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Corso di Organizzazione del cantiere Appunti sommari - Dispensa n. 2 1 MACCHINE DI CANTIERE Il processo di meccanizzazione che ha interessato il cantiere nell’ultimo secolo risponde a due obiettivi fondamentali: 1) ridurre la fatica umana; 2) consentire esecuzioni più rapide, perfette regolari e meno costose. Contrariamente a quanto si crede la meccanizzazione (ma anche l'informatizzazione) non crea disoccupazione. Anche se l’adozione di mezzi meccanici riduce la manodopera necessaria e limita il numero di addetti, la riduzione dei costi e dei prezzi conseguente permette di incrementare notevolmente il consumo e quindi, per riflesso, la produzione. Inoltre la meccanizzazione richiede la costruzione del macchinario e comporta perciò l’aumento anche dell'occupazione. Si pensi a tal proposito che un manovale lavorando in continuazione alla manovella a malapena può fornire 1/10 di CV. A conti fatti il 'cavallo umano' costa almeno 150 volte quello elettrico. La meccanizzazione non è in ogni caso redditizia e non sempre conviene scegliere la macchina più potente e costosa. Mettendo a confronto diversi sistemi di lavoro (dal manuale all'automatizzato) si trova la soluzione migliore tenendo conto sia le ragioni tecniche che quelle economiche. Le ragioni tecniche hanno sempre la preferenza; a parità di prestazioni tecniche va preferito il sistema più economico. Non è detto che il sistema più economico sia quello di minore costo in quanto per conseguirlo talvolta occorrono forti impegni di capitale o forti indebitamenti. Da queste considerazioni ne discende che occorre: 1) scegliere il macchinario che, a parità di resa tecnica, dia il massimo rendimento economico nel tempo; 2) utilizzare al massimo macchine e uomini, senza superare il limite di fatica e pregiudicare l'integrità di entrambi ma 'saturando' la rispettiva attività senza creare tempi morti (se una macchina può lavorare - o è bene che lavori - 24 ore al giorno, sarebbe bene poter organizzare i cicli produttivi e la presenza della manodopera in modo che ciò sia possibile). Ciò non ha nulla a che fare con lo sfruttamento intensivo della manodopera, anzi nei cantieri ben organizzati la manodopera si affatica di meno perché lavora con ritmo costante senza pause ma senza sovraccarichi. Tecnicamente l'utilizzazione del macchinario e delle maestranze si misura con la 'saturazione', cioè con il rapporto tra il tempo di lavoro e il tempo di presenza in cantiere: un operaio che attende ordini, che attende che una macchina finisca il proprio ciclo per operare, che si sposta all'interno del cantiere non lavora; una betoniera che può compiere 15 impasti l'ora ma ne potrebbe fare 30 è saturata al 50% (se ne fa 30 per 4 ore e per altre 4 ore sta ferma ha la stessa saturazione); 3) migliorare le condizioni di lavoro e non 'demotivare' i lavoratori (spesso l'efficienza è promossa con tattiche paternalistiche o con incentivi economici). Fra i molti fattori da considerare prima dell'acquisto di una macchina vi sono: a) La robustezza. Basata essenzialmente sulla bontà dei materiali impiegati e sulla buona progettazione e costruzione; b) La versatilità di impiego: una macchina versatile assicura maggiori utilizzazioni e una maggiore saturazione; c) Possibilità di riserva: è legata all'essenzialità della macchina per le lavorazioni previste e alla facilità di rottura (il non funzionamento di una macchina può portare all'arresto del cantiere: valutando i danni economici per ogni ora di arresto è possibile decidere tra una sola macchina o due macchine di potenza complessiva superiore o uguale); d) potenza assorbita (varia con la prestazione) e installata (maggiore di quella assorbita); e) Rendimento: si può articolare in rendimento meccanico, rendimento produttivo, rendimento economico. La potenza assorbita da una macchina rispetto a quella erogata dipende dal suo rendimento meccanico che a sua volta è funzione della corretta progettazione e costruzione, dei meccanismi prescelti, del sistema di trasmissione della potenza dal motore alla macchina ecc. Il rendimento produttivo (produzione oraria) è quello che serve a proporzionare la macchina alle necessità di cantiere. Esso dipende, a parità di macchina utilizzata, da: 1) natura dell'oggetto prodotto (il rendimento produttivo di uno scavatore è influenzato dalla natura del terreno da scavare); 2) l'orario di lavoro (il lavoro notturno dà minore rendimento a causa di minore produttività dell'uomo, minore visibilità ecc.) e i turni di lavoro (una betoniera può lavorare fino a 24 ore al giorno ma ne lavora 8 se vi è un solo turno); 3) l'intermittenza del lavoro (Tempo di effettivo movimento/Tempo utilizzato): per una gru l'intermittenza è influenzata dalla rapidità con cui sono effettuate le operazioni di carico e scarico; 4) le prestazioni : quasi mai le macchine lavorano a pieno carico (una gru da 1 t lavora spesso con carichi da 0,25-0,5 t): ciò riduce la produzione oraria e, variandosi continuamente il carico, si può avere un maggiore affaticamento dei suoi organi; 5) velocità : talvolta la dipendenza è diretta (trasportatori a nastro), talvolta di ordine maggiore (nelle macchine che funzionano ad urto, vibratori, martelli pneumatici, la produzione è proporzionale almeno al quadrato della velocità);

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MACCHINE DI CANTIERE Il processo di meccanizzazione che ha interessato il cantiere nell’ultimo secolo risponde a due obiettivi fondamentali: 1) ridurre la fatica umana; 2) consentire esecuzioni più rapide, perfette regolari e meno costose. Contrariamente a quanto si crede la meccanizzazione (ma anche l'informatizzazione) non crea disoccupazione. Anche se l’adozione di mezzi meccanici riduce la manodopera necessaria e limita il numero di addetti, la riduzione dei costi e dei prezzi conseguente permette di incrementare notevolmente il consumo e quindi, per riflesso, la produzione. Inoltre la meccanizzazione richiede la costruzione del macchinario e comporta perciò l’aumento anche dell'occupazione. Si pensi a tal proposito che un manovale lavorando in continuazione alla manovella a malapena può fornire 1/10 di CV. A conti fatti il 'cavallo umano' costa almeno 150 volte quello elettrico. La meccanizzazione non è in ogni caso redditizia e non sempre conviene scegliere la macchina più potente e costosa. Mettendo a confronto diversi sistemi di lavoro (dal manuale all'automatizzato) si trova la soluzione migliore tenendo conto sia le ragioni tecniche che quelle economiche. Le ragioni tecniche hanno sempre la preferenza; a parità di prestazioni tecniche va preferito il sistema più economico. Non è detto che il sistema più economico sia quello di minore costo in quanto per conseguirlo talvolta occorrono forti impegni di capitale o forti indebitamenti. Da queste considerazioni ne discende che occorre: 1) scegliere il macchinario che, a parità di resa tecnica, dia il massimo rendimento economico nel tempo; 2) utilizzare al massimo macchine e uomini, senza superare il limite di fatica e pregiudicare l'integrità di entrambi ma 'saturando' la rispettiva attività senza creare tempi morti (se una macchina può lavorare - o è bene che lavori - 24 ore al giorno, sarebbe bene poter organizzare i cicli produttivi e la presenza della manodopera in modo che ciò sia possibile). Ciò non ha nulla a che fare con lo sfruttamento intensivo della manodopera, anzi nei cantieri ben organizzati la manodopera si affatica di meno perché lavora con ritmo costante senza pause ma senza sovraccarichi. Tecnicamente l'utilizzazione del macchinario e delle maestranze si misura con la 'saturazione', cioè con il rapporto tra il tempo di lavoro e il tempo di presenza in cantiere: un operaio che attende ordini, che attende che una macchina finisca il proprio ciclo per operare, che si sposta all'interno del cantiere non lavora; una betoniera che può compiere 15 impasti

l'ora ma ne potrebbe fare 30 è saturata al 50% (se ne fa 30 per 4 ore e per altre 4 ore sta ferma ha la stessa saturazione); 3) migliorare le condizioni di lavoro e non 'demotivare' i lavoratori (spesso l'efficienza è promossa con tattiche paternalistiche o con incentivi economici). Fra i molti fattori da considerare prima dell'acquisto di una macchina vi sono: a) La robustezza. Basata essenzialmente sulla bontà dei materiali impiegati e sulla buona progettazione e costruzione; b) La versatilità di impiego: una macchina versatile assicura maggiori utilizzazioni e una maggiore saturazione; c) Possibilità di riserva: è legata all'essenzialità della macchina per le lavorazioni previste e alla facilità di rottura (il non funzionamento di una macchina può portare all'arresto del cantiere: valutando i danni economici per ogni ora di arresto è possibile decidere tra una sola macchina o due macchine di potenza complessiva superiore o uguale); d) potenza assorbita (varia con la prestazione) e installata (maggiore di quella assorbita); e) Rendimento: si può articolare in rendimento meccanico, rendimento produttivo, rendimento economico. La potenza assorbita da una macchina rispetto a quella erogata dipende dal suo rendimento meccanico che a sua volta è funzione della corretta progettazione e costruzione, dei meccanismi prescelti, del sistema di trasmissione della potenza dal motore alla macchina ecc. Il rendimento produttivo (produzione oraria) è quello che serve a proporzionare la macchina alle necessità di cantiere. Esso dipende, a parità di macchina utilizzata, da: 1) natura dell'oggetto prodotto (il rendimento produttivo di uno scavatore è influenzato dalla natura del terreno da scavare); 2) l'orario di lavoro (il lavoro notturno dà minore rendimento a causa di minore produttività dell'uomo, minore visibilità ecc.) e i turni di lavoro (una betoniera può lavorare fino a 24 ore al giorno ma ne lavora 8 se vi è un solo turno); 3) l'intermittenza del lavoro (Tempo di effettivo movimento/Tempo utilizzato): per una gru l'intermittenza è influenzata dalla rapidità con cui sono effettuate le operazioni di carico e scarico; 4) le prestazioni: quasi mai le macchine lavorano a pieno carico (una gru da 1 t lavora spesso con carichi da 0,25-0,5 t): ciò riduce la produzione oraria e, variandosi continuamente il carico, si può avere un maggiore affaticamento dei suoi organi; 5) velocità: talvolta la dipendenza è diretta (trasportatori a nastro), talvolta di ordine maggiore (nelle macchine che funzionano ad urto, vibratori, martelli pneumatici, la produzione è proporzionale almeno al quadrato della velocità);

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6) temperatura: La prestazione di un motore elettrico è limitata dalla possibilità di riscaldamento degli avvolgimenti. Se l'aria di refrigerazione è molto calda la potenza che il motore può fornire senza danno diminuisce in proporzione. 7) altitudine: La rarefazione dell'aria ne diminuisce il potere refrigerante; parimenti minore è il quantitativo di ossigeno fornito ad un motore a combustione e il peso dell'aria aspirato a parità di cilindrata: ne deriva una riduzione di potenza; la rarefazione ha effetti negativi anche sui compressori. Il rendimento economico si valuta nel confronto tra i costi di esercizio (per unità di tempo o di prodotto) e i ricavi ottenuti. I termini di larga massima che determinano la scelta di un macchinario dipendono da: Ce= costo di esercizio per unità di prodotto (per es. un mc di calcestruzzo) o per unità di tempo; Cv= costo variabile per unità di prodotto (consumo di energia, impiego di manodopera) Cf= costo fisso annuo (ammortamento, interessi al capitale, magazzinaggio, manutenzione, assicurazione) pagato anche se l'impianto non è funzionante. Dette (n) le unità prodotte all'anno si ha: Ce = Cf/n + Cv Ovviamente tra due impianti diversi quello più economico è quello che ha Ce più basso. f) costo del macchinario: costo d'impianto + costo di esercizio. Il costo d'impianto è comprensivo di: 1) Costo di acquisto che comprende: il costo del macchinario e i costi di imballo, dogana e trasporto; 2) Costo di messa in opera: ad es. una gru a torre su binari: preparazione della sede (fondazione), messa in opera dei contrappesi; montaggio e allacciamenti elettrici; messa a punto e collaudo; smontaggio; trasporto in magazzino e 'ripassatura generale': verniciatura, ingrassatura, imballo delle parti più delicate; ripristino del terreno; ancora, una gru a torre senza traslazione, con base in c.a. richiede un elevato costo di impianto ma ha costi di ammortamento e di esercizio nettamente inferiori ad una autogru, pronta all’impiego, e presenta tempi di manovra nettamente inferiori. La valutazione deve tenere conto della valutazione complessiva del lavoro e della programmazione dei lavori. L’individuazione delle fasi temporali deve quindi essere fatta in maniera equilibrata e congruente al fine di non avere sovrapposizioni (picchi di utilizzo) o sottoutilizzazioni (discontinuità). Il costo di esercizio (da valutare in relazione al risultato ottenuto) comprende: 1) l'ammortamento: a parte il caso di macchinari che vanno ammortizzati nell'ambito di un solo lavoro (macchine speciali acquistate per un determinato

lavoro per le quali non si prevede un’utilizzazione futura, casseforme a perdere, blocchi di fondazione di una gru), per macchinari generici che possono avere altre applicazioni, l'ammortamento corrisponde ad una percentuale annua del loro valore presente. Una macchina ha un determinato periodo di vita e una corrispondente produzione totale; è necessario che in questo periodo la macchina si paghi, ovvero ammortizzi il capitale impiegato e i relativi interessi più il plusvalore che nel frattempo può aver assunto sul mercato. Alla sua attività verrà attribuita una quota di ammortamento che sarà poi considerata nell’incidenza sul costo di esercizio. Vi è inoltre da considerare che una macchina offre prestazioni decrescenti nel tempo e richiede una manutenzione maggiore. Per le macchine edili l’ammortamento è inteso come: a) diminuzione del valore della macchina (vetustà pura, decadimento reddituale, invecchiamento tecnico e tecnologico) normalmente l'invecchiamento tecnico varia tra 4 e 10 anni (ma con punte da 2 a 30 anni) a seconda dell'evoluzione tecnica del ramo, mentre la vetustà dipende dal volume di lavoro compiuto; b) accumulo di una riserva che deve consentire la sostituzione della macchina con una nuova, moderna, non appena o per eccessivo lavoro o per l'apparizione sul mercato di apparecchi più efficienti e redditizi, sia conveniente una sua sostituzione. La quota teorica di ammortamento (Cn) di un capitale (C) da rimborsarsi con (n) annualità ad un tasso di interesse annuo (i) è la formula delle annualità necessarie a ricostruire il capitale iniziale C in n anni all’interesse i: Cn = C [ i (1+i) n / (1+i)n - 1] Indicando con ha le ore di lavoro medie annue la quota di ammortamento oraria è A = Cn/ha. Ma il valore di C è solo un valore storico che non ha corrispondenza con i valori attuali e con le cifre necessarie per riprodurre il bene da ammortizzare; inoltre il valore attuale di un impianto è costituito dalla somma delle utilità future ragionevolmente prevedibili oggi, riportate ad oggi al tasso di interesse vigente; infine se le quote di ammortamento sono destinate a riprodurre il bene migliorato, esse devono basarsi sul valore attuale del bene nuovo che non ha legami diretti con il valore storico. In pratica, per semplicità ci si limita a suddividere il costo della macchina in (n) annualità uguali, addebitandone una all'esercizio di ogni anno, talvolta si aggiungono gli interessi o sull'intero valore, o sul valore residuo, detratte le

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quote ammortizzate. Questo sistema non tiene conto del lavoro effettivo svolto né della diminuzione di valore appena dopo l’acquisto. La valutazione della quota di ammortamento può seguire diversi criteri. Di seguito si riporta un’altra esemplificazione, che individua inoltre la quota di ammortamento oraria: ipotizzando un lavoro di 200 ore mensili per 10 mesi l’anno, cioè 2000 ore/anno Cn = C/2000 (1/Na + 0,1Nr/Na) dove Cn = quota di ammortamento C = costo Na = anni di vita totali Nr = anni di vita residui Con tale calcolo di ammortamento però si trascurano, come si è detto, due fattori importanti: - l'influenza del lavoro compiuto (maggiore è la saturazione, più frequente le riparazioni e la sostituzione); - la notevole diminuzione di valore della macchina a prescindere dall'uso. Di essi se ne può tenere conto valutando preventivamente quale sia annualmente il numero medio di ore di utilizzazione: una quota di ammortamento dipenderà dal maggiore lavoro compiuto in un anno (bisognerà accumulare più rapidamente una riserva se la macchina è molto sfruttata); un'altra (massima per il primo anno e poi via via decrescente) che terrà conto della vita della macchina determinata in base all'invecchiamento tecnico. 2) La manutenzione. In genere si distingue in manutenzione ordinaria (pulizia giornaliera e settimanale con lubrificazione e ingrassaggio) e straordinaria (sostituzione delle parti usurate e riparazioni di guasti, che però una buona manutenzione dovrebbe prevenire). Queste operazioni possono essere eseguite dallo stesso operatore, dall'officina di cantiere o da squadre specializzate di manutentori. Il costo annuale della manutenzione varia tra il 10 e il 20 % del costo iniziale (ma con punte da 5 a 35%) di acquisto: di tale costo orientativamente il 35% va alla manutenzione ordinaria, il 35% va ai ricambi, il 30% alle spese di riparazione. 3) Magazzinaggio. La spesa relativa non è trascurabile e si può calcolare tenendo conto dei mq di magazzino occupati dalla macchina e dei giorni di inattività. 4) Energia assorbita 5) Manodopera necessaria

Molto diffuso è ovviamente il noleggio. Questo può essere previsto con o senza operatore, svincolando in quest’ultima ipotesi l’impresa da qualsiasi responsabilità sull’uso della macchina. Ancora una differenza consiste nel noleggio a caldo o a freddo. Con il primo le spese di manutenzione straordinaria sono a carico dell’impresa che noleggia; con il secondo l’impresa deve sostenere solo le spese di manutenzione ordinaria. L’esistenza di norme antinfortunistiche impone uno specifico controllo della rispondenza di norme alle macchine e attrezzature utilizzate nel corso dell’attività produttiva. In Italia non esisteva una preventiva omologazione di tutte le macchine, per cui poteva accadere che macchine nuove di fabbrica non risultassero rispondenti alle norme. Dalla introduzione della direttiva macchine 89/392/CEE, recepita con DPR 459/96, le macchine dovranno rispondere sin dall’origine alle norme specifiche. La direttiva è indirizzata essenzialmente ai costruttori di beni strumentali utilizzati nei sistemi produttivi. Macchinario usato Spesso un'impresa si trova nell'alternativa tra l'acquisto di una macchina nuova o di una usata. Nell'acquisto di una macchina usata vanno valutati tre fattori: a) Vetustà pura: ha una vita inferiore di quella nuova; l'utilità che se ne può trarre è minore; b) Decadimento reddituale: costa di più di manutenzione e, avendo più guasti, è più intermittenti e va incontro a maggiori arresti nel lavoro; ha minori rendimenti meccanici a parità di potenza assorbita; c) Invecchiamento tecnologico: una macchina usata è invecchiata tecnologicamente (anche una macchina nuova può appartenere ad un sistema produttivo superato: una macchina non computerizzata è superata rispetto ad una computerizzata). In linea di massima ai cantieri di modesta entità e di breve durata si destinano macchine usate, a quelli importanti e di lunga durata, macchine nuove. Avendo deciso di acquistare una macchina usata occorre valutare se il minore costo (40-60% del nuovo) copre gli inconvenienti prevedibili. Talvolta anche per cantieri temporanei o per macchinari speciali conviene il noleggio, che però è molto costoso e quindi conviene per brevi utilizzi. Sarebbe perciò preferibile noleggiare una macchina col personale che la deve condurre così da evitare qualsiasi imprevisto (anche se i costi lievitano notevolmente). Ogni macchina, nuova od usata, va tenuta provvista di un «manuale d’uso» che deve accompagnare sempre l’operatore della macchina oltre che per improvvisi

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chiarimenti anche per gli equipaggiamenti, gli schemi dei circuiti elettrici, continui problemi di manutenzione. L’operatore è il primo manutentore ed è quindi esecutore scrupolose dei controlli indicati nella scheda tecnica giornaliera e dei dati di funzionamento di cui è richiesta l’apposizione su apposite pagine per attestare l’avvenuto controllo della manutenzione periodica. Altri dati da considerare nell’acquisto di una macchina usata sono: le dimensioni e il peso (utili per fissare le modalità di trasporto); il funzionamento (capacità, produzione, potenza assorbita, numero di giri, accessori ecc.) la vita produttiva della macchina (conteggio degli ammortamenti, costi e tempi di montaggio e smontaggio, costo di manutenzione per ora di lavoro, ore di lavoro già eventualmente compiute e cantieri dove ha lavorato, costo di magazzinaggio ecc.). Nella scelta di una macchina è necessario prendere in considerazione, oltre il costo della macchina stessa anche il ciclo e i tempi di ciclo e la produzione. Il ciclo è la sequenza completa delle operazioni eseguite da una macchina; ad esempio per un dumper, il ciclo è costituito dal carico (da parte di una pala o altro), trasporto, scarico, manovra, ritorno a vuoto, manovra per rimettersi in posizione di carico. Il tempo di ciclo, espresso generalmente in minuti, è il tempo occorrente per compiere tutte le operazioni di un ciclo; esso è la somma di un tempo fisso e di un tempo variabile. Il tempo fisso comprende i tempi di carico, scarico, rotazioni o inversioni di marcia e varia con il tipo di macchina e il tipo di terreno; il secondo dipende dalle velocità di spostamento e dalle lunghezze dei percorsi. Il tempo variabile può valutarsi utilizzando i diagrammi dei tempi di trasporto che fanno parte delle specifiche tecniche di cui le macchine sono dotate. L a produzione è il lavoro svolto nell’unità di tempo, in genere l’ora. Noto il tempo di ciclo ed il lavoro (scavo, trasporto ecc.) svolto durante il ciclo, la produzione P risulta: P = (lavoro svolto in un ciclo/tempo di ciclo)x60. Occorre inoltre tenere presente che gli operatori non lavorano ininterrottamente e inoltre vi sono una serie di fattori contingenti per cui, per ottenere la reale produzione oraria si introducono dei coefficienti: fattore di efficienza, rendimento ecc. che possono abbassare anche del 30% la produzione teorica. Le macchine attualmente impiegate in un cantiere edile possono essere divise nelle seguenti categorie: - macchine per scavo, movimento terra e palificazioni; - macchine per lo spandimento, livellamento e costipamento del terreno;

- macchine per mescolamento dei materiali; - macchine per trasporto; - apparecchi di sollevamento; - attrezzature per lavorazioni specifiche come l’impianto per la produzione dell'aria compressa necessaria per il funzionamento di battipali, martelli demolitori, pompe per calcestruzzo, vibratori ecc. E’ oggi diffusa la tendenza ad impiegare imprese specializzate per l’esecuzione di determinate opere, cosicché il cantiere non è necessario che possieda tutto il macchinario costoso e impiegato per brevi periodi (ad esempio, i lavori di scavo in grandi cantieri e il confezionamento del calcestruzzo). Sono invece utili mezzi meno potenti che consentano di eseguire i lavori di spostamento, di reinterro e di sistemazione, ai quali è necessario provvedere durante tutto il corso della costruzione e nella sua fase finale. Più complessa è la valutazione della convenienza a ricorrere alla fornitura di calcestruzzo preconfezionato, fornito in cantiere mediante autobetoniere. Fattori che influiscono sulla scelta possono essere le dimensioni limitate del cantiere, inadatte ad accogliere le macchine per il confezionamento degli impasti oppure la necessità di disporre di quantità relativamente contenute di calcestruzzo da gettare in punti tra loro piuttosto lontani (caso tipico la realizzazione di collettori fognari). Una ulteriore distinzione riguarda i veicoli cingolati e veicoli gommati. i cingoli presentano il vantaggio di una maggiore superficie di appoggio e di una maggiore aderenza; per contro presentano velocità basse (non oltre i 4-5 km/h in pratica) e la tendenza a guastare strade già costruite. Sono però indispensabili per transitare su terreni soffici incapaci a reggere pressioni superiori a 0,3-0,5 kg/cmq. Poiché la velocità ha una notevole influenza sul rendimento dei lavori, si assiste alla tendenza di utilizzare veicoli gommati, appena la resistenza del terreno lo consenta. Con gli pneumatici moderni a bassissima pressione, con battistrada molto larghi e impronte profonde e opportunamente orientate, si possono percorrere facilmente piste di terreni capaci di sopportare pressioni appena superiori a 0,5 kg/cmq; la velocità sale in tal modo a 15-20 km/h in campagna e 40-50 km/h su strada. Questo enorme vantaggio fa accettare la notevole spesa per il ricambio degli pneumatici. MACCHINE PER LO SCAVO E IL MOVIMENTO DI TERRA Le macchine per movimento terra consentono di eseguire le operazioni di scavo, carico, trasporto, spandimento e compattazione. Esse vengono impiegate durante le seguenti fasi di lavoro: preparazione del cantiere, scavo per lo sbancamento e

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per la fondazione degli edifici e sistemazione finale del terreno. Sono macchine di grande potenza capaci di scavare molte centinaia di mc di materiale al giorno. Solo 70 anni fa i movimenti dei terra erano tutti manuali con una produttività di circa 10 mc/g per persona mentre ora con una pala o dozer si arriva a 2000 mc/giorno con un solo operatore. Sono equipaggiate con ruote gommate o cingoli in modo da poter lavorare agevolmente su vari tipi di terreno. Le macchine dotate di ruote gommate presentano una maggiore velocità di marcia e la possibilità di percorrere tratti stradali. Quelle cingolate possono operare anche su terreni scarsamente consistenti e con maggiori pendenze, ma non possono transitare su strada. I criteri di scelta dipendono dalla possibilità di impiegare le macchine in condizioni diverse, dal tipo di lavoro, dai tempi di esecuzione, dal tipo di materiale da scavare e dalla distanza necessaria per giungere allo scarico. Una macchina che consente più operazione costituisce ovviamente un vantaggio. Per la programmazione ed esecuzione dei movimenti di terra, qualunque sia il gruppo di macchine adoperato, è necessario tener presente che nel corso degli scavi si hanno aumenti di volume variabili con la natura e lo stato del terreno in sito, e successiva riduzione per effetto del costipamento, quando viene poi utilizzato per formare rilevati. Pertanto se V è il volume in banco, ossia in sito, quello da trasportare sarà (vedi le tabelle in figura) V x a e quello occorrente per formare il rilevato sarà V x a x b, con a e b coefficienti variabili con la natura e lo stato del terreno in banco. I valori in tabella possono utilizzarsi a livello di progetto, mentre per la esecuzione dei lavori vanno determinati direttamente. Tra i numerosi tipi di macchine per movimento terra quelli di più comune impiego in cantiere sono: - escavatori idraulici; - pale caricatrici o caricatori; - terne (o macchine combinate); - apripista (o bulldozer); - ruspe (o scrapers); - livellatrici; - autocarri e dumper; -decauville. Escavatori universali

Gli escavatori sono mezzi cingolati o con ruote gommate muniti di un lungo braccio dotato di un utensile, detto benna o cucchiaio, con denti anteriori di acciaio. Le benne possono avere diverse larghezze, scelte a seconda del tipo di lavoro da eseguire: quelle di minor larghezza sono impiegate negli scavi a sezione ristretta; maggiore è la compattezza e durezza del materiale da scavare minori sono le dimensioni della benna. Il lavoro viene svolto in posizione fissa, azionando il braccio che porta la benna per scavare il terreno e ruotando la torretta fino a caricare il materiale asportato sui mezzi di trasporto: di particolare importanza è la possibilità di eseguire una rotazione di 360°. La produttività per un materiale poco addensato e con macchina più potente è di circa 320 mc/h. Inizialmente gli scavatori venivano montati su binari poiché, data la forte reazione sulle ruote dovuta al peso della macchina e all'azione di scavo, delle semplici ruote lisce da terreno, sarebbero facilmente affondate nel terreno e avrebbero incontrato enorme resistenza alla traslazione. L'uso delle rotaie ha però due inconvenienti: - mobilità limitata dello scavatore; - costo eccessivo della manodopera per muovere il binario durante l'avanzamento del veicolo. Il problema è stato risolto con i cingoli: la mobilità è completa e il veicolo può spostarsi anche su terreni accidentati con pendenze fino al 20%. Oggi con l'introduzione di grandi pneumatici molto larghi e a scanalature profonde, si torna, per gli scavatori piccoli e medi, ai tipi su ruote che risultano maneggevoli, veloci, leggeri e che richiedono minore sforzo di trazione. Gli escavatori sono costituiti da una macchina di base sulla quale possono essere montati diversi tipi di equipaggiamenti che rendono possibile lo svolgimento di diversi lavori. La macchina di base è un carro che porta una piattaforma girevole di 360° intorno ad un asse verticale. Su di essa sono montati il motore, la cabina di comando e i possibili equipaggiamenti. Gli scavatori gommati hanno minore dimensione (pala fino a 2 mc, peso fino a 20t); sono adatti per lavori su terreno resistente e pressoché orizzontale; sono dotati di elevata velocità di traslazione (20-30 km/h); durante il loro impiego la stabilità della macchina può essere aumentata da stabilizzatori retrattili a comando idraulico. Gli scavatori cingolati possono avere dimensioni maggiori (benna fino a 7 mc, peso fino ad oltre 100 t); possono muoversi su terreni molto accidentati e scarsamente portanti grazie alla bassa pressione esercitata dai cingoli; hanno una modesta velocità di traslazione (2-5 km/h)

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Il sistema di comando può essere: - a funi: oggi si costruiscono solo per applicazioni particolari (dragline, gru); i movimenti del braccio e dei vari equipaggiamenti sono comandati da funi di acciaio che si avvolgono su argani; - idraulici: il motore diesel principale (due motori nei modelli maggiori), attraverso un gruppo di pompe e i circuiti di distribuzione del fluido in pressione, aziona: a) i motori idraulici di traslazione (uno per cingolo o per ruota); b) il motore idraulico di rotazione della torretta; c) i cilindri idraulici per lo spostamento del braccio. Gli scavatori idraulici hanno tempi di ciclo notevolmente minori degli scavatori a funi. Equipaggiamenti. Gli scavatori a cucchiaia o badilone hanno costi di esercizio elevati in rapporto ai volumi di scavo; hanno però doti di trasportabilità e di versatilità che li fa preferire da parte delle imprese di sterro le quali devono compiere lavori importanti in diverse condizioni e passare dalla produzione di sabbia e ghiaia allo scavo vero e proprio, al livellamento, alla formazione di fossi ecc.; possono montare: -un cucchiaio frontale: adatto per lo scavo al di sopra del piano di appoggio della macchina, viene impiegato per lo scavo di pareti, lavori di cava, carico del materiale dislocato con rippers o esplosivi, operazioni di finitura. Il montaggio con cucchiaio diritto offre le possibilità di lavoro più estese per lo scavo e il carico del materiale. Il cucchiaio deve riempirsi in una sola corsa, gradualmente, mentre le punte percorrono l'arco di scavo. Il lavoro più adatto è lo scavo a partire dal piano di appoggio dei cingoli, in alto contro una scarpata, e la raccolta dei materiali sciolti giacenti sul terreno e il loro carico sui veicoli. Per una migliore efficienza è bene che il veicolo possa esser caricato dallo scavatore tramite una rotazione non superiore a 90°. - un cucchiaio rovescio: adatto per lo scavo al di sotto del piano di appoggio della macchina; viene impiegato per lo scavo di trincee ed in genere per lo scavo a sezione obbligata; - benna mordente o grinfa adatta per lo scavo di terreni in acqua, per il carico di materiali sciolti, per scavi profondi a sezione obbligata, ed in genere quando il materiale da scavare non abbia notevole consistenza. Il suo rendimento come scavatrice non è elevato; in tale veste si usa nei casi di scavo profondo lungo un asse verticale con pareti anche a piombo. Serve a scavare in fondo a corsi

d'acqua materiali vari (togliere sabbia e detriti ingombranti, strappare residui di pali, sollevare blocchi ecc. La benna può essere a due o a tre valve (salpascogli); quella ad 8 valve (polipo) si presta bene per la presa di rocce spaccate in pezzature varie. - martello demolitore: costituito da un grosso martello demolitore, azionato dal circuito idraulico dell'escavatore, è adatto per la rottura della roccia e la demolizione delle murature; - gancio per gru, adatto eccezionalmente per il sollevamento di carichi - battipalo - ripper, per lo scavo di materiali rocciosi e molto addensati. E’ un telaio di acciaio con articolazione a cerniera munito di uno o più denti di acciaio (grosso rastrello). La produttività varia in relazione al tipo di roccia e va da 300 mc/h a 2000 mc/h. - Il montaggio come drag-line, o benna trascinata (detta anche scraping), si presta allo scavo di canali e scarpate e per formare argini sotto il piano di posa dei cingoli in terreni sciolti. Può servire per estrarre sabbia e ghiaia (elementi di dimensioni non eccessive) dal greto di un fiume sott'acqua, ma non profondo e in moto molto lento. La benna raschiante è trascinata verso lo scarico da una fune traente. Posteriormente è attaccata una fune di ritorno rinviata da una puleggia: essa serve per far tornate la benna al punto di carico quando ha compiuto la corsa e ha depositato il materiale. - Il montaggio come spianatrice si presta per preparare un piano quasi perfetto meglio del cucchiaio normale; può scarificare anche strade di conglomerato bituminoso. Essa lavora facendo scorrere il cucchiaio sul terreno verso l'estremità del braccio, e scarica alzando il braccio e aprendo il fondo, la cui cerniera è però posta verso avanti e non posteriormente. Scavatori speciali Scavatori a tazze Sono macchine poco versatili, adatte sostanzialmente allo scavo di canali o di lunghe trincee in terreni non eccessivamente duri. Sono costituiti da una macchina mobile su cingoli (o più spesso su rotaie), che porta un lungo braccio mobile (elinda) sul quale si avvolge una catena continua su cui sono montate le tazze; queste, strisciando sul terreno, si riempiono per poi scaricare il materiale nei vagoni destinati al trasporto. Possono lavorare dalla sommità o dal fondo dello scavo. L'elinda può essere opportunamente sagomata. Con potenze installate di 5-50 Cv realizzano produzioni di 10-200 mc/h di materiale scavato (in funzione della natura del terreno).

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A questa categoria appartengono gli scavatori a noria che hanno gli stessi impieghi ma hanno il vantaggio della grande potenzialità con limitata spesa di impianto e di esercizio; essi sono però convenienti per grandi produzioni. Blondins draganti (drag-line) Sono scavatori funicolari. L'impianto più semplice è costituito da una fune portante tesa tra due punti, con discreta pendenza in salita verso il punto di scarico. Su di essa scorre un carrello mosso da una traente. La fune portante può essere allentata o tesa da un argano affinché la benna, assicurata al carrello, si posi sul mucchio o scorra ben alzata. La benna scende per peso lungo la portante tesa ed è frenata dalla traente. Raggiunto il punto di scavo, la portante viene allentata cosicché la benna si posa sul mucchio; viene poi trascinata dalla traente in modo da riempirsi di materiale. Si tende poi la portante per sollevare la benna dal mucchio e la traente la trascina al pilone dove avviene lo scarico. La lunghezza del percorso è normalmente di 60-120 m; si hanno però impianti per 400 e più metri. L'altezza di sollevamento è normalmente tra i 20 e i 50 m. Sono quindi impianti costosi ma permettono una grande economia di manodopera. Si adoperano per la produzione commerciale (o per cantieri di una certa durata e dimensione) di sabbia e ghiaia in torrenti ricchi di materiale alluvionale: essi scavano sott'acqua e possono funzionare a lungo nella stessa posizione perché l'acqua stessa riempie il solco con nuovo materiale man a mano che la benna lo asporta. La differenza sostanziale tra il drag-line e lo scraper è data dalla presenza della fune portante che consente elevate velocità di trasporto della benna; il drag-line lavora in acque profonde e veloci, lo scraper in poca acqua quasi ferma o all'asciutto. Con benne di capacità 0,25-2 mc e potenza di 30-250 Cv, si realizzano produzioni orarie di 20-150 mc, a seconda della distanza dello scavo. Scavatori da galleria Mentre nelle gallerie di maggiori dimensioni trovano impiego gli scavatori e le pale normali, nelle gallerie di piccola sezione si impiegano speciali pale a caricamento anteriore e scarico posteriore, in quanto, potendo effettuare il carico del vagonetto retrostante senza spostarsi, sono adatte a lavorare in spazi ristretti. Le pale da galleria sono realizzate su ruote, cingoli o rotaie e per il carico di vagonetti o autoveicoli. Sono dotati generalmente di motore ad aria compressa, talvolta di motore elettrico. Pale caricatrici

Le pale caricatrici, o caricatori, sono mezzi semoventi cingolati o su ruote gommate muniti di una benna per lo scavo del terreno (al livello del piano di appoggio della macchina). Si differenziano dagli escavatori sia per quanto riguarda la forma della benna sia per le modalità di lavoro: l'azione di asportazione del terreno e di caricamento sui mezzi di trasporto avviene infatti mediante un movimento della macchina dal punto di scavo a quello in cui viene deposto il materiale. In tal modo consentono di operare anche in situazioni di viabilità interna del cantiere nelle quali l'area di scavo non sia direttamente accessibile agli automezzi. Prendono o terreno sciolto o terreno già scavato con altro mezzo. La produttività per il tipo più potente arriva a 360 mc/h. La benna è collegata al telaio da articolazioni a comando idraulico ed è dotata di movimento di avanzamento, sollevamento e ribaltamento. le pale possono montare benne di volume diverso in relazione al lavoro da svolgere, o benne speciali (da roccia, per lavori gravosi; a forca, per estirpazione di ceppaie ecc.) Le pale cingolate sono adatte allo scavo superficiale, hanno velocità di traslazione modesta (8-13 Km/h nei due sensi), potenza fino a 300 Cv, capacità della benna fino a 3,5 mc; sono adatte a distanze di scarico che non superano 100 m. Le pale gommate, adatte a distanze di scarico che non superano 200 m, possono essere: - a telaio fisso (con uno o entrambi gli assi sterzanti): hanno potenza e capacità della benna ridotte (50-100 Cv, 0,5-1 mc); spesso sono dotate posteriormente di un piccolo retroscavatore a cucchiaio rovescio che può ruotare di circa 120°. Sono adatte per lavori di modesta entità: manutenzione, scavi di fossi; - a telaio articolato intorno ad uno snodo centrale che consente la sterzatura della pala di 70-80°; sono quindi adatte a spazi ristretti e hanno velocità elevata nei due sensi (25-40 km/h, potenza e capacità della benna variabile entro un ampio arco (60-350 Cv, 1-5 mc). Apripista Gli apripista, detti anche dozer o bulldozer, (trattori a lama raschiante) sono utilizzati nei cantieri stradali o nella sistemazione di grandi superfici di terreno. Sono mezzi cingolati o gommati, muniti di una lama di acciaio posta anteriormente, a volte orientabile, adatta allo scavo e alla spinta del terreno su piccole e medie distanze (max 200 m) e allo spianamento di terra o di altri materiali sciolti. La produttività, per il tipo più potente, arriva fino a 600 mc/h su una distanza di 90 m. Anche il dozer può montare un ripper. A seconda della posizione della lama si hanno:

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- l'apripista a lama diritta (bulldozer) fissata perpendicolarmente all'asse longitudinale del trattore: è usato per lo scavo e lo spostamento del terreno in piccole quantità su modeste distanze. - l'apripista a lama orientabile (angledozer) dotato di una rotazione (fino a 30°) intorno al suo asse verticale: è usato per lo scavo di sezioni a mezza costa. - l'apripista a lama inclinabile (tiltdozer) dotato di una rotazione intorno al suo asse orizzontale: è usato per lo scavo in terreni fortemente acclivi e per la formazione di fossi e cunette. Spesso la stessa macchina può montare i tre diversi equipaggiamenti. In tutti i tipi la lama può spostarsi verticalmente e parallelamente a se stessa in modo da essere sollevata dal suolo o da configgersi in esso. La lama ha il bordo in acciaio speciale ricambiabile. I dozer cingolati vengono prodotti in una vasta gamma: da macchine leggere (45 Cv, lama di 1,7 m, peso di 3,5 t), a macchine molto potenti ( 450 Cv, lama da 5 m, peso di 60 t). I dozer gommati vengono realizzati per piccole e medie potenze (fino a 200 Cv) e sono adatti per lavori in terreni sciolti, ove realizzano produzioni più elevate dei cingolati grazie alla maggiore velocità ( a vuoto fino a 35 km/h). Gli apripista sono competitivi per gli spostamenti di terra su brevi distanze (50 m per i dozer cingolati, 100 m per quelli gommati). Sono impiegati per: - togliere sterpi, alberelli, siepi e blocchi sparsi sul terreno; - decorticare il terreno, togliendo il primo strato vegetale per preparare il fondo stradale; - scavare fossi e canaletti in terreni duri ricchi di radici e pietre; - scavo e spandimento di terreni leggeri, medi e duri per formare successive trincee e rilevati, purché i trasporti non siano in media superiori a 50 m. Per distanze maggiori, fino a 500 m, convengono le ruspe, poi i dumpers. Scarificatori (rippers e rooters) Il ripper non è uno strumento nuovo; già i romani lo utilizzavano, come aratro montato su ruote e trainato da buoi, per rendere più sciolta e trasportabile la terra durante la costruzione della via Appia. Servono per rompere terreni di notevole durezza e vecchie massicciate da ricostruire, onde preparare il lavoro del dozer o della ruspa. Sono generalmente trascinati da trattori. I denti di acciaio hanno altezza regolabile e sono in numero da 3 a 5; in terreni molto duri si lavora con i due soli denti estremi e in terreni durissimi solo col dente centrale. Spesso si montano i denti sui rulli compressori pesanti che possono così funzionare anche come scarificatori.

Si costruiscono anche dozer con denti retraibili montati tra il radiatore e la lama: l'apripista corre in una direzione con la lama alzata e i denti abbassati per scarificare il terreno; nella direzione opposta coi denti alzati e la lama abbassata per scavare e trasportare avanti e a lato. Si hanno così due corse attive invece che una. La profondità di lavoro di un ripper varia da da circa 70 mm fino a 1780 mm) Gli scarificatori, che raccolgono anche la terra, hanno maggiori dimensioni, vengono montati sugli apripista cingolati di grande potenza (400 Cv). Vengono spesso equipaggiati con scarificatori leggeri (con profondità di scavo inferiori) anche le pale meccaniche, le livellatrici. La possibilità di 'rippaggio' dipende dalla natura e dallo stato delle terre; può essere effettuato anche sulla roccia, se questa è sufficientemente fratturata. Questa possibilità può essere valutata preventivamente determinando la velocità di propagazione dell'onda d'urto generata da piccole cariche fatte esplodere in superficie. Le rocce eruttive sono scarificabili per velocità fino a 2000 m/s; le rocce sedimentarie e metamorfiche per velocità fino a 2500 m/s. La durezza della roccia è uno dei fattori che influenzano la rippabilità; la velocità di propagazione delle onde in unaroccia dura è elevata, puù arrivare sino 60.000 metri al secondo; in materiale sciolto è più bassa, anche di 300 metri al secondo. Le altre caratteristiche che favoriscono il rippaggio sono così riassumibili: Fratture, faglie e piani di minore resistenza Alterazione dovuta a variazioni di temperatura e umidità Fragilità e natura cristallina Alto grado di stratificazione e laminazione Grandi dimensioni granulometriche Formazioni argillose, rocciose e di scisto, permeate di umidità Bassa resistenza alla compressione. Al contrario, le caratteristiche che rendono le rocce sfavorevoli al grippaggio sono: Massività ed omogeneità Roccia non cristallina e non fragile Assenza di piani di minore resistenza Presenza di grani fortemente cementati Umidità nelle rocce di origine argillosa, poiché l’umidità può impedire il grippaggio. Scarisminuzzatori

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E' uno scarificatore a molte punte dopo le quali si trova un albero con molte palette in rapida rotazione contro le quali sbattono le zolle smosse dalle punte che vengono così disintegrate. Sono mossi da trattori. Aratro a dischi folli e a dischi mossi Servono a sciogliere i grossi grumi dei terreni argillosi scarificati e delle massicciate smosse. Il primo tipo è analogo a quello agricolo; il secondo è dotato di dischi messi in rapido movimento dal motore del trattore. Terne Le terne o macchine combinate (trattore-escavatore-pala), sono dotate di una benna anteriore e di un braccio con cucchiaia rovescia articolata posteriore, che può compiere una rotazione di 180°. Possono assumere la funzione di pale caricatrici o di escavatori a seconda delle necessità. Sono mezzi di grande utilità pratica e di facile manovra, anche se di modesta capacità, spesso preferiti ad altre macchine per la grande versatilità di impiego in vari interventi anche al di fuori del cantiere. Miniescavatori e minipale I miniescavatori e le minipale eseguono lavori di escavazione e di sistemazione con modesti spostamenti di terra. Molto versatili e maneggevoli possono essere dotate di numerosi accessori che le rendono adatte a svolgere molte altre operazioni. I miniescavatori sono escavatori di dimensioni ridotte e di peso contenuto entro le 5 tonn, in genere dotati di una cucchiaia rovescia e di una lama anteriore, molto adatti per operare in spazi ristretti per effettuare scavi di sezione limitata e piccoli spostamenti di terra. Le minipale o minicaricatori hanno dimensioni minori delle pale caricatrici; possono essere dotate di numerosiaccessori (forche universali, forche con pinze, forche per pallet, martelli idraulici, rulli vibranti ecc.), che le rendono particolarmente versatili e adatte al lavoro nel cantiere edile e nella manutenzione stradale. Ruspe Le ruspe o scraper sono costituite da un cassone e da un gruppo di trazione anteriore collegato a una lama inclinata, affondabile a comando nel terreno. Inizialmente non avevano motore incorporato ma erano trascinate da trattori cingolati (ora non più in produzione). Esse servono:

- per scavare e trasportare terreni leggeri e medi (raramente i duri); - per decorticare il terreno superficiale per preparare la sede stradale; - riprendere rocce frantumate dagli esplosivi e trasportarle; - spandere strati regolari di sabbia e simili su lunghi percorsi. Le ruspe sono consigliabili su percorsi da 100 a 300 m, ma anche sino a 2000 m. Il ciclo di lavoro comprende: - il caricamento, effettuato, per grosse benne, con l'impiego di una trattrice ausiliaria che spinge da dietro; - il trasporto, che conviene compiere alla massima velocità (intorno ai 20 km/h); - lo scarico, da eseguire alla massima velocità (non più di 30 sec. su un percorso di 20-30 m). Oltre al tipo classico ve ne sono con scarico posteriore, anche con l'ausilio di una specie di stantuffo che spinge il materiale verso l'uscita (utili e soprattutto quando il materiale è umido o appiccicaticcio). Quelle attuali sono molto larghe (3-4 m). Durante l'avanzamento della macchina la lama asporta dalla zona di scavo uno strato di materiale e lo invia nel cassone. Il materiale è poi trasportato al punto di scarico dove viene sparso uniformemente regolando l'apertura di scarico e la velocità di avanzamento del mezzo. Si prestano anche alla compattazione ottenuta con ripetuti passaggi sul materiale scaricato, sostituendo così, entro certi limiti, altre attrezzature come i compattatori. Si impiegano quando le aree di scavo e scarico sono fuori dalla viabilità ordinaria, distanza oltre la quale diviene competitiva la squadra composta da dozer, pale e autocarri. La produttività per il tipo più potente e per una distanza di 600 m è di 250 mc/h. Si elencano di seguito le distanze di trasporto D consigliate per alcuni tipi di macchine Dozer o pala cingolata 0 < D < 100 m Pala gommata 0 < D < 200 m Motorscraper 0 < D < 2000 m Autocarro 0 < D < illimitato Per spostare il materiale vanno valutate diverse possibilità in base alle seguenti considerazioni: quanti metri cubi di materiale da rimuovere? Quale è il metodo più economico? Quale macchina è disponibile in cantiere? Vi sono forti pendenze nelle piste di cantiere? A che distanza bisogna trasportare la terra? I metodi principali per spostare il materiale sono: Pala e autocarro: Il materiale deve essere abbastanza piccolo. Per spostare massi grossi è necessario valutare il rischio di ribaltamento della pala.

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Bulldozer: adatto a brevi distanze; la produttività dipende dalla capacità della lama. Scraper: il costo è basso rispetto alla soluzione pala-autocarro. La roccia caricata dagli scrapers deve essere di piccola pezzatura. La durata dei pneumatici è notevolmente ridotta se lavorano su roccia. Nastri trasportatori: il materiale deve essere molto piccolo per essere trasportato su nastro, per non comprometterne la durata e consentire il trasporto su piani inclinati. MACCHINE PER LO SPANDIMENTO, IL LIVELLAMENTO E IL COSTIPAMENTO DEL TERRENO Livellatrici (grader) e motolivellatrice (motograder) Derivano dagli apripista, e sono appositamente concepite per scavare, spandere, spianare il terreno e rifinire spostamenti di terra eseguiti con altre macchine, in particolare per la costruzione di rilevati stradali, lo scavo e la profilatura di fossi e scarpate, la costruzione di cumuli e i rilevati di sezione continua, asportare lo strato di humus, ammucchiare i materiali smossi in cordoli. Esse sono costituite da un telaio a ponte su ruote, azionato da un gruppo motore posteriore, e da una lama orientabile, che può assumere svariate posizioni a partire dal piano orizzontale fino a quello verticale. La caratteristica è quella di avere le ruote inclinabili rispetto al loro asse cosi da eseguire anche lavori in scarpata. Le livellatrici sono caratterizzate dalla dimensione delle lame (3-6 m) alle quali vengono adeguate il peso (5-50 t) e la potenza (60-600 Cv). Le livellatrici di impiego corrente hanno potenza fino a 200 Cv. Inizialmente non avevano motore proprio. La motolivellatrice ha motore proprio ed è preferita per la maggiore facilità di manovra e la maggiore lunghezza. I compattatori Sono utilizzabili nella fase finale dei lavori di sistemazione del terreno, quando è necessario costiparne la massa per successive stratificazioni, in modo da ridurre al minimo gli assestamenti naturali successivi. Sono utilizzati anche per costipare gli strati di pietrisco delle massicciate e per cilindrare le pavimentazioni. La compattazione avviene: per pressione (tutti i materiali) e si basa sul principio del superamento dell’attrito interno delle particelle di terreno con la forza di gravità esercitata da un mezzo che costringe il terreno ad addensarsi;

per vibrazione (materiali granulari) si basa sul principio del superamento dell’attrito interno delle particelle di terreno con forza modesta ma con notevole frequenza (900-2500 vibrazioni al minuto). L'effetto delle vibrazioni si esplica dapprima in superficie, per poi estendersi, con le successive passate, agli strati più profondi. L'effetto in profondità aumenta con la frequenza e col crescere del numero delle passate; dopo 10 passate si raggiunge praticamente il risultato massimo; per urto o impatto (piccoli lavori) è una variante della precedente ma con frequenze minime; per manipolazione (argille e limi) si esercitano rilevanti pressioni e azioni di taglio localizzato per vincere l’attrito di materiali ad elevata coesività. Le macchine per la compattazione si dividono in Rulli statici (tamburi in acciaio o pneumatici) rulli vibranti (tamburo in acciaio) rulli a piedi di pecora (tamping) compattatori manuali I rulli statici sono ormai poco utilizzati preferendo aggregare alla gravità l’azione di vibrazione. Il peso dei rulli varia col lavoro al quale sono destinati e con la durezza del materiale da costipare. Per costipare terre poco resistenti spesso si limita il peso del rullo a 10 t per evitare l'affondamento. In alcuni casi, se il terreno lo consente, è vantaggioso ricorrere a rulli molto pesanti, non solo per il risparmio di tempo ma perché un numero elevato di passaggi di un rullo leggero non equivale ad un passaggio di rullo pesante. Questo perché i rulli pesanti trasmettono l'azione costipante a strati più profondi. Per rendere efficace il costipamento con rulli molto pesanti è bene che l'intero strato interessato si trovi in condizioni favorevoli. Tra questi tipi di rulli si hanno i rulli lisci: possono essere a due o tre cilindri: usualmente il cilindro anteriore è sterzante; quelli posteriori, a diametro maggiore sono motori. L'impronta dei rulli posteriori si sovrappone a quella del rullo anteriore. Agiscono superficialmente, per cui vengono impiegati principalmente nella compattazione e nella chiusura di massicciate in pietrisco e negli strati in conglomerato bituminoso. I rulli gommati o pneumatici agiscono in profondità e perciò particolarmente adatti a costipare terreni a grani fini. Possono essere di diversi tipi in funzione del numero di treni di ruote gommate (uno o due), della capacità di muoversi autonomamente o di essere trainati, del tipo di telaio di cui sono costituiti (rigido o articolato). Sono dotati di dispositivi atti a distribuire uniformemente il peso sulle ruote. La pressione degli pneumatici è tanto minore quanto maggiore è la profondità cui si vuole pervenire con l'azione costipante. Per cilindrare il

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pietrisco il peso dei compressori va rapportato alla resistenza alla frantumazione del materiale. Sono classificati principalmente rispetto al valore del carico Q che grava su ciascuna ruota: rulli leggeri: Q< 2,5 t; rulli medi: Q < 4t; rulli pesanti: Q< 6t; rulli pesantissimi: Q> 6t. I rulli vibranti sono macchine simili ai rulli statici con l'applicazione, ad uno o più cilindri, di coppie di masse rotanti eccentricamente, con uguale velocità angolare ma con verso opposto, in modo da fornire la frequenza di vibrazione richiesta. Sono notevolmente più efficaci dei rulli statici. La compattazione, previa bagnatura del materiale, viene effettuata per strati di spessore variabile con la potenza del compattatore. Il numero di passate sul materiale dipende sempre dalla potenza dell’attrezzatura e dal materiale. I tipi più diffusi sono: - i compattatori vibranti a telaio articolato in cui un asse è dotato di pneumatici, mentre l'altro è costituito da un cilindro vibrante, liscio o dotato di piedi; - i rulli vibranti tandem a telaio rigido, con cilindro anteriore statico e sterzante ed il posteriore vibrante; - rulli vibranti tandem a telaio articolato, con due cilindri che sono entrambi motori e vibranti, particolarmente adatti a tutti i tipi di terreno per la possibilità di regolare opportunamente l'effetto vibrante rispetto al peso, con l'esclusione di uno o entrambi i cilindri. Sia per i materiali rocciosi che argillosi si utilizzano rulli a piedi di pecora (tamping) che hanno cilindri muniti di punte di forma conica, cilindrica, in funzione della natura del terreno da trattare. La tendenza attuale è di produrli semoventi, segmentando il cilindro in più parti e montando i punzoni su perni in modo da renderli intercambiabili a seconda del terreno. Possono essere a due (tandem), tre (tricicli) o quattro cilindri. I rulli in tandem (due soli rulli, uno anteriore e uno posteriore) cilindrano meglio, ma sono meno stabili; i compressori con un rullo anteriore e due larghe ruote posteriori sono più stabili ma meno precisi. La classificazione principale è riferita al valore del carico statico per unità di lunghezza di generatrice del cilindro: rulli leggeri: p< 30kg/cm; rulli medi: p< 60 kg/cm; rulli pesanti: p> 60 kg/cm. Tra i mezzi costipanti vi sono le piastre vibranti, costituite da una piastra di acciaio su cui, mediante molle, poggia un motore che dà rotazione a coppie di

masse eccentriche; ne deriva una risultante verticale d'intensità variabile che provoca la vibrazione del terreno addensandolo. Sono impiegate per piccoli lavori di costipamento e in terreni di grana prevalentemente fine, e per superfici di difficile accesso a mezzi costipanti di dimensioni maggiori, come accade in genere nei rilevati costruiti a ridosso delle opere d'arte. Si classificano in funzione della pressione statica trasmessa al terreno: piastre leggere: p< 0,10 kg/cmq; piastre medie: p< 0,15 kg/cmq; piastre pesanti: p>0,15 kg/cmq. A titolo di esempio si riportano le diverse macchine impiegate per realizzare strade in terra stabilizzata. La stabilizzazione del suolo di una strada riguarda la trasformazione, coll'apporto di materiali poco costosi e disponibili sul posto, il terreno naturale al fine di ottenere una superficie resistente al traffico leggero e alle intemperie (strade poderali e di bonifica). Si opera, in genere come segue: - si asporta il terreno superficiale (10-40 cm) mediante apripista; - si scavano le trincee, trasportando il materiale ai rilevati mediante le ruspe; - si livellano le cunette con la livellatrice - si deposita lungo la pista il correttivo (sabbia, ghiaia), se necessario, si rimescola il tutto con la livellatrice fino ad ottenere un composto omogeneo che la livellatrice stessa spiana; - si rende compatto il riporto, a strati, mediante rulli a piede di montone; - realizzata così la fondazione, si realizza la pavimentazione aggiungendo al terreno natuale i correttivi necessari , si mescola e si piana con la livellatrice e, si innaffia per umidificare la miscela, si costipa con rulli gommati. TRASPORTI DEL CANTIERE Relativamente ai trasporti esterni si utilizza per grandi spostamenti la ferrovia che, non arrivando fino al cantiere, deposita le merci alla stazione più vicina da cui vengono inoltrate a mezzo di autocarri. In tal caso, salvo che per macchinario e materiali speciali, è più conveniente impiegare gli autotreni. Oltre al trasporto è necessario provvedere al carico, allo scarico e all'ammucchiamento delle merci; si ha quindi grande vantaggio nell'impiegare macchine autoscaricanti che vanno preferite quando si debbano scaricare con continuità ghiaia, sabbia, pietrisco. I trasporti interni al cantiere possono prevedere:

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le ferrovie a scartamento ridotto per cantiere (400 - 600 - 750 mm), abbastanza desuete se non per cantieri speciali poiché richiedono una sede fissa, modeste pendenze, raggi di curvatura elevati; sono adatte a lavori di lunga durata con notevoli movimenti di terra (>150mc/h) e notevoli distanze di trasporto (>5Km). I vagoncini, decauville, sono ribaltabili e montati su un carrello a quattro ruote; hanno capacità di 0,75-3,5 mc; lo scarico avviene per ribaltamento del cassone o dal fondo. La trazione viene effettuata con: - locomotori Diesel, adatti per lavori all'aperto o in galleria ventilata; - locomotori elettrici a batteria (autonomia di 15-20 Km), adatti per lavori in galleria; - locomotori ad aria compressa in bombole, in galleria ove si tema la presenza di gas esplosivi. Le carriole: usate per distanze non superiori a 150 m e per pendenze in ascesa non superiori ad 8-10%. La loro capacità è di circa 50 litri. In media un manovale trasporta 1 t a 100 m in un'ora, tenuto conto delle pause e del ritorno a vuoto. Autocarri, autotreni, autoarticolati: Autocarri (veicolo con cassone anche ribaltabile) sono adatti al trasporto su strada. Si distinguono in leggeri (peso a pieno carico fino a 3,5 t), medi (fino a 10 t), pesanti (fino a 50 t). La tara costituisce il 35-40% del peso totale. Le dimensioni del piano di carico arrivano a 2,5x7,5 m. Autotreno (autocarro con uno o più rimorchi) è adatto al trasporto pesante su strada e per lunghe distanze. I rimorchi hanno usualmente peso a pieno carico di 20-25 t e dimensioni del piano di carico di 2,5x7,5-8 m. Autoarticolato: veicolo con semirimorchio che scarica il proprio peso sulle ruote e su una ralla di collegamento col veicolo. Sono particolarmente adatti al trasporto di grossi carichi indivisibili. Hanno un peso complessivo a pieno carico fino a 30-35 t e dimensioni del piano di carico fino a 2,5x12,5 m. Le norme vigenti impongono limitazioni sulle caratteristiche e sulle dimensioni dei veicoli pesanti circolanti su strada (larghezza 2,50 m, altezza 4 m; per larghezze tra 2,50 e 3 m è richiesta la scorta di personale dell’impresa, oltre i 3 m è necessaria la scorta della Polizia stradale). Dumper adatto trasporti su terreno accidentato o su piste di terra; sono autocarri Diesel gommati, potenti e robustissimi, dotati di cassoni rovesciabili. Essi sono adatti a funzionare in modo economico soltanto fuori strada, per percorsi di 1-1,5 km (tipi piccoli) o di 2-2,5 (tipi grandi). Quelli con capacità di carico superiore alle 25 t sono in genere impiegati in lavori stradali, ferroviari, nelle cave ecc.; quelli più adatti al cantiere edile, denominati minidumper, hanno

capacità variabile tra 1 e 2 mc e sono ribaltabili anteriormente e/o lateralmente. Il cassone è ribaltabile a comando idraulico. Alcuni autori fanno distinzione tra autocarri a benna rovesciabile e i veri e propri dumpers i quali, nati in Inghilterra, hanno le seguenti particolarità: - il conduttore è posto di solito dietro la benna e non avanti; - esiste un dispositivo che consente di far ruotare il sedile del conduttore assieme alle leve di comando e allo sterzo a seconda della direzione di marcia del veicolo; - è dotato di 3 velocità in avanti e 3 in retromarcia per evitare di dover girare il veicolo alle estremità del percorso; - lo scarico è rapidissimo (ma brutale): l'angolo di scarico è molto elevato per assicurare la caduta anche di terre appiccicaticce; - hanno capacità limitata che non supera, di solito, i 6 mc. Impianti funicolari Sono così definiti perché il moto avviene per mezzo di funi. Si distinguono in: - funicolari terrestri o piani inclinati: i vagoni si muovono su rotaie appoggiate al suolo; - funicolari aeree: i carrelli viaggiano sospesi alle funi. In genere le funi sono costituite da fili di acciaio ad alta resistenza (tensione di rottura >120 Kg/mmq) disposti secondo diversi sistemi di avvolgimento (funi spiroidali in cui i fili avvolti a spirale; funi piane in cui uno o più strati di trefoli sono avvolti a spirale intorno ad un'anima tessile) e il loro coefficiente di sicurezza varia grosso modo da 4 (negli argani, nelle teleferiche) a 5-8 (negli apparecchi di sollevamento) a 12 (negli ascensori). Gli impianti terrestri più comuni sono del tipo 'va e vieni' su rotaie decauville. Il va e vieni (due vagonetti viaggiano in contemporanea avanti e indietro) può essere ad una semplice via, in tal caso un vagoncino (o un treno di vagoncini) viene trascinato in salita da un argano, situato nella stazione di monte. mediante una fune. Invece che agganciare direttamente il vagoncino alla fune, si possono usare dei sottocarrelli. Il treno di vagonetti in ascesa e quello in discesa sono collegati da un unico cavo: in tal modo il treno scarico fa da contrappeso al treno carico. Se il trasporto avviene dall'alto verso il basso, i vagonetti di discesa, più pesanti, trascinano i vagonetti in salita e l'impianto funziona con un minimo consumo di energia. Per pendenze elevate i vagonetti sono posti su carrelli zoppi per evitare il rovesciamento. Il carico utile può arrivare a 20 t per convoglio e la velocità a 4 km/h. Nelle funicolari aeree (teleferiche) i carichi sono affidati ad una fune portante e ad una fune traente. La fune è portante e traente nelle monofuni e si muove

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sempre nello stesso verso, portando ad intervalli regolari i vagonetti. Si usano in terreni accidentati, in montagna, quando bisogna attraversare ingombri sul suolo. Nei cantieri si usano di solito le trifuni: i vagoncini corrono su due portanti parallele e sono trascinati o trattenuti da una traente chiusa ad anello. Due tipi sono abitualmente adottati: - Il va e vieni: due vagoncini viaggiano avanti e indietro, ognuno sulla sua portante, assicurati a una traente. E' il tipo di teleferica più semplice, ha stazioni molto ridotte e in molti casi può essere servito da un solo addetto. Perciò ha minimi costi di impianto e di esercizio. - La teleferica continua automatica: usata se il percorso è lungo e accidentato e la potenzialità richiesta è elevata; sono costituite da due portanti parallele. La caratteristica di queste teleferiche è l'agganciamento e lo sganciamento automatico dei vagoncini in stazione. - Blondin (gru su funi) Sono teleferiche che hanno molta analogia con le gru a portale; in esse, al posto delle travi del ponte, sono utilizzate funi portanti. Sono adatte al trasporto di carichi elevati, impiegate nella costruzione di dighe e ponti. Hanno luci fino ad 1 km e torri fino a 30 m (eccezionalmente 60 m) Elementi del blondin sono: le funi, il carrello, le torri, gli argani. Il cavo traente ha le due estremità collegate al carrello a cui è appeso il carico: in una torre il cavo scorre sull'argano che ne comanda gli spostamenti, sull'altra è teso da una carrucola dotata di contrappeso. Il cavo sollevante comanda gli spostamenti verticali del carico rispetto al carrello: una estremità è fissata al carrello, l'altra viene avvolta sull'argano di sollevamento. Particolari staffe (cavalieri) distribuite dal carrello ad intervalli regolari impediscono ai cavi di sovrapporsi. Il carrello è munito di più ruote articolate per distribuire il carico sul cavo portante. Le torri sono puntoni metallici reticolari dotati di controventi. Le torri possono essere: fisse (servono solo la linea tra le due torri). I carichi trascorrenti variano tra i 500 kg utili ai 10 t nei tipi più potenti. Si sono costruiti blondin per carichi di 200 t. Il tipo a piloni fissi è spesso usato per la costruzione di ponti o per la posa di condotte forzate ed ha lo svantaggio di servire solo una stretta striscia di terreno sotto la portante. Quello con i piloni oscillanti serve una stretta striscia rettangolare; l'oscillazione è comandata da funi. Quello a piloni radiali (con una torre fissa e l'altra mobile su rotaie, servono un settore circolare) ha un pilone fisso con meccanica rotante e un pilone mobile su di un arco di binarione che ha come centro il pilone fisso. Con questo sistema si

può coprire una superficie triangolare (si può trasportare cls su una diga poco arcuata); restano scoperti due piccoli triangoli nei pressi del pilone fisso. I piloni mobili su rotaie servono un'ampia superficie rettangolare; in tal caso le torri hanno una forma a piramide con uno spigolo verticale. Il tipo con due piloni mobili paralleli su binarioni rettilinei può servire completamente una grande diga molto arcuata. Talvolta invece di rendere i piloni mobili si preferisce far scorrere sulla portante una tramoggia e distribuire con essa il cls su un nastro trasportatore rotante. Migliore è la disposizione a due portanti parallele sulle quali scorre una grande trave sormontata in mezzeria dalla tramoggia che riempie una benna scorrevole lungo la trave. Trasportatori continui I trasportatori a nastro servono per lo spostamento di grandi masse di materiali da movimentare superando piccoli dislivelli e con pendenze del nastro da 20° a 40°. Sono in genere usati negli impianti di betonaggio. Consentono una elevata meccanizzazione del processo produttivo. La lunghezza del nastro è conveniente per 100 m, oltre la quale devono avere molta potenza per non avere problemi meccanici che non ne renderebbero conveniente l’impiego. La velocità può arrivare a 6 m/sec e la portata a 12000 tonn/h. a) Trasportatori a nastro di gomma di tipo fisso: sono adatti a terreni pianeggianti, lunghezze discrete e lavori di lunga durata (per esempio le dighe). Non si prestano per trasportare pezzature grosse (si preferiscono il pietrisco, la ghiaia, la sabbia, la terra, materiali sciolti). Sono costituiti da un nastro di gomma composto da tre o più tele ricoperte di neoprene, aventi larghezza da 40 a 200 cm. Hanno dispositivi di carico e scarico: i primi guidano il materiale caricato evitando urti ed abrasioni del nastro; i secondi raccolgono e convogliano il materiale che si distacca dal tamburo di estremità per effetto combinato della forza centrifuga e della gravità. La velocità varia da 0,5 a 3 m/s. L’inclinazione varia con la natura del materiale trasportato: per materiali di piccola pezzatura (leganti in polvere, calcestruzzo, ghiaia e sabbia, terra comune) la pendenza non supera i 22°. Il nastro, carico nel tratto superiore, è sorretto da gruppi di tre rulli che lo foggiano a conca onde abbia maggiore capacità di trasporto. Una estremità è motrice, costituita da un tamburo contro il quale il nastro aderisce per attrito; all'altra estremità è quasi sempre montato un tenditore. I vantaggi di un trasportatore a nastro sono: il funzionamento automatico senza personale, la garanzia di continuità di funzionamento, il basso consumo di energia, la spesa modesta di manutenzione.

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b) Trasportatori a nastro di gomma di tipo mobile: sono corti e sono usati per formare mucchi, riprendere da mucchi e caricare veicoli. Sono di solito montati su ruote ed hanno la possibilità di inclinazione variabile c) L'alimentatore a piastre d'acciaio è costituito da un breve trasportatore a nastro formato da tante piastre di acciaio montate su due catene; è adatto per servizio pesante e pezzature grosse. La loro lunghezza arriva fino a 60 m e la velocità è compresa tra 0,25-0,50 m/s. Trasportatori a coclea Sono costituiti da un albero porta elica metallica che gira in un tubo metallico chiuso (trasporto dei materiali in polvere) o in un canale aperto (lavatrici di inerti e impastatrici di malte). Talvolta l'elica è sostituita da pale elicoidali disposte ad intervalli. Questi trasportatori vengono impiegati per pendenze fino a 45°. I carrelli trasportatori sono veicoli, semoventi e non, adatti al trasporto su superfici piane o poco inclinate, muniti di piattaforma di carico oppure (caso più comune) di forche per la presa e il sollevamento di carichi confezionati a pallet. I carrelli elevatori (impiegati in magazzini e stabilimenti industriali e talvolta anche nei cantieri edili), consentono l'innalzamento del carico di qualche metro, oppure, con equipaggiamenti particolari, anche fino a 7- 8 m dal piano di marcia. I carrelli transpallet sono utilizzati per gli spostamenti di materiali pallettizzati su piani orizzontali di adeguata consistenza e regolarità. Possono montare anche pinze idrauliche e benne rovesciabili. Trasportatori a tazze: vengono impiegati per il trasporto verticale. o con forti pendenze, di materiale sciolto (ghiaia, pietrisco, sabbia). Sono costituiti da tazze metalliche, aventi capacità da 10 a 150 dmc, disposte ad intervalli regolari (o,5-1,2 m) su due catene chiuse ad anello, che si avvolgono alla testata superiore sulle pulegge motrici e alla testata inferiore sulle pulegge tenditrici. APPARECCHI DI SOLLEVAMENTO Martinetti: sono apparecchi di sollevamento usati per sollevare carichi elevati per corse brevi. Si usano ad esempio per cambiare le gomme agli autoveicoli (tipi prevalentemente a vite) e per i grandi sforzi nel caso di centine, trasporto di travate, ponti ecc. (tipi idraulici). I martinetti meccanici, dotati di un'asta a cremagliera o a vite, sollevata da una manovella mediante ingranaggi riduttori

(portata fino a 20 t e per corse fino a 350 mm). I martinetti idraulici comandati da una pompa a comando manuale-elettrico (portata fino a 300 t) Binde: hanno lo stesso scopo dei martinetti, ma utilizzano come organo di sollevamento, al posto della vite, una cremagliera. Ciò consente un maggior rendimento e quindi minori sforzi alla manovella a parità di carico da sollevare. Si usano per carichi fino a 15-20 t. Gru Hanno la funzione di sollevare carichi, anche ingenti, e di distribuirli su una zona più o meno vasta a seconda del tipo di gru. La gru Derrick, è un particolare tipo composto da fusti di legno o traliccio di acciaio, molto usate per montaggi; grandi derrick di acciaio si usano per costruire ponti, dighe, grattacieli. Portano sino a 20-30 t. e grandi altezze di sollevamento (100 m) e sbraccio (80 m). Si distinguono in: - derrick a funi, costituite da una torre centrale, girevole a 360°, controventata da funi di acciaio che sostiene un braccio sollevabile incernierato per un'estremità verso la base della torre; - derrick a triedro, costituita da una torre a triedro che sostiene un braccio come nel caso precedente. La manovra del derrick avviene per mezzo di argani che comandano le funi di sollevamento e di rotazione del braccio, e quelle di sollevamento del carico. Le gru a torre, caratteristiche dei cantieri, sono costituite da una torre verticale, eventualmente traslabile su rotaie, e da un lungo braccio orizzontale, entrambi realizzati con struttura di acciaio a traliccio. Gli elementi della gru sono: la base o castello, (variabile orientativamente da 2.30x2.30 m a 17.50x17.50 m), convenientemente zavorrata (orientativamente 30-40 t), così da opporsi al momento ribaltante prodotto dai carichi e conferire la stabilità necessaria; la base può essere fissa o mobile su rotaie poste su traversine metalliche o di legno, fissate su massicciata di pietrisco o inglobate in un solettone di cls che va dimensionato in funzione del carico per ruota o per carrello (fino a 50-60 t); la torre (di peso variabile tra 16 e 125 t), composta da elementi a struttura generalmente reticolare. Se la torre raggiunge l'altezza di 40-50 m, viene ancorata al suolo o all'edificio; in quest’ultimo caso l'ancoraggio va ripetuto ogni 15-20 m; l'altezza massima della gru ancorata può raggiungere i 200 m. il braccio, girevole sulla sommità della torre e dotato di controbraccio zavorrato (di peso variabile tra 4 e 8 t), così da ridurre ilpeso e la dimensione del tratto anteriore. Sul braccio scorre il carrello che porta il gancio di sollevamento.

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Alcune gru sono dotate di braccio ad inclinazione variabile che consente di aumentare l'altezza di sollevamento. I contenitori agganciabili agli organi di presa possono essere di vario tipo tra i quali il secchione circolare, la benna che arriva fino a 1 mc di capacità. Una attrezzatura di sollevamento monta mediamente 20 pezzi al giorno in un edificio residenziale a grandi pannelli (appartamento di 100 mq) e 30 pezzi al giorno in un edificio industriale (250 mq). Tenendo conto che il montaggio e smontaggio di una gru richiede 10 giorni lavorativi e che tale tempo non può superare, per ragioni economiche, il 10% della durata di impiego, i limiti di utilizzo minimi di una gru possono sommariamente essere di 100 giorni sia per edifici prefabbricati a grandi pannelli, equivalenti a 100 appartamenti, sia per edifici industriali, equivalenti a 25000 mq. Le gru consentono la distribuzione dei materiali su tutta la superficie coperta dal loro sbraccio. La cabina di comando può essere posta in, ciò cima consente un’ottima visibilità, ideale per i cantieri grandi, dove la gru è utilizzata pieno ritmo. Altri sistemi sono la pulsantiera a terra, o il radiocomando, oggi molto diffuso. Esistono due tipi fondamentali di gru a torre (UNI 7571 e UNI 7570): - con rotazione in alto in cui il braccio orizzontale ruota rispetto alla torre verticale; - con rotazione in basso in cui il braccio orizzontale ruota insieme alla torre verticale; il contrappeso è disposto alla base della gru, su un carrello girevole che porta la torre. La gru risulta stabile grazie alla presenza del contrappeso e della zavorra alla base. L’entità del contrappeso è tale da equilibrare la metà del carico posto alla massima distanza del braccio, così che il momento flettente alla basse della torre sia uguale sia a vuoto che sotto carico massimo. Quest'ultimo tipo, che comporta il posizionamento dei meccanismi di rotazione e dei contrappesi alla base della torre, permette una maggiore rapidità di montaggio e smontaggio e una migliore mobilità del braccio, ma presenta un maggior ingombro alla base della torre durante la rotazione. La struttura delle gru deve essere progettata in base alle prescrizioni contenute nella norma CNR-UNI 10021, tenendo conto in modo particolare dell'azione del vento. Quelle di serie S sono di grande portata e adatte ai cantieri industrializzati. Le gru a torre possono essere ulteriormente suddivise a seconda delle seguenti caratteristiche fondamentali che riguardano i carichi e le dimensioni della gru: Tra i primi: - portata o carico massimo ammissibile per un certo braccio: carico massimo che può essere sospeso all'apparecchio di sollevamento, tenuto conto del tipo e della classe dell'apparecchio e delle condizioni di servizio specificate (generalmente

tra 2 e 30 t). La classe è una caratteristica che viene determinata in relazione alle condizioni d'impiego (frequenza e durata di utilizzazione) e al regime di carico. -il momento nominale (M = LxQ): prodotto dello sbraccio massimo (dall’asse di rotazione della parte girevole) per il carico sollevabile all’estremità del braccio (generalmente tra 1 e 6,5 t). - momento ribaltante (MA = AxQ): prodotto della distanza A, partire dall’asse del fulcro – inizio del braccio - per il carico nominale - massa totale (GO): massa totale della gru, inclusi la massa della zavorra e del contrappeso. Tra i parametri dimensionali: - lo sbraccio: distanza, misurata in orizzontale, tra l'asse di rotazione della parte girevole e l'asse verticale del gancio (generalmente tra 30 e 50 m); - distanza dell’asse di fulcro A: distanza orizzontale fra l’asse di fulcro e l’asse verticale dell’organi di presa. - altezza di sollevamento: dislivello tra la base e il gancio (generalmente tra 30 e 70 m). - raggio di ingombro posteriore: raggio massimo di ingombro del controbraccio La gru a torre effettua operazioni di sollevamento e trasporto, servendo una vasta area attraverso la combinazione di 3 movimenti fondamentali: - rotazione del braccio (0,3-1 giri/min); - traslazione del carrello (10-40 m/min); - sollevamento del gancio (3-90 m/min). A questo si aggiunge eventualmente la traslazione della base se la gru è su rotaie (20-30 m/min); La stabilità della gru deve essere garantita: - in esercizio, con pressione del vento di 30 kg/mq (coefficiente di sicurezza di 1,5); - a vuoto, con pressione del vento di 100 kg/mq (coefficiente di sicurezza di 1,2). Se la velocità del vento diviene eccessiva, la gru deve essere ancorata alla via di corsa per mezzo di tenaglie di ammarraggio ed, eventualmente, al suolo o alla costruzione per mezzo di funi di acciaio. Durante la notte le gru devono disporsi con i bracci liberi di ruotare con un peso al gancio. Per le modalità di montaggio le gru si distinguono: Gru a montaggio telescopico: sulla piattaforma di base viene montato il primo segmento di torre, entro cui scorre l'elemento telescopico, che porta il braccio e il controbraccio zavorrato; effettuato il sollevamento dell'elemento telescopico per mezzo di un martinetto idraulico o di un argano, viene innalzato il secondo

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segmento della torre e così via. Queste gru richiedono 1 o 2 giorni di montaggio con un solo operatore. Gru a montaggio rapido: adatte per altezze e carichi modesti; sono facilmente trasferibili. Sono costituite da una base che può essere mobile su rimorchio gommato (in fase di trasferimento); può essere fissa su stabilizzatori e zavorrata ovvero mobile su rotaie (in fase di lavoro); può infine essere con torre e braccio ripiegabili o telescopici. La gru a torre su binari è impiegata nei cantieri per la costruzione di edifici di notevole lunghezza o di fabbricati disposti in sequenza e consente di aumentare l'area servita. Il castello, in questo caso poggia su carrelli scorrevoli su binari. I binari hanno lo stesso scartamento del carrello; negli impianti più impegnativi hanno come fondazione due travi rovesce. L’installazione richiede quindi cure particolari e l'adozione di accorgimenti specifici, specialmente per quanto riguarda la realizzazione dello zavorramento e la costruzione delle vie di corsa, per evitare cedimenti della sede dei binari. A titolo esemplificativo, nei piccoli cantieri generalmente sono utilizzate gru con carico in punta di 8 q circa, con braccio da 15 a 30 m e latezza da 12 a 24; nei cantieri medi gru con carico in punta di 12 q circa, sbracci tra 30 e 50 m e latezza da 24 a 40 m; nei grandi cantieri e in quelli industrializzati sono utilizzate gru con carico in punta di 21 q circa, sbracci da 40 a 60 m e altezza fino a 80 m. Le autogrù o gru mobili sono gru montate su autoveicoli gommati o cingolati. Esse trovano impiego nei cantieri dei sistemi di prefabbricazione e dei sistemi di casseforme per getti in opera che richiedono l'impiego di gru di caratteristiche particolari dotate di grande portata e di possibilità di manovra con piccoli spostamenti per facilitare il posizionamento in opera. Non richiedono tempi di montaggio né preparazioni sul terreno, ma hanno elevati costi di esercizio. Possono essere a traliccio o del tipo idraulica telescopica. Sono caratterizzate da: - autotelaio, derivato da autotelaio di autocarro o di dumper; - torretta girevole a 360° dotata di braccio telescopico in lamiera saldata, sollevabile ed estensibile mediante martinetti idraulici. All'estremità può essere collocata una prolunga (penna o Jib), generalmente a struttura reticolare, che consente di aumentare l'altezza di sollevamento, seppur con carichi ridotti. In talune autogrù di concezione meno recente, il braccio è costituito da elementi reticolari giuntabili; - stabilizzatori, a comando meccanico o idraulico, posti in opera allorché la gru è in posizione di lavoro, per aumentare la base di appoggio; senza stabilizzatori, il carico sollevabile, l'altezza e il raggio di sollevamento devono essere ridotti.

Caratteristiche dell'autogru sono: - il carico sollevabile; - l'altezza di sollevamento; - il raggio di azione. Si distinguono: - autogru leggere (portata fino a 20 t, altezza di sollevamento 22+5 m, raggio 18m); - autogru medie (portata fino a 35 t, altezza di sollevamento 30+5 m, raggio 24 m); - autogru pesanti (portata fino a 100t, altezza di sollevamento 50+10 m, raggio 30 m) Altri tipi di gru sono quelle a portale, per edifici lineari alti 2 o 3 piani, ma i cui costi di installazione sono molto elevati o sui piazzali dei cantieri per scaricare autotreni; sono costituite da un telaio a portale, fisso o mobile su rotaie; sul traverso scorre un carrello dotato di paranco. Vengono realizzate per altezze di 4-6 m e portate fino a 15 t. A titolo di esempio, il ciclo di lavorazione di una gru, per un edificio a pannelli prefabbricati, richiede le seguenti fasi: tracciamento, ovvero predisposizione in pianta e in altezza delle misure alle quali vanno posizioni i pannelli; antinfortunistica, ovvero la predisposizione di tutte le misure necessarie (parapetti sul solaio di montaggio, cavi di sicurezza per ogni operaio impegnato nel montaggio ecc.); sollevamento del pannello (per avere una idea una gru può sollevare un carico di 8 tonn a 70 m ad una velocità di sollevamento di 19,5 m/min e quando è scarica la velocità sale a 39 m/min); posizionamento del pannello e fissaggio con le opportune attrezzature di giunto e il collegamento con gli elementi adiacenti mediante saldature, giunti asciutti o bagnati; la sigillatura dei giunti. Una squadra di montaggio è quindi composta da 1 gruista e tre gruppi operativi: piazzale e stoccaggio (3 operai), tracciamento e posizione (5 operai), collegamento e sigillature (3 operai). FRANTUMAZIONE E VAGLIATURA Tramogge Servono per raccogliere i materiali formando depositi dai quali si possono estrarre per azione della gravità. Si possono costruire in legno oppure in ferro (serbatoio piramidale o cilindrico). Notevole importanza per le tramogge ha l'inclinazione delle pareti di fondo che deve garantire la discesa del materiale pur utilizzando il massimo spazio. Essa è in funzione dei materiali impiegati (legno

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greggio o piallato, lamiere lisce) e dei materiali insilati, dipendendo dall'angolo di attrito interno del materiale insilato e dall’attrito materiale-contenitore. Frantoi Lo scopo della frantumazione e della vagliatura è ottenere pietrisco e sabbia da blocchi di roccia sana. Le operazioni consistono nella frantumazione (primaria, secondaria, terziaria, macinazione), nella separazione del materiale per pezzatura (vagliatura) e nel lavaggio. I frantoi rompono la pietra incidendola e comprimendola e forniscono pezzature non troppo piccole. L’operazione viene realizzata in più stadi a seconda delle dimensioni iniziali e finali del materiale, adoperando, per ciascuno stadio macchine di vario tipo. Il rapporto di riduzione che è conveniente adottare per ogni stadio, varia da 1/5 a 1/6. Poiché gli inerti prodotti ad ogni stadio contengono elementi di pezzatura diversa, vengono vagliati, per inviarli agli stadi successivi, solo gli elementi che necessitano di ulteriori riduzioni. Le macchine impiegate per la frantumazione sono soggette ad elevate sollecitazioni: le parti più usurabili vengono realizzate con acciai speciali (al manganese) e sono facilmente sostituibili. Le caratteristiche generali dei frantoi sono: - le dimensioni della bocca di ingresso, che limitano la grandezza dei blocchi da trattare; - la produzione oraria; - la potenza assorbita. Vagli I pezzi che escono dai frantoi non hanno una forma e una pezzatura costanti, devono quindi essere ulteriormente trattati. Nei vari usi tecnici si richiedono pezzature omogenee o assortite con assortimenti tali che è possibile ottenere per classificazione dimensionale tramite vagliatura. Inoltre, se il materiale è sporco (terre, argilla, residui organici, sali) è necessario provvedere anche alla lavatura. I vagli servono a separare, mediante una classificazione volumetrica, i vari costituenti provenienti dalle cave (sabbie e ghiaie) o da frantumatrici. Possono essere a) vagli vibranti piani: sono costituiti da una o più(massimo 4-5) lamiere forate sovrapposte di dimensioni fino a 1,5x7 m (classifiche) disposte con i fori di dimensioni decrescenti dall'alto vero il basso. Le classifiche sono collocate su un telaio mobile, sospeso o poggiato elasticamente su una incastellatura. La vibrazione (ampiezza 5-15 mm; frequenza 500-1500 cicli/min) è ottenuta per mezzo di uno o due alberi rotanti, dotati di masse eccentriche. I vagli vibranti presentano elevate produzioni (da 6 a 200 mc/h), costo e consumi ridotti.

b) vagli cilindrici (vagli rotativi): sono costituiti da un tamburo la cui superficie esterna è costituita, a sezioni, da lamiere con fori di diametri crescente. Il materiale, immesso da un'estremità, avanza per effetto della rotazione del tamburo e, passando attraverso i fori delle diverse sezioni si suddivide per pezzature. Hanno rendimenti più modesti dei vagli vibranti. c) griglie fisse o mobili: hanno il compito di trattenere le pezzature eccessive. Si usano sulle bocche di ingresso di frantoi per separare il grosso che non potrebbe entrare nella bocca. MACCHINE PER IL MESCOLAMENTO DEI MATERIALI Servono per confezionamento di malte e calcestruzzi . Per la preparazione delle malte si usano impastatrici a palette. Le macchine per il mescolamento possono essere distinte in: -betoniere, -impastatrici, -molazze -centrali di betonaggio (per impianti più complessi). Le betoniere sono macchine costituite di un recipiente rotante dotato di alette interne adatte a mescolare i materiali, fino a produrre un impasto omogeneo. A seconda del principio di funzionamento possono essere betoniere a bicchiere rovesciabile, betoniere a tamburo cilindrico e betoniere a riflusso. Le betoniere a bicchiere rovesciabile, molto comuni, sono particolarmente adatte per piccole produzioni orarie e per il confezionamento delle malte. I componenti dell'impasto vengono introdotti nel bicchiere in lamiera di acciaio, che può assumere le tre posizioni per carico, mescolatura e scarico; dopo il mescolamento, lo scarico dell'impasto avviene mediante il rovesciamento del bicchiere stesso. Produzione max 4-12 mc/h; hanno una debolezza organica nel perno di rotazione a sbalzo del mescolamento che ne limita la fabbricazione normale a tipi piccoli. Le pezzature più grosse debbono essere caricate dopo la sabbia e il cemento, altrimenti l'impasto non riesce bene. Anzi è bene che l'acqua sia immessa per prima in modo da ridurre gli attriti. Per impastare si fa compiere al bicchiere una trentina di giri per circa 1,5 minuti. E’ vietato rimuovere anche temporaneamente le protezioni della macchina durante la lavorazione (griglie, carter); deve essere posta in posizione stabile e possono essere utilizzate con velocità del vento inferiore a 72 km/h; oltre tale valore devono essere ancorate secondo quanto prescritto nel libretto d’uso e manutenzione.

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Le betoniere a tamburo cilindrico o a inversione prevedono la presenza di un tamburo rotante in lamiera di acciaio che porta all’interno delle pale inclinate. I componenti sono introdotti a una estremità del tamburo mediante tramoggia fissa o sollevabile, mentre lo scarico avviene dalla parte opposta, attraverso uno scivolo a coppo che si abbassa quando l'impasto è finito, oppure, nel tipo ad inversione, invertendo il senso di rotazione del tamburo e le pale spingono allora il calcestruzzo verso la bocca di scarico. Hanno capacità medie (impastano 180-750 l di calcestruzzo per volta e possono produrre da 5,5 a 14,5 mc/h eseguendo 30 impasti/h); sono adatte per piccoli cantieri. Sono molto efficienti. Le betoniere biconiche sono simili a quelle a bicchiere, ma più resistenti. Il bicchiere ruota leggermente sollevato sull’orizzontale. Le impastatrici a regime forzato o turbobetoniere possiedono grande potenza; delle pale rotanti mescolano molto efficacemente; si ottiene un impasto omogeneo con ogni grado di consistenza, fino a quella asciutta. Rendimento da 10 a 40 mc/h. Impiegate soprattutto in centrali di betonaggio per elevate produzioni, possono essere di due tipi: - a piatto circolare (fisso o rotante); - ad albero orizzontale (monoalbero o bialbero), adatte per materiali di grossa granulometria. Le molazze o impastatrici a molassa sono macchine pesanti, costose e di basso rendimento. Sono composte da una vasca nella quale gira una coppia di mole (o macine) adatte per confezionare malte nelle quali alcuni componenti devono ancora subire una macinatura, oppure malte nelle quali la sabbia viene sostituita dalla pozzolana. La scelta del tipo di macchina da impiegare per il mescolamento dipende dai materiali costituenti l'impasto, della posizione in cui deve essere eseguito il getto e soprattutto della quantità di prodotto da confezionare. Tabella sintetica Tipo di macchina Capacità della macchina in litri Betoniere a bicchiere rovesciabile < 370 (Malte oppure calcestruzzi per lavori di modesta entità) Betoniere a tamburo cilindrico 550- 3 000 (Calcestruzzi oppure malte da confezionare in notevoli quantità) Betoniere a riflusso 7 000- 10 000 (Calcestruzzi preconfezionati da fornire in cantieri privi di impianti di betonaggio)

Impastatrici a regime forzato 250- 2000 (Calcestruzzi prodotti in impianti di betonaggio) Molazze 150-1400 (Malte con componenti da macinare o con pozzolane) IL CALCESTRUZZO (i virgolettati sono estratto da Falsini, Michelon, Progetto e sicurezza nel cantiere, Roma 1997) Il calcestruzzo è un impasto costituito da cemento, sabbia, inerti con eventuale aggiunta di additivi, che ha un peso specifico che si aggira intorno a 2400 kg/mc. I materiali base sono: - ghiaie (2 o 3 pezzature da 5 a 40-80 millimetri), dosaggio in volume 0,800 mc, in peso 1.300 kg/mc di cls., salvo impiego di inerti leggeri; - sabbie (da 0 a 5-6 mm, dosaggio in volume 0,400 mc, in peso 650 kg/mc di cls.); - acqua (priva di impurità, dosaggio 150-200 l/mc di cls., in rapporto 0,40 con il cemento); - cemento (di varia finezza di macinazione da tipo 325 a tipo 525, dosaggio variabile in peso tra 200 e 400 kg/mc di cls.); - additivi (acceleranti di presa, ritardanti, fluidificanti, do saggio variabile in rapporto al cemento tra 0,5% e 2% sul peso). Il dosaggio dei materiali viene generalmente eseguito con: - dosatori a volume (per inerti): cassoni di lamiera a volume regolabile composti di due parti scorrevoli a telescopio, una superiore ed una inferiore che una leva unica apre e chiude alternativamente per operare il carico e lo scarico. L'errore più frequente è dato dalla variazione di volume dovuto a variazioni di pezzatura o, nelle sabbie, a variazioni di umidità. - dosatori a peso (per cemento): bilancia con cassone il cui riempimento viene interrotto automaticamente quando la quantità di inerte ha raggiunto il peso predeterminato. Il dosaggio può essere effettuato con un unico dosatore che misura per pesate successive le quantità dei diversi componenti, o con un dosatore per ciascuna classe di inerti (pesate simultanee) quando si desidera una maggiore potenzialità dell'impianto. Il dosaggio a peso è più veloce e preciso di quello a volume. Il dosaggio del cemento è eseguito con dosatori a peso; il dosaggio dell'acqua con dosatore a peso o a volume (serbatoi tarati, contatori). La preparazione dell’impasto avviene ormai nelle centrali di betonaggio. Esse sono distribuite sul territorio e nella maggior parte dei casi forniscono ai cantieri il calcestruzzo pronto per il getto. Il trasporto del calcestruzzo prodotto dalla centrale al cantiere avviene mediante le autobetoniere, costituite da uno speciale autocarro con grande contenitore a tamburo tronco conico ruotante su un asse sub-orizzontale

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che rimescola l’impasto evitandone la segregazione. Questo sistema semplifica notevolmente l’organizzazione del cantiere in particolare in quei cantieri dove non vi è disponibilità di spazio, migliora la qualità del prodotto poiché le centrali di betonaggio sono tecnologicamente avanzate. Il altri casi, quando una complessiva valutazione economica lo suggerisce, la centrale di betonaggio può essere installata all’interno del cantiere per far fronte alle esigenze dirette e continue di quello specifico lavoro di costruzione Il confezionamento del calcetsruzzo prevede le seguenti fasi: - stoccaggio inerti e caricamento; - stoccaggio cemento e caricamento; - stoccaggio acqua e additivi, e caricamento; - pesatura e dosaggio; - mescolazione; - controllo produzione. Lo stoccaggio inerti può essere effettuato secondo tre disposizioni fondamentali: - cumuli inerti a terra entro settori fissi, denominato a “raggi raschianti",; - inerti entro silos verticali; - inerti entro tramogge orizzontali. Il sistema a raggi raschianti prevede la realizzazione di una serie di vasche entro cui sono raccolti gli inerti separati per granulometria; un attrezzo costituito da una trave reticolare brandeggiabile, ove è montata una catenaria con una serie di tazze dentate, provvede al caricamento. Le tazze, scorrendo sopra gli inerti, trasportano verso la pesa i materiali. Nei paesi freddi nordeuropei lo stoccaggio degli inerti avviene dentro silos verticali in lamiera di acciaio, così da riscaldare il materiale quando le temperature sono proibitive. In Italia lo stoccaggio avviene generalmente in tramogge disposte in linea caricate da una pala gommata o un autocarro che, per caricare, sale su una rampa in terra battuta appositamente realizzata, che può arrivare anche a 8 metri di altezza. Una alternativa è la tramoggia interrata, per la quale è comunque necessario eseguire uno scavo entro cui posizionare le vasche, ma il caricamento avviene al livello del suolo; in questo caso nastro gommato porta gli inerti in sommità e un nastro mobile li distribuisce correttamente. Il trasporto di grandi quantitativi di cemento viene effettuato con autobotti che possono trasportare fino a 30 t. Lo scarico viene eseguito con apparecchiature pneumatiche: una corrente d'aria mossa da un ventilatore azionato dal motore del veicolo viene immessa sulla sommità delle cisterne; il cemento attraverso tubazioni flangiate, dalla parte inferiore, giunge alla sommità del silo entro cui si

effettua la conservazione. L'operazione richiede 2 minuti/tonn. Tale tipo di trasporto e conservazione consente i seguenti vantaggi: - semplicità delle operazioni di carico, scarico e successiva manipolazione; - eliminazione delle perdite (dovute alla rottura dei sacchi); - perfetta conservazione del cemento per l’impermeabilità dei contenitori. Trasporti più consistenti possono essere effettuati con carri ferroviari (dotati di botti simili alle precedenti) o con navi cementizie. Lo stoccaggio viene effettuato entro silos verticali costruiti in lamiera d'acciaio e dotati, inferiormente, di un estrattore a coclea. “In alcuni cantieri, specialmente all'estero, l'approvvigionamento del cemento avviene in sacchi e, pertanto, è necessario prevedere, nell'impianto di betonaggio, un'attrezzatura denominata rompisacchi. Questa è costituita da una serie di lame circolari che tagliano i sacchi di carta, convogliano il cemento nei silos (sempre con un impianto a coclea), ed espellono i sacchi predetti dopo aver recuperato il cemento residuo con un depolverizzatore ciclonico. Lo stoccaggio dell'acqua avviene entro serbatoi dotati di sistema di riscaldamento o raffreddamento qualora le condizioni meteorologiche comportino temperature di lavoro inferiori a - 5 °C o superiori a + 40 °C. Gli additivi ormai più usati sono liquidi e contenuti in fusti; qualora la produzione di calcestruzzo sia di notevoli entità vengono stoccati in serbatoi dotati di sistema di pompaggio”. L'impianto di pesatura inerti nelle centrali con tramogge orizzontali è costituito da un nastro trasportatore in gomma dotato di sistema di rilevazione del peso. Dopo aver effettuato una serie di pesature cumulative sino a raggiungere le quantità necessarie ad 1 o 4 mc (al massimo), il nastro scarica gli inerti entro il mescolatore. Il cemento viene dosato con propria bilancia autonoma dotata di maggiore precisione e viene trasportato al mescolatore sempre con una coclea. L'acqua viene aggiunta all'impasto nel mescolatore secondo la quantità prevista, unitamente agli additivi”. La mescolazione può effettuarsi direttamente nell'auto-betoniera o in una betoniere fissa. Sempre più spesso il controllo della pesatura è affidato a un computer. “Negli impianti più sofisticati sono presenti delle sonde nelle tramogge degli inerti che danno delle informazioni sull'umidità degli stessi, espresse in peso percentuale di acqua sulla massa. Con questa informazione il computer varia la quantità di acqua d'impasto inserendo sempre un corretto rapporto acqua/cemento, elemento fondamentale, come è noto, della qualità di un conglomerato cementizio”. Il trasporto del calcestruzzo dalla centrale di betonaggio al piano di posa dipende dalla distanza reciproca. Se il calcestruzzo è prodotto in cantiere e la gru copre

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l’area da servire, la distribuzione si effettua con il secchione della gru, che ha una capacità che varia da 0,500 a 2 mc. Se il calcestruzzo è prodotto nel cantiere ma distante dal piano di posa, o è prodotto all’esterno, si possono usare l’autobetoniera, la pompa autocarrata, i nastri trasportatori “L'autobetoniera è il sistema di trasporto più usato quando le distanze superano i 500 metri sia su un percorso esterno al cantiere, sia su un percorso interno, in quanto il calcestruzzo tende a segregare separando il cemento dagli inerti e, pertanto, è necessaria una rimescolanza continua. … Il calcestruzzo viene immesso alla bocca dell'impianto e subisce un ciclo di mescolazione ausiliario nel caso di premiscelazione in centrale o integrale”. La capacità del contenitore, varia dai 6 ai I0 metri cubi di calcestruzzo resi sino a mc 14 per il modello a semirimorchio. Durante la mescolazione è possibile dosare l'acqua d'impasto nella betoniera, e questo avviene nei casi di trasporto di lunga durata quando si rischia di arrivare al tempo di presa del conglomerato prima della posa.” Questo sistema richiede accurati controlli di ogni betoniera per evitare maggiorazioni di peso della fornitura. Il tempo di mescolamento varia con la temperatura esterna e può essere inferiore alla mezz'ora, nel quale caso si suole operare una miscelazione ad umido nel tragitto (1/5 dell'acqua) e si aggiunge la restante acqua nella fase immediatamente precedente la posa in opera. In alcuni modelIi di autobetoniera è prevista l'installazione di un nastro trasportatore che permette la posa del calcestruzzo a distanze e altezze di alcuni metri, in luogo della normale canala di scarico che ha un raggio di azione massimo di 4 metri anche con le prolunghe installate”. Sono in produzione anche betoniere coibentate per i climi freddi e altre adatte invece ai climi caldi. “Per le alte temperature in cantiere spesso si ricorre a un metodo, magari poco elegante dal punto di vista estetico, ma certamente efficace, costituito da una serie di sacchi di juta posti su un supporto in ferro fisso nella parte superiore dell'autobetoniera. Questi vengono bagnati a ogni ciclo di trasporto e con la loro acqua stendono un velo sottilissimo sul tamburo rotante. Questo velo di acqua, evaporando, raffredda la superficie esterna del tamburo diminuendo così la temperatura del conglomerato ed evitando una presa troppo rapida con conseguente perdita di lavorabilità”. Il trasporto con pompa autocarrata del conglomerato è oggi molto usato nei trasporti verticali oltre i 30 metri di altezza e orizzontali sino a 50 metri. “Questa attrezzatura si compone di un telaio di autocarro ove è posizionato un gruppo comprendente la pompa (funzionante a pistoni idraulici a stantuffo), una tramoggia di carico, un braccio idraulico brandeggiabile - portante la tubazione in

grado di servire un'ampia zona, sia in orizzontale che in verticale - e un gruppo motore autonomo. La capacità di trasporto del conglomerato varia, a seconda dei modelli tra i 55 e i 120 mc/h con un raggio di azione compreso tra 15 e i 54 metri per i modelli più grandi. Il conglomerato, per essere pompabile, deve avere una consistenza compresa tra gli 8 e i 12 centimetri (slump) con granulometria bene assortita, costituita anche da inerti leggeri (argilla espansa, vermiculite ecc.), ma con un contenuto minimo di cemento di 200 kg/mc. Questa condizione è essenziale per costituire un velo lubrificante di pasta cementizia (boiacca) tra tubazione e conglomerato. A tale scopo, prima di procedere al pompaggio, si immette nella tubazione una miscela di sola acqua e cemento proprio per lubrificare la tubazione. Questa ha un diametro compreso tra i 100 e i 125 centimetri in relazione al diametro massimo degli inerti, che si consiglia non superiore ai 40 millimetri. L'altezza massima pompabile è legata alle caratteristiche di potenza della macchina e in un caso ha raggiunto i 432 metri”. Queste attrezzature richiedono una attenta manutenzione e pulizia dopo ogni turno di lavoro. “I nastri trasportatori costituiscono una moderna e valida alternativa alle pompe nel trasporto del calcestruzzo tra zona di produzione e piano di posa, nel caso di conglomerati ad elevata classe granulometrica (superiore ai 40 millimetri) e a basso dosaggio di cemento (inferiore a 200 kg/mc”, slump < di 8 cm ed elevata quantità di trasporto. “Queste condizioni sono ricorrenti nelle grandi opere civili quali dighe, opere portuali, muri di sostegno massicci ove è richiesto del calcestruzzo ciclopico a basso dosaggio, con elevate portate orarie (sopra i 100 mc/h). Un sistema integrato di nastri trasportatori e attrezzature di posa in opera è costituito dai nastri Rotec prodotti negli USA (in Italia Vimatek) e utilizzati in Italia dall'impresa Grassetto nella costruzione della diga in calcestruzzo sul fiume Tirso (Ori stano) (1.000.000 metri cubi di cls. e altezza 105 metri) una delle più grandi d'Europa. Il sistema è basato su un nastro modulare di lunghezza compresa tra i l0 e i 40 metri, che scorre a velocità notevole (oltre i 3 metri al secondo), posto su piloni in acciaio o sul terreno, in modo da realizzare una sorta di viadotto per il conglomerato, con una pendenza massima pari al 20%. La portata del sistema con un nastro da 18" (45 centimetri) è pari a 4,6 metri cubi al minuto, mentre con il nastro da 24" (60 centimetri) si raggiungono i 7 metri cubi al minuto. La distribuzione del calcestruzzo viene fatta con un braccio rotante su cui è montato un nastro retrattile denominato Swinger. Con questo sistema si ottengono produzioni orarie elevatissime, oltre i 200-300 mc/h, con minimo impiego di manodopera, in quanto sono necessari due operai alla manutenzione dei nastri e due operai con il caposquadra allo Swinger. L'unica problematica è costituita dall'eventuale interruzione di uno dei nastri costituenti la catena del percorso di trasporto, In

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questo caso il calcestruzzo posto a valle del tratto fuori servizio dovrebbe essere scaricato immediatamente con grave danno economico. Invece, con l'uso del sistema modulare, in pochi minuti si solleva l'intero tratto fuori servizio e si posiziona il nuovo nastro potendo proseguire l'operazione di trasporto e getto”. Un particolare tipo di autobetoniera è quella autocaricante, “che per la sua versatilità sta conquistando ampi spazi di mercato tra le imprese per i lavori di fognature e stradali o per gli apprestamenti di cantiere. Questo mezzo è una piccola centrale di betonaggio in quanto è dotato di pala caricatrice, impianto di pesatura, mescolatore e serbatoio acqua. Inoltre l'autobetoniera permette il trasporto del conglomerato su ogni tipo di terreno in quanto è montata su un carro dotato di quattro ruote motrici del tipo fuoristrada. Questa attrezzatura permette notevoli economie di manodopera in quanto sono necessarie per il confezionamento circa 0,20 ore al metro cubo (la produzione è circa 5 metri cubi per ora con un solo operatore), contro le 4 ore al metro cubo con impasto manuale. Peraltro, si adatta anche come centrale di betonaggio nei cantieri urbani di restauro ove è difficile l'accesso di autobetoniere di tipo tradizionale. La capacità dell'autobetoniera varia tra i 500 litri di conglomerato reso a 2.500 litri, in relazione ai diversi tipi esistenti sul mercato” MACCHINE PER LA PERFORAZIONE Martelli perforatori: sono costituiti da un cilindro entro cui scorre un pistone azionato da aria compressa, che batte ritmicamente (2000 - 3000 colpi/min) sull'estremità di un'asta metallica (fioretto), munita all'estremità di una testa di perforazione (tagliente). I suoi elementi costitutivi sono: - il fusto: il cilindro entro cui scorre il pistone; - l'apparecchio di distribuzione dell'aria compressa: essa lancia la massa battente contro il fioretto; si ha poi l'espansione e lo scarico per il ritorno della massa che, in fine corsa, viene frenata da molle e cuscini d'aria; - il dispositivo di rotazione, che ha la funzione di provocare ad ogni urto una rotazione del fioretto onde evitare l'ammorsamento del tagliente e trasmettere energia d'urto a parti diverse della roccia; - il dispositivo per l'iniezione dell'acqua: ha lo scopo di far penetrare l'acqua in pressione (4 atm) lungo il fioretto forato affinché, proiettata nel fondo del foro, faciliti l'uscita dei detriti e raffreddi i taglienti. Il consumo d'acqua è di 1-2 litri/metro di foro; - il fioretto: barra d’acciaio a sezione circolare o poligonale, di diametro tra 22 e 35 mm, quasi sempre con un foro centrale destinato al passaggio del getto d'acqua necessario per lo spurgo del foro e il raffreddamento della testa del

fioretto. All'estremità viene riportata una testa tagliente in acciaio sinterizzato o da materiali speciali (carburi di tungsteno: widia o di cobalto) che può essere affilata o, se necessario, sostituita. La forma del tagliente varia in funzione della roccia da perforare: a fendente semplice, doppio, a croce, a Z. Un tempo il fioretto era un'asta esagonale d'acciaio con l'estremità foggiata a tagliente di vari tipi. Con essi, per rocce dure, era possibile forare al massimo 20-30 cm, dopodiché era necessario fucinarli nuovamente (cosa che richiedeva una fucinatrice ad aria compressa - per lavori importanti -, dispositivi per trattamenti termici e operai specializzati). Si sostituiva il fioretto consumato con un altro di diametro inferiore per impedire che esso si inceppasse nel foro. Cosicché per fare un foro di 2 metri e arrivare al fondo con un diametro di 30 mm erano necessario 8 fioretti, il primo dei quali aveva un diametro di 43 mm. Un primo passo avanti è stato fatto costruendo fioretti con l'estremità tagliente riportata; per la rosa si potevano usare acciai di alta qualità che consentivano una maggiore durata dei taglienti. Solo la rosa, una volta consumata, veniva sostituita. Si è poi passati all’impiego di taglienti in carburo di tungsteno e cobalto la cui durezza e resistenza consentiva di fare l'intero foro con un solo fioretto. Attualmente si preferisce spesso utilizzare fioretti in un solo pezzo sui quali sono riportati solo i taglienti. il grande vantaggio non è dato solo dalla durata, ma dalla facilità di ripristino dell'affilatura che si realizza con una mola a smeriglio e l'ausilio di appositi calibri I martelli perforatori si suddividono in: leggeri (fino a 16 kg); medi (fino a 25 kg); pesanti (oltre i 25 kg). Per rendere più leggero l'attrezzo perforatore si ricorre all'utilizzazione di una mazza alternativa che batte sulla testa del fioretto. In tal caso, essendo la mazza di peso limitato e dovendo imprimere il colpo alla massa del fioretto, per ottenere un urto energico si ricorre a velocità elevate. I martelli moderni compiono infatti da 2000 a 2800 colpi/min. Inizialmente i martelli venivano sostenuti a mano, ma con l'aumento del loro peso (20-25 kg) si è trovato convenienti sostenerli con apparecchi molto semplici detti servosostegni che si appoggiano al suolo e forniscono al martello una spinta regolare contro la roccia che ne aumenta l'efficacia. Tra i sostegni più usati sono: i treppiedi contrappesati (per sostenere il rinculo) per fori verticali verso il basso; i sostegni inclinati o verticali per fori orizzontali, inclinati o diretti verso l'alto; le colonne verticali o orizzontali che vengono forzate fra le pareti o il soffitto e il pavimento; i servososegni per autocarri, rimorchi o jumbo. Martelli demolitori

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Basati sul principio del martello perforatore. Sono dotati di utensili particolari (scalpelli, picconi, vanghe, battipalancole) che li rendono adatti a svariati lavori: demolizione di murature e pavimentazioni, abbattimento di rocce tenere, ovvero l'apertura di piccoli scavi per l'infissione di palancole ecc. (in sostituzione del piccone). E' munito di scalpello a punta o a tagliente o a vanga per lavori di demolizione superficiale (massetti di cls o di conglomerato bituminoso. A differenza dei martelli perforatori, non sono presenti i dispositivi di rotazione e di iniezione di acqua o aria. Le perforatrici a differenza dei martelli perforatori, hanno la massa battente costituita oltre che dal pistone anche dal fioretto che segue il pistone nel movimento alternativo. La maggiore entità della massa in movimento comporta un peso maggiore dell'utensile che non può essere adoperato manualmente ma richiede sempre l'uso di un servosostegno. Per contro la maggiore energia d'urto rende possibile una minore frequenza dei colpi (200 - 300 al min) e rende l'utensile adatto all'apertura di fori di diametro maggiore. L'utensile, che è il fioretto, è solidale col pistone alternativo, ad ogni colpo esso ruota di un piccolo angolo in modo che i taglienti colpiscano la roccia sempre in punti diversi. Le perforatrici sono pesanti e richiedono supporti a slitta per sostenerle e guidarle durante la perforazione. Esse si usano applicate a colonne o a carri che le sostengono contro la roccia. Però l'evoluzione dei martelli li ha ormai fatti preferire quasi dappertutto per la maggiore maneggevolezza ed elasticità di impiego. Macchine per fori profondi e per sondaggi: l'esecuzione di fori fino a qualche decina di metri può essere realizzata mediante un martello pneumatico il cui fioretto è allungabile mediante manicotti ed aste di prolunga. In tal caso è necessario creare un sistema i appoggio (una slitta a tre piedi, per esempio) che consenta di allungare le aste man mano che il foro viene approfondito. In alternativa si impiegano attrezzature speciali semoventi adatte a praticare lunghi fori in ogni direzione mediante servosostegni brandeggiabili. Esse sono principalmente: - il 'wagon drill': slitta con martello perforatore montata su carrello gommato, trainato o semovente (per fori profondi fino a 30 m); il “crowler drill”: più potente, montato su cingolato semovente, adatto a muoversi su terreni accidentati (realizza fori fino a 115 mm di diametro); - - il 'drill master': impiegato in campagne di grande ricerca e per il prelievo di campioni intatti fino a centinaia di metri;

- il carro perforatore (jumbo a portale ): robusto carro montato su binari (o semovente su ruote gommate) su cui sono montati più martelli perforatori: sono impiegati nello scavo di gallerie di grande sezione in roccia. Rotary Sono apparecchi a rotazione che servono per eseguire pali trivellati e per prelevare campioni. Nei terreni teneri l'utensile è una corona dentata di acciaio duro; in quelli duri la corona ha la testa in graniglia d'acciaio, o in diamanti industriali, e può lavorare in corrente d'acqua. La corona, essendo cava, contiene il campione che viene prelevato ogni tanto con apposito apparecchio. I diametri di sondaggio sono da 600 a 2600 mm , le profondità fino a 80 m. Nei terreni poco consistenti è necessario usare un tubo forma o utilizzare argille in sospensione acquosa (bentonite). Sono costituiti da un carro cingolato o gommato, dotato di un’antenna in travatura metallica che funge da supporto a un’asta telescopica alla cui estremità è posizionato l’utensile di scavo. La rotazione viene impressa con un meccanismo idraulico. L’utensile di scavo più usato è il bucket, costituito da un cilindro cavo in acciaio con aperture nella parte inferiore dotate di denti, di altezza di circa 1 m. Durante la rotazione l’utensile si riempie di terreno scavato dai denti; l’operatore, dopo alcune decine di secondi richiama il bucket in superficie e poggiandolo sul terreno ne provoca l’apertura. Altri utensili sono le trivelle, costituite da un’elica lunga circa 2 m, e lo scalpello, massa battente guidata da un fune in grado di disgregare con una serie di colpi il terreno roccioso. Organizzazione delle squadre operative Dopo aver operato le scelte strategiche di fondo sulle modalità di impostazione del cantiere e sulle metodologie costruttive da utilizzare è necessario organizzare le squadre operative. Per determinare il numero e la consistenza di queste squadre si prendono in esame alcuni parametri: - la quantità delle attività elementari che dipendono dalla quantità di lavoro da

svolgere - l’incidenza della manodopera, espressa in ore per unità di prodotto (ad esempio

h/mc) - l’incidenza delle attrezzature, espressa anche questa in ore per unità di prodotto

(ad esempio h/mc) - la programmazione operativa delle attività, che dipende dalla programmazione

delle fasi di lavoro.

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Corso di Organizzazione del cantiere Appunti sommari - Dispensa n. 2

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Ad esempio, lo scavo di sbancamento a macchina ha una incidenza di manodopera pari a 0.012 h/mc e di attrezzatura pari a 0.012 h/mc; il reinterro con scavo a sezione obbligata a mano e trasporto a macchina ha una incidenza di manodopera pari a 6.50 h/mc e di attrezzatura pari a 0.024 h/mc. Così, le ore totali necessarie a fare si ottengono moltiplicando la quantità di lavoro da svolgere per l’incidenza. Ad esempio, per uno scavo di sbancamento di 200.000 mc da fare in un mese, utilizzando una macchina che ha una incidenza produttiva di 300 mc/h, ovvero di 0.0034 h/mc si ha 200.000 x 0.0034 = 680 h necessarie per fare lo scavo. Il numero delle attrezzature necessarie sarà dato da 680 h: 152 h (numero di ore lavorative in un mese per l’Italia) = 4.48 macchine (approssimato a 5) Si utilizzeranno quindi 5 macchine per un mese peggiorando l’incidenza del 12%, oppure si effettueranno ore lavorative straordinarie per 80 ore circa (4x152 = 608, per arrivare alle 680 ore necessarie mancano, per la precisione, 72 ore).