160827711 L Evoluzione Della PNL Robert Dilts e Judith DeLozier

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L’EVOLUZIONE DELLA

PNL

DALLE ORIGINI ALLA NEXT GENERATION

Robert Dilts

Judith DeLozier

Deborah Bacon Dilts

Questo libro è dedicato con affetto e rispetto a Richard Bandler e John Grinder, co-fondatori della PNL, che ci hanno iniziato a questa grande avventura e ci hanno incoraggiato a essere sicuri di noi, coraggiosi e creativi nella nostra personale esplorazione della struttura dell’esperienza soggettiva. Allo spirito creativo di Milton Erickson, Virginia Satir, Fritz Perls, Gregory Bateson, che ci hanno insegnato attraverso il loro esempio come essere pionieri del potenziale umano. Alla moltitudine di Practitioner, Master Practitioner e Trainer di PNL in tutto il mondo, che hanno creato il suolo fertile e creativo che ha reso possibile le nuove generazioni della PNL.

INDICE Introduzione all’edizione italiana Ringraziamenti Prefazione

UNA NUOVA GENERAZIONE DI PNL Breve storia della PNL L’evoluzione della PNL Cosa rende qualcosa PNL? Perché una “nuova” generazione di PNL? Cosa significa? Cosa sono la PNL di prima e di seconda generazione? Cosa rende diversa la PNL di Ultima Generazione? Cosa implica concretamente la PNL di Ultima Generazione? La struttura del libro CAPITOLO 1 - LA MENTE COGNITIVA Il cervello Emisferi del cervello Sistemi rappresentazionali sensoriali Segnali di accesso Linguaggio Cinque sviluppi chiave della Programmazione Neuro-Linguistica successivi alla Prima Generazione La percezione del tempo L’origine del concetto di time-line Ampliare il concetto di tempo “lineare” Il “filo di perle” di William James La time-line come strumento per il cambiamento “Nel tempo” e “Attraverso il tempo” Le cornici temporali > Esercizio: integrare le cornici temporali Le posizioni percettive > Esercizio base delle posizioni percettive Fare pratica della “tripla descrizione” Creare una meta-mappa con le posizioni percettive > Esercizio: meta-mappe Livelli di cambiamento e interazione La gerarchia dei tipi logici e dei livelli di apprendimento di Bateson I tipi logici di Russell Gli ordini di astrazione di Korzybski I livelli di apprendimento Il modello dei livelli neurologici della PNL La teoria degli insiemi I livelli neurologici come gerarchia operazionale Aggiornare gli schemi di comportamento tramite i livelli di apprendimento di Bateson

Le olarchie di Koestler I livelli neurologici e il sistema nervoso I livelli neurologici e il linguaggio Esempi di affermazioni a diversi livelli logici Schemi linguistici associati ai diversi livelli neurologici Livelli delle domande Livelli e meta-messaggi non verbali Re-incorniciare le esperienze sfruttando il linguaggio per cambiare livello logico Il modello SCORE Conoscere lo SCORE Domande SCORE di base Applicare il modello SCORE I Meta-programmi Panoramica dei Meta-programmi I Meta-programmi chiave Le combinazioni di Meta-programmi e i processi di gruppo Identificare i Meta-programmi Modellare le combinazioni di Meta-programmi La teoria di campo unificato per la PNL: una panoramica di trent’anni di sviluppo Il modello SOAR Combinare la PNL e il modello SOAR Operatori neuro-linguistici per cambiare gli stati Operatori neuro-linguistici per cambiare la percezione del tempo Operatori neuro-linguistici per cambiare le posizioni percettive Operatori neuro-linguistici per spostarsi di livello (logico) Modellamento e mappatura con la cornice di referenza della teoria di campo unificato della PNL Tracciare un percorso di cambiamento Il SOAR per il cambiamento Il modello SCORE – Definire un percorso all’interno di uno spazio problematico I Meta-programmi e la teoria di campo unificato della PNL Il modello della PNL generativa Fasi del modello della PNL generativa Foglio di lavoro per la PNL generativa Conclusione CAPITOLO 2 - LA MENTE SOMATICA Il senso percepito: l’esperienza soggettiva della mente somatica La neurogastroenterologia e il cervello nella pancia La neurocardiologia e il cervello nel cuore HeartMath Il respiro Integrazione Somato-Respiratoria La spina dorsale La postura del corpo

Network Spinal Analysis™ (NSA) I piedi Pratica di rilascio della tensione nei cuscinetti adiposi plantari L’omuncolo della corteccia – Il corpo nel cervello Esplorare il proprio omuncolo soggettivo Fasi del processo somatico di primo piano - secondo piano Biofeedback NeuroLink e MindDrive SomaticVision Sintassi somatica Il sentiero del pensiero di Darwin Movimento e mente Grammatica trasformazionale Il corpo come sistema rappresentazionale Applicare la sintassi somatica Esercizi di sintassi somatica > Esercizio 1: Far penetrare una risorsa “nel muscolo” > Esercizio 2: Generalizzare uno stato-risorsa > Esercizio 3: Applicare uno stato-risorsa > Esercizio 4: Modellare le risorse con la sintassi somatica > Esercizio 5: Ampliare lo spettro dell’espressione di sé – sintassi somatica del sé > Esercizio 6: Trasformare gli stati di blocco tramite la sintassi somatica Usare la sintassi somatica per potenziare la comunicazione non verbale Esplorare le metafore somatiche per potenziare la comunicazione non verbale Modello del “frattale somatico” Creare un frattale somatico per uno stato risorsa Il modello SCORE danzante Fasi del modello SCORE danzante I 5Ritmi® di Gabrielle Roth Cavalcare l’onda del cambiamento I 5Ritmi® e il modello SCORE danzante Seguite i vostri piedi! CAPITOLO 3 - LA MENTE DI CAMPO Campo, Spirito e Scopo Studiare l’esperienza soggettiva di campo e spirito Meccanismi neurofisiologici della mente di campo Neuroni specchio Il campo energetico umano Esplorare la mente di campo Percepire il proprio campo Connettersi a partire dal proprio centro Rispecchiamento energetico Generare una seconda pelle Creare un campo generativo Sviluppare una risorsa condivisa

Collaborazione generativa Creare uno “spazio” generativo Arricchire il campo di gruppo Intervisione Accedere alla “Mente allargata” Sognare attivamente > Esercizio di sogno attivo Vedere il “Campo” CAPITOLO 4 - APPLICARE LA PNL DI ULTIMA GENERAZIONE Essere adatti al futuro Strategie di sopravvivenza Promuovere il cambiamento generativo Il ciclo adattivo Scelta Presa di coscienza: il fondamento per poter scegliere Programmazione inconscia e virus del pensiero Coaching con la PNL di ultima generazione Coaching con la “C” maiuscola e coaching con la “c” minuscola Il coaching e le “dinamiche interiori” L’esempio del “Miracolo sull’Hudson” L’importanza della pratica Allenarsi a essere nella zona Trovare la propria zona di eccellenza Imparare dal succo di mela Il potere della presenza Creare uno spazio per la zona di eccellenza Passare da uno stato di blocco a una zona di eccellenza Portare le energie archetipiche nella zona di eccellenza Esplorare l’influenza delle energie archetipiche Accogliere sensazioni ed emozioni difficili Barriere di convinzioni e ponti di convinzioni Lavorare con gli archetipi di transizione

Conclusione: Ego ed Anima Postfazione Bibliografia Informazioni sugli autori Gli ebook di Alessio Roberti Editore Altre proposte di lettura Linea diretta con l’Editore

INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA La Programmazione Neuro-Linguistica è una disciplina giovane, potente e fortemente dinamica. Dalla sua nascita negli anni Settanta fino a oggi, si è diffusa in tutto il mondo, toccando la vita di milioni di persone. Contemporaneamente ha conosciuto un’evoluzione senza sosta, ha allargato i propri orizzonti, moltiplicato i suoi strumenti e coinvolto nuovi settori. Per Robert Dilts e Judith DeLozier, fin dagli albori tra i protagonisti di quest’avventura, era arrivato il momento di fare il punto della situazione fotografando l’intera vita della PNL, dalle prime intuizioni di Bandler e Grinder fino ai più recenti sviluppi. Il risultato è L’evoluzione della PNL, il cui titolo originale èNLP II, seguito ideale del libro NLP I, pubblicato più di 30 anni fa. L’evoluzione della PNL è un’opera di straordinaria completezza e singolare leggibilità, che offre al lettore qualcosa che ancora mancava nella letteratura di settore: una visione organica della PNL, una contestualizzazione dei suoi principali strumenti e una chiara periodizzazione. Nasce così uno strumento prezioso, in grado di offrire una risposta esaustiva - certamente soggettiva, ma senza dubbio molto convincente - a una domanda fondamentale: quali tecniche e strumenti sono essenziali per chi si accosta oggi allo studio della PNL? Cosa è importante trasmettere alle nuove generazioni? In queste pagine risponde chi può dire io c’ero,operando una selezione consapevole e sapiente tra l’infinita ricchezza della PNL e scegliendo di mettere in evidenza le tecniche e i modelli più rappresentativi e utili per chi studia e pratica PNL oggi. Al passato, si aggiunge poi il presente e, anche grazie al contributo della terza co-autrice, Deborah Bacon Dilts, vengono presentati i modelli e le tecniche più recenti e attuali, con un’attenzione particolare a ciò che sarà di vitale importanza nel prossimo futuro, come ad esempio l’approccio del coaching.

L’evoluzione della PNL è tutto questo: passato, presente e futuro. Un libro che guida e orienta, alimentando l’idea che la PNL sia una disciplina in continuo e orgoglioso divenire. Di generazione in generazione, fino alla NEXT GENERATION.

Alessio Roberti Master Trainer di PNL,

editore e fondatore della NLP ITALY Coaching School, co-autore del bestseller Scelgo la libertà

ALESSIO ROBERTI

È l’italiano con maggiore esperienza nella ricerca e formazione in PNL a livello mondiale: ha formato oltre 40.000 professionisti in Programmazione Neuro-Linguistica in Italia, USA e Inghilterra. La “Society of NLP” gli ha conferito il titolo di “Licensed Master Trainer of NLP”, il massimo livello di specializzazione in PNL riservato a una decina di persone nel mondo che hanno dimostrato una competenza straordinaria nell’insegnare e usare la PNL. Si è inoltre specializzato presso le scuole di Business delle prestigiose università di Harvard e Oxford. Fra le numerose aziende che si avvalgono della consulenza e della formazione della società da lui guidata ci sono alcune tra le più importanti organizzazioni, nazionali e internazionali. È inoltre Coach di importanti imprenditori italiani. È l’unico italiano co-trainer del genio creativo della PNL, Richard Bandler. È co-autore con Bandler e Owen Fitzpatrick del bestseller Scelgo la libertà e con Antonella Rizzuto del libro Il Meglio di Te con il Coaching. È inoltre editore di oltre 60 testi sull’utilizzo degli strumenti della PNL e del Coaching. Fondatore e condirettore della NLP ITALY Coaching School, supervisiona tutte le attività formative erogate.

RINGRAZIAMENTI

Vorremmo manifestare la nostra riconoscenza a:

Stephen Gilligan, per i suoi fondamentali contributi all’evoluzione della PNL di Ultima Generazione. Stephen è stato uno dei membri del gruppo originario di persone che studiarono con Richard Bandler e John Grinder agli albori della PNL. Da allora ha continuato a sviluppare le proprie idee con i suoi lavori sulle auto-relazioni e il Sé Generativo. Una serie di idee di base presentate in questo libro riguardo alla generatività, alle tre menti (cognitiva, somatica e di campo), ai relativi principi ed elementi, alle energie archetipiche, al centrarsi e all’idea della sponsorship sono state originariamente sviluppate da Stephen, il cui contributo determinante è raccolto nel suo libro Self-Relations. La ricca e fruttuosa contaminazione tra auto-relazioni e PNL è testimoniata nel più recente Il risveglio dell’eroe con la PNL, scritto in collaborazione con Robert Dilts.

Desideriamo anche ringraziare:

Gabrielle Roth (che, come noi, ha avuto Bateson come mentore), creatrice dei 5Ritmi®, per aver continuato a battersi in nome dell’importanza del movimento e della connessione con il corpo come elementi chiave del processo di cambiamento.

Richard Moss, per aver reso così chiaro il potere trasformativo di attenzione conscia, presenza mentale e connessione.

Teresa Epstein, per aver lavorato con tanta diligenza negli anni allo scopo di fornire un contesto come quello della NLP University, in cui possiamo tutti continuare a collaborare e creare insieme.

Sandra Bacon, per aver prestato le sue esperte doti di correttrice di bozze al progetto di pubblicazione di questo libro.

Michael Dilts e Claire Sage, per il loro costante supporto e il loro aiuto nella creazione della copertina.

PREFAZIONE

Era il 1980, quando nella conclusione del libro Programmazione Neurolinguistica promettevamo un secondo volume che avrebbe dovuto contenere applicazioni più concrete dei concetti, dei principi e delle distinzioni esposte in quella nostra prima introduzione alla PNL. Affermavamo che il secondo volume avrebbe “esplorato più specificamente come applicare la Programmazione Neuro-Linguistica al proprio lavoro e alla propria vita quotidiana”.

Per una serie di ragioni, quel secondo volume non è mai diventato realtà. Questo in parte perché noi autori abbiamo avuto tutti vite intense e occupate, ed eravamo profondamente coinvolti nello sviluppo e nell’esperienza diretta di quelle applicazioni su cui ci eravamo ripromessi di scrivere. Col passare del tempo, poi, la vita ci ha portato in direzioni diverse. Non ci siamo mai più ritrovati con lo stesso spirito che ci aveva raccolto e legato agli albori, e il progetto di creare un seguito a quel primo volume si è perso per strada.

Un altro motivo per la mancata pubblicazione è stato il rapido sviluppo della disciplina; talmente rapido che avrebbe reso ardua la selezione di uno specifico gruppo di processi che a nostro giudizio caratterizzasse la storia e il potenziale della PNL. Nuove sfide e nuove opportunità ci hanno spinto a trovare risorse e soluzioni fortemente innovative che andavano a toccare i fondamenti stessi della disciplina.

Negli anni, tutti e quattro gli autori di Programmazione Neurolinguistica hanno continuato a girare il mondo insegnando la PNL e contribuendo alla sua evoluzione e al suo sviluppo, ma soltanto Judith (DeLozier) e io (Robert Dilts) abbiamo mantenuto uno stretto rapporto personale e di lavoro che è culminato ogni anno nei nostri programmi estivi alla NLP University of California, a Santa Cruz.

Abbiamo spesso riflettuto sulla visione di un secondo volume e sulla promessa che avevamo formulato tanto tempo addietro. Le persone coinvolte nella disciplina hanno continuato a chiedere: “Che fine ha fatto quel secondo volume?”. A volte abbiamo cercato di mantenere quella promessa in altri modi. Abbiamo passato quattro anni a scrivere la Encyclopedia of Systemic NLP and NLP New Coding per trattare la vasta gamma di modelli e applicazioni di PNL, e per rendere onore alla storia e all’evoluzione di questa affascinante disciplina. Nel nostro operato abbiamo cercato di preservare lo spirito del gruppo originario che, con Bandler e Grinder, aveva sviluppato la PNL sulle montagne attorno a Santa Cruz.

Quattro anni fa abbiamo deciso che era arrivato il momento di portare finalmente a compimento il nostro proposito di creare un secondo volume. Dal nostro punto di vista era chiaro che c’erano delle cose nuove da dire: il libro che avete tra le mani,L’evoluzione della PNL, è il frutto di quella decisione.

Il testo ha subìto diverse evoluzioni negli ultimi anni e non sarebbe esistito senza il supporto e l’energia di Deborah – insegnante di danza dei 5Ritmi®, psicoterapeuta e trainer di Psicosintesi, oltre che interprete –, che ha contribuito in maniera rilevante a una serie di nuovi sviluppi presentati nei capitoli della parte finale del libro.

Deborah ha conosciuto la PNL nel 1994, quando ha fatto da interprete in francese per John Grinder a Parigi, città dove si era trasferita dall’America sin dai primi anni Ottanta. Da allora ha fatto da interprete a molti altri trainer di PNL, quali David Gordon, Charles Faulkner, Lynne Conwell, Robert McDonald, e, ovviamente, Robert Dilts e Judith DeLozier.

Dal 2005 Deborah e Robert hanno sviluppato programmi che coniugano il background di Deborah nelle pratiche trasformazionali corporee quali i 5Ritmi® con i principi della PNL (Robert e Deborah si sono sposati nel 2008). Hanno applicato questi nuovi sviluppi in workshop e seminari in giro per il mondo, nonché con Judith presso la NLP University in California.

La collaborazione tra noi tre (Robert, Judith e Deborah) è stata caratterizzata da entusiasmo, creatività e desiderio di completezza. Ci auguriamo che queste qualità emergano nel libro e permettano a voi lettori un rinnovato apprezzamento della profondità, della ricchezza e del potenziale della PNL.

Robert Dilts Judith DeLozier

Deborah Bacon Dilts

UNA NUOVA GENERAZIONE DI PNL

BREVE STORIA DELLA PNL

Questo volume riguarda i più recenti e importanti sviluppi nel campo della Programmazione Neuro-Linguistica (PNL): un approccio alla comprensione del comportamento umano da cui derivano numerose abilità, tecniche e applicazioni pratiche. Nata negli anni Settanta dal lavoro congiunto di Richard Bandler e John Grinder, la PNL esamina gli schemi ricorrenti (programmazione) creati dall’interazione tra il sistema nervoso (neuro) e le strutture linguistiche (linguistica), e l’influenza di questi sul nostro corpo e sui nostri comportamenti. Dal punto di vista della PNL, è questa interazione a produrre tanto i comportamenti efficaci quanto quelli controproducenti; essa è alla base tanto dei fenomeni patologici quanto di quelli di eccellenza umana.

Bandler e Grinder hanno definito la Programmazione Neuro-Linguistica come lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva. Il termine studio implica un percorso di costante ricerca e indagine. Nel campo della PNL, ciò avviene principalmente tramite il processo di modellamento comportamentale. Molte delle abilità e tecniche della PNL derivano dall’osservazione degli schemi di eccellenza di quelle persone capaci di produrre risultati straordinari nel proprio ambito di specializzazione, spaziando dalla psicoterapia agli affari, dall’arte alle scienze, dalla pratica della legge alla pedagogia. Lo scopo di questo tipo di ricerca è la scoperta della differenza che fa la differenza tra prestazioni scadenti, nella media ed eccezionali.

La nozione di struttura implica un’enfasi sul processo, invece che sul contenuto. In altre parole, le procedure di modellamento della PNL si concentrano più sul rivelare come le persone fanno quello che fanno, piuttosto che sulla descrizione di cosa esse facciano. La PNL non si interessa delle specifiche decisioni che le persone prendono, di cosa queste imparino o creino, quanto invece del processo che le conduce a decidere, imparare e creare. John Grinder, co-fondatore della PNL, ha sostenuto infatti che tutte le tecniche e i modelli della PNL siano risultati essenzialmente dal porre le domande “Come fai a saperlo?” o “Come fai a farlo?”. Le distinzioni della PNL ci permettono di guardare al di là del contenuto comportamentale delle azioni, facendo sì che ci concentriamo invece sulle forze invisibili alla base dei comportamenti delle persone: sulla struttura dei pensieri, delle convinzioni e delle emozioni che permettono loro di funzionare in modo efficace o che, invece, interferiscono con le loro prestazioni. La PNL contiene un insieme di procedure e distinzioni studiate appositamente per identificare i fondamentalischemi di pensiero, motivazione e comportamento, e tradurli in applicazioni pratiche, la cui efficacia sia facilmente verificabile.

Fondamentale, nel processo di modellamento della PNL, è l’enfasi sulla struttura dell’esperienza soggettiva (ossia i pensieri, le convinzioni, le emozioni, le rappresentazioni interiori e così via) invece che sulla “realtà oggettiva”. Alle radici della PNL vi è il presupposto che “la mappa non è il territorio”. Questo equivale a dire che le nostre mappe e modelli interiori del mondo in cui viviamo differiscono necessariamente da ciò che rappresentano (proprio come la mappa di una città non è la città, e il menù non è una serie di effettive pietanze). Le rappresentazioni interiori che generiamo attraverso il nostro sistema nervoso e i nostri schemi linguistici contengono inevitabilmente generalizzazioni, cancellazioni e distorsioni rispetto alla “realtà” che intendono riflettere. Sono però queste mappe e questi modelli che, nella pratica, determinano il nostro modo di fare esperienza del mondo e di reagire a esso.

Lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva si basa dunque sulla nostra personale esperienza sensoriale (cosa e come effettivamente vediamo, udiamo, percepiamo col tatto, con l’olfatto e con il gusto, istante per istante), invece che affidarsi a teorie e idee sulla “realtà” esteriore.

Per fare un esempio, nella sua esplorazione dell’esperienza spirituale, la PNL non è interessata a presentare una teoria, una filosofia o una serie di sistemi di credenze in merito alla spiritualità. Essa esamina piuttosto la struttura dell’esperienza soggettiva che le persone hanno di ciò che è spirituale, ossiacome facciamo esperienza dell’essere parte di qualcosa che va al di là di noi stessi, e quali sono gli effetti del farne esperienza in un determinato modo.

Il processo di modellamento della PNL si interessa di quesiti fondamentali quali: come può una persona influenzare una certa esperienza soggettiva? Come la si può utilizzare? Come si può darle diverso peso e diversa funzione? Quali sono i processi che migliorano o che vanno, invece, a interferire con quella esperienza soggettiva?

Riassumendo, quindi, la PNL è un approccio allo studio del comportamento umano che fornisce:

1. Un’epistemologia – un sistema di principi e distinzioni per organizzare la conoscenza su noi stessi e sulle nostre interazioni col mondo.

2. Una metodologia – processi e procedure per raccogliere e applicare tale conoscenza.

3. Una tecnologia – strumenti per facilitare l’applicazione di tale conoscenza al fine di ottenere specifici risultati.

L’EVOLUZIONE DELLA PNL

La PNL è stata creata da John Grinder (che veniva dal campo della linguistica) e da Richard Bandler (che veniva dalla matematica e dalla terapia Gestalt) con lo scopo di creare modelli espliciti dell’eccellenza umana. Nella loro prima opera,La struttura della magia, hanno identificato gli schemi verbali e comportamentali dei terapeuti Fritz Perls (il creatore della terapia Gestalt) e Virginia Satir (terapeuta familiare di fama internazionale). Nel loro successivo lavoro, I modelli della tecnica ipnotica di Milton H. Erickson, hanno esaminato gli schemi verbali e comportamentali di Milton Erickson, fondatore della Società Americana di Ipnosi Clinica, e uno degli psichiatri che hanno ricevuto massimo riconoscimento a livello mondiale per la propria efficacia clinica.

Come risultato di questi primi lavori, Grinder e Bandler formalizzarono i loro metodi di modellamento e i loro personali contributi sotto l’etichetta di Programmazione Neuro-Linguistica, per simbolizzare la relazione tra il sistema nervoso e il linguaggio, e le conseguenze che ne derivano sulla nostra esperienza, il nostro corpo e i nostri comportamenti.

Secondo la PNL, il processo base del cambiamento si sviluppa lungo tre direttrici:

1. Individuare lo stato presente della persona, del gruppo, dell’organizzazione o del sistema.

2. Introdurre le risorse adeguate per portare la persona, il gruppo, l’organizzazione o il sistema a raggiungere lo stato desiderato.

3. Raggiungere lo stato desiderato.

Stato presente + Risorse adeguate = Stato desiderato

Le distinzioni e le tecniche della PNL sono organizzate per identificare e definire gli stati presenti e gli stati desiderati di vario tipo e livello, per poi accedere alle risorse adeguate e applicarle al fine di produrre cambiamenti efficaci ed ecologici che portino nella direzione dello stato desiderato. Negli anni, la PNL ha sviluppato strumenti e abilità molto potenti per la comunicazione e il cambiamento in una vasta gamma di aree professionali, tra cui il coaching, il counseling, la psicoterapia, la formazione e la pedagogia, la salute, la creatività, la pratica della legge, il management, le vendite, la leadership e l’essere genitori. La funzione di qualsiasi nuova tecnica di Programmazione Neuro-Linguistica è quella di:

a. arricchire di dettagli il nostro modello del mondo, in particolare per quanto concerne i risultati desiderati;

b. fornire completo accesso a tutte le nostre risorse sensoriali;

c. aumentare la flessibilità nelle risposte interiori e nei comportamenti esterni.

Questi sono i tre pilastri su cui poggiano i comportamenti efficaci.

Un numero sempre crescente di libri, registrazioni e seminari testimoniano la vitalità di un campo, quello della Programmazione Neuro-Linguistica, in continua evoluzione. Questo materiale raccoglie una moltitudine di tecniche e procedure derivanti dall’applicazione di questa tecnologia comportamentale. Ci sono, inoltre, numerose altre tecniche non ancora documentate e altre ancora il cui sviluppo e completamento è ancora in corso. La PNL, ora nel suo terzo decennio come area di studi, si è considerevolmente evoluta dai suoi albori negli anni Settanta. Mentre scriviamo queste parole, sono passati esattamente trent’anni dalla pubblicazione di Programmazione Neurolinguistica. In questo lasso di tempo, la PNL si è diffusa in tutto il mondo, toccando la vita di milioni di persone. Ogni anno, persone provenienti da più di trentacinque Paesi diversi partecipano ai nostri programmi presso la NLP University in California per formarsi come Practitioner, Master Practitioner e Trainer, e molte altre migliaia completano un simile percorso presso gli istituti specializzati di tutto il mondo. E a mano a mano che una nuova generazione di sviluppatori, trainer e professionisti in PNL si addentra nel mondo, è anche il momento di riconoscerne la novità. Nel farlo, dobbiamo affrontare due questioni fondamentali:

1. Cosa ne fa una “nuova” generazione e non semplicemente la variazione di una generazione già esistente? (È una questione simile a quella che si pone un biologo che si chiede cosa renda una pianta o un animale una nuova specie e non semplicemente una variazione di una specie già conosciuta.)

2. Come sappiamo che le scoperte o le strutture proposte dalla nuova generazione “fanno parte” della PNL e non sono qualcosa di diverso? In altre parole, cosa distingue un modello o un metodo di PNL da quelli di altri ambiti?

COSA RENDE QUALCOSA PNL?

Cominceremo con l’esaminare la domanda “Cosa rende una cosa (specificamente una tecnica, un modello o una serie di distinzioni) parte della PNL?”. I processi e le procedure della PNL si applicano a una gamma estremamente ampia di ambiti e questioni. La nostraEncyclopedia of Systemic NLP and NLP New Coding, ad esempio, spazia dal trattamento delle fobie, dei traumi e dei disordini emotivi all’apprendimento delle lingue straniere, dell’algebra e di altre materie specifiche; dalle tecniche di scrittura creativa alle strategie di lettura veloce; dall’analisi della leadership e delle abilità di management ai metodi per la pianificazione strategica e lo sviluppo dei team e delle organizzazioni. Essa contiene, inoltre, tecniche ed esercizi per la guarigione del corpo, la creatività, la risoluzioni dei conflitti, la motivazione e molto altro ancora. La PNL copre una gamma di applicazioni che va ben al di là di quella di altri modelli psicologici e comportamentali quali la psicoanalisi, la Gestalt, l’analisi transazionale, la psicosintesi, e persino la psicologia cognitiva. È chiaro, perciò, che la PNL non è ristretta o legata ad alcuna singola particolare area o ambito di applicazione. Data la vasta gamma di tecniche e modelli di PNL, il tentativo di definire le caratteristiche che fanno rientrare qualcosa nella PNL è davvero interessante. Si tratta di una questione “epistemologica” fondamentale. Il

termine epistemologia deriva dalle parole greche epi (preposizione indicante “sopra, su”), histanai (verbo che significa “porre, mettere”) e logos (sostantivo che significa “parola” o “conoscenza”): significa dunque “ciò su cui basiamo la nostra conoscenza”. L’epistemologia è dunque il sistema fondamentale di distinzioni e assunti su cui ci si basa per generare tutte le altre conoscenze. Per definirla come faceva Bateson: L’epistemologia è la storia delle origini della conoscenza; in altre parole come facciamo a sapere ciò che sappiamo.

Partendo da domande su cosa possiamo sapere e come veniamo a sapere ciò che pensiamo di sapere, l’epistemologia arriva a chiedersi: “Come facciamo, in generale, a sapere qualcosa?”.1

Continua Bateson: I filosofihanno riconosciuto e separato due tipi di problemi. Prima vengono i problemi su come stanno le cose, cosa è una persona e che tipo di mondo è questo. Questi sono i problemi a livello ontologico. In secondo luogo vengono i problemi su come possiamo sapere una qualsiasi cosa o, più specificamente, su come sappiamo che tipo di mondo sia il nostro e che tipo di creature siamo con la nostra capacità di sapere e conoscere qualcosa (o forse nessuna cosa) a riguardo. Questi sono i problemi a livello epistemologico.

La PNL è un modo di essere (una “ontologia”) e un modo di sapere (una “epistemologia”). Al cuore della PNL come ontologia c’è una serie di presupposizioni fondamentali riguardo la comunicazione, la scelta, il cambiamento e le intenzioni che stanno dietro ai nostri comportamenti. Il cuore della PNL come epistemologia è il modellamento: un processo di costante arricchimento ed espansione delle nostre mappe del mondo tramite l’attenzione alle percezioni, la curiosità e la capacità di operare una sintesi di diverse prospettive e descrizioni. Sia l’ontologia sia l’epistemologia della PNL hanno come punto di partenza la presupposizione che “la mappa non è il territorio”. La PNL insegna che non vi sono mappe più o meno vere o reali di altre, ma che nondimeno la nostra capacità di essere efficaci e di evolverci al di là di ciò che siamo dipende dal possesso di una mappa che permetta la gamma più vasta possibile di scelte. La PNL promuove dunque, piuttosto che la rigidità, la flessibilità e la tendenza a includere sempre più elementi. Come abbiamo già stabilito, la PNL non riguarda il contenuto dell’esperienza soggettiva che studia. È il modo in cui queste esperienze soggettive vengono studiate e rappresentate a costituire l’essenza dell’epistemologia della PNL. Negli anni, ad esempio, c’è stato (anche tra i trainer di livello internazionale) chi ha sostenuto che argomenti come la “spiritualità”, l’“amore”, le “vite passate” o la “reincarnazione” non abbiano a che fare con la PNL. D’altro canto questi argomenti riguardano chiaramente esperienze soggettive potenti e condivise da molte persone, e in quanto esperienze soggettive rientrano certamente nello spettro degli studi della PNL. Nello stesso modo in cui qualsiasi forma di linguaggio è rilevante per la linguistica (che è lo studio del linguaggio), così qualsiasi forma di esperienza soggettiva è rilevante per la PNL. Ovviamente la PNL non si interesserà del particolare contenuto di queste esperienze soggettive, né della loro eventuale “realtà” oggettiva. Le domande da esplorare per la PNL saranno: “In che modo le persone fanno esperienza di questi

fenomeni soggettivi in maniera diversa da altri fenomeni soggettivi?”, “Quali conseguenze producono queste esperienze soggettive nelle persone?”, “Le reazioni e le risposte che producono sono utili o problematiche?”, “La struttura di queste esperienze favorisce oppure ostacola il felice svolgimento delle attività quotidiane?”, “La nostra relazione con esperienze di questo tipo aumenta o diminuisce il nostro senso di soddisfazione personale?”, “Il modo in cui ne facciamo esperienza ci fortifica e ci offre più scelte, o crea invece un senso di impotenza e di dipendenza?”. In altre parole, se un professionista in PNL o un coach sta lavorando con qualcuno che comincia a parlare di “vite passate”, egli non metterà in discussione la validità di quella esperienza; sarà, invece, incuriosito dalla struttura e dalle conseguenze di quella particolare esperienza soggettiva, e si chiederà come questa si collochi nel resto del modello soggettivo che la persona ha del mondo. Ciò che determina se una cosa fa parte o meno della PNL, dunque, non è il suo contenuto quanto piuttosto l’approccio al modo in cui essa viene studiata e la forma in cui le strutture che risultano dallo studio sono organizzate. In ultima analisi, indipendentemente da quale area dell’esperienza soggettiva venga studiata, la PNL scompone la struttura o i processi che stanno dietro all’esperienza in specifiche distinzioni e in fasi che riguardano rappresentazioni sensoriali (immagini, suoni, sensazioni e via dicendo), schemi linguistici e stati fisiologici. Tutte le distinzioni fondamentali, i modelli e le tecniche della PNL si basano su una sinergia di questi tre aspetti della condizione umana. Chiaramente, perché una cosa faccia parte della Programmazione Neuro-Linguistica, essa deve essere percepita e descritta in termini fondamentalmente neuro-linguistici. La prima parte della parola Neuro-Linguistica fa riferimento al sistema nervoso. In PNL, infatti, si è dedicata molta attenzione alle sue dinamiche di funzionamento, per meglio comprenderle e utilizzarle. L’idea è che pensare, ricordare, immaginare, prendere decisioni, desiderare, volere, ipotizzare e tutti gli altri processi cognitivi, emotivi o comportamentali siano il risultato di programmi elaborati dal sistema nervoso umano. Questo equivale a dire che l’“esperienza” umana è un prodotto delle informazioni che riceviamo, sintetizziamo e generiamo tramite il nostro sistema nervoso. Al livello della nostra esperienza questo riguarda la percezione del mondo – vista, udito, tatto, olfatto e gusto. Quindi, indipendentemente dal contenuto dell’esperienza soggettiva in esame (che potrà riguardare la motivazione, la memoria, il cosmo, la religione, l’arte, la politica, la formazione e così via), la PNL pone l’attenzione su come quella parte dell’esperienza umana sia organizzata nel sistema nervoso. Nell’ottica della PNL, anche il linguaggio è chiaramente un prodotto del sistema nervoso umano, ma un prodotto in grado di influenzarne profondamente la struttura e l’organizzazione. Il linguaggio è senz’altro uno dei principali canali che abbiamo a disposizione per attivare o stimolare il nostro sistema nervoso o quello di altri. Nel momento in cui il linguaggio viene utilizzato per descrivere l’esperienza soggettiva, questa ne viene a sua volta trasformata. Perché una cosa faccia parte della PNL, dunque, essa deve fondarsi su schemi linguistici che ricorrano naturalmente e spontaneamente nei modelli di comunicazione umani, tanto verbali quanto non verbali. L’aspetto di programmazione si basa sull’idea che la nostra esperienza influisce sul funzionamento di processi come l’apprendimento, la memoria, la motivazione, la

creatività o qualsiasi altro tipo di attività fisica o mentale. Questa capacità dipende dalla presenza di programmi neuro-linguistici che funzionano in modo più o meno efficace per raggiungere determinati obiettivi o risultati. Ciò implica che, in quanto esseri umani, interagiamo col mondo per mezzo di programmi gestiti dal sistema nervoso. Rispondiamo ai problemi e ci avviciniamo a nuove idee a seconda del tipo di programmi interiori di cui disponiamo. E un programma non vale l’altro: alcuni sono più efficaci di altri per portare a termine con successo certi tipi di attività. In questo senso, uno degli aspetti più importanti della PNL è l’enfasi attribuita alle applicazioni pratiche del processo di modellamento. I concetti e i programmi di formazione della PNL pongono l’accento sull’interattività e sull’apprendimento in contesti di esperienza diretta, in maniera tale che i principi e le procedure possano essere direttamente percepiti e compresi. Inoltre, dato che i processi della PNL sono tratti da modelli di eccellenza, il loro valore e le loro strutture sono spesso riconosciuti a livello intuitivo anche da persone che ne hanno scarsa o nessuna esperienza. Riassumendo, la PNL è – come è stata fin dall’inizio – lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva; una “struttura” che è per propria natura intrinsecamente neuro-linguistica. Possiamo dunque affermare che qualcosa è PNL se:

• pone l’accento su processi e strutture, invece che sul contenuto;

• vede il fondamento di processi e distinzioni nell’anatomia e nelle funzioni del sistema nervoso umano;

• fa in modo che le distinzioni e i processi possano essere facilmente identificati e influenzati tramite schemi naturali e spontanei di comunicazione verbale e non verbale;

• organizza i risultati dello studio svolto in forma di esercizi pratici, tecniche, strumenti e procedure utilizzabili per influenzare o cambiare l’esperienza o il comportamento delle persone.

PERCHÉ UNA “NUOVA” GENERAZIONE DI PNL? COSA SIGNIFICA?

Perché chiamare un particolare gruppo di sviluppatori “nuova generazione”, e non vederli semplicemente come la continuazione e l’ampliamento di un percorso già segnato? Un’effettiva nuova generazione, in qualsiasi campo, non si limita a custodire l’eredità dei predecessori, ma la espande e la innova in maniera rilevante. Si può dire che emerge una “nuova generazione” quando l’espansione di una disciplina:

1. incorpora nuovi fenomeni che non facevano parte delle generazioni precedenti; 2. rende possibile affrontare una gamma più vasta di problematiche ed esperienze; 3. introduce distinzioni, strumenti e metodi di significativa novità.

A nostro parere, l’evoluzione della PNL in una nuova generazione è stata frutto di fattori tanto esterni quanto interni alla disciplina. Fattori esterni sono, ad esempio, il fatto che le persone (clienti e studenti) avessero bisogni da soddisfare e problemi da risolvere che non erano ancora stati trattati dalla disciplina in modo adeguato. Inoltre, il mondo ha

continuato a cambiare e soluzioni precedenti possono non essere più del tutto efficaci o soddisfacenti. Col cambiare del mondo cambiano anche le necessità di chi lo abita. Come abbiamo già detto, in PNL è sempre valso il principio per cui la mappa non è il territorio. È importante però tenere presente che, sotto molti punti di vista, anche il territorio non è il territorio, poiché il territorio cambia costantemente. Ciò che il mondo chiede alla PNL nel XXI secolo è diverso da quanto chiedeva negli anni Settanta, agli albori della disciplina. Ci sono nuove sfide, nuove opportunità e uno spostamento dell’attenzione da un orientamento più individuale a uno che comprenda anche l’ecologia dell’intero sistema o “campo”. Un altro fattore esterno è la continua evoluzione di altre discipline. La PNL ha sempre integrato in sé processi e conoscenze utili derivate da altri ambiti. Nei trent’anni di storia della PNL, inoltre, vi è stato un reciproco e fruttuoso scambio di influenze, idee e processi che hanno a loro volta generato nuovi sviluppi in altri campi. Ecco alcuni nomi di persone che, direttamente o indirettamente, hanno contribuito in modo significativo all’evoluzione della PNL. • Stephen Gilligan – Auto-relazioni e Sé Generativo • Gabrielle Roth – Pratiche di movimento dei 5Ritmi® • Richard Moss – Pratiche di auto-consapevolezza e trasformazione • Ken Wilber – Integral Studies • Eugene Gendlin – Focusing • John Welwood – Psicologia del risveglio • Bert Hellinger – Costellazioni familiari • Harville Hendrix – Paradigmi relazionali e Imago therapy • Donald Epstein – Network Spinal Analysis™, Integrazione Somato-Respiratoria™ • Rupert Sheldrake – Campi morfici • Timothy Gallwey – Dinamiche interiori del Coaching • Carol Pearson – Psicologia degli archetipi

Molte idee e molti processi della PNL di nuova generazione sono anche emersi da un profondo riesame dei contributi di persone che hanno fornito i modelli originari per molti dei principi e delle tecniche della PNL di prima generazione: • Milton H. Erickson – Ipnoterapia • Virginia Satir – Terapia familiare • Fritz Perls – Terapia Gestalt • Gregory Bateson – Teoria dei sistemi e Terapia sistemica

La PNL si è anche trasformata per l’effetto di fattori interni, quali la crescita e l’evoluzione degli sviluppatori e di chi pratica la disciplina, e tramite innovazioni introdotte da nuove persone approdate alla PNL dai background più diversi. Agli inizi, ad esempio, i professionisti in PNL erano in larga misura psicologi e terapeuti. Attualmente questa disciplina attira persone dalle professioni più svariate, dal coaching al management, dal clero alle arti e all’industria dell’intrattenimento, dallo sviluppo e la formazione ai tutori della legge. Un altro fattore interno che ha contribuito all’evoluzione della PNL è la continua pratica del modellamento: la ricerca dei fattori di successo, delle differenze che fanno la differenza tra prestazioni scarse e prestazioni nella media, tra prestazioni nella media e

prestazioni di buon livello, e tra prestazioni di buon livello e prestazioni che si dimostrano regolarmente eccezionali. Sin dagli albori, lo spirito e il motore creativo della PNL sono stati la curiosità, il senso di avventura e il desiderio di creare modelli di eccellenza. Come ha detto Richard Bandler, co-fondatore di questa disciplina, “la PNL è un atteggiamento, non la serie di tecniche che esso produce”. John Grinder, l’altro co-fondatore, ha affermato: “Se non sai come modellare, non sai veramente fare PNL”. Infatti, fin dai primi vagiti della PNL, Bandler e Grinder si sono definiti “modellatori”. L’eredità e il futuro della PNL sono dunque sempre stati nel processo di modellamento, il meccanismo primario tramite il quale la disciplina della PNL cresce, si amplia e si arricchisce. Grazie alla costante applicazione dei processi di modellamento, gli sviluppatori della PNL (così come i professionisti che la praticano) hanno oltrepassato, ampliandoli, i confini delle applicazioni della disciplina. La PNL è sempre stata impegnata nello studio della struttura dell’esperienza soggettiva.Inizialmente questo impegno si concentrava principalmente sui fattori ambientali, comportamentali e cognitivi che influenzano le prestazioni umane. Col passare del tempo, il modellamento di nuovi fenomeni ha creato un’espansione nelle applicazioni della PNL e nei fondamenti della disciplina stessa per poter includere altri fattori e altri livelli, quali convinzioni, valori, identità e dinamiche di sistema più ampie. La PNL ha continuato a rispondere ai cambiamenti del mondo e delle persone. Finché ci saranno nuovi fenomeni umani da modellare la portata della PNL continuerà a crescere, e col crescere della disciplina continueranno a emergere nuovi strumenti e nuovi modelli che daranno vita a nuove generazioni.

COSA SONO LA PNL DI PRIMA E SECONDA GENERAZIONE?

Consideriamo PNL di prima generazione il modello originario che Bandler e Grinder derivarono dallo studio dei terapeuti più efficaci. Queste prime applicazioni della PNL erano tutte di tipo individuale e concentrate sul cambiamento del singolo. La PNL di prima generazione era modellata su relazioni terapeutiche in cui il professionista sapeva cos’era meglio per il cliente. In generale, la PNL era vissuta come una cosa che “si faceva sugli altri”. La maggior parte degli strumenti e delle tecniche di prima generazione era concentrata principalmente sulla mente cognitiva e sulla risoluzione di problemi a livello di comportamenti e capacità: il primo (e unico) volume di Programmazione Neurolinguistica trattava infatti quasi esclusivamente distrategie cognitive. Tra le distinzioni e gli strumenti fondamentali della PNL di prima generazione si annoverano:

• Gli schemi linguistici del Meta Modello (Modello di precisione) • I sistemi rappresentazionali e la 4-pla • Le submodalità • I segnali di accesso oculari • L’ancoraggio • La Ristrutturazione in sei fasi • Il Cambio di storia personale • Lo Swish pattern

• La tecnica di dissociazione V-K • Il Generatore di nuovi comportamenti • I modelli linguistici ipnotici della metafora e del Milton Model

Quelli appena menzionati sono tutti modelli e distinzioni utili e potenti, che continuano a costituire il fondamento della PNL.

A nostro parere, la PNL di seconda generazione iniziò a emergere verso la fine degli anni Ottanta, espandendosi per abbracciare questioni che andavano al di là del contesto terapeutico. Pur rimanendo concentrata sugli individui, la PNL di seconda generazione poneva enfasi sulla relazione tra il singolo e gli altri e ampliava il suo raggio di azione includendo aree di applicazione quali il management, la negoziazione, le vendite, la formazione e la salute. Gli strumenti della PNL si ampliarono per abbracciare anche questioni di livello sovraordinato, quali quelle che riguardano le convinzioni, i valori e i Meta-programmi. Le tecniche di PNL di seconda generazione hanno integrato l’uso di nuove distinzioni come la time-line, i livelli di pensiero e le posizioni percettive. Alcune importanti distinzioni e tecniche emerse nella PNL di seconda generazione sono:

• I modelli linguistici Sleight of Mouth • L’organizzazione delle cose nello spazio e la psico-geografia • La quarta meta-posizione e la tecnica di meta-specchio • Le procedure di cambiamento delle convinzioni • Le strategie di imagineering e le strategie dei geni • Il reimprinting • L’integrazione delle convinzioni in conflitto • L’allineamento dei livelli neurologici

Tra gli sviluppi della PNL di seconda generazione si contano anche i meta-stati di Michael Hall, il Design Human Engineering di Richard Bandler e la NLP New Code di John Grinder e Judith DeLozier.

COSA RENDE DIVERSA LA PNL DI ULTIMA GENERAZIONE?

La PNL di Ultima Generazione è stata sviluppata a partire dagli anni Novanta. Le applicazioni della PNL di Ultima Generazione sono generative, sistemiche e concentrate su questioni di livello sovraordinato, quali identità, vision e mission. La PNL di Ultima Generazione pone l’enfasi sui cambiamenti dell’intero sistema e può essere applicata alla sviluppo di organizzazioni e culture così come a quello di individui, famiglie e team.

Tutte le generazioni della PNL si concentrano sulla struttura e sul funzionamento della “mente” (è questa l’essenza della Programmazione Neuro-Linguistica). Le prime due generazioni della PNL hanno posto la propria attenzione soprattutto sulla mente cognitiva; la PNL di Ultima Generazione si è allargata per abbracciare tanto i processi somatici quanto le dinamiche di sistema più ampie (la cosiddetta mente di “campo”) nella “totalità e unità della mente”. La next generation lavora quindi sull’interazione di tre diverse “menti” o tipi di intelligenza:

1. Una mente cognitiva che emerge dal cervello

2. Una mente somatica centrata nel corpo

3. Una mente “di campo” che deriva dalla nostra connessione e dal nostro rapporto coi sistemi più ampi di cui facciamo parte e che ci circondano.

Queste corrispondono direttamente al concetto di “mente trina” sviluppato da Stephen Gilligan in Walking in Two Worlds e recentemente ripreso nel Risveglio dell’eroe con la PNL, scritto in collaborazione con Robert Dilts. La PNL di Ultima Generazione aspira a sviluppare e sostenere una relazione organica di equilibrio e allineamento di queste tre menti per produrre un’intelligenza più profonda e multidimensionale.

Le tecniche della PNL di Ultima Generazione riguardano come centrarci nella nostra radice somatica, come appoggiare e favorire lo sviluppo di una più grande totalità della persona, come essere connessi tramite le nostre relazioni con la saggezza e la guida che sono presenti nei sistemi che ci circondano (l’intelligenza collettiva). Le tecniche della PNL di Ultima Generazione comprendono principi di organizzazione del sé, archetipi e quella che è conosciuta come “quarta posizione percettiva” (il senso percepito di essere parte di un sistema più ampio).

Tra le pratiche e i processi della PNL di Ultima Generazione si annoverano: • Le pratiche per centrarsi • Le dinamiche interiori e le tecniche per trovare la propria “zona di eccellenza” • L’apertura al campo • Il cambiamento generativo • La gestione di sensazioni ed emozioni difficili • L’integrazione delle energie archetipiche • Il viaggio dell’eroe e gli archetipi del cambiamento • La trasformazione delle barriere di convinzioni tramite la costruzione di ponti di convinzioni • Le tecniche per promuovere l’intelligenza collettiva e la collaborazione generativa

La PNL di Ultima Generazione aggiunge anche altre cornici di referenza e valori rispetto a quelli applicati dalle generazioni precedenti della PNL, ponendo maggiore attenzione a questioni quali: • La capacità generativa e il potenziamento • La connessione e le relazioni • L’estetica e l’armonia • Lo scopo e la trasformazione

Per fare un esempio, le generazioni precedenti hanno posto un’enfasi maggiore su chiarezza, tecniche e pragmatismo. La next generation continua ad accordare attenzione a questi aspetti, estendendola per comprendere anche qualità e principi “estetici” e di “bellezza”. L’estetica è una branca della filosofia che tratta della natura, della creazione e dell’apprezzamento della bellezza. La PNL di Ultima Generazione dà importanza a ciò che è organico, piacevole e capace di supportare nuove e più ampie prospettive riguardo

a noi stessi, la famiglia, il lavoro, la comunità e l’umanità. La bellezza e l’estetica sono la controparte degli strumenti tecnici e delle abilità della PNL. Combinate, queste due facce della PNL forniscono l’impulso per la ricerca della saggezza tramite la promozione di una più grande “totalità e unità della mente” e di una relazione più profonda con le diverse parti della mente. In questa prospettiva più ampia rispetto agli aspetti puramente tecnici della PNL ci si sposta naturalmente anche alla sfera del corpo, della metafora, del simbolo, del rituale e del “campo”. Come sempre quando emerge una nuova generazione, il germe da cui essa si sviluppa sta nell’eredità della disciplina e della comunità di coloro che l’hanno mantenuta viva. Lo spirito della PNL di Ultima Generazione era implicito nella disciplina fin dall’inizio: lo si vedeva già nella saggezza relazionale di Milton Erickson, nelle costellazioni familiari di Virginia Satir, nell’attenzione al momento presente di Fritz Perls e nell’uso della metafora e del simbolo. Questo spirito era anche presente alla radice della pratica del modellamento come “stato di non-conoscenza”.

COSA IMPLICA CONCRETAMENTE LA PNL DI ULTIMA GENERAZIONE?

L’approccio delle applicazioni della PNL di Ultima Generazione è fondamentalmente euristico, proprio come lo è stata la PNL sin dagli albori: si trovano soluzioni “guidando con l’esperienza”. Il termine deriva dal verbo greco heuriskein, che significa “trovare, scoprire”. I metodi euristici sono quelli che permettono alle persone di scoprire o apprendere qualcosa autonomamente. Nella PNL di Ultima Generazione questo viene fatto tramite una sequenza di sei processi fondamentali: • aumentare la presenza mentale e l’attenzione conscia; • modellare i fattori chiave; • calibrare il livello presente dei fattori chiave; • dimensionare i fattori chiave portandoli a un livello di espressione ottimale o più adatto; • ancorare i valori ottimali dei fattori chiave; • esplorare le opzioni create tramite l’aggiustamento dei fattori chiave.

Nell’ambito, ad esempio, del problem solving, questi processi sono di solito applicati secondo questa sequenza:

1. Portare nuova attenzione conscia sul “programma neuro-linguistico” che sta creando o contribuisce a un qualche stato problematico o situazione. Si tratta di prendere coscienza non solo delle conseguenze del programma sulle emozioni e sul comportamento, ma anche della sua più profonda struttura cognitiva e somatica.

2. Impiegare questa nuova presa di coscienza per prendere le distanze sia dallo stato presente sia dal programma. Questo permette di cominciare a modellare o identificare i fattori chiave (le differenze che stanno facendo la differenza) confrontando i programmi o la struttura dello stato presente o della situazione con altre esperienze di riferimento, tanto di successi quanto di fallimenti.

3. Una volta che i fattori chiave che stanno creando o contribuendo a creare lo stato o la situazione presente sono stati identificati, il passo successivo sta nel calibrare il livello attuale di intensità o attività di quei fattori (fisici, verbali, cognitivi, somatici e così via); ciò implica anche una valutazione della proporzione in cui si esprime ciascuno dei fattori in relazione agli altri.

4. Dimensionare o equilibrare l’attuale intensità o attività dei fattori chiave, al fine di portarli a un livello più adeguato ed efficace. È importante tenere a mente che spesso il livello ottimale non è quello più elevato.

5. Ancorare uno specifico grado di intensità o attività di una serie di fattori chiave, per poterli mantenere a livelli ottimali, soprattutto in situazioni mutevoli o impegnative.

6. Esplorare l’impatto di questi aggiustamenti sulle emozioni, sui comportamenti e sulle situazioni associate con lo stato problematico, al fine di scoprire nuove opzioni possibili.

Nelle pagine di questo volume troverete molti esempi di come questo processo euristico possa essere applicato per potenziare voi stessi e gli altri, arricchendo e ampliando considerevolmente il vostro repertorio di opzioni in tutte le aree della vostra vita. La pratica della PNL di Ultima Generazione comincia da uno stato di non-conoscenza, quella che nella tradizione dello zen viene definita “mente del principiante”. Lo stato di non-conoscenza è il fondamento per poter espandere la propria attenzione e coscienza, per modellare con efficacia ed esplorare nuove opzioni e possibilità. L’approccio di Milton Erickson al problem solving è un classico esempio del potere della non-conoscenza. Quando, negli anni Settanta, andavamo a Phoenix, in Arizona, per studiare con lui, avevamo ovviamente una moltitudine di domande da porgli. Gli chiedevamo cose come: “Se si impiega questo particolare approccio con una persona che ha un certo tipo di problema, si otterrà un determinato tipo di risultati?”. Erickson rispondeva invariabilmente: “Non lo so”. E noi chiedevamo: “Se uso questo processo per affrontare questo determinato problema, funzionerà?”. E ancora Erickson rispondeva: “Non lo so”. Alla fine ci siamo trovati con pagine e pagine di appunti che riportavano “Non lo sa. Non lo sa. Non lo sa.” Non stava cercando di evitare di rispondere; il fatto è che lui non operava a partire da molte convinzioni o presupposizioni. Per Erickson ogni singola situazione era unica e particolare; ogni persona era “un caso unico al mondo”, e allo stesso modo era unica e diversa la sua relazione con ciascuno. Per questo, quando gli si ponevano domande sulla probabilità di un particolare esito, Erickson rispondeva sempre: “Non lo so. Non lo so davvero”. Per poi aggiungere: “Ma sono molto curioso di scoprire cosa sia possibile.” Lo stato di non-conoscenza, combinato con la curiosità, è l’essenza del cambiamento generativo. All’università della California a Santa Cruz, dove la PNL fu inizialmente sviluppata da Bandler e Grinder, c’era un professore di psicologia di nome Frank Baron. Baron dedicò tutta la sua carriera allo studio del genio creativo. Alla fine sintetizzò tutto ciò che aveva appreso a riguardo sotto forma di tre fondamentali caratteristiche.

I geni creativi sono:

1. a proprio agio nell’incertezza; 2. capaci di abbracciare apparenti opposizioni e paradossi; 3. tenaci.

Le persone creative come Erickson non hanno bisogno di avere risposte preconfezionate; non solo sono capaci di tollerare stati di incertezza, ma li gradiscono anche. Le persone creative sono, inoltre, capaci di mantenere contemporaneamente punti di vista differenti e realtà multiple. Il grande fisico danese Niels Bohr ha evidenziato l’esistenza di due tipi di verità: verità superficiale e verità profonda. Secondo Bohr, “al livello della verità superficiale, l’opposto di una verità è falso. Al livello della verità profonda, l’opposto di una verità è invece a sua volta vero”. Bohr si riferiva al fatto che le più fondamentali componenti della realtà fisica, quali protoni ed elettroni, presentano un paradosso: a volte si comportano come onde di energia, altre volte come particelle di materia. Verità profonde di questo tipo sono anche alla base della nostra esperienza soggettiva. Il fatto che esperiamo una cosa come bella non significa che quella stessa cosa non possa essere al contempo anche brutta. Non vi è gioia senza tristezza. La cosa peggiore che vi sia mai accaduta può essere al tempo stesso anche la cosa migliore che vi sia mai accaduta. Dove è la luce vi è sempre anche l’ombra. La capacità di essere coscienti di queste realtà apparentemente opposte senza fissarsi necessariamente sul fatto che vi sia un “giusto” e uno “sbagliato” è un aspetto essenziale della creatività. Afferma Gregory Bateson: “La saggezza deriva dal sincero confronto delle nostre differenze privo dell’intenzione di cambiare alcunché.” Quando siamo in grado di abbracciare diversi punti di vista con curiosità, spesso emergono nuove e sorprendenti soluzioni. È a questo punto che la dote della tenacia è a sua volta importante. I geni creativi non si arrendono, nemmeno di fronte all’incertezza e ai dilemmi; rimangono curiosi di scoprire cosa sia possibile, e continuano a cercare. Milton Erickson ha incarnato questa qualità sotto molti punti di vista: è un tratto che ha dimostrato durante tutta la sua esistenza. All’età di diciassette anni fu colpito da una forma molto grave di poliomielite, che lo rese completamente paralizzato. Milton ascoltò inavvertitamente i dottori dire a sua madre che lui non si sarebbe mai più potuto muovere, poi che probabilmente non avrebbe superato la notte. Convinto che fosse una cosa terribile da dire a una madre, Erickson intraprese un viaggio alla scoperta di altre possibilità. Trascorse ore a verificare se vi fosse una parte del suo corpo che era in grado di muovere. Alla fine scoprì di riuscire a controllare leggermente la parte terminale di una delle palpebre. E così, per le ore seguenti, quando sua madre passava a trovarlo, cercava di muovere la palpebra per richiamarne l’attenzione. Una volta che ci fu riuscito, trascorse molte altre ore a cercare di stabilire un sistema di segnali per comunicarle la cosa che era profondamente determinato a dirle. Voleva che lei girasse il suo letto verso la finestra perché potesse vedere sorgere il sole il giorno seguente. Questo era lo stesso tipo di tenacia che Erickson dimostrava nel suo lavoro sui pazienti. Non si arrendeva mai nella sua ricerca di altre possibilità, per quanto difficile sembrasse la situazione. E non partiva mai dal presupposto che qualcosa fosse impossibile.

La combinazione di “mente del principiante” (non-conoscenza), curiosità e tenacia è alla radice della pratica della PNL di Ultima Generazione. Nei capitoli a seguire esploreremo come queste abilità possano fare la differenza in modo rilevante nella vostra vita e aiutarvi a fare la differenza nella vita degli altri.

LA STRUTTURA DEL LIBRO

Abbiamo organizzato il libro in quattro sezioni che disegnano un viaggio attraverso tutte e tre le generazioni della PNL. Cominciando con la mente cognitiva, esaminiamo i fondamenti della PNL e alcuni degli sviluppi più significativi degli ultimi trent’anni, tra cui: percezione del tempo e time-line, posizioni percettive, livelli neurologici e livelli dell’apprendimento di Bateson, il modello SCORE, i Meta-programmi, e la teoria di campo unificato per la PNL (il modello SOAR). Ci rivolgiamo quindi alla mente somatica, passando in rassegna recenti ricerche sul funzionamento del nostro sistema nervoso al di là del cervello, considerando tra l’altro: la neurogastroenterologia (il cervello nella pancia) e la neurocardiologia (il cervello nel cuore). In questa sezione presentiamo una vasta gamma di esercizi per accedere alla sapienza del corpo utilizzando il respiro, la colonna vertebrale e la postura, i piedi, il biofeedback, la sintassi somatica e i 5Ritmi® di Gabrielle Roth. Nel terzo capitolo esploriamo la mente di campo e i suoi fondamenti neurologici e fisici nei neuroni specchio e nel campo energetico umano. Proponiamo modelli e tecniche per utilizzare i fenomeni di campo, quali ad esempio gli esercizi per creare una “seconda pelle”, sviluppare “campi generativi”, incoraggiare la collaborazione generativa, e riuscire ad accedere a quella che Bateson chiamava la “più vasta Mente”. Concludiamo il volume passando in rassegna alcune delle innovative modalità di applicazione della PNL di Ultima Generazione, in particolare per quanto riguarda il campo in costante evoluzione del coaching. Trattiamo principi e processi relativi alle “dinamiche interiori”, al potere della presenza mentale, e a quello che chiamiamo lo “stato del Coach”: uno spazio interiore di eccellenza a partire dal quale siamo in grado di accedere al meglio di noi stessi. Le tecniche della PNL di Ultima Generazione illustrate comprendono: la gestione di sensazioni ed emozioni difficili, la costruzione di “ponti di convinzioni” per superare “barriere di convinzioni”, l’esplorazione dell’impatto delle energie archetipiche e l’integrazione degli archetipi di transizione. Ci auguriamo che possiate trovare in queste pagine una mappa fertile e stimolante del territorio in costante evoluzione della Programmazione Neuro-Linguistica. La PNL ha sempre insegnato che la mappa non è il territorio: vi invitiamo a tenere sempre a mente che anche questa è soltanto una mappa del territorio della PNL.

Bandler e Grinder erano soliti iniziare i loro primissimi seminari dicendo al pubblico che tutto quello che avrebbero detto sarebbero state “menzogne”. Nulla di quello che dicevano era verità, poiché nessuna mappa può coprire accuratamente l’intero territorio. Era dunque questione di scegliere: l’unico discrimine era ed è la maggiore o minore “utilità” delle menzogne che si scelgono. Cosa portano di positivo nella nostra vita i principi e i metodi, quando ci comportiamo “come se” fossero in grado di fare la differenza?

Vi invitiamo ad accostarvi a questo libro con lo stesso atteggiamento. Se trovate utili queste mappe, questi modelli e queste pratiche, fatene uso! In caso contrario, forse vi indicheranno almeno nuove direzioni per il vostro viaggio personale e vi aiuteranno a chiarirvi meglio cosa funzioni o meno per voi. Il nostro più sincero desiderio è che ciò che presentiamo qui vi porti maggiore coscienza della ricchezza della vostra esperienza e una più piena connessione con voi stessi, con le persone che vi circondano, con l’ambiente e con l’incredibile mistero della vita. Godetevi l’esplorazione!

CAPITOLO 1

LA MENTE

COGNITIVA

LA MENTE COGNITIVA

La mente cognitiva è essenzialmente la mente che associamo al nostro cervello. È la fonte delle nostre abilità intellettuali e della nostra capacità di ragionamento, ed è uno dei tratti che ci contraddistinguono in quanto esseri umani. La mente cognitiva è stata la prima area su cui si è concentrata la PNL, e ha fornito le basi per tutte le generazioni successive di sviluppi. La cognizione è per definizione l’“atto di conoscere”. Il termine deriva dal latino cognoscere, che significa “venire a sapere”. Le scienze cognitive e la psicologia cognitiva sono lo studio delle attività collegate alla conoscenza e al “sapere”: l’attenzione, la creatività, la memoria, la percezione, il problem solving, il pensiero e l’uso del linguaggio. Le origini dello studio della mente cognitiva si possono far risalire al filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.), che nel suo trattato sull’Anima definisce la percezione sensoriale e la rappresentazione mentale quali caratteristiche distintive della “psiche”. Le riflessioni di Aristotele sulla psiche riguardano una vasta gamma di questioni cognitive, dalla definizione dei cinque sensi alla percezione del tempo, passando per la memoria, l’elaborazione del linguaggio, l’immaginazione e il problem solving. Aristotele sosteneva che gli animali formano mappe interiori del mondo introducendo informazioni dai sensi nel loro “senso comune”, quella che noi potremmo chiamare “mente”. Per dirla con le sue parole: (1) Nessuno può imparare o comprendere qualcosa in assenza di una percezione sensoriale, e (2) quando la mente è attivamente cosciente di una qualsiasi cosa, è necessariamente cosciente della cosa e di un’immagine […] Per l’anima pensante le immagini funzionano come se fossero contenuti percettivi […] proprio come se le stesse effettivamente vedendo, essa calcola e decide riguardo al futuro sulla base di ciò che è presente; e quando delibera su qualcosa, come nel caso di una sensazione essa dichiara l’oggetto piacevole o doloroso, e a seconda lo evita o lo persegue.

L’enfasi posta da Aristotele sulla percezione sensoriale come base della psiche e delle sua leggi di associazione è stata ripresa da svariati filosofidel XVIII e del XIX secolo come fondamento per lo studio della mente cognitiva. Tutto questo è stato infine codificato nell’opera di William James, in quello che è stato l’inizio della psicologia cognitiva moderna. Principi di psicologia tratta una gamma incredibilmente vasta di argomenti tuttora rilevanti per gli odierni psicologi cognitivi, tra cui le differenti funzioni degli emisferi del cervello, il primato dei sistemi rappresentazionali, le linee temporali mentali e persino i segnali di accesso comportamentali.

I metodi di James e degli altri fondatori della psicologia cognitiva erano tuttavia primariamente introspettivi e offrivano scarse applicazioni pratiche. La psicologia analitica di Freud e il comportamentismo si imposero in seguito come centro dell’attenzione di massima parte della psicologia applicata e della psicoterapia sino alla fine degli anni Sessanta. In questo decennio la comparsa delle droghe psichedeliche e l’avvento dell’intelligenza artificiale e del personal computer stimolarono grandemente l’interesse per gli effetti e il ruolo delle funzioni cognitive più elevate. La conseguente comparsa di forme di terapia a orientamento cognitivo, le analisi dell’elaborazione delle informazioni nei test di intelligenza e le teorie cognitive della personalità testimoniano la crescente influenza della psicologia cognitiva. L’analogia tra mente e computer ha influenzato in massimo grado lo studio della mente cognitiva (e in particolare la PNL). Secondo la maggior parte delle teorie cognitive, le informazioni raccolte dai sensi sono analizzate, immagazzinate, conservate e in seguito riutilizzate secondo diverse modalità. Per funzionare con efficacia queste attività, dette di elaborazione dei dati, non richiedono necessariamente di essere svolte consciamente. Concetti come quelli di “codifica”, “immagazzinamento e recupero delle informazioni”, “pro-grammazione” e così via appaiono frequentemente come componenti dei modelli cognitivi. La PNL, ad esempio, considera la mente essenzialmente come il prodotto di un sistema di programmi neuro-linguistici che operano all’interno del cervello e del sistema nervoso.

IL CERVELLO

All’interno del sistema nervoso, il cervello viene generalmente considerato come il “bio-computer” centrale, ed è l’organo a cui viene massimamente associata la mente cognitiva. Si stima che il cervello umano contenga 50-100 miliardi di neuroni. Le funzioni cognitive più elevate, quali il linguaggio, il problem solving e l’immaginazione, hanno luogo nella corteccia cerebrale, che per questo è considerata la sede della “mente” e della “coscienza”. Essa è composta da circa 10 miliardi di neuroni altamente interconnessi. Le sinapsi attraverso cui queste cellule comunicano tra loro formano una rete che vanterebbe, secondo stime recenti, 1000 trilioni di connessioni.

Funzioni del cervello umano

Il cervello regola e vigila sulle azioni e reazioni del corpo. Riceve continuamente informazioni sensoriali, che analizza rapidamente per poi rispondere controllando azioni e funzioni corporee. Il tronco encefalico regola il respiro, il ritmo cardiaco e altri processi del sistema nervoso autonomo che sono indipendenti dalle funzioni consce del cervello. La neocorteccia è il centro del pensiero di ordine di astrazione più elevato, dell’apprendimento e della memoria. Il cervelletto è responsabile dell’equilibrio, della postura e della coordinazione dei movimenti.

EMISFERI DEL CERVELLO

La corteccia è divisa in due emisferi. Per i destrimani, e per alcuni mancini, l’emisfero sinistro controlla l’attività conscia nella parte destra del corpo ed è considerato in primo luogo responsabile per forme lineari di elaborazione quali la logica e il linguaggio. L’emisfero destro controlla l’influenza conscia sul lato sinistro del corpo ed è ritenuto responsabile per modalità più simultanee e spaziali di elaborazione quali il riconoscimento e la sintesi. Compiti diversi richiedono diverse combinazioni e diversi livelli di attività negli emisferi destro e sinistro. Risolvere un problema di matematica tende a richiedere maggiore attività nell’emisfero sinistro; visualizzare un oggetto tridimensionale che ruota nello spazio richiederà probabilmente maggiore attività nell’emisfero destro. La creatività richiede il contributo di entrambe le parti.

SISTEMI RAPPRESENTAZIONALI SENSORIALI

Il cervello interagisce con il mondo esterno e il resto del corpo tramite i sensi, che funzionano tramite ricettori specializzati e organi di senso distribuiti nel corpo e nella testa. I sensi forniscono le informazioni su cui ci basiamo per costruire i modelli cognitivi di noi stessi e del mondo che ci circonda. Nel trattato sull’Anima, Aristotele ha categorizzato i sensi nelle cinque classi fondamentali di vista, udito, tatto, olfatto e gusto. I cinque sensi aristotelici corrispondono direttamente ai cinque “sistemi rappresentazionali” impiegati in tutte le generazioni di PNL – visivo, auditivo, cinestesico, olfattivo e gustativo. Secondo Aristotele, i cinque sensi forniscono alla mente informazioni riguardo a specifiche caratteristiche del mondo esterno, come ad esempio “chiaro e scuro, per la vista; acuto e grave, per l’udito; amaro e dolce, per il gusto […] freddo e caldo, secco e umido, duro e molle, ecc. per il tatto”. Queste caratteristiche corrispondono a quelle che la PNL chiama “submodalità”, dato che sono subcomponenti di ciascuno dei sistemi rappresentazionali. Le submodalità sono le particolari qualità percettive che possono essere registrate da ciascuna delle cinque modalità sensoriali primarie. La nostra modalità visiva, ad esempio, può percepire qualità quali il colore, la luminosità, le forme, la profondità; la nostra modalità auditiva è capace di registrare volume, tonalità, ritmo; il nostro sistema cinestesico percepisce qualità quali pressione, temperatura, grana e così via. Tanto Aristotele quanto la PNL considerano queste distinzioni come le componenti fondamentali della mente cognitiva: in un certo senso esse possono essere considerate come il “linguaggio macchina” su cui si fonda la nostra programmazione mentale.

Le tre modalità sensoriali umane primarie e le rispettive submodalità

Per quanto riguarda le funzioni cognitive della mente cognitiva umana, la PNL considera primario il gruppo dei sensi visivo, auditivo e cinestesico nella formazione delle rappresentazioni a partire dalle quali costruiamo i nostri modelli mentali del mondo. Anche se il senso dell’olfatto e quello del gusto giocano un ruolo molto più significativo in altri animali, essi sono un aspetto tutto sommato secondario dell’attività cognitiva umana, in particolare per quanto riguarda compiti cognitivi di elevata complessità. Come implica il termine stesso, un “sistema rappresentazionale” è più di un semplice canale per le informazioni. Comprende l’intero sistema di processi relativi a una determinata modalità sensoriale, inclusi quelli di ingresso, elaborazione, immagazzinamento, recupero e uscita. Sottolinea Charles Scott Sherrington, il grande fisiologo inglese, premio Nobel per i suoi studi in ambito neurologico: “È sempre il cervello la parte del sistema nervoso costruita e sviluppata a partire dagli organi di ‘percezione della distanza’”. L’organo di senso dell’udito è l’orecchio, ma le vibrazioni percepite dall’orecchio devono essere trasmesse al lobo temporale della corteccia cerebrale (un’area sul lato del cervello, subito sopra alle orecchie) per poter essere elaborate, immagazzinate e “comprese” (ossia rappresentate). Perché le parole siano comprese e perché sia loro attribuito un significato, devono anche essere connesse ad altre rappresentazioni sensoriali. Il canale di uscita del sistema rappresentazionale auditivo comprende la laringe e la bocca. Similmente, l’organo di senso della vista è l’occhio, ma i segnali visivi ricevuti dall’occhio sono elaborati e immagazzinati (o “rappresentati”) nel lobo occipitale sul retro della corteccia cerebrale. Allo stesso modo, la pelle e i recettori propriocettivi nei muscoli sono gli organi di senso del tatto e delle sensazioni viscerali. Perché i messaggi raccolti dal corpo prendano il significato, ad esempio, di “emozioni” e stati interiori, devono essere trasmessi all’area somestetica primaria, localizzata nel lobo parietale, vicino alla parte superiore del cervello. Il canale di uscita del sistema rappresentazionale cinestesico sono i gesti e i movimenti del corpo e le risposte degli organi interni come il cuore, lo stomaco e così via.

SEGNALI DI ACCESSO

Proprio come dobbiamo servirci di una tastiera, di un mouse o di un modem per usare i nostri computer, ci sono meccanismi fisici da usare per sfruttare il nostro bio-computer umano. Per registrare le informazioni provenienti dai sensi, analizzarle, immagazzinarle e ricodificarle allo scopo di usarle in diversi modi, dobbiamo impostare i nostri meccanismi fisiologici e neurologici in modo che dirigano le informazioni in maniera appropriata. Lo facciamo tramite sottili comportamenti che in PNL vengono chiamati “segnali di accesso”. I segnali di accesso sono associati all’attivazione di un certo sistema rappresentazionale: individuare questi segnali ci consente di sapere, istante per istante, quale sistema rappresentazionale una persona sta usando per pensare. Esempi tipici di segnali di accesso sono i movimenti oculari, il tono e la cadenza della voce, la postura, i gesti e l’andamento del respiro.

Quando le persone pensano, inviano tutta una serie di segnali specifici per ciascun sistema rappresentazionale. Tra questi vi sono il ritmo respiratorio, talune emissioni sonore non verbali, certe espressioni facciali, schiocchi delle dita, il portare le mani a certe parti del corpo e via dicendo. Alcuni di questi segnali cambiano da persona a persona e devono essere “calibrati” di volta in volta; molti, però, sono generalmente associati a un determinato processo sensoriale. Fu proprio il già citato William James a proporre per la prima volta l’idea che esistessero dei “segnali di accesso” microcomportamentali. Dopo aver osservato che certe forme di micromovimento accompagnavano sempre l’attività di pensiero, James scrisse: Nel soffermarsi su un’idea o sensazione che appartiene a una determinata sfera sensoriale, il movimento corrisponde all’attivazione dell’organo di senso, percepita mentre essa ha luogo. Non posso, ad esempio, pensare in termini visivi senza percepire un gioco fluttuante di pressioni, convergenze, divergenze e accomodamenti dei miei globi oculari […] Quando cerco di ricordare o riflettere, è come se i movimenti in questione […] fossero una sorta di ritirarsi della mia attenzione dal mondo esterno. Per quanto riesco a discernere, queste sensazioni sono dovute a un effettivo muoversi in alto e verso l’esterno dei globi oculari.

Il fenomeno descritto da James è ben noto in PNL come segnale di accesso visivo (occhi che si muovono in alto a sinistra o a destra per visualizzare). James postulò che tutti i processi mentali fossero accompagnati e diretti da minuscoli cambiamenti fisici di questo tipo. Osservò anche che, proprio come i processi che riflettono, questi microsegnali fisiologici formavano schemi coerenti e ripetitivi, indipendentemente dal contenuto delle riflessioni della persona. La peculiarità di tali aggiustamenti sembrerebbe il fatto che sono riflessi minimi, di numero ridotto, ripetuti incessantemente, costanti nel bel mezzo di grandi variazioni nel resto del contenuto della mente, e del tutto ininfluenti e privi di interesse, se non per il loro uso nel favorire o inibire la presenza di vari elementi e azioni al cospetto dell’attenzione conscia.

Questa è probabilmente una delle definizioni più eleganti mai scritte su ciò che la PNL intende con “segnali di accesso”. Imparando a leggere questi “riflessi” si possono riconoscere e influenzare gli schemi di pensiero propri e altrui. La PNL ha sviluppato diverse tecniche per l’applicazione pratica dei segnali di accesso, per la comunicazione e per il cambiamento. Alcuni tra i più comuni segnali di accesso impiegati in PNL sono:

a. Visivo:testa e occhi rivolti verso l’alto, gesti all’altezza degli occhi, respirazione toracica e superficiale, strizzare gli occhi, voce con cadenza più veloce e tonalità più alta.

b. Auditivo: testa e occhi rivolti di lato, gesti nella periferia delle orecchie, respirazione diaframmatica, fronte corrugata, tono e cadenza della voce molto variabili.

c. Cinestesico: testa e occhi rivolti verso il basso, gestualità rivolta verso il corpo, respirazione addominale profonda, voce profonda e morbida con cadenza più lenta.

LINGUAGGIO

Una delle caratteristiche di unicità del cervello umano, e una componente fondamentale della nostra mente cognitiva, è l’uso del linguaggio. In un certo senso, possiamo dire che il linguaggio è il cemento che lega assieme le altre rappresentazioni sensoriali. Il termine “linguaggio” si è esteso nel tempo dal significato di “lingua parlata” per arrivare a includere molti aspetti della codificazione e della comunicazione. Il Webster’s Dictionarydefinisce il linguaggio come “qualsiasi modo di trasferire o comunicare idee. Nello specifico, la lingua parlata dagli esseri umani; l’espressione di idee per mezzo della voce; suoni, che esprimono pensieri, articolati dagli organi situati nella gola e dalla bocca”. Stando sempre al Webster’s: Il linguaggio consiste nella vocalizzazione di suoni che l’uso ha associato alla rappresentazione di idee. Quando due o più persone abitualmente collegano gli stessi suoni alle stesse idee, l’espressione di questi suoni da parte di una persona comunica le sue idee all’altra. Questo è il significato primario del linguaggio, la cui funzione è quella di comunicare i pensieri di una persona a un’altra tramite il senso dell’udito. I suoni articolati vengono rappresentati alla vista sotto forma di lettere, segni o caratteri che formano parole.

Dunque, il linguaggio è un aspetto fondamentale sia della codificazione sia della comunicazione della nostra esperienza sensoriale e delle nostre idee. È tanto una rappresentazione dell’esperienza quanto un modo di comunicare pensieri che la riguardano. Il linguaggio sta alla radice della Programmazione Neuro-Linguistica, che ne studia l’influenza sui programmi cognitivi e su altre funzioni del sistema nervoso. La PNL studia, inoltre, il modo in cui i nostri programmi mentali e il nostro sistema nervoso formano e al tempo stesso riflettono il nostro linguaggio e i nostri schemi linguistici. La lingua parlata è una caratteristica unica della razza umana, ed è considerata uno dei fattori chiave che ci distinguono dagli altri esseri viventi. Sigmund Freud, ad esempio, riteneva che le parole fossero lo strumento fondamentale della coscienza umana, e in quanto tali avessero speciali poteri. Per dirla con le sue parole: Le parole e la magia erano in principio una sola cosa, e anche oggi le parole conservano gran parte del loro magico potere. Usando solo parole uno di noi può dare a un altro la più grande felicità o causare la più profonda delle disperazioni; con le parole l’insegnante trasmette la propria conoscenza agli studenti; con le parole l’oratore cattura il pubblico e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole evocano emozioni e sono lo strumento universalmente utilizzato per influenzare i nostri simili.

L’enfasi posta da Freud sull’importanza del linguaggio è simile a quella che si ritrova in alcuni dei principi chiave della Programmazione Neuro-Linguistica. Il funzionamento del nostro sistema nervoso (“neuro”) è intimamente legato alla nostra capacità di usare il linguaggio (“linguistica”): questa è l’essenza della PNL. Le strategie (“programmazione”) tramite le quali organizziamo e guidiamo i nostri comportamenti sono composte dai nostri schemi neurologici e verbali. Nel loro primo libro, La struttura della magia, i co-fondatori della PNL Richard Bandler e John Grinder si sono sforzati di definire alcuni dei principi che stanno dietro all’apparente “magia” del linguaggio cui Freud aveva fatto riferimento.

Tutti i conseguimenti della razza umana, sia positivi sia negativi, hanno avuto a che vedere con l’uso del linguaggio. In qualità di esseri umani, noi usiamo il linguaggio in due modi. Lo usiamo prima di tutto per rappresentare la nostra esperienza – chiamiamo questa attività ragionamento, pensiero, fantasia, ripetizione mentale. Quando usiamo il linguaggio come sistema rappresentazionale, creiamo un modello della nostra esperienza. Questo modello del mondo che creiamo per mezzo dell’utilizzo rappresentazionale del linguaggio si basa sulle nostre percezioni del mondo, percezioni in parte determinate da quello stesso modello o rappresentazione […] In secondo luogo, usiamo il linguaggio per comunicarci reciprocamente il nostro modello o rappresentazione del mondo. Quando usiamo il linguaggio per comunicare, ci riferiamo a esso in termini di parola, discussione, scrittura, lezione, canto.

Dunque, secondo Bandler e Grinder, il linguaggio serve come strumento per rappresentare o creare modelli della nostra esperienza, e anche come mezzo per comunicare con gli altri a riguardo. Aristotele ha descritto la relazione tra parole ed esperienza mentale nel modo seguente: Le parole parlate sono simboli dell’esperienza mentale, e le parole scritte sono simboli delle parole parlate. Proprio come tutti gli uomini hanno una grafia diversa, tutti producono anche suoni linguistici diversi, ma le esperienze mentali che queste parole direttamente simboleggiano sono le stesse per tutti, come lo sono anche le cose di cui le nostre esperienze sono le immagini.

Quando Aristotele afferma che le parole simboleggiano la nostra “esperienza mentale” è vicino a quella nozione di PNL che vede la parola scritta e parlata come strutture superficiali, trasformazioni di altre strutture profonde mentali e linguistiche. Ne consegue che le parole possono tanto rispecchiare quanto dare forma alle esperienze mentali. Questo le rende un potente strumento per il pensiero e per altri processi mentali, consci o inconsci che siano. Riuscendo ad accedere alla struttura profonda al di là delle specifiche parole usate da una persona siamo in grado di identificare e influenzare le operazioni mentali a livello di processo che traspaiono negli schemi linguistici della persona stessa. Considerato in questi termini, il linguaggio non è solo un “epifenomeno” o una serie di segni arbitrari tramite i quali comunichiamo cose riguardo alla nostra esperienza mentale; èuna parte fondamentale della nostra esperienza mentale. Come sottolineano Bandler e Grinder: Il sistema nervoso responsabile per la produzione del sistema rappresentazionale del linguaggio è il medesimo sistema nervoso tramite il quale gli umani producono qualsiasi altro modello del mondo – visivo, cinestesico e così via […] I medesimi principi strutturali operano in ciascuno di questi sistemi.

Pensandola in questo modo, possiamo vedere la struttura del linguaggio in parallelo a quella degli altri sistemi percettivi. La struttura e i principi del linguaggio rispecchierebbero dunque in qualche modo la struttura e i principi della percezione. Le strategie per “formare concetti” deriverebbero però più dai “principi strutturali” (ossia sintassi e grammatica) del linguaggio che dallo specifico contenuto del lessico o delle parole.

Il linguaggio, dunque, può accompagnare o addirittura sostituire le esperienze e le attività nei nostri altri sistemi rappresentazionali. Un’importante implicazione di questo fatto è che “parlare di qualcosa” può avere effetti che vanno ben al di là del riflettere le nostre percezioni, spingendosi fino a crearle o cambiarle. Questo comporta un ruolo potenzialmente profondissimo e speciale del linguaggio nei processi di cambiamento e guarigione. La PNL muove a partire da una concezione del linguaggio come “quadrupla”. Con questo si intende che le parole o “struttura superficiale” (Ad) sono simboli o codifiche di gruppi di rappresentazioni sensoriali immagazzinate o “strutture profonde” derivate dai quattro canali sensoriali fondamentali: Visivo, Auditivo (At), Cinestesico (K), e Olfattivo. La relazione basilare che intercorre tra linguaggio ed esperienza viene rappresentata come Ad<At,V,K,O>, dove la struttura superficiale verbale (Ad) deriva dalla struttura profonda sensoriale Ad<At,V,K,O> e, al tempo stesso, la attiva. Il linguaggio è dunque un “operatore” che organizza e struttura altri aspetti della nostra esperienza.

Le “strutture superficiali” verbali derivano dalle “strutture profonde” della nostra esperienza sensoriale ma, al tempo stesso, le causano.

Questa relazione dota il linguaggio di uno speciale ruolo in quanto “meta-modello”, vale a dire un modello degli altri nostri modelli mentali; qualcosa che gli altri animali non possiedono. È la nostra capacità di costruire meta-modelli a permetterci una vasta gamma di opzioni e ampia flessibilità nella relazione con la nostra esperienza del mondo. Per quanto riguarda il linguaggio, anziché sul contenuto la PNL si concentra soprattutto sugli schemi, sui processi e sulle forme. In PNL si identificano per questo certe classi di parole – come nominalizzazioni, predicati sensoriali, ambiguità, comandi nascosti – che riflettono aree di cancellazione, distorsione e generalizzazione nella nostra esperienza e nelle nostre mappe del mondo. Questo tipo di schemi formali riflette processi di livello più alto, quali convinzioni, presupposizioni e assunti, che esercitano un’influenza maggiore di qualsiasi specifico contenuto sulla nostra percezione del mondo. In PNL si sottolineano anche gli aspetti non verbali del linguaggio come elemento chiave nel formare e nel comunicare i nostri modelli del mondo. La sintassi somatica (si

veda il Capitolo 2), ad esempio, analizza come gli schemi non verbali, quali movimenti e gesti, al tempo stesso diano e prendano forma dalle nostre esperienze e rappresentazioni interne.

CINQUE SVILUPPI CHIAVE DELLA PROGRAMMAZIONE NEURO-LINGUISTICA SUCCESSIVI ALLA PRIMA GENERAZIONE

Riassumendo quanto detto finora riguardo alla mente cognitiva, in PNL la mente umana è vista primariamente come un prodotto del sistema nervoso. La mente cognitiva si manifesta e si esprime tramite una serie di complesse interazioni tra sistemi di reti neurali negli emisferi della corteccia cerebrale, in altre strutture del cervello e nei sistemi nervosi che si estendono nel resto del corpo, in particolare quelli correlati con i sistemi rappresentazionali sensoriali. Sempre secondo i principi della PNL, l’attività all’interno di queste strutture (che si rende manifesta nel linguaggio e in altri programmi interni di diversi livelli) è la fonte primaria dell’intelligenza e dell’esperienza umana. Questi programmi formano il percorso di trasformazione attraverso il quale le strutture mentali profonde sono collegate l’una all’altra, nonché alle strutture superficiali linguistiche e comportamentali.

La maggior parte delle tecniche originarie della PNL si fondavano quasi esclusivamente sul lavoro relativo alle distinzioni dei sistemi rappresentazionali, delle submodalità, dei segnali di accesso e dei modelli linguistici. Simili strumenti di prima generazione sono:

• Gli schemi linguistici del Meta Modello • L’estrazione e l’utilizzazione delle strategie cognitive • Lo Swish pattern • La tecnica di dissociazione visivo-cinestesico • La strategia del generatore di nuovi comportamenti • L’uso delle metafore e dei modelli linguistici ipnotici del Milton Model

A partire da queste fondamentali strutture e distinzioni, la PNL si è evoluta e ha sviluppato negli anni trascorsi dalle sue origini una vasta gamma di tecniche e applicazioni. Troppe per essere trattate tutte diffusamente in queste pagine. Negli ultimi trent’anni sono anche emerse una serie di importanti nuove distinzioni e di modelli all’interno della PNL: nuovi schemi derivati da quegli schemi fondamentali. In questo capitolo illustreremo brevemente cinque tra questi nuovi sviluppi che riteniamo essere i più rappresentativi e importanti per le nuove generazioni di PNL:

• La percezione del tempo e la time-line • Le posizioni percettive • I livelli neurologici • Il modello SCORE • I Meta-programmi

LA PERCEZIONE DEL TEMPO

La percezione del tempo è una componente importante del nostro senso della realtà, che influenza il modo in cui pianifichiamo e risolviamo i problemi e determina come ci rapportiamo con le limitazioni nelle quali incappiamo. La nostra percezione del tempo, tuttavia, è in larga misura un costrutto cognitivo. I nostri corpi fisici sono sempre e solo nel presente. Mentre le nostre menti possono viaggiare nel passato o nel futuro, i nostri corpi sono sempre “qui e ora” e sono costruiti in primo luogo per percepire il momento presente. Dobbiamo, ad esempio, sempre continuare a respirare nel momento presente; il respiro fatto un’ora fa non serve più a tenerci in vita. La capacità di viaggiare nel tempo della mente cognitiva può essere una risorsa o una fonte di sofferenza, a seconda della nostra relazione col tempo e della qualità della nostra coscienza di tale relazione. Tra gli sviluppatori della PNL sono in molti coloro che hanno compiuto importanti esplorazioni sui modi in cui le persone rappresentano il tempo soggettivamente, e su come ciò influenzi il modo in cui le persone percepiscono e attribuiscono significato agli eventi. Ecco alcuni dei titoli e degli autori che potreste voler consultare: Il tempo per cambiare con la PNL, di Bandler; Time-line, di James e Woodsmall; Cambiare la mente, di Andreas e Andreas; Cambiare le convinzioni con la PNL, di Dilts. Il modo in cui le persone rappresentano passato e futuro, e organizzano gli eventi nel “tempo” può avere un grosso impatto sui loro pensieri, le loro emozioni e i loro progetti. Ad esempio, prendetevi un momento e notate come percepite soggettivamente il “tempo”. Pensate a una cosa che è successa (a) ieri, (b) la settimana scorsa e (c) un anno fa. Come sapete che una è successa ieri e l’altra un anno fa? Come rappresentate la “distanza” nel tempo tra i diversi avvenimenti? Ora, guardate un orologio e segnatevi l’ora. Distogliete lo sguardo dall’orologio e tornate a guardarlo quando ritenete che siano passati due minuti e mezzo. Come fate a sapere quanto tempo è passato? Lo percepite in maniera diversa rispetto a quando avete considerato la relazione tra i tre eventi nell’esperimento precedente? Pensate all’“adesso”. Come fate a sapere che è “adesso”? Quanto è grande l’adesso? Quando pensate all’adesso, è ampio o ristretto? Quando pensate al tempo, in quale direzione è il passato e in quale il futuro? Ad esempio, il passato è dietro di voi, alla vostra sinistra, o da qualche altra parte? Ponete le stesse domande a un’altra persona. Notate similitudini e differenze: potreste riscontrare diversità sorprendenti. Un metodo comune di organizzare la percezione del tempo è quello di collocarla su una linea temporale, una time-line, costituita da punti che rappresentano passato, presente e futuro in una catena di relazioni causa-effetto. Un secondo metodo altrettanto importante nel percepire il tempo è entro una cornicetemporale (lungo termine, medio termine, breve termine) che rappresenta la distanza, l’estensione o la relazione che intercorre tra differenti eventi sulla time-line.

L’ORIGINE DEL CONCETTO DI TIME-LINE

Uno dei primi a esplorare l’aspetto soggettivo del tempo è stato, ancora una volta, Aristotele. Nella sua Fisica ha addirittura messo in discussione, forse scherzosamente, l’oggettiva realtà del tempo: Le seguenti considerazioni porterebbero a sospettare che il tempo o non esista del tutto, oppure a malapena e in modo piuttosto oscuro. Una parte del tempo è stata e non è più, mentre l’altra sarà e non è ancora. Eppure il tempo – sia il tempo infinito che quello che impieghiamo a fare le cose – è composto di entrambi questi elementi. Si tenderebbe naturalmente a supporre che una cosa composta di cose che non esistono non abbia niente a che vedere con la realtà.

Eppure, anche se possiamo mettere in discussione l’oggettiva esistenza del tempo, rimane il fatto che strutturiamo buona parte delle nostre vite sulla base di esso e della percezione che ne abbiamo. Il modo in cui organizziamo e collochiamo gli eventi nel tempo può influenzare considerevolmente i loro effetti da noi percepiti. Nel cercare di comprendere l’esperienza soggettiva del tempo, Aristotele ha affermato: Percepiamo il tempo solo quando lo abbiamo demarcato in termini di movimento, contrassegnandolo come “prima” e “dopo”; ed è solo quando abbiamo percepito “prima” e “dopo” in movimento che possiamo dire che un certo tempo è passato. Li demarchiamo dunque giudicando che A e B sono diversi, e che vi è un qualche terzo elemento tra di loro. Quando pensiamo agli estremi come diversi da ciò che sta in mezzo e la mente afferma che gli “adesso” sono due, uno prima e uno dopo, allora e solo allora diciamo che il tempo è. […] perché ciò che è demarcato dai confini dell’“adesso” è ciò che pensiamo come tempo […] perché il tempo è semplicemente questo: il numero del movimento secondo il prima e il dopo […] Vi è una corrispondenza con il punto; in quanto punto esso unisce e determina la grandezza: in effetti ne è da un lato principio e dall’altro fine.

Questa percezione del tempo come un susseguirsi di punti che isolano dei segmenti su una retta per quantificare gli eventi, così che l’adesso viene “dopo” il passato (A) e “prima” del futuro (B), è stata adottata e impiegata da scienziati e pianificatori da quando Aristotele l’ha enunciata in poi. Si può ben dire, infatti, che “le linee temporali” e il tempo lineare sono diventati la modalità principale di pensare il tempo nella società occidentale.

Secondo Aristotele, percepiamo il tempo come un punto in movimento lungo una linea.

AMPLIARE IL CONCETTO DI TEMPO “LINEARE”

Aristotele affermava anche che i metodi lineari di percezione e misurazione del tempo sono l’unica via, e che sono principalmente utili per quelle che definiva “cause meccaniche”. Considerava l’influenza del tempo sui fenomeni biologici e mentali in modo diverso: Un noto detto afferma che gli affari umani formano un cerchio, e che c’è un cerchio in tutte le altre cose che hanno un naturale movimento di venire a essere e poi cessare di esistere. Questo è perché tutte le altre cose sono discriminate dal tempo, e iniziano e finiscono come in conformità con un cerchio; perché persino il tempo stesso si pensa sia un cerchio […] Così, dire che le cose che vengono a essere formano un cerchio equivale a dire che vi è un cerchio del tempo; ed equivale a dire che esso viene misurato da un movimento circolare.

Aristotele suggeriva che il tempo relativo ai processi meccanici si può rappresentare con la classica “linea del tempo”. Tuttavia, il tempo relativo ai processi più organici che comprendono “il naturale movimento del venire a essere e del cessare di esistere” può essere meglio rappresentato sotto forma di cerchi e “cicli”.

Linea del tempo “circolare” o ciclica

Questi diversi modi di percepire il tempo faranno sì che la nostra attenzione si concentri in modi diversi e su diversi aspetti di una situazione. Vedere il tempo in termini di cicli, ad esempio, ci porterebbe a percepire e misurare il significato degli eventi nel mondo che ci circonda in modo diverso da quanto facciamo percependoli secondo un tempo lineare. In alcune culture, come ad esempio quella balinese, il principale modo di percepire il tempo è circolare, anziché lineare. Per coloro che appartengono a questa cultura il tempo scorre in cicli sovrapposti di 2 giorni, 7 giorni, 72 giorni, 72 anni e così via. Determinano e pianificano le loro interazioni sociali, cerimonie ed eventi culturali a seconda della loro posizione in uno di questi cicli, o sull’intersezione di diversi cicli. Ne consegue che il loro senso della realtà è piuttosto diverso da quello della maggior parte degli occidentali.

Il tempo occidentale presuppone un concetto di tempo lineare e descritto in termini di unità discrete, ossia momenti, secondi, ore, settimane e così via. Per una cultura che non lo concepisce come un fenomeno discreto o lineare l’esperienza del “tempo” potrebbe significare una percezione simultanea di “ora” e “sempre”. “Passato” e “futuro” non sono segmenti che progressivamente si allontanano o si avvicinano al presente, quanto piuttosto cornici temporali contenenti dati che danno forma all’esperienza in atto e la influenzano.

Nell’ambito delle culture in cui il “tempo” non è percepito in modo lineare, “passato” e “futuro” sono cornici di referenza contenenti dati che danno forma all’esperienza in atto e la influenzano.

IL “FILO DI PERLE” DI WILLIAM JAMES

Negli ultimi anni dell’Ottocento, il grande psicologo William James ha affrontato la percezione del tempo nel suo celeberrimoPrincipi di psicologia. James ha correlato la percezione del tempo alla nostra coscienza di quello che definì lo “stream of consciousness”. Ha paragonato “ciò che costituisce la coscienza” a “un filo di perle di sensazioni e immagini, tutte separate […]”. Da questo punto di vista, la nostra percezione del tempo sarebbe una funzione della posizione della nostra coscienza sul filo di perle. Stando a James: Pensare a una cosa come “passata” è pensarla tra gli oggetti o nella direzione degli oggetti che nel momento presente appaiono essere in-fluenzati da questa qualità.

Un importante aspetto dell’analogia con il filo di perle è che il filo può essere manipolato; può essere ripiegato o annodato su se stesso e girato in maniera tale che le varie perle assumano diverse relazioni l’una con l’altra. Piegando il filo in un certo modo, le perle del “passato” possono venire a stretto contatto con le perle che rappresentano il “presente”.

La concezione di William James della percezione del tempo come “filo di perle” di sensazioni

L’osservazione di James, che elegge la “direzione” a caratteristica chiave della percezione del tempo, è a sua volta importante, in quanto solleva la questione del nostro coinvolgimento nella percezione del tempo. Afferma James: “L’unità di cui è composta la nostra percezione è una durata con una prua e una poppa, un lato rivolto in avanti e uno rivolto indietro”. La percezione del tempo, dunque, è come una barca sul flusso della coscienza. Qualsiasi cosa si trovi di fronte al “lato rivolto avanti” è il futuro. Ciò che è dietro al “lato rivolto indietro” è il passato. La misura in cui un qualche evento è prossimo all’orizzonte è un indice della sua lontananza nel futuro o nel passato. Ecco come lo ha descritto James: C’è una sorta di proiezione prospettica degli oggetti del passato sulla coscienza presente, simile a quella di un ampio paesaggio sulla pellicola di una macchina fotografica.

Come suggeriscono le idee di “paesaggio” o “flusso”, ciò che James aggiunge al concetto del tempo di Aristotele è la capacità di muoversi o ricollocarsi rispetto alla posizione del tempo. In questo modo, il tempo non ha un singolo significato. Piuttosto, la nostra posizione e prospettiva rispetto alla nostra percezione del tempo determinano le relazioni e l’importanza degli eventi.

LA TIME-LINE COME STRUMENTO PER IL CAMBIAMENTO

I primi impieghi terapeutici della percezione del tempo si sono avuti con Sigmund Freud. Freud incorporò la capacità delle persone di cambiare la propria percezione del tempo come importante componente della sua terapia psicoanalitica. Scoprì che, quando le persone facevano esperienza di sintomi psicologici, spesso sembravano “regredire” nel tempo e rivivere esperienze precedenti delle loro vite. Freud notò tuttavia che, se il paziente era in grado di porre questi eventi passati in prospettiva tramite l’analisi, e riconosceva le loro “relazioni temporali” con altri eventi biografici, spesso otteneva un significativo sollievo dai propri sintomi. Chiaramente la nostra percezione del “tempo” influenza il modo in cui diamo significato a un’esperienza. Alla maggior parte di noi è successo che una cosa sembrasse importantissima in un determinato momento e che, considerandola poi all’interno di una

cornice temporale più ampia, questa stessa cosa suscitasse la domanda: ma come ho fatto a darle un tale peso?

“NEL TEMPO” E “ATTRAVERSO IL TEMPO”

Nel modello della PNL, le osservazioni di Freud rientrano nelle due fondamentali prospettive da cui si può fare esperienza del tempo: percepire qualcosa “nel tempo” o “attraverso il tempo”. Questa distinzione è stata fatta per la prima volta nel 1979, quando si cominciò a parlare di Meta-programmi. Percepire un evento “nel tempo” implica l’assunzione di un punto di vista associato con l’evento in corso: vedere, udire e percepire le sensazioni di ciò che sta accadendo attraverso i propri occhi, le proprie orecchie e il proprio corpo. Da questa posizione percettiva, il “presente” è la posizione fisica attuale della persona, con il “futuro” rappresentato come una linea che si estende di fronte, e il “passato” di dietro – in maniera tale che si cammina verso il futuro lasciandosi il passato alle spalle. Si può anche però invertire la direzione e muoversi all’indietro verso il passato. Per rivivere un evento o “regredire”, è necessario esperirlo “nel tempo” in questo modo.

Time-line “nel tempo”

Quando si percepiscono gli eventi “attraverso il tempo”, si assume un punto di vista che è al di fuori della sequenza degli eventi, dissociandosi da ciò che si sta osservando. Da questo punto di vista, la time-line viene solitamente visualizzata con il “passato” e il “futuro” che si estendono in direzioni contrapposte (tipicamente verso sinistra il primo e verso destra il secondo) e il “presente” collocato nella zona centrale (come il punto sulla retta del tempo di Aristotele). Per descrivere un evento e il suo relativo effetto e poi porli in una relazione temporale con le altre proprie esperienze è necessario percepirle “attraverso il tempo”.

Time-line “attraverso il tempo”

Le due prospettive (che possono essere rappresentate visivamente oppure sfruttando effettivi spazi fisici) creano diverse percezioni del medesimo evento. Il punto di vista “attraverso il tempo” è efficace per le analisi quantitative, ma è di natura più passiva in quanto dissociato. La prospettiva “nel tempo” è più attiva e coinvolgente, ma tende a far perdere di vista il quadro generale. Molti sintomi mentali ed emotivi sono il risultato di una regressione “nel tempo” a esperienze passate – senza la possibilità di scegliere di assumere il punto di vista più distaccato dell’osservatore “attraverso il tempo”. Di conseguenza, una persona reagisce inconsciamente nel presente come aveva fatto in precedenza nella propria vita. Ad esempio, una persona gravata da una paura apparentemente irrazionale di parlare in pubblico in certe circostanze potrebbe scoprire che vi è stato un momento, nell’infanzia, in cui è stata umiliata o derisa di fronte a una classe o a un gruppo di persone. Anche in età adulta simili circostanze possono mettere in moto associazioni con la situazione vissuta da bambini, che le persone percepiscono emotivamente ma di cui non sono altrimenti consce.

Vedere la “relazione temporale” di passato e presente da un punto di vista “attraverso il tempo” ne cambia l’effetto a livello emotivo.

Molti metodi di PNL incorporano i due modi di percepire il tempo, sfruttando time-line mentali o fisiche. In Cambio di storia personale, ad esempio, un sintomo emotivo viene prima riportato “nel tempo” alle circostanze della sua origine. L’esperienza viene poi vista “attraverso il tempo” per ottenere una prospettiva più ampia degli eventi. Infine, delle risorse vengono riportate “nel tempo” all’evento originario, creando una nuova percezione di esso e alterandone l’effetto emotivo.

LE CORNICI TEMPORALI

Mentre le linee temporali ci aiutano a mettere in sequenza eventi su di un percorso, le cornici temporali determinano spesso in modo più forte l’impatto che gli eventi avranno su di noi. Le cornici temporali riguardano più la distanza che la sequenza. Percepire un determinato compito o una relazione in riferimento al passato lontano, ad esempio, darà alla cosa un significato e una prospettiva diversi da quella che si hanno percependola in riferimento alla situazione attuale, al futuro immediato, o al futuro remoto. La valutazione che una persona fa dello “stato” di una determinata relazione o di un compito cambierà in funzione della cornice temporale impiegata per giudicarla. Definire una cornice temporale di dieci minuti per una riunione o per un esercizio, ad esempio, gioca un ruolo importante nel determinare cosa si potrà o non si potrà fare. Determinerà i punti su cui i partecipanti concentreranno la propria attenzione, quali argomenti e quali questioni potranno essere affrontate durante l’interazione, e il tipo e l’intensità delle energie che vi saranno investite. Una cornice temporale di un’ora o di tre ore per la medesima riunione o lo stesso esercizio creerebbe dinamiche del tutto differenti. Cornici temporali più brevi tendono ad aumentare la concentrazione sui compiti da svolgere, mentre cornici temporali più lunghe aprono possibilità aggiuntive sullo sviluppo delle relazioni. Se per una riunione si pone un limite di quindici minuti, è più probabile che essa sia interpretata come un incontro orientato ai compiti da svolgere piuttosto che come una sessione aperta di esplorazione e di brainstorming. Come tutte le distinzioni cognitive, le cornici temporali hanno specifici schemi verbali, sensoriali e fisici a esse associati. Il tempo verbale è l’ovvia codifica linguistica delle

cornici temporali. Le cornici verbali relative al passato, ad esempio, sono espresse con le forme del tempo passato: “ho visto”, “vidi”, “vedevo” e così via. Da un punto di vista cognitivo il nostro passato è composto di specifici ricordi, mentre da un punto di vista fisiologico è associato ai processi dell’emisfero destro (tipicamente caratterizzati, nei destrimani, da movimenti oculari e gesti che indicano verso sinistra). I ricordi sono generalmente rappresentazioni multisensoriali “associate” di specifici eventi. Il presente è una cornice temporale ancorata nell’esperienza sensoriale in atto, ed espressa dall’uso dell’omonimo tempo verbale nel linguaggio. Dato che il presente tende a riguardare l’esperienza sensoriale immediata, lo stato fisiologico associato alla cornice temporale del presente è attivo e funziona in risposta a stimoli ambientali in atto (la persona è attenta e vigile, mantiene il contatto oculare con l’interlocutore, risponde prontamente agli stimoli esterni, siano essi visivi, auditivi o cinestesici eccetera). La cornice temporale del futuro è una funzione dell’immaginazione, dell’aspettativa e della fantasia. Da un punto di vista linguistico, si esprime usando l’omonimo tempo verbale. Da un punto di vista fisiologico, gli scenari futuri immaginati e prodotti dalla fantasia sono associati a processi dell’emisfero sinistro (tipicamente caratterizzati, nei destrimani, da movimenti oculari e gesti che indicano verso destra). I costrutti mentali del futuro sono più spesso “dissociati” rispetto a quelli che hanno a che vedere con il presente o il passato. Più un’esperienza è percepita distante nel passato o nel futuro, più la rappresentazione interna e lo stato fisiologico che la accompagnano tendono a essere dissociati. È anche possibile “associarsi” a un evento passato, per riviverlo, o a un evento futuro “come se” stesse avendo luogo nel presente. In questo modo, passato e futuro possono essere vissuti come fossero “presenti”, e lo stato fisiologico e le rappresentazioni interne diventano più associate e ricche. Ricordare cornici temporali più lunghe in riferimento al passato permette di identificare schemi comportamentali a lungo termine e, quindi, di predire con maggiore accuratezza le azioni nel presente. Proiettare i potenziali risultati in un futuro a lungo termine permette a una persona di calcolare le conseguenze di una determinata azione nel presente. Maggiore è la distanza che si è in grado di coprire guardando nel passato e nel futuro, più si riesce ad agire con saggezza e intelligenza. La PNL ha sviluppato un ampio bagaglio di tecnologie per gestire e coordinare molte questioni che hanno a che vedere con la percezione del tempo. L’esercizio che segue è stato sviluppato da Robert Dilts e Todd Epstein nei primi anni Novanta, come mezzo per creare un’esperienza di riferimento personale per l’integrazione della percezione del tempo immediata e a lungo termine.

ESERCIZIO: INTEGRARE LE CORNICI TEMPORALI

1. Trovate un compagno e state in piedi o seduti uno di fronte all’altro, a un braccio di distanza.

2. Guardate la faccia dell’altra persona e calatevi nel momento presente (ossia, siate del tutto consci di cosa state vedendo, udendo, percependo, gustando e odorando in questo momento).

3. Quando riuscite a sentirvi completamente immersi nelpresente, stendete la mano destra e prendete la mano destra della persona davanti a voi.

4. Lasciate andare la mano, chiudete gli occhi, fate un respiro profondo e giratevi di 180°.

5. Tornate a rivolgervi verso il vostro compagno. Estendete la vostra percezione del tempo dal momento immediato al tempo necessario a svolgere l’esercizio, quindi alla cornice temporale della giornata, della settima, del mese, dell’anno, della fase della vostra vita in cui vi trovate, dell’interezza della vostra vita, fino a una cornice temporale più ampia della vostra stessa vita, che si estende nel passato e nel futuro verso un senso di eternità.

6. Quando siete in grado di percepire un senso del tempo che si avvicina all’eternità o all’assenza di tempo, protendete la mano sinistra e prendete la mano sinistra della persona di fronte a voi.

7. Lasciate andare la mano, chiudete gli occhi, fate un respiro profondo e giratevi di 180°.

8. Tornate a rivolgervi verso il compagno. Guardatevi negli occhi e fate assieme un respiro profondo. Poi prendete entrambe le mani del compagno contemporaneamente.

In questa procedura, il toccare le mani viene usato come forma di ancoraggio. Si stabiliscono delle ancore per la percezione del tempo immediata e a lungo termine, che sono poi attivate simultaneamente per creare uno stato neurologico in cui le due modalità di percezione si integrano. Questo genera spesso uno stato assai profondo, che molti associano agli stati alterati di coscienza (come la trance ipnotica) o alle esperienze più “spirituali”. È assai raro che le esperienze spirituali vengano descritte e codificate in termini di tempo lineare; di fatto esse sono per lo più caratterizzate proprio da una percezione molto alterata del tempo, come l’avere un senso di “assenza di tempo”, il che spesso consegue proprio dall’integrazione del senso di “ora” e “per sempre”. Una versione adattata di questo processo è stata inserita da Robert Dilts e Robert McDonald nel loro programmaTools of the Spirit come uno degli strumenti per aiutare le persone ad accedere alla coscienza spirituale.

Le time-line mentali e fisiche sono diventate uno degli strumenti della PNL più comunemente usati negli ambiti della terapia, del business e della crescita personale. Il

lavoro sulla percezione del tempo è alla radice di processi di PNL quali il Cambio di storia personale, il reimprinting, la ricerca transderivazionale, il ricalco nel futuro, la pianificazione strategica, e praticamente tutti i metodi per definire e gestire un percorso da uno stato presente a uno stato desiderato.

LE POSIZIONI PERCETTIVE

La nozione di posizione percettiva è stata originariamente formulata da John Grinder e Judith DeLozier, nel 1987, come ampliamento di concetti precedentemente sviluppati nell’ambito della PNL, come gli “indici referenziali” e la “meta-posizione”, nonché l’idea di “doppia” e “tripla” descrizione di Gregory Bateson. Una “posizione percettiva” è essenzialmente una prospettiva o un punto di vista a partire da cui si percepisce una situazione o relazione. Negli anni sono state definite tre posizioni fondamentali che si possono assumere nel percepire una determinata esperienza. La prima posizione è quando si vede qualcosa attraverso i propri occhi, in modo associato, e se ne fa esperienza “in prima persona”. Mettersi in seconda posizionesignifica mettersi “nei panni di un’altra persona”. Con la terza posizione si prendono le distanze e si percepisce la relazione tra se stessi e gli altri dal punto di vista di un “osservatore esterno”. L’idea di quarta posizione è stata aggiunta in seguito come termine per descrivere il senso dell’intero sistema o “campo relazionale” (il senso di un “noi” collettivo), frutto della sintesi delle altre tre posizioni. Il fondamento delle varie posizioni percettive deriva dal fatto che l’esperienza relazionale riguarda sempre più di un singolo individuo nel ciclo comunicativo. La capacità di comprendere il ciclo della comunicazione – e i flussi e riflussi degli eventi che hanno luogo all’interno del ciclo – è un potente strumento che permette alle persone sia di migliorare la comunicazione sia di produrre risultati ecologici. Anche quando i partecipanti al ciclo comunicativo non concordano, se riescono a passare da una posizione percettiva all’altra ponendosi in relazione all’interazione, il loro rapporto ne trae giovamento e si creano possibilità di cooperazione futura. Il passaggio da una posizione percettiva all’altra viene anche chiamato “tripla descrizione” poiché in un ciclo comunicativo, a un dato momento, ci sono come minimo tre diverse posizioni percettive: quella del sé (prima posizione), quella dell’altra persona (seconda posizione), e l’osservazione dell’interazione tra le prime due (terza posizione). Uno degli aspetti più utili della formulazione di DeLozier e Grinder è che essa fornisce un processo operativo tramite il quale le persone possono entrare in ciascuna posizione e farne esperienza, un processo che è possibile collegare a specifici schemi linguistici, stati fisiologici e rappresentazioni interne (i tre operatori primari della PNL). Questi schemi vengono riassunti nelle seguenti descrizioni:

Prima posizione: siamo noi, collocati nel nostro spazio fisico, nella nostra postura abituale. Quando siete completamente associati in prima posizione usate parole come “io”, “me”, e “me stesso” parlando delle vostre sensazioni, percezioni e idee. In prima posizione vivete l’esperienza della comunicazione dal vostro punto di vista: vedendo, udendo, percependo, gustando e odorando qualsiasi cosa stia avendo luogo attorno e dentro di voi durante quell’esperienza, da un punto di vista associato. Se siete veramente in prima posizione, non vedrete voi stessi, ma sarete voi stessi, e vedrete il mondo

attraverso i vostri occhi. Sarete del tutto associati nel vostro corpo e nella vostra mappa del mondo.

Seconda posizione: significa riuscire ad assumere il punto di vista di un’altra persona nell’interazione (se ci sono più di due persone nell’interazione, ci saranno svariate “seconde posizioni”). Questa è una posizione temporanea di raccolta di informazioni, in cui passate alla posizione percettiva di un’altra persona, assumendone la postura fisica e la visione del mondo, come se vi tramutaste in lei. Vedete, udite, percepite, gustate e odorate come viene percepito il ciclo comunicativo dall’altra persona, ossia “vi mettete nei suoi panni”. In seconda posizione vedrete il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona, attraverso i suoi pensieri, le sue emozioni, le sue convinzioni e così via. In questa posizione sarete dissociati da voi stessi e associati nell’altra persona. Vi riferirete al voi stessi della “prima posizione” usando il “tu” (invece dell’“io”) e tutte le espressioni linguistiche della “seconda persona”. Assumere temporaneamente la posizione di un’altra persona è uno splendido modo per valutare l’efficacia del vostro ruolo nel ciclo comunicativo (quando avete finito di calarvi nel punto di vista dell’altra persona, è importate accertarsi di tornare in se stessi in modo completo, chiaro, e portando con sé le informazioni che vi aiuteranno in seguito a continuare a comunicare meglio).

Terza posizione, o posizione dell’“osservatore”: vi ponete temporaneamente all’esterno del ciclo comunicativo, per raccogliere informazioni come se assisteste all’interazione senza parteciparvi. La vostra postura sarà simmetrica e rilassata. In questa posizione vedrete, udrete, percepirete, gusterete e odorerete come si presenta il ciclo comunicativo dal punto di vista di un osservatore esterno interessato ma neutrale. Userete il linguaggio della “terza persona”, usando “lei” o “lui” per riferirvi alle persone che osservate (compresa quella che ha il vostro aspetto, la vostra voce, e il vostro comportamento). Sarete dissociati dall’interazione e in una sorta di meta-posizione1. Questa posizione vi fornisce preziose informazioni riguardo all’equilibrio dei comportamenti all’interno del ciclo. Le informazioni raccolte da questa prospettiva possono essere portate poi nella vostra prima posizione e utilizzate assieme a quelle raccolte nella seconda posizione per aiutarvi a migliorare la qualità del vostro stato, della vostra interazione, e del vostro rapporto all’interno del ciclo comunicativo.

Quarta posizione: è una sintesi delle altre tre prospettive, e crea un senso di “essere il sistema nella sua interezza”. Comporta un’identificazione col sistema o con la relazione stessa, e produce l’esperienza di essere parte di un qualcosa di collettivo. In quarta posizione siete associati all’intero sistema o “campo” che ha a che vedere con una determinata interazione, e fate esperienza della situazione con il bene dell’intero sistema in mente. La quarta posizione è una posizione del “noi”, caratterizzata dall’uso della prima persona plurale. La quarta posizione è una componente essenziale della saggezza e dell’ecologia. Sebbene non facesse parte del gruppo originario di posizioni percettive (prima, seconda e terza posizione; sé, l’altro, l’osservatore), la quarta posizione è altrettanto fondamentale. È essenziale per una leadership efficace, per lavorare in team e per sviluppare lo spirito di gruppo. Come il termine stesso implica, la quarta posizione

presuppone e comprende le altre tre posizioni percettive. Le persone che non utilizzano la quarta posizione faticano a percepirsi come membri di un gruppo o di una comunità. L’esperienza della quarta posizione deriva dall’individuare i fattori comuni profondi e le caratteristiche che uniscono e connettono tutti i membri di un gruppo o sistema. È il fondamento di quella che viene chiamata “mente collettiva”. La capacità di raggiungere una prospettiva di quarta posizione facilita grandemente la gestione dei gruppi ed è una caratteristica chiave della leadership visionaria. I leader efficaci sono in grado di identificare l’intero sistema sotto la loro influenza.

> ESERCIZIO BASE DELLE POSIZIONI PERCETTIVE

1. Pensate alla vostra relazione con qualcuno che considerate un mentore o che prendete a modello.

2. Calatevi appieno nella vostra prima posizione, immaginando che l’altra persona sia qui e ora di fronte a voi e che la stiate guardando. Descrivete l’altra persona e le vostre sensazioni a suo riguardo utilizzando il linguaggio in prima persona.

3. Ora passate alla seconda posizione, mettendovi “nei panni dell’altra persona”. Assumetene il punto di vista, le convinzioni e le presupposizioni, come se vi tramutaste momentaneamente in lei. Dal punto di vista dell’altra persona, descrivete il “voi stessi” che eravate nella prima persona e le sensazioni che provate, utilizzando il linguaggio della seconda persona quando parlate del “voi della prima persona”.

4. Ora spostatevi in una terza posizione esterna e osservate la relazione tra voi stessi e l’altra persona come se steste guardando un filmato in cui voi due interagite. Tenete a mente ciò che avete provato riguardo ai punti di vista, alle convinzioni, alle presupposizioni e alle sensazioni di entrambi.

Altre varianti di questo punto di vista comprendono a) concentrarsi solo su ciò che voi sapete delle convinzioni e delle presupposizioni esclusivamente della prima posizione

percettiva, o b) vedere le cose come se non conosceste nessuna delle due persone nel “filmato”.

5. Passate a una quarta posizione (all’esterno o nel mezzo delle altre tre) e percepite “il campo” delle dinamiche di questa relazione come se fosse un’entità a sé stante. Se uno di voi fosse “idrogeno” e l’altro “ossigeno”, qual è l’acqua che insieme formereste?

Notate come ciascuna di queste posizioni percettive vi permette di apprezzare e valutare la relazione in modo diverso.

FARE PRATICA DELLA “TRIPLA DESCRIZIONE”

Un modo per sviluppare dimestichezza con le posizioni percettive consiste nell’esplorazione degli “aggettivi caratteriologici”. Gli aggettivi caratteriologici sono stati definiti da Bateson come parole che codificano le caratteristiche fondamentali di una relazione. Nel definire una parte di una relazione, gli aggettivi caratteriologici implicano necessariamente anche l’altra – e questo è un aspetto importante. Essere “vittime” implica che esista anche un “carnefice”. “Giocare in difesa” implica un qualche tipo di attacco in atto. Ad esempio, pensate a qualcuno con cui faticate a comunicare, o a una situazione che non comporta un’interazione creativa o produttiva, in cui non emerge il meglio di voi e vi sentite in qualche modo bloccati. Ora immaginate di essere al cinema. Guardate il modo di comportarsi della persona sullo schermo e trovate una parola per descriverne il comportamento – un aggettivo caratteriologico, un elemento descrittivo. Ad esempio, potreste descriverla come “egocentrica” o “aggressiva”. Ora fate un respiro profondo e, sullo schermo, vedete voi stessi mentre interagite con quella persona. Ora siete in terza posizione: osservate e ascoltate come un osservatore neutro. Notate il comportamento che avete nel filmato. Quali parole usereste per descriverlo? Ad esempio, quando l’altra persona è “egocentrica” voi potreste essere “timidi”. O se l’altra persona è “aggressiva” potreste diventare “difensivi”. Cominciate a vedere la vostra parte nella danza. L’altra persona non potrebbe farla senza di voi, né voi senza di lei. È questo il punto con i sistemi: esaminare una porzione dell’interazione sufficientemente ampia da potersi distaccare e dire: “Oh, adesso capisco come sto ballando con questa persona”, e rendervi conto delle opzioni a vostra disposizione per cambiare la danza. Da questa posizione potete chiedere: “Quando sarò ritornato all’interno della relazione con questa nuova prospettiva, come potranno queste informazioni fare una differenza per la qualità dell’interazione?”. Se una parte del sistema comincia a muoversi, l’intero sistema si muoverà con essa. Un altro modo divertente e interessante per fare esperienza di posizioni percettive multiple, o di quella che abbiamo chiamato “tripla descrizione”, è usare la creatività. Pensate a un’opera d’arte che vi ha veramente toccato. Non qualcosa che avete apprezzato superficialmente, quanto piuttosto un’opera che avete sentito profondamente nel vostro animo. Questo significa apprezzare quell’opera dalla posizione percettiva di chi ne fruisce. Potete farlo non solo con un dipinto, ma anche con un pezzo musicale o

una coreografia, ad esempio. Ora assumete la posizione dell’artista che ha creato l’opera. Assumere la seconda posizione è un modo per cominciare a stimolare in noi certe strutture neurologiche. Quando occupate quella posizione percettiva, cominciate a usare i movimenti muscolari impliciti del pittore, dello scultore o del compositore, per accedere a strutture neurologiche simili in voi stessi. Esistono anche in voi, solo che non le attivate da molto tempo. Poi potete fare un passo indietro, distanziarvi e chiedere: “Quali sono le differenze tra essere un fruitore di quest’opera ed esserne il creatore?”. Avete convinzioni diverse quando siete in ciascuna delle due posizioni? Avete convinzioni diverse riguardo alla vostra capacità di essere creativi quando siete nella posizione dell’artista rispetto a quando siete in quella del fruitore? Una terza posizione percettiva sarebbe quella di divenire l’opera d’arte stessa. La maggior parte delle persone riportano che, quando diventano l’opera d’arte, provano un profondo senso di “essere”, semplicemente. Le posizioni percettive mettono in moto tutta una serie di altre possibilità. L’idea della tripla descrizione è che da questa danza di prospettive molteplici possano cominciare a emergere saggezza e conoscenza. Considerare davvero il movimento dalla nostra mappa personale a una comprensione di quella altrui, e poi passare a una posizione oggettiva riguardo alla relazione, è ciò su cui si fonda la saggezza. La capacità di muoversi tra ciascuna di queste posizioni in modo rapido e netto può essere uno strumento molto potente.

CREARE UNA META-MAPPA CON LE POSIZIONI PERCETTIVE

Lo scopo di una meta-mappa è quello di assistere la persona nell’identificare e poi modificare le caratteristiche dei cicli comunicativi che producono o mantengono in essere le interazioni problematiche. Spesso, quando incontriamo difficoltà nel comunicare con gli altri, ci arrocchiamo sul nostro punto di vista. Per creare una meta-mappa, si comincia con il riconoscere questa prospettiva, ma il processo ci fornisce l’occasione per esaminare l’interazione da altri punti di vista. Oltre che identificare influenze “invisibili” (cioè interne e non fisiche) sulla situazione, la meta-mappa ci permette di vedere e modificare alcuni dei modi in cui potremmo contribuire personalmente a creare le nostre difficoltà. Le fasi fondamentali della creazione di una meta-mappa includono: (a) identificare una situazione comunicativa difficile o problematica; (b) mappare le dinamiche che hanno luogo tra noi stessi, l’altra persona coinvolta nell’interazione e l’osservatore interiore; (c) assumere la prospettiva dell’altra persona e vedere la situazione dal suo punto di vista; (d) stabilire una meta-posizione a partire dalla quale esaminare gli schemi mentali e fisici che hanno luogo nell’interazione e che potrebbero contribuire al problema; (e) esplorare possibili cambiamenti nella comunicazione, nell’atteggiamento e nelle presupposizioni atti a rendere l’interazione più confortevole e produttiva. Oltre a fornire un’utile strategia per riflettere o per prepararsi per un incontro o un’interazione difficile, le meta-mappe possono essere usate come tecnica di coaching o di consulenza. Le specifiche fasi del processo di creazione sono state modellate sulla base del comportamento di leader particolarmente efficaci all’interno di aziende e organizzazioni. Come parte del processo di modellamento, questi leader venivano posti

in situazioni interattive difficili e in larga misura imprevedibili. Veniva poi chiesto loro come si preparavano mentalmente ad affrontare la cosa. Ecco una tipica risposta. Penso alle persone coinvolte nella situazione e immagino le azioni plausibili che potrebbero compiere e che potrebbero creare problemi. Poi osservo me stesso e cerco di vedere cosa potrei fare per reagire, e vedo se mi sento o meno a mio agio con la cosa. Cerco anche di vedere la situazione dal punto di vista delle altre persone, e di farmi un’idea delle motivazioni che si celano dietro le loro azioni. Poi guardo la situazione dal punto di vista dell’azienda, per vedere quale sia il modo migliore di gestire la situazione per tutte le parti in causa. Infine penso agli stati interiori che vorrei provare, chiedendomi quale stato mi aiuterebbe a rispondere nel modo più creativo e adeguato possibile. Ho capito che se sono nello stato sbagliato non riesco a reagire nella maniera migliore, indipendentemente dalla situazione; ma se sono nello stato giusto l’ispirazione è lì pronta, anche quando accade l’inaspettato.

> ESERCIZIO: META-MAPPE

Quella che segue è una variazione della meta-mappa basata sulle strategia dei leader efficaci, che si può applicare per analizzare una situazione di leadership difficile e per prepararsi ad affrontarla al meglio.

1. Pensate a una situazione problematica in cui vi siete trovati, che coinvolgeva uno specifico collaboratore.

2. Ponetevi completamente in prima posizione, immaginando che il vostro collaboratore sia qui di fronte a voi proprio adesso, e che lo stiate vedendo attraverso i vostri stessi occhi.

3. Ora immaginate, invece, di trovarvi “nei panni” del vostro collaboratore e di stare guardando voi stessi attraverso i suoi occhi. Assumetene il punto di vista, le convinzioni e le presupposizioni, come se foste lui per un momento.

4. Ora osservate la relazione tra voi e il vostro collaboratore come se foste un osservatore che guarda un filmato di una persona che interagisce con un suo collaboratore. Notate il tipo di messaggi e di meta-messaggi che le due persone si scambiano (intenzionalmente o meno).

5. Come ultimo esperimento, assumete la prospettiva dell’intero sistema e considerate cosa sarebbe nel migliore interesse del sistema.

6. Ritornate alla vostra prima posizione percettiva. Notate come l’avere assunto le diverse posizioni percettive abbia cambiato la vostra esperienza dell’interazione. Di quali nuove cose avete preso coscienza riguardo a voi stessi, al vostro collaboratore o alla situazione? Quali azioni e qualità di leadership sarebbero le più adatte per voi in questa situazione? Quali stati interiori e quali atteggiamenti vi aiuterebbero a esprimere al meglio queste azioni e queste qualità di leadership?

Dai tempi in cui sono state sviluppate, le posizioni percettive sono state incorporate come componenti fondamentali in molte tecniche di PNL. La capacità di assumere punti di vista multipli è una competenza indispensabile nella leadership, per l’insegnamento, la terapia e la saggezza. Tecniche come il reimprinting, il meta-specchio, le meta-mappe, l’allineamento delle posizioni percettive (dai lavori di trasformazione radicale di Connirae Andreas) e le varie tecniche di PNL per l’integrazione dei conflitti, la mediazione e la negoziazione, sfruttano tutti le posizioni percettive per produrre cambiamenti e ottenere i risultati desiderati.

LIVELLI DI CAMBIAMENTO E INTERAZIONE

Un altro importante sviluppo della PNL negli ultimi trent’anni è stato quello dei diversi livelli di cambiamento e di interazione. La nozione di livelli di cambiamento e interazione in PNL si riferisce al fatto che alcuni processi e fenomeni sono creati dallerelazioni e interazioni tra altri processi e fenomeni. Qualsiasi sistema di attività è un sottosistema di un altro sistema, che fa parte a sua volta di un altro sistema, che fa parte di un altro sistema, e così via. Questo tipo di relazione tra i sistemi produce diversi livelli di processi. La nostra struttura cerebrale, il linguaggio e i sistemi sociali formano gerarchie naturali o livelli di processi. Ad esempio, la “redditività” di un’azienda si colloca a un livello diverso dai macchinari che l’azienda impiega, o dai servizi che produce. Le regole che governano la redditività sono diverse da quelle che riguardano i macchinari o la produzione di servizi, eppure funzionano tutte all’unisono per costituire il sistema complessivo dell’azienda. Un’idea, per fare un altro esempio, è a un livello diverso di quello dei neuroni che la producono nel cervello. Similmente, il linguaggio impiegato per esprimere un’idea è un livello di processo diverso dall’idea stessa. Le regole che sovrintendono al modo in cui le idee interagiscono sono di un ordine diverso da quelle che determinano come agiscono i neuroni, o dalle regole che governano il modo di combinarsi delle parole per esprimere le idee. Sono comunque tutte componenti chiave del sistema della mente umana, che non può esistere, se non come combinazione delle sue parti.

Un’idea risiede su un livello diverso rispetto agli specifici neuroni che nel cervello la producono.

In PNL, i livelli di cambiamento e interazione prendono il nome di livelli neurologici e fanno riferimento a una gerarchia di livelli di processi che influenzano le azioni e interazioni di un individuo o gruppo. Questi livelli sono (in ordine di complessità decrescente): (1) identità, (2) convinzioni e valori, (3) capacità, (4) comportamenti e (5) ambiente. Un sesto livello, che viene chiamato “spirituale”, si può identificare in termini di “campo relazionale” che, abbracciando più individui e identità, comunica un senso di appartenenza a un sistema più ampio che trascende l’identità individuale.

LA GERARCHIA DEI TIPI LOGICI E DEI LIVELLI DI APPRENDIMENTO DI BATESON

Il modello dei livelli neurologici della PNL è stato ispirato dalle idee di Gregory Bateson sulle gerarchie dei tipi logici e dei livelli di apprendimento. Bateson ha evidenziato che nei processi di apprendimento, cambiamento e comunicazione esistono naturali gerarchie di classificazione delle informazioni e delle conoscenze. La funzione di ciascun livello nella gerarchia è quella di organizzare le informazioni nel livello sottostante, e le regole per cambiare qualcosa a un livello della gerarchia sono diverse da quelle per cambiare qualcosa a un altro livello. Cambiare qualcosa a un livello inferiore può avere, ma non necessariamente, effetti su un livello superiore; ma cambiare qualcosa a un livello superiore si irradia necessariamente ai livelli subordinati che devono sostenere il cambiamento di livello sovraordinato. La nozione di gerarchia deriva dall’aggettivo greco hieros, che significa “sacro, potente o soprannaturale” e arche, che significa “inizio, origine”. È quindi implicito che i livelli di una gerarchia si avvicinino sempre di più all’origine di ciò che è in massima misura potente o sacro. Questa implicazione ha anche portato all’uso del termine gerarchia per indicare una qualsiasi serie divisa in gradi o ranghi, come la “gerarchia di valori” di una

persona, o la “gerarchia delle risposte” di una macchina. In qualsiasi caso, gli elementi superiori nell’ordine gerarchico “vengono prima” o sono “più importanti” di quelli sottostanti.

Le gerarchie vengono spesso rappresentate come “strutture ad albero”.

L’uso moderno del termine gerarchia riguarda più che un ordine arbitrario in ranghi di una serie di elementi. Nelle scienze e nella matematica, ad esempio, gerarchia indica “una serie di raggruppamenti ordinati di elementi all’interno di un sistema”. Solitamente questi raggruppamenti hanno “un numero limitato o una sola cosa in cima, e svariate cose al di sotto di ciascun’altra”, in una struttura ad albero rovesciato. Esempi presi dall’informatica includono la gerarchia delle directory, in cui ciascuna directory contiene file o altre directory, un network gerarchico, o una gerarchia di classi nella programmazione object-oriented.

I TIPI LOGICI DI RUSSELL

Bateson aveva tratto l’idea di diverse gerarchie diclassificazione di comunicazione e apprendimento dalla teoria matematica dei tipi logici di Bertrand Russell – che Bateson chiama “il più importante” criterio di “mente” nel suo Mente e Natura. La teoria dei tipi logici afferma che una classe di cose non può essere a sua volta un elemento di se stessa. Secondo Bateson (Verso un’ecologia della mente): Il nostro approccio è basato su quella parte della teoria della comunicazione che Russell ha chiamato teoria dei tipi logici. La tesi centrale di questa teoria è che esiste una discontinuità tra una classe e i suoi elementi. La classe non può essere un elemento di se stessa, così come uno degli elementi della classe non può essere la classe, dato che il termine impiegato per la classe è di un diverso livello di astrazione – un diverso tipo logico – rispetto a quello degli elementi della classe.

Per fare un esempio, la classe dei numeri pari non può a sua volta essere un numero pari. Allo stesso modo, la classe dei gatti non può essere un particolare gatto. Allo stesso modo, l’oggetto fisico “gatto” non può essere trattato come classe dei gatti (la classe dei gatti non ha bisogno di latte e di una lettiera per fare i bisogni, mentre i membri della classe tendono a necessitarne). Anche l’espressione “La classe di tutte le parole”, pur essendo fatta di parole, non è la classe di tutte le parole. Per dirla con altre parole, l’idea dei tipi logici distingue tra una determinata “mappa” e il “territorio” a cui la mappa fa riferimento; distingue, ad esempio, tra una “forma” mentale e il suo “contenuto”.

Bateson introdusse per la prima volta formalmente il concetto di tipi logici nel suo articolo Una teoria del gioco e della fantasia, contenuto in Verso un’ecologia della mente. In esso Bateson argomenta che il “gioco” comporta il distinguere tra diversi tipi logici di comportamento e di messaggi. Bateson nota che quando animali e umani giocano, spesso mostrano gli stessi comportamenti altrimenti associati ad aggressività, sessualità e ad altri aspetti “più seri” della vita (come ad esempio quando gli animali “giocano a combattere”, o quando i bambini “giocano al dottore”). Eppure, in qualche modo, animali e umani sono perlopiù in grado di distinguere che il comportamento di gioco appartiene a un tipo o classe diversa di comportamento, e che non è “per davvero”. Secondo Bateson, distinguere tra diverse classi di comportamento richiede anche diversi tipi di messaggi, cui egli si riferisce chiamandoli meta-messaggi – messaggi che riguardano altri messaggi –, sostenendo che essi, a loro volta, sono di “tipo logico” diverso rispetto al contenuto di una determinata conversazione. Riteneva che questi “messaggi di livello sovraordinato” (che solitamente comunichiamo in modo non verbale) fossero fondamentali affinché animali e persone potessero comunicare e interagire efficacemente. Durante il gioco, ad esempio, gli animali possono segnalare il messaggio “non sto facendo per davvero” scodinzolando, rilassando il corpo, saltando su e giù, o facendo qualche altra cosa che indichi che ciò che stanno per fare non deve essere preso sul serio. I loro morsi sono giocosi, non reali tentativi di mordere. Gli studi sugli esseri umani rivelano a loro volta l’uso di speciali messaggi che indicano al prossimo che stanno facendo per gioco, proprio come nel caso degli animali. Le persone possono magari anche “meta-comunicare” verbalmente annunciando “è solo un gioco”, oppure ridere, fare l’occhiolino, usare un tono di voce diverso, o fare qualcos’altro di fuori dal comune per comunicare il proprio intento.

Il medesimo comportamento (ad esempio ringhiare) può far parte di due diverse classificazioni (gioco o aggressione). Altri comportamenti servono da meta-messaggi per mostrare a quale categoria appartenga una determinata espressione comportamentale.

Bateson afferma che molti problemi e conflitti risultano da una confusione o da un’errata interpretazione di questi meta-messaggi. Un buon esempio sono le difficoltà che incontrano persone di culture diverse nell’interpretare le sottigliezze non verbali delle reciproche comunicazioni. E il passo successivo di Bateson è quello di applicare il concetto dei tipi logici come spiegazione per alcuni dei sintomi di seri problemi psicologici e della malattia mentale. In Epidemiologia della schizofrenia (sempre in Verso un’ecologia della mente), Bateson afferma che l’incapacità di riconoscere e interpretare correttamente i meta-messaggi e di distinguere tra diverse classi, o tipi logici, di comportamenti, è alla radice di molti comportamenti apparentemente psicotici o “folli”. Bateson cita l’esempio di un giovane paziente psichiatrico che si reca alla farmacia dell’ospedale. L’infermiera dietro al bancone gli chiede: “Posso aiutarti?”. Il paziente non è in grado di distinguere se la comunicazione è una minaccia, una profferta sessuale, un rimprovero perché si trova dove non deve stare, un’effettiva domanda o altro. Secondo Bateson, quando la persona non è in grado di operare questo tipo di distinzioni, finisce nella maggior parte dei casi per comportarsi in modo inadeguato alla situazione. Bateson paragona il fenomeno a quello che succede in un centralino telefonico che non riesce a distinguere il prefisso internazionale dal prefisso locale e dal numero di telefono fisso: ne risulta che il centralino finisce per assegnare cifre che fanno parte del prefisso internazionale al numero di telefono fisso, o parti del numero di telefono come parti del prefisso locale, e via dicendo. La conseguenza di questa confusione è che nella maggior parte dei casi chi compone il numero viene connesso col numero sbagliato. Sebbene tutte le cifre (il contenuto) siano corrette, la classificazione delle cifre (la forma) viene confusa, creando problemi.

Bateson ha paragonato le gerarchie dei tipi logici nella comunicazione umana a diverse classificazioni delle cifre dei numeri in un sistema di centralino telefonico.

GLI ORDINI DI ASTRAZIONE DI KORZYBSKI

La classificazione dei tipi logici di Bateson era in parte influenzata dalle idee del fondatore della semantica generale, Alfred Korzybski, che sottolineava l’importanza di distinguere tra diversi “ordini di astrazione”. Questi includono differenze tra ciò che vediamo (le nostre rappresentazioni interne) e gli oggetti esterni associati a quello stimolo, nonché tra le mappe verbali e le rappresentazioni interne che intendono descrivere. Le rappresentazioni interne sono più astratte, ma più generali, della realtà che rappresentano. Analogamente, le descrizioni verbali sono più astratte, e potenzialmente più generali, delle rappresentazioni interne che descrivono.

Secondo Korzybski, distinguere gli ordini di astrazione comprende anche il distinguere tra “descrizioni delle esperienze” e “inferenze” (conclusioni raggiunte a partire dalle nostre esperienze e da come le descriviamo). Vanno inoltre distinte le descrizioni di descrizioni, le inferenze basate su altre inferenze e gli affetti basati su altri affetti (emozioni che riguardano altre emozioni), così come non vanno confuse le astrazioni di una persona con quelle di un’altra e così via. Bateson ha combinato la nozione di “ordini di astrazione” con quella di una gerarchia di classificazione, per identificare diversi livelli di apprendimento e cambiamento in animali ed esseri umani. Ciascun livello sintetizza e integra processi del livello a esso subordinato e produce, di conseguenza, un impatto sull’individuo che aumenta proporzionalmente all’aumentare del livello gerarchico. Nel saggio Le categorie logiche dell’apprendimento e della comunicazione (raccolto in Verso un’ecologia della mente), Bateson ha esteso l’idea dei tipi logici per spiegare diverse tipologie e fenomeni di apprendimento e di comunicazione. Ha definito due tipi o livelli fondamentali di apprendimento che devono essere considerati in tutti i processi di cambiamento: “Apprendimento I” (condizionamento del tipo stimolo-risposta) e “Apprendimento II” o deutero-apprendimento (imparare a riconoscere il contesto più ampio in cui lo stimolo si produce, in maniera tale da poterne interpretare correttamente il significato). L’esempio più comune di fenomeni di Apprendimento II è l’apprendimento all’interno di una stessa classe, come quando un animale diventa “avvezzo ai test” – ossia quando in laboratorio i soggetti sperimentali apprendono sempre più velocemente nuovi compiti che rientrano in una medesima classe di attività. Questo ha a che vedere con l’apprendimento diclassi di comportamento piuttosto che di singoli comportamenti isolati. Un animale allenato tramite condizionamento a manifestare comportamenti evitanti, ad esempio, sarà in grado di apprendere diversi tipi di comportamenti evitanti con sempre maggiore rapidità. Esso sarà tuttavia più lento nell’apprendere comportamenti condizionati di “risposta” (come salivare al suono di una campanella) rispetto a un altro animale che sia stato, invece, precedentemente condizionato a manifestare comportamenti di questa seconda classe. In altre parole, l’animale imparerà rapidamente a identificare e stare alla larga da oggetti che potrebbero essere associati al rilascio di una scossa elettrica, ma sarà più lento nell’imparare a salivare al suono di una campanella. D’altro canto, un animale allenato con forme di condizionamento del tipo di quelle di Pavlov apprenderà rapidamente a salivare in concomitanza con nuovi suoni, colori e così via, ma apprenderà più lentamente a evitare oggetti elettrificati. Bateson ha sottolineato che questa capacità di imparare schemi o regole di una classe di procedure di condizionamento è un “tipo logico” diverso di condizionamento, e non funziona dunque secondo le stesse semplici sequenze di stimolo-risposta-rinforzo impiegate per apprendere specifici comportamenti isolati. Si tratta di un diverso “ordine di astrazione”. Bateson ha notato, per esempio, che il rinforzo per l’“esplorazione” (un modo per imparare a imparare) nei ratti è di natura diversa di quello per “testare” un determinato oggetto (il contenuto di apprendimento dell’esplorazione). Riporta Bateson (Verso un’ecologia della mente): […] è possibile somministrare a un ratto un rinforzo (positivo o negativo) quando è intento a investigare un determinato oggetto estraneo, e l’animale apprenderà correttamente ad avvicinarvisi o a evitarlo. Ma il vero fine dell’esplorazione è ottenere

informazioni riguardo a quali oggetti avvicinare o evitare. La scoperta che un determinato oggetto è pericoloso è dunque un successo nell’ottica di raccogliere informazioni. Questo successo non scoraggerà il ratto da future esplorazioni di altri oggetti estranei.

Il fine ultimo dell’esplorazione di oggetti estranei è scoprire se sono pericolosi o meno. Dunque, la punizione per essersi avvicinato a un determinato oggetto estraneo non scoraggia il ratto dall’esplorare altri oggetti estranei per scoprire se sono sicuri da avvicinare o meno.

Secondo Bateson, esplorare un oggetto per scoprire se è sicuro o meno è un livello di apprendimento diverso da quello dell’evitare oggetti che si è scoperto essere pericolosi o dell’avvicinarsi a quelli che si è scoperto essere sicuri.

“Esplorare” un oggetto per scoprire se è pericoloso o sicuro, da evitare o da avvicinare, appartiene quindi a un ordine di astrazione e a una gerarchia di classificazione dell’apprendimento diversi da quelli dell’evitare un oggetto di cui si è scoperta la pericolosità. La capacità di esplorare, di apprendere un compito di discriminazione o di essere creativi pertiene a livelli di apprendimento più elevati degli specifici comportamenti che compongono queste abilità – e a questo livello più elevato le dinamiche e le regole del cambiamento sono diverse. Per fare un ulteriore esempio, la nostra capacità di generalizzare ciò che abbiamo appreso funziona in modo diverso rispetto all’apprendimento primario. Considerate l’esperienza di imparare a scrivere. La maggior parte dei lettori avrà probabilmente lavorato sodo per apprendere gli specifici movimenti di dita, mano e braccio necessari per formare le singole lettere su un pezzo di carta. Una volta fatti propri e affinati, però, questi schemi di base possono essere trasferiti molto più rapidamente ad altre parti del corpo e a diversi contesti ambientali. Ad esempio, ciascuno di noi potrebbe facilmente tracciare nella sabbia una lettera “A” riconoscibile usando l’alluce, così come probabilmente riusciremmo a tracciare la medesima lettera su un muro usando i gomiti, o a creare una copia riconoscibile di quel carattere su una tela mediante una matita tenuta in bocca. La cosa impressionante è che gli specifici gruppi e rapporti di ossa e muscoli che impieghiamo per muovere piedi, gomiti e collo sono ben diversi da quelli che usiamo per le mani, eppure siamo in grado di trasferire ciò che abbiamo imparato a fare con una

parte del corpo a molte altre. Questo è chiaramente un livello di apprendimento ben diverso da quello del condizionamento stimolo-risposta.

I LIVELLI DI APPRENDIMENTO

Applicando la teoria dei tipi logici alla nozione di differenti ordini di astrazione, Bateson ha identificato una serie di livelli di apprendimento – ciascuno causa di cambiamenti correttivi e affinamenti dei livelli di apprendimento subordinati su cui opera.

Diversi livelli di apprendimento sono correlati a cambiamenti in diverse classificazioni di comportamenti. Apprendimento Zero: caratterizzato da specificità della risposta (ossia, avere uno specifico comportamento in uno specifico ambiente) che, per giusta o sbagliata che sia, non è soggetta a correzione. Apprendimento I: è un cambiamento nelle specificità della risposta tramite correzione di errori di scelta all’interno di un insieme di alternative. Apprendimento II: è un cambiamento nel processo di Apprendimento I, ossia un cambiamento correttivo nell’insieme di alternative tra le quali operare la scelta, o un cambiamento nella struttura della sequenza. Apprendimento III: è un cambiamento nel processo di Apprendimento II, ossia un cambiamento correttivo nel sistema di insiemi di alternative a partire dalle quali viene operata una scelta.

Usando la precedente analogia con un sistema di centralino telefonico proposta da Bateson, Apprendimento 0 è come un tasto di composizione automatica che fa sempre lo stesso numero, che il destinatario all’altro capo sia quello giusto o meno.Apprendimento I è come un cambiamento correttivo nel numero di telefono ma non nei prefissi (alterare l’espressione di specifici comportamenti). Apprendimento II è come un cambiamento correttivo nel prefisso locale (passare ad esempio da una classe all’altra di oggetti o comportamenti – da “sicuri” e “giocosi” a “pericolosi” e “difensivi”). Apprendimento III è come un cambiamento correttivo nel prefisso internazionale (il più ampio sistema di classificazione).

Al di là di questi tre livelli, Bateson suggerisce anche la possibilità di un Apprendimento IV – un livello di apprendimento che non riteneva possibile per un singolo membro di una specie, ma solo per un gruppo o una specie nella sua totalità. L’Apprendimento IV riguarderebbe dunque l’instaurarsi di nuovi comportamenti che non rientrano in nessuno dei correnti sistemi di classi di comportamento; sarebbe un tipo di apprendimento veramente rivoluzionario, che comporta la creazione di archetipi o sistemi di comportamento del tutto inediti.

Quando i nostri antenati hanno assunto la posizione eretta e hanno pronunciato le prime parole, non stavano selezionando tra una serie di alternative esistenti, né stavano modellando un qualche altro essere o specie che già esisteva. Hanno dato inizio a qualcosa di completamente nuovo, che ha rivoluzionato il nostro ruolo su questo pianeta.

Un’analogia per i livelli di apprendimento di Bateson è quella di progressivi aggiustamenti a diversi elementi di un numero di telefono allo scopo di raggiungere con successo la persona desiderata.

Per fare un esempio di come possano operare questi diversi livelli, considerate la situazione di Pavlov e dei suoi cani. Pavlov scoprì che riusciva a condizionare i cani in modo che salivassero al suono di una campanella che veniva ripetuto quando ricevevano il cibo. Ben presto a Pavlov bastò suonare la campanella perché i cani cominciassero a salivare stimolati solo dal suono, anche in assenza di cibo. Secondo il modello dei livelli di apprendimento di Bateson, l’atto iniziale dei cani nel salivare di fronte alla consegna del cibo è un caso di Apprendimento Zero. È una risposta preprogrammata e istintuale, di natura ereditaria che sarebbe difficile, se non impossibile, eliminare. Imparare a estendere la reazione di salivazione dalla vista e l’odore del cibo al suono della campana è un esempio di Apprendimento I. Tramite ripetizione e rinforzo, il cane impara ad associare la specifica risposta di salivazione (anziché una qualsiasi altra quale sbadigliare, leccare, strizzare gli occhi) con lo specifico stimolo di una determinata campanella. Apprendimento II richiede un “cambiamento nell’insieme di alternative a partire dalle quali viene operata una scelta”. Questo significherebbe che, una volta che il cane ha imparato a salivare al suono di una campanella, dovrebbe cambiare quella risposta in qualcosa di completamente diverso (come abbaiare o correre via) in reazione alla campanella (invece che semplicemente

aumentare o diminuire la risposta di salivazione). Salivare è un elemento di un insieme di comportamenti relativi al “mangiare”. Altri “insiemi” di alternative comportamentali potrebbero essere “giocare”, “evitare”, “esplorare”, “aggredire” e così via. Operare un cambiamento a questo livello è ovviamente una cosa molto più complessa di quanto richieda l’Apprendimento I. Apprendimento III sarebbe un cambiamento ancora più grande. Bateson dice che si tratta di un “cambiamento nel sistema di insiemi di alternative a partire dalle quali si opera la scelta”. Un cane, ad esempio, è un “sistema” di insiemi di alternative. Altri animali (gatti, uccelli, umani, lupi) costituirebbero sistemi diversi. Per ottenere un Apprendimento III, i cani di Pavlov avrebbero dovuto improvvisamente passare da comportamenti “canini” a comportamenti “felini” (miagolare, arrampicarsi sugli alberi…) al suono della campanella, un’opzione chiaramente piuttosto difficile; come sottolinea Bateson, si tratta di livelli di cambiamento pressoché impossibili per gli adulti della maggior parte delle specie (anche se imitare altri animali quali cani, gatti e uccelli è un comportamento naturale e un normale passatempo per i bambini umani). Apprendimento IV richiederebbe lo sviluppo di una nuova specie, o una significativa evoluzione di una specie preesistente (come lo sviluppo di ali, di un cervello più grande e così via). Un cambiamento di questa entità renderebbe improvvisamente possibili comportamenti del tutto nuovi e senza precedenti. Dunque, nella cornice di referenza sviluppata da Bateson, un semplice riflesso meccanico è un caso di apprendimento zero. I processi di Apprendimento Zero possono anche comprendere abitudini, dipendenze e altri schemi che sembrano fissi e immutabili. L’apprendimento zero è uno stato di cose comune per molte persone e per molte organizzazioni. Molti dei nostri comportamenti diventano abitudini inconsce e profonde, che possono ostacolarci nell’adattarci con successo ai cambiamenti nel mondo circostante. Questo porta spesso a rimanere bloccati, a incontrare resistenza, autocompiacimento e inefficienza. Il condizionamento comportamentale, l’apprendimento psicomotorio, la riprogrammazione dei processi o i miglioramenti qualitativi incrementali sono invece operazioni che riguardano “cambiamenti correttivi” applicati a particolari comportamenti e azioni nelle persone e nelle organizzazioni – sono dunque esempi di Apprendimento I. L’apprendimento I riguarda essenzialmente la flessibilità comportamentale: aggiornare e migliorare le procedure e gli schemi comportamentali già presenti. L’apprendimento I si facilita più efficacemente aiutando le persone a sviluppare una migliore “meta-cognizione”: la percezione chiara e conscia delle proprie azioni, della propria esperienza interiore e dei propri processi di pensiero. Lo si fa fornendo coaching di base e feedback, e insegnando tecniche quali quelle dell’analisi contrastiva. Cambiare processi di livello più elevato come politiche, valori e priorità ha invece a che vedere con operazioni che riguardano interi insiemi di alternative – Apprendimento II. Se un’azienda, ad esempio, decide di essere più “orientata ai servizi” che “orientata al prodotto”, avrà bisogno di cambiamenti su ampia scala, che interessino intere aree procedurali e comportamentali, e questo probabilmente richiede di stabilire nuovi insiemi di comportamenti e procedure modellate da altri. Un altro esempio di cambiamento a livello di Apprendimento II in un individuo potrebbe essere un improvviso passaggio da un comportamento esplorativo a uno evitante, o da aggressione a esplorazione o gioco. Per realizzare un’inversione di marcia così

immediata e radicale sono necessari cambiamenti a livello di valori e convinzioni. Se una persona è convinta ad esempio che un certo contesto sia “pericoloso”, sceglierà con ogni probabilità comportamenti “evitanti” piuttosto che altri pertinenti alla classe del “gioco”. D’altro canto, se una persona reputasse un contesto “sicuro”, probabilmente non selezionerebbe comportamenti che appartengono alle classi “attacco” o “fuga”. Un buon esempio è anche quello del rapido calo nel numero di persone che hanno scelto di prendere l’aereo dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Non si è trattato di un cambiamento graduale causato da un aumento dei prezzi o da un peggioramento dei servizi (nel qual caso sarebbe stato un esempio di Apprendimento I), ma di un immediato e intenso cambiamento causato dalla convinzione che volare non fosse più “sicuro”. Chiaramente gli effetti dell’Apprendimento II sono più immediati ed estesi di quelli dell’Apprendimento I. Per quanto riguarda gli esseri umani, i cambiamenti a livello di Apprendimento II sono favoriti dalla capacità di assumere meta-posizioni – ossia di dissociarsi da se stessi e considerare le proprie azioni nel contesto, paragonandole ad altri “insiemi di alternative”. Questo è uno degli obiettivi principali del mentoring. “Imprinting” e sviluppo della personalità hanno invece più a che vedere con l’instaurarsi di un cambiamento a livello di interi “sistemi” di alternative comportamentali – Apprendimento III.Cambiare simili “sistemi” riguarda essenzialmente un cambiamento a livello dell’identità. Si tratta di espandere la propria gamma di comportamenti, includendo possibilità che vanno al di fuori del proprio attuale ruolo o della propria attuale collezione di “insiemi” di alternative. Internet e la new economy, ad esempio, hanno costretto molte aziende a spingersi verso approcci di management e marketing del tutto nuovi, a volte ben al di là di quanto fossero abituate a fare. Il modellamento, il benchmarking e l’assunzione della “seconda posizione” con gli altri sono tutti modi per sostenere il processo di Apprendimento III che ci aiutano a spingerci al di là della soglia e dei limiti del nostro attuale senso di noi stessi e della nostra identità. Come afferma Bateson, “quando si raggiunge l’Apprendimento III […] il sé assume una sorta di irrilevanza”. Bateson dice che il cambiamento al livello dell’Apprendimento III è alquanto difficile, e che “pretendere questo livello di prestazione in alcuni esseri umani e in certi mammiferi può risultare in patogenesi”. Spesso gli atti di genio hanno le caratteristiche dell’Apprendimento IV – senza precedenti e trasformativo – e portano a rivoluzioni nel modo in cui comprendiamo il mondo circostante e nel modo in cui ci rapportiamo a esso. Nel mondo di imprenditori ultratecnologici della Silicon Valley si distingue sovente tra tecnologie “evolutive” e tecnologie “rivoluzionarie”. Le prime sono quelle che comportano un significativo miglioramento di tecnologie preesistenti, estendendone in qualche importante modo la funzionalità o le caratteristiche, oppure integrandole con altre tecnologie; le seconde sono invece quelle che cambiano o creano una nuova industria e trasformano il modo in cui le persone lavorano o comunicano. La stampa, l’automobile, l’aeroplano, la radio, la televisione, il personal computer e internet possono essere considerate tecnologie rivoluzionarie. Come suggerisce Bateson, con ogni probabilità le intuizioni geniali e i risvegli che costituiscono l’Apprendimento IV si presentano sotto forma di una qualche ispirazione o rivelazione la cui fonte è al di là dell’individuo e nel sistema più ampio o “campo” che ci circonda – ciò che Bateson ha chiamato la “più vasta Mente” o “schema che connette”.

L’accesso all’Apprendimento IV richiede una forte connessione con la nostra mente inconscia, e deriva da stati di non-conoscenza che implicano l’essere centrati e aperti a tutte le possibilità, senza formulare giudizi o interpretazioni. Questi particolari stati di grado consentono di attingere inconsciamente alle possibilità presenti nel più ampio “campo” o “mente” che ci circonda (si veda il capitolo sulla mente di campo).

Possiamo riassumere così i livelli di apprendimento di Bateson:

• Apprendimento 0 è nessun cambiamento. Riguarda comportamenti ripetitivi in cui la persona, il gruppo o l’organizzazione sono bloccati in un vicolo cieco, non riescono a uscire dagli schemi – ossia da abitudini, resistenze, inerzia.

• Apprendimento I è cambiamento incrementale e graduale.Riguarda correzioni e adattamenti che si ottengono tramite flessibilità ed elasticità nei comportamenti. Anche se queste modifiche possono aiutare a espandere le capacità dell’individuo, del gruppo o dell’organizzazione, sono comunque “entro gli schemi” – ossia si basano sul consolidare e raffinare procedure e capacità.

• Apprendimento II è cambiamento discontinuo e rapido. Riguarda il cambiamento istantaneo di una risposta e il passaggio a una categoria o classe di comportamenti del tutto diversa. Si tratta essenzialmente del passaggio da certi “schemi” ad altri – ossia un cambio di politiche, valori o priorità.

• Apprendimento III è cambiamento evolutivo. È caratterizzato da significative alterazioni che si estendono al di là dei confini della attuale identità dell’individuo, del gruppo o dell’organizzazione. Potremmo dire che sono cambiamenti non solo “fuori dagli schemi”, ma fuori dagli schemi degli schemi – ossia transizioni di ruolo, di marchio o di identità.

• Apprendimento IV è cambiamento rivoluzionario. Riguarda il risveglio a qualcosa di completamente nuovo, unico e in grado di trasformare. Al livello di Apprendimento IV, l’individuo, il gruppo o l’organizzazione sono fuori dagli schemi, fuori dagli schemi degli schemi e in un mondo del tutto nuovo – si tratta dunque di risposte, tecnologie o capacità inedite che aprono le porte a possibilità precedentemente sconosciute e ancora da esplorare.

Per usare un’analogia con il computer, i dati immagazzinati nel computer sono come l’Apprendimento 0. Se ne stanno lì, immutati, pronti a essere utilizzati e riutilizzati, indipendentemente da quali programmi il computer stia facendo girare. Passare al vaglio i dati con un programma di correzione ortografica è come l’Apprendimento I. Un correttore ortografico applica cambiamenti correttivi a uno specifico insieme di dati. Se i dati vagliati dal correttore consistono però non in testo ma in numeri e valori finanziari che vanno aggiornati, per quanto si usi il correttore ortografico esso non sarà mai in grado di apportare le modifiche corrette. L’utente dovrebbe invece passare a un foglio di calcolo o a un software di contabilità: “uscire dagli schemi” di un programma e passare a un altro è come l’Apprendimento II. A volte un computer non è in grado di far girare il programma che ci serve, ed è necessario cambiare del tutto il computer, o cambiare sistema operativo. Questo corrisponde all’Apprendimento III.

Sviluppare un macchinario completamente nuovo, come una macchina computazionale molecolare composta di enzimi e molecole di DNA anziché di microchip di silicio, sarebbe il corrispettivo dell’Apprendimento IV.

IL MODELLO DEI LIVELLI NEUROLOGICI DELLA PNL

Il modello dei livelli neurologici della PNL è un adattamento della teoria di Bateson, secondo il quale esiste una serie di diversi livelli, corrispondenti a quelli definiti dallo stesso autore, che influenzano e formano le nostre relazioni e interazioni nel mondo: Spirituale Vision e scopo Per chi? Per cosa? A. Chi sono Mission Chi? Identità B. Il mio sistema di convinzioni Permessi e motivazione Perché? Valori e significati C. Le mie capacità Mappe e piani Come? Strategia e stati D. Cosa faccio, cosa ho fatto Azioni e reazioni Cosa? Specifici comportamenti E. Il mio ambiente Contesto esterno

Limiti e opportunità Dove? Quando?

Il livello più basilare di influenza sulle nostre relazioni e interazioni è l’ambiente condiviso, ossia quando e dove le operazioni e le relazioni all’interno di un sistema od organizzazione hanno luogo. I fattori ambientali determinano il contesto e i confini entro i quali le persone operano. L’ambiente di un’organizzazione, ad esempio, è composto di elementi quali la posizione geografica delle sue operazioni, gli edifici e le aree che definiscono “il posto di lavoro”, la progettazione degli uffici e delle fabbriche e via dicendo. Oltre all’influenza che questi fattori ambientali possono avere sulle persone all’interno dell’organizzazione, è possibile anche esaminare l’influsso e l’impatto che le persone all’interno di un’organizzazione hanno sull’ambiente, e quali prodotti o creazioni vi immettono. A un livello diverso possiamo esaminare gli specificicomportamenti e azioni di un gruppo o di un singolo individuo, ossia cosa la persona o l’organizzazione fa nel proprio ambiente. Quali sono gli specifici schemi di lavoro, interazione o comunicazione? A livello di un’organizzazione, i comportamenti possono essere definiti in termini di procedure generali. A livello dell’individuo, i comportamenti prendono la forma di specifiche routine lavorative, abitudini lavorative o altre attività correlate al lavoro. Un altro livello di processo riguarda le strategie, le abilità e lecapacità per mezzo delle quali l’organizzazione o l’individuo seleziona e dirige le azioni all’interno del proprio ambiente, ossia come genera e guida i propri comportamenti in un determinato contesto. Per un individuo, le capacità comprendono strategie cognitive e abilità quali apprendimento, memoria, strategie-decisionali e creatività; ciò che facilita l’efficace esecuzione di un determinato comportamento o compito. A livello di un’organizzazione,

le capacità riguardano le infrastrutture a disposizione per sostenere comunicazione, innovazione, pianificazione e la presa di decisioni tra i membri dell’organizzazione. Tutti questi livelli di processo sono formati e impostati da valori e convinzioni che forniscono la motivazione e le linee guida necessarie a dare un contesto alle capacità impiegate per raggiungere obiettivi comportamentali nell’ambiente – ossiaperché le persone fanno le cose nel modo in cui le fanno in un determinato momento e luogo. I nostri valori e le nostre convinzioni forniscono il rinforzo (motivazione e permesso) che sostiene o inibisce certe capacità o certi comportamenti. I valori e le convinzioni determinano il modo in cui si attribuisce significato agli eventi e sono alla radice dei giudizi e delle culture. I valori e le convinzioni sostengono il senso di identitàdell’individuo o dell’organizzazione, ossia chi si cela dietro al perché, al come, al cosa, al dove e al quando. I processi a livello dell’identità riguardano il senso che le persone hanno del proprio ruolo e della propria mission in relazione alla propria vision e al sistema più ampio di cui fanno parte. L’identità si può vedere come composta di due aspetti complementari: l’ego e l’anima. L’ego è orientato verso la sopravvivenza, il riconoscimento e l’ambizione. L’anima è orientata verso il senso ultimo, il dare un contributo e la mission. Carisma, passione e presenza di spirito emergono spontaneamente quando queste due forze sono allineate. Solitamente una mission è definita in termini del servizio prestato dalle persone in un determinato ruolo e in relazione agli altri all’interno di un sistema più ampio. Una specifica identità o uno specifico ruolo si esprime in termini di una serie di valori chiave e convinzioni che determinano le priorità da seguire per chi assume quel ruolo. Questi valori e convinzioni, a loro volta, sono sostenuti da una più ampia gamma di abilità e capacità necessarie alla loro concretizzazione. Capacità efficaci producono una gamma ancora più ampia di specifici comportamenti e azioni che esprimono e adattano i valori in molti specifici contesti ambientali e in diverse condizioni. Vi è un ulteriore livello al quale possiamo fare riferimento definendolo spirituale, quello che riguarda la percezione che le persone hanno dei sistemi più grandi a cui appartengono e in cui partecipano. È a questo livello che si pone la domanda: per chi oper cosa faccio ciò che faccio? È questa percezione a dare un senso di vision, di significato e di finalità alle azioni, alle capacità, alle convinzioni e all’identità di ruolo. Il modo in cui questi livelli interagiscono l’uno con l’altro rispecchia in modo diretto i livelli di apprendimento di Bateson:

• Una specifica reazione comportamentale a un determinato stimolo ambientale è essenzialmente un riflesso o un’abitudine – Apprendimento 0.

• Un cambiamento correttivo in un comportamento finalizzato al raggiungimento di uno specifico obiettivo richiede di collegare il comportamento con qualcosa che va al di là dello stimolo ambientale – una qualche mappa mentale, piano o strategia. Questo implica l’esercizio di una determinata abilità o lo sviluppo di una nuova – Apprendimento I.

• Lo sviluppo delle capacità è stimolato e informato da convinzioni e valori che funzionano classificando e categorizzando aspetti delle nostre mappe mentali, dei

nostri comportamenti e del nostro ambiente, collegandoli alle nostre emozioni e alle nostre altre strutture motivazionali – Apprendimento II.

Corrispondenze tra i livelli logici di apprendimento di Bateson e i livelli neurologici

• I cambiamenti a livello di convinzioni e valori richiedono di fare riferimento a un sistema (un’identità) che va al di là di quei valori e di quelle convinzioni e al cui servizio essi sono stati creati – Apprendimento III.

• Uscire da questo sistema e connettersi a un più ampio “sistema di sistemi” (ad esempio il “campo” o lo “spirito”) sarebbe un presupposto necessario per realizzare un cambiamento all’interno dello stesso sistema o identità – Apprendimento IV.

Ciascun livello nella gerarchia è collegato ai raggruppamenti dei fenomeni o delle esperienze del livello sottostante. Una determinata identità è formata da, e si manifesta come, uno specifico insieme di convinzioni e valori. Ciascuna convinzione e ciascun valore sono a loro volta collegati con uno specifico gruppo di capacità. Le capacità sono correlate a specifici raggruppamenti di comportamenti, e i comportamenti in ultima analisi sono correlati a specifici insiemi di condizioni ambientali. Il sistema di livelli può dunque essere rappresentato come una struttura ad albero invertita.

I livelli neurologici possono essere rappresentati come una serie di raggruppamenti ordinati in una struttura ad albero invertita.

Quando raggiungiamo il livello di “spirito” e campo, possiamo girare la struttura su se stessa, facendo in modo che si espanda verso l’alto come i rami di un albero. Questo illustra i sistemi successivamente sempre più ampi e i “campi” di cui facciamo parte.

Sistema totale dei livelli neurologici

LA TEORIA DEGLI INSIEMI

Questa prospettiva dei livelli neurologici come gerarchia composta di una serie di raggruppamenti ordinati ci riporta alla teoria degli insiemi e all’originaria idea di Bertrand Russell sulla teoria dei tipi logici. La teoria degli insiemi è una branca della matematica basata sul presupposto che qualsiasi raggruppamento di elementi, oggetti o fenomeni può essere descritto come un “insieme” di un qualche tipo. Si può parlare ad esempio di un “insieme” di numeri pari, di automobili, di persone coi capelli marroni, di colori, di comportamenti, di professionisti in PNL, di idee, di altri “insiemi”. La teoria degli insiemi è lo studio delle relazioni che esistono tra raggruppamenti di questo tipo, che ha avuto inizio con i lavori di Georg Cantor nel XIX secolo, ma affonda le sue radici nella logica fin dai tempi di Aristotele e Platone. Oltre alle sue applicazioni nel campo della logica, dell’informatica, e di altre branche della matematica, la teoria degli insiemi trova importanti implicazioni nello studio dei processi psicologici e comportamentali. Secondo la teoria degli insiemi, qualsiasi fenomeno o gruppo di fenomeni può in ultima analisi essere descritto come un insieme di qualche sorta, una serie di insiemi, o come parte di un insieme più ampio. Un insieme può essere specificato in una delle seguenti due maniere di base. Il metodo a tabulazione o lista si limita a elencare tutti gli elementi nel sistema. Il metodo descrittivo, tramite la notazione dell’insiemistica, ci dà regole per determinare quali cose facciano parte di un determinato insieme, e quali invece ne siano escluse (in modo simile a quello che si osserva nei sillogismi aristotelici). Uno dei principi fondamentali della teoria degli insiemi è che un determinato insieme può essere composto da una serie di “sottoinsiemi”. Formalmente espresso, il principio afferma che “se ciascun elemento di un sistema A è anche elemento del sistema B, il sistema A è un sottoinsieme di B”. Dunque, se tutti gli elementi dell’insieme A (diciamo, l’insieme delle patate) sono anche parte dell’insieme B (diciamo, l’insieme delle verdure), allora l’insieme A (le patate) è un sottoinsieme di B (le verdure).

Gli insiemi possono essere composti di altri “sottoinsiemi”.

Similmente, se l’insieme A è composto di tutti i comportamenti associati con il mescolare i colori a olio, e l’insieme B è composto di tutti i comportamenti associati

all’usare un pennello per applicare del colore su una tela, e tutti i comportamenti degli insiemi A e B sono inclusi nell’insieme C (dipingere), allora A e B sono sottoinsiemi di C. Uno dei risultati dell’applicazione di questo principio è che gli insiemi si possono organizzare in una serie di raggruppamenti ordinati di insiemi e sottoinsiemi. Questa è una delle nozioni chiave alla base del modello dei livelli neurologici. Secondo questo modello, ciascun livello di processo incorpora elementi del livello a esso sottostante secondo una successione di raggruppamenti in sottoinsiemi. Ad esempio: a. Specifici comportamenti riguardano una certa serie di oggetti nell’ambiente

Comportamenti correlati a sottoinsiemi di elementi ambientali b. Le capacità riguardano il coordinamento di specifici insiemi di comportamenti (e gli ambienti o porzioni dell’ambiente a essi relativi).

Le capacità sono composte di sottoinsiemi di comportamenti specifici. c. Convinzioni e valori riguardano insiemi di capacità (e i comportamenti che quelle capacità includono).

Convinzioni e valori riguardano certi sottoinsiemi di capacità. d. L’identità comprende un insieme di convinzioni e valori (e le capacità, i comportamenti e gli ambienti in essi inclusi).

Una determinata identità è composta di sottoinsiemi di convinzioni e valori, con le corrispondenti capacità e comportamenti. e. L’esperienza spirituale sotto forma di vision e fine ultimo unisce insiemi di identità.

Vision e fine ultimo integrano sottoinsiemi di identità.

I LIVELLI NEUROLOGICI COME GERARCHIA OPERAZIONALE

Chiaramente, i livelli di apprendimento di Bateson e i livelli neurologici della PNL sono più di un semplice raggruppamento di insiemi basato sulla logica dell’inclusione. Ciascun livello funziona integrando e operando su relazioni e attività al livello sottostante. Allo stesso modo, catene di cambiamenti o attività a un determinato livello avranno anche un effetto su quello superiore. In un articolo scritto nel novembre del 1976 (pubblicato in Roots of NLP), Robert Dilts cerca di distinguere tra i tipi logici e i livelli logici. Dilts afferma che i tipi logici sono gerarchie che riguardano classificazioni basate sulla gerarchia classe-membro dei sistemi. I livelli logici sono gerarchie che hanno a che vedere con funzioni in cui le operazioni a un dato livello selezionano e organizzano elementi al livello immediatamente inferiore. Considerate i seguenti esempi:

• La velocità di un’automobile è una funzione dello spostamento che compie nello spazio in relazione al tempo (ambiente).

• Premere l’acceleratore o il freno della macchina con il piede è un comportamento che ne altera la velocità.

• La capacità di rispettare il limite di velocità è una funzione dell’integrazione di una mappa mentale con le proprie percezioni al fine di regolare il modo in cui si usa il piede.

• Rispettare il limite di velocità risulta dal valore attribuito alle leggi e dalla convinzione che non rispettarle causerà conseguenze. Se non si attribuisce valore al limite di velocità, non lo si rispetta pur essendone capaci.

• Essere un “buon guidatore” (identità) è una funzione dell’allineamento dei livelli precedenti.

• Creare un nuovo tipo di veicolo (aeroplano, elicottero, navicella spaziale) risulta dalle azioni collettive, dalla vision e dallo scopo condiviso di un più ampio sistema di piloti e ingegneri (campo).

• I tasti di un pianoforte, il suono che produce e le note su uno spartito sono nell’ambiente.

• Premere il tasto di un pianoforte con un dito è uncomportamento.

• Suonare (leggere le note dallo spartito e coordinare le proprie dita per produrre i suoni giusti nell’ordine giusto) o comporre sono delle capacità.

• Apprezzare, giudicare e selezionare della musica, e mantenere la motivazione necessaria a imparare a leggere e suonare la musica, sono funzioni di convinzioni e valori.

• Assumere l’identità di “musicista” è una combinazione di tutti i livelli precedenti.

• Sviluppare un nuovo stile musicale (jazz, rock and roll…) è un fenomeno che emerge da una collaborazione generativa collettiva tra svariati musicisti (campo).

Ciò esemplifica un tipo di organizzazione fondamentalmente diverso dalla semplice logica di inclusione, sebbene tra le due esistano delle caratteristiche e proprietà comuni. In questo tipo di gerarchia, l’attività a un certo livello organizza quella al livello sottostante. Questa relazione si descrive con massima facilità in modo formale. Ad esempio, possiamo descrivere un determinato comportamentocome un processo simile a una funzione matematica, ossia f(x), in cui x è una determinata porzione dell’ambiente e f è una qualche azione, algoritmo o programma che opera su quella porzione dell’ambiente. Tornando a esempi specifici, x potrebbe essere un tasto del pianoforte. La funzione f potrebbe essere qualcosa come “premere il tasto col dito”. Tutti i nostri comportamenti richiedono interazioni di un qualche tipo con l’ambiente. I comportamenti suonare il piano, guidare un’auto, sciare fuori pista, pedalare in bicicletta, parlare con un’altra persona richiedono tutti un’interazione con determinate parti dell’ambiente. Le capacità sono processi che sfruttano e coordinano dei comportamenti. Una cosa è essere in grado di premere i tasti di un pianoforte o di una tastiera di computer, un’altra è essere capaci di suonare come Mozart o di scrivere come Shakespeare. Questa relazione si potrebbe illustrare matematicamente comef’(f(x)), in cui f’ è una funzione che opera sul processo definito daf(x). Per esprimerla più direttamente potremmo esprimere la relazione come (capacità (comportamento(ambiente))), indicando che le capacità sono funzioni che operano su comportamenti cheoperano su parti dell’ambiente. Un’altra notazione formale del livello delle capacità potrebbe essere f(y,x), in cui y rappresenta un comportamento, x rappresenta una certa parte dell’ambiente,e f è una funzione o programma che ne coordina la relazione. Ampliando ulteriormente questa descrizione, possiamo dire checonvinzioni e valori sono funzioni che operano su capacità:f’’(f’(f(x))), e che l’identità opera su convinzioni e valori, e via così. L’intera gerarchia operazionale si potrebbe quindi rappresentare così: campo (identità (valori/convinzioni (capacità (comportamento (ambiente))))).

AGGIORNARE GLI SCHEMI DI COMPORTAMENTO TRAMITE I LIVELLI DI APPRENDIMENTO DI BATESON

La tecnica seguente applica i livelli logici di apprendimento di Bateson e alcuni aspetti dei livelli neurologici che aiutino a identificare e aggiornare schemi comportamentali verosimilmente obsoleti e inefficaci. Comporta un passaggio sistematico a partire dall’Apprendimento 0 attraverso tutti i livelli fino all’Apprendimento IV. Apprendimento I, II e III sono come i gradini di una scala a pioli che ci aiuta a raggiungere le possibilità offerte dall’Apprendimento IV. Questo processo dimostra i vari tipi di approcci e di supporti che aiutano le persone a mettere in atto gli aggiustamenti e cambiamenti di prospettiva necessari a raggiungere con successo ciascun livello di apprendimento, sviluppando, a partire dalle intuizioni e dalle conoscenze generate da ciascun livello, una solida base per il conseguimento dell’Apprendimento IV. Il processo è composto delle seguenti fasi:

1. Pensate a una situazione problematica o a una relazione dove continuate a ricadere in un vecchio schema di comportamento, sebbene sia inefficace (Apprendimento 0). Calatevi in maniera associata in un esempio di quella situazione e rivivetela internamente. Mettete in atto il comportamento con una dimostrazione (attivate il corpo) e identificate la struttura dello schema o dell’abitudine (ad esempio, dare la colpa agli altri, arrendersi, bloccarsi, farsi piccoli piccoli, cercare di scomparire). Cercate di acquisire piena consapevolezza di come fate tutto questo a livello comportamentale. Prestate particolare attenzione alla vostra postura, ai movimenti, alla tensione muscolare, alla respirazione.

2. Fate un passo indietro e prendete distanza dalla situazione per riflettere sullo schema comportamentale. Notate come reagite sia mentalmente sia fisicamente nella situazione. Esplorate i modi in cui potreste aggiustare o adattare il vostro comportamento (Apprendimento I). Provate a simulare alcune possibilità, esplorando come potreste variare il comportamento in cui attualmente ricadete, ad esempio esagerandolo, moderandolo, alterandolo.

3. Fate un ulteriore passo indietro rispetto alla situazione e assumete una posizione di “osservatore esterno”, in maniera tale da poter “osservare voi stessi” nella situazione problematica.

a. Notate in che modo avete categorizzato o classificato questa situazione fino a questo momento (ad esempio come pericolosa, seria, urgente, ostile e così via). A quali convinzioni vi siete aggrappati in merito alla situazione? b. Pensate a un qualche altro momento o a un’altra situazione in cui siete stati capaci di agire o rispondere in maniera completamente diversa e più efficace (Apprendimento II), ad esempio dimostrandovi calmi, pronti ad accettare, aperti, centrati. Calatevi in maniera associata in una situazione in cui siete stati capaci di mettere in atto questa differente classe di comportamenti. c. Create una “convinzione ponte” verso la situazione problematica: qual è la convinzione che avete e che vi permette di agire in maniera più efficace nell’altra

situazione? Quale convinzione dovreste avere per sostenere la nuova classe di comportamenti nella situazione problematica? d. Rivisitate la situazione problematica e fate “come se” aveste la nuova convinzione e la diversa classe di comportamenti associati all’interno della situazione problematica. Cosa sarebbe diverso?

4. Fate un ulteriore passo indietro in maniera tale da trovarvi al di fuori di voi stessi a riflettere su voi stessi e sulla gamma di comportamenti che avete avuto a disposizione nella vostra vita. Considerate la possibilità di un sistema completamente diverso, con una gamma completamente differente di comportamenti (identità) che non sia la vostra (Apprendimento III).

a. Trovate una persona, un animale o un essere che applicherebbe una strategia del tutto diversa dalla vostra in quella situazione. Identificate qualcuno o qualcosa da prendere a modello per quel sistema di comportamenti e mettetevi completamente “nei suoi panni” (seconda posizione). Se ne avete bisogno, create una “convinzione ponte” per entrare nella posizione percettiva del vostro modello, ad esempio chiedendovi quale convinzione dovreste aver per riuscire a calarvi completamente nell’altra persona. b. Dal punto di vista della persona che avete preso a modello, qual è la vostra metafora per descrivere voi stessi in quanto modello? Qual è la vostra “chiamata” e la vostra mission in quanto modello? Pensate a una persona che nella vostra vita vi ha appoggiato e aiutato a espandere la vostra percezione di chi siete, e immaginate di rientrare nella situazione problematica e di reagire “come se” foste quest’altra persona, mettendo in pratica la chiamata e la metafora che avete creato.

5. Fate un passo al di là della posizione dell’Apprendimento III. Entrate in uno stato di non-conoscenza nel quale vi sentite centrati e aperti a tutte le possibilità, senza formare giudizi o interpretazioni. Apritevi a quello che Bateson ha chiamato “lo schema che connette” e “la più vasta Mente”, quello che Einstein ha definito “i pensieri di Dio” e “l’universo”. Pensate a un persona che nella vostra vita vi ha risvegliato e vi ha aiutato ad ampliare i vostri orizzonti riguardo a ciò che è possibile. Create un’ancora o un simbolo per quello stato. Usando l’ancora o il simbolo per mantenerlo attivo, rientrate in ciascuno degli altri livelli di apprendimento e infine nella situazione problematica, e agite in maniera spontanea. Quale comportamento non rientrerebbe in nessuno dei vostri attuali sistemi e delle vostre attuali classi di comportamento? (Apprendimento IV)

Apprendimento IV

Stato di apertura e connessione a una più vasta Mente (inconscio/mente di campo)

Apprendimento III

Modellare uno schema completamente nuovo da qualcun altro

Apprendimento II

Schemi diversi mutuati da situazioni diverse

Apprendimento I

Variazioni di uno schema

Apprendimento 0

Schemi comportamentali ricorrenti

LE OLARCHIE DI KOESTLER

Durante tutta la sua vita, Bateson continuò ad applicare la teoria dei tipi logici più in generale a molti aspetti del comportamento e della biologia. Per lo studioso la suddivisione in livelli logici non era una semplice teoria matematica, ma una “legge di natura”; sosteneva che un tessuto composto da una serie di cellule, ad esempio, appartiene a un tipo logico diverso di quello delle singole cellule – le caratteristiche di un cervello non sono le stesse delle singole cellule cerebrali. I due livelli possono influenzarsi a vicenda tramite feedback indiretto – ossia il funzionamento e le connessioni del cervello nel suo complesso possono influenzare il comportamento di una singola cellula cerebrale, e l’attività di una singola cellula cerebrale contribuisce al generale funzionamento del cervello. In un certo senso una cellula influenza se stessa tramite il resto della struttura del cervello. Oltre a essere “gerarchici”, questi livelli di classificazione possono anche essere definiti “olarchici”. Arthur Koestler ha usato il termine olarchia per descrivere ciò che considerava come i livelli fondamentali di integrazione all’interno di sistemi fisici e sociali. Spiega Koestler nell’Atto della creazione: Un organismo vivente o un corpo sociale non è un aggregato di particelle elementari o di processi elementari; è una gerarchia integrata di sub-totalità semiautonome, che consistono a loro volta di sub-totalità, e via così. Dunque le unità funzionali su ciascun livello della gerarchia hanno per così dire due facce: agiscono come un insieme completo ed una totalità verso il basso, e come parti separate verso l’alto.

Quindi qualcosa che integra in sé le parti al livello sottostante diviene a sua volta una parte rispetto al livello sovrastante. L’acqua, ad esempio, è un’entità a sé stante che emerge dall’integrazione di idrogeno e ossigeno. L’acqua stessa, tuttavia, può essere parte di molte altre entità più ampie, dal succo di frutta, all’oceano, al corpo umano. L’acqua è quindi tanto un intero in sé completo quanto una parte di interi in sé completi più ampi.

In A Brief History of Everything, Ken Wilber ha descritto questa relazione nel modo seguente: Arthur Koestler ha coniato il termine “olone” per far riferimento ad un’entità che è essa stessa un qualcosa di intero e completo, e al tempo stesso una parte di un’altra entità intera e completa. E se cominciate a guardare con attenzione alle cose e ai processi che effettivamente esistono, diventa presto ovvio che non sono meramente degli interi completi e a sé stanti, sono anche parti di qualcos’altro. Sono interi/ parti, sono “oloni”. Ad esempio, un atomo nella sua interezza è parte di una molecola nella sua interezza, e la molecola nella sua interezza è parte di una cellula nella sua interezza, e una cellula nella sua interezza è parte di un organismo nella sua interezza, e via così. Ciascuna di queste entità non è né una parte né un intero, ma un intero-parte, un olone.

Secondo Wilber, ciascuna nuova totalità include e al tempo stesso trascende le parti al livello a essa sottoposto. È importante sottolineare che in un’olarchia, se un livello inferiore del sistema non è presente nei livelli superiori, non potrà essere espresso a pieno. I livelli sottostanti sono componenti necessari di tutti i livelli sovrastanti.

Il nostro universo è composto di un’ecologia di sistemi che sono a loro volta sottosistemi all’interno di una successione di altri sistemi di dimensioni crescenti.

Il nostro cuore, ad esempio, è un sistema completo di valvole, condotti e muscoli, ed è anche parte del sistema più ampio del corpo umano. Direttamente o indirettamente, il cuore esercita un influsso su tutti gli altri sottosistemi del corpo (gli occhi, lo stomaco, i reni, il sistema nervoso autonomo e così via) e ne viene a sua volta influenzato. Similmente, il corpo umano è a sua volta un sottosistema dei sistemi più ampi di famiglia, comunità, ambiente.

I sottosistemi stessi sono a loro volta composti di altri sottosistemi, in un continuo discendere fino ai sistemi di molecole, atomi e particelle subatomiche alla base del nostro mondo fisico.

Una delle presupposizioni fondamentali della PNL è che le nostre menti, i nostri corpi, le nostre società e il nostro universo formano un’ecologia di sistemi e sottosistemi complessi che interagiscono e si influenzano vicendevolmente. Non è possibile isolare completamente una qualsiasi parte del sistema dal resto. Per proporre un’analogia, le ventuno lettere dell’alfabeto possono esistere senza la parola “casa”, ma la parola “casa” non può esistere senza l’alfabeto. La parola “casa” tuttavia è a un livello più elevato delle lettere dell’alfabeto, perché “casa” organizza le lettere dell’alfabeto, veicolando un significato che va al di là dell’alfabeto. Similmente, le frasi sono a un livello superiore rispetto alle parole; i paragrafisono a un livello superiore rispetto alle frasi; i capitoli sono a un livello più alto dei paragrafie via dicendo. Ciascun livello forma un insieme completo più ampio in quanto comprende le strutture del livello sottostante, ma è qualcosa di più della loro somma. I livelli di Bateson, e di conseguenza anche i livelli neurologici della PNL, hanno questa proprietà. Ciascun livello è composto di relazioni tra parti del livello a esso inferiore, e al tempo stesso trascende la somma di quelle parti dando luogo a una struttura di portata più ampia (proprio come gli atomi di idrogeno e ossigeno formano una molecola d’acqua). In questo senso si tratta di strutture sia “gerarchiche” sia “olarchiche”.

I LIVELLI NEUROLOGICI E IL SISTEMA NERVOSO

Dal punto di vista della PNL, ciascun livello di apprendimento, cambiamento o interazione deve essere una funzione di una qualche forma di “programmazione neuro-linguistica”. Una delle finalità del modello dei livelli neurologici delle PNL è di porre in relazione i livelli di classificazione e di apprendimento di Bateson con il sistema nervoso. L’idea è che diversi livelli di processo siano una funzione di diversi tipi di organizzazione neurologica e mobilitino quindi le risorse di “circuiti” neurologici progressivamente più profondi. Bateson stesso (Verso un’ecologia della mente) sostiene che le gerarchie formate dai vari livelli di apprendimento corrisponderebbero a “gerarchie di strutture di circuiti che potremmo ben aspettarci di trovare nel cervello telencefalizzato” e che “dovremmo aspettarci una futura classificazione o gerarchia delle strutture neurofisiologiche che sarà isomorfa con [i vari livelli di apprendimento]”. Il livello della struttura neurologica che si attiva quando una persona è di fronte a una sfida a livello di mission o di identità, ad esempio, è molto più profondo di quello che è necessario per muovere una mano. Per percepire l’ambiente circostante, basta che una persona accolga passivamente gli stimoli che giungono dagli organi di senso. Per eseguire determinate azioni in un determinato ambiente, una persona deve mobilitare una porzione maggiore del proprio sistema nervoso. Per coordinare quelle azioni in una sequenza complessa, come ad esempio ballare o guidare un’automobile, una persona ha bisogno di attingere a risorse ancora maggiori. Formare e manifestare convinzioni e valori riguardo a capacità, comportamenti e l’ambiente richiede un impegno neurologico

ancora maggiore (che comprende anche i “cervelli” localizzati nel cuore e nelle viscere). Un senso del sé sorge a partire da una totale mobilitazione del sistema nervoso a tutti gli altri livelli. In generale, dunque, livelli più elevati di processo richiedono al sistema nervoso un maggiore livello di attivazione. Un determinato ambiente è composto di fattori quali il tipo di condizioni esterne, il tempo atmosferico, il cibo, il livello di rumore. Da un punto di vista neurologico, le nostre percezioni dell’ambiente hanno a che vedere con le informazioni che derivano dai sensi e dal sistema nervoso periferico. Per orientarsi in un determinato ambiente, ad esempio, una persona si affida agli occhi per vedere gli oggetti importanti, alle orecchie per sentire i suoni più rilevanti, al naso per cogliere gli odori e ai recettori sulla pelle per percepire la temperatura dell’aria. Contemporaneamente, la persona compie anche tutta una serie di sottili aggiustamenti inconsci per mantenere l’equilibrio, reagire ai cambiamenti nell’intensità della luce e dei suoni, acclimatarsi ai cambiamenti di temperatura e così via. Dunque il sistema nervoso periferico scambia avanti e indietro col cervello le informazioni relative all’ambiente, ed è responsabile per la produzione delle sensazioni e delle reazioni puramente riflessuali. Le capacità riguardano le strategie e le mappe mentali che le persone sviluppano per guidare i propri specifici comportamenti. Sebbene alcuni comportamenti siano semplicemente risposte riflessuali a stimoli ambientali, la maggior parte delle nostre azioni sono di natura diversa. Molti dei nostri comportamenti derivano da mappe mentali e altri processi interni che originano nelle nostre menti. Questo è un livello di esperienza che va al di là delle percezioni dell’ambiente immediato: potete, ad esempio, creare immagini mentali di cose che non hanno niente a che vedere con il luogo in cui vi trovate; ricordare conversazioni ed eventi che hanno avuto luogo anni fa; immaginare eventi che potrebbero verificarsi tra molti anni. I comportamenti, in assenza di mappe interiori, piani o strategie che li guidano, sono come reazioni istintuali, abitudini o rituali. Al livello delle capacità siamo in grado di selezionare, alterare e adattare una classe di comportamenti a una più vasta gamma di situazioni esterne. Dunque le “capacità” richiedono il dominio di una serie di classi di comportamenti, ossia saperecome fare qualcosa in un’ampia varietà di condizioni esterne. Tutto questo si realizza nella nostra struttura cerebrale come effetto della relazione tra i sensi, il sistema motorio e la corteccia cerebrale. È nella corteccia (o nella materia grigia) del cervello che le informazioni sensoriali sono rappresentate sotto forma di mappe mentali, associate ad altre rappresentazioni mentali, o combinate per mezzo dell’immaginazione, e poi connesse ad azioni e risposte adeguate. Studi condotti sul cervello delle scimmie, ad esempio, mostrano che se la corteccia motoria viene danneggiata o rimossa, le scimmie sono ancora in grado di eseguire qualsiasi singolo comportamento: ciò che viene meno è la loro capacità di integrare i comportamenti in gruppi per realizzare attività coordinate più ampie. Lo sviluppo di capacità è il più cognitivamente intenso dei livelli neurologici. Questo tipo di elaborazione è solitamente accompagnata da micromovimenti semiconsci, o “segnali di accesso” (movimenti oculari, cambiamenti nel ritmo respiratorio, leggeri mutamenti a livello della postura, cambiamenti nel tono di voce e così via). Valori e convinzioni hanno a che vedere con fondamentali giudizi e valutazioni riguardo a noi stessi, agli altri, e al mondo attorno a noi. Determinano il nostro modo di attribuire significato agli eventi e sono la radice della motivazionalità e della cultura. Le nostre

convinzioni e i nostri valori forniscono il rinforzo (motivazione e permesso) che sostiene o inibisce specifiche capacità e comportamenti. Convinzioni e valori hanno a che vedere con la domanda “Perché?”. Da un punto di vista neurologico, le convinzioni sono associate al sistema limbico e all’ipotalamo nel cervello medio. Emozioni e memoria a lungo termine si possono ricondurre al sistema limbico, che sotto molti aspetti è una struttura più “primitiva” della corteccia cerebrale, ma ha la funzione di integrare le informazioni provenienti dalla corteccia e quella di regolare ilsistema nervoso autonomo (che controlla funzioni corporee di base quali il battito cardiaco, la temperatura del corpo, la dilatazione delle pupille e via dicendo). In quanto prodotte da strutture cerebrali più profonde, le convinzioni generano cambiamenti nelle funzioni fisiologiche fondamentali responsabili per molte delle nostre risposte inconsce. In effetti, uno dei modi in cui sappiamo di essere realmente convinti di una cosa è il fatto che essa scatena reazioni fisiologiche: ci fa battere il cuore e bollire il sangue, oppure ci fa venire la pelle d’oca (tutti effetti che non possiamo produrre volontariamente). È proprio così che funziona una macchina della verità: le persone mostrano una reazione fisica diversa quando sono convinte della verità di ciò che stanno dicendo, rispetto a quella che mostrano quando mentono o non si esprimono in maniera coerente. È l’intima connessione tra convinzioni e funzioni fisiologiche profonde a dare alle prime la possibilità di esercitare un’influenza tanto potente su ambiti quali quelli della salute e della guarigione (si pensi ad esempio all’effetto placebo). Dato che le aspettative generate dalle nostre convinzioni hanno un profondo effetto sulla nostra struttura neurologica, esse sono anche in grado di produrre significativi effetti fisiologici. Un esempio classico è quello delle donne che adottano un neonato, e in quanto convinte che una “madre” debba allattare i propri figli, cominciano effettivamente a produrre latte materno in quantità sufficiente per nutrire il figlio adottivo. Il livello dell’identità riguarda il nostro senso di chi siamo. È la percezione che abbiamo della nostra identità a organizzare convinzioni, capacità e comportamenti in un sistema unitario. Il senso di identità riguarda anche la percezione di noi stessi rispetto ai sistemi più ampi di cui facciamo parte e determina il senso del nostro “ruolo”, del nostro “scopo” e della nostra “mission”. A livello neurologico l’identità può essere associata al sistema nervoso nel suo complesso, e probabilmente coinvolge strutture cerebrali profonde quali, ad esempio, la formazione reticolare. Si tratta di un grande gruppo di cellule situate nel profondo del tronco cerebrale; a partire da quest’area le fibre si estendono attraverso i nuclei talamici verso ampie aree di associazione nella corteccia. La formazione reticolare ha la funzione di regolare lo stato di veglia: se viene danneggiata a livello del cervello medio la lesione risulta in uno stato di coma (di contro, ampie aree della corteccia possono essere distrutte senza causare perdita di coscienza). L’identità è anche collegata a livello fisiologico con il sistema immunitario, il sistema endocrino e altre funzioni vegetative profonde. Cambiamenti o trasformazioni a livello identitario possono dunque avere un effetto fortissimo e quasi istantaneo sullo stato fisiologico della persona. La ricerca medica su soggetti con personalità multiple mostra che cambiamenti notevoli e radicali possono avere luogo quando una persona passa da un’identità a un’altra. Ad esempio, i tracciati delle onde cerebrali sono di solito completamente diversi per le diverse personalità. Alcuni individui con personalità multiple portano diverse paia di occhiali con diverse gradazioni, poiché i loro difetti

visivi cambiano con il cambiare delle personalità. Altri hanno certe allergie con una personalità, ma ne sono privi con altre. Uno degli esempi più interessanti di cambiamento fisiologico con identità diverse (riportato da Goleman in un articolo pubblicato sul “New York Times”) è quello di una donna ospedalizzata per un caso di diabete che lasciò a bocca aperta i proprio medici non dimostrando alcun sintomo della patologia quando assumeva il controllo una seconda identità che non era diabetica. Le esperienze a livello spirituale riguardano il nostro senso di essere parte di qualcosa che va al di là di noi stessi, a un livello molto profondo. È la percezione di quello che Bateson chiamava “lo schema che connette” tutte le cose combinandole in un’interezza più vasta. Noi, in qualità di individui, siamo un sottosistema di questo sistema più ampio. La nostra esperienza di questo livello è correlata al nostro senso di scopo e di mission nella vita. Deriva dal chiedersi “Per chi?” e “Per cosa?”. Questo è probabilmente anche il livello che intendeva Bateson parlando dell’Apprendimento IV. Da un punto di vista neurologico i processi di livello spirituale riguardano un tipo di “campo relazionale” tra il nostro sistema nervoso e quello delle altre persone, e che forma a sua volta una sorta di vasto sistema nervoso collettivo. Ciò che risulta da questo campo di interazione è a volte indicato come mente di gruppo, spirito di gruppo, o coscienza collettiva. Questo campo include anche il sistema nervoso o le reti di elaborazione di informazioni degli altri esseri e persino del nostro ambiente. Riassumendo, i livelli neurologici sono composti della seguente gerarchia di circuiti neuro-fisiologici:

Spirituale: Campo – sistemi nervosi individuali che si combinano formando un sistema più vasto A. Identità: Sistema nervoso nella sua totalità – funzioni vegetative profonde (ad esempio sistema immunitario, sistema endocrino e sistema reticolare) B. Convinzioni e valori: Sistema limbico e sistema di controllo autonomo (ad esempio battito cardiaco, dilatazione delle pupille) – reazioni inconsce C. Capacità: Sistemi della corteccia – azioni semiconsce (movimenti oculari, postura) D. Comportamenti: Sistemi motori (piramidale e cervelletto) – azioni consce E. Ambiente: Sistema nervoso periferico – sensazioni e reazioni riflessuali

Gerarchia dei sistemi neurali © R.B. Dilts 1982

I LIVELLI NEUROLOGICI E IL LINGUAGGIO

Come per tutti i modelli e le distinzioni della PNL, i livelli neurologici non sono solo un fenomeno neurologico. Hanno anche una componente linguistica che emerge nel nostro utilizzo intuitivo del linguaggio. Confrontate ad esempio le seguenti affermazioni: Quell’oggetto nel tuo ambiente è pericoloso. Le tue azioni in quel determinato contesto sono pericolose. La tua incapacità di formulare giudizi efficaci è pericolosa. Le tue convinzioni e i tuoi valori sono pericolosi. Sei una persona pericolosa.

Il giudizio espresso in ciascuno dei casi è che qualcosa è “pericoloso”. Tuttavia la maggior parte delle persone percepisce intuitivamente che lo “spazio” o il “territorio” implicato da ciascuna delle affermazioni si amplia progressivamente dalla prima all’ultima, e questo ampliamento è accompagnato da un effetto emotivo crescente. Che una persona vi dica che un vostro specifico comportamento in un contesto era pericoloso è una cosa ben diversa dal sentirvi dire che siete “una persona pericolosa”. Provate voi stessi, immaginando. Immaginate che qualcuno vi dica ciascuna delle seguenti cose: Il tuo ambiente è (stupido/brutto/eccezionale/bello). Il modo in cui ti comporti in quella specifica situazione è (stupido/brutto/eccezionale/ bello). Hai veramente/ti manca veramente la capacità di essere (stupido/brutto/eccezionale/ bello).

Ciò di cui sei convinto e cui dai valore è (stupido/brutto/eccezionale/bello). Tu sei (stupido/brutto/eccezionale/bello).

Ancora una volta, notate che le valutazioni conclusive di ciascuna affermazione sono le stesse: ciò che cambia è il livello cui l’affermazione fa riferimento.

ESEMPI DI AFFERMAZIONI A DIVERSI LIVELLI LOGICI

I seguenti gruppi di affermazioni forniscono ulteriori esempi di espressioni verbali rivolte a diversi livelli neurologici.

Affermazioni che indicano risposte a diversi livelli fornite a uno studente che ha ottenuto un risultato scarso in un test di ortografia.

A. Identità – Sei una persona stupida/ritardata B. Convinzioni – Se non riesci a scrivere correttamente non puoi andare bene a scuola C. Capacità – L’ortografia non è il tuo forte D. Comportamenti specifici – Non sei andato bene in questa prova E. Ambiente – Il rumore nell’aula rende difficile concentrarsi e fare bene la prova

Affermazioni che indicano diversi livelli di reazione in una persona che ha un problema con l’alcol.

A. Identità – Sono un alcolista e sarò sempre un alcolista B. Convinzioni – Devo bere per potere rimanere calmo e normale C. Capacità – Apparentemente non riesco a controllare il mio rapporto con l’alcol D. Comportamenti specifici – Ho bevuto troppo alla festa E. Ambiente – Quando mi trovo con i miei amici mi piace bere un bicchiere in più

Affermazioni che indicano diversi livelli di reazione in una persona che ha scoperto di avere un cancro.

A. Identità – Sono una vittima del cancro B. Convinzioni – Sarebbe una falsa speranza non accettare l’inevitabile C. Capacità – Non sono in grado di rimanere in salute D. Comportamenti specifici – Ho un tumore E. Ambiente – Il cancro mi sta attaccando

Affermazioni che indicano diversi livelli di risposta in una persona che sta lavorando verso un obiettivo di salute.

A. Identità – Sono una persona sana B. Convinzioni – Se sono sano posso aiutare gli altri C. Capacità – So come influenzare la mia salute D. Comportamenti specifici – In certi contesti riesco a comportarmi come una persona

sana

E. Ambiente – La medicina mi ha curato

SCHEMI LINGUISTICI ASSOCIATI AI DIVERSI LIVELLI NEUROLOGICI

Esistono svariati schemi verbali associati a diversi livelli neurologici delle esperienze, tra cui:

• Il linguaggio a livello dell’ambiente fa riferimento a specifici aspetti o dettagli osservabili nel contesto esterno della persona, ad esempio carta bianca, alte mura, grande stanza. Le esperienze a livello dell’ambiente sono caratterizzate da descrizioni dettagliate ma impersonali basate su uno specifico input sensoriale:

Ad esempio: ho assaggiato una mela rossa; ho visto un’automobile beige passare a gran velocità; ho sentito un suono stridulo provenire dalla cornetta; la spugna era fredda, bagnata e morbida.

• Il linguaggio a livello dei comportamenti fa riferimento a comportamenti specifici e azioni osservabili, ad esempio “fare”, “agire”, “camminare”, “dire”. L’esperienza a livello dei comportamenti è espressa da verbi attivi e avverbi relativamente specifici che descrivono esperienze verificabili attraverso i sensi (verbi specificati):

Ad esempio: stava camminando per strada; sono sceso dalla macchina; si sono alzati tutti contemporaneamente; ha dato uno spintone a sua sorella.

• Il livello delle capacità è indicato da parole come “sapere”, “come”, “essere capace”, “pensare”. I processi a livello delle capacità sono meglio espressi tramite quelli che sono comunemente noti nel Meta Modello come verbi non specificati (creare, comunicare, pensare):

Ad esempio: posso farcela; riesco a capire cosa intendi; sa pilotare un aereo, guidare una macchina, suonare uno strumento, costruire una sedia.

• Il linguaggio delle convinzioni e dei valori prende spesso la forma di affermazione di giudizi, regole e legami di causa-effetto, ad esempio “se… allora”, “bisognerebbe…”, “dobbiamo…”. Il linguaggio delle convinzioni e dei valori comprende generalizzazioni più ampie di quelle del linguaggio del livello delle capacità. Tali generalizzazioni emergono in giudizi ed espressioni che rientrano nelle categorie di “performativa perduta” (è bene, è male, è opportuno, è scortese), “nominalizzazioni” (successo, amore, accettazione, raggiungimento, potere), “causa-effetto” (provocare, costringere, far sì che), “operatori modali” (dovere, bisogna, è necessario) e “quantificatori universali” (sempre, mai, nessuno, tutti):

Ad esempio: niente sarà mai bello come era una volta; è assurdo che tu te la prenda per queste cose; bisogna dire la verità; la pratica porta alla perfezione; abbiamo provato tutto e niente funziona.

• Le espressioni a livello dell’identità sono associate a formulazioni del tipo: “io sono un…” o “lei è una…” o “tu sei un…”. Le descrizioni a livello dell’identità sono caratterizzate da generalizzazioni molto ampie. Presentano necessariamente un elevato

livello di codifica e sono in un certo senso molto astratte. Le rappresentazioni che riflettono l’identità sono spesso espresse con linguaggio simbolico o metaforico. Paradossalmente, le persone rivelano in effetti meno di se stesse usando descrizioni basate su uno specifico input sensoriale che parlando per simboli o per analogie. Ad esempio, se mi descrivo in termini di “Maschio di razza caucasica; indossa un paio di jeans neri ed è seduto su una sedia di legno; scrive qualcosa al computer mentre beve una tazza di tè” ho in realtà rivelato molto poco su di “me”. Se invece, d’altro canto, mi descrivo come “Un pioniere che ama esplorare nuovi territori, ma che si annoia se rimane troppo a lungo in un posto”, ho fornito una descrizione per nulla accurata a livello letterale, ma che dice molto di più su chi sono e “come funziono”.

Ad esempio: sono come un faro; è una persona acida; sono degli animali; è come un raggio di sole.

• Il linguaggio del livello dello spirito è anch’esso in massima misura formulato con simboli e metafore: basti pensare alle metafore di Gesù. Secondo Gregory Bateson il linguaggio del sacro è necessariamente un linguaggio non letterale. Ciò che è “sacro” e “pregno di significato” non risiede solitamente nell’interpretazione letterale degli eventi, quanto piuttosto nella loro struttura più profonda.

Bateson faceva spesso l’esempio di un inno inglese su Maria e Giuseppe sulla via di Betlemme per partecipare al censimento. Maria, gravata dal peso del figlio in grembo e stanca di viaggiare, comincia a lamentarsi col marito della fatica e della fame. Allora fermano l’asino e si mettono a bordo strada. Maria, fattasi un po’ irritabile per via del lungo viaggio, dice a Giuseppe: “Ho fame. Portami qualcosa da mangiare”. Giuseppe, egli pure stanco e irritabile e non troppo contento di essersi dovuto fermare, risponde: “Che ci pensi quello che ti ha messo incinta, a portarti qualcosa da mangiare”. E proprio in quel momento un ciliegio lì vicino si piega come a offrire a Maria un frutto dai suoi rami.

Bateson sottolinea che se a questo punto dite: “Aspetta un attimo, in Palestina a quel tempo non c’erano i ciliegi”, avete perso di vista lo scopo della storia. Prenderla in senso letterale la priva del suo significato più profondo. L’interpretazione letterale oscura la vera intenzione del racconto. In altre parole, quando Gesù parlava di un contadino che pianta dei semi, non aveva l’effettivo intento di parlare di agricoltura. Il punto è la natura simbolica della storia.

LIVELLI DELLE DOMANDE

Un altro ambito in cui la naturale gerarchia dei livelli neurologici emerge intuitivamente nel linguaggio è quello delle nostre domande più fondamentali. Considerate le sei domande sulla base delle quali organizziamo le nostre vite: dove, quando, cosa, come, perché e chi. Ambiente: Dove? Quando? Comportamento: Cosa? Capacità: Come? Convinzioni e Valori: Perché?

Identità: Chi?

Il livello dello spirito e dello scopo traspare nelle domande “Per chi?” e “Per cosa?”

Spesso ci muoviamo salendo attraverso i vari livelli neurologici a mano a mano che ci addentriamo sempre più profondamente in una conversazione. Se do a un bambino delle elementari una lista di parole da imparare (il cosa) e gli dico che ci sarà un test su quelle parole in classe alla fine della settimana (il dove e ilquando), il bambino può porsi la legittima domanda “Comefaccio a ricordare tutte queste parole?”. Se dico al bambino di volgere gli occhi in alto a sinistra e di formarsi un’immagine mentale di ciascuna parola con l’occhio della mente (rispondendo alla domanda come), quello potrebbe poi chiedermi “Perchéfarlo mi aiuterà a ricordare le parole?”. Potrei rispondere alla domanda spiegando la mia convinzione che per scrivere correttamente una parola occorre ricordarne l’aspetto visivo, e che questo processo lo aiuterà a far sì che l’immagine della parola rimanga impressa nella mente. Il bambino potrebbe a questo punto passare al livello dell’identità, chiedendo: “Questo farà di me un buon allievo?”. Lo stesso schema intuitivo è illustrato nelle seguenti interazioni:

Medico: Vorrei fissarle un appuntamento nel mio ambulatorio mercoledì prossimo alle 16.00.

Paziente: Ok. Di cosa si tratta?

Medico: Vorrei condurre un test di tolleranza al glucosio.

Paziente: Come si svolge la procedura?

Medico: Le facciamo bere un liquido molto dolce: una bibita o un succo di frutta. Poi aspettiamo un po’ e facciamo un prelievo del sangue per vedere il livello di metabolizzazione dello zucchero nel corpo.

Paziente: Perché devo sottopormi alla procedura?

Medico: I suoi ultimi esami del sangue hanno riscontrato un livello di glucosio più alto del normale, e pensiamo potrebbe essere un indizio di diabete gestazionale.

Paziente: Questo vuol dire che sono diabetica?

Medico: Non necessariamente. Molte donne sviluppano livelli di glucosio più alti del normale durante la gravidanza.

Manager: Sei libero martedì pomeriggio per incontrarmi nel mio ufficio?

Collaboratore: Sì. Cosa vuoi discutere?

Manager: Vorrei che ci riunissimo per preparare la nostra presentazione della settimana prossima.

Collaboratore: Come vuoi che ci “prepariamo”, specificamente?

Manager: Ho pensato che potremmo vedere insieme la sequenza delle informazioni che intendiamo presentare, per capire se abbiamo bisogno di creare dei supporti visivi ulteriori.

Collaboratore: Perché? Pensi che sarà difficile per le persone capire cosa vogliamo comunicare?

Manager: Be’, penso che sia bene comunicare le idee chiave in modi diversi, non soltanto oralmente.

Collaboratore: Ok. Vuoi che assuma soprattutto il ruolo di co-sviluppatore, o è meglio che faccia “l’avvocato del diavolo”?

Manager: Potrebbe essere una buona idea se ti mettessi nei panni del nostro pubblico e assistessi alla presentazione come se fossi uno di loro.

Le discussioni di argomenti che vanno ancora più in profondità raggiungono in ultima analisi domande di livello “spirituale”, come a chi giova o a cosa serve la nostra vita. Questo livello del linguaggio diventa essenziale quando si è di fronte a questioni di vita o di morte. Nel suo famoso discorso di Gettysburg, ad esempio, Abraham Lincoln ha impiegato un linguaggio quasi interamente diretto a questo tipo di questioni, affermando: “Siamo qui per dedicare una parte di quel campo quale luogo dell’ultimo riposo a coloro che qui sono morti perché una nazione potesse vivere”. Lincoln dice chiaramente “per chi” e “per cosa” il gruppo si è raccolto. L’enfasi su questo profondo livello neurologico diventa ancora più evidente quando Lincoln conclude: “Sta piuttosto a noi essere qui devoti al grande compito che ancora abbiamo davanti: prendere da questi onorevoli morti un’aumentata dedizione a quella causa per la quale hanno dimostrato fino all’ultimo la propria devozione. Sta a noi decidere qui solennemente che queste persone non sono morte invano e che il governo del popolo, dal popolo e per il popolo, non scomparirà da questa terra.”

LIVELLI E META-MESSAGGI NON VERBALI

Il livello al quale un determinato messaggio viene diretto può anche essere comunicato da una serie di meta-messaggi non verbali. Ad esempio, considerate la differenza nelle implicazioni dei seguenti messaggi, in cui le parole in corsivo indicano una particolare accentuazione del tono di voce:

“Tu non dovresti fare certe cose in pubblico”. “Tu non dovresti fare certe cose in pubblico”. “Tu non dovresti fare certe cose in pubblico”.

A seconda della posizione e dell’inflessione della voce, il messaggio assume implicazioni diverse relative a un determinato livello: Tu (identità) non dovresti (convinzioni/valori) fare (capacità) certe cose (comportamento) in pubblico (ambiente).

È la presenza o l’assenza di questo tipo di meta-messaggi che spesso determina come un messaggio viene interpretato e se esso viene interpretato correttamente o meno. Ad esempio, se una figura di autorità dice “TU non stavi rispettando le regole” la cosa verrà probabilmente presa come un messaggio sull’identità. Se la persona dice “Non stavi rispettando LE REGOLE”, non sta invece sottolineando l’identità del singolo individuo, quanto piuttosto il livello dei comportamenti.

RE-INCORNICIARE LE ESPERIENZE SFRUTTANDO IL LINGUAGGIO PER CAMBIARE LIVELLO LOGICO

Un modo potente di utilizzare il linguaggio associato ai diversi livelli neurologici per aiutare le persone a uscire da stati di blocco e a re-incorniciare le proprie esperienze consiste nel trasferire il significato di una caratteristica o un’esperienza da un livello all’altro (ad esempio separare l’identità di una persona dalle sue capacità o dai suoi comportamenti). I giudizi identitari negativi vengono spesso espressi dopo che la persona ha manifestato degli specifici comportamenti, o dopo che non ha saputo produrre certi risultati comportamentali. Trasformare un giudizio identitario negativo riportandolo a un’affermazione che riguarda invece i comportamenti o le capacità di una persona riduce in modo significativo l’impatto mentale ed emotivo su quella persona. Per fare un esempio, una persona potrebbe essere depressa perché ha un cancro, e parlare di sé come di una “vittima del cancro”. Questo può essere “ricontestualizzato” verbalmente con una risposta del tipo “Non sei una vittima (identità). Puoi fare molto per favorire il processo di guarigione (convinzione sui comportamenti): puoi iniziare a condurre uno stile di vita più sano (comportamenti), oppure puoi imparare a sfruttare al meglio la connessione mente-corpo (capacità)”. Questo può aiutare la persona a cambiare la propria relazione con la malattia, ad aprirsi a nuove possibilità, e a vedersi attivamente coinvolta nel processo di guarigione. Una simile ricontestualizzazione può essere operata con una convinzione come “sono un fallimento”. Si potrebbe far notare “Non sei un fallimento; semplicemente non hai ancora appreso al meglio come gestire tutti gli elementi necessari al successo”. Ancora una volta, questo pone il giudizio limitante che era al livello dell’identità all’interno di una nuova cornice di referenza proattiva e in cui le soluzioni sono possibili. Inquadrare qualcosa nel contesto di un livello logico diverso ne cambia il significato e l’impatto. Questi tipi di ricontestualizzazioni possono essere progettati applicando le seguenti fasi: a) Identificare il giudizio identitario negativo: Sono _____________________________ (ad esempio “Sono un peso per gli altri”.) b) Identificare una specifica capacità o comportamento che ha a che vedere con lo stato presente oppure con lo stato desiderato implicito nel giudizio identitario: Capacità di ____________________ (ad esempio “Capacità di risolvere i problemi autonomamente”). c) Sostituire la capacità o il comportamento al posto del giudizio identitario negativo: Forse tu non sei un peso per gli altri (identità negativa), solo che non hai ancora sviluppato lacapacità di risolvere i problemi autonomamente (specifica capacità o comportamento).

Cambiamenti nel tono di voce, nell’enfasi con cui si pronunciano le parole o altri meta-messaggi non verbali (indicati dalle parole in grassetto negli esempi di cui sopra) possono essere utilizzati per conferire ulteriore efficacia al cambiamento di livello logico.

IL MODELLO SCORE

Il modello SCORE è stato sviluppato nel 1987 da Robert Dilts e Todd Epstein per descrivere il processo che impiegavano intuitivamente nel definire i problemi e progettare i relativi interventi, emerso a seguito di una serie di seminari sulle applicazioni della PNL. Dilts ed Epstein si sono resi conto che stavano organizzando sistematicamente il modo in cui affrontavano un problema in maniera diversa da quanto facevano i loro studenti avanzati di PNL, e che ciò in qualche modo permetteva loro di arrivare con più efficienza ed efficacia alla radice del problema. Essi notarono che ciò che stavano facendo intuitivamente ma sistematicamente non era descritto con precisione da alcuno dei modelli o delle tecniche allora esistenti in PNL. Fino a quel momento l’approccio tradizionale della PNL alla risoluzione dei problemi era stato orientato a (1) definire uno stato presente o “stato problematico”, (2) stabilire uno stato desiderato od obiettivo e poi (3) identificare e mettere in atto i passi necessari da compiere o la procedura che auspicabilmente avrebbe aiutato la persona a risolvere lo stato problematico e raggiungere lo stato desiderato. Dilts ed Epstein notarono la propria tendenza a suddividere ulteriormente questi elementi del problem solving durante il processo di raccolta delle informazioni. Nel definire gli “stati problematici”, ad esempio, si trovavano sempre a distinguere tra i “sintomi” che caratterizzavano il problema e le “cause” di quei sintomi. Per stabilire stati desiderati e obiettivi trovavano importante distinguere lo specifico “risultato” comportamentale che rappresentava lo stato desiderato e gli “effetti” a lungo termine (che spesso non erano al livello dei comportamenti). Dilts ed Epstein notarono inoltre che era importante separare le tecniche dalle “risorse” più profonde che esse cercano di mobilitare e attivare per raggiungere una soluzione capace di trasformare i problemi e raggiungere i risultati desiderati. L’acronimo “SCORE” rappresenta queste ulteriori distinzioni operate da Dilts ed Epstein: Sintomi, Cause, Obiettivi, Risorse,Effetti. Secondo il modello, questi elementi rappresentano la quantità minima di informazioni da mettere in campo per affrontare qualsiasi processo di cambiamento o guarigione.

tradizionale modello di problem solving “stato presente - stato desiderato” della PNL.

CONOSCERE LO SCORE

Per meglio comprendere le distinzioni del modello SCORE, considerate le seguenti domande: Cosa è un problema? Cosa fa di qualcosa un problema? Quali sono gli elementi importanti da definire riguardo a un problema per poterlo risolvere con successo? In primo luogo è importante rendersi conto che senza un obiettivonon potete avere neanche un problema. Se non volete una situazione diversa da quella che già avete, non avete problemi. E infatti spesso il processo di stabilire un obiettivo può creare un problema. Un “problema” è la differenza tra il vostro stato presente e il vostro stato desiderato, e le questioni da affrontare per raggiungerlo. Domande che fanno emergere gli obiettivi sono: Quale è, specificamente, il tuo obiettivo? Cosa desideri che ancora non hai? Cosa vorresti aumentare? Se potessi avere ciò che vuoi, cosa sarebbe? Nel processo di muovere verso uno stato desiderato, i sintomi si manifestano sotto forma di limitazioni, resistenze e interferenze che ostacolano il raggiungimento dell’obiettivo. I sintomi sono solitamente gli aspetti più ovvi di un problema. I sintomi fisici spesso emergono come dolore, debolezza, o rigidità del corpo. I sintomi psicologici si presentano sotto forma di conflitti interiori o emozioni contrastanti. Una tipologia di sintomi tipici in un’azienda è il calo dei profitti, della motivazione o della produttività. I sintomi si possono fare emergere ponendo domande come: Qual è il problema? Cosa non va o ti infastidisce? Cosa vuoi cambiare? Cosa ti impedisce di ottenere ciò che vuoi, o di essere come vuoi? Ovviamente l’efficace risoluzione dei problemi comporta di trovare e risolvere le cause profonde di un determinato sintomo o insieme di sintomi. Trattare solo i sintomi porta alla persona un sollievo puramente temporaneo. Le cause sono spesso meno ovvie, più ampie e di natura più sistemica degli specifici sintomi che si manifestano in un determinato momento. Il dolore fisico, ad esempio, può essere causato da fattori invisibili quali una mancanza di adeguata circolazione sanguigna, infezioni virali o lesioni interne. Le frizioni emotive possono essere una conseguenza di convinzioni limitanti (virus del pensiero), ricordi repressi o distorsioni di mappe mentali e rappresentazioni. Un calo nei profitti o nella produttività può dipendere da fattori legati alla competizione, all’organizzazione, alla leadership, a cambiamenti nel mercato, nelle tecnologie, nei canali di comunicazione, o altro. Ciò che identifichiamo come causa determinerà poi anche il luogo in cui andremo a cercare la soluzione. Aristotele sosteneva l’esistenza di quattro diversi tipi di cause: cause antecedenti (storiche), riguardanti una catena di eventi che affonda le proprie radici nel passato; cause limitanti, che sono una funzione delle limitazioni o delle opportunità che si manifestano nel contesto presente; cause finali, legate alle conseguenze future che si prevedono per obiettivi o azioni nel presente; cause formali, legate al modo in cui percepiamo, suddividiamo e filtriamo gli eventi presenti. Nel cercare le cause di un sintomo è importante esaminare queste diverse aree, per compiere una ricognizione completa. Un altro importante tipo di “causa” per un determinato sintomo riguarda le potenziali finalità o vantaggi secondari del sintomo. La “causa” di un sintomo emotivo come l’ira, ad esempio, potrebbe essere l’autodifesa e il porre dei confini che gli altri non possano o

debbano varcare. I sintomi fisici a volte producono “vantaggi secondari”, procurandoci attenzioni, o fungendo da buona “scusa” per qualcosa. La mancanza di motivazione può servire come modo per evitare possibili stress e fallimenti. È un’importante area di potenziali cause che spesso viene trascurata da chi si occupa della risoluzione di problemi. Riassumendo, le cause si possono esplorare e scoprire ponendo domande come: Da dove viene il sintomo? Cosa causa o crea il sintomo? Cosa stava succedendo subito prima o nel momento in cui il sintomo ha cominciato a presentarsi? Cosa mantiene in essere il sintomo? Cosa ti impedisce di cambiare il sintomo? Qual è l’intenzione positiva dietro al sintomo – che funzione può avere? Ci sono conseguenze positive che derivano o sono derivate dalla presenza del sintomo? Gli effetti desiderati del raggiungere un determinato obiettivo o risultato possono a loro volta essere fattori importanti nel definire un ambito problematico. Un risultato specifico è generalmente un passo verso effetti a più lungo raggio (quelli che in PNL sono talora definiti meta-obiettivi). È importante che la soluzione a un problema sia coerente con gli effetti desiderati a lungo termine; bisogna ossia considerare che è sempre possibile “vincere una battaglia ma perdere la guerra”. Domande che hanno a che vedere con gli effetti sono ad esempio: Cosa succederebbe se tu raggiungessi il tuo obiettivo? Cosa comporterà per te il suo conseguimento? Dopo aver raggiunto il tuo obiettivo, cosa farai o cosa succederà? Dunque un’area problematica è definita, nel suo complesso, dalla relazione tra l’obiettivo, il tipo di sintomi che ne ostacolano il raggiungimento, le cause di quei sintomi e gli effetti desiderati a lungo termine dell’aver realizzato l’obiettivo. Per trovare lerisorse che produrranno una soluzione efficace per un determinato sintomo è necessario conoscere le cause del sintomo, l’obiettivo e l’effetto che si desidera raggiungere in ultima analisi. A volte, le risorse necessarie per affrontare lo stato problematico sono diverse da quelle che servono a raggiungere l’obiettivo (ad esempio un’aspirina per “i dolori della febbre” e riposo a letto per “più energia e benessere”). Altre volte, invece, una singola risorsa sarà in grado di gestire con successo l’intero problema. È tuttavia utile esplorare risorse che (a) aiutino a gestire il sintomo e le sue cause, e (b) aiutino a raggiungere l’obiettivo e gli effetti desiderati. Identificare le risorse richiede di porre domande come: Qualecomportamento (oppure stato, abilità, convinzione, appoggio) hai a disposizione per raggiungere il tuo obiettivo (o per risolvere il tuo problema)? Sei mai stato in grado di raggiungere un obiettivo del genere (o di risolvere un problema simile) in precedenza? Cosa hai fatto in quell’occasione? Conosci qualcun altro che è stato capace di raggiungere un obiettivo del genere (o di risolvere un problema simile) in precedenza? Cosa ha fatto quella persona in quell’occasione? Se avessi già raggiunto il tuo obiettivo (o risolto il tuo problema) e ti stessi guardando indietro, cosa vedresti di aver fatto per riuscirci? Quali altre opzioni hai a disposizione per mantenere l’intento o le conseguenze positive del problema e al tempo stesso raggiungere lo stato desiderato? Le tecniche sono strutture sequenziali per identificare, raggiungere e applicare risorse specifiche per un dato insieme di sintomi, cause o obiettivi. Una tecnica non è di per sé una risorsa; essa è efficace solo nella misura in cui accede alle risorse adatte e le applica per gestire il sistema definito dagli altri elementi del modello SCORE.

A seconda di quanto specifica o generale sia una situazione problematica, specifiche tecniche e risorse potrebbero produrre risultati immediati oppure fungere solo da passaggi intermedi sul percorso per raggiungere un risultato. Alcune soluzioni possono richiedere una serie di risorse diverse applicate nell’arco di mesi o di anni. La definizione di sintomi, obiettivi, cause e potenziali effetti a lungo termine è un processo costantemente in atto. Riassumendo, secondo il modello SCORE un’efficace risoluzione dei problemi richiede la definizione dell’“area problematica” e di potenziali “aree di soluzione” stabilendo la relazione tra i seguenti elementi:

1. Sintomi – solitamente gli aspetti più consci e facili da notare della presenza di un problema o di uno stato problematico.

2. Cause – gli elementi alla base dell’insorgere e del persistere dei sintomi. Sono solitamente meno ovvie dei sintomi che producono.

3. Obiettivi – gli specifici stati o comportamenti che dovranno prendere il posto dei sintomi.

4. Risorse – gli elementi (abilità, strumenti, convinzioni) fondamentali per rimuovere le cause dei sintomi e per giungere a mantenere in essere gli obiettivi desiderati. Le tecniche, quali ad esempio la Ristrutturazione in sei fasi, il Cambio di storia personale, l’ancoraggio e così via sono strutture finalizzate all’applicazione di specifiche risorse.

5. Effetti – i risultati a lungo termine del raggiungimento di uno specifico obiettivo. I singoli obiettivi sono generalmente solo passi per arrivare a effetti a lungo termine.

a. Gli effetti positivi sono spesso la ragione o la motivazione per l’originario instaurarsi di un determinato obiettivo. b. Gli effetti negativi possono creare resistenze o problemi ecologici.

DOMANDE SCORE DI BASE

Alcune delle domande di base impiegate per definire gli elementi SCORE relativi a un determinato problema sono le seguenti:

1. Qual è il sintomo in questo problema?

2. Qual è la causa del sintomo in questo problema?

3. Qual è l’obiettivo o il risultato desiderato?

4. Quali sarebbero gli effetti a lungo termine del raggiungimento dell’obiettivo?

5. Quale risorsa potrebbe aiutare ad affrontare la causa?

6. Quale risorsa potrebbe aiutare a raggiungere l’obiettivo?

APPLICARE IL MODELLO SCORE

Un modo efficace di concettualizzare e impiegare le distinzioni del modello SCORE consiste nel disporle lungo una time-line. Di solito i sintomi sono qualcosa di cui si fa esperienza ora, nel presente, o di cui si è fatta esperienza nel passato recente. Le cause di questi sintomi tendono a precederli. La causa del sintomo viene prima del sintomo stesso: talvolta lo precede di poco, altre volte essa va ricercata nel passato più remoto. Gli obiettivi appartengono alla stessa cornice temporale dei sintomi, dato che sono ciò con cui li vogliamo sostituire. Quindi, se il sintomo è nel presente, anche l’obiettivo sarà nel presente o nel futuro prossimo. Gli effetti sono invece i risultati che si manifesteranno soltanto dopo aver raggiunto l’obiettivo e possono riguardare anche il futuro a lungo termine. Le risorse possono venire da qualsiasi momento nel tempo. Una risorsa può essere qualcosa che vi è appena successo, qualcosa che vi è successo molto tempo fa, oppure qualcosa che immaginate potrebbe accadervi in futuro. Nella risoluzione creativa dei problemi la maggior parte delle risorse derivano dal chiedersi “e se?” e dall’agire “come se”.

Disporre le distinzioni del modello SCORE su una time-line

Gli effetti sono i macro obiettivi che danno forma a specifici obiettivi. Non sempre sapremo quale sarà, o quale potrebbe o dovrebbe essere l’effetto di un obiettivo. Per poterne esplorare gli effetti, talvolta bisogna prima applicare una risorsa e raggiungere un obiettivo 2.

I META-PROGRAMMI

I Meta-programmi sono emersi alla fine degli anni Settanta e sono uno degli sviluppi chiave associati alla seconda generazione di PNL. Molte di queste distinzioni sono state inizialmente proposte da Richard Bandler come modi in cui le persone mantengono la “coerenza” della propria programmazione mentale (come il raggio di riferimento in un ologramma ottico). Ulteriori ricerche su questi e altri modelli sono state condotte nel tempo da Leslie Cameron-Bandler (con David Gordon, Robert Dilts e Maribeth Meyers-Anderson). Come implica il nome stesso, iMeta-programmi sono programmi che agiscono su altri programmi. Sono i programmi che guidano e dirigono gli altri processi di pensiero. Nello specifico, definiscono schemi comuni o tipici nelle strategie o negli stili di pensiero di un determinato individuo, gruppo, o cultura. Tanto i Meta-programmi quanto buona parte dell’attuale tecnologia della PNL sulle submodalità derivano dal tentativo di comprendere meglio il funzionamento delle strategie cognitive. In particolare, sono sviluppi nati allo scopo di spiegare come persone

con la stessa struttura cognitiva nelle proprie strategie potessero ricavarne risultati estremamente diversi. Ad esempio, due persone potrebbero avere in comune una strategia decisionale Vc Ki (trarre delle sensazioni da immagini create mentalmente per prendere una decisione). Una delle due potrebbe però riferire “immagino diverse opzioni, e scelgo quella che mi dà la sensazione giusta”, mentre l’altra potrebbe lamentare “immagino diverse opzioni, e mi sento travolto e confuso dalla cosa”. L’idea dei Meta-programmi è emersa dal tentativo di scoprire cosa facesse la differenza in casi del genere. Visto che la generale struttura rappresentazionale delle strategie era essenzialmente la stessa, si ipotizzò che le differenze derivassero da qualcosa che accadeva al di fuori, a livello “meta” rispetto alla strategia o al programma interiore: ergo dei “Meta-programmi”. I Meta-programmi, così come gli schemi delle submodalità, determinano la qualità e il tipo delle relazioni che intercorrono tra le esperienze e le informazioni che vengono rappresentate in una determinata strategia cognitiva. Trattano caratteristiche che riguardano la sostanza esperienziale di una determinata immagine, di una serie di parole o di uno stato di sensazioni. Influenzano il modo in cui le esperienze sono rappresentate, categorizzate e separate. Determinano anche dove poniamo la nostra attenzione, operando come un’ulteriore serie di filtri sulla nostra esperienza. I Meta-programmi (a differenza delle submodalità) sono più astratti delle nostre specifiche strategie di pensiero, e definiscono il nostro generale approccio a una determinata questione piuttosto che i dettagli del processo di ragionamento. I Meta-programmi descrivono diversi approcci nel trattare uno “spazio problematico” o alcuni elementi di quello spazio. Come nel caso delle altre distinzioni della PNL, una persona può applicare i medesimi Meta-programmi indipendentemente dal contenuto e dal contesto di una situazione. Non si tratta comunque di distinzioni assolute, che vengono applicate identicamente ad ogni circostanza, ma di programmi che possono sovrapporsi in parte e coesistere in diversa misura e proporzione.

PANORAMICA DEI META-PROGRAMMI

Iniziamo dal Meta-programma direzione. Nell’avvicinarsi a un problema o a un obiettivo, è possibile porre maggiore enfasi sul muovere verso qualcosa di positivo, via da qualcosa di negativo, o su una combinazione delle due cose. Un approccio orientato alle cose positive significa cercare di realizzare le visioni, gli obiettivi e i sogni che si desiderano, e tende a stimolare un atteggiamento intraprendente e proattivo. Un approccio orientato a evitare le cose negative significa cercare di tenersi alla larga da potenziali errori e problemi, e si accompagna a un approccio più cauto, conservativo e reattivo alla pianificazione, alla presa di decisioni e alla risoluzione dei problemi. Le persone che si muovono esclusivamente “verso”, tuttavia, potrebbero prendere decisioni che si rivelano ingenue e potenzialmente rischiose. Quelle che si muovono solo “via da” possono sembrare troppo pessimiste o paranoiche. Di solito le decisioni e i piani di qualità sono il frutto di una combinazione dei due stili. Il Meta-programma suddivisione dell’informazione riguarda il livello di specificità o generalità a cui una persona o un gruppo analizza un problema o un’area problematica. Si possono analizzare le situazioni con vari gradi di dettaglio (micro-porzioni di

informazione) e di generalità (macro-porzioni di informazione). Ancora una volta, un’eccessiva attenzione ai dettagli porta le persone a perdere di vista il “quadro generale”. Allo stesso modo, un’enfasi eccessiva sulle generalità può compromettere e indebolire la capacità di passare all’azione, poiché i singoli passi da compiere non sono individuabili. Gli obiettivi o le situazioni problematiche si possono esaminare facendo riferimento a diverse cornici temporali, ossia conseguenze a lungo, medio e breve termine. La cornice temporale entro la quale si considera un problema o un obiettivo può influenzare considerevolmente il modo in cui esso viene interpretato e affrontato. Porre eccessiva enfasi sul successo abreve termine, ad esempio, può portare a problemi ecologici alungo termine (ossia si può finire per “vincere la battaglia ma perdere la guerra”). D’altro canto, la cecità rispetto ai bisogni e ai problemi a breve e medio termine mette a repentaglio il raggiungimento di obiettivi a lungo termine. Gli obiettivi e i problemi possono anche essere definiti in relazione a passato, presente e futuro. A volte si cerca di ripetere successi o evitare problemi che si sono verificati recentemente e sono freschi nella memoria. Altre volte, invece, si cerca di raggiungere obiettivi o evitare problemi in un futuro più distante. Alcuni tendono a guardarsi indietro per trovare soluzioni, invece che farlo cercando avanti nel futuro. Un buon esempio è la differenza tra il leader sovietico Mikhail Gorbaciov e quelli che hanno cercato di deporlo prima dello scioglimento dell’Unione Sovietica nei primi anni Novanta: lui cercava di preparare il futuro, mentre gli altri cercavano di preservare il passato. Il cosiddetto luogo del controllo è un altro Meta-programma importante. Il riferimento interno è un’espressione usata in PNL per descrivere il processo tramite il quale una persona impiega le proprie sensazioni, le proprie rappresentazioni e i propri criteri interiori come principale fonte per determinare le proprie azioni e per valutarne il successo. Al polo opposto troviamo ilriferimento esterno, in cui il luogo del controllo e le prove del successo riguardo a una determinata azione o decisione risiedonoal di fuori dell’individuo. Scegliere un lavoro sulla base di un riferimento interno, ad esempio, richiederebbe di determinare i propri bisogni e desideri, selezionando una posizione lavorativa a seconda di quanto essa soddisfi quei bisogni e interessi. Optare per un lavoro sulla base di un riferimento esterno richiederebbe una scelta basata sul desiderio di compiacere un’altra persona, o sulla disponibilità di posti. Quindi, fare “ciò che si vuole” è soprattutto basato su riferimento interno; fare “quello che si dovrebbe” fare si basa invece soprattutto su riferimento esterno. Agire con successo richiede ancora una volta una combinazione delle due cose. Il successo nel raggiungere un obiettivo, o nell’evitare un problema, può essere valutato cercando le somiglianze o ledifferenze tra lo stato presente e quello desiderato. Cercare le somiglianze porta l’attenzione su ciò che si è già raggiunto, mentre cercare le differenze pone l’enfasi su ciò che invece ancora manca. L’attenzione alle somiglianze tende a sostenere la percezione di unità e di consenso, mentre quella alle differenze può incoraggiare la diversità e l’innovazione. Troppa attenzione alle somiglianze può tuttavia far apparire una persona poco sincera e facilmente influenzabile dalle opinioni altrui, mentre troppa attenzione alle differenze ci identifica come ipercritici e bastian contrari. I problemi e gli obiettivi possono essere considerati in relazione allo svolgimento di un compito oppure a questioni che riguardanorelazioni, quali “potere” e “affiliazione”.

Porre l’enfasi su compiti o relazioni può essere un’importante distinzione per comprendere le differenze culturali e di genere. Gli uomini, ad esempio, sono spesso considerati più orientati ai compiti, mentre le donne sono spesso viste come più attente alle relazioni. La questione dell’equilibrio tra compiti e relazioni è spesso un aspetto chiave per lavorare su gruppi o team. Nello svolgimento di un compito è possibile porre l’enfasi sugli obiettivi, le procedure o le opzioni a disposizione (già questo può di per sé portare a differenze significative nell’approccio alla risoluzione dei problemi o alla pianificazione; una strategia orientata alle procedure si concentrerà sul “fare le cose come da manuale”, ad esempio, mentre un approccio orientato alle opzioni porrebbe l’accento sul trovare il massimo numero di alternative possibili). Alle questioni che riguardano le relazioni ci si può avvicinare con un’enfasi sul punto di vista proprio, degli altri, o del sistema più ampio (l’azienda, il mercato e così via) con diverse gradazioni. Le strategie per affrontare i problemi possono porre l’accento su diverse combinazioni di vision, azione, logica o emozione. Una particolare attenzione a una di queste strategie cognitive può produrre un generale stile di pensiero a livello del gruppo o della cultura. Vision, azione, logica ed emozioni sono espressioni più generali degli elementi di una determinata strategia cognitiva: ossia visualizzazione, movimento, verbalizzazione e sensazioni. Lo stile di pensiero è simile al concetto della PNL di sistema rappresentazionale “primario” o “preferenziale”.

I META-PROGRAMMI CHIAVE

1. Approccio ai problemi a. Verso b. Via da

2. Cornice temporale a. Breve termine – Lungo termine b. Passato – Presente – Futuro

3. Livello di attenzione al dettaglio a. Attenzione alle generalità – Macro-informazioni b. Attenzione ai dettagli – Micro-informazioni

4. Luogo del controllo a. Riferimento “interno”, autoreferenzialità – Proattivo b. Riferimento “esterno”, eteroreferenzialità – Reattivo

5. Modalità di confronto a. Attenzione alle somiglianze, agli elementi comuni – Consenso b. Attenzione alle differenze, agli elementi mancanti – Divergenza

6. Approccio alla risoluzione dei problemi a. Compito (portare a termine con successo) 1) Scelte – Obiettivi 2) Procedure – Operazioni

b. Relazioni (potere; affiliazione) 1) Sé – Mio, io, me 2) Altri – Tu, lui, loro 3) Contesto – Noi, l’azienda, il mercato

7. Stile di pensiero a. Vision b. Azione c. Logica d. Emozione

La gerarchia dei criteri e i livelli logici di una persona possono a loro volta essere considerati un aspetto dei Meta-programmi. Unagerarchia dei criteri è essenzialmente l’ordine di priorità che una persona applica a un obiettivo o a un problema. Le gerarchie dei criteri hanno a che vedere con il grado di importanza o con il significato che le persone attribuiscono a varie azioni ed esperienze. I criteri sono essenzialmente valori che forniscono i motivi per agire, quali: realizzazione, potere, sopravvivenza, efficienza, consenso, profit-to, crescita, condivisione, produttività, appartenenza, qualità, ecologia. Criteri come questi possono determinare e rivelare molto riguardo ad altri Meta-programmi. Una persona che ha la voce “efficienza” in cima alla propria gerarchia dei criteri, ad esempio, è molto più probabilmente orientata ai compiti da svolgere rispetto a una persona che dà il massimo valore alla “condivisione”. Allo stesso modo, una persona che si concentra sul “potere” è più probabilmente proattiva e dotata di un riferimento interno rispetto a una persona che pone l’enfasi sul “consenso”, e via dicendo. Il livello logico dominante dà un’indicazione in merito a dove una persona o un gruppo tenda a rivolgere la propria attenzione quando risolve problemi o pianifica il percorso verso uno stato desiderato. L’enfasi può essere posta: sull’ambiente – Dove,Quando; sui comportamenti – Cosa; sulle capacità – Come; su convinzioni e valori – Perché; sull’identità – Chi; o sul sistema –Chi altro e Per chi. Il livello logico dominante determina l’ambito e la portata dell’attività degli altri Meta-programmi. Evitare qualcosa nell’ambiente è diverso dal cercare di evitare di essere qualcosa a livello identitario. Cercare le differenze nei comportamenti è diverso dal cercare le differenze in convinzioni e valori, e via dicendo. È anche possibile evitare, cercare le differenze e avere riferimento interno a un livello, ma andare verso, cercare gli elementi comuni ed essere eteroreferenziali a un altro livello. Spesso tenere conto della priorità che hanno i diversi livelli logici aiuta a risolvere apparenti discrepanze o paradossi nell’identificazione dell’orientamento all’interno di ciascun Meta-programma (si può ad esempio essere “via da” a un livello, e “verso” a un altro).

LE COMBINAZIONI DI META-PROGRAMMI E I PROCESSI DI GRUPPO

Diversi approcci e stili nella risoluzione dei problemi sono caratterizzati da diversi “insiemi” e sequenze di Meta-programmi combinati tra loro in diversa proporzione. Una determinata persona potrebbe affrontare la risoluzione dei problemi concentrandosi

all’ottanta per cento sulle relazioni e al venti per cento sui compiti; inoltre potrebbe prestare attenzione per un settanta per cento alle conseguenze a lungo termine e per il restante trenta per cento alle conseguenze a breve. Un’altra persona, invece, potrebbe porre l’enfasi al novanta per cento sui compiti da svolgere, e pensare per lo più in termini di conseguenze a breve termine. Combinazioni diverse riguardano chiaramente diverse aree di uno spazio problematico. In questo senso non ci sono Meta-programmi giusti o sbagliati. Piuttosto, la loro efficacia nella risoluzione dei problemi dipende dalla capacità di applicarli per coprire lo spazio necessario a gestire adeguatamente un problema o a raggiungere un obiettivo. Le diverse fasi della strategia di imagineering di Disney (Sognatore, Realista e Critico), ad esempio, possono essere caratterizzate ciascuna da una diversa combinazione di Meta-programmi e dei loro orientamenti:

Orientamenti diversi per i diversi Meta-programmi si combinano per formare diversi stili di pensiero.

Diversi tipi di attività richiedono diversi tipi di attitudini e di approcci. Alcune attività richiedono o enfatizzano la capacità di concentrarsi sulle microinformazioni o sui dettagli, altre richiedono di vedere il quadro generale. Diverse fasi nei cicli di pianificazione o nella risoluzione dei problemi all’interno di un gruppo o di un team possono richiedere diversi stili di pensiero. Dunque, determinate combinazioni di Meta-programmi o dei loro orientamenti possono essere più o meno utili in diverse fasi dei processi di un gruppo. Una maggiore enfasi sui risultati anziché sulle procedure può essere tanto un aiuto quanto una limitazione per il funzionamento di un gruppo, a seconda del momento. In alcune fasi può rendersi necessario raggiungere un ampio consenso, mentre in altre è importante incoraggiare punti di vista diversi. Diversi stili di pensiero e approcci avranno diverso valore per diversi tipi di compiti. Nel brainstorming, ad esempio, può essere utile dirigere i pensieri sul quadro generale e su una cornice temporale a lungo termine. Per sviluppare piani e procedure può essere invece più efficace concentrarsi sulle azioni a breve termine. Per i compiti analitici può essere più appropriato considerare i dettagli e le microinformazioni che riguardano il compito. In questa prospettiva, gestire il processo di un gruppo significa essenzialmente attuare ricalco e guida dei diversi Meta-programmi dei membri del gruppo per creare gli “anelli mancanti” e ampliare la percezione del problema o dell’ambito della soluzione.

IDENTIFICARE I META-PROGRAMMI

I Meta-programmi possono essere identificati sulla base di segnali linguistici quali parole chiave e particolari frasi. Considerate, ad esempio, la seguente situazione. Mentre segue una lezione su un determinato argomento, uno studente si lamenta e dice: “Non ho alcuna intenzione di ammazzarmi di fatica per studiare questa roba, tanto sarà presto obsoleta e non voglio sprecare il mio tempo.” Un commento di questo tipo rivela molto sui Meta-programmi operanti nello studente. La sua affermazione indica, ad esempio, che è orientato verso le “sensazioni”, e si concentra sull’evitare ciò che percepisce come negativo (ammazzarsi di fatica e sprecare il suo tempo). L’esprimersi in prima persona, il parlare del “mio” tempo indicano anche una forte tendenza alla referenza interna. Il commento dello studente implica anche un’enfasi sul futuro a breve termine (“sarà presto obsoleto”) e sugli aspetti generali piuttosto che sui dettagli (lo studente parla di “questa roba” invece di fare riferimento agli specifici dettagli della materia). Si possono far emergere i Meta-programmi tramite domande e istruzioni cognitive; essi sono spesso determinati sulla base di autovalutazione tramite domande a risposta multipla che estraggono le preferenze di una persona riguardo a un determinato contesto o situazione. Uno dei modi più semplici e profondi per trovare schemi cognitivi e segnali comportamentali rilevanti è l’impiego della cosiddetta “analisi contrastiva”. L’analisi contrastiva si riferisce al processo di comparazione di diversi stati, rappresentazioni, mappe, prestazioni e descrizioni, al fine di scoprire le “differenze che fanno la differenza”. Da questo lavoro di confronto, una persona può ottenere informazioni che le permettano di meglio comprendere la struttura della sua esperienza. Ad esempio, se una persona sa di essere creativa in un contesto e priva di creatività in un altro, queste due esperienze possono essere messe a confronto in modo analitico per individuare le differenze rilevanti. La persona potrebbe notare come differiscano le sensazioni, il linguaggio del corpo, il livello di attenzione, le convinzioni e i valori, le strategie di pensiero e i segnali ambientali. Acquisendo conoscenza di questi segnali e di queste aree di differenza si possono applicare strategie di apprendimento per cambiare parti dell’esperienza. L’analisi contrastiva è alla base della maggior parte dei processi di “utilizzazione” della PNL.

MODELLARE LE COMBINAZIONI DI META-PROGRAMMI

Uno dei vantaggi del fare emergere e dell’individuare i Meta-programmi è che la cosa permette di percepire l’influenza che essi esercitano su una determinata comunicazione o interazione. Come nel caso delle altre capacità cognitive, le persone preferiranno certi Meta-programmi a certi altri, a seconda delle situazioni e, come con tutti gli altri schemi, una preferenza può comportare vantaggi e svantaggi. A volte i Meta-programmi sono trattati come se fossero una “teoria della personalità” della PNL. Il fatto è, però, che sono distinzioni riguardanti schemi e tendenze nell’impiego di strategie cognitive, e non aspetti rigidi o immutabili dell’identità. Studiare il modo in cui si combinano tra loro può essere uno strumento potente, atto a comprendere e descrivere differenze individuali e culturali senza emettere giudizi. Sono inoltre utili per costruire modelli degli stili di pensiero o delle culture. Lo scopo dei

Meta-programmi è quello di descrivere una tendenza generale in un particolare contesto. Queste tendenze, tuttavia, sono sempre flessibili e in costante evoluzione. La scelta dell’orientamento per uno specifico Meta-programma è spesso basata sul contesto e può cambiare a seconda della situazione. Come le altre distinzioni della PNL, anche i Meta-programmi possono essere trasferiti o “traslati” da una situazione all’altra per produrre un cambiamento o un miglioramento. L’esercizio che segue riguarda l’impiego di una semplice analisi contrastiva per identificare i Meta-programmi associati a uno stato potenziante o a una situazione in cui disponiamo di adeguate risorse e utilizzarli per affrontare una situazione che presenta delle difficoltà.

1. Identificate una situazione che comporti il prendere delle decisioni, risolvere dei problemi o trovare motivazione, la cui gestione efficace vi appaia difficile. Identificate un’altra situazione difficile, simile alla prima, ma in cui avete saputo attingere alle risorse adeguate e che avete risolto con successo.

2. Determinate due spazi fisici per le due situazioni e un terzo spazio per una meta-posizione.

3. Associatevi dapprima alla situazione difficile, entrando fisicamente nello spazio che le avete assegnato, per farvi un’idea chiara del modo in cui ne fate esperienza dentro di voi. Associatevi quindi alla situazione che avete risolto con successo, per cogliere a livello esperienziale le differenze tra questa e la prima.

4. Portatevi ora in meta-posizione, e confrontate i Meta-programmi che stanno operando in ciascuna delle situazioni. In che modo gli orientamenti dei Meta-programmi che state usando nella situazione che avete risolto con successo sono diversi da quelli che operano nella situazione problematica?

5. Mettetevi nella posizione della situazione in cui avete saputo attingere alle risorse adeguate e concentratevi sui più importanti Meta-programmi che state usando in quell’esperienza. Create un’ancora in maniera tale da poter sentire e ricordare facilmente come ci si senta ad agire a partire da quella combinazione di Meta-programmi.

6. Ora mettetevi nello spazio della situazione difficile e usate la vostra ancora per trasferire qui i Meta-programmi associati all’esperienza che avete risolto con successo. Notate come la vostra esperienza della situazione difficile cambi e ne venga arricchita.

L’orientamento dei Meta-programmi può essere trasferito da una situazione all’altra per aiutare a mantenere l’equilibrio delle cose.

LA TEORIA DI CAMPO UNIFICATO PER LA PNL: UNA PANORAMICA DI TRENT’ANNI DI SVILUPPO

Quale modo migliore per sintetizzare i maggiori contributi apportati dai pionieri della PNL, soprattutto nell’ambito della comprensione della mente cognitiva, se non quello di parlare di ciò che chiamiamo “teoria di campo unificato” per la PNL. Albert Einstein cercò una “teoria del campo unificato” che fosse in grado di raccogliere e combinare tutte le teorie della fisica in un singolo modello di come opera l’universo. Einstein era convinto che fosse possibile stabilire una cornice di referenza fondamentale e identificare i principi di base in grado di unire molti diversi modelli e teorie della fisica. Analogamente, in psicologia esiste una moltitudine di teorie, ciascuna delle quali fornisce diverse prospettive e tecniche che possono essere estremamente efficaci e utili, ma che devono ancora essere raccolte in una singola struttura coerente e unificata. Come implica il nome, la Programmazione Neuro-Linguistica stessa è iniziata come una sorta di teoria del campo unificato – una cornice operativa che operasse una sintesi tra i campi della neurologia, della linguistica e dell’intelligenza artificiale. Con la PNL, John Grinder e Richard Bandler portarono insieme questi campi per formare un “meta-modello”, cioè un modello che chiarisse il processo di modellamento. La mission della PNL era quella di trovare gli schemi neuro-linguistici che si rivelavano efficaci nei più

disparati campi dell’attività umana. Prima che esistessero distinzioni di PNL quali i sistemi rappresentazionali, i segnali di accesso o le submodalità (e sicuramente ben prima che esistessero tecniche di PNL), il campo della PNL esisteva come un serie di presupposizioni di base riguardo alla struttura dell’esperienza soggettiva e alle sue implicazioni sulle interazioni umane. Queste presupposizioni definivano la filosofia e l’epistemologia della PNL. Le tecniche e le distinzioni della PNL sono emerse come espressioni e manifestazioni di questi principi fondamentali. Non a caso le persone inizialmente prese a modello e da cui molte di queste espressioni e manifestazioni sono state derivate erano i fondatori del movimento sistemico nel campo della psicologia e della terapia: Gregory Bateson, Virginia Satir e Milton Erickson. A mano a mano che i principi di base della PNL venivano sviluppati in applicazioni specifiche e i concetti unitari frazionati per facilitarne la trasmissione, l’insegnamento della PNL si è mosso dal modello sistemico verso un approccio lineare che operava prevalentemente a livello delle capacità. Anche se ciò ha contribuito alla rapida diffusione delle abilità e delle tecniche, una buona parte dell’ecologia e della “saggezza” del quadro generale è stata messa in secondo piano. Attualmente, molte delle persone che si avvicinano alla PNL faticano a cogliere come tutte le numerose tecniche e gli strumenti che hanno acquisito facciano parte di un sistema coerente. Verso la metà degli anni Ottanta, Robert Dilts cominciò a sviluppare un campo unificato per la PNL, che ha poi continuato a espandere. Da un certo punto di vista, questa teoria di campo unificato raccoglie tutte le tecniche della PNL in un unico sistema coerente. Su un altro piano, la teoria riguarda la relazione tra la PNL e altri sistemi. Ad esempio, come l’utilizzo della PNL nella formazione abbia a che vedere con il modo in cui è utilizzata per la gestione delle organizzazioni, o con il processo di scoperta scientifica, con la programmazione dei computer o con la terapia.

IL MODELLO SOAR

Così come il modello della grammatica trasformazionale di Chomsky è stato la cornice di referenza per i modelli e le tecniche originarie della PNL, il modello SOAR è la cornice di referenza alla base della teoria del campo unificato della PNL. Il modello SOAR è un modello di programmazione delle intelligenze artificiali impiegato per la generale risoluzione di problemi. SOAR, che sta per State-Operator-And-Result (Stato, Operatore e Risultato), definisce i processi di base per orientarsi in un percorso dallo stato presente allo stato desiderato. L’applicazione di un operatore cambia lo stato presente in una direzione che avvicina oppure allontana dallo stato desiderato. Il risultato dell’applicazione degli operatori è immagazzinato sotto forma di regole “condizione-azione” (quelle che potremmo anche chiamare processi TOTE) che sono composte da (a) verifiche concrete per identificare gli stati chiave, e (b) operazioni con le quali cambiare quegli stati nella direzione desiderata. Il modello SOAR è stato sviluppato da Allen Newell, Herbert Simon e Clifford Shaw negli anni Cinquanta. È stato usato per creare i programmi di scacchi per computer e per insegnare alle macchine come diventare esperti giocatori imparando dalle proprie esperienze e ricordando le precedenti risoluzioni di problemi. Questi programmi sono

ancora oggi tra le applicazioni più riuscite dell’intelligenza artificiale. Come riporta Waldrop nel suo libro Toward a Unifying Theory of Cognition: Stando al modello, tutta l’attività mentale che viene devoluta a un determinato compito ha luogo all’interno di un’arena cognitiva che chiamiamo lo spazio problematico. Uno spazio problematico a sua volta consiste di una serie di stati che descrivono la situazione in un determinato momento, e di una serie di operatori che descrivono come chi risolve il problema possa cambiare la situazione da uno stato ad un altro. Negli scacchi, ad esempio, lo spazio problematico [e l’insieme di parametri che lo definiscono] sarebbe “una partita di scacchi” [che comprende i due giocatori, la scacchiera eccetera], uno stato sarebbe una specifica configurazione dei pezzi sulla scacchiera e un operatore sarebbe una mossa ammessa dalle regole, come ad esempio “cavallo in e4”. Il compito di chi risolve il problema è quello di cercare la sequenza di operatori capaci di portare da un dato stato iniziale (diciamo, con i pezzi allineati nella posizione iniziale della partita) a un determinato stato di soluzione (il re dell’avversario è in scacco matto).

Stati all’interno di uno spazio problematico

Una volta che questi parametri sono stati definiti, chi risolve i problemi deve formulare una strategia guida per trovare la sequenza di operatori capace di portare dallo stato di partenza allo stato desiderato. Tutto questo avviene tramite una serie di regole condizione-azione in ordine di priorità ed espresse in forma di “SE percepisci un certo stato, ALLORA applica una determinata sequenza di operatori”.

Se si arriva a un momento di stallo, entrano in azione obiettivi e operazioni secondarie (ad esempio TOTE secondari), che vengono poi ricordati come nuove regole condizione-azione. Seguendo questa direttrice, le strategie di problem solving vanno perfezionandosi passando da un livello base (Trial-and-Error, o per tentativi successivi) a un livello intermedio (Hill-Climbing, algoritmo che cerca la migliore soluzione applicando piccole variazioni e accettando di volta in volta quelle che producono un miglioramento), fino a raggiungere le competenze di un esperto (con l’analisi dei mezzi e delle finalità).

COMBINARE LA PNL E IL MODELLO SOAR

Combinando il modello SOAR con le distinzioni della PNL possiamo cominciare a costruire un modello pratico ed efficace del comportamento umano, capace di fornire una cornice di referenza unificante per tutte le altre tecniche e procedure di PNL. Dal punto di vista della next generation, il generale “spazio problematico” dell’esperienza e dell’interazione umana può essere definito secondo tre dimensioni chiave: 1. Percezione del tempo 2. Posizioni percettive 3. Livelli di cambiamento e interazione

Le due dimensioni delle time-line e delle posizioni percettive possono essere disposte su una griglia bidimensionale, con passato, presente e futuro che si estendono in una direzione, e prima, seconda e terza posizione in un’altra. Questo crea una sorta di scacchiera della vita su cui possiamo mappare le nostre esperienze.

La percezione del tempo e le posizioni percettive possono essere organizzate su una griglia che crea una sorta di scacchiera della vita sulla quale possiamo mappare le nostre esperienze.

Queste tre dimensioni di “stato” di (1) cornice temporale, (2) posizione percettiva e (3) livello di cambiamento e interazione possono essere rappresentate come una griglia tridimensionale, uno spazio di lavoro illustrato dal diagramma nella pagina seguente, all’interno del quale praticamente qualsiasi intervento di PNL può essere visto e considerato.

In PNL questo spazio operativo viene talora assimilato a una di quelle strutture tridimensionali installate nei parchi giochi per fare arrampicare i bambini. È come se ci si potesse muovere o arrampicarsi su diverse piattaforme che rappresentano diverse cornici temporali, posizioni percettive e livelli di esperienza. Un’altra buona analogia per questa struttura sarebbe quella di un condominio. Ciascun piano rappresenta un livello logico: l’ambiente è il piano terra, i comportamenti il primo piano, poi le capacità, le convinzioni e i valori, e l’identità come attico. A ogni piano ci sono tre appartamenti (passato, presente, futuro) con tre stanze ciascuno (prima, seconda e terza posizione). In questa rappresentazione, il livello spirituale sarebbe sopra al tetto dell’edifi-cio, dominandolo tutto, e con esso l’intera città.

La griglia tridimensionale: uno spazio di lavoro concettuale per gli “stati” e gli interventi di PNL basato sul modello SOAR.

Per muoverci in questo condominio dobbiamo avere le chiavi dei vari appartamenti e sapere quali sono le entrate delle varie stanze. Dobbiamo anche sapere dove andare per prendere l’ascensore e spostarci da un piano all’altro. Una volta che abbiamo queste conoscenze possiamo cominciare a spostare specifiche risorse da una parte all’altra

dell’e-dificio. In certi casi possiamo anche trovarci a dover sgombrare alcune delle stanze, o a riarredarle e così via.

OPERATORI NEURO-LINGUISTICI PER CAMBIARE GLI STATI

Secondo il modello SOAR, gli operatori sono processi che producono effettivi cambiamenti. Sono il punto di trazione nel processo messo in atto per raggiungere uno stato desiderato. Usando gli scacchi come metafora, gli operatori sono le mosse consentite per i vari pezzi. Sono questi operatori a determinare e a cambiare lo stato dei pezzi dei due avversari sulla scacchiera. In PNL i processi “neuro-linguistici” riguardanti strategie cognitive, fisiologia e schemi linguistici sono gli operatorifondamentali tramite i quali cambiamo i nostri stati mentali e comportamentali. Per essere efficaci, tutti i piani e le tecniche devono prendere una forma definitiva come segnali o schemi specifici e osservabili di natura cognitiva, verbale o fisica. Rappresentazioni quali “obiettivi”, “livello di cambiamento”, “posizione percettiva” e “tempo” sono concetti e astrazioni cognitive creati dalla nostra mente. Gli esseri umani non hanno fisicamente la possibilità di percepire o cambiare “il sé”, “gli altri”, “il tempo” e così via. Percepiamo e agiamo invece su queste cose tramite operatori “in tempo reale” nel nostro sistema nervoso – i nostri sensi, il linguaggio e il nostro comportamento fisico. Il nome stesso della “Programmazione Neuro-Linguistica” implica questi tre fondamentali operatori per il cambiamento: Programmazione – Segnali e risposte fisiologiche Neuro – Rappresentazioni sensoriali specifiche (e submodalità) Linguistica – Schemi linguistici

Le persone operano in tempo reale per cambiare gli stati percepiti usando i propri sensi, il linguaggio e i comportamenti fisici. Questi sono gli unici processi che siamo in grado di osservare e influenzare direttamente. In ultima analisi, sono queste abilità cognitive, linguistiche e comportamentali a separare i comportamenti efficaci da quelli inefficaci e a determinare gli stati in cui ci troviamo. Per attuare le varie fasi di un determinato processo di cambiamento, le persone devono apportare specifiche alterazioni alla propria esperienza cognitiva e al proprio comportamento fisico. Ad esempio, per portarsi da uno stato problematico a uno stato più ricco di risorse, una persona potrebbe “operare” formando immagini mentali di se stessa in un momento in cui si è sentita centrata e flessibile. La persona potrebbe poi etichettare verbalmente questo stato desiderato come “sicurezza di sé” e cambiare fisicamente la propria postura per renderla il più simile possibile a quella dell’immagine mentale. Queste “micro” operazioni stimoleranno a loro volta cambiamenti neurologici che altereranno lo stato della persona in una certa misura. Specifici processi neuro-linguistici come questi sono definiti e presupposti dalle fasi di qualsiasi tecnica psicologica efficace.

Specifici processi cognitivi, schemi linguistici e segnali fisici sono gli operatori neuro-linguistici tramite i quali vengono messi in atto i passi per giungere al cambiamento.

Dunque ciascuna posizione all’interno della matrice PNL-SOAR è definita da uno specifico insieme di a) rappresentazioni sensoriali e submodalità, b) segnali e schemi linguistici e c) manifestazioni ed espressioni comportamentali.

Forniamo di seguito una panoramica riassuntiva degli operatori neuro-linguistici chiave per influenzare le tre dimensioni fondamentali della matrice PNL-SOAR presentati finora in questo capitolo.

OPERATORI NEURO-LINGUISTICI PER CAMBIARE LA PERCEZIONE DEL TEMPO

Modificare la nostra esperienza del tempo e di diverse cornici temporali (passato, presente e futuro) richiede un cambiamento negli specifici schemi verbali, sensoriali e fisici a essa associati. Passato: da un punto di vista neurologico, il nostro passato è composto di specifici ricordi, ed è fisiologicamente associato ai processi dell’emisfero destro (tipicamente caratterizzati, nei destrimani, da movimenti oculari e gesti che indicano verso sinistra). I

ricordi sono solitamente rappresentazioni multisensoriali “associate” di determinati eventi. Da un punto di vista linguistico il passato è espresso dalle forme verbali di questo tempo, come ad esempio “ho visto”, “ho sentito”, “facevo”, “parlavo”. Presente: da un punto di vista neurologico, la nostra esperienza del presente è ancorata all’esperienza sensoriale in atto al momento. Dato che il presente tende a riguardare l’esperienza sensoriale attualmente in atto, la fisiologia a essa associata funziona in modo attivo e in risposta agli stimoli dell’ambiente circostante. Da un punto di vista linguistico il presente è espresso dalle forme verbali dell’omonimo tempo: “vedo”, “sento”, “faccio”, “dico”. Futuro: da un punto di vista neurologico, la nostra percezione del futuro è una funzione dell’immaginazione, dell’aspettativa e della fantasia. Queste sono a loro volta associate a processi dell’emisfero sinistro (tipicamente caratterizzati, nei destrimani, da movimenti oculari e gesti che indicano verso destra). I costrutti cognitivi del futuro sono più spesso “dissociati” rispetto a rappresentazioni del presente o del passato. Da un punto di vista linguistico il futuro è espresso dalle forme dell’omonimo tempo verbale: “vedrò”, “sentirò”, “farò”, “dirò”. Esperienze percepite come più remote nel passato o nel futuro saranno accompagnate da rappresentazioni e segnali fisiologici più dissociati. Associarsi nel passato e riviverlo, o nel futuro e fare “come se” stesse avendo luogo ora, rende questi momenti più “presenti”, e la fisiologia e le rappresentazioni interne diventano conseguentemente più ricche e associate.

OPERATORI NEURO-LINGUISTICI PER CAMBIARE LE POSIZIONI PERCETTIVE

La prima posizione percettiva è caratterizzata da rappresentazioni sensoriali “associate”; vedere, udire, percepire, gustare e odorare ciò che accade attorno e dentro di voi dal vostro punto di vista. Se siete in prima posizione non vedete voi stessi, in quanto siete dentro di voi e percepite il mondo attraverso i vostri occhi, le vostre orecchie, il vostro naso, la vostra pelle. La fisiologia della prima posizione è generalmente attiva, e comprende gesti rivolti verso il proprio corpo, con le mani che spesso toccano il petto o la linea mediana del corpo. Da un punto di vista linguistico la prima posizione è caratterizzata dall’uso della prima persona per descrivere le proprie sensazioni, percezioni e idee. In seconda posizione assumete il punto di vista di un’altra persona, passando alla sua postura, e muovendovi come se foste lei. Fate esperienza del mondo attraverso i suoi sensi, facendo vostri i suoi pensieri, le sue sensazioni, le sue convinzioni. In questa posizione siete dissociati da voi stessi e associati nell’altra persona: potete vedere “voi stessi” attraverso i suoi occhi. Vi riferite a “voi stessi” con il “tu” e il linguaggio della seconda persona singolare (invece di usare l’io e la prima persona). La terza posizione comprende una postura fisica simmetrica e rilassata, con movimento minimo – come se si fosse distanti osservatori. Tutte le vostre rappresentazioni dell’esperienza sono dissociate, e usate i pronomi e le forme verbali della terza persona per indicare le persone che osservate (inclusa quella che ha il vostro aspetto, la vostra voce, e si comporta come voi).

La quarta posizione è un’identificazione col sistema o con la relazione stessa, e produce l’esperienza di essere parte di un qualcosa di collettivo. È una posizione del “noi”, caratterizzata dall’uso del linguaggio della prima persona plurale. Da un punto di vista fisico, in quarta posizione il corpo esprime le caratteristiche energetiche di cui si fa esperienza come prodotto delle interazioni all’interno del sistema o della relazione.

OPERATORI NEURO-LINGUISTICI PER SPOSTARSI DI LIVELLO (LOGICO)

Il linguaggio al livello dell’ambiente fa riferimento ad aspetti o dettagli specifici e osservabili del proprio contesto esterno: “carta bianca”, “alte mura”, “grande stanza”. Le percezioni dell’ambiente hanno a che vedere con le domande verbali “dove?” e “quando?”. L’attenzione cognitiva è rivolta all’attuale esperienza sensoriale del mondo esterno. I movimenti del corpo tendono a essere limitati, e i gesti sono diretti verso l’esterno (ad esempio per puntare in direzione di oggetti o stimoli circostanti). Il linguaggio del comportamento si riferisce a specifici comportamenti e azioni osservabili, ad esempio “fare”, “agire”, “camminare”, “toccare”, “dire”. Questo tipo di linguaggio emerge tipicamente in risposta alla domanda “Cosa?”. La rappresentazione è soprattutto concentrata sui dati sensoriali, con particolare enfasi sulle specifiche percezioni o sulle rappresentazioni mentali visive di azioni e reazioni. C’è anche una forte componente cinestesica che comprende la percezione della tensione muscolare e del movimento. Gli schemi fisiologici di questo livello tendono anche a essere molto orientati all’azione, con gambe, braccia e mani che agiscono su oggetti o in risposta a stimoli nel mondo circostante (o magari riproducendo il tutto con oggetti o situazioni immaginarie). Il livello delle capacità è indicato da parole quali “sapere”, “capire”, “essere capace”, “pensare”. Le capacità sono associate alla domanda “Come?”. L’attenzione cognitiva è centrata su rappresentazioni mentali che riguardano l’immaginazione e la memoria. Le capacità sono sviluppate e rappresentate sotto forma di immagini, suoni, sensazioni e dialogo interni. Gli schemi fisiologici associati ai processi del livello delle capacità tendono a concentrarsi attorno alla testa. Si tende a fare gesti verso gli occhi e le orecchie, o a toccare la bocca. Le capacità mentali e le strategie sono caratterizzate anche da una serie di micro segnali comportamentali detti “segnali di accesso” in PNL (movimenti oculari, cambiamenti del tono di voce). Gli schemi linguistici associati a convinzioni e valori prendono tipicamente la forma di affermazioni di giudizi, regole e relazioni di causa-effetto, ad esempio “se… allora…”, “bisognerebbe…”, “non dobbiamo…” “… causa…” eccetera. Questi schemi sono soprattutto legati alla domanda “Perché?”. Dato che convinzioni e valori si riferiscono a giudizi e valutazioni su intere classi di comportamento, le rappresentazioni interiori associate generalmente mancano di dettaglio. Da un punto di vista cognitivo, dunque, convinzioni e valori tendono a derivare molto di più dal fondamento delle caratteristiche formali delle rappresentazioni interiori (e quindi dalle submodalità) che dal loro contenuto. Da un punto di vista neurologico, convinzioni e valori sono anche connessi con i processi del sistema nervoso autonomo (battito cardiaco, pressione sanguigna, ritmo respiratorio), il che crea un collegamento molto più forte con emozioni ed

emotività. Non a caso, parlando di convinzioni, le persone spesso indicano con i gesti organi quali il cuore o lo stomaco. I processi e le valutazioni a livello dell’identità sono associate a espressioni che contengono il verbo essere quali “Io sono…” “lui è…” “tu sei…”, che generalmente rispondono alla domanda “Chi?”. Sia le descrizioni verbali sia le rappresentazioni cognitive usate per esprimere l’identità sono spesso simboliche o metaforiche (ad esempio “sono come un faro”, “è una persona acida”, “sono degli animali”, “è come un raggio di sole”). La fisiologia associata con l’elaborazione a livello dell’identità è molto profonda e pervasiva. Quando una persona è connessa con la propria identità e la esprime, solitamente impiega una gestualità simmetrica che coinvolge in qualche modo l’intero corpo. I processi a livello spirituale comportano l’accedere e l’entrare in contatto con un campo più ampio. Questo, generalmente, implica la capacità di pensare in totale assenza di tensione muscolare. Percepire le cose in questo modo spesso produce uno stato simile alla trance in cui la persona è assorta e: • utilizza solo la visione periferica (anziché quella foveale); • concentra l’udito esclusivamente su suoni esterni (cessazione del dialogo interno); • mantiene uno stato fisiologico di rilassamento (nessuna tensione emotiva o fisica in eccesso).

Il linguaggio del livello dello spirito è anch’esso per lo più simbolico e metaforico, come quello delle parabole di Gesù. Il significato, a questo livello, non risiede nell’espressione superficiale di oggetti ed eventi, ma nella loro struttura più profonda.

MODELLAMENTO E MAPPATURA CON LA CORNICE DI REFERENZA DELLA TEORIA DEL CAMPO UNIFICATO DELLA PNL

Le distinzioni della teoria del campo unificato della PNL forniscono una potente cornice di referenza sia per l’estrazione sia per il modellamento. Si possono impiegare per individuare e mettere in relazione diversi livelli di dettaglio riguardo a praticamente qualsiasi attività cognitiva. Diciamo, ad esempio, che una persona stia modellando il processo usato da un trainer o da un consulente per pianificare un intervento formativo. Il processo di estrazione comincia spesso identificando a livello macroscopico gli elementi che compongono l’abilità o la procedura da modellare. Per farlo è utile fare fisicamente riferimento alle dimensioni di time-line e posizione percettiva del modello PNL-SOAR. Per esplorare la struttura del processo potete entrare nell’area corrispondente dello spazio delineato, mentre definite e seguite ciascuna delle fasi dell’abilità o della strategia che state modellando.

TRACCIARE UN PERCORSO DI CAMBIAMENTO

1. Pensate a un importante cambiamento di vita che avete compiuto in passato e che sentite di aver gestito con successo.

2. Tracciate il percorso che avete compiuto attraverso gli spazi delineati dal modello PNL-SOAR. È meglio eseguire questa operazione fisicamente, disegnando una griglia di posizioni sulle direttrici di Passato, Presente, Futuro e Prima, Seconda e Terza Posizione. Poi, mentre ricordate la strategia tramite la quale siete riusciti a compiere il cambiamento in passato, spostatevi fisicamente da una posizione corrispondente all’altra nella griglia PNL-SOAR.

Ad esempio, potreste (1) aver raggiunto un punto in cui la vostra situazione Presente era divenuta intollerabile; (2) avere considerato cosa volevate ottenere nel Futuro, dal punto di vista di un Osservatore; poi (3) avete pianificato i passi da compiere guardando la vostra situazione Presente; (4) cercato consiglio in un amico o mentore; (5) ricordato risorse dal vostro Passato; e (6) finalmente cominciato a compiere i passi via via necessari per raggiungere il vostro obiettivo.

Potreste mappare questo percorso di cambiamento nella maniera seguente:

Mappare un percorso di cambiamento utilizzando il modello PNL-SOAR

Di ciascuna fase si possono analizzare, inoltre, gli specifici processi (ad esempio i TOTE e gli operatori neuro-linguistici) che la costituiscono. Ancora una volta, lo spazio SOAR può essere disegnato fisicamente e impiegato come ausilio per estrarre i dettagli della strategia e assistere coloro che la volessero apprendere. In questo modo, si possono attraversare i riquadri corretti dello spazio SOAR e provare ciascuna fase della procedura mentre viene descritta.

IL SOAR PER IL CAMBIAMENTO

Un altro modo per applicare le distinzioni della teoria del campo unificato della PNL e dello spazio SOAR consiste nel pianificare e mappare il percorso da uno stato presente a uno stato desiderato. Invece di guardare al passato per modellare un percorso che abbiamo già attraversato con successo, guardiamo a dove vogliamo arrivare nel futuro e creiamo modelli delle traiettorie capaci di portarci dove vogliamo.

1. Identificate uno stato presente o problematico e uno stato futuro desiderato.

2. Collocate lo stato presente e lo stato desiderato all’interno delle distinzioni dello “spazio problematico” definite dall’area operativa creata combinando PNL e modello SOAR (ad esempio Stato problematico: bloccati in un vecchio conflitto di identità con una persona importante nel vostro passato; Stato desiderato: sensazione di libertà e indipendenza nel futuro).

3. Create un percorso di 7 ± 2 passi da compiere attraverso lo spazio SOAR, che portano dallo stato presente a quello desiderato (o da quello desiderato a quello presente). Ciascun passo può solo portare a una casella adiacente; potete cioè cambiare solo una delle distinzioni (passato, presente, futuro; prima, seconda, terza posizione; ambiente, comportamento, capacità, convinzioni e valori, identità e così via) alla volta. Perciò non potete passare direttamente dal passato al futuro saltando il presente. Similmente, non potete saltare immediatamente dal livello del comportamento a quello dell’identità: dovete prima passare a quello delle capacità, e poi a quello di convinzioni e valori, prima di raggiungere il livello dell’identità.

IL MODELLO SCORE – DEFINIRE UN PERCORSO ALL’INTERNO DI UNO SPAZIO PROBLEMATICO

Stando al modello SOAR, la sequenza più efficace per la risoluzione di problemi o la pianificazione consiste in una serie di successivi avvicinamenti al risultato in cui:

1. Lo spazio problematico viene accuratamente definito sulla base degli elementi più significativi e rilevanti del sistema che hanno a che vedere con il problema o il progetto.

2. Lo stato presente, lo stato desiderato e le risorse disponibili entro lo spazio problematico vengono identificati.

3. La sequenza preferenziale di operatori concreti viene selezionata e applicata per accedere alle risorse disponibili e per muovere verso lo stato desiderato.

Dalla prospettiva della PNL di Ultima Generazione, tutte le tecniche e gli interventi efficaci hanno questa struttura. Per raggiungere efficacemente gli stati desiderati, le persone devono essere in grado di (a) concettualizzare il generale spazio problematico delle questioni rilevanti, (b) valutare gli stati significativi che si vogliono raggiungere o evitare nel contesto in cui si sta operando e (c) applicare la sequenza di operatori

necessaria per passare dallo stato presente percepito allo stato desiderato più ecologico e appropriato dati lo scopo e il complessivo spazio problematico dell’intervento.

Il modello SCORE definisce le distinzioni necessarie per stabilire un percorso da uno stato presente a uno stato desiderato all’interno di un determinato spazio problematico.

Stando al modello SCORE, un percorso attraverso un determinato “spazio problematico” è definito dalla relazione tra l’obiettivo, il tipo di sintomi che ne ostacolano il raggiungimento, le cause di questi sintomi e gli effetti desiderati a più lungo termine a seguito del raggiungimento dell’obiettivo. Per reperire le risorse che produrranno una soluzione efficace per un determinato sintomo, è necessario conoscere le cause del sintomo, l’obiettivo e quello che in ultima analisi è l’effetto che si desidera raggiungere. Posto nel contesto del modello SOAR, ciascun elemento dello SCORE sarà definito in termini dei livelli di cambiamento, delle posizioni percettive e delle cornici temporali che costituiscono un determinato stato e che determinano la relazione tra se stessi, gli altri e l’obiettivo. Specifici sintomi, cause, obiettivi, effetti o risorse possono essere definiti in termini di a) persone, prospettive e ruoli coinvolti, b) cornici temporali rilevanti e c) livelli di interazione e di cambiamento chiamati in causa (ambiente, comportamenti, capacità, convinzioni e valori, identità). Il diagramma a lato, ad esempio, mostra come le varie distinzioni del modello SCORE possano essere mappate in relazione a quelle definite dal modello SOAR.

Secondo la teoria del campo unificato della PNL, tutte le tecniche sono essenzialmente percorsi che coprono alcuni aspetti di questo generale spazio operativo, e non ne comprendono altri. La chiave per l’efficacia di una tecnica dipende dalla sua capacità o meno di misurarsi con tutti gli aspetti dello “spazio problematico” che devono essere affrontati. L’interfaccia dei modelli SOAR e SCORE offre un’importante guida nello sviluppo di nuove e più efficaci tecniche per fornire una panoramica di aree di possibile “spazio problematico” e potenziali “spazi di soluzione”. Solo una manciata di tecniche di PNL, ad esempio, utilizza formalmente la combinazione di Seconda Posizione e Futuro.

I vari elementi del modello SCORE possono essere definiti in relazione allo spazio delineato dal modello SOAR.

Per facilitare il controllo delle parti dello spazio PNL-SOAR coinvolte in un determinato intervento si può usare il foglio di lavoro che segue (potete usare penne o pennarelli colorati per indicare le aree dello spazio SOAR rilevanti per ciascuna distinzione del modello SCORE).

Impiegare le distinzioni del modello PNL-SOAR per controllare gli aspetti chiave di un intervento

I META-PROGRAMMI E LA TEORIA DEL CAMPO UNIFICATO DELLA PNL

Le distinzioni della teoria del campo unificato e lo spazio operativo del modello SOAR forniscono una potente cornice di referenza da impiegare per comprendere e influenzare i Meta-programmi e gli stili utilizzati nel catalogare le esperienze. Il luogo in cui vi trovate all’interno dello spazio operativo SOAR avrà un effettivo impatto nel determinare i Meta-programmi a partire dai quali operate. Ad esempio, è possibile influenzare facilmente una persona affinché sia nel tempo o attraverso il tempo; via da o verso; affinché veda le cose in termini di da presente a passato, da passato a futuro o da presente a futuro; in termini di sé, altri, o contesto; e via così. Questi Meta-programmi riguardano essenzialmente l’orientamento di una persona nello spazio operativo del modello SOAR. Essere nel tempo, ad esempio, richiederebbe di associarsi a una determinata time-line e rivolgersi verso il futuro. Attraverso il tempo richiede di vedere la time-line in Terza Posizione, disposta da sinistra a destra, anziché da dietro a davanti. Andare verso un qualche comportamento, una convinzione o un evento, richiederebbe semplicemente di rivolgersi in direzione della cosa a partire da qualsiasi posizione nella quale ci si trovi al momento nello spazio operativo del modello SOAR. Andarevia da richiederebbe invece di voltare le spalle alla cosa. Vedere le cose secondo il sé richiederebbe di entrare in maniera associata in Prima Posizione e di considerare le altre aree dello spazio operativo. Farlo a partire da un altro richiederebbe di calarsi in Seconda Posizione. Un riferimento “esterno” nel quale si vedono le cose a partire dal contesto richiederebbe di passare in Terza Posizione. Un orientamento al compito deriverebbe dal concentrarsi sui propri comportamenti futuri. Alternativamente, un orientamento alle relazioni richiederebbe di concentrarsi su un’altra persona. Il livello di dettaglio al quale si osservano le cose è essenzialmente una funzione del livello logico sul quale ci si concentra. Le informazioni a livello di ambiente o comportamento si basano di preferenza su uno specifico input sensoriale. Convinzioni, valori, identità e percezioni spirituali sono necessariamente informazioni a un livello più generale. Dal punto di vista della PNL di Ultima Generazione e della teoria del campo unificato, ogni tecnica di cambiamento può essere descritta in termini di una serie di cambiamenti di Meta-programmi che, qualora riscuotano successo, ricalcano e guidano il Meta-programma del cliente portandolo più vicino allo stato desiderato. La strategia del generatore di nuovi comportamenti, ad esempio, richiede di andare “verso” un nuovo comportamento futuro; è anche una strategia che fa riferimento primariamente al “sé”. Le persone che operano con un Meta-programma con riferimento esterno e orientato “via dai” problemi, faranno fatica a intuire la rilevanza di una tecnica di questo tipo, e potrebbero avere difficoltà a seguire le varie fasi della procedura. La strategia del Cambio di storia personale, a differenza delGeneratore di nuovi comportamenti, comincia con l’andare “verso” la causa passata di un problema. Questo può risultare difficile e intimorire coloro che stanno cercando di andare “via dal” problema del tutto: questi potrebbero opporsi alla tecnica e ricordare il proprio passato

con difficoltà. Il Cambio di storia personale è anche primariamente un’attività con riferimento al “sé”. Il reimprinting, d’altro canto, sposta il riferimento dal “sé” agli “altri”. Le persone si sentiranno più a proprio agio con tecniche che ricalcano il loro naturale panorama di Meta-programmi. È per questo che certe tecniche attraggono certe persone più di altre, indipendentemente dalla loro efficacia. È cosa utile per i professionisti in PNL saper riconoscere i Meta-programmi e lo spazio operativo del modello SOAR presupposti dalle diverse fasi delle varie tecniche di PNL.

IL MODELLO DELLA PNL GENERATIVA

Il modello della PNL generativa è stato sviluppato da Robert Dilts nel 1990 come applicazione della teoria del campo unificato della PNL. Si tratta di un metodo che combina la PNL e il modello SOAR allo scopo di potenziare le risorse. Pur non trattandosi di un modello orientato al “problema”, una delle convinzioni alla base della PNL generativa è che i problemi pronti per essere risolti da una particolare risorsa saranno spontaneamente attratti a essa e risolti delicatamente e facilmente se la risorsa è stata ampliata e arricchita in misura sufficiente. Non vogliamo, dunque, cominciare con l’identificare un problema e doverci poi sforzare per trovare una risorsa che, si spera, possa produrre una soluzione adeguata. Il modello della PNL generativa è progettato per “ampliare” e “rendere più profondo” il bacino associato alla risorsa, il che cambia il panorama interno e guida alla auto-organizzazione di una soluzione al problema. Il cambiamento generativo riguarda essenzialmente la scoperta, la creazione, l’arricchimento, il rafforzamento e l’elaborazione di risorse. Si tratta di trovare la “struttura profonda” di una risorsa e facilitarne la trasformazione in molti contesti nei quali non è ancora stata applicata. Per dirla metaforicamente, bisogna reperire risorse dormienti e attivarle, rendendole più disponibili e “olografiche”. Il cambiamento generativo consta dello sviluppo di forme di livello più elevato e di processi che sono in grado di funzionare in modo evolutivo alla volta di nuove possibilità. Le applicazioni generative della PNL aiutano le persone a risolvere problemi e a raggiungere obiettivi in modo più sistemico e organico. Quando nuove risorse vengono scoperte, attivate e sviluppate, i problemi pronti per essere risolti da quelle risorse emergono e si risolvono naturalmente e senza sforzo.

FASI DEL MODELLO DELLA PNL GENERATIVA

1. Stabilite una griglia di caselle che rappresentano una matrice delle cornici temporali e delle posizioni percettive:

Prima posizione futuro – Seconda posizione futuro – Terza posizione futuro Prima posizione presente – Seconda posizione presente – Terza posizione presente Prima posizione passato – Seconda posizione passato – Terza posizione passato

Disposizione spaziale del modello della PNL generativa

2. Entrate in maniera associata nella casella che rappresenta la prima posizione nel presente. Identificate una risorsa che avete sviluppato o scoperto di recente.

3. Fate piena esperienza della risorsa nella posizione della casella Prima posizione, Presente.

4. Entrate in maniera associata in tutte le caselle circostanti, una a una, portando con voi la risorsa:

Prima posizione Futuro – Seconda posizione Futuro – Terza posizione Futuro Seconda posizione Presente – Terza posizione Presente Prima posizione Passato – Seconda posizione Passato – Terza posizione Passato a. Notate come portare la risorsa in ciascuna delle caselle ne rinforzi e ne arricchisca l’esperienza. b. Da ciascuna delle caselle, guardate voi stessi nella posizione della Prima persona Presente che è il punto focale della risorsa, e offrite un messaggio o una convinzione che potrebbe aiutarvi a rafforzare ulteriormente la risorsa. c. Associatevi nuovamente alla Prima persona nel Presente, e ricevete il messaggio inviato dall’altra posizione percettiva. A partire dalla Prima persona nel Presente, verificate e descrivete come la risorsa sia stata rafforzata e arricchita in relazione al raggiungimento dei vostri obiettivi.

5. Ripetete questa procedura finché non l’avrete completata per tutte le caselle circostanti.

Per fare un esempio, poniamo che una persona abbia scelto la risorsa “ottimismo pragmatico”. Quando la persona porta la risorsa nella Prima posizione Futuro il suo sé futuro potrebbe rivolgersi verso il sé del presente e dare il messaggio Fanne tesoro. È questo il punto della tua vita. La persona porta poi la risorsa nella Seconda posizione Futuro mettendosi nei panni di un’altra persona nel proprio futuro. Dal punto di vista dell’altro nel futuro, potrebbe poi dire al proprio sé nel presente Ti sono grato. Grazie per avermi insegnato ad avere fede. Portare la risorsa in Terza posizione Futuro richiederebbe di metterla nella prospettiva di un osservatore esterno gentile e saggio, situato nel futuro. Da questa posizione il

messaggio al sé del presente potrebbe essere Continua così. Stai avendo successo nella tua missione. Portare la risorsa in Seconda posizione Presente comporterebbe l’assumere il punto di vista di un’altra persona che al momento fa parte della cerchia di chi fa l’esercizio. Il messaggio che viene da questa posizione potrebbe essere Siamo orgogliosi di te e ti renderemo orgoglioso di noi. La Terza posizione Presente comporterebbe l’osservare se stessi nel contesto corrente. Portare la risorsa in questa posizione potrebbe stimolare la persona a dire a se stessa Rimani concentrata. Tutto andrà bene. Per portare la risorsa in Prima persona Passato la persona dovrebbe fare un passo indietro nella casella che rappresenta un momento precedente della propria vita. Ricevendo la risorsa, la versione più giovane della persona potrebbe dirle Il tuo impegno porta frutti. Porta sempre frutti. Portare la risorsa in Seconda posizione Passato richiederebbe di mettersi nei panni di un’altra persona importante nella storia della persona. Se è in possesso della risorsa (anche se al tempo non era effettivamente così) potrebbe far dire all’altra persona nel passato Puoi fare qualsiasi cosa tu voglia. Hai la mia benedizione e il mio sostegno. Andare in Terza persona Passato richiederebbe di assumere il punto di vista di un osservatore della propria storia personale. Avere la risorsa potrebbe far dire all’osservatore passato Ciò che hai è una benedizione. Condividila con quante più persone possibile. Ricevere tutti questi messaggi può essere un’esperienza profonda e costruttiva, che lascia alla persona il senso di possedere una risorsa molto più forte e ricca di prima. Il seguente foglio di lavoro può essere utilizzato per prendere nota dei messaggi che sorgono dalle diverse posizioni durante l’applicazione del modello della PNL generativa.

Foglio di lavoro per la PNL generativa

CONCLUSIONE

Non è necessaria una conoscenza esplicita dei modelli, delle distinzioni e delle relazioni definite dalla teoria del campo unificato della PNL per poter usare comunque efficacemente le tecniche e i principi di questa disciplina; tuttavia la capacità di riconoscere, comprendere e applicare anche questi ulteriori elementi aumenta grandemente il grado di maestria nel suo uso. La teoria del campo unificato è anche una potenziale fonte di grande libertà, flessibilità e creatività nell’applicazione della PNL, in quanto permette a chi la pratica di operare a partire dalle “strutture profonde” delle varie tecniche della Programmazione Neuro-Linguistica. Gli esercizi che abbiamo esplorato in questo capitolo sono solo alcune delle moltissime possibili applicazioni dello spazio operativo PNL-SOAR. Familiarizzare con il modello SOAR e le distinzioni PNL-SOAR può aumentare di molto e arricchire la vostra comprensione e maestria nel campo della PNL e in molte altre aree della vostra vita professionale e personale (si vedano le sezioni sul modello SOAR e sulla teoria del campo unificato nella Encyclopedia of Systemic NLP and NLP New Coding). Recenti sviluppi nelle scienze cognitive, quali la teoria dell’informazione, la psicologia cognitiva, la psiconeuroimmunologia, le neuroscienze e la PNL stanno solo cominciando a svelare alcuni dei misteri della mente. Una buona parte della mission della next generation è quella di espandere le frontiere della nostra comprensione di questi misteri per trarne applicazioni pratiche. Ed è proprio questo che cominceremo a esplorare nei capitoli seguenti.

CAPITOLO 2

LA MENTE

SOMATICA

LA MENTE SOMATICA

Soma è la parola greca per “corpo”. La mente somatica è la mente che ha sede nel nostro corpo. La nostra intelligenza somatica sta alla base del nostro essere. Non tutti gli esseri possiedono una mente cognitiva, ma tutti gli organismi viventi dipendono dalla mente somatica per sopravvivere e per interagire con successo con il proprio ambiente. La mente somatica è la nostra intelligenza di mammiferi ed è una forma di intelligenza primaria che si manifesta nei bambini piccoli.

Nel corpo è racchiuso tutto un sistema di intelligenza e di saggezza, con cui una persona può essere o meno a contatto e in sintonia. Quando siamo in contatto con la nostra mente somatica “abitiamo i nostri corpi”; questo significa che parte della nostra presenza mentale è nel corpo fisico. Dato che il corpo vive e respira solo nel momento presente, quando siamo connessi alla nostra sapienza somatica anche parte della nostra coscienza è ancorata nel momento presente. Per quanto la nostra attenzione possa essere diretta su un compito da svolgere, un’interazione, un’attività mentale o qualsiasi altro oggetto, se la nostra presenza mentale è simultaneamente radicata nel corpo e nel suo cangiante universo di sensazioni e percezioni fisiche, possiamo accedere a un vasto tesoro di risorse e informazioni che possono arricchire la nostra esperienza in ogni situazione.

Quando diciamo che qualcuno è “perso nella propria testa” o “scollegato dal proprio corpo”, indichiamo una mancanza di accesso al ricco mondo dell’esperienza e dell’intelligenza somatica. Quando viviamo “nella testa”, solitamente significa che la nostra attenzione non è più rivolta alla percezione del corpo e del momento presente. Questo fenomeno è spesso accompagnato da certi tipi di manifestazioni fisiche ed emotive: respirazione superficiale o rapida, parlantina veloce, tensione nelle spalle, nel collo e nella muscolatura del volto e tendenza a manifestare ansia o stress.

Di contro, quando siamo ben radicati nel corpo e nel momento presente, tendiamo a essere fisicamente rilassati, a respirare più lentamente e profondamente, a provare un senso di pace che ci fa sentire attenti e rilassati, presenti, vitali e in contatto con le nostre risorse. Come ha sottolineato Richard Moss, quando il corpo è felice le emozioni tendono a essere positive e la mente tende a essere quieta.

L’esperienza soggettiva di un’intelligenza somatica è emersa in tutte le culture attraverso la storia, e si riflette nel linguaggio tramite una serie di parole, che la PNL chiama anche “linguaggio degli organi”. Il linguaggio degli organi comprende affermazioni

apparentemente metaforiche o frasi idiomatiche che le persone usano riferendosi a parti del corpo o a funzioni corporee.

Modi di dire come “l’ho percepito a pelle”, “ho seguito il mio cuore” o “in cuor mio lo sapevo” indicano parti del corpo diverse dal cervello attribuendo loro un qualche tipo di capacità intellettiva. Possiamo anche parlare di cose che “ci fanno torcere le budella”, che “sono difficili da digerire”, che “ci spezzano il cuore” o “ci fanno rizzare i peli della schiena”. Oltre a questo significato metaforico, la PNL considera il linguaggio degli organi come qualcosa che va al di là del semplice uso idiomatico. Proprio come i predicati basati su uno specifico input sensoriale (“vedo cosa vuoi dire”, “non è chiaro”, “mi suona bene”, “casca giusto”, “mi sono avvicinato a”, “me lo sento”), il linguaggio degli organi spesso rispecchia schemi neuro-linguistici più antichi e processi che ci permettono di scorgere alcune delle strutture più profonde di queste esperienze soggettive – strutture che esploreremo in questo capitolo.

IL SENSO PERCEPITO: L’ESPERIENZA SOGGETTIVA DELLA MENTE SOMATICA

Soggettivamente conosciamo la nostra mente somatica tramite quello che il filosofo e psicoterapeuta Eugene Gendlin chiama un “senso percepito”, e che è alla base del suo metodo di trattamento detto di focusing. Gendlin afferma che le interazioni vitali di un organismo con il proprio ambiente vengono necessariamente prima della conoscenza astratta cognitiva dello stesso. Secondo Gendlin, la vita è un’interazione intricata e ordinata con l’ambiente, e quindi il vivere stesso è un conoscere. La conoscenza astratta cognitiva è uno sviluppo emerso dalla più fondamentale conoscenza che è la struttura profonda dei nostri processi di pensiero conscio. In altre parole, la mente somatica è la prima mente e sta alla base delle nostre altre funzioni mentali. La qualità e l’efficacia della nostra coscienza cognitiva dipende in larga misura dalla qualità della mente somatica.

Gendlin dice che il nostro conoscere per via somatica si afferma sotto forma di un senso percepito soggettivo, che sostiene essere alquanto diverso dal “sentire” dell’emotività. Il senso percepito è la percezione corporea del processo della vita in atto. Dato che un senso percepito deriva dalla nostra interazione vitale nel mondo, non è dissociato e astratto quanto i concetti cognitivi, e contiene quindi molte meno cancellazioni, distorsioni e generalizzazioni. Un senso percepito è in realtà molto più ordinato del pensiero cognitivo, e ha le sue specifiche proprietà, diverse da quelle della logica. È un tipo di pensiero somatico che può essere molto preciso, e più intricato della conoscenza cognitiva. È una prospettiva molto simile alla nozione formulata da Milton Erickson di una “mente inconscia” estremamente saggia e intelligente.

Gendlin arrivò alle sue conclusioni tramite un metodo simile a quello del modellamento della PNL. Con una serie di colleghi studiò migliaia di ore di registrazioni di sessioni di psicoterapia, per esplorare quale fosse la “differenza che faceva la differenza” quando la seduta aveva successo.

Osservò che i pazienti con i migliori risultati non erano particolarmente verbali o analitici. Erano invece quelli che si permettevano di fare esperienza e di tollerare sensazioni vaghe, confuse e poco chiare – anche quando queste erano spiacevoli o dolorose – lasciando che tali sensazioni si sviluppassero secondo i propri tempi e modi. Erano persone che prestavano attenzione alle sensazioni interiori provenienti dal corpo (le “strutture profonde”) e associate ai problemi o alle questioni da risolvere. Invece di girare a vuoto nella mente, rimanevano in contatto col sempre mutevole flusso della propria esperienza, senza lasciarsi travolgere dalle emozioni. Prendevano le cose con calma e si davano il tempo per percepire le proprie sensazioni e ascoltare i messaggi che queste cercavano di veicolare.

Gendlin chiamò questo processo focusing e sviluppò delle procedure in più fasi formalizzate e trasmissibili, in maniera che anche altri potessero imparare come prestare attenzione alle proprie sensazioni interne in modo altrettanto produttivo. Portando l’attenzione sul corpo, Gendlin intendeva chiaramente portare le persone ad accedere alla mente somatica, tramite il processo che lui chiamava “riporre fiducia nella saggezza del corpo”. Anziché cercare soluzioni con la sola mente cognitiva, si invitano altre parti del sistema nervoso a rivelare ciò che sanno e a trovare soluzioni tramite l’attenzione alle sensazioni e alle questioni del corpo. Risolvere con efficacia questioni difficili e complesse richiede quindi di contattare quel senso percepito della vita racchiuso nel nostro sistema nervoso esteso, e di cooperare e dialogare con esso.

I lavori di Gendlin sostengono quella visione della PNL di Ultima Generazione che vede nel corpo non una semplice macchina controllata da un cervello contenuto nella scatola cranica. Vi è anche un cervello nel corpo; anzi, ve ne sono svariati. Questo è un importante ampliamento della componente “neuro” della Programmazione Neuro-Linguistica.

LA NEUROGASTROENTEROLOGIA E IL CERVELLO NELLA PANCIA

Uno dei cervelli nel corpo è detto cervello enterico, o sistema nervoso enterico (enterico significa letteralmente “dentro l’intestino”, dal greco enteron, appunto “intestino”). Questo sistema conta 100 milioni di neuroni: più di quelli che formano la spina dorsale. La neuroscienza moderna calcola che il sistema di nervi attorno all’intestino crasso e agli altri organi della digestione nel ventre abbia un livello di sofisticazione e complessità circa equivalente a quello del cervello di un gatto: anche per questo viene spesso chiamato “il secondo cervello” del corpo umano.

Molti dei dettagli chiave sul modo in cui il sistema nervoso enterico rispecchia quello centrale sono emersi negli ultimi anni. Michael Gershon, professore di anatomia e biologia cellulare presso il Columbia-Presbyterian Medical Center di New York, è uno dei fondatori di una nuova branca della medicina detta “neurogastroenterologia”. Nel suo libro Il secondo cervello, Gershon sostiene che il cervello enterico ha un ruolo determinante nella salute e nella felicità degli esseri umani, così come nei loro disturbi e

problemi. Molti disturbi gastrointestinali, come ad esempio la colite e la sindrome da colon irritabile, hanno origine da problemi a livello del sistema nervoso enterico.

Il ruolo del sistema nervoso enterico è quello di gestire ogni aspetto della digestione dall’esofago allo stomaco, fino all’intestino tenue e al colon. I neurogastroenterologi sono inoltre convinti che via sia un complesso gioco di interrelazioni tra il sistema nervoso enterico e il sistema immunitario.

Il sistema nervoso enterico gestisce il processo digestivo.

Vista la sua importanza, i biologi ritengono che, durante l’evoluzione dei mammiferi, il sistema nervoso enterico fosse troppo fondamentale per risiedere nella testa, dove avrebbe dovuto comunicare con il ventre attraverso lunghe connessioni. I bambini hanno bisogno di mangiare e digerire il cibo dalla nascita. Per questo il processo evolutivo sembra aver preservato il sistema nervoso enterico come circuito indipendente1. Esso è solo in parte collegato al sistema nervoso centrale, ed è in grado in larga misura di funzionare autonomamente, senza il controllo del cervello.

Proprio come quello che abbiamo nella testa, il cervello nella pancia invia e riceve impulsi, registra e immagazzina esperienze, e risponde alle emozioni impiegando gli stessi neurotrasmettitori utilizzati dalle cellule cerebrali. Il sistema nervoso enterico è collocato nelle guaine di tessuto sulle pareti di esofago, stomaco, intestino tenue e colon. Considerato come un singola entità, è una rete di neuroni, neurotrasmettitori e proteine che passano messaggi tra neuroni, sostengono cellule simili a quelle trovate nel cervello e formano complessi circuiti capaci di funzionamento autonomo, apprendimenti, memoria, e produzione di “sensazioni viscerali”.

Avete dunque nella pancia l’equivalente del cervello di un gatto. Quando tutto va come deve, fa le fusa. Ma se si sente minacciato “soffia”. Quando il sistema nervoso centrale

incontra una situazione minacciosa, rilascia ormoni dello stress che preparano il corpo a combattere o fuggire. Il sistema enterico contiene molti nervi sensori stimolati da queste emissioni chimiche – da cui ad esempio la sensazione delle cosiddette “farfalle nello stomaco”.

Studi recenti suggeriscono anche che lo stress, specialmente nei primi anni della vita, può causare disturbi gastrointestinali cronici. Un dottore, ad esempio, ha riportato che fino al 70% dei pazienti che tratta per disordini gastrointestinali cronici ha avuto durante l’infanzia traumi quali la perdita di un genitore, malattie croniche, la morte di una persona molto vicina e così via.

È interessante notare che in tutti i continenti le culture tradizionali hanno nutrito la credenza che il ventre fosse una sacra “dimora dell’anima”. Le arti marziali giapponesi, le discipline di guarigione cinesi e le danze di Africa, India e Polinesia, dei nativi americani, del Medio Oriente e dell’Europa antica, incorporano tutte pratiche per trasmettere energia al ventre con il fine di risvegliare il “potere dell’anima” racchiuso al centro del corpo.

Il centro dell’addome, che i giapponesi chiamano hara, è considerato in molte arti marziali e pratiche di guarigione quale radice e centro di natura tanto fisica quanto energetica. Viene visto come il punto di concentrazione del potere e della gravità, oltre che come sede di svariati organi. Le gambe, dipartendosi dallo hara, gli permettono di connettersi con la terra, garantendo radicamento e al tempo stesso mobilità. Lo hara è inoltre concepito come fonte di vita, come una sorta di “ombelico spirituale”. Si ritiene che coltivarlo conferisca maestria, forza, saggezza e tranquillità.

Nella lingua giapponese il termine hara indica sia la pancia fisica sia le qualità caratteristiche che ne emergono quando la persona attiva la “forza vitale” concentrata nel ventre2.

Una “persona di hara” è una che vive con creatività, coraggio, sicurezza di sé, senso profondo, integrità e resistenza. Hara no aru hito significa letteralmente “individuo con ‘centro’ o ‘con pancia’”. Una persona di questo tipo è sempre equilibrata, tranquilla, magnanima ed empatica. Dotata di giudizio calmo e imparziale, ha chiara nozione di cosa sia importante, accetta le cose come sono e mantiene un equilibrato senso della misura. È un individuo pronto per qualsiasi cosa gli si presenti sul cammino della vita. Quando, tramite costante pratica e disciplina, una persona di questo tipo raggiunge la propria maturità, viene dettahara no dekita hito, ossia persona che ha “completato la propria pancia”.

In cinese, il centro del ventre è chiamato tan tien, un termine che denota letteralmente un campo che deve essere coltivato per ricavarne il nutrimento essenziale a sostenere la vita. L’implicazione è che quando una persona attiva il proprio centro del ventre tramite movimento e respirazione, mette così in azione il centro del suo essere, fonte del potere interiore e dell’anima.

Queste espressioni linguistiche rispecchiano chiaramente l’intuizione e l’esperienza soggettiva del fatto che il “cervello nella pancia” è un elemento chiave della nostra

intelligenza somatica, nonché una potente risorsa. Presentiamo di seguito un semplice esercizio e una pratica che potete impiegare per coltivare l’accesso al vostro cervello enterico:

1. Sedetevi comodamente e “allungati” sul vostro asse verticale, con la spina dorsale eretta ma rilassata, e i piedi equidistanti e a contatto col suolo. Mettete il palmo di una mano sulla pancia, con il pollice al livello dell’ombelico e le altre dita subito sotto. Mettete l’altro palmo nella posizione corrispondente nella vostra zona lombare.

2. Rilassatevi e respirate profondamente nel ventre. Immaginate un filo teso, che collega i palmi delle due mani. Vedetelo, percepitelo, descrivetelo a voi stessi.

3. Trovate il punto di mezzo dello spago. Concentrate la vostra attenzione su di esso per una serie di respirazioni. Notate e percepite qualsiasi immagine e sensazione si presenti. Permettete che emerga un senso percepito di connessione col vostro cervello addominale (il centro del ventre, lo hara, iltan tien). Questo dovrebbe recarvi la sensazione di essere centrati, calmi, rilassati e bilanciati.

Trovare in questo modo il vostro centro sarà un canale fondamentale e un’ancora verso la vostra mente somatica e la saggezza del corpo.

LA NEUROCARDIOLOGIA E IL CERVELLO NEL CUORE

Oltre alla presenza del “cervello nella pancia”, un numero sempre crescente di studi indicano che anche il nostro cuore è ben più di una semplice pompa meccanica. Il campo pionieristico della neurocardiologia va dimostrando che il cuore è in realtà un centro altamente complesso e autorganizzato di elaborazione, con un proprio funzionale “cervello” in rapporto di comunicazione e reciproca influenza con il cervello nella nostra testa tramite il sistema nervoso, quello ormonale e altri canali. Attraverso questi percorsi l’attività del cuore influenza profondamente le funzioni del cervello e della maggioranza dei più importanti altri organi, con grande impatto sul nostro stato interiore e in ultima analisi sulla qualità della nostra vita. In maniera simile al sistema nervoso enterico, gli elaborati circuiti nervosi del cuore gli permettono di operare indipendentemente dal cervello cranio custodito nella scatola cranica, rendendolo capace di apprendere, ricordare e persino percepire sensazioni ed emozioni. Il recente Basic and Clinical Neurocardiology, a cura di J. Andrew Armour e Jeffrey Ardell, fornisce una panoramica esaustiva sul funzionamento del sistema nervoso intrinseco del cuore e sul ruolo dei neuroni autonomi centrali e periferici nella regolazione delle funzioni cardiache. Tra i pionieri della neurocardiologia, il dottor Armour ha mostrato che il cuore ha un complesso sistema nervoso intrinseco sufficientemente sofisticato da meritare pienamente il titolo di “piccolo cervello”. Il sistema nervoso del cuore contiene circa 40.000 neuroni, detti neuriti sensòri, che individuano gli ormoni e le sostanze neurochimiche in circolo e percepiscono il ritmo cardiaco e i livelli di pressione sanguigna. Le informazioni ormonali, chimiche, e riguardanti battito e pressione, sono

tradotte in impulsi neurologici dal sistema nervoso cardiaco, e da qui sono poi inviate al cervello. Il cuore ha dunque un proprio sistema nervoso intrinseco che opera ed elabora le informazioni indipendentemente rispetto al cervello e al sistema nervoso centrale. È ciò che rende possibili i trapianti cardiaci. Normalmente il cuore comunica col cervello tramite fibre che attraversano il nervo vago e la colonna vertebrale. In un trapianto cardiaco, queste connessioni nervose vengono meno per un prolungato periodo di tempo, e non sempre vengono del tutto ristabilite. Cionondimeno, il cuore del donatore è in grado di funzionare nel corpo di chi riceve il trapianto grazie alle capacità del suo sistema nervoso intrinseco, che è intatto.

Il cuore ha un proprio sistema nervoso intrinseco che funziona in maniera autonoma rispetto al cervello.

Non a caso l’esperienza di molti trapiantati fornisce interessanti idee sul potenziale del “cervello del cuore” nell’immagazzinare ricordi e influenzare il comportamento. Considerate questo esempio di un paziente di trapianto cardiaco, riportato da Mario Alonso Puig, uno specialista in chirurgia generale e in gastroenterologia con più di venticinque anni di esperienza, professore di chirurgia alla Harvard University Medical School e membro della American Association for the Advancement of Science. Dopo essersi ripreso, il trapiantato cominciò a mostrare comportamenti insoliti. Cominciò a desiderare cibi che non gli erano mai piaciuti prima, si scoprì patito per musica che prima non gli piaceva e si trovò a essere attratto da luoghi dei quali non aveva memorie consce.

Rimase tutto un grande mistero, finché non si cominciò a indagare sulle abitudini di vita del donatore. I ricercatori scoprirono che i cibi che ora desiderava il trapiantato erano stati le pietanze preferite del donatore, che il donatore era stato un musicista con una grande passione per le canzoni di cui il trapiantato ora era patito, e che i luoghi da cui si sentiva inspiegabilmente attratto erano stati teatro di eventi significativi della vita del donatore. Date le restrittive regole sulla privacy né il paziente né i dottori avevano in

precedenza avuto accesso a informazioni sul donatore o sulla sua storia personale. Sembra che in qualche modo le preferenze fossero state trasferite per mezzo del cuore. Questo è solo uno tra molti esempi. Claire Sylvia è un’altra trapiantata che ha scritto un libro sulla propria esperienza intitolato A Change of Heart. L’autrice racconta che il 29 maggio 1988 aveva ricevuto il cuore di un giovane diciottenne rimasto ucciso in un incidente motociclistico. Poco dopo l’operazione, aveva notato dei marcati cambiamenti nei propri atteggiamenti, nelle proprie abitudini e nei propri gusti. Si era trovata a comportarsi in modo più maschile, camminando a grandi passi per la strada (cosa che, essendo una ballerina, non le era per niente abituale). Aveva cominciato a desiderare cibi quali peperoni verdi e birra, cose che fino ad allora non le erano mai piaciute. Sylvia aveva addirittura cominciato ad avere sogni ricorrenti riguardo a un uomo misterioso di nome Tim L., che lei riteneva potesse essere il suo donatore. E le cose, si seppe dopo, stavano proprio così. Quando incontrò quella che chiama la “famiglia del suo cuore”, Sylvia scoprì che il nome del donatore era effettivamente Tim L., e che i cambiamenti che aveva notato nei propri atteggiamenti, nei propri gusti e nelle proprie abitudini rispecchiavano effettivamente caratteristiche del donatore. Nel suo libro Il codice del cuore, il dottor Paul Pearsall presenta altri singolari esempi basati su 73 casi di trapianto in cui parti della personalità, dei ricordi e delle conoscenze del donatore sembravano essersi trasferiti ai trapiantati. In uno dei casi una bambina di otto anni aveva ricevuto il cuore di un’altra bambina che era stata uccisa. La trapiantata era finita poi in cura da uno psichiatra, tormentata da incubi sull’assassino della sua donatrice: diceva di sapere chi fosse l’omicida. Dopo alcune sedute, lo psichiatra decise di informare la polizia. Seguendo le istruzioni della ragazzina l’assassino venne effettivamente rintracciato. L’uomo venne condannato grazie a prove recuperate sulla base di indizi forniti dalla bambina: l’ora del delitto, l’arma, il luogo, gli abiti indossati dall’omicida e ciò che la vittima gli aveva detto. Tutte le informazioni fornite dalla trapiantata si rivelarono corrette. In un altro esempio, un ragazzino ebreo di otto anni morto in un incidente automobilistico aveva donato il proprio cuore a una bambina araba di tre anni con una grave malformazione cardiaca. Non appena la bimba si fu ripresa dall’anestesia dopo l’intervento, chiese di avere e indicò il nome di un tipo di caramelle ebraiche di cui non avrebbe potuto conoscere l’esistenza. Questi esempi sembrano confermare che il cuore sia molto più complesso e interessante di un semplice muscolo che pompa il sangue. Similmente a quanto osservato per il ventre, il cuore è stato a propria volta percepito soggettivamente come importante centro di conoscenza e percezione nella storia dell’umanità. Alcune delle più antiche civiltà di cui ci è giunta notizia, tra cui quella greca, quella mesopotamica e quella babilonese, indicavano il cuore come centro che racchiude l’intelligenza. Aristotele identificava il cuore come organo più importante del corpo e origine dei nervi. Avendo notato che, negli embrioni di pollo, il cuore era il primo organo a formarsi, Aristotele era convinto che fosse la sede di intelligenza, movimento e sensazione – il centro della vitalità corporea.

HEARTMATH

Al giorno d’oggi svariati gruppi, tra cui spicca lo HeartMath Institute presso Boulder Creek, California, stanno lavorando a modi per attingere all’intelligenza del “cervello del cuore”. A partire dall’idea che “il cuore è il più potente generatore di schemi di informazione ritmica nel corpo umano”, i ricercatori dello HeartMath Institute sostengono che “in quanto fondamentale punto nodale di molti dei sistemi che interagiscono nel corpo, il cuore ha un ruolo unico come potente punto di ingresso nella rete di comunicazione che connette corpo, mente, emozioni e spirito”. L’essenza dell’approccio HeartMath è che il cuore comunica con il cervello e il corpo in quattro principali modi:

1. Neurologicamente, tramite la trasmissione di impulsi nervosi mediante il nervo vago e la colonna vertebrale.

2. Biofisicamente, tramite il battito. Il cuore invia energia sotto forma di un’ondata di pressione sanguigna che porta maggiori o minori concentrazioni di sangue alle cellule del corpo e al cervello. È stato mostrato che i cambiamenti nell’attività elettrica del cervello hanno luogo in relazione ai cambiamenti nell’ondata di pressione sanguigna.

3. Biochimicamente, tramite il rilascio di neurotrasmettitori e ormoni quali il peptide atriale, che inibisce il rilascio di altri ormoni dello stress.

4. Energeticamente, tramite i campi elettromagnetici generati dal battito cardiaco. L’elettrocardiogramma impiegato per misurare il ritmo cardiaco, ad esempio, registra un segnale elettrico prodotto dal cuore. Questo segnale può essere rilevato ovunque nel corpo e permea lo spazio che lo circonda (torneremo in maggior dettaglio su questa idea dell’influenza energetica nella sezione sulla mente di campo).

Le ricerche e i metodi di HeartMath si concentrano principalmente sul processo per stabilire uno stato di coerenza psicofisiologica. Si sottolinea che le più recenti ricerche nel campo della neuroscienza confermano che emozione e cognizione andrebbero meglio pensate come funzioni o sistemi separati ma interagenti, ciascuno dotato di intelligenza propria. Le ricerche di HeartMath mostrano che la chiave per un’efficace integrazione della mente e delle emozioni risiede in un aumento della coerenza (funzionamento ordinato e armonioso) in entrambi i sistemi, e nel condurli a uno stato di fase l’uno con l’altro. A partire dall’idea che una maggiore coerenza si manifesta nel funzionamento più ordinato ed efficiente dei sistemi nervoso, cardiovascolare, ormonale e immunitario, i metodi di HeartMath promuovono uno stato che definiscono di coerenza psicofisiologica: uno stato che implica un elevato grado di equilibrio, armonia e sincronizzazione all’interno e tra i processi cognitivi, emotivi e fisiologici. Le ricerche condotte da HeartMath hanno mostrato che questo stato è associato a elevate prestazioni, ridotti livelli di stress, aumentata stabilità emotiva, e svariati effetti benefici per la salute. I metodi HeartMath si concentrano principalmente su una specifica modalità di funzione cardiaca, chiamata “modalità di coerenza interna”, la quale, si è dimostrato, accompagna stati percettivi interiori positivi. Da un punto di vista fisiologico, la modalità di coerenza interna si registra nella variabilità del battito cardiaco. Stati percettivi problematici e improduttivi quali rabbia e frustrazione esibiscono tipicamente uno schema di ritmo

cardiaco più casuale e frammentato, mentre sinceri stati positivi come l’apprezzamento possono risultare in schemi di variabilità del battito cardiaco molto ordinati e coerenti, generalmente associati a una migliore funzionalità cardiovascolare. La differenza è illustrata nel seguente diagramma, preso dal sito di HeartMath.

Confronto di ritmi cardiaci coerenti e incoerenti associati a diversi stati percettivi

HeartMath ha sviluppato una serie di semplici strumenti il cui fine è quello di aiutare le persone a entrare in contatto e trarre beneficio dall’intelligenza intuitiva del cervello del cuore per poter prendere decisioni migliori e impiegare la saggezza del cuore per gestire la mente e le emozioni. Un’approfondita esplorazione di queste tecniche, comprensiva di dati scientifici a supporto, si può trovare nel volume di Doc Childre e Howard Martin The HeartMath Solution. Questi strumenti trovano corrispondenza in molte strategie fondamentali della PNL. Una semplice ed efficace tecnica introduttiva si chiama Fermo immagine e consiste di una procedura di un minuto capace di portare a un significativo cambiamento di percezione, particolarmente utile in situazioni difficili o stressanti. Ecco, a seguire, una semplice panoramica riassuntiva dei passi da compiere per attuare il processo:

1. Portate la vostra attenzione al di fuori della testa, concentrandovi sull’area intorno al cuore. Mantenete l’attenzione su quel punto per almeno dieci secondi, continuando a respirare normalmente.

2. Richiamate alla mente un’esperienza o una sensazione positiva che avete avuto in passato, e rivivetela nella maniera più piena possibile. Vedete quello che avete visto, udite quello che avete udito, e soprattutto sintonizzatevi sulle vostre percezioni emotive per richiamare la cosa nella sua pienezza.

3. Chiedete al cervello del cuore: “Cosa posso fare in questa situazione per renderla diversa?”, oppure “Cosa posso fare per minimizzare lo stress?”.

4. Ascoltate la risposta del vostro cuore.

Anche se non doveste “udire” niente, vi sentirete probabilmente più calmi e rilassati. La risposta potrebbe giungervi non necessariamente sotto forma di parole, ma anche come immagini o percezioni. Potreste ricevere conferma di qualcosa che già sapete, oppure fare esperienza di un nuovo punto di vista e ottenere una visuale più equilibrata sulla situazione. Il Cut-Thruè un’altra tecnica HeartMath finalizzata ad aiutare le persone a gestire meglio le proprie emozioni. Lo scopo è quello di sviluppare la capacità di aprirsi un varco attraverso risposte emotive complesse e presenti da tempo, creando trasformazione dinamica e superando stati di blocco.

1. Prendete coscienza di come vi sentite riguardo al problema o alla situazione, concentrando la vostra attenzione sul cuore.

2. Assumete la posizione di osservatore della situazione. Fate come se fosse un problema di un’altra persona. Pensate a voi stessi in terza persona (“lui” o “lei” invece di “io” o ”me”). Quale tipo di consigli vi dareste se foste osservatori e coach di voi stessi?

3. Immaginate di portare nel vostro cuore qualsiasi sensazione distorta o energia emotiva sbilanciata. Lasciatela in ammollo, come se steste prendendo un bagno caldo, in modo tale che si rilassi, si integri e si trasformi. Abituatevi e allenatevi a lasciare che il cuore faccia il lavoro al posto vostro.

Lo scopo di questa tecnica è aiutare le persone a imparare ad accettare, accogliere e trasformare le sensazioni e le emozioni difficili, invece di reprimerle. Un terzo strumento, Heart Lock-In, comporta un’esperienza del proprio cuore a un livello più profondo, allo scopo di produrre effetti di rigenerazione fisica, mentale e spirituale.

1. Spostate la vostra attenzione dalla mente al cuore, e lasciatela in quell’area.

2. Richiamate alla mente la sensazione di amore, connessione o affetto che provate per qualcuno con cui queste emozioni sorgano facilmente. Concentratevi su una sensazione di apprezzamento o gratitudine per qualcuno o per qualcosa di positivo. Allenatevi ad accogliere quella sensazione e rimanervi concentrati per 5-15 minuti.

3. Inviate dolcemente quella sensazione di amore o di apprezzamento a voi stessi e agli altri.

Potete scoprire di più sulle ricerche, i metodi e i programmi di formazione di HeartMath sul sito www.heartmath.org.

IL RESPIRO

La respirazione è un altro elemento chiave che influenza la qualità e l’efficacia sia della mente cognitiva sia di quella somatica. Attraverso il respiro portiamo ossigeno al corpo, al sistema nervoso e al cervello; i mammiferi e altri organismi viventi hanno bisogno di ossigeno per rilasciare energia tramite il metabolismo di molecole quali ad esempio quelle di glucosio. La respirazione è anche il meccanismo tramite il quale filtriamo l’anidride carbonica e altri gas che devono lasciare il corpo. I polmoni sono i principali organi della respirazione negli esseri umani. I nostri polmoni immettono ossigeno nel sangue quando questo li attraversa nel suo percorso di ritorno verso il cuore. Una volta raggiunto il cuore, il sangue viene pompato nel cervello e poi verso il resto del corpo. Passando attraverso il cervello e il corpo, il sangue deposita ossigeno negli organi. Prima di raggiungere i polmoni, il sangue, quasi privo di ossigeno, ha un colore scuro e spento; appena effettuata la ricarica di ossigeno, riassume un colore rosso brillante.

Polmoni

Gli organi impiegati nel processo respiratorio comprendono la bocca, il naso e le narici, la faringe, la laringe, la trachea, i bronchi, i bronchioli, il diaframma, i polmoni e le porzioni terminali dell’albero respiratorio, quali i capillari e gli alveoli (attraverso i quali ha luogo lo scambio gassoso col sangue). Gli esseri umani hanno due polmoni, il sinistro diviso in due lobi e il destro in tre. Complessivamente i polmoni contengono circa 2400 chilometri di passaggi per l’aria, e dai 300 ai 500 milioni di alveoli. Inoltre, se tutti i capillari attorno agli alveoli fossero messi per lungo e in linea, si estenderebbero per circa 998 chilometri. I polmoni sono dunque organi molto intricati e complessi che ci connettono con l’ambiente circostante. La respirazione è essenziale per la sopravvivenza. Non possiamo vivere senza respirare se non per un tempo brevissimo, dopodiché cominciano a insorgere gravi danni. Il ritmo respiratorio tipico per un adulto a riposo è di 10-20 respiri al minuto, con l’espirazione che dura quasi il doppio dell’inspirazione (il termine medico per la respirazione normale

e rilassata è eupnea). La respirazione è anche essenziale per avere prestazioni ottimali, sia mentali sia fisiche. Stati di grande energia, sforzo, concentrazione, attenzione e presenza richiedono elevati livelli di ossigeno nel corpo, nel cervello e nel sistema nervoso, il che comporta di fare respiri più pieni e più profondi. Quello che si intende con respirazione di sopravvivenza si ha quando una persona respira giusto quanto basta per farcela fino al respiro successivo. Molti di noi respirano in questo modo senza rendersene conto. Per dare il meglio e poter accedere appieno all’intelligenza e alla saggezza della nostra mente somatica, dobbiamo respirare andando al di là della respirazione di sopravvivenza. La respirazione è una delle poche funzioni corporee di base che, entro certi limiti, è possibile controllare sia consciamente sia inconsciamente. La respirazione intenzionale è comune in molte forme di meditazione, nello yoga e in altre pratiche di presenza mentale. Con il nuoto, facendo attività aerobica e prendendo lezioni di canto o di recitazione, si impara a disciplinare il proprio respiro, inizialmente in modo conscio e poi in modo subconscio, per finalità che vanno al di là della sopravvivenza e del “mantenimento della vita”. Nel tai chi chuan, ad esempio, l’allenamento aerobico è combinato con la respirazione per esercitare i muscoli del diaframma e la pratica di una postura efficace, aspetti che migliorano l’utilizzo dell’energia del corpo. Molte culture antiche hanno associato il respiro a una “forza vitale”. La Bibbia ebraica riporta che Dio ha insufflato il “respiro della vita” nella creta per dare ad Adamo un’anima vivente. Si parla anche del respiro che ritorna a Dio quando si muore. Le parole “spirito”, “qi” (chi) e “psiche” sono collegate al fenomeno del respiro. Dal punto di vista di molte delle grandi tradizioni spirituali e filosofiche del mondo, il nostro respiro non solo porta prezioso ossigeno e altri gas al corpo fisico, ma è anche in grado di portare, quando ne siamo consci, altre “energie” (ad esempioprana, chi e via dicendo) necessarie per aiutare a nutrire i nostri “corpi sottili” o le nostre anime. In questa prospettiva la respirazione è la nostra connessione più importante con l’ambiente che ci circonda, mentre scambiamo respiri con l’universo. Quando espiriamo diamo il nostro spirito al mondo. Quando inspiriamo, stiamo ricevendo lo spirito del mondo. Indipendentemente dalle nostre convinzioni riguardo all’anima e allo spirito, il nostro respiro e il nostro modo di respirare sono intimamente connessi con un aspetto del nostro essere. Non sorprende dunque che molti approcci tradizionali per accrescere la coscienza includano pratiche basate sull’attenzione al respiro. La respirazione ci accompagna dal nostro primo respiro di neonati all’ultimo prima di morire. Il respiro ha sempre luogo nel momento presente, ed è per questo un’eccellente ancora per portare la nostra attenzione a una connessione presente e costante con la nostra intelligenza somatica. Anche solo prendendosi qualche secondo per spostare l’attenzione alla sensazione del movimento del respiro nel corpo, il processo di pensiero sequenziale della mente che generalmente ci domina allenta la sua presa su di noi, il corpo si rilassa, e possiamo continuare poi a fare quello che stiamo facendo dotati di più presenza e risorse, più connessi a noi stessi e alla nostra intelligenza somatica nel momento presente. Una semplice pratica di respirazione che potete fare vostra è quella di seguire consciamente il vostro respiro nelle molte e mutevoli circostanze della vostra vita. Mentre inspirate, prendetene semplicemente coscienza. E quando espirate, siatene

semplicemente consci. Provate questo esercizio per una decina di minuti almeno tre volte al giorno. Vi aiuterà a liberarvi dagli automatismi dei vostri pensieri e delle vostre reazioni emotive, permettendovi di vivere con maggiore ricettività e chiarezza nel momento presente. Potreste trovare questo esercizio di particolare utilità nei momenti in cui siete ansiosi o arrabbiati. Fatevi subito un’idea: prendetevi adesso un istante per portare la vostra attenzione sulla respirazione. Sentite l’aria che entra dalle narici, e il corpo che si espande mentre inalate. Sentite l’aria che esce, dalle narici o dalla bocca, e il rilascio di tensione muscolare che accompagna l’espirazione. Lasciate che il ritmo segua il proprio andamento, naturalmente, e con gentile curiosità percepite le sensazioni che la respirazione produce nel vostro torace. Mantenete l’attenzione sul respiro finché non percepite un cambiamento nel vostro stato interiore. Quando vi sentite pronti, riportate l’attenzione a quello che state facendo (leggere questa pagina, ad esempio), ma lasciate che una porzione della vostra presenza mentale rimanga presente al respiro. Notate anche se si manifestano resistenze (impazienza, frustrazione, scetticismo, procrastinazione) al prestare la vostra attenzione per qualche minuto al respiro. La vostra mente cognitiva potrebbe ribellarsi all’interruzione della sua normale attività, ma potete rassicurarla che si tratta di una cosa solo momentanea. Il monaco buddista e maestro spirituale Thich Nhat Hanh suggerisce un’altra semplice pratica di respirazione, che amplia questo esercizio di base con l’aggiunta di alcune parole nei momenti di inspirazione ed espirazione.

Inspiro (inspirando), sono calmo Espiro (espirando), sorrido

Potete anche aggiungere le frasi:

(Inspirando) Mi soffermo sul momento presente (Espirando) So che questo è un momento meraviglioso

Un’altra semplice ma potente pratica di respirazione è quella detta del “4 al quadrato”: 1. Inspirate contando fino a 4 2. Trattenete il respiro contando fino a 4 3. Espirate contando fino a 4 4. Trattenete il respiro contando fino a 4 5. Ripetete il ciclo

Notate la differenza quando cambiate la velocità e il ritmo. Notate dove va nel corpo il vostro respiro, attraverso i polmoni, sotto le braccia e nella schiena e così via. Seguite il respiro con la vostra attenzione conscia.

INTEGRAZIONE SOMATO-RESPIRATORIA

L’Integrazione Somato-Respiratoria™ (SRI) è un processo sviluppato da Donald Epstein, fondatore della Network Spinal Analysis (NSA). Gli esercizi di Integrazione Somato-Respiratoria descritti nel suo libro La via – I dodici stadi della guarigione sono studiati

per aiutare il cervello a riconnettersi con il corpo e con la sua intelligenza somatica attraverso il processo della respirazione. Epstein afferma che: “Questi esercizi riconnettono la respirazione con la coscienza del corpo e dei suoi ritmi naturali, e aiutano la persona a vivere il proprio corpo in maniera più piena, trasformandone istantaneamente lo stato di coscienza in uno che sostiene la fiducia nel mente-corpo e il processo di guarigione, e al tempo stesso promuove un senso di pace e di benessere”.

Qui sotto presentiamo un esempio di un esercizio creato da Epstein e conosciuto come Stadio Uno del processo di SRI (che consiste in tutto di dodici stadi).

1. Stendetevi supini o sedetevi. Toccatevi la parte superiore del petto, sopra lo sterno, con entrambe le mani, palmi rivolti verso il corpo, e inspirate lentamente e delicatamente attraverso il naso, espirando poi attraverso la bocca. Inspirate profondamente giusto quanto basta per percepire il respiro che incontra il ritmo del sollevarsi del torace. Localizzate l’area del movimento e respirate nella zona sotto le vostre mani. Non permettete che si muovano altre aree del corpo. Ripetete questo processo per alcuni respiri.

2. Ora eseguite lo stesso esercizio con le mani poste sotto allo sterno e sopra al diaframma, e respirate come prima. Poi ponete le mani sull’addome (vicino all’ombelico) e ripetete. Ricordate di respirare dolcemente e solo nell’area su cui avete appoggiato le mani. Notate in quali zone è più facile, e dove vi porta un senso di pace e di benessere, e in quali invece la cosa sembra più difficile o comporta sensazioni spiacevoli.

3. Identificate la zona che porta le sensazioni più positive e sulla quale riuscite a concentrare respirazione e movimento con il massimo benessere. Ponetevi di nuovo le mani sopra, respirate dolcemente e delicatamente e lasciate che la pace che provate in quel punto si diffonda alle aree in cui invece le sensazioni erano meno positive.

4. Una volta trovata la “connessione” con il luogo di pace e benessere, quando sarete riusciti a concentrare respirazione e movimento solo in quell’area, alternate il tocco e il respiro tra questo punto e quelli meno positivi. Quando abbracciate l’area meno positiva dovreste cercare di farvi arrivare il respiro il più vicino possibile, e gemere o riprodurre il suono di quella zona – il suono che quel punto del vostro corpo emetterebbe se potesse parlare.

5. Dopo aver fatto il suono dell’area (non più di trenta secondi per le zone spiacevoli), ponete le mani di nuovo sulla zona di connessione, benessere e pace. Emettete un suono che rappresenti la pace, il benessere o il sollievo in questo punto. Alternate tra l’area di connessione o pace e quella spiacevole per qualche minuto (solitamente fino a dieci). Notate se provate maggior conforto o un senso di maggiore benessere, e se i suoni tra le due aree tendono a fondersi.

Ulteriori informazioni sulla SRI, su Donald Epstein, e sulla Network Spinal Analysis si possono trovare all’indirizzowww.associationfornetworkcare.com

LA SPINA DORSALE

Nell’anatomia umana, la spina dorsale (o colonna vertebrale) è una struttura che racchiude e protegge il midollo spinale. È composta di sette vertebre cervicali, dodici vertebre toraciche, cinque vertebre lombari, il sacro e il coccige. Le costole sono collegate alla spina dorsale toracica.

La spina dorsale umana

Il midollo spinale è un fascio di tessuti nervosi e cellule di supporto, del diametro approssimativo di un dito umano, e si estende dal cervello per tutta la lunghezza della colonna vertebrale. Questi nervi sono racchiusi nella guaina meningea e circondati da fluido cerebrospinale, che funge da ammortizzatore per proteggerli dalle sollecitazioni contro la parte interna della spina dorsale. Il midollo spinale si biforca in ramificazioni appaiate di nervi a ciascun livello della spina dorsale, a eccezione delle ultime vertebre cervicali. Queste ramificazioni nervose si dipartono dalla spina dorsale da entrambi i lati attraverso spazi tra ciascuna delle vertebre.

I nervi cervicali si collegano con le spalle, le braccia, il collo e le mani. Essi controllano anche la funzione della gola, dei seni frontali, del naso, della tiroide, di linfonodi e del diaframma.

I nervi toracici scorrono sulla parte mediana della schiena, dipartendosi verso muscoli, tessuti e organi interni. Essi influenzano il tessuto superficiale dei gomiti, delle mani e delle dita, oltre che il petto, l’addome, il cuore, i polmoni, il fegato, lo stomaco, il pancreas, la milza, le ghiandole surrenali, i reni e l’intestino tenue.

I nervi lombari sono responsabili della coordinazione dei muscoli della parte bassa della schiena, delle cosce e delle gambe, dei polpacci e dei piedi. I nervi che si dipartono dalla

zona lombare controllano inoltre l’intestino crasso, l’appendice, la vescica, la prostata e gli organi riproduttivi maschili e femminili.

I nervi sacrali si trovano nel sacro e nel coccige, dipartendosi dai quali influenzano i glutei, il bacino, le cosce e le gambe, oltre che il retto e alcuni tessuti pelvici.

Il midollo spinale si diparte dalla colonna vertebrale negli spazi tra ogni vertebra.

Il midollo spinale è dunque il principale percorso delle informazioni che connette il cervello, il sistema nervoso periferico e il resto del corpo. La sua funzione primaria è quella di trasmettere i segnali neurali tra il cervello e l’intero corpo, ma contiene anche circuiti neurali indipendenti che controllano svariati riflessi. Il midollo spinale ha quindi tre principali funzioni: 1. trasmettere e distribuire i segnali motori che partono dal cervello; 2. raccogliere e inviare al cervello informazioni sensoriali dalle aree periferiche del corpo; 3. fungere da centro per la coordinazione di certi riflessi.

Come la pancia e il cuore, anche il midollo spinale riveste funzioni indipendenti da quelle del cervello. Dalla spina dorsale si dipartono fibre nervose che raggiungono ogni parte del corpo. La posizione della colonna vertebrale e il livello di tensione sul midollo spinale possono avere grande influenza sul funzionamento del nostro corpo e del sistema nervoso. Danni a questi nervi possono causare dolore, formicolio, perdita di sensibilità o debolezza nell’area di pertinenza. Problemi associati ai nervi toracici sono ad esempio l’asma, le allergie, le ulcere e i problemi renali.

LA POSTURA DEL CORPO

Chiunque abbia praticato arti marziali o yoga, o abbia esperienza dei diversi approcci di lavoro sul corpo che si concentrano sulla struttura e il movimento (osteopatia, metodo Alexander, metodo Feldenkrais e così via), sa che la nostra postura e il nostro modo di muoverci sono un riflesso esteriore della nostra vita interiore, e che al tempo stesso possiamo influenzare i nostri stati interiori praticando attenzione al corpo. Un’altra pratica che può quindi aiutarci a imparare ad avere maggiore accesso alla nostra intelligenza somatica è quella di sviluppare coscienza della nostra postura. In qualsiasi momento possiamo rivolgere l’attenzione al corpo fisico e diventare consci della nostra postura: ciò orienta l’attenzione al momento presente, e di nuovo rallenta il processo sequenziale della mente cognitiva che tende, pensando, a distaccarci dal corpo. Possiamo ad esempio accorgerci di come stiamo mantenendo nella colonna vertebrale una tensione che non ha un’utilità, e ridurre dunque il dispendio di energia in eccesso per essere più ricchi di risorse e carichi nel presente. Senza cambiare niente nella vostra postura, prendete coscienza di come siete seduti (o in piedi, o distesi) in questo preciso momento. Prendetevi il tempo per “visitare” il vostro corpo: il collo, la faccia, la spina dorsale, la pancia, il petto, il bacino e qualsiasi altra parte del corpo che richiami la vostra attenzione. Individuate le sedi della tensione in eccesso (ad esempio dietro al collo) o della mancanza di vitalità (ad esempio petto afflosciato, spalle cadenti). Permettete al vostro corpo di aggiustare delicatamente la postura, usando come ausilio la respirazione. Espirate per facilitare il rilascio della tensione in determinate zone, “espirando attraverso di esse”. Per recare tono alle aree che mancano di energia, lasciate che il respiro le riempia delicatamente mentre inspirate. Non forzate alcunché, ma lasciate invece che il vostro corpo trovi uno stato più ricco di risorse e di equilibrio mentre vi concentrate e “respirate con esso”. Può anche essere di aiuto immaginare il petto che si solleva e si espande. Muovete il centro della cassa toracica verso l’alto mentre sentite la zona del cuore che si apre. Al tempo stesso, immaginate la colonna vertebrale che si allunga. Come se aveste un cavo attaccato alla cima del cranio, sentite la testa che molto dolcemente viene tirata verso l’alto. Pensate “testa sgombra” e sentite allungarsi il retro del collo, e il mento che si muove leggermente verso il basso e in dentro. Sentite liberarsi il giunto occipitale, dove la colonna vertebrale incontra il cranio. Immaginate lo spazio tra ciascuna delle vertebre fino in fondo alla spina dorsale. In fondo alla colonna vertebrale, immaginate il sacro e il coccige (la “codina”) che si estendono al di là del corpo fisico continuando verso il pavimento, come se la spina dorsale continuasse in una sorta di “coda di canguro”, fino a toccare terra. Questo può produrre un senso di allungamento nella vostra zona lombare, e un generale stato di rilassamento in quella pelvica. È utile immaginare che questa “coda” continui a estendersi, come una radice, sempre più in profondità nella terra. Ancora una volta, non forzate nulla e mantenetevi consci delle sensazioni presenti nel corpo. Quando siete pronti, riportate l’attenzione a quello che stavate facendo, mantenendo parte della vostra presenza mentale sul senso percepito del vostro corpo fisico. Notate quali cambiamenti si producono nel vostro stato interiore quando ponete l’attenzione sulla spina dorsale e sulla postura del corpo.

NETWORK SPINAL ANALYSIS™ (NSA)

Un buon esempio del lavoro sulla spina dorsale come parte di una più ampia mente somatica è la Network Spinal Analysis™, sviluppata da Donald Epstein, i cui processi di Integrazione Somato-Respiratoria sono descritti nella sezione sul respiro. Operando inizialmente a partire dal tradizionale paradigma della chiropratica, Epstein ha scoperto con sua sorpresa che una delicata manipolazione della porzione superiore o inferiore della spina dorsale è in grado di riallineare l’intera colonna vertebrale. La respirazione profonda, combinata a movimenti ondulatori e alla dissipazione di tensione accumulata nella colonna, si manifestava spesso in concomitanza di queste leggere manipolazioni, risultando in un complessivo miglioramento della qualità della vita del paziente. Utilizzando la colonna vertebrale come punto di accesso chiave a una più vasta intelligenza somatica, Epstein cominciò a rendersi conto degli enormi benefici che poteva produrre un minimo cambiamento fisiologico, nelle condizioni adatte. Trattandosi di un approccio non lineare al benessere, la risposta fisiologica e il livello di salute raggiunto erano ben maggiori rispetto allo stimolo ricevuto. Non era necessario applicare una forza intensa per creare cambiamenti significativi a livello della fisiologia: Epstein osservò che, al contrario, applicare una manipolazione forzosa poteva inibire questo benefico processo. Per distinguerlo dai metodi della chiropratica più tradizionali, chiamò questo suo nuovo approccio Network Spinal Analysis™. Operando con l’approccio della NSA – ove si presuppone che il corpo non sia semplicemente una macchina in cui il midollo spinale è un gruppo di cavi elettrici che lo collegano col cervello – Epstein trovò che i ricordi di infortuni infantili, incidenti, o altri traumi fisici o psicologici sono spesso immagazzinati sotto forma di tensione e schemi energetici nella colonna vertebrale e in altre parti del corpo. Questa energia, confinata sotto tensione, è come una sorta di potente molla. Nel tempo si manifesta sotto forma di muscoli tesi, blocchi articolari, resistenze ai movimenti che coinvolgono il corpo nella sua interezza, depressione e respirazione superficiale, nonché sotto forma di dolori e malattie. La capacità della mente somatica di ricevere, far circolare e dissipare energia, combinata con i nostri condizionamenti presenti e passati, ha un effetto rilevante sulla nostra salute e sul modo in cui interpretiamo determinate situazioni e a esse reagiamo. Nel tempo, l’energia che non è libera di circolare genera tensione. Quando questa energia viene liberata (o convertita da uno stato in cui è confinata a uno in cui è più libera), essa può essere sfruttata per alimentare la guarigione, la creatività o altre attività generative. L’intensità dei sintomi, la durata di una problematica o la gravità di una patologia non determinano di per sé l’intensità delle misure necessarie per portare alla guarigione. Un piccolo cambiamento, se percepito dal sistema nervoso nello stato adatto, può liberare l’energia e la tensione immagazzinate. Esse si rendono così disponibili al corpo, che le utilizza in maniera costruttiva per fini quali la guarigione e la trasformazione. Per riportare un esempio personale, all’età di quattordici anni l’autore Robert Dilts ebbe un infortunio alla schiena in un incidente di sci nautico. Ne risultarono una compressione vertebrale e un danno strutturale osseo nella zona lombare che gli crearono dolori, debolezza e problemi posturali per quasi trent’anni. Dopo alcune sedute con un professionista in NSA, il dottor John Amaral di Santa Cruz, i sintomi scomparvero e

furono sostituiti da un senso di accresciuta energia, vitalità e resistenza fisica, che permangono tuttora, dodici anni dopo, al momento della stesura di questo volume. L’aggiustamento e l’armonizzazione della colonna vertebrale, le pratiche di respirazione e altri esercizi sono alcuni degli strumenti impiegati da chi si avvale della NSA.

Ulteriori informazioni sulla Network Spinal Analysis™ sono disponibili online su www.associationfornetworkcare.com

I PIEDI

I piedi sono un’altra parte del nostro corpo che gioca un ruolo chiave nell’accesso alla mente somatica e nella sua ottimizzazione. Spesso non pensiamo ai piedi come a una parte rilevante del sistema nervoso, eppure essi hanno un considerevole effetto sul modo in cui il corpo e la mente funzionano e interagiscono con il mondo attorno a noi. Come menzionato in precedenza, in alcune tradizioni le gambe fanno da estensione allo hara, o cervello della pancia, connettendolo alla terra attraverso i piedi, radicandoci e al tempo stesso permettendoci la mobilità. Da un punto di vista fisiologico, i dati sensoriali raccolti dai piedi hanno un ruolo importante per l’equilibrio e la postura. Quando siamo in piedi, le nostre estremità inferiori sono il principale punto di contatto con la terra. La postura dipende completamente dal modo in cui le piante dei piedi sono in contatto con la superficie sottostante. Similmente ai palmi delle mani, le piante dei piedi sono estremamente sensibili al tocco grazie all’alta concentrazione di terminazioni nervose, necessarie per apportare le piccole ma costanti correzioni che permettono di mantenere l’equilibrio e la postura eretta. Un’aumentata coscienza delle piante dei piedi ci permette dunque di avere maggiore stabilità, mobilità ed equilibrio. Moshe Feldenkrais si intratteneva talvolta da mezz’ora a un’ora con una persona stesa supina toccandole delicatamente le piante dei piedi per aiutarla a migliorare la postura o a camminare con maggiore equilibrio e stabilità. Se necessario, i piedi sono in grado di fare quasi tutte le cose che possono fare le nostre mani. Le persone che hanno perso braccia o mani (soprattutto se in tenera età) spesso riescono a imparare a fare pressoché qualsiasi cosa coi piedi, dal mangiare e bere, allo scrivere con una penna o al computer, guidare un’automobile e così via. Al riguardo esistono alcuni video affascinanti e ricchi di ispirazione che si possono reperire su internet tramite Youtube. Fate una ricerca alla voce Barbara Guerra (madre priva di braccia) e Jessica Parks. Alcuni approcci alternativi alla salute e alla guarigione, quali ad esempio la riflessologia, sostengono che diverse parti delle piante dei piedi corrispondono alle varie parti, ghiandole e organi del resto del corpo. La riflessologia, o terapia a zona, si basa sull’idea che tutte le parti del corpo siano rappresentate da zone delle mani e dei piedi, e che applicando pressione in punti specifici delle estremità si possono avere effetti terapeutici su altre zone. Le aree riflessuali dei piedi rivelano lo stato generale di tensione della persona, che risulta da una vita di adattamento allo stress. Segnali di stress nei piedi sono come una mappa per il riflessologo. Ogni qualvolta se ne trovano, è un segno che lo stress e i suoi effetti hanno cominciato ad accumularsi nelle corrispondenti parti del corpo.

Le varie zone nella pianta del piede secondo la riflessologia

A un altro livello, un’ampia porzione del nostro sistema nervoso è strutturata per sostenere la sopravvivenza attraverso riflessi in varie parti del corpo. La nostra capacità di muoverci è una componente fondamentale per la nostra sopravvivenza. È un fattore chiave sia nelle reazioni di “attacco” sia in quelle di “fuga”, e abbiamo bisogno dei piedi per muoverci. Se i nostri piedi non sono radicati, mancano di equilibrio o sono ristretti nel movimento per periodi prolungati, la nostra sopravvivenza potrebbe essere a rischio. La maggior parte dei nervi nel corpo umano sono progettati per rilevare come ci stiamo muovendo nello spazio e sono situati nelle giunture. Dopo la testa e le mani, i piedi sono una delle zone più articolate del corpo. Se le nostre articolazioni sono ristrette nei movimenti o disturbate, le strutture ossee non possono fare ciò per cui sono progettate: sostenerci affinché ci muoviamo. Questo viene a sua volta interpretato dal resto del sistema somatico come una minaccia. Giunti immobilizzati o sbilanciati segnalano al nostro corpo l’esistenza di un problema o di una minaccia. Queste esperienze soggettive relative ai piedi si rispecchiano anche in espressioni del “linguaggio degli organi” come: “Mi sono sentito mancare la terra sotto i piedi”, “Devo imparare a stare in piedi da solo”, “Devo andarci coi piedi di piombo”.

Per la stabilità e l’equilibrio (tanto fisico quanto emotivo), i nostri piedi devono essere fermamente piantati al suolo, il che non sempre è facile quanto potrebbe sembrare a parole. Spesso trascuriamo i nostri piedi: tacchi alti, scarpe troppo strette o sformate e calzature con inadeguato supporto dell’arcata plantare possono distorcere la forma naturale del piede e portargli considerevole tensione fino all’immobilità. In seguito a questa tensione dei tendini e dei muscoli, i piedi alla fine diventano sbilanciati e instabili. Piedi instabili e non radicati al suolo possono portare a disequilibri posturali dell’intero corpo, creando in tutto il sistema somatico una tensione che può causare dolori alle gambe, problemi alle ginocchia e al bacino, dolori lombari, al collo e alle spalle, e persino mal di testa; un’altra delle conseguenze possibili è un senso di instabilità, mancanza di equilibrio e di armonia nella nostra esperienza della vita, che limita l’accesso al pieno potenziale dell’intelligenza somatica. Gabrielle Roth, sviluppatrice dei 5Ritmi®, pone grande enfasi sui piedi. Il principio fondamentale della sua pratica di movimento trasformazionale è di “seguire i propri piedi”. Incoraggia i partecipanti ai suoi seminari a danzare liberamente a piedi nudi per aumentare il senso di contatto e di radicamento con la terra e migliorare la capacità di movimento.

PRATICA DI RILASCIO DELLA TENSIONE NEI CUSCINETTI ADIPOSI PLANTARI

Distendendo e massaggiando i muscoli e i tendini sotto i piedi, potete creare delle fondamenta più stabili e solide per camminare, evitando così eventuali problemi a ginocchia, bacino e area lombare. Distendere i tre cuscinetti del piede (centrale, laterale e tallone) permette alle estremità di riguadagnare il contatto completo con la terra, e con esso la stabilità e l’equilibrio in tutto il corpo. Per riequilibrare e stabilizzare i cuscinetti adiposi plantari, seguite questi tre passaggi. Applicate una pressione decisa nel mettere in pratica queste tecniche. 1. Cuscinetto centrale: mettete le dita sul cuscinetto centrale del piede. Inspirate. Espirate e trascinate le dita sopra il cuscinetto e attraverso le dita dei piedi, mentre distendete tutto l’arto. Ripetete tre volte. 2. Cuscinetto laterale: mettete le dita sulla pianta del piede, sul tessuto soffice dell’area più rosea dell’arto. Inspirate. Espirate e trascinate le dita verso l’esterno del piede mentre ruotate il piede verso l’interno. Ripetete tre volte. 3. Cuscinetto del tallone: mettete le dita sull’area di tessuto morbido di fronte al tallone. Inspirate. Espirate e trascinate le dita sulla superficie del tallone mentre flettete il piede, con le dita del piede rivolte verso il cielo. Ripetete tre volte.

Una volta che avete stabilizzato un piede, alzatevi e camminate un poco. Quando la pianta tocca il suolo, dovreste percepire una sua maggiore apertura e ampiezza, e conseguentemente un senso di maggiore equilibrio, stabilità e connessione con la terra, nonché una maggiore elevazione dell’arcata plantare. Ripetete poi la sequenza per la pianta dell’altro piede.

L’OMUNCOLO DELLA CORTECCIA – IL CORPO NEL CERVELLO

Finora abbiamo esaminato i vari aspetti del sistema nervoso all’interno del corpo che compongono la nostra intelligenza somatica – i cervelli nel corpo. Il cosiddetto omuncolo della corteccia è una rappresentazione del modo in cui il nostro cervello percepisce il corpo, il che a sua volta gioca un ruolo nella nostra coscienza somatica. L’omuncolo della corteccia, ad esempio, rappresenta il numero relativo delle cellule della corteccia cerebrale dedicate a percepire o a far funzionare le varie parti del corpo, dando un’indicazione della proporzione di cellule assegnate a ciascuna parte. In altre parole, l’omuncolo della corteccia è una mappa della porzione relativa della corteccia associata alle diverse parti del corpo. Esso riflette anche la propriocezione cinestesica, il modo in cui il corpo è percepito in movimento. Alcune parti del corpo sono collegate a un più vasto numero di cellule sensorie e motorie nella corteccia cerebrale. Queste parti del corpo sono rappresentate come aventi dimensioni maggiori nell’omuncolo. Una parte del corpo con numero minore di connessioni sensorie o motorie nel cervello viene rappresentata come avente proporzioni minori. Ad esempio il pollice, che viene usato per migliaia di attività complesse, appare molto più grande della coscia con la sua gamma relativamente semplice di movimenti.

L’omuncolo della corteccia mostra la quantità relativa di cellule sensorie e motorie nel cervello dedicate a diverse parti del corpo.

L’omuncolo della corteccia è il fondamento del nostro modello mentale del corpo e dell’immagine che abbiamo di noi stessi – vale a dire il corpo nel cervello. Rispecchia la nostra percezione cognitiva conscia del corpo e le cancellazioni, generalizzazioni e distorsioni che la accompagnano. Se riportassimo questa rappresentazione sotto forma di un corpo, ne risulterebbe un essere umano deforme con mani, labbra e faccia enormi e sproporzionate rispetto al resto del corpo.

L’omuncolo della corteccia è un esempio molto profondo della differenza tra “mappa” e “territorio”. Abbiamo sia un effettivo braccio materiale sia una rappresentazione cerebrale interna di quel braccio (il territorio e la mappa). Non sono la medesima cosa, e

questa differenza è ciò che rende possibili fenomeni come quello degli “arti fantasma” o quello inverso della “allucinazione negativa” di parti del corpo che, pur essendoci, sono percepite come mancanti.

Il corpo umano come si presenterebbe se visto come viene rappresentato nell’omuncolo della corteccia

La percezione che il cervello ha del corpo non è il corpo stesso, così come non lo è la rappresentazione che ne ha la mente somatica. Pensate alla pancia: un conto è quella zona del corpo, con tutto ciò che contiene, un conto è la rappresentazione che se ne fa il cervello. E in aggiunta a questa, vi è anche la percezione che il cervello enterico ha della zona addominale. Chiaramente ciò che Gendlin ha indicato come “senso percepito” del nostro corpo comprende ben di più dell’omuncolo, e integra la percezione puramente somatica oltre che quella della corteccia. La mente somatica e la mente cognitiva assegnano naturalmente priorità a diverse parti e aspetti del corpo e della fisiologia. La corteccia è largamente dedicata all’elaborazione delle informazioni che provengono dagli organi di senso orientati verso il mondo esterno. Il sistema nervoso somatico gestisce il nostro mondo interiore. La corteccia è stata l’ultima parte del cervello umano a evolversi. La sua struttura e le sue funzioni sono dunque molto più recenti rispetto a quelle delle parti del sistema nervoso di origini più antiche (quali il sistema enterico, il sistema neuro-cardiaco, il midollo spinale, il “cervello rettile” e via dicendo). La corteccia cerebrale, che è una caratteristica unica degli esseri umani, si è sviluppata per aiutarci a gestire interazioni sociali, culturali e ambientali. È per questo che nell’omuncolo parti del corpo come mani, labbra e lingua sono così accentuate: sono quelle che utilizziamo per comunicare e per manipolare il mondo esterno. L’omuncolo della corteccia è una rappresentazione di noi stessi perlopiù orientata all’aspetto sociale, culturale e ambientale. Ci sono anche segni del fatto che l’omuncolo della corteccia si sviluppi nel tempo in base alle nostre esperienze di vita e che, quindi, esso sia diverso da persona a persona. La rappresentazione cerebrale della mano in un bambino piccolo, ad esempio, è ben diversa da quella nel cervello di un pianista affermato. Possiamo anche prevedere che, nel caso già menzionato di persone che abbiano perso mani e braccia e imparato a mangiare, scrivere e guidare usando solo i piedi, una porzione molto più vasta del loro

omuncolo motorio sia con ogni probabilità dedicata ai piedi, paragonato a quanto si riscontrerebbe in una persona che usa tutti e quattro gli arti. Un’importante implicazione di questo fatto è che, entro certi limiti, il nostro grado di coscienza e di utilizzo di una determinata parte del corpo può alterarne la rappresentazione nella corteccia cerebrale. Il tipo di pratiche proposte in questo libro, dunque, potrebbe alterare la struttura Neuro-Linguistica del cervello (e forse anche altre parti del sistema nervoso). Questo può aiutarci ad avere un senso percepito più equilibrato e integrato del nostro corpo e di noi stessi.

ESPLORARE IL PROPRIO OMUNCOLO SOGGETTIVO

Il nostro omuncolo della corteccia si rispecchia nell’omuncolo soggettivo – la nostra personale percezione del corpo. Se portate la vostra attenzione al senso introspettivo che avete del vostro corpo, noterete senza dubbio che alcune parti spiccano spontaneamente nella vostra mente più di altre. Esplorare l’omuncolo che percepite soggettivamente comporta il notare quali parti del corpo siano più o meno presenti alla vostra attenzione conscia in un determinato momento. Questo può fornirvi una buona quantità di feedback riguardo alla vostra relazione con le diverse parti del vostro corpo, e riguardo al tipo di attività in atto nella vostra mente somatica. Se vi fermate per un istante e portate la vostra attenzione sul corpo in questo momento, quali parti di esso (vale a dire colonna vertebrale, mani, occhi, pancia, bacino…) si presentano più facilmente alla vostra mente? Ricordate che l’omuncolo non è un registro di reazioni emotive, ma riguarda piuttosto sensazioni fisiche e movimento. Alcune parti del vostro corpo potrebbero non rientrare per niente nello spettro dell’attenzione conscia. Ci sono parti (piante dei piedi, lobi delle orecchie, gomiti, polmoni, alluce sinistro e così via) assenti dalla vostra mente conscia in questo istante? Può essere illuminante osservare attentamente il proprio omuncolo soggettivo quando ci si trova in diversi stati interiori o quando si sta operando a diversi livelli di prestazioni. Provate ad esempio l’esercizio seguente:

1. Ricordate un’esperienza in cui sentivate di avere accesso a un numero molto limitato di risorse (sensazioni di blocco, confusione, ansia) o in cui il vostro livello di prestazioni era basso.

2. Rivivete l’esperienza quanto più pienamente possibile. Mentre lo fate, prendete coscienza di quali parti del vostro corpo sono più presenti alla vostra attenzione. Quali percepite più intensamente? Quali in maniera più dettagliata? Ci sono distorsioni? Quali parti passano in secondo piano? Ci sono parti del corpo che sembrano fondersi o essere indistinguibili a livello di percezione? Di quali parti non avete alcuna percezione?

3. Schiaritevi la mente e fate sì che quello stato abbandoni il vostro corpo.

4. Identificate un’esperienza in cui avete avuto accesso a un’abbondanza di risorse (e vi sentivate sicuri di voi, rilassati, creativi, centrati) o a un elevato livello di prestazioni.

5. Calatevi in quell’esperienza quanto più pienamente possibile. Di nuovo, prestate attenzione alle parti del corpo più presenti alla vostra attenzione. Quali parti percepite più intensamente o nel maggior dettaglio? Quali passano in secondo piano? Di quali non avete alcuna percezione?

6. Sgombrate la mente e riflettete sulle differenze che fanno la differenza. Orientatevi al momento presente, nel quale potete considerare entrambe le esperienze e identificare le differenze nella vostra percezione del corpo tra gli stati che arricchiscono e quelli che impoveriscono le vostre risorse, e tra quelli in cui le vostre prestazioni erano elevate e quelli in cui erano scarse.

Durante questo tipo di esplorazioni, le persone hanno spesso delle intuizioni e comprendono cose molto interessanti. È affascinante rendersi conto di come l’immagine percepita del nostro corpo possa, a volte, variare in maniera piuttosto radicale. Di solito le persone che soffrono di qualche dipendenza, ad esempio, quando sentono il bisogno di assumere la sostanza in questione presentano una percezione molto distorta della propria anatomia. Distorsioni corporee di questo tipo indicano che la persona non ha completo accesso al potere della propria intelligenza somatica e all’intera gamma delle proprie risorse. Queste distorsioni agiscono impedendoci di ottenere una connessione somatica completa, creando un tipo di spirale discendente o circolo vizioso che porta a precipitare nello stato problematico. È interessante esplorare gli stati problematici di questo tipo e ridurre le cancellazioni, le distorsioni e le generalizzazioni presenti nell’omuncolo soggettivo. A seguire proponiamo due possibili esercizi:

1. Immergetevi nuovamente nell’esperienza in cui sentivate di avere accesso a un numero molto limitato di risorse o caratterizzata da un basso livello di prestazioni che avete esplorato all’esercizio precedente, mantenendo però una coscienza generale del corpo più equilibrata. Cosa è diverso nella vostra percezione soggettiva dello stato o della situazione?

2. Se percepite una determinata parte del corpo come distorta o assente, allenatevi a rivolgere un’equilibrata attenzione conscia a quella parte. Poi, mantenendo lo stesso livello di attenzione, entrate e uscite ripetutamente dall’esperienza.

Un altro esempio molto interessante di quale sia la forza della coscienza corporea è la seguente tecnica di primo piano-secondo piano.

FASI DEL PROCESSO SOMATICO DI PRIMO PIANO - SECONDO PIANO

1. Identificate una reazione automatica limitante che ha luogo in un contesto ben definito ed è verificabile (ad esempio l’ansia relativa al dover parlare in pubblico).

2. Ripensate a uno specifico esempio della reazione limitante e associatevi all’esperienza, immergendovici quanto basta per sentire che inizia a influenzare il vostro stato fisiologico.

a. Rivolgetevi introspettivamente all’immagine corporea (l’omuncolo soggettivo) che avete di voi all’interno di quell’esperienza. Identificate cosa si trova in primo pianonella vostra attenzione conscia – ad esempio quali parti del corpo e quali sensazioni sembrano amplificate nel momento in cui la reazione limitante ha luogo (ad esempio la percezione conscia del battito cardiaco accelerato e della tensione nella muscolatura di mascella e mandibola). b. Identificate ciò che rimane in secondo piano o ha valenza neutra rispetto allo stato. Notate di quali parti del vostro corpo riuscite a rimanere consapevoli, senza però che esse appaiano coinvolte (ad esempio le piante dei piedi, i lobi delle orecchie, il gomito sinistro e così via).

3. Identificate un’esperienza in cui avete avuto accesso a un’abbondanza di risorse che vi faccia da contro-esempio: un momento in cui avreste potuto o dovuto avere la reazione limitante, ma non è successo. Se non disponete di alcun contro-esempio, identificate un’esperienza il più vicina possibile a quella limitante da tutti i punti di vista, ma in cui non avete avuto la reazione negativa. Associatevi completamente all’esperienza (nel caso dell’ansia all’idea di parlare in pubblico, un contro-esempio potrebbe essere quella volta in cui avete raccontato tranquillamente un aneddoto o una barzelletta a un gruppo di persone conosciute da poco).

a. Identificate, anche in questo caso, quali parti del vostro corpo stanno in primo piano nella vostra attenzione conscia (ad esempio un senso di energia nella colonna vertebrale e di calma nella pancia). b. Identificate anche cosa si trova in secondo piano, cosa è neutro o assente nella vostra percezione corporea soggettiva (ad esempio le rotule, le piante dei piedi, i lobi delle orecchie).

4. Riflettendo su entrambi gli esempi, identificate quelle parti del corpo che rimangono in secondo piano in entrambe le esperienze (ad esempio il mignolo del piede e il gomito sinistro).

5. Ritornate all’esperienza in cui avete avuto accesso a un’abbondanza di risorse, e immergetevici così da viverla in modo veramente pieno e intenso. Espandete la vostra coscienza del corpo mentre siete in quello stato, al fine di ottenere una percezione più equilibrata del vostro intero essere fisico, includendo in particolare le parti del corpo che avete individuato nella fase precedente (ad esempio il mignolo del piede e il gomito sinistro).

6. Ora tornate all’esperienza limitante. Accedetevi appieno, ma questa volta concentrate la vostra attenzione sulle parti del corpo che in precedenza erano in secondo piano in entrambi gli stati (ad esempio il mignolo del piede e il gomito sinistro). Dovreste notare un dissiparsi immediato e automatico della reazione problematica e una trasformazione del vostro stato in uno più positivo e ricco di risorse.

Ulteriori informazioni e una versione più approfondita del processo di primo piano-secondo piano si possono trovare nellaEncyclopedia of Systemic NLP and NLP New Coding.

BIOFEEDBACK

Il cosiddetto biofeedback è un’altra risorsa per sviluppare una connessione più profonda con la coscienza e l’intelligenza somatica. Mediante il biofeedback si fornisce a una persona feedback (auditivo o visivo) riguardo a una determinata risposta biologica o corporea, per aiutarla a creare maggiore connessione tra processi cognitivi e processi somatici. Questi ultimi hanno generalmente luogo nel sistema nervoso involontario o “autonomo”: ne sono un esempio il battito cardiaco, le risposte vascolari (spesso misurate indirettamente come temperatura della pelle), le onde cerebrali o l’attività dei pori e delle ghiandole sudorifere (misurata dalle risposte elettriche della pelle). Il sistema nervoso autonomo ha due principali diramazioni, i sistemi simpatico e parasimpatico. Il sistema simpatico è la porzione del sistema nervoso che modula le nostre reazioni di “attacco o fuga” e altre strategie di sopravvivenza, e ha funzione essenzialmente eccitante. Quando il sistema simpatico si attiva, esso stimola la produzione di adrenalina e limita l’afflusso di sangue nelle aree periferiche del corpo; fa accelerare il battito cardiaco, aumentare il ritmo respiratorio e aprire i pori aumentando la perspirazione: la sua funzione è essenzialmente quella di preparare il corpo all’azione. Queste reazioni sono tipiche sia degli stati eccitanti più piacevoli, sia dello stress legato alle strategie di sopravvivenza. Il sistema nervoso parasimpatico tende a far calmare e rilassare il corpo, ed è responsabile per le funzioni rigenerative. Quando il sistema parasimpatico si attiva, il battito cardiaco rallenta, la respirazione diventa più lenta e profonda, la micromuscolatura attorno ai capillari si rilassa aumentando l’afflusso di sangue a mani, piedi e zone periferiche del corpo, la perspirazione diminuisce: tutto questo permette al corpo di rilassarsi, di recuperare l’energia e di ricostruire le risorse.

Il sistema nervoso autonomo è diviso in due ramificazioni: i sistemi simpatico e parasimpatico.

Il biofeedback fornisce un mezzo molto potente per riconoscere ed esplorare la relazione tra la mente cognitiva e queste funzioni corporee vitali (tra il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso autonomo). Misurando le funzioni “autonome” e “restituendo” il risultato alla persona tramite segnali uditivi o visivi, questa è in grado di riconoscere i modi in cui è in grado di armonizzare e influenzare quell’aspetto del proprio stato fisiologico. Grazie a intense ricerche nel campo del biofeedback, si è trovato che il sistema “autonomo” – precedentemente ritenuto completamente “autoregolante” – è sorprendentemente ricettivo all’influenza del sistema nervoso centrale. L’uso del biofeedback ha dimostrato che si possono ottenere effetti positivi dall’incredibile potenziale insegnando tecniche psicosomatiche a pazienti con problemi di natura medica. Il biofeedback è stato impiegato per influenzare positivamente una serie di risposte biologiche che causano problemi di salute quali mal di testa, tensione muscolare cronica dovuta a incidenti o infortuni sportivi, asma, pressione alta e aritmia cardiaca. È spesso usato al posto dei farmaci nel trattamento del dolore, o come complemento a essi. Il biofeedback si è rivelato particolarmente efficace nell’aiutare le persone a ridurre l’impatto dello stress e raggiungere stati più ottimali di funzionamento fisico e mentale. Tale feedback, infatti, consente di acquisire una maggiore consapevolezza dei propri stati interiori e aumenta la capacità di influenzarli di proposito in modo positivo. Come sottolineato in precedenza, quando una persona si trova in una condizione di stress o di eccitazione, si ha un’attivazione del sistema nervoso simpatico. Questo aumenta il ritmo respiratorio, l’attività delle ghiandole sudorifere (e di conseguenza la conduttività della pelle) e il ritmo cardiaco. Il battito cardiaco diviene anche più variabile e

irregolare. Rilassamento, calma e quiete risultano invece dall’attivazione del sistema parasimpatico, che rallenta e rende più profonda la respirazione, diminuisce l’attività delle ghiandole sudorifere e la conduttività della pelle, e produce un battito cardiaco dal ritmo più regolare e lento. Il biofeedback ci aiuta a riconoscere e a calibrare meglio i nostri stati interiori, e ad apprendere (sia consciamente sia intuitivamente) quali tipi di pensieri e azioni innescano e influenzano un determinato stato. In questo modo viene affinata la nostra capacità di scegliere e dirigere la qualità dei nostri stati interiori, un poco come accade a livello corporeo quando si impara ad andare in bicicletta.

Comuni risposte somatiche associate a stati di stress o eccitazione e di rilassamento o quiete

I metodi di allenamento al biofeedback sono relativamente semplici, sebbene richiedano accesso alla strumentazione adatta. Inizialmente la persona deva scegliere il tipo di biofeedback più rilevante per i suoi obiettivi. Ad esempio, imparare a rilassare certi

muscoli può essere in una certa misura utile per molte problematiche correlate allo stress, ma potrebbe non essere la cosa migliore per affrontare problemi fisici di altro tipo. Un paziente ansioso soggetto a tachicardia potrebbe trarre maggior beneficio dall’imparare a rallentare il battito cardiaco portandolo a un livello di armonia psicofisica, anziché concentrarsi sul rilassamento muscolare. Una volta selezionata la modalità di feedback adatta, la persona viene connessa al macchinario. Le informazioni riguardo alla determinata funzione del sistema nervoso autonomo misurata sono immesse in un computer o in un altro tipo di apparato capace di presentare il risultato alla persona. La percezione conscia del feedback viene registrata nel sistema nervoso centrale della persona, che a sua volta influenza il sistema nervoso autonomo. Questi meccanismi di influenza sono solitamente intuitivi e al di fuori della percezione conscia della persona.

Processo del biofeedback tradizionale

La persona può ricevere feedback in formato “analogico” o “digitale”. In entrambi i casi si tratta di definire un valore o una soglia per la reazione del sistema autonomo. Ogniqualvolta la risposta della persona raggiunge quel valore o supera la soglia, uno stimolo visivo o auditivo segnala che la persona è riuscita a influenzare il fenomeno. Questa è la modalità principale di allenamento per produrre un EEG di stato “alfa”: si dà feedback ogni volta che la persona produce onde cerebrali nello spettro “alfa” (8-12 Hz). Se il feedback è “analogico” si dà alla persona una rappresentazione in tempo reale di una determinata funzione autonoma, come ad esempio il battito cardiaco, la temperatura o la resistenza elettrica della pelle. In questo modo la persona sviluppa la capacità di calibrare e controllare un determinato processo, stabilendo un proprio processo interno di feedback. Indipendentemente dal tipo di feedback impiegato, la persona arriva in ultima analisi a sviluppare un senso di profonda connessione con strutture somatiche fondamentali, senza bisogno di macchinari esterni.

Molte tecniche di PNL sfruttano, in effetti, i principi del biofeedback: chi fa da guida o facilitatore agisce da “sensore”, fornendo feedback al cliente riguardo certi aspetti del suo stato interiore. Altre tecniche di PNL, quali la Calibrazione e l’Inventario interiore, aiutano le persone a sviluppare autonomamente i propri meccanismi e le proprie abilità di feedback.

NEUROLINK E MINDDRIVE

Nei primi anni Ottanta, Robert Dilts cominciò ad applicare i principi della PNL allo sviluppo di strumenti e metodi di biofeedback, arrivando alla creazione di due tecnologie brevettate: NeuroLink e MindDrive. Dilts ha cercato di fornire un diverso livello logico di feedback, partendo dalla convinzione che le persone avrebbero appreso più in fretta ed efficacemente a connettersi e a influenzare le funzioni autonome ricevendo feedback riguardo alla misura in cui erano in grado di causare cambiamenti, invece che riguardo allo specifico stato della funzione. Ad esempio, oltre che vedere una rappresentazione del proprio battito cardiaco, la persona riceve feedback anche sulla velocità e l’entità del cambiamento nel battito cardiaco che è in grado di produrre. Questo approccio si è dimostrato efficace nel favorire un più rapido insorgere della capacità di percepire un senso di armonizzazione conscia e di parziale controllo sulle specifiche funzioni autonome, rafforzando così la connessione mente-corpo. Si è anche scoperto che la stessa tecnologia, utilizzata come periferica di input, consente a una persona di interagire con un computer (ad esempio, per manovrare un robot o giocare a un videogame) tramite il solo uso del sistema nervoso autonomo. Ne sono derivate applicazioni che permettono a chi ha subito danni al sistema nervoso centrale (sclerosi multipla, paralisi cerebrali, danni alla spina dorsale) di giocare con i computer e di comunicare con maggiore efficacia. Si è arrivati anche allo sviluppo e alla commercializzazione di videogame “controllati con il pensiero”. Un approccio del genere si estende dunque non solo al valore terapeutico del biofeedback, ma permette anche di espandere la capacità delle persone di sviluppare e usare il proprio sistema nervoso e la propria intelligenza somatica.

SOMATICVISION

L’ultima incarnazione di questo approccio sono gli strumenti di integrazione mente/corpo SomaticVision sviluppati da Ryan DeLuz in collaborazione con Robert Dilts. Il software SomaticVision gira su hardware Wild Divine “Lightstone”, che registra battito cardiaco e conduttività della pelle, e trasmette i dati a un comune laptop.

Gli strumenti software SomaticVision raccolgono questi dati somatici e li rappresentano sotto forma di grafiche computerizzate dinamiche, giochi in 3D, diagrammi e musica; questi strumenti aiutano le persone ad approfondire e affinare la propria connessione conscia con il corpo. Questo a sua volta consente, del tutto intenzionalmente, di:

• aumentare il rilassamento; • riportare equilibrio e vitalità; • migliorare il benessere fisico e mentale.

I prodotti SomaticVision permettono alle persone di allenarsi con il biofeedback su propri computer e laptop.

Tra gli strumenti SomaticVision si contano:

Particle Editor, che fornisce continuo feedback sotto forma di visualizzazioni di particelle in movimento che rispondono ai cambiamenti somatici. Mutare il proprio stato altera immediatamente l’attività sullo schermo: ciò permette all’utente di prendere coscienza del modo in cui specifiche sensazioni, emozioni e pensieri producono determinati cambiamenti grafici.

Immagini dal programma di biofeedback SomaticVision Particle Editor

na schermata dal gioco 3D SomaticVision Dual Drive

Inner Tube e Dual Drive sono giochi 3D in tempo reale che usano il battito cardiaco e la conduttività della pelle per controllare una nave spaziale e un fuoristrada. La velocità del veicolo cambia con il proprio stato interiore di rilassamento o eccitazione. Più ci si rilassa, più si va veloci. È un modo molto divertente di imparare a gestire il proprio stato interiore.

NLPace è uno strumento di coaching che aiuta a essere più coscienti, a comprendere e a registrare sottili cambiamenti nel proprio stato mentale, emotivo e fisico. Con questo strumento è possibile osservare e verificare cambiamenti somatici che risultano da una sessione, oppure monitorare un processo con feedback costante.

1. Durante una sessione si possono osservare cambiamenti nel battito cardiaco e nella conduttività della pelle come segnali di cambiamenti dello stato mentale o emotivo.

2. Alla fine di una sessione potete verificare se questa sia stata efficace, testando la risposta somatica a un evento in precedenza difficile o problematico. Ad esempio, se si aveva paura di parlare in pubblico, si può immaginare di farlo e notare la risposta somatica.

3. Scegliendo di registrare una sessione, si possono analizzare i cambiamenti che hanno avuto luogo mentre questa era in corso; si può compiere questa operazione in aggiunta o in sostituzione all’osservazione diretta dei cambiamenti durante la sessione.

4. La registrazione dei dati somatici permette anche di studiare i cambiamenti nell’arco di diverse sessioni.

Lo strumento di coaching NLPace è perfetto per chi desidera testare e aumentare l’efficacia delle tecniche di rilassamento. Si può osservare l’andamento dei dati raccolti in tempo reale, oppure studiarne i tracciati in un secondo momento. Quando si applicano le tecniche, può essere di aiuto chiudere gli occhi (o distogliere lo sguardo dalla fonte di feedback). Sebbene sia importante apprendere quali effetti stia producendo la tecnica di rilassamento su di noi, la continua attenzione ai dati di feedback può anche diventare una distrazione che ci impedisce di concentrarci del tutto sull’esperienza interiore. L’esercizio presentato qui sotto è stato progettato per essere esplorato utilizzando il feedback del software SomaticVision, ma può essere altrettanto prezioso se, per osservare il livello di calma e di rilassamento raggiunto, vi affiderete alla vostra attenzione introspettiva.

1. Lasciate andare pensieri di disturbo riguardo al vostro lavoro, voi stessi, le vostre relazioni.

2. Respirate delicatamente, in modo rilassato, lento e regolare (evitando di sforzarvi, provate a contare fino a cinque o sei inspirando, e poi di nuovo mentre espirate).

3. Pensate a una persona cara o a qualcosa di molto piacevole. Potreste voler chiudere gli occhi per qualche istante e godervi la sensazione. Notate se la cosa crea dei cambiamenti, ma non cercateli di proposito. Limitatevi a coltivare le sensazioni positive, i ricordi e il calore associati alla persona, al luogo, alla cosa.

4. Concentratevi sul rilassare progressivamente tutti i muscoli del vostro corpo. Dedicatevi particolarmente a distendere i muscoli del collo, delle spalle e del viso, inclusa la lingua.

5. Immaginate un calore rilassante che si diffonde attraverso le vostre braccia e gambe, i piedi, la schiena, la pancia, il volto, il collo e la testa.

6. Immaginate una situazione molto positiva, oppure immaginate di trovarvi in un ambiente rilassante. Fate esperienza della situazione o dell’ambiente nel modo più vivido possibile.

7. Notate le sensazioni fisiche che provate nel corpo. Notate la percezione dei piedi sul terreno. Notate il battito del vostro cuore. Percepite ciascun battito nel petto o sulla punta delle dita.

8. Lasciatevi pervadere da emozioni positive quali amore, gioia e pace profonda.

La nostra capacità di essere efficaci e mantenere vite sane risulta in larga misura da quello che possiamo chiamare controllo adattivo. Dobbiamo ad esempio mantenere il livello di stress entro una certa “fascia di tolleranza”, per non andare incontro a conseguenze spiacevoli. Perché un atleta abbia prestazioni di successo deve mantenere entro una certa fascia di tolleranza il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la temperatura corporea. I risultati che l’atleta riesce a raggiungere nell’attività che pratica sono una funzione della sua abilità nel rimanere entro lo spettro della fascia di tolleranza. Il biofeedback e strumenti come SomaticVision ci aiutano ad aumentare di molto la nostra capacità di controllo adattivo, il che rende più facile gestire condizioni come lo stress e la stanchezza (o ad esempio il jet lag) con maggiore resistenza e ricchezza di risorse.

Per ulteriori informazioni sui prodotti SomaticVision potete visitare la pagina www.somaticvision.com

SINTASSI SOMATICA

Dice un antico proverbio della Papua Nuova Guinea: “La conoscenza è solo un sentito dire, finché essa non risiede nella memoria muscolare”. Questo detto definisce una delle premesse base della sintassi somatica. Nel 1993 Judith DeLozier e Robert Dilts hanno

dato origine ai principi e alle pratiche della sintassi somatica come modo per approfondire ulteriormente e utilizzare la connessione tra la mente cognitiva e quella somatica. Come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, il termine “somatico” deriva dalla parola greca soma, che significa “corpo”. Sintassi è a sua volta una parola greca che significa “mettere in ordine”, “ordinare”. La sintassi somatica riguarda il “linguaggio del corpo”, i modi in cui organizziamo il nostro aspetto corporeo per elaborare ed esprimere le nostre esperienze e il significato che vi attribuiamo. In modo simile al resto della PNL, la sintassi somatica si concentra più sulla forma, l’organizzazione profonda e gli schemi di relazione nel nostro linguaggio del corpo che sul suo contenuto. La sintassi somatica è meno interessata alle parti del corpo coinvolte in questi processi di quanto non lo sia alla struttura di base. Anziché concentrarsi sui dettagli fisici, la sintassi somatica porta l’attenzione sugli schemi generali e sull’organizzazione del movimento e la formazione di espressioni cognitivo-somatiche (mente-corpo). Prendete ad esempio una struttura profonda fondamentale come quella dell’“aprire”. Possiamo “aprire gli occhi”, “aprire il nostro cuore”, “aprire le braccia”, “aprire la bocca” e così via. Uno dei principali obiettivi della sintassi somatica è quello di mobilitare e utilizzare la “saggezza del corpo”. Come sottolinea Morris Berman nel suo libro Coming to Our Senses: La visione accademica occidentale, filosofia e antropologia incluse, dà tacitamente per scontato che il corpo non abbia niente da dirci, che non abbia conoscenza o “informazioni”; quasi come se a tutti gli effetti esso nemmeno ci fosse. Eppure la vita del corpo è la nostra vita reale, l’unica vita che abbiamo.

Un principio fondamentale della sintassi somatica è che vi sono informazioni e saggezza racchiuse nel corpo, e conoscenze che risiedono “nei muscoli”. È un modo per accedere e sfruttare il pieno potenziale del “cervello nel nostro corpo”. Da tempo, la PNL ha riconosciuto l’influenza degli stati fisiologici sui processi di pensiero. I segnali di accesso microcomportamentali (come, ad esempio, i famosi segnali oculari), sono considerati tanto un riflesso di specifici processi mentali quanto uno stimolo per facilitare l’accesso a quegli stessi processi da parte della persona. Tramite segnali fisici di questo tipo possiamo individuare e promuovere certi aspetti delle nostre strategie cognitive. Questo è uno dei fondamenti dell’aspetto di “programmazione” della Programmazione Neuro-Linguistica. Questi specifici tipi di segnali non sono, però, l’unico tipo di collegamento mente-corpo. Discipline come i metodi Feldenkrais ed Alexander, lo yoga, l’aikido, il tai chi, la danza e le pratiche di movimento trasformazionali come i 5Ritmi® di Gabrielle Roth esplorano una vasta gamma di altre interazioni tra movimento e processi mentali. Queste discipline pongono l’enfasi sulla natura sistemica dei nostri corpi, concentrandosi soprattutto sugli schemi e sulla qualità dei movimenti, piuttosto che sulle specifiche parti del corpo coinvolte. Fino allo sviluppo della sintassi somatica, il mondo della PNL non disponeva di metodi che sfruttassero appieno il ruolo che il movimento “del corpo nella sua interezza” gioca nel pensiero e nella “programmazione” degli esseri umani.

IL SENTIERO DEL PENSIERO DI DARWIN

Un affascinante articolo comparso nel 1996 su “Natural History” offre un semplice ma potente esempio della relazione tra mente somatica e funzionamento cognitivo. L’articolo è essenzialmente una riflessione sulla tenuta di campagna di Charles Darwin (1809-1882), il biologo e naturalista inglese la cui teoria dell’evoluzione tramite il meccanismo della selezione naturale ha rivoluzionato il nostro modo di comprendere la storia naturale e ha cambiato per sempre la nostra percezione delle origini dell’umanità. Darwin acquistò la tenuta di Downe House – dove scrisse le due fondamentali opere L’origine delle specie e L’origine dell’uomo– alcuni anni dopo il suo ritorno dallo storico viaggio a bordo della H.M.S. Beagle. Nel corso di una ventina d’anni vi elaborò le sue teorie, collegandole alle prove che aveva raccolto e alle proprie osservazioni.

Nel descrivere la tenuta, l’autore dell’articolo nota: Poco dopo essersi stabilito a Downe, Darwin costruì un sentiero coperto di sabbia, noto come cammino della sabbia, che ancora oggi attraversa serpeggiando i boschi ombrosi per poi ritornare alla casa costeggiando un campo assolato e contornato di siepi. Darwin lo percorreva quotidianamente, e lo chiamava “il mio sentiero del pensiero”. Spesso impilava qualche pietra all’inizio del sentiero, per poi farne cadere una colpendola col bastone da passeggio ogni volta che completava un circuito. Poteva anticipare che una questione fosse un “problema da tre pietre”, proprio come Sherlock Holmes aveva “problemi da tre pipe”, e tornare poi a casa finiti i sassi.

Leggendo questa descrizione, è facile immaginare Darwin che, assorto nei suoi pensieri, passeggia sul suo sentiero di sabbia e contempla un qualche aspetto chiave della sua teoria dell’evoluzione e della selezione naturale. Il fatto che chiamasse quel tracciato “sentiero del pensiero” è indice di come Darwin considerasse le sue passeggiate significativamente collegate al suo processo di ragionamento. Un’affascinante domanda dal punto di vista della PNL sarebbe: qual è, specificamente, il collegamento tra il “pensiero” e il camminare su un simile sentiero?

MOVIMENTO E MENTE

Come abbiamo menzionato in precedenza, l’approccio tradizionale della PNL all’interpretazione e all’utilizzazione della relazione tra pensiero e comportamento pone in relazione specifiche categorie di movimenti corporei (movimenti oculari, schemi respiratori, espressioni facciali, gesti) con specifici eventi mentali: un movimento oculare in alto a sinistra ad esempio, accompagna un’immagine visiva ricordata, portare la mano al mento indica un dialogo interno, la respirazione profonda, nell’addome, indica accesso a sensazioni cinestesiche. I segnali di accesso della PNL si concentrano solitamente su comportamenti molto sottili, e riguardano la microstruttura più fugace dei nostri processi di pensiero. Al lato opposto dello spettro, movimenti fisici ripetitivi e attività che coinvolgono i più importanti gruppi di muscoli (camminare, nuotare, andare in bicicletta, giocare a tennis) influenzano il nostro generale stato mentale e costituiscono dunque un più generale contesto per i nostri processi di pensiero.

Come indica l’allusione alla pipa di Sherlock Holmes nella discussione sul “sentiero del pensiero” di Darwin, l’idea che una qualche forma di attività ripetitiva faciliti la contemplazione profonda è ben nota. Oltre a fumare la pipa, quando ha bisogno di elaborare un aspetto particolarmente difficile di un caso, Sherlock Holmes suona anche il violino. Simili schemi comportamentali si trovano anche in molti famosi pensatori nella vita reale. Albert Einstein suonava il violino durante i momenti di riflessione produttiva, ritenendola in un qualche modo un’estensione del suo pensare e un aiuto per la risoluzione di problemi particolarmente difficili. Amava anche andare regolarmente a vela, e si racconta che ogni volta che si imbatteva in un momento di bonaccia fosse solito prendere furiosamente appunti sul suo taccuino. Leonardo da Vinci suonava la lira3. Wolfgang Amadeus Mozart affermava che molte delle sue migliori idee musicali gli si erano presentate mentre camminava o quando viaggiava in carrozza. Proprio come Darwin, altri famosi pensatori, quali ad esempio Immanuel Kant, avevano l’abitudine quotidiana di passeggiare. Anche noi autori di questo libro abbiamo le nostre pratiche fisiche, che ci sostengono nell’affrontare ed elaborare con creatività problemi e situazioni difficili. Deborah, ad esempio, danza regolarmente i 5Ritmi®. Robert va a correre tutte le mattine: i suoi percorsi di corsa sono stati la culla di molti seminari, programmi software, libri e articoli. Abbiamo notato che diverse tipologie di movimento associate a diverse attività sembrano far emergere menti di tipi specifici. Diversi schemi di movimento che coinvolgono tutto il corpo sembrano favorire sia l’accesso a diverse qualità di elaborazione mentale, sia la loro integrazione. Questo equivale a dire che certi tipi di attività sembrano più adatti per occuparsi di un certo tipo di problematiche e di risultati4. Durante i suoi intensi studi dell’efficacia nella leadership, Robert ha intervistato il fondatore di una grande compagnia di spedizioni scandinava. Sebbene in età avanzata, quest’uomo sosteneva di usare diverse attività fisiche per aiutarsi a risolvere vari problemi. Per talune problematiche doveva andare a giocare a golf, cosa che lo aiutava a entrare nello stato mentale giusto. Per altre usciva invece a fare un giro in bicicletta, che gli consentiva di pensare in modo più efficace. L’uomo era talmente specifico riguardo al tipo di attività da utilizzare, che arrivava a dire: “Non è un problema da golf: per quello bisogna andare in bici”. Sembra naturale concludere che gli schemi di attività fisica stimolano e organizzano schemi di attività neurologica, non solo nel cervello ma anche nell’intero corpo, coinvolgendo le varie funzioni somatiche che abbiamo esplorato in questo capitolo. Andare in bicicletta è l’esempio di un modo per attivare e mantenere un determinato stato interiore. Alcuni arrivano fino al punto di sostenere che la mente èmovimento, e che saggezza e intelligenza derivano dalla qualità di quel movimento.

GRAMMATICA TRASFORMAZIONALE

Un’ispirazione chiave per lo sviluppo della sintassi somatica deriva dalle teorie di Noam Chomsky sulla grammatica trasformazionale, che sono il fondamento degli schemi linguistici del Meta Modello in PNL. Secondo Chomsky le esperienze sensoriali ed emotive (strutture profonde) possono essere espresse attraverso una varietà di descrizioni linguistiche (struttura superficiale). In altre parole, possiamo usare frasi e modalità linguistiche diverse (descrizione letterale, poesia, canto) per esprimere le medesime sensazioni e idee. È questo il fenomeno della grammatica generativa. Secondo un’altra caratteristica della grammatica generativa un numero relativamente ridotto di parole può essere ricombinato in modi diversi per formare un numero pressoché infinito di espressioni. Ad esempio, tutte le idee espresse finora dalla razza umana (da Gesù a Shakespeare, da Hitler a Madre Teresa e Madonna, e via dicendo, comprese quelle degli autori di questo libro) possono essere formulate in lingua inglese con un vocabolario attivo di circa trentamila parole. Le stesse parole possono assumere significati e implicazioni diversi a seconda delle loro reciproche relazioni. Possiamo riordinare le parole “L’uomo ha visto il gatto inseguire il topo” creando significati diversi: “L’uomo ha visto il topo inseguire il gatto”, “Il gatto ha visto l’uomo inseguire il topo”, “Il topo ha visto l’uomo inseguire il gatto” e via dicendo. Se tralasciamo o ripetiamo certe parole possiamo cominciare a creare un numero di espressioni ancora maggiore: “L’uomo ha visto il topo” o “L’uomo ha visto l’uomo inseguire il topo”, e così via. Il punto è che molte cose diverse possono esprimersi con lo stesso numero limitato di parole ridisposte secondo ordini diversi. Per la teoria della grammatica trasformazionale è centrale l’idea che le strutture profonde arrivino a una determinata espressione superficiale dopo una serie di trasformazioni. Queste trasformazioni agiscono come una sorta di filtro sulle strutture profonde esperienziali che cercano di descrivere. Secondo Grinder e Bandler, il movimento dalla struttura profonda a quella superficiale comporta necessariamente la cancellazione, generalizzazione e distorsione di alcuni aspetti della struttura originaria. Quando diciamo “Il gatto ha inseguito il topo”, ad esempio, abbiamo omesso quanto velocemente, quanto a lungo, in quale contesto fisico, la dimensione e il colore degli animali e via dicendo. Bandler e Grinder scoprirono di poter usare i principi della grammatica trasformazionale per modellare le strategie comunicative adottate dai più efficaci terapeuti dell’epoca nell’interazione coi loro clienti. Libri come La struttura della magia e I modelli della tecnica ipnotica di Milton H. Ericksondescrivono esplicitamente in termini di grammatica trasformazionale i processi terapeutici impiegati da questi professionisti d’eccezione. Bandler e Grinder trovarono che i terapeuti più efficaci avevano importanti intuizioni riguardo a quali di queste cancellazioni, distorsioni e generalizzazioni fossero problematiche, e a come usare il linguaggio per arricchire le mappe mentali del mondo dei loro assistiti. I due formularono il Meta Modello come una descrizione delle intuizioni dei terapeuti che avevano studiato. La funzione del Meta Modello è quella di identificare generalizzazioni, cancellazioni e distorsioni problematiche tramite l’analisi dellasintassi o forma della struttura superficiale, fornendo un sistema di domande per arrivare a una rappresentazione più ricca della struttura profonda. Il Meta Modello

applica l’idea che le espressioni verbali che considereremmo “ben formate” in una conversazione informale non necessariamente lo sono in un contesto terapeutico. I terapeuti (e altri comunicatori di professione) devono specificare o recuperare certe informazioni che riguardano la struttura profonda della persona per poterla aiutare con successo a cambiare in modo efficace ed ecologico. La PNL si è in seguito sviluppata ampliando il campo di applicazione delle idee di struttura profonda e struttura superficiale, fino ad includere aspetti che vanno al di là dei processi e delle rappresentazioni di natura linguistica. La PNL considera la struttura profonda come composta di esperienze sensoriali ed emotive fondamentali (esperienza primaria) derivanti dai dati sensoriali provenienti dal mondo circostante. Le tecniche della PNL agiscono sull’intera gamma di filtri neuro-linguistici responsabili dei processi che trasformano la nostra esperienza primaria per darle significato ed espressione. In questo senso, la sintassi somatica applica i principi del linguaggio verbale a quello del corpo.

La sintassi somatica usa essenzialmente i movimenti del corpo come mezzo per rafforzare, integrare ed espandere l’espressione di risorse di livello profondo. Esplorando la forma fisica e l’organizzazione dei movimenti associati a un determinato stato possiamo imparare a meglio esprimere e manifestare quello stato in più situazioni, aumentando dunque la nostra flessibilità. La sintassi somatica ci aiuta così a rendere più profonde la nostra comprensione e la nostra capacità di utilizzare la conoscenza, calandola più a fondo “nel muscolo”. A un altro livello, dato che il movimento fisico attinge a più strutture del nostro sistema nervoso al di là del cervello, esplorare la sintassi somatica ci può portare più vicini a certe strutture profonde dell’esperienza. Ecco che un’altra applicazione della sintassi somatica è quella di aiutare a recuperare ed esprimere parti di strutture profonde che possono risultare cancellate o distorte da espressioni

verbali o di altro tipo. Ripetendo le parole della famosa ballerina Isadora Duncan: “Se fossi in grado di dirlo, non avrei bisogno di ballarlo.”

IL CORPO COME SISTEMA RAPPRESENTAZIONALE

Nella prospettiva delle precedenti generazioni della PNL, tutte le informazioni sul mondo circostante provenienti dai sensi venivano inviate direttamente al cervello, dove esse venivano rappresentate ed elaborate a livello centrale. Uno dei principi che informano la sintassi somatica è quello del corpo come “sistema rappresentazionale”. Anziché considerare il corpo come un semplice guscio meccanico capace unicamente di trasmettere informazioni al cervello e riceverne istruzioni, la sintassi somatica lo intende come un mezzo per rappresentare ed elaborare le informazioni nel “cervello della pancia”, nel “cervello del cuore”, e in altre strutture del sistema nervoso all’interno del corpo. Secondo la sintassi somatica possiamo usare il corpo per costruire un modello del mondo, proprio come facciamo con gli altri sistemi rappresentazionali. Possiamo rappresentare relazioni fondamentali nel mondo circostante e nella nostra storia personale tramite la relazione tra diverse parti del nostro corpo. Ad esempio, la relazione tra i nostri genitori, così come noi la percepiamo, potrebbe essere rappresentata dalla relazione tra le nostre mani destra e sinistra, o tra il nostro petto e il nostro ventre. Oltre a essere in grado di ricevere, elaborare e trasmettere informazioni, tutti i sistemi rappresentazionali hanno la capacità di rappresentare i dati in almeno due modi: letteralmente efigurativamente. Ossia, ciascuno dei nostri sistemi sensoriali può formare mappe che presentano una corrispondenza diretta con il fenomeno rappresentato, così come stabilire una connessione più metaforica. Ad esempio, possiamo visualizzare i globuli bianchi così come appaiono nelle immagini al microscopio, oppure come piovrette o personaggi di un videogioco. Allo stesso modo, possiamo parlare dei nostri cervelli letteralmente come di “reti di neuroni”, o figurativamente come “dei computer”. Sempre in questo senso possiamo avvertire un determinato sintomo emotivo come una serie di sensazioni cinestesiche, oppure come un “nodo” allo stomaco. In qualità di sistema rappresentazionale, il nostro corpo ha questa duplice capacità. Possiamo esprimere movimenti che sono risposte letterali a una determinata situazione, o creare espressioni che sono più metaforiche, come la danza o il mimo. Uno stato di ansia, ad esempio, può essere rappresentato letteralmente riproducendo gli effetti fisici che accompagnano la sensazione di ansia (come ad esempio la tensione dei muscoli di faccia e spalle), oppure figurativamente mettendo le braccia davanti a occhi e viso, come se ci si nascondesse da qualcosa di pericoloso. Come accade con le altre modalità rappresentazionali, le rappresentazioni metaforiche sono spesso più ricche di significato e di impatto di quelle letterali, in quanto veicolano livelli multipli di informazione. Secondo Gregory Bateson, la modalità di rappresentazione caratterizzata dalla sintassi somatica è il mezzo principale di comunicazione per la maggior parte degli animali. Un lupo maschio adulto, ad esempio, può minacciarne un altro con lo stesso comportamento dimostrato da una mamma lupo con un cucciolo, come segno di rimprovero o affermazione di dominio.

APPLICARE LA SINTASSI SOMATICA

La sintassi somatica è lo studio attivo di come i movimenti si possano impiegare per aiutare a portare la conoscenza nelmuscolo, e a estrarre conoscenza dal muscolo. È un mezzo per accedere alla “saggezza del corpo”. Secondo la sintassi somatica, gli schemi di movimento ripetitivi possono formare la cornice di referenza di un determinato processo di pensiero, e quindi influenzarne i risultati. Come ha sottolineato Moshe Feldenkrais (in Il Corpo e il comportamento maturo): Uno stato emotivo ricorrente compare sempre assieme all’atteggiamento corporeo e allo stato vegetativo con i quali è stato condizionato in precedenza. Dunque, quando il complesso emotivo di una persona è stato risolto, simultaneamente viene risolta una specifica abitudine corporea individuale.

Lo strumento più importante che abbiamo per condurre la nostra vita e costruire il nostro futuro è il corpo, con il sistema nervoso. Certamente il manifestarsi dei nostri pensieri e sogni deve, in ultima analisi, passare in un qualche modo per il corpo e la fisiologia. La nostra attività mentale si manifesta nel mondo tramite le nostre parole, il nostro tono di voce, le espressioni facciali, la postura del corpo e il movimento delle mani. E il modo in cui usiamo questi fondamentali strumenti di vita è grandemente influenzato dal tipo di attività e discipline fisiche che pratichiamo.

Una vita mentale sana e creativa è spesso accompagnata da una qualche forma di movimento, come precedentemente illustrato parlando del “sentiero del pensiero” di Darwin. O si pensi anche all’affermazione di Mozart, il quale scrisse che le sue idee musicali scorrevano “nel modo migliore e più abbondante” durante momenti di movimento come “viaggiando in carrozza, o camminando dopo un buon pasto”.

> ESERCIZI DI SINTASSI SOMATICA

I seguenti esercizi sono stati sviluppati dagli autori Robert Dilts e Judith DeLozier come modi di esplorare e applicare la sintassi somatica per sviluppare più pienamente le proprie risorse, per modellare da altri gli stati più fruttuosi, per comunicare con maggiore efficacia e per trasformare le risposte problematiche e gli “stati di blocco”.

> ESERCIZIO 1: FAR PENETRARE UNA RISORSA “NEL MUSCOLO”

Questo esercizio aiuta a identificare determinati schemi di movimento associati a uno stato interiore ricco di risorse, in particolare gli schemi che ne aumentano o ne diminuiscono l’intensità.

1. Identificate uno stato-risorsa (creatività, sicurezza di sé, equilibrio) che vorreste far manifestare più spesso nella vostra vita.

2. Rifate esperienza della risorsa, assaporandone ed esaltandone ogni aspetto, e identificate qualsiasi espressione fisica spontanea associata allo stato (ad esempio postura fisica, schema di respirazione, movimenti, gestualità).

3. Esplorate l’organizzazione (la struttura profonda) delle espressioni fisiche, cambiando la “sintassi” (o forma) dei vari aspetti coinvolti in queste espressioni (ossia qualità, velocità, parti del corpo coinvolte, sequenza, direzione).

4. Notate quali tra queste modifiche: a. intensificano lo stato; b. lo affievoliscono; c. lo trasformano in uno stato diverso.

> ESERCIZIO 2: GENERALIZZARE UNO STATO-RISORSA

Questo esercizio aiuta a potenziare l’accesso a un determinato stato interiore incorporando alcuni fondamentali schemi di movimenti a esso associati in altre azioni ed attività. Scegliete tre azioni o “macrocomportamenti” comuni (ad esempio camminare, portare qualcosa, stare seduti, scrivere). Per ciascuna azione:

1. Tornate allo stato-risorsa che avete esplorato nell’esercizio precedente, immergendovi in esso e lasciando che esso si esprima pienamente attraverso il vostro corpo.

2. Iniziate il macrocomportamento (camminare, stare seduti) e adattate l’espressione fisica della risorsa (respirazione, postura, gesti, movimenti) perché si mescoli e si adatti a quell’attività nel modo più naturale e che più preserva la piena esperienza della risorsa.

> ESERCIZIO 3: APPLICARE UNO STATO-RISORSA

In questo esercizio prendete lo stato-risorsa che avete esplorato nei primi due esercizi e lo portate in situazioni in cui sarebbe (o sarebbe stato) utile.

1. Identificate un contesto o una situazione specifica in cui vorreste poter attingere alla risorsa che avete esplorato negli esercizi precedenti.

2. Proiettatevi internamente in quella situazione, immaginando di viverla nella realtà. Notate la postura del corpo, gli schemi respiratori e i movimenti che emergono spontaneamente quando vi mettete in quella situazione. Esprimete fisicamente la postura, la respirazione, i movimenti.

3. Cominciate a mescolare l’espressione fisica della risorsa che avete precedentemente esplorato con lo schema di movimento individuato al punto precedente. Notate cosa

comincia a mutare nella vostra postura, nella respirazione e nella qualità di movimento.

4. Adattate l’espressione fisica della risorsa in maniera tale che si integri e si adatti alla situazione nel modo più appropriato ed elegante.

5. Notate come portare lo schema di movimento della risorsa nella situazione ne trasformi e ne arricchisca l’esperienza.

> ESERCIZIO 4: MODELLARE LE RISORSE CON LA SINTASSI SOMATICA

In questo esercizio esplorerete come usare la sintassi somatica per modellare stati-risorsa da altre persone.

1. Identificate uno stato-risorsa (sicurezza di sé, giocosità, apertura) al quale vorreste accedere con maggior pienezza.

2. Trovate una persona (da prendere a modello) capace di esprimere con facilità quello stato.

3. Chiedete alla persona di porsi in quello stato, e osservate i comportamenti spontanei (postura, gesti, schemi respiratori) che lo accompagnano.

4. Imitate i movimenti-risorsa della persona presa a modello (ad esempio: dal vostro punto di vista, in prima posizione percettiva, riproducete gli schemi di movimento della persona nel modo più accurato possibile).

5. Ora mettetevi nei panni della persona presa a modello (assumete la seconda posizione percettiva) e ripetete i movimenti (ossia fate come se foste l’altra persona mentre dimostra quegli schemi di movimento).

6. Riflettete sul movimento-risorsa dal punto di vista di un osservatore (terza posizione percettiva). Che insegnamenti ne ricavate riguardo a voi stessi, alla persona presa a modello e alla risorsa?

7. Ritornate al vostro punto di vista (prima posizione), portando con voi degli aspetti della risorsa dell’altra persona (struttura profonda e/o struttura superficiale) che siano adatti a voi e che vi arricchiscano. Esprimeteli in forma di movimento. Non è necessario che prendiate l’intero schema, né che lo riproduciate esattamente come lo faceva la persona presa a modello. Adattate lo schema a voi stessi.

> ESERCIZIO 5: AMPLIARE LO SPETTRO DELL’ESPRESSIONE DI SÉ – SINTASSI SOMATICA DEL SÉ

A volte, quando cominciamo a esplorare o ad arricchire le nostre risorse interiori tramite l’espressione esteriore della sintassi somatica, possiamo avere inizialmente la sensazione di “recitare” e che la cosa non sia genuina. Questo esercizio può aiutarvi a espandere lo spettro del vostro esprimervi, facilitando il collegamento tra espressione comportamentale e il vostro senso del “sé”.

1. Identificate una risorsa che avete esplorato in voi stessi o modellato da un’altra persona che vorreste esprimere più pienamente in voi stessi.

2. Ponetevi in uno stato interiore in cui vi sentite centrati, allineati, e pienamente “voi stessi”.

3. Cominciate a ricordare e a mettere in atto lo schema di espressione fisica e la qualità di movimento associati allo stato-risorsa che volete esprimere più pienamente. Esplorate l’organizzazione e la sintassi (la struttura profonda) di questo movimento o qualità di movimento, provando a modificarne diversi aspetti (ad esempio la velocità, le parti del corpo coinvolte, la direzione).

4. Notate quale dei seguenti effetti ha luogo: a. lo stato si intensifica o lo percepite come più autenticamente “vostro”; b. lo stato si indebolisce o lo percepite come meno autenticamente “vostro”; c. lo stato si trasforma in qualcosa che non sapete etichettare (come indicato dal punto interrogativo nel diagramma seguente).

5. Se un determinato movimento indebolisce lo stato, lo cambia in uno stato differente o ve lo fa sentire come meno autenticamente “vostro”, esplorate altri cambiamenti fisici da apportare in altre parti del corpo per riaccedere alla risorsa originaria e incorporarla alla sensazione che vi appartiene genuinamente. Ad esempio, se un qualche gesto con le mani o le braccia sembra “falso” o “forzato”, cosa potreste modificare nella vostra postura, nella vostra respirazione o in altri aspetti, che vi faccia sentire il gesto come più autenticamente “vostro”.

> ESERCIZIO 6: TRASFORMARE GLI STATI DI BLOCCO TRAMITE LA SINTASSI SOMATICA

C’è una vecchia storia che racconta di due attori che stanno per salire sul palco. Uno è un istrione più anziano ed esperto, l’altro è giovane e alle prime armi. Il giovane si rivolge all’altro dicendo: “Oddio, sono così nervoso. Mi sento come se avessi una tonnellata di farfalle nello stomaco. Dopo tutti i tuoi anni di teatro, ti vengono ancora le farfalle nello stomaco?”. Col sorriso di chi la sa lunga, l’attore più anziano risponde: “Oh sì, mi vengono ancora le farfalle ogni volta che sto per recitare. Non penso che cambierà mai. Quando ero più giovane mi davano così fastidio che cercavo di ucciderle. Col tempo ho imparato che è molto meglio insegnare loro a volare in formazione.” Nell’esercizio precedente potreste aver scoperto certi schemi di movimento che, pur appartenendovi e risultandovi “autenticamente vostri”, vi fanno sentire privi di risorse, impoveriti, bloccati o ansiosi. Quello che segue è un modo per aiutarvi a trasformare stati interiori di blocco o di scarsità di risorse in espressioni più utili (ad esempio un modo per insegnarvi a “far volare le vostre farfalle in formazione”).

1. Identificate una situazione in cui provate resistenza, interferenza o uno stato di blocco che vi impedisce di avere accesso alle vostre risorse e di essere voi stessi in modo armonico e coerente.

2. Attingendo a ricordi e/o all’immaginazione, ponetevi appieno nell’esperienza dello stato interiore di blocco o di scarsità di risorse. Prendete coscienza ed esprimete fisicamente gli schemi somatici associati ai movimenti che fa il vostro corpo passando dallo stato normale o neutro a quello di blocco (ad esempio postura incurvata, respirazione costretta, tensione nelle spalle, nelle braccia o nelle mani, dita protese).

3. Uscite, anche compiendo fisicamente un passo, dalla situazione problematica, mantenendo però la fisiologia associata allo stato di blocco o di scarsezza di risorse. Centratevi interiormente ed esplorate la sintassi e l’organizzazione (struttura profonda) del movimento, ripetendolo svariate volte molto lentamente e con grande presenza mentale. Mentre lo fate, considerate l’intenzione positiva del movimento. Cosa sta cercando di fare o di raggiungere per voi?

4. Tenendo a mente l’intenzione positiva del movimento, esplorate modi in cui potreste completarlo facendo sì che vi riporti a uno stato più centrato e ricco di risorse. Una alla volta, apportate delle piccole modifiche: evitate, ad esempio, movimenti esagerati o grandi cambiamenti nella postura o nella respirazione. Più le modifiche sono circostanziate, meglio è.

5. A partire dall’espressione fisica dello stato di blocco, allenatevi a modificarla lentamente e sottilmente in modo che il movimento completo vi riporti a uno stato più centrato e ricco di risorse. Ripetete la cosa più volte, finché non avvertite che il nuovo schema è penetrato nella memoria muscolare.

6. Quando vi sentite pronti, rimettetevi nella situazione in cui in precedenza avete provato lo stato di blocco. Lasciate che il vostro corpo e la “mente somatica”

reagiscano intuitivamente. Dovreste sentire un cambiamento naturale e spontaneo nella vostra reazione.

USARE LA SINTASSI SOMATICA PER POTENZIARE LA COMUNICAZIONE NON VERBALE

Il linguaggio del corpo e la sintassi somatica sono modi potenti per arricchire la nostra comunicazione verbale e aumentarne l’impatto. L’esercizio seguente può accrescere la vostra capacità di comunicare in modo più vivido e di esercitare maggiore influenza.

1. Identificate un’idea, un principio o un messaggio che per voi è importante riuscire a comunicare in modo chiaro ed efficace. Create un’espressione verbale semplice e chiara del messaggio, ad esempio “La conoscenza è solo un sentito dire finché non è penetrata nella memoria muscolare”, o “È importante connettere la saggezza del corpo con la nostra comprensione cognitiva”.

2. Per ciascun elemento chiave del vostro messaggio, identificate un gesto o un’espressione fisica che possa accompagnare le parole. Immaginate di essere un mimo o una persona che parla col linguaggio dei segni. Come potreste esprimere con il corpo ciò che dite a parole?

3. Enunciate il vostro messaggio verbale mentre contemporaneamente fate i gesti e le espressioni non verbali.

Esempio: “La conoscenza (puntando il dito verso la testa) è solo un sentito dire (muovendo le mani sopra la testa) finché non è penetrata nella memoria muscolare (mettendo entrambe le mani sul corpo e facendo un respiro profondo)”. Esempio: “È importante (tenendo entrambe le mani protese davanti al petto, rivolte l’una verso l’altra e respirando a fondo) connettere (congiungendo le mani) la saggezza del corpo (ponendo una mano sul ventre e l’altra sul cuore e facendo un respiro profondo) alla nostra comprensione cognitiva (ponendo entrambe le mani sui lati della testa)”.

ESPLORARE LE METAFORE SOMATICHE PER POTENZIARE LA COMUNICAZIONE NON VERBALE

1. Identificate un’idea o un argomento che tenete molto a comunicare con chiarezza ed efficacia.

2. Identificate una semplice metafora di tipo fisico che aiuti a illustrare l’idea o l’argomento (ad esempio costruire, pescare, cucinare, tirar di scherma).

3. Esprimete o descrivete verbalmente l’argomento o l’idea mentre al tempo stesso “recitate” la metafora col corpo. Non menzionate o incorporate la metafora nella vostra presentazione o descrizione verbale.

MODELLO DEL “FRATTALE SOMATICO”

Un frattale è un motivo geometrico complesso che può essere suddiviso in parti, ciascuna delle quali è (quantomeno approssimativamente) una copia in scala ridotta del motivo complessivo. I frattali sono generalmente auto-isomorfi(le parti hanno la stessa forma dell’insieme) e di aspetto costante indipendentemente dalla scala (a mano a mano che ci si avvicina o ci si allontana, emergono strutture dall’aspetto identico a quelle del livello immediatamente superiore o inferiore). Nel 1975 Benoît Mandelbrot, lo scopritore dell’insieme di Mandelbrot, ha coniato il termine “frattale”, a partire dal latino fractus, ossia “frammentato, rotto in pezzi”. Dato che i frattali sono generalmente composti di curve irregolari o forme che si ripetono in qualsiasi scala, essi sono difficili da rappresentare con la geometria classica e hanno richiesto lo sviluppo di una branca della matematica a essi dedicata.

Il drago frattale (Benoît B. Mandelbrot/IBM)

Diverse strutture matematiche sono frattali, come ad esempio il triangolo di Sierpinski, il fiocco di neve di Koch, la curva di Peano, l’insieme di Mandelbrot e l’attrattore di Lorenz. I frattali descrivono anche molti oggetti del mondo reale che non hanno forme geometriche semplici, come le nubi, le montagne, la turbolenza e il profilo delle coste. Le equazioni di tipo frattale sono anche usate come motori generativi per molte simulazioni di “vita artificiale”.

Il triangolo di Sierpinski

In una prospettiva di PNL, i frattali sono un buon esempio di come un processo semplice a livello della struttura profonda possa generare uno schema complesso al livello di quella superficiale. Molti comportamenti si possono considerare come una sorta di frattali “neuro-linguistici”. La danza, ad esempio, è un tipo di frattale somatico. Molte forme di espressione musicale sono frattali auditivi (ad esempio il Bolero di Ravel o il Canone in re maggiore di Pachelbel). L’esercizio seguente combina la sintassi somatica con i principi dei frattali per creare e potenziare gli stati risorsa personali.

CREARE UN FRATTALE SOMATICO PER UNO STATO RISORSA

1. Identificate uno stato risorsa (ad esempio creatività, sicurezza di sé, concentrazione) e associatevi a esso.

2. Mentre rivivete pienamente l’esperienza di essere in quello stato, notate uno schema fisico o una qualità di movimento che accompagni lo stato risorsa. Quali sensazioni sono presenti? Dove si trovano nel vostro corpo? Quali sono gli schemi e le qualità del movimento delle sensazioni corporee?

3. Con attenzione e presenza mentale, applicate alcune sottili variazioni al movimento e notate l’effetto che risulta sulla vostra esperienza delle sensazioni di risorsa. Questo vi aiuterà ad avere una percezione della loro struttura profonda.

4. Trasferite lo schema e la qualità del movimento a una qualche altra parte del vostro corpo. Ad esempio, se il movimento riguardava le vostre braccia, trasferitelo alle spalle. Apportate gli adattamenti necessari fino a percepire la cosa come naturale e fino ad avere un senso dello stato risorsa che risulta dal compiere il movimento con questa altra parte del corpo.

5. Trasferite il movimento-risorsa al numero maggiore possibile di altre parti del corpo (ad esempio faccia, piedi, occhi, respirazione, bacino). In questo modo il vostro intero corpo verrà ad essere animato dalla risorsa.

IL MODELLO SCORE DANZANTE

Anche se molti aspetti di questi esercizi sono peculiarità della sintassi somatica, i suoi principi e gli impieghi si possono adattare a molte altre tecniche e modelli della PNL. La sintassi somatica è un modo potente per completare e potenziare pressoché qualsiasi processo. Il modello SCORE danzante è un semplice ma potente esempio dell’applicazione della sintassi somatica, sviluppato da Judith DeLozier nel 1993 come mezzo per utilizzare il movimento fisico e la suddivisione dello spazio allo scopo di massimizzare l’intuizione e la saggezza del corpo nel problem solving. Il modello SCORE danzante combina i principi della sintassi somatica con il modello SCORE della PNL al fine di promuovere un’efficace relazione mente corpo, accedere e mobilitare risorse profonde, e creare un percorso che si auto-organizza verso uno stato desiderato. Come abbiamo detto nel capitolo precedente, l’acronimo SCORE sta per Sintomi, Cause, Obiettivi, Risorse ed Effetti. Questi elementi rappresentano la quantità minima di informazioni che è necessario trattare in qualsiasi processo di cambiamento.

1. Sintomi sono tipicamente gli aspetti più evidenti e consci di uno stato problematico o problema presente.

2. Cause sono gli elementi alla base della creazione e del mantenimento dei sintomi. Sono in genere meno ovvie dei sintomi che producono.

3. Obiettivi sono gli specifici stati o comportamenti che prenderanno il posto dei sintomi.

4. Risorse sono gli elementi di base (abilità, strumenti, convinzioni) responsabili per l’eliminazione delle cause dei sintomi e per il raggiungimento e mantenimento degli obiettivi desiderati.

5. Effetti sono i risultati a lungo termine del raggiungimento di un determinato obiettivo. a. Gli effetti positivi sono spesso la ragione o la motivazione che porta a stabilire in primo luogo un determinato obiettivo.

b. Gli effetti negativi possono creare resistenze e problemi ecologici.

Lo SCORE danzante comporta il porre ciascuno degli elementi del modello in una sequenza o “time-line” in maniera tale che la causa dei sintomi sia la prima fase, collocata in un’area che rappresenta il passato. Il sintomo può essere posto in un’area che rappresenti il presente o la cornice temporale attuale. L’obiettivo desiderato si colloca poco più in là del presente, in una zona che rappresenta il momento futuro di raggiungimento dello stesso. Gli effetti vanno a loro volta collocati più in là dell’obiettivo.

Un vantaggio dell’impiego di zone fisiche nello spazio è la possibilità di disporre in modo facile e chiaro le diverse parti del modello SCORE e mantenerle separate. È inoltre possibile fare esperienza diretta e distinta degli schemi fisiologici (quali la postura, la respirazione, il movimento) associati a ciascun elemento. La danza può definirsi come “una serie di movimenti ritmici che hanno come scopo la creazione di un effetto visivo tramite una serie di pose e movimenti che tracciano degli schemi nello spazio e nel tempo”. Spesso la danza inizia come semplice espressione emotiva, che si sviluppa successivamente in un’architettura – un’organizzazione pianificata di schemi di movimento che incorpora spazio, sequenza e ritmo. Quando un determinato schema di espressione ha un proprio insieme di passi, gesti e dinamiche, esso diviene una specifica danza. Lo SCORE danzante porta la potente risorsa della mente somatica e la saggezza del corpo all’interno del processo di problem solving.

FASI DEL MODELLO SCORE DANZANTE

1. Pensate a uno stato problematico o a una questione difficile su cui volete lavorare.

2. Disponete nello spazio quattro aree in una sequenza che rappresenti causa, sintomo, obiettivo ed effetto desiderato relativi al problema, come mostrato sotto.

Disposizione nello spazio delle posizioni iniziali per lo SCORE danzante

3. Associatevi fisicamente nell’esperienza del sintomo fisico. Usate il vostro corpo come un sistema rappresentazionale. Create uno schema di movimento che rappresenti ed esprima quel sintomo. Consentite anche allo stato interiore che percepite in quella posizione di espandersi ed essere più pienamente espresso per mezzo dello schema di movimento.

4. Fate un passo indietro entrando nello spazio della causa. Lasciate che la sensazione e il movimento associati al sintomo vi guidino intuitivamente alla sua causa. Esprimete appieno l’esperienza della causa nel movimento (notate come questo schema di movimento sia collegato a quello del sintomo).

5. Cambiate il vostro stato e abbandonate l’esperienza problematica, compiendo fisicamente un passo di lato. Passate alla posizione dell’obiettivo e create un’esperienza pienamente associata del vostro stato desiderato. Rappresentate completamente ed esprimete questo stato attraverso il movimento del vostro corpo.

6. Fate un passo avanti entrando nello spazio degli effetti e percepite i risultati dell’aver raggiunto il vostro obiettivo. Dedicate tempo in particolare a questo stato, per procurarvi una rappresentazione fisica completa degli effetti desiderati.

7. A partire dalla posizione delle cause, camminate lentamente attraverso l’intera sequenza, ripetendo i movimenti associati a ciascuna posizione. Muovetevi molto lentamente tra le posizioni di sintomo e obiettivo, per notare come il vostro corpo intuitivamente connetta queste due aree. Ripetete il processo svariate volte, finché non avete il senso di un singolo movimento continuo da causa a effetto (la danza).

8. Fermatevi in piedi nella posizione degli effetti e lasciate che il vostro corpo vi guidi intuitivamente a uno speciale movimento che rappresenti le risorse adatte da aggiungere alla sequenza della “danza”.

9. A partire dalla posizione della causa, incorporate il movimento della risorsa negli altri movimenti associati a quella posizione. Camminate attraversando le altre zone, aggiungendo il movimento risorsa agli altri movimenti, fino a raggiungere l’area degli effetti.

10. Ripetete il passaggio tra causa, sintomo, obiettivo ed effetto, fino a trasformarlo in una sorta di “danza”.

I 5RITMI® DI GABRIELLE ROTH

Una delle espressioni più pure della sintassi somatica è il ritmo. Per quanto concerne il corpo, il ritmo può essere definito in termini di “schema di movimento regolare e ripetuto”. In PNL vediamo questi schemi ripetuti di movimento come strutture somatiche profonde capaci di mobilitare e integrare varie qualità di conoscenza ed elaborazione all’interno delle nostre menti somatiche. Diversi ritmi possono funzionare come “segnali di accesso” e “Meta-programmi” che organizzano schemi fondamentali di relazione.

Nella corteccia, diversi tipi di onde cerebrali (alfa, beta, delta, teta e così via) danno luogo a diversi stati di coscienza della mente cognitiva. Analogamente nel corpo, i ritmi fanno emergere diversi stati di percezione e di funzionamento nelle nostre menti somatiche. I 5Ritmi® di Gabrielle Roth sono un buon esempio della capacità trasformazionale di ritmo e sintassi somatica. I 5Ritmi® sono il risultato di molti anni di osservazione del modo in cui l’energia si muove nelle persone e nella vita. Come Gabrielle Roth stessa sottolinea in Sweat Your Prayers, “l’energia si muove in onde. Le onde si muovono secondo schemi ricorrenti. Gli schemi si muovono secondo dei ritmi. Un essere umano è tutto ciò: energia, onde, schemi e ritmi”. Gabrielle Roth identifica cinque ritmi – scorrere, staccato, caos, lirico e quiete – che formano una sorta di Meta Modello per il cambiamento e la trasformazione. Questi 5Ritmi® sono espressioni di schemi “archetipici” di energia che emergono organicamente in una determinata sequenza che a sua volta forma una sorta di più ampio schema od onda. I 5Ritmi® sono sia un insieme di mappe sia una pratica di movimento. Nell’esperienza somatica, il corpo si muove attraversando i cinque ritmi dell’onda, a partire dal ritmo delloscorrere. Questo ha inizio in una posizione di radicamento a terra tramite i piedi, in cui si percepisce la connessione con la terra e si invitano le proprie estremità inferiori a muoversi nello spazio. Il corpo segue i piedi e comincia ad eseguire, senza sforzo né forzature, movimenti facili e continui. Il movimento è radicato a terra, connesso e circolare. Roth dice che lo scorrere è il ritmo del principio femminile, del corpo fisico e della terra. Se perdiamo il contatto con la terra o con il nostro centro durante lo scorrere, facciamo esperienza del lato d’ombra di questo ritmo: ci troviamo bloccati in uno stato di inerzia, ci muoviamo senza meta e coscienza, in modo automatico, o cominciamo ad “andare alla deriva”.

I 5Ritmi® di Gabrielle Roth seguono la forma di un’onda.

Lo scorrere è il ritmo all’interno del quale sviluppiamo connessione e ricettività, assorbendo la nostra esperienza in movimento e immergendoci in essa. Connettendoci con il nostro corpo e con noi stessi, e ricevendo il nostro personale fluire, acquistiamo energia, proprio come un’onda che comincia a formarsi. Con l’aumentare della nostra energia tramite il ritmo radicato e fluido dello scorrere, emerge naturalmente il secondo ritmo dellostaccato. Nello staccato (il ritmo del principio maschile e del cuore) l’onda continua a montare e percepiamo la forza che deriva dall’essere profondamente connessi a noi stessi e all’ambiente. Dal movimento continuo del ritmo dello scorrere, il corpo dà forma distinta all’espressione della nostra energia tramite lo staccato. È lo yang che fa da controparte allo yin dello scorrere, l’espirazione che segue all’inspirazione. La forma centrata dello staccato ha in sé concentrazione, attenzione, impegno e capacità di delimitare chiaramente se stessi e le cose. La forma non centrata, o aspetto ombra, può manifestarsi come rigidità, aggressività e violenza. A mano a mano che i piedi, il corpo e il cuore assumono il ritmo dello staccato, il nostro livello di energia continua ad aumentare e raggiunge un punto in cui diventa difficile da contenere. La struttura dello staccato si dissolve nel terzo ritmo, il caos, proprio come un’onda che rovina su se stessa quando raggiunge l’apice del proprio sviluppo. Nel ritmo del caos ci arrendiamo, lasciandoci andare mentre collo e capo come strutture fisse svaniscono dal corpo e dalla mente. Con le fondamenta dei piedi fermamente radicate nello scorrere e il coraggio e l’impegno accesi dallo staccato, arriviamo al caos con un rifugio sicuro in cui abbandonarci. Il caos ci permette di liberarci di schemi vecchi o antiquati, e quando la loro energia bloccata viene rilasciata, facciamo esperienza di rinnovamento, come fossimo rinfrescati da correnti che scorrono libere. Il lato ombra non centrato del caos è la confusione, il disordine, il sentirsi travolti e senza controllo, mentre la funzione positiva del caos è quella di permetterci di abbandonarci poi nella libertà della nostra personale espressione nel ritmo lirico. Lirico è il ritmo della creatività spontanea, l’espressione di tutto ciò che è vero, unico e vivo al momento. E al tempo stesso profondamente connesso e radicalmente libero. È spesso leggero e giocoso come la spuma e gli schizzi di un’onda dopo lo scroscio della cresta, ma può prendere la forma di qualsiasi cosa stiamo provando dopo aver attraversato i primi tre ritmi. Dopo esserci radicati nello scorrere, impegnati nello staccato, e abbandonati nel caos, la fase del ritmo lirico ci permette di fare esperienza dell’essere originali, imprevedibili e squisitamente vivi. Come l’aria, nel ritmo lirico non siamo ancorati ad alcuna forma specifica, e siamo quindi in grado di assumere quelle più adatte al momento. Tuttavia, se non siamo radicati nel corpo e profondamente connessi al nostro sé, è possibile finire nel lato ombra del momento lirico, che è superficialità e fuga dalle cose. La leggerezza e la libertà del ritmo lirico si espandono nel ritmo della quiete, proprio come fa un’onda quando raggiunge la costa. Piuttosto che l’assenza di energia, la quiete è la piena presenza dell’energia in una forma che ci permette di connetterci sia a noi stessi sia al di là di noi stessi. Gabrielle Roth dice che la quiete è il ritmo tramite il quale ci apriamo al campo. Il lato ombra della quiete – che può emergere quando non siamo radicati nei nostri piedi e nel corpo, presenti e connessi con la fonte della nostra energia – è letargia, dissociazione, e l’essere fuori dal corpo e persi nel campo. La quiete

centrata è una sorta di scomparire rimanendo al tempo stesso pienamente presenti: si è il punto di quiete del centro in movimento, connessi col vasto campo che ci circonda. Nella pratica dei 5Ritmi®, chi danza è invitato a sviluppare la propria coscienza dello spazio circostante e ad apprendere come muovere l’attenzione in diverse parti del corpo. Si ricorda loro continuamente di “entrare negli spazi vuoti”. Sono invitati a esplorare i diversi modi di muoversi attraverso lo spazio e di muovere le parti del corpo, espandendo così progressivamente il repertorio di modalità di movimento. Qualche tempo fa è stato condotto un interessante studio sul movimento umano. I ricercatori hanno osservato per un’ora bambini di diverse età e adulti, registrando il numero di movimenti discreti e non ripetuti che essi eseguivano in quell’arco di tempo. Hanno scoperto che, nei sessanta minuti, i bambini molto piccoli facevano attorno ai mille movimenti distinti. Bambini più grandi, arrivati all’età di dieci anni, erano scesi a circa trecento. Negli adulti di trent’anni, il numero di movimenti unici e distinti era ridotto a circa cento. Certamente una delle implicazioni di questo studio potrebbe essere che crescendo e invecchiando usiamo i nostri corpi in maniera più elegante e attenta, meglio conservando e dirigendo la nostra energia. Un’altra implicazione, però, è che cominciamo a diventare più inconsciamente limitati e ridotti nel nostro repertorio di espressione fisica. Come insegna Gabrielle Roth, ciò che facciamo sulla pista da ballo praticando i ritmi rispecchia ciò che facciamo altrove nelle nostre vite. Attraversare in movimento i vari ritmi ci insegna cose riguardo alla nostra relazione con i diversi principi contenuti in ciascun ritmo. Attraversare coscientemente la struttura dell’onda ci permette di portare movimento a schemi inconsci e di svilupparne di nuovi che ci portino progressivamente maggiore libertà, flessibilità e possibilità di scelta. Il movimento è come acqua che scorre, portando ai nostri schemi somatici preesistenti spazio, rinnovamento e nuove informazioni. Gabrielle chiede: “Avete la disciplina necessaria per essere spiriti liberi?”. Come pratica di movimento, i 5Ritmi® ci insegnano come l’atto di seguire un processo contenuto in una struttura chiara possa portare nuova coscienza, intuizioni, trasformazioni e possibilità di scelta. Una pratica somatica come quella dei 5Ritmi® ci aiuta a riacquistare la nostra flessibilità di espressione e ad accedere a tutte le dimensioni di noi stessi. Per dirla con le parole di Gabrielle: Nello scorrere scopriamo noi stessi. Nello staccato definiamo noi stessi. Il caos ci aiuta a dissolvere noi stessi, così da non finire bloccati e rigidi all’interno del sé che abbiamo scoperto e definito. Il momento lirico ci ispira a dedicarci a scavare profondamente nell’espressione unica della nostra energia. E la quiete ci permette di scomparire nella grande energia che tutti ci abbraccia, così da poter poi ricominciare il processo ancora una volta.

Ciascuno di questi ritmi può avere molte forme di espressione, tra cui la danza e la sintassi somatica sono le più ovvie. Ma vi sono anche espressioni corrispondenti visive e uditive (come ad esempio nell’arte e nella musica). I ritmi sono anche evidenti a livello di processo in svariate tecniche. In PNL, lo Swish pattern è chiaramente un’applicazione di un ritmo dello staccato sfruttato per produrre una chiara demarcazione nel comportamento. Lo SCORE danzante è più simile a un’onda che parte in staccato (si fa esperienza di ciascuna parte in modo

separato e discreto), poi aggiunge lo scorrere (tutti gli elementi sono collegati in una sequenza unificata di movimenti) e infine il ritmo lirico (energie ricche di risorse/trasformazionali vengono immesse nella sequenza di movimenti).

CAVALCARE L’ONDA DEL CAMBIAMENTO

1. Create nello spazio una posizione che rappresenti il vostro stato presente. Entrate in quello spazio e calatevi nella vostra attuale esperienza del problema o della situazione. Osservatela come se fosse presente in questo momento, ascoltate e concentratevi sulle sensazioni che provate riguardo alla situazione. Permettete al vostro corpo di creare un’espressione somatica (un gesto o un movimento ripetuto) del modo in cui fate esperienza del vostro stato presente.

2. Muovetevi avanti di svariati passi entrando in una nuova area che rappresenta lo stato desiderato. Calatevi nell’esperienza di come volete che le cose siano in futuro. Guardate cosa vedranno i vostri occhi, ascoltate ciò che sentiranno le vostre orecchie e concentratevi sulle sensazioni che provate riguardo all’esperienza. Ancora una volta, lasciate che il vostro corpo crei un’espressione somatica (un gesto o un movimento ripetuto) che rappresenti l’esperienza di questo stato desiderato.

3. Create, tra le due aree del vostro stato presente e del vostro stato desiderato, uno spazio in cui potete portare ciascuno dei cinque ritmi: scorrere, staccato, caos, lirico e quiete.

4. Applicate la seguente procedura, accedendo a ciascuno dei cinque ritmi: a. Andate nello spazio dello stato presente e fate il gesto e il movimento associato a quella esperienza. Fate un passo avanti e portate quel movimento nel ritmo dello scorrere. Lasciate che il vostro corpo scorra a partire dai piedi, e cominciate a muovervi in modo continuo e spontaneo, connesso, circolare e radicato. Siate connessi e ricettivi, sfruttate il respiro per assorbire l’esperienza dello stato presente in movimento e immergervi in essa. Concludete questa fase lasciando dolcemente affiorare l’espressione somatica associata con il vostro stato desiderato. b. Ritornate alla posizione dello stato presente, e fate nuovamente il gesto e il movimento associato a quella esperienza. Fate un passo avanti e portate quel movimento nel ritmo dello staccato. Radicatevi nei piedi, e lasciate che trovino un ritmo ripetitivo demarcato con forza dai vostri passi, sentendovi profondamente connessi a voi stessi e al

vostro ambiente. Percepite il vostro battito cardiaco mentre espirate, fate movimenti e gesti forti, chiari e distinti. Portate concentrazione, attenzione, impegno e chiarezza nell’esperienza dello stato presente. Terminate portandovi con forza e sicurezza nell’espressione somatica associata allo stato desiderato. c. Partite di nuovo dalla posizione dello stato presente, facendo i gesti e i movimenti associati a quell’esperienza. Fate un passo avanti e portate quei movimenti nel ritmo delcaos. Mantenendovi fermamente radicati nei piedi, alternate i passi da un lato all’altro. Lasciate andare collo e testa e lasciate che il vostro corpo si muova come se fosse fatto di gomma. Consentitevi di abbandonare ogni tensione e rigidità, e portate flessibilità nei vecchi schemi. Liberate ogni energia bloccata associata all’esperienza dello stato presente. Terminate portando la scioltezza e l’abbandono del caos nell’espressione somatica associata allo stato desiderato. d. Partendo dalla posizione dello stato presente e dall’espressione somatica associata, fate un passo avanti e portate quei movimenti nel ritmo leggero e libero del momento lirico. Fate in modo da esplorare la creatività spontanea ed esprimete qualsiasi cosa sia vera, unica e viva per voi in quell’istante. Siate originali, imprevedibili e pienamente vivi. Sperimentate e giocate con qualsiasi forma fisica o energetica sembri appropriata per portare leggerezza all’esperienza dello stato presente. Cavalcate quel senso di libertà alla volta dell’espressione somatica associata al vostro stato desiderato. e. Ancora una volta, tornate alla posizione dello stato presente e all’espressione somatica ad esso associata. Fate un passo avanti e portate quell’espressione nel ritmo finale della quiete. Mentre fate i movimenti e i gesti associati allo stato presente, muovetevi lentamente e con presenza mentale, respirando a fondo e fermandovi di tanto in tanto. Percepite la piena presenza dell’energia in una forma che vi permette di connettervi sia a voi stessi sia al di là di voi stessi a un campo più ampio. Siate il punto di quiete di un centro in movimento, connessi con lo spazio che vi circonda. Lasciatevi arrivare fluidamente all’espressione somatica associata al vostro stato desiderato.

5. Riflettete su quanto avete appreso da ciascun ritmo.

I 5RITMI® E IL MODELLO SCORE DANZANTE

Potete combinare Cavalcare l’onda del cambiamento con il modello SCORE danzante. Cominciate con il definire nello spazio le aree per Sintomo, Causa, Obiettivo ed Effetto, ed esplorate le espressioni somatiche spontanee associate a ciascuna posizione. Poi, uno alla volta, portate ciascuno dei cinque ritmi come risorsa per la situazione che avete mappato.

Cominciate con lo scorrere. Radicatevi nei piedi e cominciate a muovervi in modo fluido e continuo. Integrate questa qualità di movimento con l’espressione somatica associata alla posizione della Causa. Notate quali tipi di cambiamenti e “differenze che fanno la differenza” questo ritmo porta alla vostra esperienza della Causa. Poi passate alla posizione del Sintomo, continuando a portare la qualità dello scorrere a qualsiasi espressione somatica connessa con la vostra esperienza del sintomo. Ancora una volta, notate l’impatto che questo ha sulla vostra esperienza del sintomo. Continuate a muovervi passando per le posizioni di Obiettivo ed Effetto, portando la qualità dello scorrere alle espressioni somatiche associate a quelle posizioni. Come in Cavalcare l’onda del cambiamento, ripetete i passaggi da Causa a Sintomo a Obiettivo a Effetto, portando ciascuno dei cinque ritmi nei gesti e nei movimenti associati a ciascuna posizione. Ogni viaggio attraverso le fasi del modello SCORE dovrebbe portare nuova coscienza e comprensione, e aiutarvi a incrementare la spinta a muovere verso Obiettivo ed Effetto.

SEGUITE I VOSTRI PIEDI!

Come tutti i prodotti autentici del genio, i 5Ritmi® sono universali e possono sembrare ingannevolmente semplici. Come con ogni disciplina, per diventare abili a guidare gli altri attraverso la mappa e nel territorio sono necessarie innumerevoli ore dedicate alla pratica e all’allenamento. Anche se i 5Ritmi®sono basati su una serie di mappe, l’apprendimento avviene in primo luogo e soprattutto nel corpo. L’intelligenza della mente somatica nutre e coltiva la mente cognitiva, ma questo è un processo di apprendimento che ha inizio a partire dai piedi (senza mai lasciarli), e non dalla testa verso il basso. Vi incoraggiamo a fare esperienza di questo processo “nel muscolo” danzandolo voi stessi. Se volete danzare con altri, Gabrielle Roth e il suo gruppo The Mirrors hanno creato un CD per danzare i Ritmi. La musica stessa vi guiderà attraverso i 5Ritmi®. Bones: Tracce 2-6 Initiation: Tracce 1-5 Trance: Tracce 4-8 Tribe: Tracks 1-5 Jhoom: Tracce 1-5 Endless Wave, voll. 1, 2 (la voce di Gabrielle vi guida attraverso un’onda).

In molte parti del mondo potete trovare seminari e corsi guidati da insegnanti che si sono formati con Gabrielle, che ha anche scritto tre libri pratici e ricchi di ispirazione, Le mappe dell’estasi, Sweat Your Prayers e Connections. Questi volumi vi aiuteranno ad approfondire la vostra relazione con la pratica dei 5Ritmi®. Consultate il sito www.gabrielleroth.com per informazioni su corsi, insegnanti, musica e pubblicazione. Potete anche visitare www. movingcenter.com per ulteriori corsi e seminari. Mentre esplorate i 5Ritmi® di Gabrielle, ricordate di respirare, rimanere radicati e seguire i vostri piedi!

CAPITOLO 3

LA MENTE DI CAMPO

LA MENTE DI CAMPO

L’enfasi sulla nozione di campo o mente di campo è una delle caratteristiche che definiscono e denotano la PNL di Ultima Generazione. Un “campo”, nell’ottica della PNL di Ultima Generazione, è essenzialmente un tipo di spazio o di energia prodotto da relazioni e interazioni all’interno di un sistema di individui. Centrale per questa nozione del campo è l’idea che la relazione stessa sia una “terza entità” generata a partire da quelle coinvolte, un po’ come accade quando idrogeno e ossigeno si combinano producendo una terza entità, l’acqua. La relazione diventa un recipiente che contiene, elabora e porta ad evolvere i pensieri, le emozioni e le esperienze di chi ne è coinvolto. In fisica, si definisce campo “una porzione di spazio caratterizzata da una proprietà fisica, come ad esempio la forza magnetica o di gravità, che ha un valore determinabile in ciascun punto entro la porzione di spazio”. Un campo, in fisica, ha quindi a che vedere col movimento dell’energia attraverso un’area di spazio ampiamente dispersa.

In fisica un campo è rappresentato come “linee di forza” che si estendono nello spazio.

Un campo elettromagnetico è tipicamente rappresentato in termini di “linee di forza” che si estendono all’infinito in tutte le direzioni e producono un effetto su corpi all’interno del campo creato da queste linee di forza; è la loro distribuzione a determinare la densità e l’intensità, e quindi anche l’influsso del campo. Questo è ben diverso dall’idea di “particella”, un oggetto che esiste solo in una regione dello spazio molto limitata e definita. Un campo è meno tangibile di una particella, ed è fatto di movimento e relazioni, piuttosto che di “cose”. Un campo è generato dalle relazioni tra oggetti e, al tempo stesso, esercita un’influenza sul comportamento o sulle azioni degli oggetti stessi. Un campo gravitazionale, ad esempio, è una funzione di una fondamentale attrazione tra corpi nello spazio: in assenza di questi, l’attrazione gravitazionale non esiste. Il campo gravitazionale generato dai due corpi (ad esempio

due pianeti) influenzerà anche il comportamento di qualsiasi altro oggetto (ad esempio una navicella spaziale) che entri nella sua area di influenza. L’idea di un campo fisico ha importanti implicazioni (sia dirette sia metaforiche) per la psicologia, il management, la terapia e la PNL. Stephen Gilligan, pioniere della PNL, parla di un “campo relazionale” percepito che esiste tra gli esseri umani, aspetto fondamentale e necessario del cambiamento e della guarigione. Il terapeuta familiare Bert Hellinger basa il proprio operato sull’idea di un “campo familiare” che si estende nell’intera storia di un sistema familiare e include anche l’influenza dei membri che non sono più in vita. Il senso di essere parte di un sistema o campo più ampio è una comune esperienza soggettiva di quasi tutti gli esseri umani. Parliamo spesso dello “spirito di gruppo”, ad esempio, come di un sentirsi parte di qualcosa che ci include, ma che è più ampio di noi. Questa esperienza di appartenere a un’entità collettiva più ampia è espressa in PNL tramite il concetto di quarta posizione percettiva, o posizione del “noi”. La prima, la seconda e la terza posizione percettiva (sé, altro e osservatore) sono collegate ai punti di vista più significativi in un sistema di interazione umana, le prospettive che definiscono lo spazio dell’interazione. Un tipo di campo relazionale è creato dagli schemi di relazione e interazione che hanno luogo in quello spazio. La quarta posizione include e trascende al tempo stesso le altre tre posizioni. Le qualità di questo campo prendono spesso forma e si manifestano nella posizione fisica, o psicogeografia, che le persone coinvolte nell’interazione occupano le une rispetto alle altre. Esperienze soggettive quali quella dello spirito di gruppo risultano dunque da un senso percepito del campo relazionale che emerge dalle interazioni tra i nostri sistemi nervosi e quelli degli altri. Di fatto, essi formano una sorta di più ampio sistema nervoso collettivo, capace di produrre risultati talora indicati con le espressioni “mente di gruppo” o “intelligenza collettiva”. Questa mente di gruppo può avere caratteristiche e qualità di intelligenza che differiscono grandemente dalle menti individuali dei singoli membri, proprio come l’acqua ha proprietà diverse da quelle degli atomi di ossigeno e idrogeno che la formano. Afferma lo psicologo francese Gustave Le Bon: La peculiarità più sorprendente presentata da un gruppo psicologico è la seguente. Chiunque siano gli individui che lo compongono, per quanto simili o dissimili siano i loro modi di vivere, le loro occupazioni, il loro carattere o la loro intelligenza, il fatto che siano stati trasformati in un gruppo mette a loro disposizione una sorta di mente collettiva che li induce a sentire, pensare e agire in un modo ben diverso da quello in cui ciascun singolo membro farebbe per conto proprio. Ci sono certe idee e sensazioni che non vengono a essere, o non si trasformano in atti se non nel caso di individui che formano un gruppo.

Le Bon aggiunge inoltre: Il gruppo psicologico è un essere provvisorio formato di elementi eterogenei momentaneamente combinati, proprio come le cellule che costituiscono un organismo vivente formano con la loro unione un nuovo essere che dimostra caratteristiche ben diverse da quelle esibite singolarmente da ciascuna delle cellule.

Questi fenomeni sono un’espressione di ciò che lo scrittore, filosofo e teoretico della transpersonalità Ken Wilber chiama un’olarchia. Le olarchie sono disposizioni di oloni correlati (un concetto centrale nelle opere di Arthur Koestler e di Gregory Bateson). L’idea dell’olone è fondamentalmente quella che ogni entità o concetto abbia una duplice natura: come totalità in sé completa, e come parte di una qualche altra totalità. Ad esempio, una cellula in un organismo è una totalità completa e al tempo stesso parte di un’altra interezza, quella dell’organismo nel suo complesso. Un altro esempio è quello di una lettera, che è entità a sé stante e al tempo stesso parte integrante di una parola, che a sua volta fa parte di una frase, che a sua volta fa parte di un paragrafo, che fa parte di una pagina e via dicendo. Tutto può essere visto in questi termini, dai quark alla materia, dall’energia alle idee. Qualsiasi entità include e trascende gli oloni di cui è composta. In questo modo, campi collettivi possono anche essere costituiti da altre creature ed esseri, e persino dal nostro ambiente. Secondo Gregory Bateson, quando determinate olarchie raggiungono un adeguato livello di interconnessione e integrazione, esse esibiscono le qualità fondamentali di una “mente”. Sostiene lo studioso che sistemi con il dovuto grado di complessità, flessibilità e feedback sono in grado di mostrare caratteristiche di “autorganizzazione” e spesso paiono avere una mente propria: Qualsiasi insieme di eventi e oggetti che abbia l’adeguata complessità di circuiti causali e le necessarie relazioni energetiche esibirà certamente caratteristiche di mente. Sarà in grado di fare paragoni, “elaborerà informazioni”, e inevitabilmente si comporterà in modo autocorrettivo e autoregolante per raggiungere stati di omeostasi ottimale o per massimizzare certe variabili.

Dato un sufficiente livello di interconnessione e di feedback, un sistema è in grado di raggiungere un più alto livello di integrazione e dimostra caratteristiche di autorganizzazione. La cosiddetta ipotesi di Gaia, proposta nel 1979 dal ricercatore della NASA James Lovelock, ne è un ottimo esempio. Lovelock ha usato il termine “Gaia” (in onore della primordiale dea greca della terra) per descrivere “un’entità complessa che comprende la biosfera terrestre, l’atmosfera, gli oceani, e il suolo; la totalità costituente un sistema di feedback o cibernetico che persegue un ambiente fisico e chimico ottimale per la vita su questo pianeta”. Lovelock ha postulato che la vita sulla terra costituisca un sistema di feedback cibernetico e omeostatico che opera per mantenere stabile la temperatura della superficie, la composizione dell’atmosfera e la salinità degli oceani. La temperatura superficiale globale della terra, ad esempio, è rimasta costante nonostante un aumento dell’energia irradiata dal sole dal 25% al 30% sin dalla comparsa della vita sulla terra. La composizione dell’atmosfera della terra (79% azoto, 20,7% ossigeno e 0,03% biossido di carbonio) rimane a sua volta costante, anche se dovrebbe essere instabile. La salinità degli oceani è rimasta stabile, attorno al 3,4%, per un periodo estremamente lungo. La stabilità della salinità è importante, dato che la maggior parte delle cellule richiedono una salinità costante e non tollerano generalmente valori superiori al 5%. Lovelock ipotizza che questi fattori siano prove del fatto che l’ecosistema planetario della biomassa terrestre regoli variabili di questo tipo per rendere le condizioni del globo più abitabili.

Il fisico Peter Russell ha applicato ed esteso questo principio, fino a ricavarne l’idea di “cervello globale”. Russell percepisce il processo evolutivo come il progressivo raccogliersi di unità (oloni) in sistemi più ampi – da particelle elementari ad atomi, a molecole, a cellule, a tessuti, e via dicendo, fino ad arrivare a organismi autocoscienti. Ciascun salto a un’unità sopraordinata stabilisce un nuovo schema capace di autorganizzazione. Secondo Russell, la crescente densità della popolazione planetaria e i sempre più rapidi sviluppi nelle tecnologie della comunicazione hanno prodotto una situazione in cui gli esseri umani hanno il potenziale per raggiungere un più elevato livello di integrazione e agire come una sorta di sistema nervoso o “cervello” per il resto del pianeta (le persone sono come neuroni, e telefoni cellulari, televisioni, radio, internet sono le connessioni sinaptiche che le collegano)1.

La visione del cervello globale di Russell trova sostegno negli scritti di Gregory Bateson, quando afferma che: La mente individuale è immanente, ma non solo nel corpo. È immanente in percorsi e messaggi esterni al corpo, ed esiste una più vasta Mente di cui quella individuale è solo un sistema subordinato. Questa più vasta Mente è comparabile a Dio ed è forse proprio ciò che taluni intendono con la parola “Dio”, ma è nondimeno immanente nella totalità del sistema interconnesso della società e dell’ecologia del pianeta.

Una delle implicazioni dell’affermazione di Bateson è la possibilità di attingere a reti di intelligenza più estese di quella delle nostre menti individuali. Questa è un’idea che si è indubbiamente manifestata nella storia della nostra specie nell’esperienza soggettiva di sciamani, guaritori, parapsicologi, medium, artisti, persone appartenenti a culture tradizionali, e di alcuni dei più grandi geni creativi che abbiano abitato questo mondo.

Gregory Bateson ha postulato che le nostre menti individuali siano parte di una più vasta Mente che emerge dalla “totalità del sistema interconnesso della società e dell’ecologia del pianeta”.

Nei suoi lavori sulle Strategie dei Geni, ad esempio, Robert Dilts sottolinea che quasi tutti i più famosi geni creativi della storia, da Leonardo da Vinci a Einstein, da Mozart a Michael Jackson, hanno affermato in un modo o in un altro che le loro idee e opere più creative venissero “attraverso” e non “da” loro in quanto individui. Riguardo alle sue idee musicali, ad esempio, Mozart scrisse: “Di dove e di come esse mi arrivino, non so nulla; né posso forzarne il sorgere”. Mozart aggiungeva però che queste idee venivano con maggior facilità quando era in un certo tipo di stati interiori, nei quali il processo creativo si svolgeva “in un piacevole e vivido sogno”. Nei suoi quaderni, Leonardo da Vinci ha descritto di come fosse solito fissare “muri punteggiati da varie macchie o composti da una combinazione di pietre di tipo diverso” per “stimolare ed eccitare” la sua mente “a varie invenzioni”. Leonardo sosteneva di poter vedere nei muri “svariati paesaggi diversi adorni di montagne, fiumi, rocce, alberi, pianure, ampie valli e gruppi di colline”, così come “figure in rapido movimento e strane espressione di volti, e costumi bizzarri, ed un novero infinito di cose”.

Similmente, Albert Einstein sosteneva che le sue idee e teorie sorgessero spontaneamente da certi tipi di “esperimenti di pensiero” e non a partire da “alcuna manipolazione di assiomi” né da forme cognitive di pensiero razionale. Queste descrizioni implicano metodi per connettersi a un’intelligenza creativa al di là dei confini della mente cognitiva individuale. Oltre che alla nozione di “Dio”, la “più vasta Mente” di cui parla Bateson fa riferimento forse anche a ciò che intendiamo con “intuizione”, l’inconscio “creativo” nelle opere di Milton H. Erickson, o l’“inconscio collettivo” degli scritti di Carl Gustav Jung. Freud partiva dal presupposto che l’inconscio fosse qualcosa di personale, contenuto nell’individuo. Jung, invece, vedeva la mente inconscia della singola persona come la crosta di uno strato molto più profondo e universale di coscienza, l’inconsciocollettivo – la parte della psiche umana che ereditiamo e che non sviluppiamo a partire da esperienze personali. Secondo Jung, l’inconscio collettivo è espresso tramite archetipi, immagini mentali o forme-pensiero universali che influenzano le sensazioni, le emozioni e le azioni di una persona. Notando che l’esperienza degli archetipi spesso non si conforma alle tradizioni locali o alle regole culturali, Jung suggerì che essi fossero proiezioni innate. Secondo Jung, un bambino appena nato non è una tabula rasa, ma viene invece al mondo con una struttura precostituita, pronto a percepire certi schemi e simboli archetipici. Jung era convinto che il motivo per cui i bambini fantasticano così tanto è che non hanno ancora assorbito una quantità di realtà sufficiente da cancellare la connessione delle loro menti con il sapere e l’immaginario archetipico. Gli archetipi sono stati espressi nella storia in varie forme di miti, fiabe, testi sacri, arte, letteratura e persino pubblicità. Emergono a livello individuale in sogni e visioni. Platone li descriveva in termini filosofici come “forme elementari” di pensiero ed esperienza. Un altro fenomeno di quella che Bateson chiamava Mente è il cosiddetto “campo morfico” di Rupert Sheldrake. Sheldrake ha proposto l’idea dei campi morfici per spiegare fenomeni che riguardano azioni e influenze a distanza, dallo sviluppo degli embrioni alla guarigione per mezzo della preghiera, fino al fenomeno della “centesima scimmia”2 – situazioni in cui un cambiamento in una porzione della popolazione stimola cambiamento in un altro membro della popolazione o nel gruppo nella sua interezza, senza che abbia luogo alcun contatto diretto. Essenziale per il modello di Sheldrake è il processo di risonanza morfica, un meccanismo di feedback tra il campo e gli elementi corrispondenti (ossia gli oloni) da cui esso emerge. Più è elevato il grado di somiglianza tra i singoli elementi od oloni, più è ampia la risonanza, che rende più probabile l’esistenza, la forza o la persistenza di una determinata forma di pensiero o di comportamento presente nel campo più ampio. Considerate ad esempio il fenomeno dei soldati americani che hanno torturato brutalmente i detenuti nella prigione di Abu Ghraib (con maltrattamenti fisici, psicologici e sessuali, violenze carnali, sodomizzazioni e uccisioni di prigionieri) durante le fasi iniziali dell’occupazione americana dell’Iraq, nel 2003 e 2004. Quando i responsabili furono processati, in tribunale gli avvocati difensori portarono al banco decine e decine di testimoni che confermarono che gli imputati erano persone fondamentalmente normali e che non avevano mai dimostrato comportamenti violenti o sadici in precedenza. Come era dunque possibile che una persona normale si fosse trasformata in un mostro disumano, apparentemente privo di empatia o compassione?

Una spiegazione possibile potrebbe essere quella di un campo morfico del tipo di quelli proposti da Sheldrake, nel quale violenza genera e perpetua violenza tramite la risonanza morfica tra i soldati americani, portandoli a comportarsi in maniere che si discostano dalla loro natura individuale e personalità. Sheldrake postula che il processo di risonanza morfica porti alla formazione di campi morfici stabili, con i quali è molto più facilesintonizzarsi. Potrebbe ad esempio essere questo il tramite perché forme organiche più semplici si autorganizzino sinergicamente in altre più complesse, e questo modello permette una diversa spiegazione per il processo evolutivo stesso, in aggiunta ai principi di selezione e variazione di Darwin. È molto importante ricordare però che, come sottolinea Bateson, “le caratteristiche mentali sono inerenti o immanenti nell’insieme nella sua interezza”. Quando ci separiamo o ci disconnettiamo dal sistema più ampio, perdiamo la possibilità di accedere all’intelligenza che esso racchiude. Un’altra ipotesi per comprendere gli eventi della prigione di Abu Ghraib, ad esempio, è che i soldati siano rimasti intrappolati in un campo disturbato, disconnesso e non integrato che permeava il loro ambiente, perdendo così la connessione con loro stessi. Questo bisogno di essere connessi a noi stessi e ai campi più ampi che ci circondano è la ragione per cui è così importante sviluppare strumenti neuro-linguistici che ci aiutino a connetterci o riconnetterci a noi stessi e alla più vasta Mente di cui parla Bateson. Strumenti e processi che ci aprono e ci connettono a vari livelli di campo e di mente di campo comprendono lo sviluppo di stati speciali o alterati, la meditazione, la trance, la preghiera, il canto, i sogni, la poesia, la danza, il movimento, la sintassi somatica, lo yoga; persino fare l’amore. Michael Dilts, ad esempio, si è dato all’esplorazione della connessione tra PNL e sciamanesimo per creare processi di coaching sciamanico (www.shamancia.com). Utilizzando i tamburi come mezzo per creare una connessione tra il sistema nervoso umano e l’intelligenza di campo, Michael aiuta le persone ad accedere alla sapienza archetipica per trovare risorse di livello profondo e soluzioni.

CAMPO, SPIRITO E SCOPO

Le nozioni di campo e mente di campo sono chiaramente collegate a quella che è stata conosciuta nel corso della storia dell’umanità come esperienza “spirituale”. Il termine spirituale è impiegato nella PNL di Ultima Generazione per riferirsi all’esperienza soggettiva di essere parte di un “sistema più ampio”; un sistema che si estende al di fuori di noi in quanto individui e che abbraccia la nostra famiglia, la comunità, fino ai sistemi di portata globale. Questo livello di esperienza è considerato come uno dei sei fondamentali livelli di apprendimento e cambiamento nel modello dei livelli neurologici di Robert Dilts. L’esperienza di livello “spirituale” riguarda quello che potremmo chiamare il “Sé con la S maiuscola”: un senso di essere che va al di là della nostra immagine di noi stessi, al di là dei nostri valori, delle nostre convinzioni, dei nostri pensieri, delle nostre azioni o sensazioni. Riguarda la nostra connessione con chi altro e cos’altro si trova nel più ampio sistema che ci circonda. Il cambiamento a questo livello di esperienza ha luogo solitamente sotto forma di “risveglio” a questo più ampio contesto che dà alle nostre vite scopo e significato. A seconda della persona o della cultura, l’esperienza soggettiva della dimensione spirituale può essere rappresentata in termini di un “Dio” personificato, un intero

panorama di dei e spiriti, un’energia diffusa che collega tutto ciò che vi è nell’universo, un vasto ordine impersonale o un potere iniziatico che viene alla vita umana e la tocca a partire da un luogo al di fuori di essa. Le esperienze spirituali sono alla radice della religione, ma non sono di per sé intrinsecamente “religiose”. Le religioni solitamente derivano dal tentativo di formare una comunità basata su esperienze spirituali e convinzioni condivise. La religione comporta l’istituzionalizzazione di specifiche convinzioni, di valori e codici etici: è un tentativo di riflettere socialmente o di rappresentare qualcosa di derivato dall’esperienza personale dello “spirito”. Dato che non siamo in grado di percepire in modo diretto le intricate, complesse e invisibili relazioni che costituiscono un campo, ce ne facciamo delle rappresentazioni soggettive spesso simboliche e non letterali. Le rivelazioni tipiche di esperienze spirituali o religiose sono sovente caratterizzate da distorsioni sensoriali o inusuali combinazioni di qualità sensoriali (o submodalità). Ad esempio, con l’allontanarsi di un’immagine visiva essa solitamente appare sempre più piccola, tenue e sfocata; le “visioni” religiose, tuttavia, sono spesso caratterizzate da immagini distanti ma grandi, luminose e chiare. Similmente, quando un suono o una voce sono lontani diventano indistinti e fiochi. La voce di Dio è però solitamente rappresentata come distante, ma chiara e sonora. Per fare un altro esempio, la maggior parte delle persone coscienti di avere “voci interiori” parlano tra sé e sé e sono quindi abituate ad associare a questo dialogo interno le caratteristiche distintive della propria voce. Ciò che è insolito è udire la voce di altri, durante queste chiacchierate tra sé e sé, come accade invece alle persone che si sentono “guidate da voci interiori”. Un’altra caratteristica delle esperienze spirituali o religiose è che esse spesso comprendono fenomeni di sinestesia, ossia di sovrapposizione delle esperienze sensoriali: in questi casi le persone non solo vedono un’immagine, ma la odono e la percepiscono contemporaneamente come un fenomeno uditivo e cinestesico (un po’ come un musicista che “vede” e “sente” la musica). Il filo rosso che collega e unisce tutte le diverse esperienze a livello spirituale è però il fatto che esse hanno a che vedere con un senso di appartenenza, a un livello molto profondo, a qualcosa che risiede al di là di noi stessi. È la percezione e la presa di coscienza di quello che Gregory Bateson chiamava lo schema che connette tutte le cose unendole in un insieme più vasto. Noi, in quanto individui, siamo un sottosistema di questo sistema più ampio. La nostra esperienza di questo livello è collegata al nostro senso di uno scopo e di una missione nella vita. Deriva dal porre la domanda: a chi e a cosa sto dedicando la mia energia e le mie azioni? Gli obiettivi spirituali, nella forma della realizzazione della propria vision e mission, sono la motivazione che ha portato ad alcuni dei più grandi conseguimenti della razza umana. Riguardo al suo operato nel campo della fisica Albert Einstein sosteneva ad esempio: Voglio sapere come Dio ha creato questo mondo. Non sono interessato a questo o a quel fenomeno, allo spettro di questo o di quell’elemento; voglio conoscere i suoi pensieri; il resto sono dettagli.

Nella prospettiva della PNL di Ultima Generazione, l’idea del livello spirituale può essere accostata a quello che Einstein chiamava “i pensieri di Dio”. Molti dei più

importanti leader e geni del mondo riconoscono l’importanza di un qualche tipo di guida spirituale nelle loro vite e nel loro operato.

STUDIARE L’ESPERIENZA SOGGETTIVA DI CAMPO E SPIRITO

L’esperienza soggettiva del campo e dello spirito è naturalmente una delle più intense e profonde a disposizione degli esseri umani. Dato che la PNL è per definizione lo studio della struttura dell’esperienza soggettiva, per questa disciplina l’esplorazione della struttura dell’esperienza soggettiva del campo, della Mente e della spiritualità è di grande rilevanza. Le esperienze a livello di campo e spirito, e i processi che le influenzano, sono tuttavia un’area di studio relativamente nuova in PNL. Molti sviluppi in quest’area sono stati introdotti pionieristicamente da Robert Dilts e Robert McDonald nel loro libro PNL per lo spirito . Similmente, lo scopo generale di molte distinzioni della PNL New Coding era quello di spostare l’attenzione in PNL da elementi specifici in un’interazione al più ampio campo relazionale dell’interazione tra gli elementi. È piuttosto immediato stabilire che la percezione di vari tipi di campo è una comune esperienza soggettiva. I tre principali tipi di campo di cui le persone fanno esperienza sono:

1) Un campo personale o “forza vitale” associato al proprio corpo e al proprio essere fisico;

2) Un campo interpersonale tra se stessi e gli altri, o tra individui in un gruppo;

3) Un campo progressivamente più ampio di Mente, di cui noi e gli altri facciamo parte come sottosistemi di una totalità più vasta dotata di un’intelligenza al di là di quella delle nostre menti individuali.

In questo capitolo esamineremo alcuni dei meccanismi neuro-linguistici del campo e della mente di campo, ed esploreremo processi e procedure tramite cui poter accedere alla più grande intelligenza del campo per aiutarci a guarire, creare, pensare fuori dagli schemi, prendere decisioni più sagge e gestire meglio le nostre vite.

MECCANISMI NEUROFISIOLOGICI DELLA MENTE DI CAMPO

NEURONI SPECCHIO

Uno dei fondamenti neurologici per la nozione di campo sviluppata nell’ambito della PNL di Ultima Generazione sono i cosiddetti neuroni specchio, scoperti all’inizio degli anni Novanta presso l’università di Parma. Il neurologo Giacomo Rizzolatti e i suoi dottorandi e ricercatori stavano registrando l’attività elettrica di neuroni nel cervello di un macaco. Nella corteccia premotoria della scimmia (coinvolta nella coordinazione dei movimenti) erano state collocate all’interno di singoli neuroni le punte di sottilissimi elettrodi.

Conformemente alle aspettative, i ricercatori osservarono che quando la scimmia muoveva il braccio per prendere un oggetto, certi neuroni della corteccia premotoria si attivavano, segnalati da uno specifico suono delle apparecchiature di rilevamento. Un giorno i ricercatori, usciti per andare a pranzo, si dimenticarono di spegnere le apparecchiature. Uno dei dottorandi di Rizzolatti prese un gelato come dessert e tornò in laboratorio con il cono in mano. Mentre leccava il gelato sentì improvvisamente il caratteristico suono gracchiante del segnale di attivazione dei neuroni della scimmia, come se questa stesse muovendo il braccio. Guardando il macaco notò che era immobile, ma che lo stava osservando intensamente. Con grande sorpresa del dottorando, ogni volta che questi leccava il cono i neuroni nella parte del cervello della scimmia usati per coordinare le attività motorie si attivavano, nonostante il macaco fosse seduto immobile e stesse semplicemente osservando le sue azioni. Lo stesso gruppo di ricercatori aveva in precedenza notato un simile singolare fenomeno con le arachidi. Nella scimmia si attivavano le stesse cellule cerebrali, sia quando portava un’arachide alla bocca sia quando vedeva umani o altre scimmie fare lo stesso. Più tardi gli scienziati trovarono cellule che si attivavano sia quando la scimmia apriva un’arachide sia quando sentiva il rumore di qualcun altro che lo faceva. Lo stesso si ripeteva con banane, uva sultanina e oggetti di ogni tipo. Gli studiosi chiamarono queste cellule cerebrali “neuroni specchio”, perché “riflettevano specularmente” azioni che le scimmie osservavano in altri.

Un cucciolo di macaco “rispecchia” un essere umano che fa una linguaccia.

Esperimenti successivi hanno confermato l’esistenza dei neuroni specchio negli esseri umani. Questi esperimenti hanno anche rivelato che, oltre a rispecchiare azioni fisiche, le cellule si comportavano nella stessa maniera anche con sensazioni ed emozioni. Gli esseri umani, peraltro, hanno neuroni specchio più sensibili, flessibili ed evoluti di quelli presenti nel cervello delle scimmie. Questo fatto, secondo i ricercatori, è un aspetto dell’evoluzione delle sofisticate abilità sociali degli esseri umani. Il cervello umano è dotato di svariati sistemi di neuroni specchio specializzati nel comprendere e nel realizzare non solo le azioni degli altri, ma anche le loro intenzioni, il significato sociale del loro comportamento e le loro emozioni. “Siamo creature squisitamente sociali”, sottolinea il dottor Rizzolatti. “La nostra sopravvivenza dipende dalla comprensione delle azioni, intenzioni ed emozioni degli altri. I neuroni specchio ci permettono di afferrare il contenuto della mente altrui, non

solo tramite ragionamento concettuale ma attraverso stimolazione diretta. Percependo, non pensando”. I neuroni specchio sono chiaramente il fondamento dell’empatia, della compassione e di quello che in PNL viene indicato col termine seconda posizione: la capacità di mettersi nei panni di un’altra persona e di farsi un’idea di cosa pensa e cosa prova in una determinata situazione o interazione. Sono chiaramente anche un elemento chiave per spiegare come le persone, e in particolare i bambini, riescano ad apprendere indirettamente semplicemente osservando un altro fare qualcosa. I neuroni specchio, inoltre, possono forse anche spiegare parte della nostra esperienza di quella che in PNL chiamiamo quarta posizione: il sentire di essere parte di qualcosa di collettivo. Tramite i neuroni specchio possiamo letteralmente condividere le esperienze degli altri con cui stiamo interagendo. Questo si riflette nel modo in cui usiamo la parola “noi” per descrivere l’esperienza di far parte di un gruppo che ci include e, al tempo stesso, ci trascende. I neuroni specchio sono anche uno dei meccanismi fisiologici alla base dei fenomeni di introiezione e di imprinting. Entrambi sono processi tramite i quali interiorizziamo i comportamenti e le emozioni di altre persone importanti nel nostro contesto. Tramite i neuroni specchio, i comportamenti, le reazioni e le emozioni degli altri penetrano nel nostro sistema nervoso senza decisioni o scelte consce a fare da filtro. Essi fanno parte dei meccanismi attraverso i quali assorbiamo le azioni e l’energia di altre persone (ed esseri) nell’ambiente che ci circonda.

IL CAMPO ENERGETICO UMANO

Un altro meccanismo che contribuisce a ciò che stiamo chiamando “mente di campo” è il campo energetico umano. Si sa da molto tempo che le attività di cellule e tessuti nel corpo umano generano campi elettrici che si possono individuare sulla superficie della pelle. Questi segnali elettrici comprendono: onde cerebrali (elettroencefalogramma), conduttività della pelle (risposta galvanica cutanea), le attività micromuscolari (elettromiogramma), e il battito cardiaco (elettrocardiogramma). Misure di questo tipo sono il fondamento di tecnologie quali il biofeedback e la cosiddetta “macchina della verità”. Le correnti elettriche associate a questi segnali, tuttavia, generano anche un corrispettivo campo magnetico nello spazio circostante. Si è infatti scoperto che tutti i tessuti e gli organi producono specifiche pulsazioni magnetiche che si conoscono oggi col termine di campi biomagnetici. Strumenti quali il magnetometro SQUID, ad esempio, sono in grado di rilevare il campo biomagnetico proiettato dal cuore umano e di misurare i campi magnetici attorno alla testa prodotti dalle attività cerebrali. In alcuni ambiti della medicina, misurazioni elettriche tradizionali quali l’elettrocardiogramma e l’elettroencefalogramma si integrano oggi con misurazioni biomagnetiche, magnetocardiogrammi emagnetoencefalogrammi. Mappare i campi magnetici nello spazio attorno al corpo può infatti fornire un’indicazione più accurata degli stati fisiologici e patologici di quanto non facciano le tradizionali misurazioni elettriche. Oltre a riflettere l’attività delle cellule e degli organi del corpo, i campi biomagnetici sono anche in grado di influenzarne il funzionamento.

Diversi studi hanno dimostrato, ad esempio, che i neuroni cambiano le loro proprietà di attivazione subendo l’influenza di campi magnetici. In uno studio sull’influsso del campo energetico umano, i ricercatori californiani dello HeartMath Institute hanno esplorato la comunicazione energetica tramite il cuore, che indicano comecomunicazione cardioelettromagnetica. Questi studi indagano sulla possibilità che il campo elettromagnetico generato dal cuore sia in grado di trasmettere informazioni recepibili da altre persone. Secondo i ricercatori dello HeartMath Institute il cuore è il più potente generatore di energia elettromagnetica nel corpo umano, e produce il più vasto campo elettromagnetico ritmico di tutti gli organi del corpo. Il campo elettrico del cuore è circa sessanta volte maggiore in ampiezza rispetto all’attività elettrica generata dal cervello. Questo campo, misurato sotto forma di elettrocardiogramma, può essere individuato ovunque sulla superficie del corpo. Inoltre il campo magnetico prodotto dal cuore ha un’intensità più di cinquemila volte maggiore di quello generato dal cervello. Questo campo non solo abbraccia ogni cellula del corpo, ma si estende anche al di fuori di esso in tutte le direzioni nello spazio circostante. Il campo cardiaco è misurabile ancora a qualche metro di distanza dal corpo.

Il campo elettromagnetico del cuore

Le ricerche condotte dal gruppo HeartMath indicano che i segnali elettromagnetici generati dal cuore hanno la capacità di influenzare le persone attorno a noi. I dati da loro

raccolti mostrano che in soggetti ad alcuni metri di distanza può avere luogo la sincronizzazione delle onde alfa nell’elettroencefalogramma di una persona con il segnale dell’elettrocardiogramma dell’altra. In altre parole, quando due persone sono a distanza di conversazione, il segnale elettromagnetico generato dal cuore dell’una può influenzare i ritmi cerebrali dell’altra.

Il grafico raccolto da HeartMath mostra il battito cardiaco (ECG) di una persona affiancato alle onde cerebrali (EEG) dell’altra.

Le scoperte del gruppo HeartMath indicano anche che gli individui, stabilizzando e allineando funzioni all’interno del proprio stato psicofisiologico (quella che si indica come “coerenza” fisiologica), diventano al tempo stesso più sensibili ai sottili segnali elettromagnetici emessi da chi li circonda. Questi risultati suggeriscono che la comunicazione cardioelettromagnetica possa essere una fonte di scambio di informazioni tra le persone, e che questo scambio sia influenzato dai nostri stati emotivi e dai nostri processi interiori. Tali fenomeni potrebbero essere espressioni di quella che Rupert Sheldrake chiama risonanza morfica.

Altri studi hanno mostrato che alcuni stati patologici alterano i campi biomagnetici del corpo. Alcuni ricercatori postulano che sia possibile individuare le malattie nel campo energetico del corpo prima della comparsa dei sintomi fisici, e che sia possibile prevenirne alcune alterando il campo energetico. Tali studi fanno luce sulle basi fisiologiche che consentono a meccanismi come i campi biomagnetici di agire come impercettibili e costanti forme energetiche di comunicazione tra le persone. Come le sinapsi connettono le cellule nervose nel corpo e nel cervello, i campi biomagnetici potrebbero fungere da sinapsi energetiche collegandoci alle altre persone e agli altri organismi, all’interno di un più ampio sistema nervoso virtuale.

La combinazione dell’attività dei neuroni specchio con i fenomeni dei campi energetici umani fornisce una ricca base per meglio comprendere come possiamo accedere alle risorse della mente di campo e come utilizzarle. Nella prossima sezione esploreremo esercizi e tecniche che vi aiuteranno ad approfondire la vostra connessione a campi personali e interpersonali, e in ultima analisi quella con i campi estesi della Mente batesoniana.

ESPLORARE LA MENTE DI CAMPO

Mentre leggete e provate le tecniche che seguono, ricordate che ciò che stiamo esplorando non riguarda necessariamente la realtà oggettiva. Vedetelo, piuttosto, come un modo per arricchire la vostra esperienza soggettiva e la vostra personale mappa del mondo. Che ciò che state provando sia o meno verificabile nella “realtà oggettiva” è meno importante della qualità delle risorse che vi porta. In ultima analisi, la misura di tutti i processi di PNL sta nella loro maggiore o minore utilità. Ci sono molti sistemi di convinzioni che hanno a che vedere con i fenomeni di campo, con la mente di campo, e con i processi di livello spirituale. Questi sistemi di convinzioni non sono necessari all’esperienza diretta in prima persona dei fenomeni e spesso possono addirittura distorcerla o contaminarla. Quando rimaniamo imbrigliati in convinzioni e narrazioni che si “impossessano” della nostra esperienza e non siamo somaticamente centrati, connessi e radicati nei nostri corpi, possiamo finire per perderci nei fenomeni di campo, o esperirne gli aspetti problematici o “d’ombra”. Per la PNL di Ultima Generazione, il corpo e l’intelligenza somatica sono il varco che permette di raggiungere la coscienza di campo e la mente di campo. È attraverso il corpo che conosciamo il campo in maniera più diretta. La mente conscia cognitiva opera primariamente tramite la logica lineare del ragionamento conscio. Per la PNL di Ultima Generazione è fondamentale la capacità di centrarsi nel proprio nucleo somatico (ritornare nel corpo) e poi aprirsi al campo. Ciò permette di accogliere e al tempo stesso trascendere (uscendo dai loro schemi e limiti) le strutture cognitive dell’ego. Dunque il primo passo di questi processi generalmente riguarda un qualche tipo di azione per centrarsi e connettersi con la mente somatica, e incorpora elementi dei capitoli precedenti.

PERCEPIRE IL PROPRIO CAMPO

Lo scopo di questo primo esercizio è quello di aiutarvi a diventare più consci del vostro personale campo energetico, e della possibilità di connettervi per il suo tramite al più ampio campo che vi circonda (la Mente batesoniana) per ottenere e rinforzare fondamentali risorse.

1. Centratevi somaticamente e fatevi completamente presenti nel vostro corpo. Strofinate le mani per renderle calde e sensibili.

2. Tenete i palmi delle mani rivolti l’uno verso l’altro in maniera tale che quasi si tocchino. Portate presenza mentale e attenzione sulle vostre mani, finché non

diventano talmente sensibili da percepire l’energia del corpo nello spazio tra i palmi. Potreste percepirla come una sorta di calore, un formicolio, o una sottile pressione.

3. Muovete leggermente le mani allontanandole un poco, finché sono a una decina di centimetri l’una dall’altra. Mantenendo la vostra presenza mentale sulle mani, cominciate a percepire il campo di energia tra di esse a questa distanza. Ci sono differenze qualitative rispetto a quando le mani quasi si toccavano? Tenete a mente che ridurre i vostri processi di pensiero cognitivo, in particolare il dialogo interno, vi aiuterà a sintonizzarvi meglio sulle sottili dinamiche del campo somatico. Muovere appena le mani, allontanandole e avvicinandole di pochissimo, può a sua volta aiutarvi nel percepire questo campo.

4. Continuate ad allontanare ancora un poco le mani, finché sono a una ventina di centimetri l’una dall’altra. Mantenendo la vostra attenzione sulle mani, percepite il campo energetico tra di esse a questa distanza. Notatene le caratteristiche: come sono rispetto a quelle delle due distanze precedenti?

5. Continuate a separare le mani finché le braccia non sono quasi del tutto allargate. Rimanendo centrati nel corpo e mantenendo il vostro senso di presenza e attenzione mentale nelle mani, percepite il campo energetico tra le mani via via che la distanza aumenta. Continuate a notare le caratteristiche del campo tra le mani e le eventuali variazioni.

6. Tenete aperte le braccia, simulando la posizione di chi è in procinto di abbracciare qualcuno. Notate se riuscite a percepire il campo di energia emanato dal vostro corpo. Prendete anche coscienza di qualsiasi sensazione energetica presente sul dorso delle mani e delle braccia (all’esterno dell’abbraccio).

7. Aprite completamente le braccia e lasciate che i palmi delle mani siano rivolti verso l’esterno. Notate la distanza a cui potete percepire il vostro campo che si estende nello spazio circostante.

8. Sfruttate questo senso di connessione al più ampio campo circostante per accogliere alcune risorse (quali serenità, pace interiore o saggezza) e muovete braccia e mani riportandole nella posizione dell’abbraccio. Prendete coscienza dell’aumentato senso di pienezza o ricchezza nel vostro campo.

9. Portate lentamente le mani verso il corpo, continuando a percepire un senso crescente di pienezza e ricchezza nel campo tra le vostre mani e il vostro corpo.

10. Terminate ponendo le mani l’una sull’altra e poi sulla parte del corpo che sentite più adatta a ricevere la risorsa che avete portato con voi dalla connessione tra il vostro campo energetico personale e il più ampio campo intorno a voi.

Quando avete finito, riflettete su quanto sia stato facile per voi questo tipo di esperienza. Quanto vi è venuto naturale essere soggettivamente consci di questi fenomeni di campo? Avete incontrato qualche interferenza? A volte vi imbatterete in convinzioni limitanti o

pensieri critici interiori. Esserne consci può essere utile, in maniera tale da accertarsi di avere una scelta a riguardo.

Come nel caso di qualsiasi altra abilità, la vostra capacità di prendere coscienza del vostro campo e di connetterlo con uno più ampio aumenterà con la pratica. Se avete trovato utile questo processo o se sentite che potrebbe esservi utile nel futuro, vi incoraggiamo a ripeterlo a intervalli regolari, come una sorta di meditazione. Come ha sottolineato anche Aristotele: “Siamo ciò che facciamo ripetutamente. L’eccellenza non è un atto, ma un’abitudine.”

CONNETTERSI A PARTIRE DAL PROPRIO CENTRO

Lo scopo della prossima tecnica è quello di esplorare la possibilità di connettere il proprio campo personale con quello di un’altra persona per creare e percepire un campo “interpersonale” che includa e integri entrambi i campi dei singoli, un po’ come gli atomi di idrogeno e ossigeno si combinano per creare la terza entità dell’acqua. Fondamentale per questo processo è la vostra capacità di essere in primis radicati e connessi a voi stessi. Richard Moss sottolinea che: “La distanza tra noi stessi e gli altri è la stessa che intercorre tra noi stessi e noi stessi.” Questo implica che le nostre relazioni con gli altri e con il mondo circostante sono uno specchio della relazione con noi stessi. Dunque la nostra relazione con noi stessi forma la base da cui emergono le nostre relazioni con gli altri e con il mondo esterno. Secondo Moss, quando due persone sono connesse con se stesse e presenti l’una all’altra, le sensazioni naturali che emergono sono compassione, empatia, genuino e reciproco interesse, spontaneità, autenticità e gioia. Queste sensazioni sono il fondamento di tutte le relazioni personali e professionali efficaci.

1. State in piedi di fronte al compagno di esercizio. Chiudete gli occhi e lasciate che la vostra attenzione vada nel vostro corpo fino ad arrivare a un senso del vostro “centro”. Connettetevi pienamente con la sensazione del vostro centro, portando attenzione e presenza mentale nel corpo.

2. Quando vi sentite centrati e presenti in voi stessi, mettete le mani l’una sull’altra e appoggiatele su quella parte del corpo che sentite più legata al vostro centro fisico e personale.

3. Rimanendo in contatto col senso percepito del vostro centro, aprite gli occhi e guardate in quelli del compagno. Quando siete sicuri di riuscire a farlo e a mantenere al tempo stesso il senso percepito di connessione col vostro centro interiore, “ancorate” questo stato sollevando la mano destra dal corpo ed estendendola verso il compagno. Prendetevi la mano destra, come a stringervi delicatamente la mano. Percepite il senso di connessione con il compagno tramite la mano destra.

4. Lasciate andare delicatamente la mano del compagno e portate la vostra attenzione di nuovo dentro voi stessi, ponendo entrambe le mani sopra il vostro centro e lasciando che gli occhi si chiudano nuovamente.

5. Percepite un senso di attenzione e presenza nel corpo, ma questa volta prendete coscienza del vostro centro come “nodo focale” del campo o spazio del vostro corpo.

6. Quando riuscite a farlo, cominciate a muovere lentamente e delicatamente le mani allontanandole dal corpo. Percepite il campo o l’energia della vostra attenzione e presenza che si espande nello spazio attorno al corpo, fin dove giungono le mani. Ancora una volta, siate consci del vostro centro come nodo focale di questo spazio o campo.

7. Continuate a muovere lentamente le mani, sempre più lontano dal corpo, mantenendo il senso del vostro centro come punto focale di un campo o uno spazio che si estende dal vostro corpo fino a dove sono arrivate le vostre mani.

8. Continuate ad ampliare il senso del vostro campo o spazio finché le mani e le braccia sono completamente protese ai lati del corpo, in un gesto di apertura al mondo. Sentite il vostro centro come nodo focale di questo vasto spazio o campo.

9. Riaprite gli occhi e guardate in quelli del compagno, mantenendo la sensazione del punto centrale dentro di voi. Portate le mani sinistre a toccarsi, e fate come se vi steste delicatamente dando la mano. Percepite il senso di connessione con il compagno attraverso la mano sinistra. Notate se e quali differenze ci sono tra questa sensazione di connessione e quella provata quando vi siete dati la mano destra.

10. Lasciate andare le mani e ritornate al gesto di apertura. Quindi rilassate le braccia e lasciate che scendano ai lati del corpo.

11. Cambiate il vostro stato muovendovi un po’, ad esempio girando in tondo e scrollando braccia e gambe.

12. Rivolgetevi nuovamente al compagno. Guardatevi negli occhi e fate un respiro insieme contemporaneamente, poi datevi entrambe le mani. Prendete la destra del compagno con la vostra destra, e la sinistra con la sinistra, come per stringerle entrambe contemporaneamente. Notate la presenza simultanea di entrambi i modi di percepire il vostro centro.

13. Percepite il ricco senso di connessione con il vostro compagno prodotto dalle vostre azioni. Quali sensazioni ed emozioni emergono naturalmente da questa connessione? Quali sono le caratteristiche di questa “terza entità” che produce la vostra connessione? Indirizzate silenziosamente una benedizione o un dono al vostro compagno tramite questa connessione. Poi lasciate andare dolcemente le mani del compagno, e abbracciatevi.

Quando avete finito, tornate a riflettere su quanto facile o difficile sia stata per voi questo tipo di esperienza. Siete stati in grado di percepire la “terza entità” o campo prodotto dalla vostra connessione? C’erano interferenze quali paura, vulnerabilità o uno spiacevole senso di essere esposti? Se sì, c’erano convinzioni limitanti o pensieri critici interiori associati a queste interferenze e riguardo ai quali potreste avere più scelta?

Se avete trovato utile o affascinante questo livello di connessione, ci sono modi per crearlo senza dover eseguire formalmente tutte le fasi. Spesso, l’essere semplicemente presenti nel proprio corpo, centrarsi e mantenere l’intenzione di connettersi con un’altra persona produrrà l’esperienza soggettiva di questo tipo di campo interpersonale.

RISPECCHIAMENTO ENERGETICO

Secondo l’idea di risonanza morfica di Rupert Sheldrake, più elevato è il grado di somiglianza tra individui (o oloni), più è elevato il livello di risonanza. Questo accresce a sua volta la qualità del campo morfico che intercorre tra gli elementi. Uno degli scopi chiave di questo esercizio è di aiutarvi a sviluppare una più elevata qualità di risonanza morfica tra voi e un’altra persona mediante un “rispecchiamento energetico”, ossia rispecchiando le caratteristiche e il livello di intensità dei rispettivi campi personali. Questo aumenta il grado di risonanza prodotto dal campo interpersonale.

1. Centratevi e fatevi pienamente presenti nel vostro corpo. Sfregate le mani per renderle calde e sensibili.

2. In piedi di fronte al compagno di esercizio, sollevate tutti e due entrambe le mani, con i palmi rivolti verso quelli dell’altro. Portate la vostra presenza mentale alle mani e prendete coscienza del campo energetico tra le vostre e quelle del compagno. Percepite un senso di connessione con il compagno tramite questo campo.

3. Insieme al compagno cominciate ad allontanare le mani, finché sono a una decina di centimetri di distanza. Mantenete la concentrazione sulle mani, aumentando la vostra sensibilità al compagno finché riuscite a percepire il campo energetico tra le vostre quattro mani. Avvicinare e allontanare impercettibilmente le mani può aiutarvi a ottenere una migliore percezione del campo. Notatene le caratteristiche. In quale modo esso è simile e diverso rispetto a quanto avete provato alla distanza precedente? Mantenete la sensazione di connessione col compagno tramite questo campo.

4. Fate lentamente un passo indietro via dal compagno, portando le mani a una ventina di centimetri di distanza. Mantenendo la vostra attenzione sulle mani, percepite il campo energetico tra le vostre e quelle del compagno a questa distanza. Notate le caratteristiche del campo che condividete ora. Com’è rispetto ai due precedenti?

5. Continuate ad allontanarvi lentamente dal compagno mantenendo i palmi rivolti gli uni contro gli altri, e percependo il campo tra di voi e il senso di reciproca connessione attraverso di esso. Allontanatevi solo fintanto che siete ancora in grado di percepire la connessione attraverso il campo che sentite tra le vostre mani.

6. Cominciate lentamente a riavvicinarvi, percependo il campo tra le vostre mani e quelle del compagno, fino ad arrivare di nuovo quasi al punto in cui si toccano. Poi lasciate delicatamente che si crei contatto fisico tra i palmi.

7. Spingete le mani l’uno dell’altro, esercitando pressione sui palmi finché arrivate a muovere le mani leggermente avanti e indietro.

8. Regolate la pressione esercitata sulle mani fino a rispecchiare in modo esatto la quantità di pressione che percepite da parte del compagno. Le vostre quattro mani dovrebbero a questo punto diventare perfettamente immobili. Sintonizzatevi su questo senso di pressioni che si eguagliano, e sul senso di energia tra le mani, percependo l’accresciuto senso di connessione che ne deriva.

9. Insieme al compagno muovete leggermente le mani, riportandole alla distanza a cui quasi si toccano e potete percepire la forza vitale che scorre tra i palmi. Restate con le mani rivolte verso quelle del compagno finché riuscite a sentire che state entrambi rispecchiando la stessa quantità di energia che proviene dall’altro. Ancora una volta, notate l’accresciuto senso di connessione reciproca che ne deriva.

10. Ripetete i passaggi 3-5 dell’esercizio, aggiungendo il processo di reciproco rispecchiamento energetico attraverso il campo che intercorre tra le mani a ciascuna successiva distanza.

11. Tornate lentamente ad avvicinarvi rispecchiando l’energia che percepite nel campo tra le mani vostre e quelle del compagno, fino ad arrivare al punto in cui esse, di nuovo, quasi si toccano. Poi lasciate che si crei dolcemente un contatto fisico tra i palmi, e rispecchiate la pressione fisica che percepite proveniente dall’altra persona. Sentite la forza della connessione tra voi e il compagno.

12. Quando siete pronti, potete lasciare andare le mani del compagno e insieme a esse la connessione, per poi abbracciarvi.

Tornate a riflettere su quanto facile o difficile avete trovato l’esercizio. Quando ci apriamo in maniera più intima all’energia di un’altra persona, esercizi ed esperienze di questo tipo possono frequentemente produrre un senso di vulnerabilità. La cosa può rivelarsi non semplice se l’energia altrui è particolarmente intensa, non integrata o disturbata. Quando qualcuno usa espressioni come “uno sguardo assassino” o “lo sta annientando con gli occhi” sta descrivendo degli “attacchi” energetici. Una grande sfida nell’aprirsi alla mente di campo sta nel trovare il modo di ricevere abilmente questi “attacchi” e utilizzarli positivamente. È importante avere un senso di sicurezza e di fiducia per potersi aprire al campo di un’altra persona. Per questo una delle più importanti risorse che possiamo imparare a far nostre per sviluppare in modo sicuro la nostra esperienza della mente di campo è quella di creare ciò che il collega Stephen Gilligan chiama “seconda pelle”.

GENERARE UNA SECONDA PELLE

Una seconda pelle è una sorta di isolamento energetico che ci protegge da potenziali interferenze di disturbo provenienti dai vari campi intorno a noi, senza disconnetterci dalle importanti conoscenze e informazioni contenute in quei campi.

L’analogia con la propria pelle è essenziale. A differenza di una barriera o “armatura”, la pelle è sia ricettiva sia selettiva. Ci permette di essere visibili senza essere esposti, e di essere presenti senza essere troppo vulnerabili o fragili. Per realizzare tutto questo è necessario un campo energetico equilibrato che non sia né troppo debole né troppo duro. Indossare una seconda pelle ci permette di aprirci con sicurezza al mondo, senza dominare gli altri con la nostra energia, ma al tempo stesso senza essere sballottati a destra e a manca a causa della nostra energia troppo debole. La pelle è un sorta di membrana dotata di pori che filtrano il flusso di energia, materiali e informazioni tra ciò che è esterno e ciò che è interno alla membrana. Quella che Gilligan chiama seconda pelle determina, da un lato, quanto della nostra energia rimane all’interno; al tempo stesso, essa ci collega con il mondo esterno tramite il tatto e filtra le energie e le influenze in ingresso, lasciando passare soltanto gli aspetti più utili da accogliere.

La seguente tecnica può aiutarvi a creare soggettivamente una “pelle” energetica sana, resistente ed elastica, che possa costituire una risorsa nelle vostre interazioni con gli altri.

1. Identificate un contesto relazionale nel quale vi sentite sopraffatti, perduti o attaccati da un campo disturbato o campo “ombra”; ad esempio una situazione in cui vi sentite intrappolati o sotto l’influsso di un qualche tipo di energia o vibrazione negativa (paura, aggressività, tristezza, depressione, affaticamento). Questo non deve essere necessariamente connesso a uno specifico contenuto o a una determinata espressione comportamentale; può trattarsi semplicemente di un senso percepito in quel contesto.

2. Selezionate un’area di fronte a voi, fate un passo avanti per entrarvi e mettetevi in quella situazione immaginando di essere là ora, di vedere quello che vedreste con i vostri occhi, di udire quello che sentireste con le vostre orecchie e di percepire le sensazioni che provereste in quella situazione. Passate in rassegna le caratteristiche dell’esperienza da un punto di vista soggettivo. Come vivete l’impatto di questa energia negativa? Come vi sentite? Cosa succede ai vostri pensieri?

3. Uscite dalla situazione e dall’area sul pavimento, e datevi una scossa per uscire dallo stato. Centratevi e radicatevi al suolo, facendovi completamente presenti nel vostro corpo. Sfregate le mani per renderle calde e sensibili.

4. Rivolgete i palmi delle mani l’uno verso l’altro, in maniera che quasi si tocchino. Portate attenzione e presenza mentale sulle vostre mani, e lasciate che diventino talmente sensibili da permettervi di sentire l’energia della forza vitale del vostro corpo che scorre tra di esse. Immaginate l’energia che dal vostro centro si muove scorrendo attraverso le braccia e le mani. Percepite la presenza di questa energia nello spazio tra le mani.

5. Muovete le mani allontanandole un poco, finché sono a circa una decina di centimetri l’una dall’altra. Mantenendo la vostra attenzione sulle mani, continuate a percepire il campo di energia tra di esse a questa distanza. Muovere le mani, avvicinandole e allontanandole leggermente, può aiutarvi a percepire meglio questo campo.

Nota: rimanete presenti nel vostro corpo. Se la vostra mente comincia a vagare o a lasciare il presente non sarete in grado di percepire il campo.

6. Continuando a percepire la presenza del campo generato a partire dal vostro centro, permettete che braccia e mani si muovano come per invitare qualcuno ad abbracciarvi. Notate se riuscite a percepire, nello spazio dell’abbraccio, il campo energetico che emana dal vostro centro e dal vostro corpo. Prendete anche coscienza di qualsiasi sensazione energetica proviate sul dorso delle mani e delle braccia (la parte esterna dell’abbraccio).

7. Mantenendo attivo questo campo nelle mani e nelle braccia, cominciate a scolpire e creare una “seconda pelle” attorno a voi stessi. In questo caso la metafora delle pelle è importante. Non si tratta né di un’armatura né di un campo di forza; la pelle vi permette di essere al tempo stesso connessi e selettivi. La pelle è l’organo che protegge i delicati organi interni e che, contemporaneamente, vi connette intimamente all’ambiente circostante. Questa pelle energetica farà la stessa cosa con il campo. Prendetevi del tempo in più per accertarvi che la seconda pelle sia in posizione nelle aree dove vi siete sentiti più vulnerabili (cuore, stomaco, gola e così via). Quando percepite in modo chiaro la presenza della seconda pelle su tutto il corpo, fate qualche passo per impratichirvi a muovervi accompagnati da questa nuova struttura energetica.

Nota: se vi aiuta, potete aggiungere anche altri sistemi rappresentazionali, ad esempio visualizzando la seconda pelle come un campo energetico o come una luce di un determinato colore, oppure immaginando che emetta un suono caratteristico.

8. Continuando a rivolgere la vostra attenzione alla rassicurante presenza di questa seconda pelle, tornate ora nella posizione in cui avete esplorato la situazione di disturbo. Percepite il senso di simultanea sicurezza/selettività e connessione con l’ambiente circostante. Mentre fate di nuovo esperienza del contesto e della situazione del problema, notate in che modo sia cambiata la situazione per voi.

9. Ricalcate nel futuro, immaginando la prossima occasione in cui vi troverete in quella situazione circondati dalla vostra seconda pelle.

Se state guidando un’altra persona in questo processo, centratevi e generate un campo con le vostre mani, mentre aiutate il compagno. Mentre spiegate e illustrate cosa fare, potete rinforzare la seconda pelle dell’altra persona rispecchiandola e scolpendola con le vostre mani. Se lo fate è tuttavia importante che, in qualità di coach, non cerchiate di imporre alcuna delle vostre caratteristiche o energie sulla seconda pelle dell’altra persona. Il vostro ruolo è semplicemente quello di riconoscere e appoggiare la presenza della seconda pelle nell’altro, rispecchiandola con i movimenti delle vostre mani dove avete notato che questi l’ha già a sua volta collocata.

CREARE UN CAMPO GENERATIVO

Quando siamo radicati in noi stessi e appropriatamente connessi con gli altri, i campi interpersonali possono essere una fonte di risorse estremamente potente. Attraverso le nostre interazioni con gli altri, scopriamo e rafforziamo la conoscenza e l’energia archetipica, creando quello che chiamiamo un “campo generativo”. Un campo generativo è tale in quanto capace di far emergere o liberare qualcosa di nuovo, particolare e senza precedenti negli individui coinvolti nella sua creazione, o nell’interazione tra loro. Come sottolinea Le Bon, “ci sono certe idee e sensazioni che non vengono in essere, o non si trasformano in atti” se non facendo parte di un gruppo. In altre parole, vi sono in noi risorse, capacità e comportamenti potenziali che si possono scoprire e sviluppare solo attraverso le nostre relazioni e interazioni con gli altri. È un po’ come le dinamiche del DNA che portano alla struttura fisica dei nostri corpi. I geni sono attivati o meno dalle loro interazioni con altre molecole che li circondano. I nostri geni rappresentano il nostro potenziale, che può trovare espressione, come non farlo. Il fatto di avere una predisposizione genetica per una cosa non significa necessariamente che essa si manifesterà, o che lo farà in maniera appropriata. Sono esiti determinati dalle interazioni con l’ambiente. Considerate, ad esempio, la capacità di utilizzare un linguaggio verbale negli esseri umani. Si ritiene che tale capacità sia innata. Il linguaggio emergerebbe dunque naturalmente e spontaneamente dalle interazioni con gli altri esseri umani. Tutte le popolazioni umane sul pianeta hanno una qualche forma di linguaggio. Per emergere, tuttavia, l’espressione e lo sviluppo di tali capacità innate (archetipiche) richiede un’interazione tra più persone. Il linguaggio sembra svilupparsi spontaneamente in presenza di due o più persone che vivono assieme; non emergerà però in un essere umano che sia isolato dai suoi simili. In quello che è forse il più antico esperimento psicologico mai riportato, lo storico greco Erodoto racconta di come il faraone egizio Psammetico I avesse cercato di scoprire l’origine del linguaggio dando in consegna due neonati a un pastore: questi aveva ricevuto ordine di nutrirli e prendersene cura, ma di non parlare mai in loro presenza. L’idea era quella di vedere se i bambini avrebbero sviluppato autonomamente un linguaggio e, in caso affermativo, di quale linguaggio si sarebbe trattato. L’ipotesi era che le loro prime parole sarebbero state pronunciate nel linguaggio originario di tutti gli esseri umani. I bambini cominciarono effettivamente a parlare in modo spontaneo. Quando uno dei due gridò “becos” con le braccia protese, il pastore concluse che parlasse in frigio, perché quella era la parola frigia per “pane” (di conseguenza conclusero che i frigi erano un popolo più antico degli egizi, e che il frigio era il linguaggio originario degli esseri umani). Lo sviluppo naturale del linguaggio, come nel caso dei due bambini egizi, non ha però luogo nei casi riportati di bambini isolati cresciuti da lupi o altri animali. Questi cosiddetti “bambini ferali” fanno peraltro fatica a imparare a camminare eretti, ed esibiscono una totale mancanza di interesse per le attività umane attorno a loro. Spesso appaiono mentalmente limitati e, superata una certa età, incontrano difficoltà quasi insormontabili nell’imparare a parlare un linguaggio umano.

In quello che è un interessante esempio della funzione dei neuroni specchio, i bambini ferali tendono ad assumere le caratteristiche degli animali che li hanno cresciuti. In un caso abbastanza recente, risalente al dicembre 2007, nella Russia centrale è stato scoperto un bambino che aveva vissuto con un branco di lupi: questo dimostrava comportamenti e reazioni tipicamente lupini, ed era incapace di impiegare un linguaggio umano3. La conclusione di queste osservazioni sembra essere che le relazioni e interazioni con altri esseri umani siano necessarie per creare (forse attraverso i neuroni specchio) il grado di “risonanza morfica” necessario per attivare anche capacità umane di base quale l’andatura eretta e l’uso del linguaggio verbale. In altre parole, potremmo dire che il linguaggio non è innato tanto negli individui quanto nel campo che esiste tra di essi.

Nel suo libro Fuoriclasse, Malcolm Gladwell sottolinea che i conseguimenti e le prestazioni di individui di particolare successo sono il prodotto tanto del loro ambiente e contesto sociale, quanto delle loro predisposizioni innate. Gladwell afferma che il successo richiede di più dell’intelligenza, dell’ambizione, dello sforzo e del duro lavoro dell’individuo, e conclude che “ciò che facciamo gli uni per gli altri in quanto comunità e società, importa quanto ciò che facciamo per noi stessi”. Per fare un esempio, se da bambino Albert Einstein fosse stato isolato o cresciuto dai lupi, non avrebbe chiaramente sviluppato o espresso il suo speciale genio. Come lo scienziato stesso ha affermato: L’individuo, se lasciato solo dalla nascita, rimarrebbe primitivo e bestiale nei suoi pensieri e nelle sue sensazioni in una misura che a malapena siamo in grado di concepire. L’individuo è ciò che è e ha l’importanza che ha non in virtù della propria individualità, ma piuttosto in quanto membro della più ampia società umana, che dirige la sua esistenza materiale e spirituale dalla culla alla tomba. Il valore di un uomo per la comunità dipende primariamente dalla misura in cui le sue emozioni, i suoi pensieri e le sue azioni sono dirette a promuovere il bene dei suoi simili. Lo definiamo buono o cattivo a seconda di come si colloca in questo senso. A prima vista sembrerebbe che la nostra valutazione di un uomo dipenda interamente dalle sue qualità sociali. Eppure un atteggiamento del genere sarebbe errato. È chiaro che tutte le cose che hanno un valore materiale, spirituale e morale, e che riceviamo dalla società, possono essere ricondotte attraverso innumerevoli generazioni a determinati individui creativi. L’uso del fuoco, la coltivazione delle piante commestibili, il motore a vapore – sono tutte cose scoperte da un singolo uomo. Solo l’individuo è in grado di pensare, e creare così nuovi valori per la società – anzi, addirittura stabilire nuovi standard morali ai quali la vita della comunità si conforma. Senza figure che pensano e giudicano in modo creativo e indipendente, lo sviluppo e l’avanzamento della società sarebbe impensabile quanto lo sviluppo e l’avanzamento dell’individuo senza il sostrato nutritivo della comunità.

Cresciamo e ci evolviamo, dunque, tramite le nostre interazioni con gli altri. Come un assistito di coaching ha detto una volta a uno degli autori: “Mi piace la persona che sono quando sono con te”. Abbiamo certo tutti sperimentato come essere con certe persone

solleciti in noi energie e qualità che non si presenterebbero se fossimo per conto nostro. Innamorarsi è un classico esempio di questo fenomeno. C’è un video molto istruttivo e capace di infondere grande ispirazione che spesso proiettiamo durante i nostri seminari, e che illustra con eleganza il fenomeno del campo generativo. Il video è estratto da un concerto del musicista new age Yanni e mostra una breve performance di improvvisazione da parte di due violinisti: una donna afroamericana con background jazzistico e un violinista classico di origine mediorientale. Mentre i due musicisti si danno il turno a suonare nel duetto improvvisato, risulta ovvio che vi è tra loro del rapport positivo e creativo, che emerge nell’entusiasmo somatico e nella giocosità che i due dimostrano nel suonare e nell’ascoltarsi a vicenda. A mano a mano che continuano il numero cominciano a incorporare idee musicali e melodie che hanno appena sentito dall’altro musicista, prendendole e portandole in nuove direzioni creative. Il risultato finale è una performance emozionante in cui ciascun violinista ha chiaramente dato il meglio di sé e in cui i due si sono elevati a vicenda, suonando cose che non sarebbero mai passate loro per la testa autonomamente. È anche chiaro che il risultato non è semplicemente conseguenza del loro elevato livello tecnico: è una funzione dell’energia somatica nei loro corpi, e del campo generativo formatosi tra di essi.

SVILUPPARE UNA RISORSA CONDIVISA

Afferma l’autore e umanista Morris Berman: “L’energia dell’universo ha origine nel corpo, ed è generata come campo tra corpi”. Lo scopo del prossimo esercizio è quello di esplorare come possiamo liberare, controllare e utilizzare creativamente la nostra energia tramite quello che abbiamo chiamato “campo generativo”. Similmente all’esempio dei due musicisti citati in precedenza, la procedura richiede l’interazione con una seconda persona per fare emergere e potenziare stati-risorsa ed espressioni creative in entrambi i partecipanti. Invece del linguaggio della musica, applicherete qui la sintassi somatica, la lingua del corpo.

Descriviamo qui sotto le fasi da seguire:

1. Con un compagno di esercizio, entrate in uno stato centrato, uno stato di armonia, equilibrio e generatività. Percepite l’energia positiva di questo stato-risorsa nel vostro corpo. Estendete la vostra attenzione in modo che includa anche l’altra persona e percepite le qualità del campo, della “terza entità” tra di voi.

2. Notate quali sensazioni o stati-risorsa sembrino emergere naturalmente attraverso la connessione con il vostro compagno. Entrambe le persone (A e B) permettono il sorgere di un movimento fisico che esprima il senso attualmente percepito del proprio stato-risorsa.

3. La persona A mostra i propri movimenti alla persona B. B osserva, permettendo che i propri neuroni specchio assorbano l’espressione somatica di A e l’energia che la accompagna. Poi B mostra il proprio movimento alla persona A, che osserva

lasciando che i propri neuroni specchio assorbano l’espressione somatica di B e l’energia che la accompagna.

4. Tenendo la propria attenzione sul campo che sta creando e mantenendo con l’altra persona, A rispecchia parte del movimento-risorsa di B e permette che esso ispiri spontaneamente un nuovo movimento che ne ampli o estenda la sintassi somatica.

5. Tenendo la propria attenzione sul campo generativo che sta creando e mantenendo con A, B rispecchia parte del nuovo movimento e permette che ciò ispiri spontaneamente un nuovo movimento che lo espande e lo amplia ulteriormente.

6. La persona A rispecchia a sua volta parte del nuovo movimento di B e permette che questo ispiri spontaneamente un altro nuovo movimento che lo amplia o espande.

7. Dopo aver ripetuto questo processo svariate volte, A e B cominciano a muoversi contemporaneamente, percependo l’energia o il “campo” che li connette e trovando il movimento che esprime il carattere unico del campo generativo tra di loro.

8. [Facoltativo] Se si esegue l’esercizio con un gruppo di persone, ciascuna coppia può poi trovarne un’altra e ripetere lo stesso procedimento; questa volta utilizzando i movimenti creati insieme nella fase 7. Poi si ripete ancora il procedimento tra due gruppi di quattro, e così via, fino ad avere un movimento comune per l’intero gruppo.

Auspichiamo che questo esercizio vi dia una chiara esperienza della capacità generativa dei campi interpersonali. Quando lo facciamo durante seminari e workshop la sensazione di energia e connessione tra i partecipanti invariabilmente aumenta in maniera significativa.

COLLABORAZIONE GENERATIVA

ll fenomeno di un campo generativo può facilmente essere esteso a un gruppo o a un team per creare uno stato di performance creativa che chiamiamo “collaborazione generativa”. Lavorare con altri in gruppi e team è una modalità sempre più comune e importante nella vita e nel business del giorno d’oggi. I gruppi e i team dalle migliori prestazioni esibiscono la caratteristica della cosiddetta collaborazione generativa. Questo riguarda la capacità delle persone in un team, in un gruppo o in un’organizzazione di pensare e agire in maniera allineata e coordinata per creare un insieme che sia realmente qualcosa di più della somma delle parti che lo compongono. Collaborare significa letteralmente “lavorare insieme”. Ci sono molti modi in cui le persone collaborano e operano insieme. Le prestazioni di gruppo si possono infatti suddividere in tre tipologie:

1. Un gruppo o team a basse prestazioni, in cui la produzione di prestazioni del gruppo nella sua interezza è effettivamente minore di quella che si avrebbe se i singoli componenti operassero separatamente.

2. Un gruppo o team a medie prestazioni, in cui le prestazioni prodotte dal gruppo nella sua totalità sono grosso modo le stesse che si avrebbero se i singoli componenti lavorassero indipendentemente.

3. Un gruppo o team ad alte prestazioni, in cui le prestazioni offerte dal gruppo nella sua interezza sono maggiori di quelle che si avrebbero se i componenti operassero separatamente. Quest’ultimo caso è il prodotto della collaborazionegenerativa.

Possiamo dire che un gruppo o team a basse prestazioni fondamentalmente manca della capacità di collaborare efficacemente. Non solo i singoli non riescono a lavorare insieme, ma le loro interazioni finiscono addirittura per ostacolare la loro capacità di svolgere efficacemente i compiti individuali (una sorta di collaborazione “degenerativa” o di interazione a “somma negativa”). Un gruppo a prestazioni medie ha raggiunto un livello base di collaborazione. La collaborazione di base richiede che le persone in un gruppo abbiano un certo grado di rapport reciproco, che comunichino in modo efficace, e che ciascuna porti a termine i propri compiti individuali in maniera coordinata con gli altri membri del gruppo. L’obiettivo della collaborazione di base è quello di far sì che le persone si adoperino secondo quanto ci si aspetta da loro in maniera da produrre un risultato equivalente alla somma dei contributi individuali. La collaborazione di base richiede che i membri del gruppo siano in grado di sostenersi a vicenda, di farsi reciprocamente da guida, da coach e, a volte, da maestro. La collaborazione generativa riguarda persone che lavorano insieme per creare o generare qualcosa di nuovo, di sorprendente, qualcosa che vada al di là delle capacità individuali dei singoli membri del gruppo. Tramite la collaborazione generativa i membri del gruppo sono in grado di utilizzare nella maniera più piena le proprie abilità e di scoprire e applicare risorse che ancora non sapevano di avere. Così le prestazioni del gruppo nella sua interezza superano di gran lunga quelle offerte dall’operato indipendente dei singoli individui. Considerate l’esempio seguente, che riguarda una famosa multinazionale delle telecomunicazioni. L’azienda stava faticando a rimanere competitiva e sapeva di aver bisogno di sviluppare un prodotto per un settore molto importante del proprio mercato. La situazione era talmente critica che l’azienda aveva messo insieme un team di mille persone per sviluppare il nuovo prodotto. Con loro sorpresa e imbarazzo, emerse però che la concorrenza era stata capace di creare un prodotto migliore in tempo minore e a costo molto più ridotto – surclassandoli completamente sul mercato – e che lo aveva fatto impiegando un team di sole venti persone! Chiaramente la domanda spinosa per la multinazionale era come fosse possibile che venti persone riuscissero di gran lunga a superarne mille. La differenza che aveva fatto la differenza è quella che abbiamo indicato come la capacità di “collaborazione generativa”. Nel riflettere sul modo in cui il team di mille persone avesse lavorato insieme, risultò evidente che questi avevano operato in larga misura isolatamente. I membri del team si erano semplicemente applicati a portare a termine i compiti loro singolarmente assegnati dal leader del progetto, che vedeva le persone essenzialmente come parti di una macchina o di un programma informatico.

Il gruppo di venti persone, invece, era in costante comunicazione e interazione: i membri si mettevano sempre in discussione, stimolandosi e appoggiandosi a vicenda per dare il meglio di sé e pensare fuori dagli schemi. La collaborazione generativa è il risultato di persone che si stimolano e si sostengono a vicenda per procedere in modi nuovi e creare qualcosa senza precedenti. È necessario che i membri del gruppo condividano caratteristiche quali vision, punti di vista multipli e la capacità di creare un forte campo relazionale basato su fiducia e rispetto reciproci. Questo implica che i membri del gruppo siano anche in grado di darsi reciproco appoggio come mentori, sponsor e “risvegliatori”. Come abbiamo sottolineato, la collaborazione generativa di questo tipo risulta nello sviluppo di una mente di gruppo, o intelligenza collettiva, nella quale la conoscenza e il know-how dei singoli si combinano per produrre una più ampia intelligenza e una creatività impossibili da ottenere senza la presenza degli altri membri del gruppo. Il processo è simile, come si è già illustrato, a quanto accade quando due atomi di idrogeno si combinano con uno di ossigeno per creare un’entità terza, l’acqua. Eppure, per creare l’acqua, l’ossigeno deve rimanere del tutto ossigeno, e l’idrogeno del tutto idrogeno. Per usare le parole del filosofo Ken Wilber, la nuova relazione espressa dalla creazione dell’acqua “include e trascende” le entità individuali che la compongono, producendo una cosa che le contiene entrambe ma che è al tempo stesso del tutto nuova.

Un importante principio che opera in questo caso è il fatto che l’individualità, gli interessi e le passioni personali delle persone sono elementi necessari per la collaborazione generativa. È stato detto che “la i e la o (di IO, ndr) sono due lettere che non fanno parte della parola team”, e questo forse è vero nel caso della collaborazione di base, ma non per quella generativa. Per produrre collaborazione generativa le persone devono essere fermamente radicate in se stesse, somaticamente centrate nella propria speciale energia e nelle risorse personali, e personalmente appassionate alla causa di vedere le proprie visioni diventare realtà. Quando le persone “sacrificano i propri interessi per il bene del team”, il team stesso perde la pienezza della passione, della creatività e dell’energia dei suoi componenti. Per fare un esempio, nella collaborazione di base un gruppo di sei o sette persone potrebbe riunirsi, raggiungere un consenso riguardo a un determinato progetto e lavorare per realizzarlo: viene così prodotto qualcosa che è il risultato della somma delle loro interazioni. Applicando i principi della collaborazione generativa, il gruppo di sei o sette persone produrrebbe almeno sei o sette progetti, oltre a svariate possibili sinergie tra i progetti individuati. Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, ha detto: “Se due persone si trovano e scambiano un dollaro, entrambe se ne vanno con un dollaro in tasca. Ma se si trovano e scambiano un’idea, entrambe se ne vanno portando con sé almeno due idee”. Probabilmente se ne vanno anzi con molte più idee, che risultano dalle combinazioni e dalle sinergie tra le idee che sono state condivise. La collaborazione generativa è un buon esempio di questo tipo di “economia delle idee”. Una buona metafora per comprendere le dinamiche della collaborazione generativa è l’interazione delle bolle. Una bolla rappresenterebbe in questo caso una determinata vision o idea. Nella collaborazione di base tutti i membri del team lavorano insieme per

creare una bolla. Nella collaborazione generativa ciascuno dei membri del gruppo crea la propria bolla e poi osserva come essa si combina con le bolle formate dagli altri.

Come bolle che si uniscono per formare un insieme più ampio, la collaborazione generativa comporta l’integrazione di vision e idee complementari.

Molti efficaci sviluppi e conseguimenti del mondo attuale sono risultati non tanto dalla vision di una singola persona, quanto dalla combinazione di vision e idee multiple. La creazione di internet ne è un buon esempio. I germi della rete risalgono al 1969 con Arpanet, un progetto di ricerca del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti mirato a sviluppare un’architettura di rete per uso militare e a trovare un modo per sfruttare al meglio le scarse risorse dei mastodontici computer del tempo. Università, laboratori di ricerca e aziende private scoprirono presto il potenziale della rete come mezzo di comunicazione tra umani, e cominciarono a collegarsi in numero sempre crescente. Negli anni Ottanta e nei primi Novanta porzioni sempre maggiori del network governativo originario furono vendute a grandi compagnie di telecomunicazione, fino alla completa commercializzazione della struttura portante della rete. Nel 1994 i normali utenti di computer scoprirono internet, attratti dalle capacità ipertestuali e multimediali del World Wide Web. Oggi, la rete globalmente estesa è diventata la tecnologia di comunicazione chiave che unisce persone in ogni luogo del pianeta. Tuttavia, come ha sottolineato uno degli originari sviluppatori di Arpanet, “nessuno a quei tempi aveva una vision di quella che sarebbe stata internet. Ciò che si è sviluppato non era stato originariamente immaginato da nessuno”.

Il risultato della collaborazione generativa è un visione collettiva unica e a sé stante.

L’imprenditore Don Picken richiama questo concetto quando afferma che “la leadership visionaria non significa semplicemente avere una vision: consiste nell’intessere la propria vision con altre”.

CREARE UNO “SPAZIO” GENERATIVO

L’esercizio che segue esplora il modo di creare le condizioni che permettono la collaborazione generativa. Nel farlo è importante distinguere tra il contenitore (la relazione o il campo che esiste tra i membri del gruppo o team) e il contenuto (le visioni, le idee o le problematiche che il gruppo o il team deve trattare). Aspetto essenziale per la collaborazione generativa è la creazione di un “contenitore” relazionale costruito sulla fiducia, sul rispetto reciproco e sul riconoscimento delle risorse e dei contributi unici di ciascun membro. Nella PNL di Ultima Generazione questo aspetto viene indicato col termine “sponsorship”. Richard Moss sostiene che “il più grande dono che possiamo fare a noi stessi o a un’altra persona è la qualità della nostra attenzione”. La sponsorship richiede di vedere, percepire e affermare le qualità positive e il potenziale altrui. Un modo per incoraggiare la sponsorship reciproca in un gruppo di persone consiste nell’allenarle a individuare e a riconoscere ciò che notano e apprezzano negli altri membri. Il processo che stiamo per illustrare, originariamente sviluppato dal trainer di PNL Robert McDonald, incoraggia le persone a farsi a vicenda da sponsor inducendole a concentrarsi su cosa esse autenticamente apprezzino l’una nell’altra. I membri del gruppo assumono a turno il ruolo della persona A, quella su cui tutti gli altri si concentrano. È importante che ogni singolo si offra volontario per assumere il ruolo solo quando si sente pronto a essere al centro dell’attenzione.

Ciascun membro si offre volontario per assumere il ruolo di centro dell’attenzione del gruppo.

Partendo dalla sinistra della persona A e andando in senso orario, ciascuno dei componenti del gruppo farà il proprio apprezzamento su una cosa che vede riguardo alla persona A e su una cosa che sente. Il “vedere” si basa letteralmente sulle nostre osservazioni, sulla percezione sensoriale del comportamento della persona. Il “sentire” si basa, invece, su un’impressione somatica e intuitiva riguardo all’essenza profonda della persona.

Ciascun membro del gruppo impiegherà il seguente formato:

“Vedo che ___________________________. E lo apprezzo”. “Sento che tu ___________________________. E lo apprezzo”.

Ripetete questo procedimento finché tutti nel gruppo avranno avuto l’opportunità di essere la persona A e di ricevere questi commenti dagli altri. È importante tenere a mente che essere osservati dagli altri così intimamente può far sentire vulnerabili molte persone. Quando si dà inizio alla procedura, perciò, è importante accertarsi che i membri del gruppo siano centrati in se stessi e siano dotati di una “seconda pelle” bene attiva. Se eseguito correttamente, questo processo può creare una rapida e profonda esperienza di fiducia e connessione tra i componenti del gruppo, anche se essi in precedenza non hanno goduto di un elevato grado di familiarità l’uno con l’altro.

ARRICCHIRE IL CAMPO DI GRUPPO

Un principio chiave per la collaborazione generativa è il fatto che più ciascuna persona è capace di portare le proprie speciali energie e risorse al gruppo, più questo ne trarrà beneficio. Allo stesso modo, più il gruppo riesce a far emergere una certa risorsa nella persona, più questa, a sua volta, se ne gioverà insieme agli altri. L’esercizio seguente è progettato per aiutare a stabilire e supportare il ciclo di feedback positivo tra l’individuo e il gruppo nella sua interezza.

Come singolo individuo:

1. Identificate uno stato di abbondanza di risorse che vorreste portare al gruppo come vostro contributo, e fate in modo che il gruppo lo stimoli ulteriormente in voi.

2. Entrate completamente in quello stato. Sentitene l’energia e lasciate che diventi un’espressione fisica in forma di un movimento (sintassi somatica). Identificate anche la parola o l’etichetta che usereste per caratterizzarlo. Il nome potrebbe essere letterale (ad esempio “sicurezza di sé”, “humour”, “saggezza”, “generosità”) oppure simbolico o metaforico (ad esempio “luce di stelle”, “radici profonde”, “radiosa energia blu”).

Come gruppo:

3. Uno alla volta, ciascun membro del gruppo condivide con gli altri lo stato e l’energia che vorrebbe portare al campo collettivo, immergendovisi e lasciando che esso si esprima attraverso il corpo. Mentre lo fa, la persona esprime l’invito dicendo: “Vedete la mia risorsa/energia”.

4. Il resto del gruppo osserverà accuratamente, poi entrerà in “seconda posizione” assumendo la sintassi somatica di quella persona. Quando i membri del gruppo hanno un senso dello speciale stato e delle particolari energie della persona, tornano alla propria prima posizione percettiva e dicono: “Vedo la tua (risorsa/energia)”.

5. Quindi la persona dice: “Vedetemi”.

6. Ciascun membro del gruppo si apre a percepire la presenza profonda della persona (la sua “sovra-posizone”) e dice: “Ti vedo”.

7. Ripetete il procedimento finché ciascun membro del gruppo ha espresso entrambi gli inviti (“Vedi la mia risorsa/energia” e “Vedimi”) e ha ricevuto il riconoscimento del resto del gruppo.

8. Dopo che ciascun membro del gruppo si è espresso e ha ricevuto la rispettosa sponsorship degli altri riguardo alla propria risorsa, tutti cominciano a fare i movimenti delle proprie personali risorse contemporaneamente. Poi tutti i membri insieme iniziano a modificare e a mescolare i propri movimenti individuali fondendoli nel movimento di una singola “risorsa di gruppo”. Questo creerà un sorta di “quarta posizione” condivisa.

Una volta che il “contenitore” del campo di gruppo è stato stabilito e arricchito, è possibile cominciare ad attingere all’intelligenza collettiva del gruppo. Un metodo potente per farlo è un procedimento che chiamiamo di “intervisione”.

INTERVISIONE

La ricchezza di un campo generativo deriva dal fatto che le persone hanno diverse mappe del mondo, diversi background, diverse risorse e diversi punti di vista. Quando queste differenze vengono combinate in modo da essere complementari, esse formano il fondamento di una collaborazione generativa efficace. Il processo di intervisione è un modo per promuovere le sinergie e le sovrapposizioni costruttive tra diverse visioni, idee e prospettive delle persone che formano un gruppo. Nella “supervisione” vi è un’implicita relazione gerarchica tra le persone; il supervisore fornisce la mappa “corretta” agli altri. Nell’“inter-visione” si parte dal presupposto che le persone siano pari, e che non vi sia una singola “mappa corretta”. Il termine, inoltre, contiene l’idea di “visione”. Uno degli obiettivi del processo di intervisione è quello di applicare strategie di pensiero visivo e simbolico in un contesto di gruppo. Un beneficio fondamentale dell’intervisione riguarda l’influenza del nostro modo di rappresentare e concettualizzare idee e visioni. Il modo in cui qualcun altro rappresenta la visione o l’idea di un determinato individuo può automaticamente arricchire la percezione che ne hanno gli altri membri del gruppo. Per questo motivo il processo di intervisione si applica con i migliori risultati in gruppi di quattro o più persone, che offrono quindi una gamma di diversità sufficientemente ampia. Un altro importante requisito dell’intervisione è che ciascun membro del gruppo sia ispirato dalle vision e dalle idee degli altri. In termini della relazione tra i membri del gruppo, l’obiettivo del processo di intervisione è che tutti condividano la propria vision. Gli altri, nel frattempo, dovranno assumere un atteggiamento di scambio, da un lato attraverso l’implicita richiesta “Questo è il mio futuro, puoi contribuire?” e, dall’altro, chiedendo “Qual è la tua vision, e come posso contribuire?”.

In un processo di intervisione tipico ciascun membro del gruppo presenta a turno la propria vision, la propria idea o la propria situazione agli altri nella forma più essenziale e concisa possibile. Mentre gli altri membri ascoltano, lasciandosi toccare e ispirare dalle parole e dalle idee di chi si sta aprendo a loro. Quando la persona ha finito, gli altri disegnano un’immagine simbolica o metaforica di come hanno compreso ciò che hanno ricevuto e capito, e di ciò che più li ha ispirati. Può essere un qualsiasi tipo di schizzo o diagramma. Ad esempio, qualcuno potrebbe disegnare un albero o un panorama; un’altra persona potrebbe semplicemente disegnare simboli quali rettangoli, cerchi e stelle, connessi tra di loro con linee e frecce. Ciò che è certo è che nessuno rappresenterà la descrizione nello stesso esatto modo: tutti avranno una mappa diversa del territorio. Nel disegnare, ciascuno crea la propria mappa rappresentazionale individualmente, senza guardare cosa fanno gli altri. Tutti i membri del gruppo disegnano una propria immagine di quanto proposto e recepito, inclusa la persona che ha presentato le proprie idee. I membri del gruppo considerano poi quali risorse possano offrire a chi ha parlato. Una “risorsa” in questo caso sarebbe qualcosa che posso condividere con gli altri membri per aiutare la persona a manifestare meglio la propria vision o la propria idea. Risorse possono essere ad esempio un libro, un articolo, un sito web, informazioni o contatti di persone o organizzazioni che potrebbero rivelarsi utili. Una risorsa può anche prendere la forma di un suggerimento, un consiglio o un’azione di guida tratta dalla propria esperienza. È importante che la risorsa sia qualcosa che i membri del gruppo possano offrire a chi ha parlato senza richiedere niente in cambio. Una volta che i membri del gruppo hanno completato le proprie immagini e i propri pensieri sulle risorse che possono offrire, ciascuno spiega ciò che ha disegnato e porta il proprio contributo seguendo questo formato:

1. “Questo è il mio disegno della tua idea o della tua vision …” (Spiegando brevemente il disegno nella misura necessaria).

2. “Ciò che la tua vision ispira in me è …” (Condividendo sensazioni, idee, nuovi punti di vista, ed altre cose che le parole o le idee di chi ha parlato hanno fatto emergere).

3. “Una risorsa che posso offrirti e che può aiutarti a mettere in atto la tua idea o vision è …”

Alla fine, chi ha parlato farà sapere al gruppo in che modo la sua mappa della vision o dell’idea è stata arricchita dall’esperienza. Se c’è tempo, il gruppo può anche esplorare la creazione di un disegno o immagine che rappresenti sovrapposizioni costruttive o aree comuni delle varie vision.

ACCEDERE ALLA “MENTE ALLARGATA”

Come abbiamo affermato in precedenza, i campi generativi possono estendersi al di là delle interazioni interpersonali. Possono anche risultare dall’interazione con la Mente batesoniana, contenuta nel nostro ambiente naturale, nella nostra ecologia planetaria e

nel nostro inconscio collettivo. L’esercizio seguente fornisce procedure studiate per aiutare ad attingere all’intelligenza dei più ampi campi che ci circondano.

SOGNARE ATTIVAMENTE

Sognare attivamente è un modo per impratichirsi a raccogliere informazioni dal campo tramite uno stato di non-conoscenza. Il sogno attivo è un processo ispirato dalle tradizioni di alcuni gruppi di nativi d’America: si tratta di stabilire un’intenzione da sviluppare o durante il sonno, oppure sognando a occhi aperti. L’intenzione può essere quella di ottenere una risposta, risolvere un problema, prendere una decisione, raccogliere più informazioni, capire meglio qualcosa e così via. Le intenzioni vengono generalmente espresse in termini più generali rispetto a uno specifico obiettivo o risultato. Ad esempio, una persona potrebbe dire “La mia intenzione è quella di sognare riguardo a qualcosa di cui posso liberarmi una volta per tutte, in sicurezza e nel rispetto degli equilibri del mio sistema”. L’intenzione serve da filtro o guida per i processi inconsci. Le risposte possono essere letterali o simboliche. Una persona potrebbe svegliarsi il mattino seguente e rendersi conto che “È giunto il momento che io mi liberi della rabbia che ho continuato a nutrire riguardo a una relazione finita cinque anni fa”. Un’altra persona potrebbe andare a fare una camminata e trovarsi a fantasticare di foglie che cadono da un albero: potrebbe non avere una comprensione conscia di cosa simbolizzino le foglie, ma sentirsi nondimeno alleggerita e più a proprio agio. Un modo per esplorare i simboli è quello di assumere la “seconda posizione” e immaginare, per rifarci all’esempio precedente, di essere le foglie o l’albero. Ritornando al proprio punto di vista o a quello di un osservatore, si può poi esplorare la relazione tra i simboli e la propria intenzione originaria.

> ESERCIZIO DI SOGNO ATTIVO

Per esplorare il sogno attivo, provate l’esercizio seguente:

1. Centratevi nel vostro corpo e aprite la vostra attenzione conscia al campo più ampio che vi circonda (vedete gli esercizi su Percepire il proprio campo e Connettersi a partire dal proprio centro). Ponetevi un’“intenzione” e, nella vostra mente, lasciate che vi faccia da sottofondo; pensate, ad esempio, a una decisione che dovete prendere, un problema che state risolvendo, una cosa riguardo alla quale vorreste essere più creativi, un questione sulla quale vorreste avere più informazioni.

2. Create uno stato di non-conoscenza: a. Passate alla visione periferica (invece di usare quella foveale più concentrata). b. Concentrate il vostro udito sui suoni esteriori (ignorando qualsiasi dialogo interno). c. Assumete uno stato fisiologico rilassato (nessuna tensione emotiva o fisica super-flua).

3. Mantenendo questo stato, andate a fare una passeggiata di dieci minuti. Mentre camminate, notate cosa sembra “saltare alla vostra attenzione”, o da cosa sembrate essere attratti: ad esempio un albero, dell’erba, il vento, il verso di un uccello.

4. Quando questi fenomeni si sono presentati (ce ne potrebbe essere più di uno), assumete la seconda posizione con ciascun simbolo o oggetto. Quali sono le caratteristiche salienti? Quali sarebbero i vostri attributi se foste, ad esempio, l’albero? La percezione del tempo sarebbe probabilmente diversa, così come la velocità degli oggetti e delle persone che vi si muovono attorno, la vostra base sarebbe immobile e radicata a terra, mentre la chioma sarebbe libera di muoversi e così via.

5. Raccogliete tutte le informazioni e le caratteristiche che avete scoperto assumendo la seconda posizione con gli oggetti o i simboli, e ponetevi in terza posizione (la meta-posizione) rispetto all’intenzione originaria. Esplorate quali nuovi dati o quali nuove intuizioni avete acquisito ora riguardo all’intenzione.

VEDERE IL “CAMPO”

Albert Einstein ha affermato: “Il nostro modo di pensare crea problemi che il medesimo modo di pensare non è in grado di risolvere.” La maggior parte della nostra formazione scolastica e universitaria è concentrata su procedure e metodi orientati ad applicare le funzioni della nostra mente cognitiva conscia. Molte delle sfide e delle decisioni più importanti della nostra vita non sono però risolvibili per mezzo della logica razionale e lineare a cui è avvezza la nostra mente cognitiva. Questo porta spesso a uno stato di impasse in cui abbiamo raggiunto il limite delle nostre facoltà mentali. L’esercizio seguente vi aiuta a connettervi con l’intelligenza della mente di campo per superare aree in cui avete raggiunto una condizione di stallo nella vostra vita, nella vostra carriera, o nelle vostre relazioni personali. Accedere alla mente di campo ci permette di uscire dagli schemi delle nostre limitazioni cognitive. Tutti i geni creativi più famosi del mondo e i più grandi pensatori riconoscono l’importanza di metodi e pratiche che mettono in contatto con un livello di intelligenza che include ma trascende i limiti dell’ego e dell’intelletto razionale. Vedere il campo comporta il concentrarsi sulla struttura più profonda di una situazione, anziché soffermarsi sullo specifico contenuto o sulle condizioni tramite le quali la struttura si esprime. Come abbiamo sottolineato in precedenza, le dinamiche di campo sono troppo complesse e sottili per poter essere colte dalla sola mente razionale. Considerato che non possiamo percepire direttamente le intricate e impercettibili relazioni che compongono un campo, le rappresentazioni soggettive che ce ne formiamo sono generalmente simbolicometaforiche e non letterali.

1. Identificate un’esperienza in cui avete raggiunto uno stato di blocco, e scegliete uno spazio fisico a cui associarla. Entrate nello spazio e associatevi all’esperienza prescelta, vedendo ciò che vedreste se stesse accadendo in questo momento, ascoltando quello che udireste e concentrandovi sulle sensazioni che provate.

2. Distanziatevi dallo spazio fisico assumendo una posizione di osservatore. Centratevi e apritevi al campo. Con gli occhi chiusi, immaginate di guardare attraverso il vostro centro il campo o le dinamiche energetiche che influenzano il sistema. Lasciate che emerga un’immagine simbolica.

3. Riflettete sul vostro stato desiderato e scegliete uno spazio fisico diverso a cui associarlo. Rimanendo centrati, entrate in questo secondo spazio e sentite com’è lo stato desiderato. Prestate attenzione alle dinamiche energetiche e al campo presenti in questo stato. Lasciate che emerga un’immagine simbolica.

4. Fate un passo indietro assumendo la posizione dell’osservatore. Centratevi e apritevi al campo più ampio che include e trascende i simboli sia della situazione di blocco sia dello stato desiderato. Con gli occhi chiusi, immaginate di guardare a partire dal vostro centro. Stabilite l’intenzione di scoprire quale risorsa permetterebbe alla situazione di blocco di trasformarsi nello stato desiderato. Non pensate alla situazione in modo logico o razionale. Lasciate che emerga spontaneamente un’immagine simbolica. Rimanendo concentrati su questa immagine, portatela nel vostro corpo e lasciate che la risorsa a essa associata si esprima somaticamente attraverso un movimento o un gesto.

5. Prendendo l’immagine simbolica e l’espressione somatica emerse nella fase precedente, rimettetevi nello spazio della situazione di blocco e vivete in prima persona la spontanea e completa trasformazione promossa dalla risorsa tratta dal campo più ampio.

6. Poi passate allo stato desiderato, portando con voi l’immagine simbolica e l’espressione somatica della risorsa. Notate cosa si rinforza, si arricchisce o si trasforma portando pienamente la risorsa presa dal campo più ampio in questa area.

7. Infine, collocatevi in uno spazio che stia a metà tra la situazione di blocco e lo stato desiderato, portando con voi l’immagine simbolica e l’espressione somatica della risorsa. Ancora una volta, notate cosa si rinforza, si arricchisce o si trasforma portando pienamente la risorsa presa dal campo più ampio in questa area.

Fuori al di là di ogni idea di giusto o sbagliato agire, vi è un campo. Ti incontrerò lì. Quando l’anima si mette a giacere in quell’erba, il mondo ha una tale pienezza che non se ne può parlare. Idee, linguaggio, e persino dire “l’uno e l’altro”, sono cose che non hanno più senso. Rumi

CAPITOLO 4

APPLICARE

LA PNL

DI ULTIMA

GENERAZIONE

APPLICARE LA PNL DI ULTIMA GENERAZIONE

Le applicazioni della PNL di Ultima Generazione combinano e utilizzano tutte e tre le nostre menti: cognitiva, somatica e di campo. Quando integriamo queste tre fonti di intelligenza ricaviamo una più grande capacità di realizzare una vasta gamma di attività e imprese (risultati) con facilità ed eleganza. Al tempo stesso, siamo anche spesso in grado di affrontare problematiche più profonde e complesse e di raggiungere obiettivi che sarebbero al di là della nostra portata se sfruttassimo solo una delle tre intelligenze. In questo senso i processi della PNL di Ultima Generazione sono tanto semplici quanto profondamente trasformazionali. Le pratiche e le tecniche della PNL di Ultima Generazione si fondano sulla comprensione del fatto che nel nostro fondamento siamo intrinsecamente generativi, che i germi della soluzione sono racchiusi dentro a ciascun problema, e che possiamo imparare come creare lo spazio per le soluzioni e svilupparle in modo organico mantenendo la fonte di un problema all’interno di un più ampio campo di risorse. Dal punto di vista della PNL di Ultima Generazione, i momenti di crisi, di crescita e di trasformazione nelle nostre vite sono solitamente accompagnati dal bisogno di evolversi e di “risvegliarsi”. Sono tutti effetti del cambiamento generativo. “Generare” significa creare qualcosa di nuovo: i processi generativi sono dunque quelli che promuovono espansione e crescita. Creare qualcosa di realmente nuovo richiede modifiche nelle “strutture profonde” oltre che nelle “strutture superficiali”. Lestrutture profonde – come le leggi della fisica, il DNA degli esseri viventi, il codice macchina o il sistema operativo dei computer, i valori chiave e la mission di un’organizzazione e così via – sono forme fondamentali espresse tramite una vasta gamma di strutture superficiali concrete. Da un punto di vista biologico, ad esempio, il cambiamento evolutivo di una specie ha luogo quando essa, interagendo con il proprio ambiente, si adatta ai cambiamenti che hanno avuto luogo. Quando questi adattamenti e cambiamenti alterano la struttura profonda (il DNA) della specie, ne risultano nuovi sviluppi ed espressioni nella forma della specie – delle metamorfosi. La funzione di questi cambiamenti generativi è quella di aiutare la specie a farsi più adatta al futuro.

ESSERE ADATTI AL FUTURO

Un criterio fondamentale sia per la sopravvivenza, sia per il successo di qualsiasi sistema è il grado in cui esso è adatto al futuro – ossia il grado in cui il sistema è capace di adattarsi ai cambiamenti e muovere con efficacia verso uno stato futuro sano e sostenibile. L’essere adatti al futuro riguarda le capacità di un individuo, di un gruppo o di un’organizzazione di percepire segnali deboli e adattare il comportamento per affrontare limitazioni, evitare o superare pericoli con successo e sfruttare le opportunità che si presentano, in molti casi in modo inaspettato o spontaneo. Come ha sottolineato molto significativamente Arthur C. Clarke, “il futuro non è più quello di una volta”. Si dice che prevenire sia meglio che curare. Quando le risorse sono sviluppate e pronte per l’uso, una persona, un gruppo o un’organizzazione è all’altezza di raccogliere le sfide che si presentano, invece di doversi affannare per gestire problemi evitabili. Essere adatti al futuro significa essere pronti per le sfide e le opportunità del futuro che non sono ancora state nemmeno previste o immaginate. La capacità di cambiamento generativo è dunque un aspetto chiave del nostro essere adatti al futuro. Anche se i processi di cambiamento generativo possono essere impiegati per affrontare specifici problemi o raggiungere determinati obiettivi nel presente, non è necessario che essi siano applicati o sviluppati in relazione a uno specifico problema od obiettivo presente. I processi generativi si basano sul presupposto che le risorse necessarie per produrre le soluzioni esistano già in una qualche forma nel campo di qualsiasi sistema. Queste risorse possono essere mobilitate tramite strategie e strumenti che aiutano a svelare, liberare e rafforzare capacità latenti; in questo senso i processi “generativi” riguardano lo sfruttare al meglio cose che esistono già. Le tecniche generative per il cambiamento sostengono le persone nella risoluzione di problemi e nel conseguimento degli obiettivi in maniera più sistemica e organica. Quantunque una persona scopra, liberi o sviluppi nuove risorse, i problemi che sono pronti per essere affrontati con quelle risorse emergono spontaneamente e sono risolti senza sforzo. Il cambiamento generativo, dunque, riguarda essenzialmente scoperta, creazione, arricchimento, potenziamento ed elaborazione di risorse. Si tratta di trovare la struttura profonda di una risorsa e di facilitarne l’espressione in molti altri contesti in cui non è ancora stata applicata. Il cambiamento generativo comporta l’identificazione di risorse dormienti, che vengono poi attivate e rese più disponibili e “olografiche”. Si concentra sullo sviluppo di processi di livello più alto in grado di funzionare in modo evolutivo per la creazione di nuove possibilità.

STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA

L’opposto dell’evoluzione e del cambiamento generativo è la regressione a strategie di sopravvivenza. Come il nome stesso implica, le strategie di sopravvivenza sono attivate da una minaccia percepita alla nostra sopravvivenza fisica o psicologica. Sono una parte della nostra programmazione più profonda che condividiamo con tutti gli altri animali. Tutte le creature viventi devono sviluppare una qualche forma di strategia di sopravvivenza.

Le strategie di sopravvivenza primarie sono attacco, fuga,paralisi o resa (sottomissione). Le strategie di sopravvivenza sono schemi interiori profondi e spesso inconsci, di solito stabiliti molto presto nella vita; sono elementi costitutivi della nostra programmazione di base e operano allo stesso livello dei Meta-programmi, dando forma al nostro approccio alla vita e alle relazioni. Queste strategie fondamentali possono prendere molte forme nella nostra vita quotidiana: il ribellarsi, il ritirarsi, l’accondiscendere, il sentire il bisogno di farsi piccoli e di cercare di rendersi invisibili, il subire passivamente, il rimanere interdetti o dissociati dalle sensazioni, il sedurre gli altri, il credere nella necessità di difendere le proprie posizioni a tutti i costi. In molti casi non si tratta di mera sopravvivenza fisica, ma di preservare o proteggere il nostro senso di identità e integrità personale, i nostri valori e le nostre convinzioni chiave, i nostri ruoli principali, le relazioni alle quali ci siamo dedicati e via dicendo. Come con tutti i comportamenti, la cosa più efficace è disporre di una vasta gamma di possibilità per quanto concerne le strategie di sopravvivenza, applicandole in maniera flessibile a seconda del contesto. La sfida, nel caso della maggior parte delle strategie di sopravvivenza, sta nel fatto che sono alimentate dalla paura, che se eccessiva può portare a chiusura, distacco e irrigidimento. Questo ci porta ad agire in modo inappropriato, e spesso produce il risultato paradossale di finire per peggiorare la situazione esponendoci in qualche modo a ulteriori rischi. La maggior parte delle strategie di sopravvivenza sono costruite per preservare ciò che esiste ed evitare di correre rischi. Esse non sono quindi generative: non promuovono trasformazione, crescita o cambiamento. Quando applichiamo esasperatamente una strategia di sopravvivenza a causa della paura, essa ci confina sino a intrappolarci in uno stato di inerzia. Vi è una differenza sostanziale tra sopravvivere e prosperare. Le strategie di sopravvivenza emergono naturalmente quando ci troviamo di fronte al cambiamento o a un territorio sconosciuto, specialmente se c’è la possibilità di infrangere o di perdere la struttura corrente delle cose. In questo modo le strategie di sopravvivenza possono essere tanto un complemento quanto un’interferenza all’evoluzione e al cambiamento generativo. La crescita e l’evoluzione comprendono chiaramente anche la sopravvivenza (ossia il continuare a esistere), da praticare tuttavia senza perdersi in strategie che finirebbero per bloccarci. Questo è possibile solo in presenza di un’espansione della coscienza e della presenza mentale. È dunque importante rivedere, arricchire e aggiornare le nostre strategie di sopravvivenza a intervalli regolari, espandendo le nostre opzioni per includere nuove possibilità. Riconoscere, affrontare e aggiornare le strategie di sopravvivenza è un’abilità chiave del cambiamento generativo. Dato che esse sono così profonde e vitali per la nostra esistenza, cambiarle è una questione che va ben al di là dei semplici adattamenti superficiali. Aggiornare le strategie di sopravvivenza richiede di rivedere situazioni di vita chiave e di portare nuove risorse in queste esperienze a svariati livelli.

PROMUOVERE IL CAMBIAMENTO GENERATIVO

Per trascendere le vecchie strategie di sopravvivenza e raggiungere l’evoluzione e il risveglio personale, le mappe mentali relative a chi siamo e a cosa sia possibile nel

mondo devono diventare più ampie, e dobbiamo percepire le vecchie limitazioni in modo del tutto nuovo. Questo significa svincolarci dalla nostra vecchia mentalità e pensare fuori dagli schemi, imparando al livello di quello che l’antropologo e teorico dei sistemi Gregory Bateson chiamava Apprendimento IV – la creazione di qualcosa di completamente nuovo, mai esistito prima in un individuo o in una specie. Una coscienza generativa di questo tipo deve al tempo stesso includere ed espanderecoscienza e conoscenze attuali. L’autentica generatività richiede dunque spesso una rottura della struttura vigente al momento e divenuta troppo rigida. Questa rottura causa una regressione a uno stato più primordiale e non integrato che ci porta in contatto più diretto sia con le nostre “ombre” (comportamenti e caratteristiche che non ci piacciono e che cerchiamo di evitare) sia con nuove risorse, che in precedenza non abbiamo riconosciuto o utilizzato. Se riusciamo a rimanere centrati in noi stessi e connessi a un più vasto campo di coscienza che contiene tutte queste espressioni possiamo raggiungere uno stato generativo di espansione, riorganizzazione e maggiore integrazione; questo ci consente di arrivare a un livello di prestazioni di gran lunga migliore.

IL CICLO ADATTIVO

Alla base del cambiamento generativo e di tutti i livelli di apprendimento vi è la capacità di adattamento. L’ecologista e scienziato ambientale C.S. Holling ha sviluppato un modello generale del cambiamento sistemico che propone un ciclo adattivo composto di quattro fasi: 1) crescita, 2) conservazione, 3) crollo, 4) ri-organizzazione. Derivato dallo studio comparativo delle dinamiche degli ecosistemi, il modello pone l’attenzione sui processi di distruzione e riorganizzazione oltre che di crescita e conservazione, fornendo così una panoramica completa delle dinamiche di sistema alla base di adattamento, resistenza ed evoluzione.

Il ciclo adattivo di Holling mappa le fasi del cambiamento in un ecosistema.

La visione tradizionale dello sviluppo degli ecosistemi è stata intesa come il risultato di due funzioni primarie: 1) crescita ed espansione, in cui l’enfasi è posta soprattutto

sull’espansione e lo sfruttamento delle risorse; e 2) conservazione ed equilibrio, in cui accumulo, immagazzinamento e uso oculato delle risorse vengono al primo posto. Nel campo dell’ecologia, le specie che hanno successo nella fase di crescita vengono indicate come specie dotate di “strategia r”. Le specie a strategia r sono caratterizzate da ingente capacità di diffusione e rapida crescita in contesti dove domina un tipo di competizione che premia il primo che riesce a raggiungere un risultato. Le specie che hanno successo nella fase di conservazione sono dette a “strategia K”. Le specie a strategia K tendono a conservare le risorse, hanno un ritmo di crescita più lento e prosperano in ambienti che favoriscono un tipo di competizione che premia chi riesce a resistere più degli altri1. Secondo Holling vi sono due ulteriori funzioni chiave per il ciclo adattivo. Il crollo (o distruzione creativa, per usare il termine coniato dall’economista Joseph Schumpeter) e lariorganizzazione. La prima si verifica quando accumuli compressi e contenuti di risorse vengono improvvisamente “rilasciati” (in un ecosistema, ad esempio, questo potrebbe essere il risultato di influenze quali incendi su larga scala, periodi di secca, ondate di infestanti, periodi di intenso consumo). A questo periodo di crollo o rilascio segue, di solito, la seconda fase di riorganizzazione. In momenti di questo tipo i confini e le connessioni interne di un sistema sono tenui e instabili. Un sistema in queste condizioni può facilmente perdere o acquistare risorse e partecipanti. In questa fase di transizione, un sistema può facilmente essere riorganizzato dall’effetto di fattori microscopici (il cosiddetto “effetto farfalla”) ed è possibile che vi siano le condizioni per la comparsa o l’espansione temporanea di attori o organismi con comportamenti opportunistici. Sempre in momenti come questi, la futura organizzazione del sistema può essere determinata da eventi casuali, e il tutto può tramutarsi in un nuovo tipo di struttura. Questa è la fase in cui nuovi o particolari organismi o attori possono penetrare o addirittura diventare dominanti in un ecosistema. Questi nuovi attori o elementi possono emergere dalla crescita di potenziali precedentemente soppressi entro il sistema, a partire da ciò che è germinato e si è accumulato in aree non sfruttate, oppure possono provenire da migrazioni da sistemi circostanti. In questo stadio sono più probabili rottura e innovazione. Con la ripresa della fase di crescita, i processi competitivi (di entrambi i tipi precedentemente discussi) portano al dominio di alcune specie. Il nuovo sistema che emerge da queste condizioni può riprodurre aspetti dell’organizzazione precedente o essere invece del tutto nuovo. La mancanza di integrazione interna e di controllo rende difficile prevedere con esattezza la forma che assumerà la nuova organizzazione. La fase di crescita produce anche un nuovo accumulo di risorse. Ciò a sua volta aumenta la probabilità che emergano nuovi tipi di ecosistemi e di partecipanti durante il ciclo successivo di crollo e riorganizzazione. Sono queste ultime due le fasi generative del ciclo adattivo e, proprio per questo, esse risultano spesso anche le più difficili da gestire. Le fasi generali del processo per passare da (a) rigidità e stagnazione a (b) rottura e regressione, (c) scoperta e aggiunta di nuove risorse e (d) riorganizzazione in un insieme più ampiosfruttano tre movimenti fondamentali: 1) Decostruzione 2) Arricchimento 3) Ricostruzione

Per raggiungere tutto questo a livello personale, le pratiche e i processi di PNL di Ultima Generazione applicano la seguente struttura di base:

1. Cominciare da uno stato di abbondanza di risorse in cui si è radicati e centrati nel proprio corpo e nel presente.

2. Identificare e rivivificare l’esperienza o lo schema problematico.

3. Portare nuova e accresciuta attenzione alla struttura del corrente programma neuro-linguistico associato all’esperienza o allo schema problematico.

4. Portarsi al di fuori dell’influenza del programma in uno stato in cui si è centrati e radicati con una coscienza che include l’esperienza o lo schema problematico e si espande oltre i suoi confini (invece di rappresentare semplicemente l’antitesi o il polo opposto dello stato problematico).

5. Considerare il programma come parte di un contesto o di un sistema più ampio e identificarne la funzione positiva in quel contesto o sistema.

6. Connettersi a un campo di possibilità e risorse più ampio (che vada al di là e che sia più profondo) del campo associato all’esperienza o allo schema problematico. Ciò si ottiene accedendo a tutte e tre le intelligenze (cognitiva, somatica, di campo) e allineandole per diventare la versione migliore possibile di sé al momento.

7. Accogliere l’esperienza o lo schema corrente, e il programma che produce e rinforza questa condizione, nella cornice di referenza delle nuove risorse e della coscienza più ampia.

8. Consentire l’affermarsi di nuove scelte che includono e trascendono lo schema o il programma corrente, integrandolo come parte funzionale di una totalità più ampia.

Questo capitolo esplorerà alcune applicazioni di Ultima Generazione studiate per facilitare il cambiamento generativo. In particolare, esse si rivelano preziose per:

• rimanere radicati e presenti anche di fronte all’incertezza, alla vulnerabilità e alle emozioni difficili;

• sviluppare la capacità di accettare e accogliere le mancanze, proprie e altrui, senza emettere giudizi;

• imparare a riconoscere e a creare uno spazio libero da aspettative per l’espressione del potenziale;

• approfondire e allineare i livelli di connessione con noi stessi e con gli altri;

• espandere la coscienza “di quarta posizione” e “di campo”.

SCELTA

L’idea di “scelta” è fondamentale in tutti i processi di PNL (di qualsiasi generazione), ed è alla base del cambiamento generativo. Scegliere significa selezionare un’alternativa da una serie di opzioni, esercitando il libero arbitrio e il proprio giudizio. La possibilità e la capacità di scegliere sono componenti fondamentali della libertà, dell’intelligenza e del successo. Secondo la PNL, la possibilità di scegliere è alla radice dell’evoluzione umana: il processo evolutivo è inteso come un progressivo aumentare delle scelte a disposizione nella vita della persona. Come hanno sottolineato Richard Bandler e John Grinder nellaStruttura della magia, la differenza tra chi reagisce in maniera efficace e chi, invece, risponde con scarsi risultati alle sollecitazioni del mondo circostante dipende in larga misura dalla quantità e dalla qualità delle scelte di cui sentono di disporre: consapevolezza che dipende, a sua volta, dalla rappresentazione interna che hanno del mondo. Le persone che rispondono in modo creativo e reagiscono con efficacia […] sono persone che hanno una rappresentazione o un modello ricco della propria situazione, entro la quale percepiscono una vasta gamma di opzioni nel decidere come agire. Gli altri invece sentono di avere poche opzioni, nessuna delle quali è per loro particolarmente attraente […] Abbiamo scoperto che non è il mondo a essere troppo limitato o le opzioni a disposizione a essere troppo scarse: sono invece le persone che impediscono a se stesse di vedere le opzioni e possibilità che sono loro aperte, quando queste non sono disponibili nel loro modello del mondo.

È inoltre importante tenere a mente che esiste una sottile ma importante differenza tra “alternative” e “scelte” a disposizione. Le alternative sono esterne alla persona. Le scelte a disposizione sono alternative che sono entrate a far parte della mappa della persona – quelle cui la persona può accedere tramite il proprio “libero arbitrio” e “giudizio”. Un individuo può avere molte alternative, ma al tempo stesso nessuna scelta a disposizione. Scelta e giudizio richiedono la capacità e gli elementi contestuali per riuscire a selezionare interiormente e a perseguire l’opzione più adatta. Le scelte sono anche intimamente legate alla nozione di “ecologia” del sistema. Una delle presupposizioni fondamentali della PNL è che le persone fanno sempre la scelta migliore tra quelle che percepiscono come possibili per loro. Questo equivale a dire che qualsiasi comportamento, per quanto “cattivo”, “folle”, o “bizzarro” appaia, è o è stato la scelta migliore disponibile per la persona date le sue capacità e il suo modello del mondo al momento della scelta. La PNL vede tutti i comportamenti come potenzialmente utili o necessari in un qualche contesto. Persino la rabbia, la frustrazione, la gelosia, la confusione e così via possono essere scelte ecologiche e appropriate in determinate circostanze. In PNL è dunque importante aggiungere scelte possibili, e non eliminarne. Il presupposto fondamentale della PNL è che se una persona percepisce davvero una scelta migliore a propria disposizione, opterà automaticamente per questa. La chiave è trovare una scelta che sia effettivamente “migliore” date le capacità e la situazione della persona. In PNL si considera altresì importante che la persona abbia più di un’alternativa alla risposta indesiderata o problematica; si dice: “Una sola opzione significa non avere

scelta. Due opzioni rappresentano un dilemma. Solo quando si hanno tre alternative si può scegliere a tutti gli effetti”. Uno degli obiettivi della PNL è creare e fornire costantemente alle persone la capacità di generare un numero sempre maggiore di alternative. Le scelte possono anche essere di natura qualitativa anziché quantitativa, vale a dire che, anziché ad avere “più” alternative, si può puntare a scegliere la qualità dell’approccio o del modo di vivere una situazione o un evento. Affrontare, ad esempio, una situazione con “grazia”, con “coerenza” o “concentrandosi su determinati aspetti” rappresenta una scelta qualitativa capace di influenzare il modo in cui la situazione è percepita e il significato che le si attribuisce. Le scelte quantitative risiedono tipicamente al livello delle capacità e dei comportamenti, mentre le scelte qualitative stanno al livello di convinzioni, valori e identità.

PRESA DI COSCIENZA: IL FONDAMENTO PER POTER SCEGLIERE

La scelta e il cambiamento generativo diventano possibili espandendo la portata di ciò di cui si ha coscienza: si tratta di un processo naturalmente trasformativo. Come sottolinea Richard Moss, “di qualsiasi cosa siamo coscienti, vi è qualcosa dentro di noi, al di là dell’oggetto della nostra attenzione, che ne sta avendo coscienza”. In questo modo, prendendo coscienza dei nostri processi, diventiamo automaticamente di più dell’oggetto della nostra attenzione conscia. Se, ad esempio, divento consapevole di una della mie convinzioni, significa che esiste un “me” che è conscio della convinzione e che non è la convinzione stessa. Finché non ne prendo coscienza, invece, è la convinzione a mandare avanti la baracca, come una sorta di pilota automatico: io non ho alcuna voce in capitolo. Per fare un esempio risalente ai primordi della PNL, un giorno, parlando con un uomo che era in difficoltà a causa di una determinata decisione, Robert notò che questi dimostrava molti dei segnali comportamentali associati alla presenza di una voce interiore e che questa sembrava essere responsabile per un buona dose di interferenze. Robert chiese dunque all’uomo: “Stai parlando con te stesso della decisione?”. L’uomo ripeté a mezza voce: “Sto parlando a me stesso?” e dopo un attimo rispose: “No, è una cosa che non faccio. Non mi parlo da solo”. Un poco sorpreso, Robert continuò: “Sei sicuro?”. Di nuovo l’uomo ripeté a mezza voce: “Sono sicuro?” per poi rispondere: “Sì, piuttosto sicuro”. E Robert: “Voglio dire, se ti faccio una domanda, te la ripeti?”. “Mi ripeto le domande che mi fai?”, disse l’uomo tra sé e sé per poi rispondere: “No, non lo faccio”. Ovviamente l’uomo era del tutto ignaro di questo aspetto dei suoi processi interiori, di conseguenza non aveva alcuna scelta a riguardo. Quando Robert finalmente riuscì a fargli prendere coscienza di questo suo schema di dialogo interiore, quello fu alquanto sorpreso. “Oh”, disse, “quella è una voce interiore? Credevo fosse semplicemente la realtà”. La stessa dinamica ha luogo per larga misura della nostra personale “programmazione neuro-linguistica”. Spesso non siamo consci dei processi tramite i quali la nostra esperienza interna e le nostre mappe del mondo vengono create, e questo limita fortemente la misura in cui possiamo operare scelte a riguardo. Di conseguenza passiamo molto del nostro tempo funzionando con il “pilota automatico”. Questo non è

necessariamente un problema, ma può diventarlo se uno di questi programmi non è più funzionale per noi e interferisce con il nostro essere adatti al futuro.

PROGRAMMAZIONE INCONSCIA E VIRUS DEL PENSIERO

Lo stesso vale anche per la “programmazione” all’interno di un gruppo. Considerate il seguente esperimento. Il processo ha inizio con una gabbia che contiene cinque scimmie e uno speciale sistema idraulico. Nella gabbia gli sperimentatori appendono una banana al soffitto con un filo, e sotto di essa piazzano un sistema di scale per raggiungerla. Dopo poco, una delle scimmie andrà alla scala e comincerà a salirla per prendere la banana. Non appena l’animale tocca la scala, però, il sistema idraulico si attiva e colpisce tutte le scimmie con un getto di acqua fredda. Dopo un po’ un’altra scimmia fa un tentativo, ottenendo il medesimo risultato: tutte le scimmie vengono nuovamente bagnate dal getto di acqua fredda. Ben presto le scimmie collegano le due cose, e quando una di loro comincia ad avviarsi verso la scala le altre lo impediscono, se necessario usando la forza. Alla fine le scimmie imparano a evitare del tutto le scale. A questo punto gli sperimentatori disattivano il meccanismo idraulico; le scimmie, però, non arriveranno mai a scoprirlo, perché continuano a evitare le scale: il territorio è cambiato, ma non la mappa che esse se ne sono creata! Le cose si fanno ancora più interessanti quando una scimmia viene tolta dalla gabbia e sostituita con una nuova. La nuova scimmia vede la banana e vuole salire sulle scale. Con sua sorpresa, appena si avvicina tutte le altre scimmie corrono a bloccarla. E più la nuova scimmia si oppone, più le altre si fanno violente. Dopo svariati tentativi, la nuova scimmia impara che se cerca di salire le scale viene assalita. Più tardi, un’altra delle quattro scimmie originarie rimaste viene sostituita con una nuova. La nuova arrivata va come prima verso la scala ma il gruppo la ostacola. La scimmia introdotta in precedenza alla prima sostituzione si unisce alle altre tre scimmie originarie con entusiasmo. (“Se io non posso salire le scale e prendere la banana, non lo farai neanche tu!”) La scimmia introdotta alla seconda sostituzione impara a sua volta che scale e banana sono “tabù”. A questo punto un’altra delle tre scimmie originarie rimaste viene sostituita con una nuova, che ancora una volta è ostacolata da tutte le altre quando cerca di avvicinarsi alla scala. Due delle quattro scimmie che la bloccano non hanno la minima idea del perché sia loro vietato salire le scale (non sono mai state colpite dal getto di acqua fredda): si limitano a rispecchiare il trattamento che hanno subito. Alla fine anche le ultime due scimmie originarie vengono sostituite. Nessuna delle scimmie che erano state bagnate dal getto di acqua fredda è più nella gabbia, e il sistema idraulico è spento da tempo. Cionondimeno nessuna delle scimmie si avvicina alle scale. Perché no? Perché “le cose sono sempre state così”. Questo è un esempio di come si creino quelli che chiamiamo “virus del pensiero”. Un virus del pensiero è una convinzione limitante ormai dissociata dall’esperienza a partire dalla quale si è originariamente formata. Per il gruppo originario di scimmie la convinzione “non bisogna avvicinarsi alle scale per prendere la banana” era basata sulla spiacevole esperienza personale del getto di acqua fredda. Il gruppo alla fine

dell’esperimento non ha mai fatto quell’esperienza: hanno imparato che “non bisogna avvicinarsi alle scale per prendere la banana” dal contesto sociale. In altri esperimenti condotti da Stephenson nel 1967, i ricercatori hanno condizionato delle scimmie adulte a evitare di toccare un oggetto tramite conseguenze spiacevoli come nel caso precedente. Hanno poi posto singole scimmie non condizionate in una gabbia con un esemplare condizionato dello stesso sesso e della stessa età, e con l’oggetto che la scimmia condizionata era stata programmata a evitare. In un caso, un maschio precedentemente condizionato allontanava fisicamente il compagno non condizionato dall’oggetto per tutta la durata dell’esperimento. In altri, le scimmie condizionate in precedenza esibivano “espressioni facciali di minaccia mentre assumevano una postura indice di paura” quando l’esemplare non condizionato si avvicinava all’oggetto, spingendolo così a desistere. In una fase successiva, da soli nella gabbia, i soggetti maschi non originariamente condizionati che erano stati con maschi condizionati continuavano a evitare quasi completamente l’oggetto. Come prevedibile, invece, le scimmie che non avevano interagito con compagni condizionati non mostravano alcuna differenza nel grado di interesse per l’oggetto rispetto ad altri nella gabbia. Esperimenti di questo tipo mostrano che questi “programmi” possono essere trasmessi sia direttamente con un comportamento (la scimmia condizionata che allontana fisicamente il compagno dall’oggetto) sia indirettamente tramite i neuroni specchio (nel caso delle scimmie che mostravano espressioni minacciose e posture di paura quando i compagni si avvicinavano all’oggetto). Ne risulta che la convinzione è mantenuta e trasmessa attraverso il “campo” dell’interazione tra le scimmie anche in assenza di contatto fisico. È interessante riflettere su quanto della nostra personale programmazione venga interiorizzato tramite i neuroni specchio, specialmente nei primi anni di vita. Convinzioni o “virus del pensiero” di questo tipo possono essere difficili da cambiare o da correggere, per una serie di ragioni. Tra queste, il fatto che, dato che sono comportamenti associati all’evitare qualcosa, anche quando le condizioni cambiano (ad esempio, nel primo esperimento, quando il sistema idraulico viene spento) è improbabile che il gruppo originario lo scopra, visto che ha appreso ad astenersi dal rischio di provare. Nel caso del gruppo alla fine dell’esperimento, vi è un altro fattore: visto che la convinzione non deriva dalla loro esperienza diretta delle spiacevoli conseguenze dell’azione, essa non verrà aggiornata automaticamente al cambiare delle condizioni esterne. Se le scimmie nel gruppo originario scoprissero che l’acqua è stata spenta, con cautela gli animali ricomincerebbero ad avvicinarsi alle scale. Nel gruppo alla fine dell’esperimento, invece, l’acqua non è mai stata la ragione per evitare il comportamento: quest’ultimo era semplicemente una cosa che “non si deve fare”. Portare nuove prese di coscienza e nuove possibilità di scelta in una situazione del genere è una sfida fondamentale (e molto comune), e in questo capitolo proporremo molti modi per affrontarla.

COACHING CON LA PNL DI ULTIMA GENERAZIONE

La cornice di referenza in cui la PNL di Ultima Generazione trova la sua principale applicazione è quella del coaching, un campo che è emerso ed è cresciuto enormemente dalle origini della PNL negli anni Settanta. Molti dei formati e delle tecniche originarie della PNL si sono sviluppati nella cornice di referenza della psicoterapia. Rispetto a quest’ultima, il coaching si rivolge a uno spettro molto più ampio di problematiche quotidiane e può essere applicato, oltre che a singoli individui, a gruppi o addirittura intere organizzazioni. In generale, il coaching è il processo in base al quale si aiutano le persone e i team a raggiungere prestazioni ottimali. Per ottenere tali risultati è necessario far emergere i punti di forza delle persone, aiutandole a superare le barriere e i limiti personali per dare il meglio di sé, e facilitandone l’inserimento e l’integrazione come membri di un team. Il coaching pone quindi l’enfasi sia sui compiti da svolgere sia sulle relazioni. Il coaching si concentra sul cambiamento generativo, nonché sul definire e raggiungere obiettivi specifici. Le metodologie di coaching sono orientate al risultato, piuttosto che al problema; tendono a focalizzarsi principalmente sulle soluzioni e a promuovere lo sviluppo di nuove strategie di pensiero e di azione, anziché soffermarsi sul cercare di risolvere problemi e conflitti passati. La risoluzione dei problemi, il cambiamento riparatore, è associato in più grande misura al counseling e alla terapia. È interessante che il termine “coach” derivi dal nome di un piccolo villaggio ungherese, Kocs, dove si costruivano cocchi e carri di qualità sopraffina. Kocs si trovava sulla strada principale lungo il Danubio, tra Vienna e Budapest. Queste due città necessitavano di veicoli veloci e ben costruiti che potessero trasportare più di due persone sulle strade dissestate del tempo col massimo comfort possibile. Uno dei migliori tra questi veicoli a più cavalli, una carrozza per passeggeri, leggera, a quattro ruote e abbastanza comoda grazie alle sospensioni, si chiamava in ungherese kocsi szekér, letteralmente “carrozza di Kocs”. Era così compatta, elegante e resistente che tra il XV e il XVI secolo il modello si diffuse in tutta Europa. I viennesi chiamavano il veicolo Kutsche, sempre dal nome della cittadina ungherese. A Parigi, i francesi adattarono la parola austriaca incoche. In Italia la parola divenne cocchio. Alla fine il veicolo fece la propria comparsa anche in Inghilterra, dove fu chiamatocoach. Dunque coach significava originariamente “carro, vagone o carrozza”, e nella lingua inglese ha ancora questo significato. Un “coach” è letteralmente un veicolo che porta una persona o un gruppo di persone da un punto di partenza a un luogo desiderato.

Un coach era originariamente un veicolo che portava persone da un punto di partenza a un luogo desiderato.

La nozione di coaching inteso come formazione deriva dall’idea che il formatore “trasporta” o “veicola” lo studente perché superi gli esami. In ambito scolastico un coach è un tutor, una persona che istruisce o allena un individuo o un team, oppure chi

“istruisce dei giocatori nei fondamenti di una disciplina sportiva e dirige le strategie della squadra”. Il processo di coaching può essere definito in termini di “allenare intensamente (tramite istruzioni e dimostrazioni)”. Negli sport, il coach accompagna e osserva gli atleti mentre si allenano, incoraggiandoli e dando loro feedback perché possano dare il meglio di sé. Un coach di canottaggio, ad esempio, sta su una barca di fianco a quella degli atleti; li osserva e dirige la loro attenzione su vari aspetti della prestazione individuale e di gruppo, dicendo cose come “guardate le ginocchia della persona che avete di fronte” o “aprite il petto e tenete le spalle forti e morbide”.

Un coach sportivo osserva gli atleti incoraggiandoli e dando loro feedback.

Il coaching consiste dunque nel fornire un mezzo perché una persona o un gruppo possa muovere dallo stato presente a unostato desiderato, auspicabilmente seguendo il percorso più efficiente ed efficace. Per realizzare questo viaggio, è necessario identificare risorse chiave e metterle in posizione; potenzialiinterferenze devono a loro volta essere identificate e affrontate in maniera appropriata. Possiamo riassumere il processo di coaching di base con il diagramma che segue.

Diagramma del processo generale di coaching

Le abilità e gli strumenti di tutte le generazioni della PNL sono assolutamente adatte a promuovere un efficace processo di coaching. La concentrazione della PNL sugli obiettivi ben formati, il suo fondarsi sul modellamento di prestazioni eccezionali e la sua capacità di produrre processi passo-passo per promuovere l’eccellenza ne fanno un’importante e potente risorsa per i coach di ogni tipo.

Tra le comuni abilità e tecniche di PNL che sostengono efficaci pratiche di coaching si contano ad esempio: stabilire obiettivi ben formati, gestire gli stati interiori, assumere diverse posizioni percettive, identificare momenti di eccellenza, mappare le risorse e fornire feedback di alta qualità.

COACHING CON LA “C” MAIUSCOLA E COACHING CON LA “C” MINUSCOLA

Storicamente, il coaching trova applicazione prevalentemente come strumento per migliorare specifiche prestazioni comportamentali. Secondo tale approccio, un coach efficace (pensate, ad esempio, a un coach della voce o a un coach di recitazione) osserva il comportamento di una persona e le dà consigli ed elementi per guidarla a migliorare in specifici contesti e situazioni; ciò comporta il promuovere lo sviluppo della competenza comportamentale della persona attraverso un’attenta osservazione e il feedback. Il coaching che promuove il cambiamento generativo deve tuttavia fornire sostegno a tutti i livelli: comportamenti, capacità, convinzioni, valori e persino identità. Ci riferiamo a questo tipo di coaching chiamandolo Coaching con la “C” maiuscola (si veda a tale proposito Il manuale del Coach, di Robert Dilts). Il coaching con la “c” minuscola è più concentrato sul livello dei comportamenti, e si riferisce al processo mediante il quale si aiuta una persona a realizzare o a migliorare una determinata prestazione comportamentale. I metodi del coaching con la “c” minuscola, che derivano primariamente da un modello di allenamento sportivo, promuovono la presa di coscienza di risorse e abilità e lo sviluppo di competenza conscia. Il Coaching con la “C” maiuscola, o coaching generativo, comporta l’aiutare le persone a raggiungere con efficacia obiettivi su una serie di livelli. Pone l’enfasi sul cambiamento generativo, concentrandosi sul potenziamento di identità e valori, e facendo realtà di sogni e obiettivi. Questi processi includono anche le abilità del coaching con la “c” minuscola, ma sono molto, molto di più. Il Coaching generativo richiede essenzialmente di essere dei “risvegliatori”. Risvegliare gli altri richiede di sostenerli perché sviluppino maggior presa di coscienza e crescano a livello di vision, mission e spirito. Un risvegliatore aiuta le persone a essere la migliore versione possibile di loro stesse, fornendo contesti ed esperienze che stimolano il meglio della comprensione e della coscienza che la persona ha del proprio scopo, del proprio sé e del proprio ruolo nei sistemi più ampi di cui fa parte. Ovviamente, non è possibile risvegliare gli altri se si è in prima persona dei dormienti. Dunque il primo compito di un risvegliatore è svegliarsi e rimanere sveglio. Un risvegliatore “risveglia” gli altri tramite la propria integrità e coerenza; mette le altre persone in contatto con le proprie mission e vision in virtù del fatto che lui è a sua volta pienamente a contatto con la propria vision e mission. In altre parole, diventiamo risvegliatori quando anche noi siamo la versione migliore possibile di noi stessi.

IL COACHING E LE “DINAMICHE INTERIORI”

Negli ultimi vent’anni lo sviluppo del coaching ha portato nuova attenzione su ciò che è necessario per avere successo nel mondo mutevole e ricco di sfide del giorno d’oggi. Uno degli apprendimenti più importanti è che aiutare le persone a sviluppare le proprie “dinamiche interiori” è un fattore essenziale per produrre prestazioni ottimali. Padroneggiare le dinamiche esteriori di qualsiasi attività riguarda lo sviluppo delle capacità necessarie a gestire con efficacia gli aspetti comportamentali e ambientali della cosa. Negli sport si tratta degli aspetti fisici collegati alle regole del gioco e all’utilizzo dell’attrezzatura (racchetta da tennis, sci, pallone, mazza da baseball). In un ambiente aziendale si tratta di applicare gli strumenti e attuare le procedure necessarie per svolgere compiti chiave per la mission e per essere competitivi in modo efficace sul mercato. Le dinamiche interiori riguardano il vostro approccio mentale ed emotivo a ciò che state facendo. Questo comprende il vostro atteggiamento, le vostre convinzioni su voi stessi e sul vostro team, la vostra capacità di concentrarvi in modo efficace, quella di gestire errori e pressioni e via dicendo. Il concetto delle dinamiche interiori (inner game) è stato sviluppato da Timothy Gallwey come modo per aiutare le persone a raggiungere l’eccellenza in una serie di sport, nella musica, e anche negli affari e nella formazione manageriale. Secondo Gallwey: In ogni impresa umana ci sono due arene su cui si gioca la partita: quella esteriore e quella interiore. La partita delle dinamiche esteriori si gioca su un campo esterno, per superare ostacoli e raggiungere obiettivi esteriori. La partita delle dinamiche interiori ha luogo nella mente del giocatore, ed è giocata contro ostacoli quali la paura, il dubitare di sé, la perdita di concentrazione, e contro concetti e presupposizioni limitanti. La partita interiore si gioca per superare gli ostacoli autoimposti che impediscono a un individuo o a un team di realizzare appieno il proprio potenziale.

Gallwey, ex capitano del team tennistico dell’università di Harvard, negli anni Settanta cominciò a praticare tecniche di meditazione. Scoprì che questo migliorava le sue capacità di presenza mentale e concentrazione in un modo che migliorava spontaneamente la sua resa tennistica. La pratica delle dinamiche interiori di Gallwey si basa su alcuni principi secondo i quali l’individuo sfrutta un’auto-osservazione priva di giudizio. Aumentando questo tipo di coscienza, il corpo della persona si adatta di conseguenza e corregge automaticamente il proprio comportamento per produrre le prestazioni migliori. Quando le dinamiche esteriori e interiori operano di concerto, le azioni scorrono con una sorta di eccellenza senza sforzo che definiamo “essere nella zona”. Alcuni indicatori del fatto che si ènella zona sono:

• una sensazione di sicurezza di sé e di assenza di ansia e di dubbio circa le proprie capacità;

• nessuna paura del fallimento o preoccupazione riguardo al raggiungimento degli obiettivi;

• concentrazione su una prestazione eseguita in modo aggraziato ed eccellente; • un senso di “umile autorità” – sicurezza di sé priva di arroganza; • uno stato di prontezza rilassata nel corpo, e concentrata apertura della mente; • le prestazioni emergono senza sforzo e senza bisogno di pensarci.

L’opposto di questo stato – ansia, mancanza di sicurezza, scarsa energia, paura, stress, paralisi mentale – è responsabile di molte difficoltà e problematiche in qualsiasi tipo di prestazione. Per metterla in altre parole, le limitazioni nelle persone limitano le loro prestazioni. Il successo in qualsiasi area di prestazione richiede di usare la propria mente insieme al corpo. Prepararsi mentalmente ed emotivamente a dare il massimo è l’essenza della gestione delle proprie dinamiche interiori. Dal punto di vista della PNL di Ultima Generazione, padroneggiare le dinamiche interiori è questione di mobilitare e allineare le intelligenze di tutte e tre le nostre menti.

L’ESEMPIO DEL “MIRACOLO SULL’HUDSON”

Un buon esempio dell’importanza di padroneggiare le dinamiche interiori è il caso del capitano e dell’equipaggio del cosiddetto “miracolo sull’Hudson”, avvenuto il 15 gennaio 2009. Il volo 1549 della US Airways si è trovato costretto ad atterrare sul fiume Hudson presso New York dopo essersi scontrato con uno stormo di oche selvatiche e aver perso la funzionalità di entrambi i motori. Grazie alla capacità di controllo del capitano e dei membri dell’equipaggio, tutte le centocinquantacinque persone a bordo sono riuscite a lasciare in sicurezza il velivolo e sono state portate in salvo con i natanti. Mantenendo il sangue freddo e rimanendo nella sua zona di eccellenza in una situazione inaspettata ed estremamente difficile, il capitano Chesley Sullenberger è stato in grado di pilotare l’airbus a motori spenti in una planata conclusasi con un ammaraggio da manuale. Dopo aver percorso per due volte tutta la cabina a piedi per accertarsi che nessuno fosse rimasto a bordo dopo l’evacuazione, il capitano è stato l’ultimo ad abbandonare il velivolo. Sullenberger è stato universalmente lodato per l’autocontrollo e il sangue freddo dimostrati durante la crisi, in una situazione per lui chiaramente tutt’altro che facile. Per quanto riguarda le sue dinamiche interiori, il capitano ha dovuto giocare la migliore partita della sua vita. Se non fosse rimasto nella sua zona di eccellenza e si fosse fatto, invece, prendere dal panico o fosse rimasto invischiato in una delle strategie di sopravvivenza (attacco, fuga o paralisi), è chiaro che molte vite sarebbero andate perdute. È stata la capacità del capitano di gestire il proprio stato interiore che forse più di tutto ha prodotto “la differenza che ha fatto la differenza” in questa incredibile storia. Interrogato sul suo stato d’animo mentre l’aereo planava verso l’acqua, il capitano ha risposto: “Calma esteriore, e una profonda agitazione dentro”. Sullenberger sostiene di non essersi mai sentito più nervoso, ma di essere riuscito a mantenere la calma. Ecco come ha descritto il suo stato emotivo nei momenti prima dell’atterraggio: “Mi sentivo mancare la terra sotto ai piedi e avvertivo una stretta nauseante alla bocca dello stomaco. La sensazione peggiore che abbia mai provato.” Nonostante questo, Sullenberger è riuscito a rimanere nella propria zona di eccellenza e a portare a termine quello che è stato definito l’atterraggio di emergenza meglio riuscito della storia dell’aviazione. La descrizione di Sullenberger – calma in presenza di turbamento, una profonda agitazione interiore – è quello che intendiamo quando parliamo della capacità di “accogliere” le sensazioni difficili. Quando siamo in grado di accogliereun’intensa risposta interiore, possiamo coesistere con essa e permetterne la presenza a partire da uno stato interiore che la comprende e la trascende. Invece di perdervisi, combatterla o

cercare di controllarla, si permette che la risposta interiore abbia un proprio posto e venga a sua volta utilizzata come risorsa. Sembra evidente che riuscire a fare un “miracolo” come quello del volo 1549 richiede l’attivazione e l’allineamento dell’intelligenza di tutte e tre le menti: cognitiva, somatica e di campo. Il know-how e l’intelligenza cognitiva sono necessarie per manovrare con abilità il velivolo, ma non sono sufficienti se le manovre non sono diventate una seconda natura. Emergono, inoltre, molto chiaramente i fattori somatici relativi alle dinamiche interiori del rimanere calmi, aperti e nella zona. I fattori di campo riguardano la capacità di stimolare e organizzare l’intelligenza collettiva e la competenza del team per formare una zona collettiva di fiducia e di eccellenza. In un’interessante dimostrazione di leadership, lavoro di gruppo, e forse anche dell’influenza dei neuroni specchio, Sullenberger ha affermato che una delle ragioni per cui è riuscito a mantenere la calma è che il suo equipaggio non si è scomposto ed è rimasto, invece, imperturbabile. I membri dell’equipaggio hanno a loro volta dichiarato di essere riusciti a rimanere calmi perché il capitano appariva così sicuro di sé e mostrava di avere la situazione sotto controllo. Similmente, i passeggeri hanno riferito che il comportamento del pilota e dell’equipaggio li ha indotti a rimanere calmi. E l’equipaggio ha indicato la calma e la cooperazione dei passeggeri come fattore che ha grandemente influenzato la loro capacità di mantenere i nervi saldi. Un fenomeno simile è stato riportato dai superstiti della catastrofe dell’11 settembre 2001. Rimanendo calmi e concentrati, e aiutandosi a vicenda a farlo, molti occupanti delle Twin Towers sono riusciti a evitare di farsi prendere dal panico, a scendere innumerevoli piani di scale e a uscire dagli edifici sani e salvi, riducendo il numero di vittime, che sarebbe altrimenti stato ancora più elevato. Questo supporto reciproco crea una sorta di campo in cui le persone rinforzano vicendevolmente la propria capacità di rimanere nella zona di eccellenza.

L’IMPORTANZA DELLA PRATICA

La capacità di rimanere nella propria zona di eccellenza e allineare tutte e tre le menti richiede ovviamente grande preparazione e una buona dose di pratica. Per dirla con le parole del capitano Sullenberger: “Si potrebbe vedere la cosa anche in questi termini: per quarantadue anni ho fatto dei piccoli ma regolari depositi in questa banca di esperienza, grazie alla mia continua formazione. E il 15 gennaio il saldo si è rivelato sufficiente perché io potessi permettermi di fare un grosso prelievo.” Sosteneva Aristotele: “Siamo ciò che facciamo ripetutamente. L’eccellenza non è dunque un atto, ma un’abitudine.” Nel suo libro Fuoriclasse, Malcolm Gladwell menziona ripetutamente la “regola delle diecimila ore”. Citando studi pubblicati da Anders Ericsson, uno psicologo che studia le prestazioni di eccellenza, Gladwell sostiene che la chiave per il successo in qualsiasi campo risiede, in larga misura, nel fare pratica e allenarsi per un totale di circa diecimila ore. Il termine “fuoriclasse” sta a indicare quelle persone che vanno al di fuori della normale esperienza, superandola, ed è proprio su questi uomini e donne eccezionali che sono riusciti a fare qualcosa che va al di là dell’ordinario che si concentra Gladwell nel suo libro. Egli sostiene che arrivare a simili picchi di grandezza richiede un enorme

investimento di tempo sotto forma di pratica e allenamento. Attingendo tra gli esempi più diversi quali i Beatles, Bill Gates e Robert Oppenheimer, Gladwell mostra come tutti soddisfino la “regola delle diecimila ore” come presupposto e preludio al loro successo. I Beatles, ad esempio, suonarono dal vivo ad Amburgo più di milleduecento volte dal 1960 al 1964, accumulando più di diecimila ore di esperienza di palco e rispettando, quindi, la regola. Gladwell afferma che tutto il tempo trascorso dai Beatles a suonare sul palco ha formato il loro talento “così una volta tornati da Amburgo in Inghilterra, suonavano come nessun altro. Fu questo a formarli”. Bill Gates arrivò a soddisfare la regola delle diecimila ore quando ebbe accesso a un computer delle scuole superiori nel 1968, a tredici anni, e trascorse diecimila ore a programmare. In un’intervista concessa per il libro di Gladwell, Bill Gates sostiene che la possibilità di accedere a un computer in un periodo in cui la cosa ancora non era comune lo aiutò ad avere successo. Anche se diecimila ore sembrano molto tempo (sono l’equivalente di venti ore di lavoro alla settimana per dieci anni), è un investimento che vale la pena fare se cerchiamo realmente di evolverci e trasformarci. Come sottolinea anche la collega e amica Lynne Conwell, “siamo ciò che pratichiamo”. È importante anche specificare che diecimila ore di pratica non sono necessarie per raggiungere un livello di prestazioni di base, o anche buono. Possiamo riuscire a raggiungere una soglia accettabile in molto meno tempo. È bene tenere a mente anche che questo tipo di pratica non è semplice ripetizione meccanica. Non è un’attività tediosa e monotona, quanto piuttosto il processo iterativo tramite il quale si forma un frattale. Va crescendo il numero di ricerche che dimostrano come vari tipi di “ripetizione mentale” possano accelerare l’acquisizione di un’abilità. Altri metodi, quali ad esempio l’autoipnosi, potrebbero inoltre creare occasione di “ripetizione mentale” persino quando dormiamo (e quindi potenzialmente riducendo di molto il tempo complessivo richiesto per raggiungere le diecimila ore). Il punto rimane comunque che la base per l’eccellenza e le prestazioni di alto livello in qualsiasi area comincia con la pratica. La pratica fisica è ciò che costruisce le abilità delle dinamiche esteriori e le trasferisce alla “memoria muscolare”, così che non dobbiamo pensarci ogni volta per applicarle. Similmente, ci sono esercizi mentali e somatici che possono aiutarci a migliorare le nostre dinamiche interiori.

ALLENARSI A ESSERE NELLA ZONA

Si dice che le cose cambiano sempre, ma non sempre progrediscono. In un momento di transizione, si presenteranno molte sfide, quali quella di affrontare la paura dell’ignoto e di ciò che non ci è familiare, gestire la perdita, e il generale senso di vulnerabilità. Queste cose possono farci ricadere in strategie di sopravvivenza poco utili: attacco, fuga o rigidità. Ne può risultare una temporanea regressione, inerzia, ambivalenza, difficoltà a distaccarsi, confusione e conflitto. Quando questo accade è probabile che ricadiamo in uno stato di blocco riassumibile con:

• Contrazione • Reazione • Analisi • Separazione

• Dolore

Per progredire attraverso il cambiamento, è importante coltivare qualità come flessibilità e stabilità, equilibrio, connessione e capacità di distaccarsi dalle cose. Tutto questo deriva dall’essere centrati e nella propria zona di eccellenza, connessi a qualcosa che va al di là dei confini del nostro ego. Questi processi sono caratterizzati dall’unione di cinque fasi:

• Centrarsi • Aprirsi • Essere presenti e consapevoli • Stabilire una connessione • Accogliere qualunque sensazione

Questo stato rappresenta una condizione di coerenza e allineamento di tutte e tre le menti che abbiamo esplorato in questo libro: somatica, cognitiva e di campo. È importante coltivare pratiche che aiutino a rafforzare la nostra capacità di essere nella nostra zona di eccellenza e dare il meglio di noi stessi, specialmente quando affrontiamo momenti di sfida o di difficoltà. È facile rimanere in equilibrio quando la vita scorre senza intoppi, ma per rimanere bilanciati nei momenti di turbolenza bisogna aver sviluppato certe qualità fino al punto da farle diventare una “seconda natura”. Prepararsi per il cambiamento richiede pratiche durature che ci preparino a gestire quei momenti con un’abbondanza di risorse. Le precedenti generazioni della PNL tendevano a porre molta enfasi sulle tecniche. La PNL di Ultima Generazione si concentra sull’importanza delle pratiche come elemento chiave del cambiamento generativo.

TROVARE LA PROPRIA ZONA DI ECCELLENZA

L’esercizio seguente si basa su una semplice ma profonda pratica di dinamiche interiori che abbiamo a nostra volta appreso da John Welwood (autore di Toward a Psychology of Awakening eCome far funzionare un rapporto) e che è stata originariamente sviluppata da sua moglie Jennifer, come parte di una pratica meditativa. Abbiamo adattato e modificato leggermente la procedura per includere tutti gli elementi dello stato di eccellenza. La funzione è quella di accedere a tutti e tre i tipi di intelligenza e allinearli, passando dalla mente somatica a quella cognitiva e infine a quella di campo. Come noterete, il processo integra una serie di parti e pratiche dei capitoli precedenti.

1. Mettetevi in una posizione comoda, seduti o in piedi, con entrambi i piedi a contatto col pavimento e la spina dorsale eretta ma rilassata (ossia in linea con l’asse verticale). Controllate che la vostra respirazione sia regolare e addominale (una respirazione rapida e superficiale a partire dal petto indicherebbe uno stato di stress).

2. Portate la vostra attenzione alle piante dei piedi (guidate la “mente” in quella zona). Prendete coscienza dell’universo di sensazioni presenti sotto i vostri piedi. Percepite la superficie dei talloni, delle dita dei piedi, dell’arcata plantare e delle altre parti.

3. Cominciate a espandere la vostra attenzione conscia in maniera che includa il volume fisico dei vostri piedi (lo spazio tridimensionale) e poi spostate la vostra presenza mentale verso l’alto attraverso le gambe, le ginocchia, le cosce, l’area pelvica e il bacino. Diventate coscienti del centro della vostra pancia, respirate profondamente in esso e dite a voi stessi: “Sono qui”; “Sono presente”; “Sono centrato”.

4. Continuate a rimanere consci della parte inferiore del corpo, ed espandete la vostra attenzione, estendendola attraverso il plesso solare, la spina dorsale, i polmoni, la cassa toracica e il petto. Portate presenza mentale sul vostro centro del cuore nella parte superiore del petto, respirate in esso e dite a voi stessi: “Sono aperto”; “Mi sto aprendo”. Ora continuate a espandere la vostra attenzione conscia lungo le spalle, le braccia, i gomiti, gli avambracci, i polsi, le mani e le dita, e poi su, verso il collo, la gola e la faccia. Accertatevi di includere tutti i sensi nella testa: gli occhi, le orecchie, il naso, la bocca e la lingua. Portate la vostra attenzione al cranio, al cervello e al centro della vostra testa, situato dietro agli occhi. Respirate come dall’interno del centro del capo, portandovi ossigeno ed energia, e dite a voi stessi: “Sono sveglio”; “Sono conscio”; “La mia mente è chiara e all’erta”.

5. Rimanendo in contatto con le sensazioni fisiche in atto nel vostro corpo, cominciando dai piedi e includendo tutti e tre i centri (pancia, cuore e testa), prendete coscienza di tutto lo spazio sotto di voi, penetrando fino al centro della terra; tutto lo spazio sopra di voi, raggiungendo il cielo; tutto lo spazio alla vostra sinistra e alla vostra destra; tutto lo spazio dietro e davanti a voi. Percepite un profondo senso di connessione con i piedi, con i centri nella pancia, presso il cuore e nella testa, e con l’ambiente e il campo che vi circondano. Siate coscienti della vasta gamma di risorse a vostra disposizione dentro di voi e nel campo attorno a voi, e dite a voi stessi: “Sono connesso”.

6. A partire da questo stato potete accogliere tutte le risorse, la forza, l’intelligenza e la saggezza a vostra disposizione, e al tempo stesso anche le energie di disturbo quali paura, rabbia, tristezza. Riconoscete questa capacità dicendo a voi stessi “Sono pronto ad accogliere qualsiasi cosa possa emergere”.

Praticare questo stato per accedere alla vostra zona di eccellenza vi permetterà di riuscire ad accogliere un numero sempre maggiore di esperienze a partire da un luogo di calma e chiarezza, proprio come il capitano Sullenberger è stato in grado di accogliere la propria paura a partire da un luogo che era al di là della paura stessa nell’esempio del “miracolo sull’Hudson”. Per fare un esempio, un giorno Robert Dilts stava facendo coaching al vicepresidente di una grande banca internazionale. Per un certo numero di anni, questi era stato responsabile di un grosso progetto su cui aveva investito moltissimo tempo, energia ed emozioni. Recentemente, però, in consiglio d’amministrazione avevano cominciato ad apportare al progetto dei cambiamenti che il vicepresidente percepiva come una deviazione in senso sbagliato e per nulla in sintonia con i suoi valori. Nel tentativo di riportare il progetto sul seminato originario, decise di convocare una riunione di consiglio d’amministrazione, dove comunicò che, se alcune cose non fossero state adattate, si sarebbe sentito costretto a lasciare l’azienda.

Ne andava concretamente della sua posizione e della sua carriera: per farcela aveva chiaramente bisogno di mettere in campo le sue dinamiche interiori e “aggiudicarsi la partita”. Quando si era trovato di fronte al consiglio d’amministrazione in precedenza, tuttavia, aveva sempre avuto delle difficoltà. Per dirla con le sue parole, l’atmosfera era così “pesante” che si sentiva teso, compresso, legato e incapace di esprimersi con facilità. Grazie a un coaching mirato a trovare la sua zona di eccellenza interiore e a radicarsi in essa, il manager riuscì a sentirsi sicuro e calmo, e a fare una presentazione chiara, convincente e carismatica. Grazie a questo riuscì a salvare il suo progetto, la sua integrità, e in ultima analisi anche la sua carriera.

IMPARARE DAL SUCCO DI MELA

C’è una storia divertente ma istruttiva raccontata da Thich Nhat Hanh – monaco buddista, maestro, poeta e attivista per la pace – che illustra i benefici di questo tipo di pratica. Thich Nhat Hanh riporta di un monaco che durante il conflitto in Vietnam andò a vivere in Francia. Là il monaco aiutava le altre persone che arrivavano dal paese in guerra, prendendosi cura dei bambini mentre i genitori si dedicavano al compito di crearsi una nuova vita. Un giorno il monaco si stava prendendo cura di un gruppo di bambini. Dopo aver giocato per un po’, questi andarono dal monaco per chiedergli qualcosa da bere. Il monaco aveva una bottiglia di succo di mela fatto in casa. Comprensibilmente, il succo aveva molti depositi di impurità sul fondo della bottiglia. Il monaco versò cinque bicchieri di succo di mela per i bambini. Una bimba ricevette l’ultimo bicchiere, che conseguentemente conteneva la quantità maggiore di impurità. Vedendo che il succo era così torbido, la bimba decise che dopotutto non lo voleva, e se ne andò a giocare con gli amichetti. Più tardi le venne piuttosto sete e ritornò a casa per prendere qualcosa da bere. Andò al lavandino e cercò con tutte le sue forze di girare la manopola del rubinetto per prendere dell’acqua, ma era troppo piccola per farcela. Il monaco la vide e le chiese cosa stesse facendo. La bimba rispose che aveva molta sete e aveva bisogno di bere. Il monaco suggerì che provasse il succo di mela di prima. Lo aveva tenuto da parte per lei. La bimba stava per dire di nuovo “no”, quando si accorse che il succo nel bicchiere era ora limpidissimo. Sorpresa, pensò che fosse un altro bicchiere di succo. Il monaco le disse che no, si trattava dello stesso succo, ma che avendo avuto la possibilità di stare là tranquillo per un poco, era naturalmente diventato chiaro e limpido, perché le impurità avevano potuto depositarsi sul fondo. La bimba bevve il succo di mela, ed era il più buono che avesse mai assaggiato. Rivolgendosi al monaco chiese: “Zio monaco, questo significa che il succo di mela stava meditando?” Il monaco rispose sorridendo che il succo di mela non stava esattamente meditando, ma che possiamo apprendere persino dal succo di mela come centrarci, calmarci e diventare limpidi e chiari. Possiamo paragonare la zona di eccellenza al bicchiere di succo in questa storia. Il contenitore di vetro ha al suo interno sia il dolce succo di mela sia i poco invitanti sedimenti. Il succo può essere visto come le nostre risorse e intuizioni, e il sedimento come le sensazioni e le energie difficili, di disturbo e nebulose che abbiamo in noi

(paura, frustrazione, rabbia). L’atto di accogliere entrambe le cose a partire da uno stato di calma e quiete permette alle emozioni nebulose e di disturbo di sedimentarsi facendo emergere la chiarezza e il buon sapore (è il succo più vicino al sedimento ad avere il sapore più ricco). È probabile che quando sapremo rimanere calmi, chiari e connessi a un campo più ampio, avremo accesso a molte più risorse. Per illustrare questo fatto i buddhisti sono soliti usare la relazione tra le nuvole, il cielo sopra di esse e la terra al di sotto. Se ci identifichiamo con le nuvole, possiamo perderci nei contenuti mutevoli, confusi e turbolenti della nostra esperienza. Ma se ci centriamo nella terra sotto le nuvole e ci apriamo al campo del cielo al di là dei banchi di nubi, possiamo lasciare che le nuvole o i contenuti dei nostri pensieri ed emozioni attraversino la nostra mente senza che essa ne venga disturbata. Invece di perderci in esse, di combattere o cercare di controllare le “nuvole” della nostra esperienza, possiamo prendere coscienza di ciascuna di esse e lasciare che passi, accogliendola in un campo aperto di presenza mentale.

IL POTERE DELLA PRESENZA

Un fattore chiave per il successo di una relazione di coaching è la presenza, che può essere definita come “una qualità di equilibrio ed efficacia che permette a una persona di creare una stretta relazione con chi la ascolta”. La capacità di essere equilibrati, efficaci, e di ottenere una stretta connessione con le persone con cui interagiscono è molto importante per coach, formatori, manager e comunicatori professionali di qualsiasi tipo. Come implica anche la definizione precedente, equilibrio e connessione derivano dalla capacità di essere presenti, centrati in se stessi e in relazione con le persone circostanti. La presenza è associata al sentirsi vivi, connessi, creativi, soddisfatti e in uno stato di grazia. Quando non siamo presenti e siamo disconnessi da noi stessi e dagli altri, possiamo sentirci vuoti, privi di controllo, distanti e poco disponibili. Come dimostrano i fenomeni dei neuroni specchio e dei campi biomagnetici, la nostra presenza fisica e il nostro stato interiore possono avere un potente impatto, positivo o negativo, sulle persone con cui interagiamo, indipendentemente dalla natura del contatto che stabiliamo: più o meno diretto, fisico o verbale. L’influsso calmante del capitano e dell’equipaggio del volo 1549 delle US Airways sui passeggeri è un esempio dell’impatto positivo della presenza e del trovarsi nella propria zona di eccellenza. L’influsso intimidatorio esercitato dalle scimmie che erano state precedentemente condizionate sulle loro ignare compagne è un esempio di come una presenza tesa e alimentata dalla paura possa avere l’effetto contrario. Dunque la qualità della nostra presenza è spesso “la differenza che fa la differenza” nella nostra capacità di goderci la vita, collaborare generativamente e contribuire alla crescita e alla trasformazione degli altri. Quando le persone sono connesse a se stesse e reciprocamente presenti, le sensazioni naturali che emergono sono compassione, empatia, genuino interesse reciproco, spontaneità, autenticità e gioia. Queste sensazioni ed emozioni sono il fondamento di tutte le relazioni personali e professionali efficaci.

CREARE UNO SPAZIO PER LA ZONA DI ECCELLENZA

Dal punto di vista della PNL di Ultima Generazione, la zona di eccellenza ci aiuta a rimanere connessi alle fonti di tutte le nostre risorse mentre percorriamo il sentiero che porta dallo stato presente allo stato desiderato, nonché a gestire le interferenze che possono verificarsi strada facendo, come nel paradigmatico caso del capitano Sullenberger e il volo US Airways 1549. Come nell’esempio della reciproca influenza esercitata da Sullenberger e dal suo equipaggio, il nostro essere radicati nella zona di eccellenza può diventare una risorsa anche per gli altri. Questa è l’essenza della relazione di coaching. In qualità di coach, uno dei principali modi in cui possiamo supportare gli altri nel loro percorso dallo stato presente allo stato desiderato è quello di radicarci nella nostra zona di eccellenza e di aiutarli a rimanere nella loro mentre compiono i passi necessari, affrontano le interferenze e si sforzano di progredire. Quando vi riusciamo, creiamo un campo di risorse condiviso che stimola entrambi a dare il meglio di sé. Indichiamo questa speciale relazione e il campo che essa produce con l’idea di uno spazio in cui può manifestarsi la zona di eccellenza. Creare uno spazio solido e fecondo è essenziale per accompagnare e sostenere gli altri nei momenti di sfida e cambiamento. Lo spazio per la zona di eccellenza è una sorta di “ambiente di supporto”. Lo psicologo Donald Winnicott ha coniato questo termine per riferirsi al modo in cui un bambino è sostenuto fisicamente, emotivamente e psicologicamente da coloro che se ne prendono cura. Il modo in cui i comportamenti, le emozioni e le reazioni del bambino sono sostenute, e le risposte che suscitano da parte di chi se ne prende cura durante la prima infanzia, danno forma alla relazione del bambino con quei comportamenti, quelle emozioni e quelle reazioni nel resto della sua vita. La psicologia dello sviluppo ha allargato il significato dell’ambiente di supporto per descrivere le persone, i luoghi, gli strumenti e i rituali che ci circondano in un qualsiasi momento delle nostre vite. Nel coaching, un ambiente di supporto positivo crea uno “spazio sicuro” in cui le persone sentono di poter parlare della loro situazione e di quella dell’organizzazione di cui fanno parte. È uno spazio in cui le persone possono riflettere apertamente l’una con l’altra sui cambiamenti che stanno affrontando, dibattere diverse questioni, chiarire cose date magari per scontate, trovare risorse e via dicendo. Un buon ambiente di supporto offre la sicurezza di cui abbiamo bisogno per affrontare efficacemente la vita e ci incoraggia a correre i rischi necessari per crescere. Un ambiente di supporto scadente non fornisce l’appoggio necessario per le sfide della vita, rallenta o blocca la crescita e favorisce l’insorgere di comportamenti reattivi. In ambienti di supporto positivi siamo in grado di trovare le nostre soluzioni e di tirare fuori il meglio di noi, anche in circostanze davvero difficili (come nel caso del capitano, dell’equipaggio e dei passeggeri del miracolo sull’Hudson). Essere in grado di rimanere nella zona crea dunque un ambiente di supporto positivo in cui le persone possono restare connesse con la propria creatività e ricchezza di risorse, ed essere potenziate quanto serve per trovare le proprie soluzioni. Il semplice esercizio che segue è un modo per fare pratica sul come portare le qualità della zona di eccellenza in una conversazione di coaching. Lo scopo di questa pratica è quello di assicurare che tanto il coach quanto il cliente comincino l’interazione a partire dalla versione migliore di loro stessi, traendo così il massimo dalla sessione. Proprio come gli atleti eseguono delle pratiche di riscaldamento che permettono loro di dare il

meglio in competizione o in allenamento, lo spazio per la zona di eccellenza prepara i partecipanti a un’interazione di coaching a trarre il meglio l’uno dall’altro. Prima di cominciare, è utile stabilire una serie di segnali non verbali che servano a tenere a mente ciascuno degli elementi dello spazio della zona di eccellenza. a. Centrarsi b. Respirare (Aprirsi) c. Rallentare (Presenza mentale) d. Fermarsi (Connettersi) e. Rilassarsi (Accogliere)

Il coach userà questi segnali per ricordare al cliente di rimanere nella sua zona di eccellenza per l’intera sessione. Respirare, ad esempio, ci aiuta a rimanere aperti a possibilità, risorse e nuove idee. Rallentare, specialmente quando si parla, aiuta a fare in modo che siamo effettivamente consci di cosa stiamo dicendo e pensando, anziché esprimerci con il “pilota automatico” e perderci nella nostra abituale programmazione neuro-linguistica, nei nostri soliti schemi e nelle nostre solite storie. Fermarsi ci dà un’opportunità per connetterci con noi stessi e creare collegamenti tra ciò che stiamo dicendo o pensando e il significato di queste cose nella nostra vita. Rilassarsi rende più facile accogliere qualsiasi pensiero o reazione emerga dalla conversazione, a partire da un luogo di maggiore ricchezza di risorse. Il tutto risulta nella capacità di rimanere presenti e creare lo spazio necessario perché maggiore coscienza e movimento emergano in modo naturale. Come segnali usate gesti semplici, che non siano di troppa distrazione e che ricordino al cliente di tornare nella sua zona di eccellenza, ma senza disturbare lo svolgimento della conversazione. È preferibile che sia il cliente stesso a scegliere i gesti che il coach userà. Quando siete pronti, cominciate la conversazione seguendo queste fasi:

1. State seduti o in piedi rivolti l’uno verso l’altro, in una posizione rilassata, allineata ed equilibrata.

2. Portate la vostra attenzione sul corpo e sul respiro, e siate mentalmente presenti (un buon modo per farlo è applicare la pratica per Trovare la propria zona descritta in precedenza).

3. Continuando a guardarvi negli occhi, a turno ditevi le seguenti cose: Sono presente. Sono centrato. Sono aperto. Sono conscio. Sono sveglio, all’erta e limpido mentalmente. Sono connesso a me stesso, a te e al campo di risorse dentro e attorno a noi. Sono pronto ad accogliere ciò che emerge da dentro di me e nello spazio della nostra interazione, al meglio delle mie capacità.

Se fatto con autenticità e presenza mentale, questo scambio produrrà un forte senso di empatia tra i partecipanti all’interazione e aprirà le porte a un’abbondanza di risorse. È quello che chiamiamo campo o “spazio” e che forma l’ambiente di supporto per il resto della conversazione.

PASSARE DA UNO STATO DI BLOCCO A UNA ZONA DI ECCELLENZA

Una volta stabilito lo spazio per la zona di eccellenza, il cliente può cominciare a riflettere sul proprio stato presente, sullo stato desiderato, e sul percorso dall’uno all’altro, godendo dell’accesso a tutte le proprie risorse. In molti sensi, questa è l’essenza del coaching. Come un coach di canottaggio che accompagna la propria squadra incoraggiando ciascun atleta e dando loro un feedback perché diano le prestazioni migliori, un coach aziendale o un coach personale accompagna i propri clienti mentre si preparano ad affrontare le proprie sfide, mantenendoli nella loro zona di eccellenza.

1. Il cliente racconta lo schema o l’esperienza del suo stato di blocco – vale a dire lo stato problematico o la situazione in cui involontariamente diventa compresso, reattivo, eccessivamente analitico, separato dalle proprie risorse e intrappolato in sensazioni ed emozioni spiacevoli.

2. Il coach dà i segnali per “centrarsi”, “respirare”, “rallentare”, “fermarsi” o “rilassarsi” quando necessario, per mantenere il cliente e se stesso nella zona di eccellenza e preservare la qualità dello spazio comune.

3. Il coach chiede al cliente di descrivere il proprio stato desiderato in quel contesto o situazione. Ancora una volta il coach dà i segnali necessari per mantenere se stesso e il cliente nella zona.

4. Si chiede poi al cliente di riflettere sulle risorse interiori di cui dispone e che gli permetterebbero di raggiungere lo stato desiderato in quel contesto o in quella situazione. Ancora una volta, il coach continua a dare i segnali necessari per mantenere se stesso e il cliente nella zona.

Quando è sostenuto in questo modo, con presenza e intenzione, il cliente sarà in grado di trovare le proprie soluzioni senza bisogno di interventi o interferenze da parte del coach. Come Milton Erickson amava dire, “sai molto meglio tu cosa sia meglio per te di quanto potrei mai indovinare io dall’esterno”. Piuttosto che analizzare o discutere specifiche soluzioni alla fine della sessione, il coach e il cliente possono condividere i simboli o le metafore emersi spontaneamente in entrambi alla fine del processo. Il coach e il cliente possono concludere l’interazione con uno scambio di gesti non verbali e di espressioni di reciproca gratitudine. Questo serve anche da ancora per le risorse che ciascuno porterà con sé come risultato dell’interazione. Questo rituale è una sorta di segno per determinare la fine di un processo, come alla fine di uno spartito musicale o di un copione teatrale. In questo modo presenza mentale e connessione sono mantenute dall’inizio alla fine del processo.

PORTARE LE ENERGIE ARCHETIPICHE NELLA ZONA DI ECCELLENZA

Una volta che è stato stabilito uno spazio forte per la zona di eccellenza, ulteriori risorse possono essere introdotte sotto forma di “energie archetipiche”. Come sostiene il nostro amico e collega Stephen Gilligan nel libro Il risveglio dell’eroe con la PNL, per il cambiamento generativo sono necessarie tre fondamentali energie archetipiche: ferocia (forza, energia, intensità), tenerezza (dolcezza, apertura, delicatezza) e giocosità(umorismo, flessibilità, creatività). Queste energie possono essere dette archetipiche perché tutti gli esseri umani (e buona parte dei mammiferi) le possiedono, e non c’è bisogno che vengano apprese. Sono “comprese nel pacchetto” e si sono evolute attraverso molte generazioni come componente fondamentale della nostra intelligenza somatica. Fin da neonati siamo in grado di esprimere in un qualche modo queste energie. Quando è affamato o a disagio, un bimbo mostra ferocia nel piangere per ricevere cibo e cure. I bambini piccoli mostrano anche naturalmente tenerezza, cercando amore e connessione. È altrettanto evidente che ai bambini non è necessario insegnare a giocare. Il riso e la creatività sono qualità tipiche dell’infanzia e rimangono con noi per il resto della vita. Ciascuna energia archetipica ha una sua funzione nel sostenerci per affrontare con efficacia sia le sfide sia le opportunità della vita. La ferocia è necessaria per rimanere motivati e porre dei limiti. Per farsi carico di un qualsiasi compito importante bisogna essere in grado di dedicarvisi con ferocia – una concentrazione profonda e intensa. È l’energia del guerriero. La tenerezza è necessaria per connettersi agli altri, per avere una pienezza emotiva e per dare e ricevere efficacemente l’appoggio necessario per crescere e guarire. Per affrontare qualsiasi sfida profonda nella vita abbiamo bisogno di essere in contatto con la tenerezza: è ciò che ci permette di toccare ed essere toccati, di consolare, di calmare e di essere calmi, di essere empatici e sensibili e così via. È l’energia della madre e del guaritore. La giocosità è necessaria per trovare nuove prospettive, per essere creativi e fluidi. Umorismo e giocosità ci permettono di uscire dagli schemi e di percepire le cose in molti modi diversi. Quando siamo troppo seri ci attacchiamo rigidamente a una determinata prospettiva o punto di vista. La giocosità e l’umorismo possono aiutare a smuovere le cose, a mantenerle fluide e in movimento, a creare spazio per nuove possibilità. È l’energia del mutaforma. Abbiamo osservato che in una sessione di coaching vi è spesso un punto di svolta in cui il cliente comincia a ridere o sorridere. È la risata del risveglio. Quando questa trasformazione ha luogo, la nuova presa ed espansione di coscienza rilascia energia nella risata. È una delle ragioni per cui si ritiene che la risata abbia potere di guarigione. Anche se ciascuna di queste energie è di per sé archetipica e non necessita di essere insegnata, il modo in cui esse vengono utilizzate ed espresse è una questione di abilità, nonché una componente fondamentale delle nostre dinamiche interiori. Esiste anche la possibilità che perdiamo il contatto o che reprimiamo queste energie; come con tutte le strutture profonde, nello schema archetipico, oltre che una risorsa, vi è anche un lato ombra.

La ferocia positiva o centrata emerge quando siamo in grado di accoglierla e di esprimerci a partire dalla zona di eccellenza: a queste condizioni la ferocia rimane centrata e può essere integrata e bilanciata tramite il contatto con altre risorse. Viene espressa sotto forma di determinazione, chiarezza, forza, coraggio, impegno, capacità di dire basta, di smascherare ciò che potrebbe irretirci o sedurci, di proteggere la vita, sia la nostra sia quella altrui. Quando la esprimiamo da uno stato di blocco, la medesima energia si fa tesa, contratta e reattiva: la ferocia non centrata e priva di controllo, di dolcezza e di umorismo, si esprime come violenza e aggressività. Similmente, l’espressione positiva della tenerezza prende la forma di gentilezza, calma, dolcezza, disponibilità. Ma se ci si perde in questa energia della tenerezza si può diventare troppo morbidi e sentimentali: il lato ombra della tenerezza è la debolezza, l’incapacità di dire basta e porre limiti, la dipendenza. La giocosità, nella sua forma positiva, ci aiuta a rimanere sciolti, gioiosi, fluidi e capaci di uscire dagli schemi delle prospettive rigide. La giocosità non centrata e non radicata, disconnessa da ferocia e tenerezza, può diventare cinismo, superficialità, irresponsabilità e gusto per l’inganno. Per affrontare efficacemente le sfide e le opportunità della vita abbiamo bisogno di essere connessi a tutte e tre queste energie archetipiche. Potete pensarle come i tre colori primari, rosso, blu e giallo, da mescolare in proporzioni diverse per creare un numero infinito di possibili espressioni. A volte portare un’energia archetipica mancante in una situazione può trasformarla radicalmente. Considerate il seguente esempio raccontato da un’agente di polizia che aveva studiato la PNL. Mentre era in servizio in un quartiere difficile di una grande città, aveva ricevuto una chiamata urgente da un’abitazione della zona per un caso di violenza domestica. Mentre si avvicinava all’appartamento era allertata al massimo, perché è proprio in questo tipo di situazioni che un agente è esposto a rischi per la propria persona, persino più che nelle rapine o nei casi di omicidio. Le persone, soprattutto se non centrate e in preda alla rabbia o in uno stato di blocco, non vogliono che la polizia interferisca con le proprie questioni familiari. Arrivata nei pressi dell’origine della chiamata, l’agente sentì grida e pianti provenire dall’interno dell’appartamento. Un uomo gridava rabbiosamente. Sentì anche il suono di oggetti scagliati e infranti che accompagnava le grida di terrore di una donna. Improvvisamente, un televisore volò fuori dalla finestra, schiantandosi al suolo in mille pezzi di fronte a lei. Al tempo stesso, le grida aumentarono di intensità. L’agente corse verso la porta e cominciò a bussare con tutta la propria forza per richiamare l’attenzione della coppia. Un attimo dopo sentì una rabbiosa voce maschile che gridava: “Chi cazzo è?”. Grazie alle molte ore di pratica nell’accedere alla propria zona di eccellenza durante i momenti difficili, l’agente si calò rapidamente nello stato adatto e si aprì al campo delle possibilità. Dopo aver guardato i pezzi del televisore distrutto sparsi per terra, rispose prontamente: “Riparazione televisori!”. Dopo una trentina di secondi di silenzio di tomba nell’appartamento, l’uomo scoppiò in una risata fragorosa. Poco dopo aprì la porta, e l’agente poté intervenire senza far ricorso alla violenza o a uno scontro fisico. Commentò poi che in quella situazione le parole che

aveva pronunciato le erano state più utili di anni e anni di allenamento nel combattimento corpo a corpo.

ESPLORARE L’INFLUENZA DELLE ENERGIE ARCHETIPICHE

Secondo Gilligan, è necessario mantenere queste tre forze in equilibrio e “umanizzarle” portandole nel nostro “centro”. L’esercizio che segue esamina come portare le forme positive di ciascuna energia archetipica, e la loro combinazione, in una situazione difficile per esplorare quali altre opzioni esse rendano possibili. L’esercizio aiuta ad accedere a ciascuna energia e ad esprimerla attraverso lo spazio della zona di eccellenza, per trovare il giusto equilibrio e trarre il massimo giovamento da una determinata situazione.

1. Il coach guida se stesso e il cliente nella zona di eccellenza per creare uno spazio ricco di risorse.

2. Il cliente fa un passo ed entra in un’area fisica che rappresenta lo “stato presente”; là racconta un’esperienza o uno schema di blocco – ad esempio uno stato problematico o una situazione in cui diventa involontariamente compresso, reattivo, eccessivamente analitico, separato dalle proprie risorse e bloccato in sensazioni ed emozioni spiacevoli. Il cliente rivive la situazione nella maniera più piena possibile senza rimanervi intrappolato: vedendo quello che vede nella situazione, sentendo quello che sente e provando quello che prova. In questo modo il cliente porta attenzione e presenza mentale alla propria attuale reazione e alle scelte di cui percepisce la disponibilità nella situazione.

3. A questo punto il cliente esce dallo spazio fisico e ritorna allo spazio della zona di eccellenza.

4. Con l’aiuto del coach, il cliente esplora l’impatto del portare l’espressione positiva di ciascuna delle energie archetipiche nella situazione di blocco, a partire dalla ferocia.

a. Rimanendo nella zona di eccellenza, il cliente accede all’energia tramite uno dei seguenti metodi: • Identifica e rivive un’esperienza di riferimento, un momento nella propria vita in cui ha fatto intensa esperienza dell’espressione dell’energia nella sua forma più positiva e fruttuosa. • Identifica un modello positivo, una persona che sappia esprimere quell’energia ricavandone risorse in abbondanza, che dimostri regolarmente la capacità di esprimere la versione positiva o centrata dell’energia. Poi, si pone nei panni di quella persona (assumendo la seconda posizione) per poter ricavare un senso percepito di quel modo di esprimere l’energia. • Usa la propria immaginazione per fare “come se”fosse nell’espressione dell’energia nella sua forma più centrata e fruttuosa. • Trova un simbolo per l’espressione positiva dell’energia e lo porta nel proprio corpo in modo che crei un senso percepito dell’energia.

b. Dopo essersi connesso a un’espressione positiva dell’energia archetipica, il cliente ritorna alla posizione dello stato di blocco, portando l’energia archetipica in quella situazione. Il cliente prende coscienza del modo in cui l’energia cambia la sua esperienza della situazione e nota quali nuove alternative diventano possibili. c. Il cliente ritorna nello spazio di eccellenza e ripete i passaggi precedenti per le energie archetipiche di tenerezza e giocosità.

Portare le forme positive delle energie archetipiche in una situazione difficile aiuta a generare nuove possibilità di scelta di risposte e comportamenti.

5. Dopo aver esplorato individualmente l’impatto delle energie archetipiche, il cliente si connette con tutte e tre le energie simultaneamente, permettendo che si combinino, e rientra nello spazio dello stato di blocco. Ancora una volta, il cliente farà esperienza di come la combinazione delle energie trasformi la sua percezione della situazione e noterà quali nuove scelte diventano possibili.

ACCOGLIERE SENSAZIONI ED EMOZIONI DIFFICILI

Un aspetto chiave dell’efficace dominio delle proprie dinamiche interiori è la capacità di riconoscere e trasformare sensazioni ed emozioni difficili che possono emergere dalle situazioni della vita. Uno dei molti fattori che determinano se rimaniamo bloccati in uno stato privo di risorse, o se operiamo a partire da una zona di eccellenza, è la nostra capacità di accogliere anche le sensazioni e le emozioni difficili. Queste sono spesso le forme ombra non centrate di energie archetipiche, come rabbia, dolore, frustrazione, panico, ansia. Richard Moss sottolinea che “la distanza tra noi e gli altri è la medesima che intercorre tra noi e noi stessi”. Questo implica che il modo in cui ci poniamo in relazione agli altri e al mondo che ci circonda è un’immagine speculare di come ci poniamo in relazione a noi stessi. È a partire da questa fondamentale relazione con noi stessi che emergono le nostre relazioni con gli altri e col mondo esterno. Questa relazione tra sé e sé è spesso limitata

dalle emozioni e sensazioni che non sappiamo come avvicinare, accettare, accogliere e amare in noi stessi. La terapeuta familiare Virginia Satir poneva spesso ai suoi assistiti due domande. La prima era: “Come ti senti?”. Un assistito poteva rispondere dicendo che si sentiva arrabbiato, triste, spaventato, in colpa, o in preda a qualche altra emozione difficile. Poi Virginia poneva una seconda domanda: “Come ti senti riguardo al sentirti così?”. La risposta a questa seconda domanda è alquanto significativa e determina in larga misura l’impatto e il significato che avrà la risposta alla prima domanda. C’è una grande differenza tra il sentirsi calmi e curiosi riguardo alla propria rabbia, e il sentirsi in colpa e frustrati per quella stessa emozione. È questo secondo livello di emozioni a determinare la qualità del nostro essere presenti e la facilità con cui sapremo accogliere la prima emozione o il primo gruppo di emozioni. Ciò che sentiva il capitano Chesley Sullenberger – “calma esteriore, e una profonda agitazione dentro” – mentre planava con il suo aereo con tutti i motori in avaria verso il fiume Hudson è un potente esempio di cosa significhi essere in grado di accogliere emozioni e sensazioni difficili. “Accogliere” implica una relazione tra due cose: la cosa che accoglie e la cosa che viene accolta. L’immagine metaforica di una madre che tiene in braccio un bambino può aiutarci a visualizzare questa relazione. Il bambino rappresenta l’emozione somatica primaria, la sensazione o reazione di cui stiamo facendo esperienza. La madre rappresenta la risposta del resto del sistema nervoso a questa emozione primaria. Se un bambino piange e la madre lo accoglie con tensione, rabbia o innervosendosi, il bambino probabilmente proverà ulteriore disagio. Se la madre riesce a tenere in braccio il bambino a partire da uno stato di amorevole supporto, è più probabile che quello, in virtù della sua presenza, si calmi (tramite i neuroni specchio) e che superi il disagio in maniera fluida. La stessa dinamica ha luogo per quanto riguarda la nostra relazione con le nostre emozioni. Quando ne abbiamo paura e le rifiutiamo o le combattiamo, stiamo in realtà aumentando il nostro grado di reazione, contrazione, disconnessione e disagio. Come recita il detto: ciò a cui si resiste persiste. Quando riusciamo a riconoscere e ad accogliere queste emozioni e sensazioni in maniera centrata, aperta, conscia e connessa, esse non sono più un “problema”, e la loro energia può essere liberata o trasformata in un’espressione più ricca di risorse. Vi suggeriamo le seguenti qualità, utili per accogliere sensazioni ed emozioni difficili:

• non-reattività;

• accettazione incondizionata della sensazione o dell’emozione esattamente per ciò che è;

• nessuno progetto di cambiare alcunché riguardo alla stessa;

• pazienza, prendersi il tempo necessario;

• costante e incrollabile attenzione alla sensazione o emozione;

• fiducia nel fatto che tutto vada bene esattamente come è, che la sensazione o emozione abbia un’intenzione e una finalità sostanzialmente positive;

• sentirsi accolti e sostenuti da un campo che va al di là di noi;

• gentilezza nei confronti della sensazione o emozione;

• una curiosità discreta e non intrusiva riguardo alla sensazione o emozione.

Come ha dimostrato Virginia Satir, è anche utile identificare e riconoscere le emozioni e gli atteggiamenti che proviamo per le emozioni difficili primarie e che ci allontanano dalle nostre risorse. In questo modo, tali meta-emozioni possono a loro volta essere incluse, accolte e trascese a partire da un campo di coscienza più ampio e più ricco di risorse. Metareazioni non funzionali a un’emozione difficile possono ad esempio essere:

• desiderare che vada via;

• volere che sia diversa, che cambi;

• cercare di analizzarla o spiegarla;

• identificarsi con essa (perdersi in essa).

In qualità di coach è importante rendersi conto che la meta-emozione è parte del problema tanto quanto l’emozione primaria. Se non ne siamo consci, potremmo trovarci ad allinearci con l’emozione secondaria per liberarci di quella primaria. Quando non sappiamo come coesistere con un’emozione o con una sensazione, in un modo o nell’altro, desideriamo che se ne vada. Riassumendo, le nostre emozioni o sensazioni difficili, come un bambino che piange, hanno bisogno più di ogni altra cosa di essere accolte. Tramite questo gesto, le emozioni, come il bambino, si trasformano: lo stato di contrazione e il senso di separazione si trasformano in un senso di rilassamento e di connessione. Non è dunque questione di liberarsi delle emozioni difficili, quanto piuttosto di porsi in relazione a esse in un modo che ne permetta la trasformazione. L’energia delle emozioni difficili viene così liberata e immessa nuovamente nel flusso delle nostre vite. Recuperiamo energia che era stata in precedenza spesa per evitare di affrontare l’emozione difficile, e possiamo quindi essere più pienamente presenti, con una parte ancora maggiore di noi disponibile per essere coinvolti nel momento presente. Lo scopo dell’esercizio che segue è di aiutarvi a scoprire e applicare le risorse di cui avete bisogno per rimanere presenti e accogliere emozioni difficili che potrebbero emergere e separarvi dal qui e ora.

1. Identificate una situazione difficile o che vi mette alla prova, in cui fate esperienza di un’emozione che non riuscite ad accogliere e che, conseguentemente, vi induce a uscire dalla vostra zona di eccellenza portandovi in quella dello stato di blocco. Fate esperienza di quell’emozione e di quelle sensazioni e permettete al vostro corpo di esprimerle. Portate riconoscimento e presenza mentale nelle emozioni e sensazioni, senza alcun tentativo di cambiarle, analizzarle o spiegarle.

2. Fate un passo indietro dallo spazio fisico in cui avete fatto esperienza di questa emozione difficile e riflettete sul “voi stessi” che vive l’emozione difficile. Cosa provate riguardo a queste sensazioni problematiche? Cosa provate riguardo a voi stessi per il fatto di provarle? Qual è la vostra relazione con queste emozioni e con voi stessi quando le state provando? Potrebbero esserci svariate meta-emozioni riguardo all’emozione primaria (vergogna, colpa, disperazione, rabbia, senso di impotenza e così via). Come nella fase precedente, portate riconoscimento e presenza mentale a queste emozioni e sensazioni, senza giudicare né tentare di cambiarle.

3. Ora fate un passo indietro in un terzo spazio fisico e cambiate il vostro stato girandovi, muovendo il corpo, scuotendo braccia e gambe. Prendetevi il tempo necessario per accedere a uno stato-risorsa in cui siete centrati, aperti, vigili (lo stato della zona di eccellenza) e connessi a un campo che va al di là di voi. Quali risorse (fiducia, accettazione, curiosità, forza, amore) potrebbero aiutarvi ad accogliere la seconda serie di emozioni in modo più amorevole, rispettoso e ricco di risorse? Apritevi al campo più vasto e permettetevi di ricevere le risorse senza pensarci. Notate cosa emerge dal campo. Potrebbe arrivarvi sotto forma di immagini, simboli, sensazioni, movimenti.

4. Portate le risorse emerse dal campo pienamente nel vostro corpo e nel vostro essere (se necessario, potete facilitare questo processo trovando esperienze di riferimento per queste risorse e rivivendole il più pienamente possibile). Trovate un simbolo e un gesto o un movimento (sintassi somatica) che esprimano queste risorse e le portino presenti nel vostro corpo. Permettete all’energia di queste risorse di scorrere liberamente tra voi e il campo che vi circonda, in un verso e nell’altro.

5. Con queste risorse e i simboli loro associati pienamente presenti nel vostro corpo e nella vostra attenzione, tornate nel secondo spazio fisico (quello delle meta-emozioni). Non cercate di cambiare niente. Accogliete semplicemente le emozioni e le reazioni associate con il secondo spazio fisico all’interno del campo più ampio delle risorse. Fate il gesto o il movimento associato alle risorse che avete ricevuto. Notate cosa cambia nella vostra percezione e nel vostro atteggiamento riguardo al secondo gruppo di emozioni.

6. Ora entrate nello spazio fisico in cui avete posto le emozioni difficili originarie e portate con voi le risorse che avete identificato. Ancora una volta, non cercate di cambiare niente. Limitatevi ad accogliere le emozioni difficili e le reazioni all’interno del più ampio campo di risorse. Fate i gesti e i movimenti associati alle risorse che avete ricevuto. Come vi sentite ora riguardo a queste emozioni difficili? Cosa è cambiato nella vostra capacità di accoglierle?

BARRIERE DI CONVINZIONI E PONTI DI CONVINZIONI

È anche possibile identificare, accogliere e trasformare convinzioni limitanti e “virus del pensiero” così come si fa con le emozioni difficili. Ciò si può realizzare:

• centrandosi e accogliendole all’interno di un campo più ampio di risorse;

• portando più grande attenzione conscia alla struttura dei programmi neuro-linguistici che le generano;

• trovando l’intenzione positiva o lo scopo alla base di tali convinzioni;

• integrandole con altre convinzioni e programmi.

Le convinzioni esercitano una potente influenza sulle nostre vite. Sono un classico esempio di programmi neuro-linguistici che emergono da un’integrazione dei circuiti sia cognitivi sia somatici. Possono anche essere accolte e trasmesse attraverso campi relazionali, come illustrato negli esempi degli esperimenti con le scimmie citati alcune pagine addietro. Le convinzioni sono considerate uno dei livelli di cambiamento e di apprendimento più importanti in PNL e sono una delle componenti chiave della nostra struttura profonda. Esse danno forma e coesione alla nostra struttura superficiale in molti modi. Le convinzioni determinano il modo in cui si attribuisce significato agli eventi e sono alla radice della motivazione e della cultura. Le nostre convinzioni e i nostri valori forniscono il rinforzo (motivazione e permesso) che sostiene o inibisce determinate capacità e specifici comportamenti. È idea diffusa, ad esempio, che se qualcuno crede veramente di poter fare una cosa, la farà, e che se crede invece che qualcosa sia impossibile, per quanto ci si sforzi non lo si potrà convincere che quella cosa sia realizzabile. Il potere delle convinzioni è stato dimostrato in un illuminante studio in cui un gruppo di cento “sopravvissuti” al cancro (pazienti i cui sintomi non si erano più manifestati per più di dieci anni) sono stati intervistati su cosa avessero fatto per guarire con successo. Le interviste hanno mostrato che non c’era un singolo trattamento che risultasse più efficace degli altri: alcuni avevano fatto ricorso al trattamento medico standard a base di chemioterapie e radiazioni, altri avevano seguito un approccio nutrizionale, altri un percorso spirituale, altri ancora un approccio psicologico, mentre alcuni non avevano fatto proprio nulla. L’unico elemento in comune a tutti gli intervistati era il fatto che ciascuno di loro credeva che l’approccio scelto avrebbe funzionato. Come indicato dallo studio di cui sopra e da fenomeni quali l’effetto placebo, le convinzioni hanno la peculiare capacità di auto avverarsi. Le convinzioni, tuttavia, sono “un’arma a doppio taglio”; quelle limitanti possono persistere ed esercitare la propria influenza con la stessa forza di quelle positive e potenzianti. C’è una vecchia storia di un paziente in cura presso uno psichiatra: l’uomo non mangiava e non si prendeva cura di sé, sostenendo di essere un cadavere. Lo psichiatra aveva trascorso molte ore a discutere e argomentare col paziente, cercando di convincerlo che così non era. Alla fine lo psichiatra chiese al paziente se i cadaveri sanguinassero. Il paziente rispose: “Certo che no, tutte le funzioni corporee di un cadavere sono cessate”. Lo psichiatra convinse allora il paziente a provare un esperimento. Il dottore avrebbe punto il paziente con uno spillo, per vedere se avrebbe

sanguinato oppure no. Il paziente diede il proprio assenso: dopotutto era un cadavere. Lo psichiatra punse gentilmente la pelle del paziente con l’ago, e, come ci si poteva aspettare, quello cominciò a sanguinare. Con un’espressione di sorpresa e meraviglia il paziente esclamò: “Chi lo avrebbe mai detto… i cadaveri sanguinano!”. Come illustra questa storia, le convinzioni sono famose per la loro resistenza a essere cambiate per mezzo delle ordinarie regole della logica o del pensiero razionale. Inoltre, le convinzioni dall’influsso più potente sono spesso al di fuori della soglia della nostra mente conscia (come nel caso dei “virus del pensiero”). Considerate, ad esempio, il caso delle scimmie menzionate in precedenza, che avevano instillato negli altri animali la convinzione che un determinato oggetto fosse pericoloso semplicemente tramite la reazione al comportamento altrui vicino all’oggetto. Questo mostra come le convinzioni possano essere mantenute e trasferite tramite un campo relazionale, oltre che per mezzo di comunicazione diretta e interazione fisica. Il potere di convinzioni trasmesse attraverso questo tipo di campo relazionale è stato dimostrato in un studio chiarificatore, nel corso del quale un gruppo di bambini assolutamente normali, stando ai risultati dei vari test di intelligenza cui erano stati sottoposti, venne suddiviso in maniera casuale in due gruppi. Uno dei due gruppi fu affidato a un insegnante a cui raccontarono che i bambini erano particolarmente “dotati”, l’altro a un insegnante a cui venne comunicato che i bambini erano “lenti ad apprendere”. Un anno dopo, i due gruppi vennero sottoposti a una nuova batteria di test di intelligenza. Nella media, i bambini che erano stati (arbitrariamente) inseriti nel gruppo dei “dotati” riportarono punteggi più alti rispetto all’anno precedente. Per contro, la maggior parte dei bambini che erano stati etichettati come “lenti ad apprendere” ottenne punteggi più bassi! Sembra che le convinzioni dell’insegnante riguardo ai suoi studenti abbiano avuto effetto sulla loro capacità di apprendere. Riassumendo, possiamo paragonare il processo di trasformazione delle convinzioni limitanti alla ricetta per lo stufato di tigre: “Per prima cosa, catturare la tigre”. Nel seguente esercizio di dinamiche interiori esploriamo come “catturare la tigre” ma poi, invece di ucciderla, la trasformiamo in un gattino domestico. L’energia che era contenuta nella convinzione viene liberata e trasformata. Il processo che segue fornisce un modo per scoprire e trasformare le convinzioni che, come una barriera, ostacolano la nostra connessione con le nostre risorse, con noi stessi e con gli altri.

1. Pensate a una situazione difficile in cui è importante per voi essere più pienamente presenti e più connessi con voi stessi e con gli altri, ma in cui, invece, vi fate involontariamente compressi, reattivi, eccessivamente analitici, separati dalle vostre risorse e bloccati in emozioni e sensazioni spiacevoli o dolorose. Create uno spazio fisico per quella situazione, ed entrateci con un passo. Concentratevi sulle sensazioni associate alla situazione così come la vivete ora.

2. Uscite dalla situazione e dallo spazio a essa associato, ed entrate in una nuova area calandovi pienamente nella zona di eccellenza. Definite il vostro stato desiderato per la situazione. Come preferireste pensare, sentirvi e reagire, invece? Concentratevi soprattutto sul fare esperienza dello stato desiderato nel vostro corpo.

3. Mantenendo la vostra attenzione sul senso percepito dello stato desiderato, cominciate lentamente a camminare verso lo spazio fisico che rappresenta la

situazione problematica. Prestate attenzione al vostro stato fisiologico e alle vostre sensazioni corporee, e fermatevi non appena percepite qualsiasi cambiamento o contrazione che comincia a indebolire, interferire o portarvi fuori dal vostro stato-risorsa (quando, perciò, incontrate la barriera). Fermatevi, ponete la vostra attenzione su quelle sensazioni ed esplorate la domanda: “Quali convinzioni sono associate con queste sensazioni e mi impediscono di avere completo accesso alle mie risorse e di essere pienamente connesso in quella situazione?”. Mantenete l’attenzione sul corpo e sulle sensazioni di contrazione mentre cercate le convinzioni; evitate di salire nella testa per cercare di capire. Mentre scoprite la barriera, esplorate e riconoscete anche le intenzioni positive e gli scopi che sono alla base di quelle convinzioni.

4. Una volta identificata la barriera di convinzioni, fate un passo indietro nello spazio fisico della zona di eccellenza, dove potete sentirvi pienamente centrati, presenti e ricchi di risorse. Ponetevi le domande: “Dato ciò che ho scoperto in merito a questa barriera di convinzioni, di quali altre convinzioni avrei bisogno per rimanere comunque connesso e ricco di risorse in quella situazione?”; “Quali sono i ‘ponti di convinzioni’ che mi permetterebbero di rimanere nella zona di eccellenza?”. Apritevi al campo più ampio e permettetevi di ricevere le risposte senza analizzarle o rifletterci su. Notate cosa emerge dal campo. “Programmate neuro-linguisticamente” le convinzioni ripetendole a voi stessi e sperimentando il senso percepito che creano nel vostro corpo. Dove, nel vostro corpo, avete massimo bisogno di accoglierle? Create un gesto fisico o un movimento (sintassi somatica) che esprima il ponte di convinzioni.

5. Rimanendo centrati e presenti, accogliete nel corpo, nel cuore e nella testa le convinzioni associate al “ponte”. Tornate nello spazio fisico della situazione problematica, utilizzando il gesto individuato e mantenendo la vostra attenzione su queste convinzioni. Notate come cambia la vostra esperienza della situazione. Cosa diviene possibile tramite la presenza di queste convinzioni nel vostro sistema nervoso?

Creare un “ponte di convinzioni” può aiutarvi a superare le “barriere di convinzioni” che interferiscono con la vostra connessione a voi stessi e agli altri.

Per ulteriori opere sulle convinzioni in PNL si vedano:Convinzioni. Forme di pensiero che plasmano la nostra esistenza, Cambiare le convinzioni con la PNL, Il manuale del Coach e The Encyclopedia of Systemic NLP and NLP New Coding.

LAVORARE CON GLI ARCHETIPI DI TRANSIZIONE

Spesso i problemi relativi alle convinzioni e alle emozioni e sensazioni difficili emergono durante momenti di transizione (come quelli che accompagnano i vari stadi del ciclo adattivo). Solitamente, la fase di transizione più difficile da gestire per le persone è quella del crollo o distruzione creativa. È questa fase che in genere comporta i maggiori sconvolgimenti e lascia più frequentemente un momentaneo senso di vuoto e di “assenza”. Da un punto di vista archetipico, questa fase è associata al “drago”, che simboleggia qualcosa di enorme, perlopiù sconosciuto e potenzialmente pericoloso. Alcuni comuni “draghi” sul cammino della vita della nostra specie sono ad esempio l’arrivo dell’adolescenza, la menopausa, la vecchiaia, i cambiamenti di carriera, la pensione, la morte di una persona cara, la perdita, la malattia e altre grandi transizioni. Quando hanno luogo cambiamenti del genere, abbiamo solitamente reazioni e risposte archetipiche quali la negazione, il sentirsi travolti, la frustrazione, la rabbia, la determinazione, l’accettazione e così via. Ciascuna di queste reazioni o risposte produce un certo tipo di relazione con la transizione e il drago. Carol Pearson ha identificato una serie di risposte archetipiche alla transizione che sconvolgono la vita e che simboleggiano vari stadi della nostra relazione col misterioso e pericoloso drago.

• L’Innocente (non sa che il drago esiste) • L’Orfano (travolto o consumato dal drago) • Il Martire (perseguitato dal drago) • L’Errante (evita il drago) • Il Guerriero (combatte il drago) • Lo Stregone (accetta e trasforma il drago)

Come con tutte le energie archetipiche, ciascuna delle qualità rappresentate in questi ruoli simbolici ha i suoi doni e le sue ombre:

I doni dell’Innocente sono l’ottimismo, la purezza e la semplicità. Il suo lato ombra è costituito da ingenuità, inesperienza e vulnerabilità. L’Orfano porta i doni della compassione e dell’abilità di rinunciare. Il suo lato ombra è costituito da impotenza e disperazione. I doni del Martire includono un senso di sacrificio di sé e di giustizia. Le sue ombre producono vittimismo, tendenza a emettere giudizi, e una reattività di tipo passivo-aggressivo. I doni dell’Errante sono spazio, libertà e scoperta. Il lato ombra porta negazione dei fatti e tendenza a fuggire dalle cose. Le risorse associate al Guerriero sono determinazione, coraggio e chiarezza. Il lato ombra comporta aggressività, violenza e l’imposizione di un determinato punto di vista.

I doni dello Stregone riguardano la capacità di accettazione, la creatività e la saggezza. Le ombre si presentano sotto forma di manipolazione, ingannevolezza e illusione. La chiave per gestire in modo efficace la transizione è ovviamente la nostra capacità di attingere ai doni e alle risorse che ciascun archetipo porta tramite la propria relazione con il drago, e di saperli utilizzare. Quando il drago può essere accolto nel campo di queste risorse, esso si tramuta: il problema diventa un’opportunità e la ferita una fonte di apprendimento e crescita. La cosa peggiore che ci sia mai successa diventa la migliore che potesse accaderci. Per ricevere i doni di ciascun archetipo dobbiamo connetterci ad esso attraverso la nostra zona di eccellenza. In questo modo accoglieremo i doni nella loro forma più centrata e integrata. L’esercizio seguente combina i processi di gestione dello spazio della PNL di Ultima Generazione, la sintassi somatica e la connessione alla mente di campo tramite gli archetipi di Pearson come modo per affrontare momenti di sconvolgimento e transizione a partire da un’abbondanza di risorse.

1. Definite il drago. Identificate la problematica di transizione che state affrontando nella vostra vita. Questo può includere elementi chiave del contesto o dell’ambiente relativo alla transizione, quali ad esempio le reazioni di altre persone importanti o dei dettagli problematici relativi alle circostanze di contorno alla transizione stessa.

2. Create una zona per il drago, e collocate nello spazio fisico circostante i sei archetipi, disponendoli in cerchio secondo la sequenza: a. Innocente, b. Orfano, c. Martire, d. Errante, e. Guerriero, f. Stregone. Individuate, inoltre, uno spazio per la zona di eccellenza, appena fuori dal cerchio (una meta-posizione).

Mappatura dell’esercizio degli archetipi di transizione

3. A partire dalla posizione che rappresenta l’Innocente, esplorate ciascun archetipo di transizione assumendone a turno l’atteggiamento, l’energia, la postura e i movimenti (ossia la Sintassi somatica) associati. Fate esperienza del tipo di relazione che ciascun archetipo ha con il drago. Notate sia i doni sia le ombre che ciascuna relazione con il drago suscita in voi.

4. Una volta passati attraverso l’intera sequenza di archetipi, andate nell’area della meta-posizione ed entrate nello stato della zona di eccellenza con quanta più pienezza possibile. Connettetevi alla vostra zona di eccellenza e apritevi alla saggezza della più vasta mente di campo.

5. Accogliendo questo stato nel vostro corpo, ripercorrete ancora una volta fisicamente il ciclo degli archetipi, accertandovi di ricevere e di interiorizzare le risorse e gli apprendimenti di cui ciascun archetipo vi farà dono affinché possiate affrontare il drago. Fatelo esplorando le posture, i gesti e i movimenti (la Sintassi somatica) associati alla versione positiva dell’archetipo creata connettendolo con la vostra zona di eccellenza. Completate il processo ritornando allo spazio che sentite per voi più adatto, stante la vostra attuale relazione col drago. Notate che potete ora farlo con la coscienza di dove vi trovate all’interno dell’intero ciclo di transizione.

6. Ritornate nello spazio della zona di eccellenza, assumente la meta-posizione e riflettete su cosa avete scoperto e appreso da questo viaggio.

Per ulteriori informazioni su questo processo, si veda Il risveglio dell’eroe con la PNL e The Encyclopedia of Systemic NLP and NLP New Coding.

CONCLUSIONE: EGO E ANIMA

Abbiamo raggiunto la fine di quanto possiamo presentare entro i confini di questo volume. Eppure, in un certo senso, questo è solo l’inizio della nostra esplorazione della PNL di Ultima Generazione. Molti sono i processi e le tecniche che non abbiamo potuto includere in questo libro per motivi di spazio, e molti altri ne verranno. Una delle più importanti aree di applicazione dei principi e delle pratiche di questa nuova generazione di PNL è ad esempio quella del coaching identitario. Problematiche e transizioni riguardanti il livello dell’identità sono alla base del Coaching con la “C” maiuscola. Intendiamo trattare questo affascinante argomento nel nostro prossimo libro, Coaching at the Identity Level. Le basi di questo tipo di lavoro derivano dal vedere l’“identità” come composta da due aspetti complementari: l’ego e l’anima. Secondo la psicanalisi, l’ego è “la parte della psiche che media tra il conscio e l’inconscio, ed è responsabile del senso della realtà e dell’identità personale”. L’ego ha dunque a che vedere con lo sviluppo e la conservazione di un “sé” separato che percepisce la realtà a partire da una propria prospettiva individuale. Al livello dell’ambiente, l’ego tende a concentrarsi su pericoli e limitazioni, e sul raggiungimento di guadagni e piaceri a breve termine. Di conseguenza, al livello dei comportamenti, tende a essere più reattivo alle condizioni esterne. Le capacità associate all’ego sono generalmente quelle collegate con l’intelletto cognitivo, quali quelle di analisi e di strategia. Al livello delle convinzioni e dei valori, l’ego si concentra sulla sicurezza, l’approvazione, il controllo, il raggiungimento dei risultati e il beneficio personale. Al livello dell’identità, esso ha a che vedere coi nostri ruoli sociali e con chi sentiamo che dovremmo e avremmo bisogno di essere. Al livello dello spirito o dello scopo, l’ego è orientato verso la sopravvivenza, il riconoscimento e l’ambizione: la vita che vogliamo creare per noi stessi. Dal punto di vista della PNL, l’ego può essere considerato una mappa costruita cognitivamente o un modello del proprio “sé”; un naturale processo dello sviluppo. Le nozioni di “realtà” e di “sé” associate all’ego, tuttavia, sono influenzate da referenze esterne quali le norme sociali, i valori culturali e gli schemi familiari. Come tutte le mappe o modelli, si tratta di un costrutto formato da processi di cancellazione, distorsione e generalizzazione. Quando queste deformazioni creano un’eccessiva separazione dal territorio effettivo e potenziale di noi stessi (la nostra anima o essenza) possono creare il lato “ombra” dell’ego. Alcune caratteristiche di un ego malsano vanno verso l’esaltazione del sé, manifestando, ad esempio, orgoglio, arroganza, narcisismo e vanità; altre lo sminuiscono esprimendo giudizi negativi su se stessi o abbandonandosi alla depressione, all’autocritica, alla mancanza di fiducia in sé e di autostima: ciò può renderci preda di avidità, paura e strategie di sopravvivenza (attacco, fuga, paralisi). L’anima è la forza vitale unica, l’essenza o l’energia con la quale noi veniamo al mondo e che, a sua volta, viene al mondo per noi nostro tramite. Appena nati, ad esempio, non

abbiamo ancora un ego, bensì una nostra speciale energia e un nostro essere che sono il fondamento della nostra identità. Questa energia è espressa attraverso il nostro corpo e la nostra interfaccia con i campi più ampi che ci circondano. Dato che l’anima è una “struttura profonda” energetica, essa non è associata ad alcun specifico contenuto e non può, dunque, essere costruita da influenze esterne come società, cultura e famiglia. Si esprime però sotto forma di contributo a questi campi più ampi. Dunque, invece di essere un sé oggettivato o separato, l’anima è la nostra espressione di un sé connesso che man mano si rivela. Al livello dell’ambiente, l’anima tende a concentrarsi sulle opportunità di espressione e di crescita. Ne risulta che al livello del comportamento questa tenda a rispondere in modo più proattivo alle condizioni esterne. Le capacità associate con l’anima sono generalmente quelle relative alla percezione e alla gestione dell’energia e dell’intelligenza emotiva. Al livello delle convinzioni e dei valori, l’anima si concentra sulle motivazioni interiori quali il servire, il contribuire, la connessione, l’essere, l’espandersi e il risvegliarsi. Al livello dell’identità l’anima ha a che vedere con la nostra mission e i doni unici che portiamo nel mondo. Al livello dello spirito o dello scopo, l’anima è orientata verso la vision di ciò che vogliamo creare nel mondo attraverso di noi, ma che va al di là di noi. Possiamo dunque dire che mentre l’ego ha a che vedere con il “contenuto” della nostra esperienza, l’anima ne riguarda il “contenitore”. Similmente, l’ego funziona tramite processi di analisi, mentre l’anima opera tramite coscienza e presenza mentale. Alcune discipline, come quelle esposte nel libro Un corso in miracoli, sostengono che al mondo esistono due forze fondamentali: paura e amore. In questa prospettiva, possiamo vedere l’ego primariamente come un prodotto di tutte le variazioni della paura, e l’anima come qualcosa che emerge da tutte le espressioni dell’amore. Chiaramente, entrambi questi aspetti di noi stessi sono necessari per un’esistenza sana e appagante.

Livelli di espressione per ego e anima

Quando il nostro corpo (mente somatica) e il nostro intelletto (mente cognitiva) si connettono come due ballerini che rispondono alla musica della vita (il campo), allora l’anima ha un veicolo di espressione e ci troviamo ad esere più vivi, più ispirati e colmi di gioia, sentendoci più a casa nel mondo. Carisma, passione e presenza emergono naturalmente quando le due forze di anima ed ego, vision e ambizione, sono allineate. Le prestazioni ottimali si verificano quando l’ego è al servizio dell’anima. Le motivazioni più potenti sono quelle che combinano e allineano la nostra vision, mission, ambizione e i nostri valori. Quando l’ego e l’anima non sono allineati, e la nostra ambizione va a scontrarsi con mission e vision, ne risultano conflitti e frizioni. Se “vendiamo l’anima” a beneficio dell’ego, potremmo avere successo a breve termine, ma a lungo termine arriveremo a una crisi. Se la nostra ambizione crea arroganza o un “sé idealizzato” e cominciamo a rifiutare e a reprimere altre parti di noi stessi, creiamo una condizione in cui possono emergere le “ombre”. Comprendere le dinamiche tra ego e anima e raggiungere un equilibrio tra le due parti è una componente fondamentale del coaching identitario e della PNL di Ultima Generazione. Le dinamiche tra ego e anima operano in modalità riconducibili a quelle di un’azienda o di un’organizzazione. L’ego dell’azienda è composto dai proprietari e dagli azionisti, la cui preoccupazione è quella della sopravvivenza, del profitto finanziario e del ritorno sull’investimento. Questo si riflette nelle ambizioni dell’organizzazione e dei suoi membri in termini di status e livello di prestazioni. L’anima dell’organizzazione è il valore che fornisce ai propri clienti e al più ampio ambiente fisico e sociale. Questo deriva dalla visione dell’organizzazione e dei suoi membri riguardo ai sistemi che li circondano. Nelle organizzazioni sane e prospere, queste forze sono bilanciate e allineate. Alcuni dei modi in cui i leader aziendali possono raggiungere questo allineamento sono trattati nel volume di prossima uscita Success Factor Modeling, dell’autore Robert Dilts e del suo compianto fratello John Dilts. Il Success Factor Modeling™ (SFM) è stato sviluppato dai due autori come metodo per identificare e trasferire i fattori critici di successo necessari per promuovere la crescita e il maggiore impatto di individui, team e organizzazioni, nonché per aiutarli a essere più che pronti a creare, riconoscere e sfruttare le opportunità quando esse si presentano. Esaminando aziende, progetti e iniziative di successo, e osservando il comportamento di individui e team dalle elevate prestazioni, il SFM aiuta le persone e le organizzazioni a quantificare i fattori che hanno creato quei ripetuti successi e a identificare le tendenze da adottare per prolungarne il verificarsi nel futuro. Ci auguriamo che vi siate goduti questo viaggio attraverso la storia della PNL. È nostro più sincero desiderio che questo libro sia e continui a essere un’efficace mappa e una guida attraverso la quale realizzare con accresciute coscienza, flessibilità e fiducia in voi stessi la vostra vision, mission, ambizione e il vostro ruolo. Come potete vedere, è solo l’inizio: c’è ancora molto a venire!

POSTFAZIONE Se siete interessati ad approfondire ulteriormente i principi e la tecnologia della Programmazione Neuro-Linguistica, esistono molte altre risorse e strumenti per sviluppare e applicare le distinzioni, le strategie e le abilità descritte in queste pagine. La NLP University è un istituto di formazione il cui obiettivo è trasmettere la conoscenza della PNL a tutti i livelli di specializzazione attraverso percorsi di altissima qualità. Inoltre, noi della NLP University desideriamo continuare a sviluppare nuovi modelli e applicazioni che promuovano la salute, la creatività, l’apprendimento e il successo in ogni ambito della vita personale e professionale. Ogni estate organizziamo programmi di formazione presso la University of California a Santa Cruz, con corsi e lezioni sulle abilità della PNL, comprese quelle relative alla consulenza aziendale e al coaching. Per ulteriori informazioni vi preghiamo di contattare Teresa Epstein presso:

NLP University P.O. Box 1112 - Ben Lomond, California 95005 Tel. (831) 336-3457 Fax (831) 336-5854 E-mail [email protected] www.nlpu.com

Oltre ai programmi che offriamo presso la NLP University, viaggiamo anche in tutto il mondo presentando seminari e programmi specialistici su una serie di argomenti relativi alla PNL e allo sviluppo personale e professionale.

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BIBLIOGRAFIA

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INFORMAZIONI SUGLI AUTORI

Robert Dilts è conosciuto a livello mondiale come uno tra i più importanti sviluppatori, autori, coach, formatori e consulenti nel campo della Programmazione Neuro-Linguistica (PNL). Robert ha lavorato a stretto contatto con i co-fondatori della PNL John Grinder e Richard Bandler negli anni della creazione della disciplina, ed è stato anche allievo di Milton H. Erickson e di Gregory Bateson. È stato un pioniere delle applicazioni della PNL alla formazione, alla creatività, alla salute, alla leadership, ai sistemi di convinzioni e a quella che è poi diventata la PNL di Ultima Generazione. Robert è il principale autore di Programmazione Neurolinguistica, che è il volume di riferimento per il campo della PNL, ed è stato inoltre autore o co-autore di numerosi libri di Programmazione Neuro-Linguistica tra cui Cambiare le convinzioni con la PNL, Convinzioni. Forme di pensiero che plasmano la nostra esistenza, PNL per lo spirito e Il manuale del Coach. La più recente pubblicazione di Robert, Il risveglio dell’eroe con la PNL (scritto con Stephen Gilligan), tratta di come intraprendere il sentiero di apprendimento e trasformazione capace di riconnetterci con la nostra chiamata più profonda, trasformando le convinzioni e le abitudini limitanti, guarendo le ferite emotive e i sintomi fisici, rendendo più profonda l’intimità e migliorando l’immagine di noi stessi.

Judith DeLozier è una formatrice, co-sviluppatrice e creatrice di programmi di formazione nel campo della Programmazione Neuro-Linguistica fin dal 1975. È co-autrice di Programmazione Neurolinguistica, assieme a Robert Dilts, John Grinder e Richard Bandler. Allieva di Milton Erickson, Judith ha modellato le sue strategie per creare e utilizzare gli stati di trance e le metafore. Questi lavori di Judith sono illustrati in I modelli della tecnica ipnotica di Milton H. Erickson, di cui è co-autrice assieme a John Grinder e Richard Bandler. Nel volume Turtles all the Way Down: Prerequisites to Personal Genius, di cui è co-autrice assieme a John Grinder, Judith esplora le interrelazioni tra la PNL e i filoni di cultura, società, arte, estetica ed epistemologia. Questi studi sono culminati nella creazione della PNL New Coding, che ha stimolato un movimento orientato a un approccio più sistemico e relazionale alla PNL, nonché un ritorno di interesse per l’opera di Gregory Bateson. Judith ha in larga misura il merito di aver portato la PNL all’area della competenza transculturale, sperimentando per prima le applicazioni della PNL allo sviluppo di abilità in questo ambito. L’esperienza di Judith nell’ambito del balletto e della danza congolese l’ha portata anche a promuovere l’uso di movimento e ballo come strumenti fondamentali della PNL.

Deborah Bacon Dilts è una formatrice nell’ambito della psicosintesi, della Relaxation Therapy e dell’opera trasformazionale di Richard Moss. È insegnante del metodo 5Ritmi® di Gabrielle Roth, ed è esperta di Aquanima, un approccio di psicoterapia

corporea transpersonale basato sul lavoro di respirazione olotropica. Vive in Francia, dove è stata anche attiva come interprete professionista per formatori e insegnanti nel campo della crescita personale per più di vent’anni. Vive anche in California, dove divide un’abitazione col marito Robert. Deborah è autrice di numerosi articoli, tra cui The sweat-lodge ritual – connecting with life, The earth – place of connection, Gabrielle Roth’s 5Rhythms, nonché di un capitolo sul Mandala dell’Essere di Richard Moss in una pubblicazione sulla psicoterapia transpersonale. Il suo operato si concentra soprattutto sulla connessione mente-corpo e sulla coscienza relazionale. Deborah lavora col marito Robert Dilts dal 2005 per creare programmi che combinano la Programmazione Neuro-Linguistica col movimento e gli approcci transpersonali, tra cui: The Power of Presence; Coaching at the Identity Level; The Hero’s Journey and The Five Rhythms; Crisis, Transition and Transformation: Tools for Managing Change e Dynamic Teaming: Releasing the Generative Power of Groups and Teams. È co-autrice col marito Robert dell’articolo Coaching at the Identity Level, disponibile in inglese su http://www.nlpu.com/Identity_Coaching_Article.htm

ALTRE PROPOSTE DI LETTURA UNA SELEZIONE DI TITOLI DAL CATALOGO CARTACEO DI ALESSIO ROBERTI EDITORE

Collana PNL

Richard Bandler e Owen Fitzpatrick PNL è libertà Questo libro contiene idee che possono trasformare la tua vita

Un libro in cui si parla di te, della tua vita, delle tue sfide di oggi e di quelle che hai già affrontato, di come ti sei sentito e di come ti senti in questo momento. Quest’opera è una conversazione ispirata tra una grande mente dei nostri tempi, Richard Bandler, e un trainer di Programmazione Neuro-Linguistica intelligente e profondo, Owen Fitzpatrick. Tra i vari argomenti sviluppati:

• come identificare le proprie abitudini nocive e sostituirle con buone abitudini; • come crearsi nuove opportunità di miglioramento e sviluppo; • come “innescare” volontariamente sensazioni di piacere, divertimento ed energia in sé

e negli altri attraverso la Programmazione Neuro-Linguistica, ed essere in grado di riattivare quelle sensazioni;

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Richard Bandler Vivi la vita che desideri con la PNL Le nuove tecniche del genio della PNL per migliorare la tua vita personale e professionale

Come è possibile: • superare i problemi di tutti i giorni nel modo più efficace? • essere più felici? • gettarsi definitivamente alle spalle i brutti ricordi? • progettare e quindi ottenere un futuro ricco di risultati e gratificazioni? • affrontare con la giusta attitudine le sfide personali e professionali? • gestire le relazioni in modo sempre più soddisfacente?

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Scelgo la libertà è un libro-corso unico: gli strumenti pratici della Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) per la prima volta spiegati attraverso la storia di un partecipante a un corso tenuto dal genio creativo della PNL. Attraverso Scelgo la libertàimparerai in modo divertente ed efficace come applicare l’attitudine e le tecniche della PNL per migliorare la tua vita. Apprenderai come: • assumere un maggior controllo sui tuoi pensieri e sulle tue emozioni; • cambiare le convinzioni limitanti; • sostituire comportamenti improduttivi; • sfruttare maggiormente le tue risorse interne; • rendere più efficace la comunicazione con te stesso e con gli altri; • definire obiettivi di qualità per la tua vita personale e professionale.

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Il Tempo per cambiare con la PNL racchiude l’essenza del genio di Richard Bandler, cocreatore della Programmazione Neuro-Linguistica. Si tratta di un testo complesso, al quale arrivare solo dopo uno studio approfondito e consapevole della PNL, e talmente ricco di sfumature e segreti da richiedere ben più di una sola lettura. Al tempo stesso, è un testo imprescindibile che ti permetterà di: • migliorare l’efficacia del lavoro sulle convinzioni; • scoprire il legame che unisce convinzioni e stati di coscienza; • modificare l’esperienza del tempo; • valorizzare il potere della risata per favorire il cambiamento.

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Ogni libro di Richard Bandler rappresenta un evento importante per le persone che vogliono migliorare la propria vita. Il potere dell’inconscio e della PNL è uno dei libri di

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Questo libro è stato concepito per essere usato e non solo letto. Mettendo in pratica le tecniche create da Richard Bandler, scoprirete che il modo per cambiare, migliorare e vivere più felicemente è facile e persino divertente: basta esercitarsi a seguire con costanza le “istruzioni per l’uso” della propria mente e affidarsi al potere dell’inconscio.

Robert Dilts Cambiare le convinzioni con la PNL (I livelli di pensiero) Come intervenire sulle forme di pensiero che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi

Le convinzioni rappresentano uno dei più importanti livelli di pensiero e una delle più potenti leve per il cambiamento: da limite possono trasformarsi in stimolo, offrendo una prospettiva verso cui tendere e innalzarsi. Grazie a questo libro, che è insieme una preziosa guida, un manuale pratico e un eccezionale strumento di studio e lavoro, ogni lettore imparerà a: • identificare il sistema di convinzioni che governa la sua vita e quella degli altri; • sviluppare convinzioni potenzianti e superare quelle limitanti; • integrare parti conflittuali della propria identità; • costruire un terreno fertile per le nuove convinzioni; • aiutare le altre persone in questo processo di crescita.

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Usando la metafora dell’eroe come preziosa cornice di riferimento, gli autori tracciano le linee guida di un percorso di risveglio e crescita interiore, fornendo al lettore idee e strumenti pratici per affrontare con consapevolezza il proprio viaggio alla ricerca di sé. Il loro approccio è innovativo e di ampio respiro: nelle loro parole la Programmazione Neuro-Linguistica si fonde con discipline olistiche e di natura spirituale, come la meditazione, l’aikido o la pratica dei 5Ritmi®. Trascrizione di un seminario di 4 giorni, il libro mantiene la vivacità e l’intensità dell’interazione spontanea tra autori e pubblico e fornisce una lunga serie di esercizi e dimostrazioni pratiche dei concetti affrontati.

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Un libro per ritrovare il significato delle proprie azioni quotidiane, riscoprendone il valore spirituale spesso dimenticato o accantonato. Una guida per ridare pienezza a ogni istante della propria vita, piuttosto che lasciare che scorra via come un fiume giorno dopo giorno, senza lasciare tracce.

Robert Dilts e Stephen Gilligan Il potere delle parole e della PNL (Sleight of Mouth) I modelli linguistici della Programmazione Neuro-Linguistica per cambiare le convinzioni limitanti

Robert Dilts esamina il potere delle parole di figure storiche come Abraham Lincoln, Hitler, Gandhi, Socrate e Gesù. I suoi studi intensi rivelano come alcuni modelli linguistici possano influenzare profondamente la vita delle persone. Una risorsa importante per chi utilizza il linguaggio come strumento di lavoro. Un libro straordinario sul reale impatto delle parole.

Collana Coaching

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con cui li realizziamo, abbiamo come obiettivo primario quello di soddisfare sempre più le esigenze del lettore.

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Note

UNA NUOVA GENERAZIONE DI PNL 1 Il fatto che gli occidentali considerino l’epistemologia un argomento esoterico e intellettuale è un chiaro sintomo di quanto poco generalmente esaminiamo i fondamenti delle nostre convinzioni, dei nostri valori, e delle nostre percezioni, e quindi anche dei comportamenti che ne derivano.

CAPITOLO 1 LA MENTE COGNITIVA 1 Robert Dilts e Todd Epstein postulano sottili ma importanti distinzioni tra terza posizione, meta-posizione e posizione dell’osservatore. Sottolineano che una “pura” terza posizione è tipicamente un punto di vista al di fuori del ciclo comunicativo che incorpora le conoscenze, le convinzioni e gli assunti raccolti dall’essere stati precedentemente associati in prima e seconda posizione. La meta-posizione è un punto di vista al di fuori del ciclo comunicativo che comprende solo le conoscenze e le convinzioni derivate dalla propria prima posizione. Laposizione dell’osservatore è un punto di vista al di fuori del ciclo comunicativo in cui l’osservatore sospende di proposito ogni convinzione e assunto riguardo alla prima e seconda posizione (naturalmente la terza posizione deve anche essere distinta da una prospettiva “dissociata” e distaccata, priva di emozioni). 2 In termini della strategia di imagineering di Disney, il futuro a breve e lungo termine è il dominio del Sognatore; l’espressione presente di sintomi e obiettivi è il territorio del Realista; problemi e cause nel passato sono lo spazio di competenza del Critico.

CAPITOLO 2 LA MENTE SOMATICA 1 È interessante notare che già durante le prime fasi dello sviluppo di un feto si forma una massa di tessuto detta “cresta neurale”. Una parte di questa massa diviene poi il sistema nervoso centrale, mentre un altro pezzo migra per diventare poi il sistema nervoso enterico. Secondo gli studi del dottor Gershon i due sistemi vengono connessi solo in un secondo momento, tramite il nervo vago. 2 Svariate espressioni giapponesi incorporano il termine hara e segnalano l’importanza del ventre per vivere bene e pienamente. “Arte del ventre”, ad esempio, si riferisce a un’attività che la persona porta a termine al tempo stesso senza sforzo e alla perfezione. “Una grandiosa pancia” si riferisce a una persona di aperte vedute, comprensiva, compassionevole e generosa. “Una pancia pulita” indica una persona che ha la coscienza a posto. “Determinare la propria pancia” esprime il processo di definire chiaramente le proprie intenzioni. “Battere il tamburo della pancia” significa vivere una vita appagante. 3 Leonardo, che eccelleva come musicista non meno che come pittore, inviato a Milano in qualità di ambasciatore da Lorenzo il Magnifico, recò in omaggio a Ludovico il Moro una lira d’argento da lui stesso costruita. 4 Potete verificarlo di persona con un esperimento pratico. Scegliete tre diverse attività fisiche che siano ritmiche e in una qualche misura cicliche o ripetitive, degli sport o altri tipi di movimento. Pensate a un determinato problema che state cercando di risolvere e cominciate a praticare una delle attività fisiche. Quando avete finito, controllate la vostra percezione del problema prescelto. Ripetete la stessa procedura con le altre due attività. Notate che tipo di intuizioni emergono dal praticare ciascuna delle forme di moto.

CAPITOLO 3 LA MENTE DI CAMPO 1 Russell postula che la razza umana sia vicina a raggiungere un livello del tutto nuovo di coscienza e autorganizzazione – forse comparabile al salto compiuto tra l’uomo di Neanderthal e quello di Cro-Magnon. Considerando l’ipotesi di Russell, tenete a mente che la soglia necessaria per un nuovo livello di integrazione non deve per forza essere elevata: il DNA degli umani e degli scimpanzé, ad esempio, è il medesimo per il 98% . 2 Il fenomeno della centesima scimmia si riferisce a un improvviso, spontaneo e misterioso salto nel livello di coscienza che ha luogo in una popolazione i cui membri non sono in contatto quando un punto di “massa critica” viene raggiunto per via di un numero sufficiente di individui che ne fanno parte e che condividono un particolare comportamento o un’idea. L’idea del fenomeno della centesima scimmia è presa dal libro di Lyall Watson La marea della vita, in cui sono riportati diversi studi condotti negli anni Sessanta da primatologi giapponesi in seguito all’osservazione di popolazioni di macachi che abitavano le isole al largo del Giappone. Watson riporta che quando una scimmia insegnava a un’altra a lavare le patate dolci, la seconda scimmia a sua volta tramandava la conoscenza a un’altra, che a sua volta faceva lo stesso, finché ben presto tutte le scimmie sull’isola arrivavano a lavare le patate. Quando la “centesima” scimmia su quell’isola aveva imparato a lavare le patate,

improvvisamente, spontaneamente e misteriosamente, anche le scimmie sulle altre isole, che non avevano alcun contatto con quelle dell’isola su cui aveva avuto origine il comportamento, cominciavano a lavare le patate. Sebbene l’accuratezza scientifica di quegli studi sia stata in seguito messa in discussione, esistono molti altri esempi di fenomeni che sembrano risultare da questo tipo di effetto morfico; tra questi, anche la formulazione simultanea di certe idee e teorie da parte di persone non collegate tra loro e in luoghi diversi del pianeta (ad esempio la scoperta dell’analisi matematica da parte di Newton e Leibniz). 3 Da questo punto di vista è interessante riflettere sul fatto che la parola “becos”, che si era creduto avesse pronunciato il bambino egizio nel racconto di Erodoto, ha un suono piuttosto simile al belato delle pecore.

CAPITOLO 4 APPLICARE LA PNL DI ULTIMA GENERAZIONE 1 Nella teoria degli ecosistemi, r rappresenta il ritmo di crescita immediato di una popolazione, mentre K rappresenta la “capacità massima”, ossia la dimensione massima sostenibile di una popolazione.