1.La Teoria Ideazionale Di Locke_1213

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Filosofia del Linguaggio aa 2010/2011 1 1. La teoria ideazionale di J. Locke [Cfr. W. Lycan, Filosofia del Linguaggio, cap. 5, pp. 92-97] Una delle domande fondamentali della filosofia del linguaggio, forse la domanda fondamentale della filosofia del linguaggio, è che cosa è il significato. In questa e nella prossima dispensa prenderemo in considerazione due teorie, ovvero la teoria ideazionale di J. Locke e la teoria referenziale pura nella versione di W. Lycan, che rappresentano altrettanti tentativi di rispondere a tale domanda. La teoria i deazionale appartiene a quell’insieme di posizioni teoriche che vanno sotto il nome di mentalismo, il quale riconduce il significato delle espressioni linguistiche a enti e processi mentali. La teoria referenziale pura, invece, identifica il significato delle espressioni con oggetti, proprietà e relazioni esistenti nel mondo esterno. Ora, da una parte, il mentalismo alla Locke o teoria ideazionale è stato criticato e superato da tempo; dall’altra parte, la teoria referenziale pura così come ce la presenta Lycan non è sostenuta, di fatto, da nessuno: è un esempio, semplice, di risposta alla domanda sul significato che Lycan usa nel suo manuale per avviare la discussione. A dispetto di ciò, la scelta di partire da queste due teorie si giustifica sulla base del fatto che: a) sono entrambe teorie altamente intuitive: la maggior parte di noi risponderebbe alla domanda sul significato elaborando qualcosa come la teoria ideazionale, o la teoria referenziale pura; b) i problemi che, a dispetto dell’iniziale plausibilità intuitiva di tali teorie, sorgono in connessione ad esse non appena le si esamini un po’ più a fondo sono rappresentativi del genere di problemi che la filosofia del linguaggio deve affrontare; c) semplificando un po’, potremmo dire che le due teorie rappresentano i due poli opposti di risposta alla domanda sul significato entro cui la filosofia del linguaggio ancora oggi si muove.

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1.

La teoria ideazionale di J. Locke

[Cfr. W. Lycan, Filosofia del Linguaggio, cap. 5, pp. 92-97]

Una delle domande fondamentali della filosofia del linguaggio, forse la domanda

fondamentale della filosofia del linguaggio, è che cosa è il significato. In questa e nella prossima

dispensa prenderemo in considerazione due teorie, ovvero la teoria ideazionale di J. Locke e la

teoria referenziale pura nella versione di W. Lycan, che rappresentano altrettanti tentativi di

rispondere a tale domanda. La teoria ideazionale appartiene a quell’insieme di posizioni teoriche

che vanno sotto il nome di mentalismo, il quale riconduce il significato delle espressioni

linguistiche a enti e processi mentali. La teoria referenziale pura, invece, identifica il significato

delle espressioni con oggetti, proprietà e relazioni esistenti nel mondo esterno.

Ora, da una parte, il mentalismo alla Locke o teoria ideazionale è stato criticato e superato

da tempo; dall’altra parte, la teoria referenziale pura così come ce la presenta Lycan non è

sostenuta, di fatto, da nessuno: è un esempio, semplice, di risposta alla domanda sul significato che

Lycan usa nel suo manuale per avviare la discussione. A dispetto di ciò, la scelta di partire da queste

due teorie si giustifica sulla base del fatto che:

a) sono entrambe teorie altamente intuitive: la maggior parte di noi risponderebbe

alla domanda sul significato elaborando qualcosa come la teoria ideazionale, o la

teoria referenziale pura;

b) i problemi che, a dispetto dell’iniziale plausibilità intuitiva di tali teorie, sorgono

in connessione ad esse non appena le si esamini un po’ più a fondo sono

rappresentativi del genere di problemi che la filosofia del linguaggio deve

affrontare;

c) semplificando un po’, potremmo dire che le due teorie rappresentano i due poli

opposti di risposta alla domanda sul significato entro cui la filosofia del

linguaggio ancora oggi si muove.

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1. La teoria ideazionale: le otto tesi di Locke

Uno dei quattro libri del Saggio sull’Intelligenza Umana di Locke è dedicato al linguaggio. I

punti fondamentali della concezione che Locke ha del linguaggio sono condensati nel brano

seguente, tratto dal capitolo II del III libro del Saggio:

Benché l’uomo abbia una grande varietà di pensieri, e tali che da essi potrebbero

trarre profitto e diletto altri come anche lui stesso, essi stanno tuttavia dentro il suo

petto, invisibili e nascosti agli altri, né si potrebbe ottenere che di per se stessi

apparissero. E poiché non si potrebbero avere i piaceri e i vantaggi della società

senza comunicazione dei pensieri, fu necessario che l’uomo scoprisse qualche segno

sensibile esterno, mediante il quale quelle idee invisibili, di cui son costruiti i suoi

pensieri, potessero venir rese note ad altri. Nulla era più adatto a tale scopo, sia per

abbondanza sia per rapidità, di quei suoni articolati che in modo così facile e vario

l’uomo si trovò ad essere capace di produrre. In tal modo possiamo concepire come

le parole, che di natura loro erano così adattate a quello scopo, venissero ad essere

impiegate dagli uomini come segni delle loro idee: non per alcuna connessione

naturale che vi sia tra particolari suoni articolati e certe idee, poiché in tal caso non ci

sarebbe tra gli uomini un solo linguaggio, ma per imposizione volontaria, mediante

la quale una data parola viene assunta arbitrariamente a contrassegno di una tale idea.

Perciò, lo scopo delle parole è di essere segni sensibili delle idee; e le idee per le

quali esse stanno sono il loro significato proprio e immediato.

Da questo brano è possibile ricavare le otto tesi principali che Locke si impegna a sostenere

riguardo al linguaggio. In primo luogo, Locke sembra pensare che il linguaggio sia una sorta di

artefatto, la cui natura è definita attraverso il tipo di compito che esso svolge, ovvero attraverso la

sua funzione. Possiamo isolare questa prima tesi, che nel testo citato è distribuita nelle righe 3-8, nel

modo seguente:

T1 La natura del linguaggio è definita dalla sua funzione

Locke è chiaro su quale sia la funzione del linguaggio (vd. ad esempio riga 5):

T2 La funzione del linguaggio è quella di comunicare

e anche su che cosa il linguaggio serva a comunicare (ad esempio, riga 5):

T3 Quel che il linguaggio serve a comunicare è il pensiero

Quindi, per Locke, la natura del linguaggio è da ricercarsi nella funzione che esso ha nella vita degli

uomini: tale funzione è quella di permettere la comunicazione, e più in particolare la comunicazione

dei propri pensieri. Per Locke, inoltre, senza comunicazione dei propri pensieri non ci può essere

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società alcuna; e senza società (righe 4-5), non ci potrebbero essere per l’uomo tutti quei vantaggi e

piaceri che la società soltanto gli può procurare (sicurezza, assistenza reciproca, progresso delle

conoscenze, conforto ecc.). Si può anche dire, quindi, che per Locke il bene ultimo che il linguaggio

offre all’uomo è consentire la formazione della società.

La concezione funzionale del linguaggio è alla base anche delle altre tesi che Locke

sostiene; in particolare, è alla base della concezione che Locke ha del significato delle parole. Tale

concezione può essere espressa così:

T4 Le parole significano le parti componenti di ciò che il linguaggio serve a comunicare

T4 ha bisogno di qualche commento supplementare, dovuto all’introduzione del termine

“significare”; ma procediamo per un attimo dando per assunto che Locke accetterebbe T4 così come

l’abbiamo formulata. T4 è ricavata da Locke dalla tesi successiva (assieme ad un’ulteriore

premessa), la quinta:

T5 Le parti componenti del pensiero sono le idee

Che Locke sostenga T5 emerge chiaramente alle righe 6-7 del brano citato: “[…] quelle idee

invisibili, di cui son costruiti i suoi pensieri […]”. Ma cosa sono le idee per Locke? In modo forse

un po’ grossolano, ma adeguato ai nostri scopi, possiamo dire che le idee lockiane sono immagini

mentali: l’idea di cane sarà, per Locke, un’ immagine mentale, cioè una raffigurazione mentale, del

cane. Ad esempio, possiamo pensare all’idea di cane come all’immagine mentale di un cane

prototipico: una raffigurazione mentale che deriva da una sorta di astrazione di tutte le mie

esperienze sensibili di cane.

Come dicevamo, Locke ricava T4 da T5. Il ragionamento che lo porta a concludere T4 sulla

base di T5 sembra essere il seguente: se il linguaggio serve a comunicare i pensieri, allora le parole,

che sono le parti componenti del linguaggio, significheranno le parti componenti dei pensieri,

ovvero le idee. Tale ragionamento può essere ricostruito più esplicitamente come segue (ricordate

che la linea che separa (3) da (4) segnala il passaggio dalle premesse alla conclusione):

(1) Le parti componenti del pensiero sono le idee [T5]

(2) Le parti componenti del linguaggio sono le parole [assunzione plausibile]

(3) Il linguaggio serve a comunicare il pensiero [T3]

(4) Il significato delle parole sono le idee

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Dalle premesse T5 e T3 unitamente all’assunzione, plausibile, che il linguaggio sia composto da

parole, Locke conclude che il significato delle parole sono le idee.

E’ corretto tale ragionamento? Non sembra proprio. Infatti, che il pensiero sia composto da

idee, che il linguaggio sia composto da parole e che il linguaggio serva a comunicare il pensiero non

sembrano essere ragioni sufficienti a garantire che il significato delle parole siano le idee – al

massimo, ciò che potremmo concludere dalle medesime premesse è che le parole comunicano le

idee.

Si potrebbe sostenere – a difesa della teoria lockiana - che tale difficoltà nasca da un errata

interpretazione del testo lockiano, argomentando che a) i termini che Locke usa per indicare il

rapporto tra parole e idee sono “to signify” e “signification”: non è affatto chiaro che tali termini

abbiano il medesimo significato, rispettivamente, di “significare” e “significato”, che traducono,

piuttosto, “to mean” e “meaning”; b) in ogni caso, Locke dice soltanto che le idee sono il significato

“proprio e immediato” delle parole. C’è spazio, quindi, per una diversa interpretazione del pensiero

di Locke, la seguente. In quanto immagini mentali, le idee sono immagini di: ad esempio, la mia

idea di oro è un’immagine dell’oro, mi rappresenta quel metallo, l’oro. Quindi, c’è un qualche senso

in cui possiamo dire che la parola “oro” significa il metallo oro:

- “oro” significa l’idea dell’oro in modo “proprio e immediato”, cioè in modo diretto;

- “oro” significa il metallo oro in modo mediato, cioè in modo indiretto.

Sulla base di ciò, potremmo anche dire, compiendo un ulteriore passo, che “oro” significa non

l’idea dell’oro, ma il metallo, l’oro: più in particolare, potremmo dire che la parola “oro” significa il

metallo oro, ma esprime, comunica l’idea di oro.

In realtà, sembra difficile negare che Locke pensasse che le parole significhino (nel senso di

“to mean”) le idee. Locke non dice soltanto che le parole significano (signify) le idee: dice che

significare le idee è ciò per cui le parole sono state create (concezione funzionale del linguaggio). In

ogni caso, anche se non si è d’accordo con questa linea interpretativa, e anche se Locke avesse

sostenuto che le idee sono solo una parte (quella propria e immediata) del significato delle parole, o

che le parole non significano, ma esprimono soltanto le idee, la teoria ideazionale ancora non

sarebbe al riparo da quella che vedremo essere l’obiezione fondamentale a cui essa va incontro (vd.

Par. seguente).

Concludiamo con le ultime tre tesi lockiane sul linguaggio. Quale che sia la corretta

interpretazione del pensiero di Locke riguardo la natura delle idee, e la loro relazione con le parole,

è certo che egli pensava che (righe 2-4, 6-7):

T6 Le idee di una persona non possono essere percepite da un’altra persona

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e che (righe 11-14):

T7 La relazione tra le parole e le idee che significano è arbitraria

Non c’è, cioè, alcun accesso diretto e immediato ai pensieri di un’altra persona (T6). E non c’è, per

Locke, alcuna connessione naturale tra parole e idee (T7): che una certa parola significhi una certa

idea e non un’altra è un fatto arbitrario. Infine, Locke sembra enfatizzare l’aspetto puramente

“fisico” delle parole: queste ultime sono “suoni articolati”, “segni sensibili” (delle idee); unitamente

a T7, ciò porta a concludere che per Locke:

T8 Le parole non sono intrinsecamente dotate di significato

In altri termini, sembra che per Locke le parole siano individuate semplicemente sulla base delle

loro proprietà fisiche (in particolare, acustiche).

2. L’obiezione fondamentale alla teoria ideazionale

L’obiezione fondamentale che è possibile muovere alla teoria ideazionale di Locke è la

seguente. La visione che Locke ha del linguaggio sembra rendere impossibile proprio ciò a cui il

linguaggio serve, ovvero la comunicazione. La comunicazione richiede che vi sia comprensione tra

un parlante e il suo interlocutore: l’interlocutore deve comprendere ciò che il parlante dice. A sua

volta, ciò richiede che l’interlocutore conosca il significato delle parole e degli enunciati proferiti

dal parlante. E questo, nella teoria ideazionale, risulta essere impossibile.

Vediamo perché. Una larga parte del problema è rappresentata dalla concezione lockiana

delle idee. Se le idee sono i significati delle parole, e se le idee sono immagini mentali, allora è

possibile che io attribuisca alla medesima parola un significato diverso da quello che le

attribuiscono Mario, Luca, Lucia, Napoleone… Se le idee sono immagini mentali, infatti, ognuno di

noi avrà la propria: ad esempio, l’idea, cioè l’immagine mentale che Mario ha del cane sarà diversa

da quella che ha Luca, e queste a loro volta potranno essere diverse da quelle di Lucia, ecc. Ma se le

idee sono anche il significato delle parole, allora la teoria ideazionale è costretta ad ammettere che,

proseguendo col medesimo esempio, la parola “cane” avrà per Mario un significato diverso da

quello che essa ha per Luca, Lucia, Napoleone ecc: ciascuno di noi, cioè, attribuisce un significato

diverso alla medesima parola. Tenendo a mente ciò, il ragionamento alla base dell’obiezione può

essere esplicitato in questo modo:

(1) Per Locke, sapere ciò che un parlante vuole dire equivale a sapere quali idee le sue

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parole significano, ovvero quali immagini mentali corrispondano, nella sua testa, alle sue

parole;

(2) Però, per T8, le parole non sono intrinsecamente dotate di significato (non c’è alcun

modo naturale di inferire, dal mero “suono articolato”, il significato che gli corrisponde,

così come faremmo ad esempio nel caso della presenza di fumo, da cui naturalmente

inferiremmo la presenza di fuoco);

(3) D’altra parte, per T6, le idee non possono essere percepite;

(4) Quindi, l’unico modo in cui possiamo sapere quali idee le parole del parlante significano,

è conoscere qualcosa della relazione tra le parole e le idee nella testa del parlante: ci deve

essere cioè un modo sistematico ed affidabile attraverso cui inferire, dal fatto che un

parlante proferisce una certa parola, il fatto che una certa idea (una certa immagine

mentale) sia presente nella sua testa;

(5) Ma, per T7, la relazione tra le parole e le idee che esse significano è arbitraria: quindi,

non c’è alcun modo di inferire la presenza di una certa idea nella testa del parlante dal

solo fatto che egli ha pronunciato una certa parola;

(6) Ma allora, non sapremo mai cosa significano le parole del parlante (non abbiamo un

modo sistematico di compiere l’associazione parola proferita - idea nella testa del

parlante);______________________________________________________

(7) Ma se è così, la comunicazione risulta impossibile.

Qualcuno potrebbe anche voler accettare la conclusione che la comunicazione, o almeno una

comunicazione autentica, sia impossibile. Non un lockiano, però: se il linguaggio è definito nei

termini della sua funzione, e tale funzione è quella di comunicare, accettare che la comunicazione

sia impossibile equivarrebbe a cercare di spiegare cos’è il linguaggio nei termini del lavoro che il

linguaggio fa, anche se si pensa che per il linguaggio è impossibile fare quel lavoro, il che è

assurdo.

Di fatto, che la comunicazione sia impossibile è una conclusione difficile da accettare per

chiunque. Basta chiedersi, infatti: perché, quando vogliamo dire qualcosa, usiamo proprio certe

parole e non altre? E ancora: come conosciamo il significato di quelle parole? La risposta

immediata alla prima domanda è che noi conosciamo il significato delle parole che usiamo, e che il

loro significato è appropriato a ciò che vogliamo dire; la risposta, altrettanto immediata, alla

seconda domanda è che conosciamo il significato di quelle parole perché l’abbiamo appreso dai

nostri genitori, e dalle altre persone che appartengono alla nostra stessa comunità linguistica. Tali

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domande e risposte, però, già contengono implicita l’assunzione che sia possibile per una persona

conoscere il significato delle parole che un’altra persona usa (e che, quindi, sia possibile la

comunicazione autentica).

Ancora, qualcuno potrebbe insistere nel voler sostenere che anche se la comunicazione è, di

fatto, possibile, rimane comunque una certa dimensione di incomunicabilità. Potrebbe dire:

d’accordo, in qualche modo noi tutti conosciamo il significato delle parole che gli altri usano, e

quindi, in qualche modo, comunichiamo; rimane però vero che c’è qualcosa, del significato delle

parole che io uso, che nessun altro può conoscere: nessuno può conoscere, ad esempio, tutte quelle

particolari associazioni mentali tra le parole che uso e le mie idee, sensazioni, sentimenti. Quindi,

c’è comunque una dimensione del significato che non è pubblicamente accessibile.

La risposta che si può dare a quest’ultimo ragionamento è molto simile ad una delle

argomentazioni che, come vedremo, Frege produrrà contro il mentalismo. Eccola, passaggio per

passaggio:

(1) Assumiamo, come vuole il nostro obiettore, che sia vero che vi sia qualcosa di

incomunicabile, ovvero le nostre personali associazioni mentali parola – idee, sentimenti

ecc.

(2) Assumiamo, come vuole il nostro obiettore, che la comunicazione sia di fatto possibile:

nel parlare scegliamo certe parole e non altre perché quelle hanno il significato

appropriato a ciò che vogliamo dire, impariamo il significato delle parole che usiamo

dalla comunità in cui viviamo ecc. _________________________________________

(3) Ma allora, e questo è tutto ciò che possiamo concludere da (1) e (2), la comunicazione e

il significato linguistico non hanno nulla a che fare con le nostre particolari associazioni

mentali.

Quel che possiamo concludere, cioè, è che il significato di una parola è indipendente dalle

particolari idee, sensazioni e sentimenti che ciascun parlante associa alle parole che usa.

Rimane il fatto che, partendo dalle premesse (cioè dalle otto tesi) della teoria ideazionale,

ciò che dobbiamo concludere è che la comunicazione è impossibile. Dato che tale conclusione è

inaccettabile, ci deve essere qualcosa che non va nelle premesse di partenza, ovvero, in sostanza,

qualcosa di sbagliato nella teoria ideazionale.

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3. Tentativi di salvataggio della teoria ideazionale

Al fine di rendere possibile la comunicazione all’interno di una cornice teorica quale quella

di Locke, al fine cioè di evitare l’obiezione fondamentale alla teoria ideazionale, si potrebbe tentare

di apportare qualche correzione alle tesi 1-8. Vediamo allora qualche esempio di revisione possibile

delle tesi lockiane.

Primo tentativo. Potremmo cambiare la T6, la tesi secondo cui le idee non possono essere

percepite. Ma per Locke le idee sono immagini mentali: dovremmo trovare allora un modo per

sostenere che una persona può percepire le immagini mentali di un’altra, il che sembra

improponibile.

Secondo tentativo. Potremmo cambiare la T5, la tesi secondo cui le parti componenti del

pensiero sono le idee, in questo modo:

T5* Le parti componenti del pensiero sono i concetti

dove per “concetti” intendiamo entità non puramente psicologiche. In tal senso, il concetto di cane

non è il modo particolare in cui io penso, o mi rappresento, i cani. E’ qualcosa di pubblicamente

accessibile. Come vedremo, Frege andrà proprio in questa direzione nel mettere a punto la nozione

di Senso.

All’interno di una teoria come quella di Locke, però, questa operazione equivarrebbe ad uno

stravolgimento: per Locke sono le idee a comporre i pensieri, e le idee sono immagini mentali,

possesso privato di ciascun individuo.

Terzo tentativo. E’ la soluzione più radicale, quella che ci porta a ribaltare la teoria

ideazionale in direzione di una teoria referenziale pura. Potremmo pensare, infatti, di cambiare la

T3, la tesi secondo cui ciò che il linguaggio serve a comunicare è il pensiero, con la tesi

T3* Ciò che il linguaggio serve a comunicare sono i fatti

dove “fatto” si riferisce al sussistere di stati di cose nel mondo. Che io ora indossi una maglia verde

è un fatto; che la capitale dell’Italia sia Roma è un altro fatto, e così via.

Prima di procedere oltre, fermiamoci un attimo a riflettere sul tipo di cambiamento che

l’adottare T3* al posto di T3 apporterebbe alla nostra visione del linguaggio. T3 è una tesi che

deriva da quella che potremmo chiamare una concezione individualistica del linguaggio: ogni

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uomo è un individuo autonomo in mezzo ad altri individui autonomi; ogni uomo è per l’altro uomo

un potenziale rivale, un potenziale aiuto, un potenziale oggetto d’affezione. In tale scenario, lo

scopo fondamentale della comunicazione è quello di scoprire, decifrare cosa gli altri individui

pensino: solo in questo modo, infatti, possiamo anticipare le azioni dei nostri rivali, pianificare

azioni con i nostri compagni, scoprire come stanno le cose per le persone a cui teniamo. Ma un’altra

concezione del linguaggio è possibile: secondo una concezione che potremmo chiamare

collaborativa del linguaggio, scopo della comunicazione non è scoprire cosa gli altri pensino, ma

informarli su come stanno le cose nel mondo. T3* segnala proprio questo cambiamento di

prospettiva da una concezione individualistica ad una collaborativa del linguaggio.

Come accennato sopra, un tale cambiamento sarebbe radicale; è l’orientamento del

linguaggio a cambiare radicalmente. Locke ha una concezione individualistica del linguaggio: il

significato delle parole (idee, ovvero immagini mentali) non è ricevuto da una comunità linguistica,

ma assegnato da ciascuno per proprio conto. Ciascun essere umano è creatore del linguaggio, e lo

scopo della comunicazione diviene quello di scoprire cosa gli altri pensino. Il linguaggio riguarda

ciò che sta nella mente delle persone. Se adottiamo T3*, invece, ci volgiamo ad una concezione

collaborativa del linguaggio: il significato delle parole (che, come vedremo meglio sotto, saranno

fatti e oggetti del mondo) sarà qualcosa che riceviamo dalla comunità linguistica, qualcosa di

indipendente dalle nostre immagini o associazioni mentali. Ciascun essere umano non è più

creatore, ma utente del linguaggio, e lo scopo della comunicazione diviene quello di informare gli

altri su cosa accade nel mondo. Il linguaggio riguarda cose e fatti del mondo.

Se noi accettiamo tale visione collaborativa del linguaggio, allora, possiamo cambiare T3

con T3*. Come potremmo sviluppare tale teoria? Della teoria ideazionale potremmo ancora

accettare T4, la tesi secondo cui le parole significano le parti componenti di ciò che il linguaggio

serve a comunicare, ma ovviamente dovremmo modificare T5, la tesi per cui le componenti del

pensiero sono le idee (non abbiamo più a che fare col pensiero). Si potrebbe cambiare T5 con

T5** Le parti componenti dei fatti sono oggetti e proprietà

E’ infatti plausibile pensare che i fatti siano entità composte da oggetti e proprietà: ad esempio, il

fatto che io ora indossi una maglia verde è un fatto composto da due oggetti (me stessa, la maglia),

una proprietà (l’essere verde della maglia), e una relazione, “x indossa y” (le relazioni sono tipi di

proprietà). Da T4 e T5** seguirà allora che le parole significano oggetti e proprietà: ad esempio,

“oro” significherà non la nostra immagine mentale dell’oro, ma la sostanza oro; “Socrate”

significherà non la nostra immagine mentale di Socrate, ma Socrate stesso, quel Socrate;

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“simpatico” significherà non la nostra immagine mentale della simpatia, ma una proprietà, la

proprietà di essere simpatico.

E’ chiaro che se accettassimo di rivedere la teoria lockiana nella direzione appena indicata

quel che staremmo facendo sarebbe in realtà rifiutare la teoria ideazionale, e costruirne una

completamente diversa. In effetti, nelle sue linee principali quella che abbiamo descritto è una teoria

di tipo referenziale, a cui ci dedicheremo più in dettaglio nella prossima dispensa.