d’animo che le ragazzee le bambine usano per migliorarsi è tangibile nell’aria, e non

quantificabile. A volte, problemi anche molto complessi pos-sono avere una soluzione semplice. Basta cercarla, basta tro-varla, e avere un po’ di fortuna…

*Marco Colombaioni è volontario di Amani a Milano.

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Avevo dieci annidi Federica Paudice*

La prima volta andai in Africa con i miei genitori; era l’estatedel 1997 e avevo dieci anni. Mi rimase impresso il centro di Nai-robi; mi piaceva molto, anche se lo trovavo bizzarro: palazzi al-ti, moderni, grigi, vicino a gente scalza, mercati, piccoli pullmantutti colorati e carichi di persone anche sul tetto. Anche il quar-tiere di Riruta mi piaceva molto, c’era un piccolo bar dove an-davamo a comprare le bibite e mangiavamo delle specie di hotdog molto buoni, anche se piccanti e speziati. Era un bar pic-colissimo e modesto, però maniacalmente ordinato.Mi ricordo anche di una chiesa dove andammo a una messa mol-to diversa da quelle a cui ero abituata; mi sembrava più una fe-sta, le donne gridavano e cantavano, e avevano vestiti colorati.All’inizio non sono stata molto bene. Pensavo di essere anda-ta in vacanza ma il mare non c’era. E poi ero molto timida,ero l’unica bimba ed ero bionda con gli occhi azzurri; vivevola curiosità degli altri bambini con un po’ di timore. Dopo misono sbloccata, credo dopo una partita di calcio nel quartiere.C’era tantissima gente e io mi sentivo impaurita come non mai;poi Andrew – un educatore – mi ha preso la mano e anche Ki-zito si è messo vicino a me, e io mi sono sentita finalmente tran-quilla. Tra i ragazzi ricordo Paul, che era il più grande e mi diceva sem-pre che ero bellissima. Poi Joseph, a cui mio padre aveva rega-lato un cappello con le orecchie da Pippo e lui lo teneva addos-so tutto il giorno; mi diceva sempre «my sister, my sister». C’e-

rano poi tanti bimbi più piccoli che arrivavano al mattino e ri-partivano la sera: urlavano, gridavano, si rincorrevano, gioca-vano…Dopo qualche settimana conoscevo tutto e tutti. Mi sembravadi vivere in una grande famiglia dove ognuno aveva il suo ruo-lo, come se ognuno mettesse a servizio di tutti una parte di séstesso, o qualcosa che sapeva fare bene.È passato molto tempo. Non sono più tornata a Nairobi. Del-l’Africa non mi sono più interessata, nonostante sia cresciutain un ambiente familiare costantemente a contatto con la realtàdi Amani. Poi, qualche mese fa a Roma, mi è capitato di ascol-tare un intervento di Jean-Léonard Touadi, assessore alle po-litiche giovanili: l’argomento era la cooperazione. Non saprei spie-gare cosa sia accaduto ma d’un tratto ho sentito gli schiamaz-zi dei bambini di Koinonia, ho visto Joseph con il suo cappelloda Pippo, ho visto il colore rosso della terra africana, ho rivistogli occhi di Andrew. Tutto mi è ritornato nel cuore all’improv-viso. Una delle cose che diceva Touadi è che molte organizza-zioni si impegnano più nel portare a termine il loro progetto,nel reperire fondi, e non si soffermano a creare relazioni profon-de con le popolazioni locali. Citava lo storico Joseph Ki-Zerbo:«La mano che riceve è sempre sotto quella che dà».Se penso invece alla mia esperienza a Riruta mi vengono in men-te mani intrecciate, senza un sotto e senza un sopra, senza con-fini tra il dare e il ricevere. Mi viene in mente la famiglia di Koi-

nonia e Amani in cui le relazioni diventano legami. Sono que-sti legami che hanno resistito dentro di me tutto questo tem-po. E che, dopo dieci anni, mi fanno venire la voglia di tornare.

*Federica Paudice è volontaria di Amani a Milano.

Kivuli Centre

Piccolo Fratello

Nel 1995 mia madre morì. Vivere con la zia era difficile perchéera povera e senza lavoro. Così, anche per il fatto che mio pa-dre era malato di cancro e non poteva lavorare, non ci volle nul-la a finire sulle strade di Nairobi.Io e il mio gruppo siamo sopravvissuti con espedienti diversi:chiedendo la carità, raccattando cibo al mercato in cui era di-slocata la mia "base", ma anche – posso dirlo? – andando a ru-bacchiare in altri mercati: era l'unica possibilità che avevamo.Con altri due compagni decidemmo di spostarci a Mombasa. Eromolto giovane ma determinato, e mi sono messo a camminare,camminare e camminare, perché c'erano centinaia di colline frame e la mia destinazione. Arrivato a Mombasa, andai subito al-la spiaggia, perché non c'ero mai stato prima e perché mi ave-vano detto che stare in spiaggia era una delle cose migliori al

mondo. Lì incontrai un assistente sociale che mi parlò di un cen-tro di riabilitazione. Pensai che fosse per me un'opportunità. Co-sì, quando l'assistente sociale tornò e mi propose di seguirlo, ac-cettai con fiducia. Posso dirmi fortunato. Penso di essere stato sfortunato in pas-sato ma di avere avuto poi buona sorte grazie all'intervento diqualcuno. Considero ancora sfortunati tutti i bambini di stra-da, ma ora provo ad essere io colui che li renderà fortunati, co-sì come qualcuno ha fatto con me. Voglio essere il loro strumentodi trasformazione, l’occasione di una svolta. Dopo la laurea midedicherò esclusivamente a questo problema; il mio obiettivo ètrovare una soluzione.Se avessimo una soluzione già sperimentata per i bambini di stra-da che ancora soffrono negli slum, finalmente potremmo guar-

dare con più serenità al dramma dei ragazzi di strada di cui nes-suno sembra preoccuparsi: stiamo rinviando un problema sulpunto di esplodere e che poi sarà impossibile controllare. Se nessuno fosse allora intervenuto nella mia vita, io sarei an-cora uno di loro. Perciò è importante, per me, fare qualcosa perrestituire ciò che è stato donato a me. Il gruppo a cui offro il mio servizio resta la mia sfida, che saràvinta solo se si troverà una soluzione. Ma non dovrebbe essereuna sfida solo mia, bensì di tutti. Finché non avremo ottenutola pace nelle strade, non l'avremo raggiunta nel mondo.Perciò vorrei dare il benvenuto a tutti: venite nelle strade!

*Boniface Okada Buluma è un educatore di Koinonia a Nudgu Mdogo(Piccolo Fratello).

Venite nelle strade!di Boniface Okada Buluma*

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Una maglietta arancionedi Marco Colombaioni*

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La Casa di Anita

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ual è il suo ruolo in Koinonia, ecome l'ha conosciuta?

Frequento Koinonia dal 2000 ma ne sono di-ventato membro effettivo nel 2003. Vivevo vici-no al Kivuli Centre e, finita la scuola secondariae in attesa dei risultati dell’esame, cominciai apassare i miei pomeriggi al centro giovanile. Quiebbi la possibilità di frequentare la Andrew Schoolof Computer anche grazie al fatto che la retta erabassa; ero molto interessato, mi sembrava un’oc-casione importante per apprendere l’informati-ca e sono stato uno dei primi studenti. Ero il pri-mo della classe, anche se ero il più piccolo.Il giorno della consegna del diploma fui notatoda un manager che mi offrì una borsa di studiopresso la sua stessa compagnia informatica. Ave-vo 21 anni. Iniziai così a seguire il corso e con-temporaneamente a lavorare: riparavo i compu-ter e curavo la manutenzione.

E i suoi pomeriggi al Kivuli?Continuai a frequentare il Centro come volon-tario, insegnando alla Andrew School per sei me-si. Finito il corso, ho ottenuto un’altra borsa distudio per diventare programmatore, ma cheavrebbe coperto solo la metà delle spese; io nonavevo i soldi necessari, così chiesi aiuto a padreKizito e con lui trovai la soluzione. Finita la for-mazione iniziai a lavorare in azienda come pro-grammatore. Mi chiamavano molte compagnieesterne per i loro database. La mia carriera erain ascesa.

Con tutti questi impegni come trovava iltempo per le attività di Koinonia?Durante questi cinque anni di lavoro sono riu-scito a seguire sempre Koinonia e le sue attività.Ma ad un certo punto la mia visione della società,in sintonia con quella di Koinonia, e quella del-l’azienda non coincisero più, e quando mi fu pro-posto il rinnovo del contratto mi sentii scoppia-re dentro.Mi consigliai con Kizito: avevo già molte richie-ste come privato professionista e pensavo di met-termi in proprio. Kizito mi sostenne e incorag-giò ad andare avanti da solo. Koinonia mi sup-portò dandomi un piccolo ufficio alla ShalomHouse, affidandomi dei lavori di manutenzionee anticipandomi una cifra per iniziare a lavora-re con l’esterno. A quel punto ero pronto a lasciaredefinitivamente l’azienda. Decisi di dedicarmial mio lavoro con lo scopo di aiutare gli altri, col-laborando attivamente al lavoro e alla missiondi Koinonia.

Ci spiega perché la scuola si chiama così ecome funziona?Geremia Bosio era un amico di Koinonia appas-sionato di informatica. Dopo la sua morte pre-matura gli amici proposero il suo nome per lascuola. È un modo per ricordarlo. Geremia con-divideva l’idea che le tecnologie informatiche do-

vessero aiutare la società dando competenze pro-fessionali di ottima qualità ai più poveri a costiaccessibili a tutti. Il nostro motto è: “Tecnologieinformatiche per lo sviluppo e la pace”.Offriamo corsi base e livelli più avanzati. Il topè rappresentato dal Cisco (Advanced networkingcourse) che permette di imparare sistemi di re-te avanzati. Per tale qualifica siamo stati sup-portati dall’Europa Networking di Bergamo. Ilmio collega Herbert ed io abbiamo seguito il cor-so in Italia.Tre docenti ogni giorno insegnano in tre corsi;al momento gestiamo 60 studenti che presto di-venteranno 78: vogliamo aprire un altro labora-torio.Il motivo principale che mi ha spinto a lavorarequi è la voglia di fare qualcosa di concreto per lasocietà in cui vivo. Parte degli incassi va ai pro-getti di Koinonia e parte all’autosostentamento.Questo per me è il futuro di Koinonia.

Quali attività svolge invece Koinonia Te-chnologies?Principalmente progettiamo e vendiamo softwa-re per la telefonia cellulare, così che le grandiaziende possano inviare comunicazioni trami-te sms ai loro clienti. Vendiamo sia il softwaresia il credito per inviare grosse quantità di sms.Un altro servizio che offriamo è Sms Free: dia-mo la possibilità a chi si registra sul nostro si-to di inviare cinque sms gratis al giorno. Incambio veicoliamo messaggi pubblicitari, co-sicché le ditte interessate a farsi pubblicità pos-sono raggiungere i clienti che si sono prece-dentemente registrati al sito.In futuro venderemo suonerie e dominii: ab-biamo già il servizio di web design e assistenzatecnica e manutenzione. E un giorno, forse, an-

che un internet provider, che darebbe ancheun’opportunità di lavoro a tanti nostri studen-ti. Ma come si dice dalle nostre parti, pole pole:piano piano…

State lavorando anche al portale Peace-link Africa.Questo è un progetto sociale che ci interessamolto e che portiamo avanti da diversi mesi. Co-me Peacelink Italia, così noi a Nairobi stiamo cer-cando di mettere in rete tutte le ong che lavora-no per la pace e i diritti umani. Già 15 si sonounite ai nostri sforzi: a esse offriamo la possibi-lità di avere il sito web gratuito.

In quale modo comunicazioni e tecnologiapossono migliorare la qualità di vita inKenya e in particolare nelle realtà di po-vertà di Nairobi?La povertà ha diversi livelli: quello materiale maanche quello culturale, di informazione. Cresceresignifica anche conoscere: i mezzi di comuni-cazione giocano un ruolo fondamentale ancheper chi è privo di risorse. La scommessa è ren-dere accessibile al maggior numero di personela comunicazione e l’informazione, accrescerele conoscenze con competenza e formazione diqualità. Uno dei problemi cruciali del Kenya è la disoc-cupazione. Se sei un informatico ti si apronomolte possibilità di impiego. L’informatica è lachiave del futuro. Certo non risolve tutti i pro-blemi dell’Africa, ma possiamo provarci parten-do da noi stessi. Io ho cominciato da solo e ades-so ho con me 15 colleghi qualificati, e sempre nuo-vi servizi da offrire.

*Lella Pennisi è volontaria di Amani a Catania.

Geremia School

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Adozioni a distanza

Perché tutti insieme L'adozione proposta da Amani non è in-dividuale, cioè di un solo bambino, maè rivolta all'intero progetto di Kivuli, del-la Casa di Anita, di Ndugu Mdogo, diMthunzi o delle Scuole Nuba. In questo modo nessuno di loro cor-rerà il rischio di rimanere escluso. In-somma "adottare" il progetto di Ama-ni vuol dire adottare un gruppo di bam-bini, garantendo loro la possibilità dimangiare, studiare e fare scelte co-struttive per il futuro, sperimentandola sicurezza e l'affetto di un adulto. Esoprattutto adottare un intero proget-to vuol dire consentirci di non limita-re l’aiuto ai bambini che vivono nelcentro di Kivuli, della Casa di Anita, diNdugu Mdogo, del Mthunzi o che fre-quentano le scuole di Kerker e KujurShabia, ma di estenderlo anche ad altripiccoli che chiedono aiuto, o a famigliein difficoltà, e di spezzare così il percorsoche porta i bambini a diventare streetchildren o, nel caso dei bambini nuba,di garantire loro il fondamentale dirittoall’educazione. Anche un piccolo sostegno economi-co permette ai genitori di continuare afar crescere i piccoli nell’ambiente piùadatto, e cioè la famiglia di origine.In questo modo, inoltre, rispettiamola privacy dei bambini evitando didiffondere informazioni troppo personalisulla storia, a volte terribile, dei nostripiccoli ospiti. Pertanto, all'atto dell'a-dozione, non inviamo al sostenitoreinformazioni relative ad un solo bambi-no, ma materiale stampato o video con-cernente tutti i bambini del progetto chesi è scelto di sostenere. Una caratteristica di Amani è quella diaffidare ogni progetto ed ogni iniziati-va sul territorio africano solo ed esclu-sivamente a persone del luogo. Perquesto i responsabili dei progetti di Ama-ni in favore dei bambini di strada sonokeniani, zambiani e nuba.Con l'aiuto di chi sostiene il progettodelle Adozioni a distanza, annualmenteriusciamo a coprire le spese di gestio-ne, pagando la scuola, i vestiti, gli alimentie le cure mediche a tutti i bambini.

Info: [email protected]

Come aiutarciPuoi "adottare" i progetti realizzati daAmani con una somma di 30 euro almese (360 euro all'anno): contribui-rai al mantenimento e alla cura di tut-ti i ragazzi accolti da Kivuli, dalla Ca-sa di Anita, da Ndugu Mdogo, dalMthunzi o dalle Scuole Nuba. Per effettuare un'adozione a distanzabasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato adAmani Onlus – Ongvia Gonin 8 – 20147 Milanoo sul c/c bancario n. 503010Banca Popolare Etica ABI 05018 - CAB 01600- CIN F EU IBAN IT91 F050 1801 6000 00000503 010

Ti ricordiamo di indicare, oltre il tuonome e indirizzo, la causale del ver-samento: "adozione a distanza". Ci consentirai così di poterti inviareil materiale informativo.

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John Anyona è il manager informatico della Geremia School e di Koinonia Technologies.Lo abbiamo incontrato a Nairobi

a cura di Lella Pennisi*

Un collaboratore del centro informatico di Koinonia

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Chi siamoAmani, che in kiswahili vuol dire “pace”, è un’associazione laica e una Or-ganizzazione non governativa riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri. Amani si impegna particolarmente a favore delle popolazioni africane se-guendo queste due regole fondamentali:1. Garantire una struttura organizzativa snella, così da contenere i costi acarico dei donatori; 2. Privilegiare l’affidamento e la gestione di ogni progetto e di ogni inizia-tiva sul territorio africano a persone qualificate del luogo. Molti degli in-terventi di Amani, infatti, sono stati direttamente ispirati dalla comunitàdi Koinonia (www.koinoniakenya.org).

Come contattarciAmani Onlus – Ong (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale e Or-ganizzazione non governativa)Sede legale e amministrativa:via Gonin, 8 – 20147 Milano – ItalyTel. 02 4121011 – Fax 02 48302707Sede operativa:via Tortona, 86 – 20144 Milano – ItalyTel. 02 48951149 – Fax 02 [email protected] www.amaniforafrica.org

Come aiutarciBasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato ad AmaniOnlus-Ong – via Gonin 8 – 20147 Milano, o sul c/c bancario n.503010 - Banca Popolare Etica ABI 05018 - CAB 01600 - CIN F EU IBAN IT91 F050 1801 6000 0000 0503 010Nel caso dell'adozione a distanza è necessario versare 30 euro mensilmen-te almeno per un anno. Ricordiamo inoltre di scrivere sempre la causale del versamento e il vostroindirizzo completo.

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Iniziative

Editore: Associazione Amani Onlus–Ong, via Gonin 8, 20147 MilanoDirettore responsabile: Daniele ParoliniCoordinatore: Pier Maria MazzolaProgetto grafico e impaginazione: Ergonarte, MilanoStampato presso: Grafiche Riga srl, via Repubblica 9, 23841 Annone Brianza (LC)Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale Civile e Penale di Milanon. 596 in data 22.10.2001

Porta il tuo cuore in AfricaAMANI

Africa Teller a Matera

Eccessi di città in libreriaÈ arrivato nelle librerie in luglio, Eccessi di città: baraccopoli, campi profughi e periferiepsichedeliche (Edizioni Paoline, pagine 184 euro 11,00). Ecco come lo presenta l'autore,Fabrizio Floris: «Un libro che sintetizza le esperienze di studio e di vita negli ultimi diecianni; gentilmente Marco Aime ha scritto la presentazione ed Enzo Nucci ha redatto laprefazione. Si tratta di un viaggio tra le "città senza cittadini", attraverso territori che celanouna urbanità secondaria, ma non separata. Un percorso che si inoltra tra le "popolazionisovrannumerarie" degli slum di Nairobi, dei campi profughi del Kenya e delle periferieitaliane. Luoghi dove si gioca la sfida di un pianeta sempre più urbanizzato che cerca divenir fuori come una stilla di rugiada al mattino e che se vorrete vi guarderà in faccia». Floris è laureato in Economia, ha insegnato Antropologia economica presso la Facoltàdi lettere e filosofia dell'università di Torino e Sociologia generale presso le universitàdi Milano e Betlemme.

Africa Teller, giunto alla sesta edizione, è un premio letterario rivolto ai paesi africani, conl'intento di confrontarsi con le "altre culture" in un percorso inverso al generale influssodi informazioni. Sono trascorsi sei anni da quando Amani decise di unirsi all’associazio-ne culturale Energheia in questa avventura letteraria, e siamo sempre più convinti che siaun modo speciale e arricchente per ascoltare gli africani. Ogni anno, attraverso ogni sin-golo racconto, emergono le sfaccettature di una realtà estremamente fluida e in evolu-

zione. Quest'anno abbiamo selezionato dieci racconti di gio-vani keniani che offrono uno spaccato di vita e di sensibilitàafricana, in particolare del paese dove Amani e Koinonia la-vorano insieme da oltre un decennio.La premiazione si svolgerà a Matera nella seconda metà dinovembre. La giuria sarà composta da:

Alberto Gromi, docente alla facoltà di Scienze della for-mazione, Università Cattolica di Piacenza.

Kossi Komla-Ebri, scrittore di origine togolese e specializzato a Milano in Chirurgiagenerale. Oggi lavora nel Laboratorio analisi presso l'ospedale Fatebenefratelli di Er-ba (Co). Il suo ultimo libro è La sposa degli dèi (Edizioni Dell'Arco Marna).

Cristina Ali Farah, scrittrice nata a Verona nel 1973 da padre somalo e da madreitaliana. Il suo ultimo lavoro è il romanzo Madre piccola (Edizioni Frassinelli). Dal

1999 si occupa di educazione interculturale.

Info: Associazione culturale Energheia – Via Lucana, 79 – 75100 Matera. Tel. 0835 330750; www.energheia.org

AMANI

La fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili nata a Milano dalle menti e dalle braccia della rivista Altre-conomia, del giornale Terre di mezzo e delle edizioni Terre di mezzo/Cart'armata, arriva anche a Torino. La prima edi-zione di “Fa' la cosa giusta!” nel capoluogo piemontese si svolgerà dal 9 all'11 novembre nel Cortile del Maglio enegli spazi del Sermig – Arsenale della pace. Sono previsti 120 stand con progetti, servizi e prodotti di commercioequo e solidale, agricoltura biologica e biodiversità, editoria, riuso e riciclo, bioedilizia, ecoprodotti, artigianato e au-toproduzione, finanza etica, energie rinnovabili, risparmio energetico, turismo solidale, software libero, cooperazionesociale, mobilità sostenibile.

Amani con i suoi volontari sarà presente con uno stand di artigianato del Kenya e dello Zambia, pubblicazioni e ma-teriale informativo. L'ingresso alla fiera è gratuito. Info: www.falacosagiusta.org; tel. 02 83242426.

Amani a Torino per “Fa' la cosa giusta!”

Renato Kizito Sesana firma la presentazione di un libro di cui aveva parlato ai lettori di Ama-ni nel settembre 2005 (“Gesù è come mia nonna”) e che ora è disponibile in edizione ita-liana. «Non un libro per esperti – osserva padre Kizito –, più un libro per innamorati di Gesùe dell’Africa». È un libro «modesto e prezioso», aggiunge. «Modesto, perché non pretende diparlare a nome degli africani, semplicemente li fa parlare. Prezioso perché è il primo del suogenere, nato da una ricerca rigorosa».Il “Gesù d’Africa” offre molte sfaccettature. Così come nelle comunità mediorientali dei pri-mi decenni del cristianesimo Gesù di Nazaret era agnello di Dio, figlio dell’uomo, messia,buon pastore e samaritano… così oggi per gli africani è guaritore, amico, capo, antenato.

Diane B. Stinton Gesù d’Africa – Emi – pp. 414 – € 20,00

Cristo l’Africano

Al documentario Sudan, la scuola della speranza, realizzato da Enzo Nucci e Claudio Rubino per la rubrica “Primo pia-no” del Tg3, è stato assegnato l’11 settembre scorso il Premio “Testimone di Pace”, promosso dalla Città di Ovada(Al) e dal Centro per la pace e la nonviolenza “Rachel Corrie”. Il filmato (21 minuti), racconta le scuole nate grazie adAmani sui Monti Nuba, è andato in onda il 18 maggio scorso – a mo’ di “inaugurazione” della sede Rai di Nairobi – e,in replica, il 5 settembre.

È visionabile online: www.tg3.rai.it, poi cliccare Primo piano, quindi Archivio.

Con i Nuba, Rai da premio

Justus Kilonzi, vincitoredell’edizione 2006 di Africa Teller

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