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16 1.3 Principio dell'”etica degli affari” Se nella nostra società assistiamo alla incompiutezza dell'etica cristiana, laica e della responsabilità, nel mondo del lavoro il termine “etica degli affari” si sta diffondendo nelle pratiche manageriali come un nuovo metodo nella gestione dei rapporti umani all'interno delle aziende. A questo punto, prima di proseguire è necessario definire in modo il più preciso possibile questo termine. Secondo la definizione di Nicola Abbagnano nel suo dizionario di filosofia, l'etica è in generale “la scienza della condotta”. Nelle due concezioni fondamentali di questa definizione abbiamo quella che la considera come “scienza del fine cui la condotta degli uomini dev'essere indirizzata e dei mezzi per raggiungere tale fine; e deduce sia il fine che i mezzi della natura dell'uomo.” La seconda concezione la definisce come “quella che la considera come la scienza del movente della condotta umana e cerca di determinare tale movente in vista di dirigere e disciplinare la condotta stessa.” Queste due diverse concezioni servono per distinguere come l'etica rappresenti da una parte l'ideale a cui l'uomo è indirizzato dalla sua natura, la seconda invece considera i motivi e le cause della condotta umana. 10 Secondo la dottrina morale di Kant, ciò che realmente risulta importante è il movente, non il fine, Kant ritiene che “il concetto del bene e del male non deve essere determinato prima della legge morale ma soltanto dopo di essa e attraverso di essa” 11 . Questo significa che Kant condivide la concezione dell'etica del movente. In questo senso ha inteso la norma morale come una forma assoluta di comando che si distingue appunto dagli altri imperativi ipotetici che fanno capo alla tecnica. 10 N. Abbagnano: dizionario di filosofia, TEA, 1993 11 Kant I.: Critica della ragion pura EBOOK, APPLE, 2011

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1.3 Principio dell'”etica degli affari”

Se nella nostra società assistiamo alla incompiutezza dell'etica

cristiana, laica e della responsabilità, nel mondo del lavoro il termine “etica

degli affari” si sta diffondendo nelle pratiche manageriali come un nuovo

metodo nella gestione dei rapporti umani all'interno delle aziende. A questo

punto, prima di proseguire è necessario definire in modo il più preciso

possibile questo termine. Secondo la definizione di Nicola Abbagnano nel

suo dizionario di filosofia, l'etica è in generale “la scienza della condotta”.

Nelle due concezioni fondamentali di questa definizione abbiamo quella che

la considera come “scienza del fine cui la condotta degli uomini dev'essere

indirizzata e dei mezzi per raggiungere tale fine; e deduce sia il fine che i

mezzi della natura dell'uomo.” La seconda concezione la definisce come

“quella che la considera come la scienza del movente della condotta umana

e cerca di determinare tale movente in vista di dirigere e disciplinare la

condotta stessa.” Queste due diverse concezioni servono per distinguere

come l'etica rappresenti da una parte l'ideale a cui l'uomo è indirizzato dalla

sua natura, la seconda invece considera i motivi e le cause della condotta

umana.10

Secondo la dottrina morale di Kant, ciò che realmente risulta

importante è il movente, non il fine, Kant ritiene che “il concetto del bene e

del male non deve essere determinato prima della legge morale ma soltanto

dopo di essa e attraverso di essa”11. Questo significa che Kant condivide la

concezione dell'etica del movente. In questo senso ha inteso la norma

morale come una forma assoluta di comando che si distingue appunto dagli

altri imperativi ipotetici che fanno capo alla tecnica.

10 N. Abbagnano: dizionario di filosofia, TEA, 1993 11 Kant I.: Critica della ragion pura EBOOK, APPLE, 2011

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Partendo la questa definizione, parlare di etica degli affari come viene intesa

attualmente da molti amministratori di grandi società appare come un

paradosso. Infatti la maggior parte delle aziende che adottano principi di

etica degli affari non considerano la portata delle loro affermazioni. Molti di

questi, partono dal presupposto che operare determinate scelte a livello

organizzativo su come debba essere condotta un'attività e semplicemente

usando termini come “etico” o “sostenibile” sia sufficiente a significare che

l'uomo e l'ambiente sono al centro delle loro scelte. Molte di queste inoltre,

tendono a confondere il termine etica con etichetta e mirano a compiere

dichiarazioni relative al lavoro senza la minima base di autorevolezza. Si

pensi ad esempio alle multinazionali che dichiarano di essere attente alla

tutela sia delle persone che dell'ambiente ma nella realtà svolgono la loro

attività di produzione in paesi dove la manodopera risulta essere sottocosto,

sottopagata e viene molto spesso impiegata in ambiti al di sotto di ogni tutela

sia ambientale che sanitaria. Le giustificazioni dove molto spesso queste

società mascherano la palese mancanza di etica nei paesi legati alla

produzione sono relative al fatto che viene dichiarato di seguire e rispettare

le norme igienico sanitarie e di sicurezza del lavoro in base a quanto stabilito

nel paese dove viene svolto il lavoro. Ovviamente è fuor di dubbio che le

norme europee sono di gran lunga più limitanti e severe rispetto a quelle che

ci possono essere in altri paesi in via di sviluppo. Questo non significa che

rispettare esclusivamente le norme che in un altro paese prevedono che un

soggetto possa lavorare senza un minimo di tutela in quanto stabilito per

legge è un argomento valido per dichiararsi etici. In senso etico, l'impresa

dovrebbe esportare le norme che consentano di garantire le stesse

condizioni lavorative che nel paese dove risiede sarebbe costretta a

rispettare. In questo senso il caso più ecclatante è stato quello che nel 1997

ha sollevato l'opinione pubblica e riguarda il caso dello sfruttamento da parte

della NIKE di bambini dai 5 anni di età che venivano impiegati per cucire i

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palloni ed i vestiti della società con sede in America. Tali bambini venivano

impiegati per 14-16 ore al giorno in condizioni igieniche pessime, per portare

avanti lavori massacranti, in fabbriche buie e malsane. Nel luglio 2002 la

Nike annuncia che i suoi stabilimenti saranno controllati dall'Organizzazione

Internazionale del Lavoro per salvaguardare lo sfruttamento minorile.12

Nell'aprile 2007 in 20.000 sfilano contro la multinazionale nel più grosso

sciopero della storia del Vietnam. Gli operai denunciano uno stipendio

inferiore a un paio di scarpe.13

A livello mondiale ormai le grandi multinazionali pensano allo stesso

modo, per poter guadagnare di più è necessario spostarsi in altri luoghi dove

il profitto possa essere sempre alto ma abbassando i costi della

manodopera.

12 http://it.wikipedia.org/wiki/Nike_(azienda) 13 http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/esteri/vietnam-sciopero/vietnam-sciopero/vietnam-

sciopero.html

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1.4 Le “carte etiche” e loro contraddizione

Le aziende dall'inizio degli anni '90 hanno cominciato a dotarsi di

“carte etiche” intese a illustrare e motivare il loro impegno nell'attenzione ai

valori morali e di tutela dell'ambiente. Le carte etiche vengono introdotte per

offrire al lavoratore ed alla collettività l'illusione che l'azienda operi

rispettando una precisa condotta morale nel normale svolgimento del lavoro.

Importata dagli Stati Uniti la nozione di etica degli affari ha già

conquistato molte aziende in Europa. Moralizzare il mondo del lavoro

sembra oggi diventata una priorità per restituire fiducia agli investitori e

lavoratori. Numerose multinazionali fanno dunque sempre maggior ricorso a

concetti quali responsabilità sociale e sviluppo sostenibile. Molte di queste

addirittura danno vita a fondazioni, si impegnano nella difesa dell'ambiente e

finanziano scuole nei paesi in via di sviluppo, compiono dichiarazioni sui

diritti umani come L'OREAL che nel suo “Rapport développement durable

2006” (Rapporto sullo sviluppo sostenibile) afferma di voler adottare un

comportamento “irreprensibile” affinché l'azienda “riesca a trasformarsi

realmente in un modello di azienda attenta alle esigenze delle persone”14.

Sembrerebbe quindi che l'etica degli affari riesca a sottrarre l'azienda al

paradigma economico classico, ovvero la separazione tra mondo degli affari

e sfera morale. In questo senso viene a cadere quello che, secondo la

Scuola di Chicago e del cuo capofila Milton Friedman, sosteneva, ovvero

che in un'economia di mercato di tipo capitalista l'unico dovere di un

imprenditore è quello di soddisfare gli azionisti15. Il caso L'OREAL ha rivelato

come l'azienda, per mezzo dello slogan “Tutti coloro che lavorano con e per

L'OREAL hanno il diritto a un ambiente di lavoro salutare, sicuro e protetto”

14 M. Marzano: Estensione del dominio della manipolazione, OSCAR MONDADORI, 2010 pag. 57 15 F. Milton: Capitalismo e libertà, PORDENONE, STUDIO TESI, 1995 p. 149

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ha instaurato dei processi di controllo sui dipendenti per mezzo di una

campagna interna non solo nell'ambito lavorativo ma nella vita privata

facendola passare per apprensione nei confronti del lavoratore. In questo

modo, creando una sorta di spirito paternalistico da parte dei responsabili, in

realtà, si cercava di indagare sulle vite private dei dipendenti per scoprire

eventuali motivazioni legate alla loro magari scarsa efficienza lavorativa.16

La domanda in questo senso è la seguente: quali sono le reali

intenzioni di coloro i quali difendono l'azienda come se fosse un attore

sociale dotato di responsabilità morale nei confronti della società?

Con tutta probabilità ci troviamo di fronte ad una nuova forma di

ipocrisia che, travestita da etica punta in realtà a sfruttare al meglio gli esseri

umani. Le carte etiche sono delle vere e proprie dichiarazioni d'intenti,

queste carte si rivelano molto importanti per ciò che riescono a suggerire

relativamente all'ideologia di un gruppo o di un'epoca

Analizzando quelle che sono le prerogative indicate nelle carte etiche

troviamo alcuni punti chiave per raggrupparle in diverse modalità di

intervento nei confronti del dipendente:

1. uno dei principi cardine è lo sviluppo della professionalità di tutti i

16 La carta di L'Oréal risulta eloquente in quanto venivano proposti alcuni esempi, sotto forma di

domanda e risposta. “D: Il mio supervisore si dice preoccupato, pensa che io non dorma a sufficienza e mi ha suggerito di non uscire così spesso la sera dopo il lavoro. Dice di aver paura che io mi addormenti e abbia un incidente. Ok, una volta o due ero un po' assonnato...ma sono comunque in grado si svolgere il mio lavoro. Sicuramente non sono affari suoi cosa faccio dopo l'orario di lavoro, giusto? Non ho il diritto di avere una vita privata? Penso di che si stia comportando in modo meschino. Che devo Fare? R: I dipendenti trascorrono le loro serate come desiderano. Ma se la stanchezza mette loro e gli altri a rischio, il supervisore ha ragione a sollevare il problema (anche se deve farlo con sensibilità e rispetto della privacy). Nonostante il rispetto dell'azienda per la vita privata dei dipendenti , il comportamento che potrebbe generare un pericolo per la sicurezza a danno del dipendente o dei colleghe non può essere accettato. In fatto di sicurezza non può esserci compromesso.”

www.loreal.fr/_fr/_fr/html/company/pdf/code_of_ethics_italian.pdf

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dipendenti. Anche se lodevole come intento, il soggetto viene

semplicemente relegato a risorsa “impiegabile” e “spendibile”

nell'attività lavorativa. Parlare di impiegabilità del soggetto significa in

qualche modo definire questo concetto che indica la speranza

oggettiva, o probabilità più o meno elevata, da parte di un soggetto di

trovare un'impiego17. Oggi questo termine è diventato di uso comune

nel linguaggio manageriale, al punto da comparire molto spesso nella

stampa di settore, specchio eloquente del mondo di cui si fa

portavoce, anche se il termine descrive realtà diverse, spesso, serve

come alibi per dissimulare rapporti di forza non paritari. Alcuni

manager quando parlano di impiegabilità, si riferiscono a

“caratteristiche essenziali” di cui è necessario essere dotati, prima di

intraprendere il processo di integrazione in un ambiente di lavoro, tra

queste doti ci sono “salute fisica e mentale” e “autonomia sociale”,

“spirito di responsabilità” e “dominio di sè” tutte doti che determinano

in modo ambiguo quello che è in realtà lo scopo di queste

organizzazioni, mascherare rapporti di forza non paritari e legittimarli

usando queste formule. Parlare perciò di impiegabilità significa

iniziare una prima distinzione tra i titolari di competenze chiave e gli

altri. Dove i primi, grazie alle competenze acquisite non devono

preoccuparsi più di tanto della loro carriera, gli altri diventando perciò

impiegabili potranno essere sempre sostituiti e la loro presenza in

azienda è considerata temporanea. In questo senso impiegabilità

diventa un sinonimo di sostituibilità. Soprattutto in questi ultimi anni

dove nelle aziende il turn over lavorativo ha subito un progressivo

aumento, i lavoratori che per qualche motivo non corrispondono

all'ideale aziendale possono essere facilmente rimpiazzati sia per

l'aumentata domanda di lavoro, ma anche per la grande diffusione di

17 M. Marzano: Estensione del dominio della manipolazione, OSCAR MONDADORI, 2010

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contratti a termine che la legislazione ha consentito; quest'ultimi poi

non garantendo una continuità lavorativa creano quello stato di

incertezza del lavoratore che non ha più potere contrattuale

relativamente al lavoro.

2. Oltre ad essere impiegati in un'azienda molto spesso nelle carte

etiche appaiono dichiarazioni che mirano ad acquisire la capacità di

rispondere ai bisogni dell'azienda senza venir meno delle

aspirazioni personali di ognuno . Anche questa dichiarazione

nasconde un ulteriore paradosso, quello relativo al fatto che anche se

dichiarato, nella realtà quello che conta è il livello di efficienza del

lavoratore non la sua presenza come persona. In questo senso non si

vuole intendere che l'azienda deve essere composta da personale

passivo che coscientemente non svolte alcuna mansione. Il concetto

che sta alla base dell'efficienza è che viene valorizzata l'autonomia

personale dei lavoratori, l'assunzione di rischi da parte di ogni singolo

attore, creando un senso di responsabilità nei confronti del proprio

lavoro. Perché acquisisca senso però, è sempre e comunque

sottoposto alla valutazione dei risultati. Le aziende pretendono di

riconoscere la libertà di azione del singolo e nello stesso tempo il suo

principale interesse è il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Questo indica alla fine il reale obiettivo che sta alla base delle carte

etiche in azienda secondo le quali è necessario permettere alle

persone di realizzarsi attraverso il lavoro. Il lavoro, a tutti gli effetti,

permette ad un individuo di consolidare la propria identità e di

realizzarsi nella sfera pubblica tramite il riconoscimento sociale dei

risultati della sua attività. Mascherare però la realizzazione personale

in un'esigenza di produttività maggiore, a volte a scapito dei lavoratori

stessi diventa manipolatorio. Attualmente usando un paragone, i

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dipendenti sono simili ai pedoni di una scacchiera, vengono cioè

spostati a seconda delle necessità dell'azienda e si illudono così che

il tutto avvenga per la propria personale realizzazione personale.

Viene a mancare oltretutto il principio di non contraddizione, infatti, se

ho autonomia di scelta su come operare ma l'obiettivo che devo

raggiungere limita esso stesso la mia libertà di azione si crea

ovviamente una contraddizione in termini.

3. Altro punto utilizzato sovente in questi protocolli etici in azienda è

quello relativa alla ricerca di perseguire e realizzare modalità

organizzative in grado di favorire la reattività dei soggetti

attraverso l'adattamento permanente e la trasversal ità .

Confrontare questo punto con il precedente ci mette nelle condizioni

di determinare il paradosso tra responsabilità e adattamento

permanente, lo scambio di idee e la performance. Per adeguarsi ai

flussi di mercato si favorisce un management che valorizza la

capacità di adattarsi ai cambiamenti, ai trasferimenti, alla

trasversalità. Bisogna identificare strategie, priorità e strumenti di

misura per le performance collettive. La singolarità del lavoratore è

messa al servizio dell'urgenza e dell'adattabilità. Un presupposto fin

troppo evidente è che essere responsabili non significa sempre

sapersi adattare. Quando un individuo svolge un ruolo o una

funzione, la responsabilità gli richiede di rispondere della precisa

esecuzione dei compiti cui è incaricato, si presume perciò che un

individuo responsabile si totalmente coinvolto nel suo lavoro e che

non riesca a adeguarsi continuamente al cambiamento; altrimenti

risulterebbe disinteressato alle conseguenze delle sue azioni o delle

sue scelte. Essere coerenti è uno dei cardini della responsabilità. Il

costante adattamento esige invece un'attenzione volta al

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cambiamento piuttosto che ai compiti. Non serve a questo punto

ricordare che una persona che risulta essere più attenta ai

cambiamenti che hai compiti a livello sociale viene considerato di

norma un manipolatore.

4. Le carte etiche fanno credere che il feedback nei confronti della

dirigenza sia reale e non solo fittizio. Il presupposto sta nel fatto che

la comunicazione tra dipendenti e leader permette a ciascuno di

comprendere i successi aziendali. Comunicare e ascolto diventano

le parole chiave di un altro punto su cui le carte etiche si fondano.

Ogni azienda fa uso e si esprime con sofisticati modelli comunicativi:

una riunione per i budget, un evento per presentare un prodotto

nuovo, il nuovo logo dell'azienda sono solo alcuni degli esempi

utilizzati. Il messaggio che si vuole veicolare in questo caso è

estremamente chiaro; l'idea di eccellenza di un determinato brand o

prodotto, di una marca o di un progetto. Adesso poi la comunicazione

è ancora più rivolta alla sfera emozionale. L'uso che viene fatto dalle

aziende è l'utilizzo di script cinematografici, la presentazione di un

prodotto quasi come se fosse un film hollywoodiano. In realtà quella

che noi consideriamo comunicazione, o meglio ciò che i dirigenti

vogliono farci credere, in realtà è propaganda che nel suo significato

letterale significa “ciò che deve essere propagato”. Se l'origine di

questa parola determina il suo reale significato ovvero la neutrale

diffusione di opinioni senza alcun accenno a manipolazione, dopo la

prima guerra mondiale il termine propaganda ha iniziato ad essere

utilizzato nel significato che detiene ancora oggi. Un discorso cioè

che mira a indirizzare, cristallizzare e manipolare l'opinione pubblica.

L'uso di propaganda a livello aziendale, ha il preciso scopo di

mantenere i poteri aziendali al riparo dalle logiche democratiche. Di

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conseguenza non ci può essere propaganda e ascolto insieme.

Sarebbe un paradosso. Quello che accade in azienda è che viene

data l'impressione di ascoltare ma in realtà idee, decisioni, futuro

lavorativo sono già stati decisi, comunicati in modo accattivante, ma

decisi. Anche in questo particolare ambito sull'utilizzo delle carte

etiche è possibile evidenziare un paradosso. Questo intercorre tra il

senso del termine comunicazione, inteso come mettere in comune,

far partecipe e il reale significato che assume una volta manipolato

dagli organi dirigenziali dell'azienda.

5. Elaborare un carta etica presuppone che oltre nei confronti dei

lavoratori la responsabilità di azienda sia anche nei confronti del

mondo esterno. Viene infatti introdotto e si abusa molto spesso nelle

azienda il concetto di “responsabilità sociale d'impresa” . La

nozione appena citata appoggia sul fatto che le aziende debbano

assumere responsabilità che vanno oltre il loro diretto ambito di

azione. Ci poniamo di fronte ad una visione globale d'azienda, il cui

scopo, secondo queste formule, non coinciderebbe più unicamente

con l'accumulo di ricchezza ma con l'esigenza di trovare equilibrio tra

gli interessi degli azionisti e quelli della società. In un certo senso,

intervenire a salvaguardia del pianeta equivale in qualche modo a

sostituirsi in parte ai governi nazionali che di norma si occupano di far

rispettare alle imprese le regole sulla tutela dell'ambiente. Viene

veicolato il principio secondo il quale i leader aziendali hanno come

obiettivo non solo la responsabilità economica ma anche quella

sociale ed infine ambientale. Anche ENRON aveva ricevuto numerose

onorificenze per il suo impegno nella tutela dell'ambiente ed era

considerata un'impresa modello per quanto riguardava la

salvaguardia del pianeta. Valutando poi quello che è successo dopo

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la bancarotta nel 2001 viene il sospetto che occuparsi di tutela

ambientale sia solo un modo per sottrarsi agli impegni morali

ponendosi al di sopra di tutte le istanze esterne che potrebbero

invece richiamarla alla sua precisa responsabilità. La promessa di

mostrarsi maggiormente responsabili verso l'ambiente, naturale e

umano può sviare l'attenzione della società dalla necessità di

regolamentazioni più severe. La provocazione finale potrebbe essere:

esistono diverse modalità di certificazione ambientale che possono

essere acquisite per mezzo di audit specifici riguardanti il lavoro;

quelli possono essere gli attestati che certificano le modalità con le

quali un'impresa si fa testimone di una reale politica di difesa

ambientale, ma come tutte le cose che richiedono più di una semplice

dichiarazione, hanno un costo, anche non solo in termini economici

troppo alto.

Risulta perciò necessario ed indispensabile analizzare seriamente

queste carte etiche in quanto nascondono l'ambigua delle aziende che le

hanno proposte. Basti al proposito pensare alla grande quantità di agenzie

di “marketing etico” che vengono interpellate per questo genere di interventi.

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1.4.1 Lo studio del caso ENRON

Trattare un caso come ENRON risulta essere sufficientemente

esplicativo per affrontare oltre al principio dichiarato di etica degli affari

anche le dinamiche di leadership che si vengono a creare in una società

multinazionale.

Jeff Skilling dirigente della multinazionale ENRON, condannato a 24

anni e 4 mesi di prigione per insider trading, ha rappresentato il modello di

manager in grado di spingere le persone al di là dei loro limiti. La società

ENRON è stata definita il settimo maggior colosso americano, valutata circa

settanta miliardi di dollari prima ovviamente della bancarotta del 2001. Si

trattava di un'azienda giovane, nata nel 1985, grazie ad amicizie importanti,

una tra tutte il Presidente degli Stati Uniti George Bush. Riuscì a trarre

profitto dalla deregolamentazione dei mercati energetici, in particolare quello

del gas. Quello che Skilling introdusse in ENRON furono idee nuove. Skilling

era considerato un visionario, un uomo in grado di convincere chiunque di

essere l'unico a conoscere il futuro, (ricordiamo, in particolare, il discorso

relativo alla manipolazione). L'idea di Skilling è una nuova idea, peraltro

palesemente ambigua, convertire ENRON in un'agenzia di Borsa del gas

naturale. Diventa cioè un compratore e venditore di gas naturale per tutto il

nord America come se si trattasse di comprare e vendere azioni in borsa,

che come il mercato insegna, prevede un rischio di esposizione finanziaria

notevole. Skilling impone una particolare formula contabile detta anche

contabilità secondo il prezzo di mercato, questo consente in sintesi di

registrare i potenziali benefici nel momento stesso in cui un contratto viene

siglato, a prescindere però dall'effettiva liquidazione dello stesso. Viene cioè

introdotto un principio di tipo soggettivo per determinare la redditività di una

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multinazionale. Questo è stato il primo ma anche per fortuna ultimo caso in

cui si è operata una simile scelta di schizofrenia finanziaria salvo poi la crisi

dei mutui subprime (letteralmente prestiti concessi su debiti) sempre negli

Stati Uniti. Analizzando poi nel dettaglio le strategie rivolte al personale dallo

stesso Skilling troviamo espressa tutta la sua logica Darwiniana.

Principalmente Skilling utilizzava tutto un armamentario di un certo delirio

manageriale contemporaneo: corsi di sopravvivenza nella giungla, salto con

l'elastico, discesa di rafting; organizzate allo scopo di portare la pratica

sportiva estrema all'interno dell'ambito lavorativo. Accettare questo genere di

giochi equivale perciò a mostrarsi aperti all'opportunità di affrontare

situazioni impreviste. In questo ambito Skilling decide di istituire una

commissione di studio e di valutazione del personale.18 Dopo ogni

valutazione, chi non passa i vari test deve andarsene. Quelli che rimangono

perciò potranno proseguire e diventare milionari. In ogni caso ENRON

veniva considerata da tutti gli operatori del settore come l'azienda che

poteva diventare esempio per tutte quelle multinazionali appartenenti alla old

economy che non erano in grado di stare al passo con i tempi. In ogni caso,

negli anni 90 nonostante l'ascesa in borsa e gli apprezzamenti della

maggioranza degli analisti finanziari, che descrivono l'azienda come un

esempio di audacia e modernità, ENRON continua a perdere soldi. Il mondo

economico, ritenendosi in qualche modo libero da qualsiasi vincolo

ideologico, chiude gli occhi e continua a considerare ENRON come un

modello di corporate governance in grado di operare al meglio sul mercato

deregolamentato dei prodotti derivati. Quando nel 2001 Skilling si dimette

riesce a vendere tutte le sue stock option ad un prezzo altissimo,

guadagnando una fortuna e poco dopo ENRON dichiara bancarotta. Come

se non bastasse i dipendenti scoprono dal regolamento interno che non è

permesso vendere le azioni se quest'ultime sono in ribasso. In questo modo

18 M. Marzano: Estensione del dominio della manipolazione, OSCAR MONDADORI, 2010 pag. 53

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oltre a svelare la reale portata di tutte le false dichiarazioni di etica del lavoro

intese da Skilling si è creata una voragine economica che scosse

profondamente il mercato americano e pose le basi quasi un decennio in

anticipo alla attuale crisi economica mondiale. E' importante in ogni caso

dare alcune cifre della caduta di ENRON per dare le giuste dimensioni di

impatto di una simile bancarotta: si parla di circa 20.000 persone licenziate

seduta stante, il 98% del valore delle azioni di ENRON cadute in meno di

ventiquattro giorni.

Il ministro del tesoro Americano O'Neill seguendo quello che è il

protocollo basato sul “consenso di Washington” che si basa su una forte

impronta liberare riguardo la gestione del mercato, dichiarava che cose simili

accadono in quanto il sistema si autoregola da solo. Il sistema funziona,

sono state le persone ad aver sbagliato investimenti, sia questi i dirigenti che

i dipendenti.

Il seme che ha generato il disastro finanziario di ENRON può essere

in qualche modo riferito alla concezione che Skilling aveva di eccellenza. Di

certo il CEO di ENRON mirando ad una determinata politica aziendale nei

confronti dei dipendenti ma anche nei confronti del mercato si basava sulla

concezione di eccellenza di Leadership. Secondo Zenger e Folkman i

“grandi leader fanno un grande differenza”19. Secondo questo approccio un

soggetto non deve accontentarsi di essere solo un buon leader ma deve

diventare eccellente. Per dimostrare di essere tale deve essere in grado di

circondarsi di soggetti che lo seguano nella sua mission aziendale, e deve

essere in grado più di altri a creare profitto e guadagno immediato per

l'azienda.

In realtà ENRON, sotto la gestione Skilling ha registrato un alto tasso

19 Zenger J. H., Folkman J. R.: Il leader straordinario, FRANCO ANGELI, MILANO 2010

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di assertività del dipendente nei confronti dell'azienda proprio in virtù delle

attività che il CEO proponeva a tutti i dipendenti. Dall'altra era riuscito a

coinvolgere così tanto sia le agenzie di rating che gli operatori di borsa

facendo passare ENRON per una società sicura ed economicamente solida.

In questo senso Skilling era riuscito nel compito di essere un leader

eccellente, era riuscito a creare assertività, spirito di gruppo, redditività

(presunta) per una multinazionale, era riuscito inoltre ad avere il benestare

delle principale agenzie di rating non considerando però che tutto questo è

“costato” circa 70 miliardi di dollari e 20.000 posti di lavoro.

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1.5 L'abuso del senso Etico in azienda

Concretamente, le aziende, tramite i loro manager, rivolgono concetti

del tutto contraddittori e stridenti in modo tale da affermare tutto e il contrario

di tutto allo stesso momento. Seduzione e intimidazione sono gli ingredienti

principali dei concetti veicolati dai manager. Il manager seduce, promette

molto, fa leva sul sentimento etico per far credere che tutto è realizzabile.

L'intimidazione invece, viene utilizzata come un metodo che è stato a lungo

collaudato dalla chiesa in questo senso. Se il successo cioè è alla portata di

tutti come si è visto nel capitolo riguardante ENRON, per quanto riguarda il

principio della seduzione, è evidente che coloro che non hanno avuto

successo, non hanno ben compreso i messaggi o non hanno applicato le

ricette giuste o, infine, non si sono impegnati a sufficienza. Seguendo i due

casi sopraesposti non possiamo non considerare che quando un'azienda

crede di essere un luogo di costruzione del senso o di condivisione di scopi,

evidentemente usa un pretesto per celare l'obiettivo principale che risulta

essere la condivisione degli utili tra i soci. Utilizzare il termine etica serve

esclusivamente a evitare il giudizio da parte della società civile. Nella realtà

sarebbe sufficiente non essere ipocriti e non cercare in ogni modo di celare

e nascondere quello che invece è un dato inconfutabile ovvero che le

società al giorno d'oggi fanno appello a valori inconciliabili tra loro, La

necessità di realizzazione personale con l'eccellenza, l'autonomia ma anche

il conformismo. In questo senso i leader aziendali, oggi manager, sono

chiamati innanzitutto ad essere loro stessi conformi a questo sistema di

ambiguità e devono essere d'esempio nei confronti dei soggetti che

collaborano con loro.

E' importante precisare che non c'è nulla di immorale nel richiedere

l'eccellenza al personale per ottimizzare ed aumentare i profitti, scopo

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oltretutto di ogni attività produttiva. Quello che non è sostenibile è che per

arrivare a questo si faccia ricorso alla retorica sulla propria realizzazione

personale per far credere che ogni dipendente e parte integrante della

crescita che si vuole realizzare. In questo modo oltre a generare

incomprensione non si riconosce più l'importanza del lavoro nella vita di ogni

individuo ma si riduce l'uomo al suo lavoro facendogli credere il contrario.

L'etica degli affari risulta essere incoerente rispetto a quello che dichiara e

non tiene conto soprattutto di una caratteristica fondamentale dell'uomo

applicata alla società ed al lavoro. Ogni essere umano ha un percorso

personale molto articolato. Ogni uomo ha obiettivi, desideri, aspirazioni ma

nel corso della vita questi possono anche cambiare e modificarsi. La

caratteristica più importante di ogni uomo è probabilmente proprio la grande

capacità di confrontarsi con situazioni che possano mettere in discussione le

sue concezioni della vita ma anche le sue idee. Questa caratteristica unica e

imprescindibile viene ridotta ai minimi termini dalla precarietà della nostra

società, in quanto, diventa molto difficile essere attori del proprio destino

quando la flessibilità o la mobilità forzata lo impediscono.

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1.6 La valutazione Manageriale

Se oltre alla difficoltà di poter pianificare un proprio percorso di

crescita personale si aggiunge anche l'ansia delle valutazioni in ambito

lavorativo il quadro diventa completo. Durante la crisi economica degli anni

Ottanta i manager cominciano a esaminare l'ipotesi che il lavoro di ogni

soggetto può essere sottoposto a controllo e valutazione. Il principio fino ad

allora valido secondo cui il lavoratore fedele veniva in qualche modo protetto

dal datore di lavoro, a meno di un fallimento, lascia il posto al concetto di

impiegabilità del lavoratore. Diventa perciò indispensabile per le aziende

ideare una sorta di modello con il quale giudicare l'operato del lavoratore per

verificarne appunto l'impiegabilità. Le competenze vengono definite dai

manager del lavoro come combinazioni di varie capacità. Le abilità tecniche

sono considerate le più importanti. Infatti una delle critica mosse a questa

concezione di pensiero è proprio relativa al fatto che tutti, dai manager agli

impiegati vengono giudicati esclusivamente per le loro capacità tecniche e

non anche per le virtù morali che portano con sè. Altra importante

caratteristica è rappresentata dall'esperienza che il soggetto viene ad

acquisire dall'ambito lavorativo, tutto quel bagaglio di conoscenze che

vengono acquisite nel posto di lavoro contribuiscono ad alimentare tali

competenze lavorative. Sebbene possa sembrare che queste caratteristiche

si dimostrino utili al soggetto che le possiede quali bagaglio personale, in

realtà diventano oggetto di continua analisi ed aggiornamento. Queste

competenze infatti, vengono richieste con lo scopo di aumentare sempre di

più la redditività. Diventa perciò una sorta di corsa contro il tempo per

riuscire in qualche modo ad essere sempre un passo avanti, non per

crescita personale ma per sopravvivere all'interno delle realtà lavorative.

Tutto questo prende il nome di gestione delle risorse umane.

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L'individuo contemporaneo è ossessionato dal controllo sul proprio

lavoro, deve considerare di “essere padrone del proprio tempo lavorativo”

per poter essere libero di controllare la propria vita privata. Questa forma di

follia viene generata appunto dalle spinte provocate dalla valutazione

manageriale e dall'esigenza di essere sempre pronti ad affrontare una nuova

giornata lavorativa.

Questo meccanismo perverso che coinvolge il lavoratore viene usato

da molta parte di una classe manageriale che in virtù della posizione

occupata porta gli individui al limite delle proprie possibilità. Gestire e

valutare i dipendenti, stabilire la loro competenza ed impiegabilità genera

questo tipo di schizofrenia. Parlare di gestione del personale però è

sbagliato in quanto il verbo gestire significa amministrare e di norma viene

usato per indicare beni, interessi o affari. In senso lato, il termine può essere

usato nel senso di organizzare. Il verbo dominare invece implica l'idea del

controllo: si può dominare una persona osservandola, dominando le sue

passioni, emozioni o istinti. Tutto quello che riguarda la comunicazione in

azienda implica che il dipendente è messo di fronte a un numero sempre

crescente di rappresentazioni e discorsi che rimandano all'idea di controllo e

di dominio. Quello che viene identificato come un principio di

autoaffermazione per poter essere un elemento in azienda, riguarda la

capacità di essere responsabile della propria condizione lavorativa e delle

proprie competenze, non è ammissibile che per arrivare a simili risultati si

debba andare incontro a derive psicologiche se non è possibile tenere tutto

sotto controllo o a gestire ogni cosa. Questo non significa incompetenza ma

consapevolezza che portare un soggetto ai limiti delle sue capacità per

verificare il suo grado di impiegabilità e giudicarlo per ciò che non è stato in

grado di fare è un sistema folle di controllo che non può più essere applicato

nella nostra società.

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1.7 Il Manager officiante della tecnica

Se consideriamo che i parametri base sui quali viene misurata

l'impiegabilità di una persona sono l'efficienza e l'efficacia non possiamo che

considerare la nostra come l'era della tecnica. I parametri infatti di efficienza

ed efficacia sono cardini del fare organizzativo. In molte realtà aziendali e

soprattutto quando si parla di formazione ci si riferisce non a “collaboratori”

ma a “risorse”, “risorse umane”. Il carattere prevalentemente strumentale

alla base di questa considerazione pone i soggetti impiegati nelle

organizzazioni produttive ad essere prima di ogni altra cosa dei mezzi per

raggiungere uno scopo, il profitto.

Il manager tecnico non è altro che un officiante della tecnica,20 applica

cioè la medesima strategia per governare ogni ambito dell'uomo. Tutto ciò

che può essere quantificato come prestazione, legato cioè, secondo una

valutazione efficientistica, a parole come produttività, innovazione e

ottimizzazione. Tutto ciò che è “invisibile” agli occhi di queste persone, viene

totalmente ignorato. L'aspetto esistenziale delle persone non trova spazio, in

quanto non interessa all'apparato tecnico strumentale. La ricerca di un

senso, al di là del fare tutto e subito, viene in qualche modo boicottata, in

quanto, placherebbe troppe le ansie che nell'organizzazione vengono invece

alimentate proprio per mantenere e riprodurre il passo e la velocità imposte

dalla tecnologia. Il pensare organizzativo ne risulta impoverito, viene

semplificato per essere asservito ai ritmi imposti dall'acquisizione di

competenza tecnologia, sempre più disponibile, e appunto valutabile dai

manager. I tempi di produzione, anche intellettuale, sono compressi, ristretti;

la velocità regna sovrana nelle organizzazioni. Si genera una sensazione

legata alla valutazione che fa sentire i dipendenti in “perenne ritardo” sul loro

20 A. Vitullo: Leadership riflessive, APOGEO, MILANO, 2006 pag. 2

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lavoro. E' come se la libertà acquisita con il lavoro sia legata saldamente al

principio del “cosa so fare”. La condizione essenziale per essere liberi è

quella di essere competenti in qualcosa all'interno del contesto lavorativo

che ha bisogno di quella particolare competenza. Nel momento in cui il

dipendente viene valutato in modo positivo in relazione al grado di

competenza raggiunto, viene automaticamente acquisita la possibilità di

lavorare secondo il target che l'azienda ha imposto. Se però un soggetto

aspirasse a essere qualcuno con competenze diverse da quelle già

acquisite, crollano tutti gli equilibri appena descritti, in quanto il mio essere

nel mondo dei legami professionali non è più funzionale al sistema, in sintesi

non sono più valutabile, o meglio sono valutabile negativamente. In questo

modo nelle realtà aziendali il processo di valutazione indica la capacità di

essere competenti per essere alla fine liberi. Indubbiamente questo crea uno

sfaldamento tra vita lavorativa e vita privata dove invece risiedono le

aspirazioni personali. Essere identificati solo ed esclusivamente per le

proprie competenze tecniche rivela l'illusorietà del senso di libertà se

applicato in azienda. Si crea come una sorta di schizofrenia dove da una lato

c'è l'individuo socialmente e lavorativamente inserito che grazie alla propria

competenza è in grado di far crescere la realtà lavorativa e dall'altra il

soggetto privato, con le sue aspirazioni, passioni ed anche intuizioni che

però non trovano posto all'interno della società della tecnica. Vale la pena

richiamare un momento il concetto di Libertà secondo Platone per

confrontarlo con il significato deviante che è stato esposto poco sopra.

Essere liberi significa nutrire da dentro il proprio daìmon, quel demone che

secondo Platone appunto ciascuno di noi riceve come compagno prima della

nascita e che costituisce la chiave per leggere la propria vocazione, la

propria chiamata, quel qualcosa che da dentro ci porta a essere in un certo

modo e a fare determinate scelte, per liberare la vita e “realizzarsi” sulla

terra secondo un disegno divino.

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Tutto quello che il manager è chiamato a fare non è altro che

coordinare nel migliore dei modi quelle che sono le risorse umane in azienda

per ottenere il massimo risultato. Un ulteriore problema è rappresentato dal

fatto che attualmente parlare di altre competenze oltre a quelle tecniche

risulta fonte di derisione dalla stragrande maggioranza delle persone.

Declassare però l'etica a fare esclusivo della tecnica come abbiamo visto è

un grave errore. Quest'anno, è soprattutto nell'ultimo periodo, abbiamo

assistito oltre al crollo dei mercati finanziari anche al crollo del governo

italiano e la formazione di un governo tecnico che dovrebbe consentire,

secondo il programma esposto in questi giorni, di uscire dalla crisi di cui il

nostro paese, per tutta una serie di motivi che non sono tema del presente

elaborato, è vittima. Da ogni parte politica e sociale la voce è unanime. Si

richiede ai cittadini tutta una serie di sacrifici perché la salvezza del paese e

della moneta europea è l'unico modo per evitare il fallimento dello stato.

Verranno perciò avviati tutta una serie di pacchetti per rendere effettiva in

tempi brevi una manovra di correzione sui conti pubblici. Questo preambolo

serve per contestualizzare un principio. In un ipotesi di governo tecnico,

dove perciò le scelte devono essere distanti dalle posizioni politiche di

ciascuno in quanto la situazione è di emergenza, si chiede ai cittadini di

stringere i denti. I sacrifici dovranno essere fatti da tutti per il bene comune.

Questo slancio paternalistico non è altro che l'etica utilizzata a favore e

come paravento per la tecnica. Non volendo entrare nel merito di ogni

decisione assunta dal governo, in quanto non è oggetto dell'elaborato, non si

può non considerare che è in virtù di scelte tecniche assunte dai governi

precedenti, di qualunque corrente politica essi siano stati, che si è giunti ad

una simile situazione. Ora però per spronare i cittadini si ricorre al senso

etico dello stato perché risulta più facile coinvolgere le persone con delle

dichiarazioni simili piuttosto che con un'analisi tecnica e non politica che

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spieghi come la situazione si sta evolvendo e soprattutto una spiegazione

chiara del motivo reale per cui ci troviamo in questa situazione. E' tra l'altro

evidente proprio in questi giorni che i cittadini, in modo particolare la

categoria degli autotrasportatori, non riescono più a far fronte all'aumento

del costo del carburante deciso dal governo qualche settimana fa.21 Perché

si è giunti a questo punto? Perché delle scelte così dannose per l'economia

di un paese? Domande lecite che necessitano di una spiegazione tecnica

che sia però moralmente fondata.

L'etica ancora una volta è stata messa da parte ed è stato preferita la

tecnica come guida nelle decisioni. Nella realtà è l'etica che deve muovere i

soggetti e le scelte di quest'ultimi. Oggi infatti la tecnica non ci consente di

pensare la storia iscritta in un fine, l'unica etica possibile è quella che si fa

carico della pura processualità, che, come il percorso del viandante, non ha

in vista un meta.22

Non è il più il “dovere” che prescrive il “fare” ma il “dovere” che deve

inseguire e fare i conti con gli effetti già prodotti dal “fare”. Ancora una volta è

l'etica a dover rincorrere la tecnica, e a doversi confrontare con la propria

impotenza. Il fatto che la tecnica non sia ancora totalitaria, il fatto che quattro

quinti dell'umanità viva di prodotti tecnici, ma non ancora di mentalità tecnica

non è un buon segnale. Proseguendo in questo modo, e il mondo del lavoro

ne è una dimostrazione tangibile si arriverà a quello che Galimberti definisce

“l'assoluto tecnico”, ovvero verso una macchina mondiale. Questo processo

è già iniziato ma la nostra condizione psicologica non ha ancora

interiorizzato questo fatto, quindi non è all'altezza delle procedure che

21 http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/24/sciopero-camionisti-paralizza-paesebenzina-alimenti-

freschi-scarseggiano/186211/ 22 Berra E.L., D'Angelo M., counseling filosofico e ricerca di senso, LIGUORI, NAPOLI,

2008

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utilizza.

Quello che si viene a creare è una sorta di spaesamento in cui si

annuncia una realtà diversa, non più quella in cui l'etica è sovrana del

mondo e domina il suo regno ma la “tecnica del viandante” che al limite non

domina neppure la vita in quanto come abbiamo visto il sapere tecnico è

molto maggiore rispetto alle capacità che ci sono state riservate per

controllarlo.

Tornando al tema principale, il Manager tecnico, quest'ultimo proprio

per il ruolo rivestito all'interno delle realtà produttive ha la funzione di

condizionare aspetti tecnici, professionali e umani dei soggetti lavoratori. Il

manager, con la sua funzione di tecnico, ha la capacità di influenzare oltre

alla professione anche la vita delle persone che lavorano all'interno

dell'ambito produttivo.

Ogni decisione presa dal manager più che avere un carattere

prettamente tecnico dovrebbe essere intrisa di aspetti morali ed etici,

sempre guardando al risultato che deve raggiungere il soggetto che occupa

una determinata posizione. Il manager deve essere consapevole che non

sta gestendo delle risorse economiche ma degli individui.

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1.8 Il Managerialismo

Gran parte della letteratura manageriale poggia le sue radici sul

principio del managerialismo. Alla base di tutto questo principio è che solo

ciò che è misurabile può essere valutato e che la valutazione morale di ogni

struttura sociale è strettamente dipendente dall'applicazione di determinate

tecniche manageriali proprie del managerialismo.23 La base culturale,

peraltro totalmente inesistenze e faziosa indica come i concetti di morale ed

etica vengano trattati senza conoscerne profondamente il significato. Con il

principio della valutazione di ciò che è misurabile si è fondata buona parte

della teoria del management dei giorni nostri.

Il cosiddetto “managerialismo”, è stato definito da Andrew Bartlett e

David Seth Preston autori di “filosofia del management”, come un insieme di

tecniche e di lavori associati, di comportamenti che conseguono all'aver

aderito ad approcci strategici per il perseguimento e il monitoraggio degli

obiettivi all'interno dei sistemi organizzativi.

Come già accennato il managerialismo è supportato da un sistema di

valutazione al quale frequentemente ci si riferisce come “l'etica dell'efficacia”

(altra definizione che utilizza il termine etica per creare ambiguità). Questa si

basa su una razionalità di tipo strumentale, esemplificata da tecniche quali

ad esempio l'analisi costi-benefici. Sono state elaborate oltre a delle ragioni

empiriche anche delle teorie filosofiche per sostenere che “l'etica

dell'efficiacia” che fa capo al managerialismo è lo standard etico dominante

negli affari. Questo significa in sintesi, che tale “etica” definisce gli standard

di razionalità attraverso i quali le azioni e le situazioni sono giudicate

moralmente desiderabili. La razionalità, in questo senso, viene introdotta dal

23 A. Bartett e D. S. Preston: Not nice, not in control PHILOSOPHY OF MANAGEMENT, 2003

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managerialismo con il termine di “strumentalismo”. La moralità viene perciò

associata automaticamente a qualunque cosa sia considerata strumentale

per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Le società di consulenza, detentrici dei principi cardine del

managerialismo, hanno consolidato nella comunità economica una

posizione di potere per rendere efficienti migliaia di organizzazioni nel

mondo. In questo senso, quando si parla di rendere efficienti si intende che i

lavoratori vengono metaforicamente vivisezionati solo in relazione agli effetti

che possono produrre rispetto agli obiettivi e strategie definite dai consulenti

insieme ai manager. Il fenomeno ha i suoi nomi che tra gli altri sono

McKinsey Group, Boston Consulting Group, Accenture e altre che vengono

richieste e pagate per mettere mano sui bilanci aziendali e organigrammi.

Sviluppano analisi strategiche e disegnano scenari, plasmando e

influenzando i pensieri organizzativi e le visioni di business. Operano in

questo senso leggendo i fatti e gli aspetti organizzativi e strategici. Danno la

loro valutazione del mercato, prevedono quali devono essere le valutazioni o

le scelte e le possibili soluzioni da applicare secondo modelli standardizzati,

applicabili se non con qualche aggiustamento, a tutte le realtà organizzative.

Queste società di consulenza esportano in quasi tutte le

organizzazioni i loro metodi, colonizzano in un certo senso con i loro

processi di analisi e sintesi i consigli di amministrazione e le riunioni,

selezionano il personale e danno premi a chi applica con intelligenza e

creatività un metodo ormai consolidato. Queste società hanno assunto oggi

addirittura un ruolo di legittimazione del lavoro dei top manager,

accreditando gli stessi agli occhi di società e azionisti. Tra le varie società

operanti nel mercato poniamo l’attenzione su Mc Kinsey

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1.8.1 Mc KINSEY

Uno dei chiari esempi di società di matrice managerialista è Mc

Kinsey. Questa società, fondata nel 1923 è diventata negli anni una società

di consulenza strategica tra le più importanti. Si tratta di un vivaio di leader,

quasi di una casta, dove i membri negli anni hanno ricoperto dei ruoli molto

importanti in banche, assicurazioni, società di telecomunicazioni e finanza di

tutto il mondo.

Questa società si occupa di aiutare i propri clienti a diventare efficienti

ed efficaci. Fornisce tecniche e strumenti validi non solo per il profitto e la

crescita aziendale ma anche per la carriera delle figure dirigenziali.

Ovviamente per poter fare questo McKinsey deve dotarsi e trovare le figure

più adatte nel mercato del lavoro.

Il metodo per reclutare nuovi soci all’interno della società prevede

selezioni e test ai neolaureati e agli studenti freschi di master delle più

prestigiose scuole del mondo. Questi studenti, vengono sedotti da

prospettive di rapida crescita manageriale ed economica, quasi come se

fosse una scalata meritoria che apre le porte di una élite di professionisti a

contatto con il mondo degli affari. Viene richiesta una totale e completa

devozione alla società, compresi ovviamente incarichi all'estero per periodi

lunghi, attività lavorativa full time oltre ad un qualità del lavoro elevatissima.

Il gruppo McKinsey è dotato di una fortissima cultura aziendale che si

traduce in valori ed esperienze condivise. Viene spesso organizzato anche il

tempo libero dei propri dipendenti attraverso i cosiddetti “manager's

meeting”: riunioni organizzate in posti prestigiosi per fasare, in contesti più

rilassati, missione, valori e obiettivi dell’azienda e strategie per i clienti. E'

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evidente che queste formule vengono utilizzate per aumentare ancora di più

questa cultura omologativa.

Il principio che McKinsey vuole rivelare vincente è che essere

conformati e dentro il gruppo è la cosa più conveniente e redditizia. Questa

affermazione rivela di per sè un grosso difetto che deriva proprio dalla

mancanza di presa di coscienza della propria individualità da parte di coloro

che vi appartengono. Tutto questo evidenzia un altro punto fondamentale,

ovvero, nel momento in cui tutti i movimenti e tutte le decisioni del singolo

vengono decise dalla direzione, è evidente che il dubbio e la domanda non

sono ammesse. Questo provoca una progressiva perdita della propria

personalità a favore di un conformismo che mira alla qualità totale in ambito

tecnico ma perde di vista tutti i motivi per i quali un leader deve essere tale,

ivi compresa la capacità di prendere delle decisioni in autonomia e

coscienza morale.

Esprimere una diversità è consentito solo per ciò che concerne il

“contenuto” del problema, non per ciò che riguarda il “modo” con cui il

problema viene affrontato. Il metodo che sta lentamente colonizzando gli

immaginari del business non contempla la possibilità del dubbio, del “non

so”, e premia invece la soluzione e la risposta immediata. Il trionfo del

metodo vuol dire il trionfo della soluzione praticabile, della risposta e del

percorso che mette tutti a proprio agio, che non crea perciò incertezze da

gestire nel tempo.

Il mondo del business “fa” il mondo secondo questa società. Crea

mondi di scelte per le aziende, organizza, comunica, plasma identità

esclusivamente economiche in relazione alle persone.

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In questo senso, parlare di vera leadership o anche solamente di

capacità gestionale delle proprie capacità tecniche e della propria coscienza

morale risulta inutile. Anche se ci troviamo di fronte alla totale mancanza di

senso etico a livello lavorativo, il pensiero derivante dalle società di

consulenza e formazione manageriale come appunto Mc Kinsey è

attualmente radicato in moltissime realtà aziendali italiane. Con le loro teorie

influenzano pesantemente i rapporti tra le persone. Creano omologazione,

conformità nei ragionamenti e soprattutto eliminano tutte quelle situazioni

dove i soggetti, seppur con rigore e logica tentano di far emergere le

contraddizioni rispetto alla scelte aziendali o societarie. In molti casi, chi non

si conforma al target diventa un outsider. Normalmente, in queste situazioni i

soggetti che non si conformano sono proprio quelli che, per loro formazione

morale tendono a considerare sia le implicazioni economiche che quelle

morali rispetto alla mission aziendale. Cercare di mettere un dubbio e minare

le fondamenta di posizioni così radicate risulta molto difficile.