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11 ICTUS ACUTO: MONITORAGGIO E COMPLICANZE NELLA FASE DI STATO La fase acuta dell’ictus rappresenta una delle condizioni neurologiche, e più in generale medi- che, che richiedono, e indubbiamente beneficiano, di una gestione assistenziale mirata al pron- to riconoscimento e cura di possibili complicanze. Tale esigenza nasce da un lato dalle peculiarità fisiopatologiche dell’ictus, in cui le disfunzio- ni del sistema cardiovascolare svolgono un ruolo preponderante, dall’altro dalla destabilizza- zione neurologica e cardiovascolare che può intervenire imprevedibilmente in via secondaria sia alle alterazioni morfologiche e funzionali del tessuto cerebrale in corso di infarto sia, in alcuni casi, alla sede specifica coinvolta (es. insula). La maggioranza delle complicanze dell’ictus può essere affrontata con successo tramite inter- venti medici tempestivi e una assistenza continua. Circa il 25% dei pazienti con ictus peggiora durante le prime 24-48 ore di ricovero, 1,2 un rima- nente 10% può ancora peggiorare dopo 96 ore, 1 ed è stato descritto un peggioramento anche dopo una settimana dall’esordio dei sintomi. 2 Nella maggior parte dei casi è difficile prevede- re la comparsa di deterioramento per cui tutti i pazienti dovrebbero essere considerati a rischio di peggioramento neurologico, e tutto il periodo nel quale tale evoluzione è possibile deve essere considerato fase acuta. È in questa fase che la gestione generale del paziente secon- do protocolli standardizzati può modificare significativamente l’evoluzione clinica. In uno studio pilota, 3 il monitoraggio in fase acuta dell’ictus dei parametri fisiologici e il loro mantenimento a livelli omeostatici, si è dimostrato in grado di ridurre il peggioramento neu- rologico precoce. Vi sono, inoltre, evidenze sperimentali che attribuiscono un ruolo di tipo neuroprotettivo alla pronta correzione dell’alterazione dei parametri fisiologici. 4 Tale tipo di approccio all’ictus acuto viene raccomandato anche da Consensus Conference di esperti a livel- lo internazionale. 5 Pertanto, le funzioni vitali e lo stato neurologico dovrebbero essere valuta- ti frequentemente durante le prime 24-48 ore dall’esordio di un ictus. Va segnalato per com- pletezza di informazione che per ora non è dimostrata inequivocabilmente l’utilità del moni- toraggio strumentale continuo agli effetti di un migliore esito, e l’argomento rimane contro- verso in attesa di più chiare dimostrazioni. 6-8 Il monitoraggio neurologico e pressorio dovrebbe proseguire nei primi giorni di mobilizza- zione, la quale è indicata il più precocemente possibile (§ 11.10). 11.1 MONITORAGGIO CARDIOLOGICO La stretta correlazione tra ictus ischemico e patologie cardiache è stata ampiamente eviden- ziata in passato. 9 Nella gestione del paziente con ictus ischemico acuto risulta, quindi, essen- ziale considerare la possibile coesistenza o insorgenza di disturbi cardiologici tra cui l’infarto miocardico acuto, l’insufficienza cardiaca congestizia, le aritmie e la morte improvvisa, 10,11 la cui prognosi è fortemente legata alla tempestività dell’intervento. Alterazioni del tracciato ECG, come ad esempio l’inversione dell’onda T, si possono verificare nel 15%-70% dei pazienti con ictus acuto, in particolare in caso di emorragia subaracnoidea o intracerebrale. 12 Nell’ictus acuto, il rilascio di catecolamine può precipitare l’insorgenza di alterazioni del ritmo e/o della funzionalità cardiaca (scompenso cardiaco, infarto miocardico acuto). 13 Le aritmie cardiache, in particolare la fibrillazione atriale, possono associarsi all’ictus. 11,14 Esse raggiun- gono la massima incidenza nelle prime 24-48 ore dall’esordio dell’ictus ed in alcuni casi sono ad elevata mortalità. 15 Pertanto il monitoraggio ECG continuo è indicato durante tutto l’arco delle prime 48 ore per rilevare aritmie potenzialmente pericolose, in particolare, in pazienti con una delle seguenti condizioni: cardiopatie preesistenti, storia di aritmie, pressione arterio- sa instabile, elementi dell’esame obiettivo suggestivi di insufficienza cardiaca, alterazioni dell’ECG di base 11,12,16 e nei casi in cui siano coinvolti i territori profondi dell’arteria cerebrale media e in particolare la corteccia insulare. 17 In assenza di monitoraggio continuo è auspica- bile effettuare controlli ECG ripetuti nelle prime 24 ore. Se le indagini cardiologiche di base evidenziano la presenza di anomalie, può essere indicato l’uso di procedure diagnostiche più sofisticate o il prolungamento del monitoraggio. In caso di insufficienza cardiaca clinicamen- te conclamata è indicata l’esecuzione dell’ecocardiogramma transtoracico. Raccomandazione 11.1 Grado D Nelle prime 48 ore dall’esordio di un ictus è indicato il monitorag- gio delle funzioni vitali e dello sta- to neurologico. Questo va prose- guito in caso di instabilità clinica. Raccomandazione 11.2 Grado D Laddove sia disponibile, il moni- toraggio ECG continuo è indicato nelle prime 48 ore dall’esordio di ictus nei pazienti con una delle seguenti condizioni: cardiopatie preesistenti, storia di aritmie, pressione arteriosa instabile, ele- menti clinici suggestivi di insuffi- cienza cardiaca, alterazioni dell’ECG di base e nei casi in cui siano coinvolti i territori profondi dell’arteria cerebrale media e in particolare la corteccia insulare. In caso di instabilità clinica il monitoraggio va proseguito oltre le 48 ore. Raccomandazione 11.3 Grado D Qualora non sia disponibile la strumentazione per il monitorag- gio continuo sono indicati con- trolli ECG ripetuti nelle prime 24 ore. In caso di insufficienza car- diaca clinicamente conclamata è indicata l’esecuzione precoce dell’ecocardiogramma transtora- cico. Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 251 stesura 15 marzo 2005

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11 ICTUS ACUTO: MONITORAGGIO E COMPLICANZENELLA FASE DI STATO

La fase acuta dell’ictus rappresenta una delle condizioni neurologiche, e più in generale medi-che, che richiedono, e indubbiamente beneficiano, di una gestione assistenziale mirata al pron-to riconoscimento e cura di possibili complicanze.

Tale esigenza nasce da un lato dalle peculiarità fisiopatologiche dell’ictus, in cui le disfunzio-ni del sistema cardiovascolare svolgono un ruolo preponderante, dall’altro dalla destabilizza-zione neurologica e cardiovascolare che può intervenire imprevedibilmente in via secondariasia alle alterazioni morfologiche e funzionali del tessuto cerebrale in corso di infarto sia, inalcuni casi, alla sede specifica coinvolta (es. insula).

La maggioranza delle complicanze dell’ictus può essere affrontata con successo tramite inter-venti medici tempestivi e una assistenza continua.

Circa il 25% dei pazienti con ictus peggiora durante le prime 24-48 ore di ricovero,1,2 un rima-nente 10% può ancora peggiorare dopo 96 ore,1 ed è stato descritto un peggioramento anchedopo una settimana dall’esordio dei sintomi.2 Nella maggior parte dei casi è difficile prevede-re la comparsa di deterioramento per cui tutti i pazienti dovrebbero essere considerati arischio di peggioramento neurologico, e tutto il periodo nel quale tale evoluzione è possibiledeve essere considerato fase acuta. È in questa fase che la gestione generale del paziente secon-do protocolli standardizzati può modificare significativamente l’evoluzione clinica.

In uno studio pilota,3 il monitoraggio in fase acuta dell’ictus dei parametri fisiologici e il loromantenimento a livelli omeostatici, si è dimostrato in grado di ridurre il peggioramento neu-rologico precoce. Vi sono, inoltre, evidenze sperimentali che attribuiscono un ruolo di tiponeuroprotettivo alla pronta correzione dell’alterazione dei parametri fisiologici.4 Tale tipo diapproccio all’ictus acuto viene raccomandato anche da Consensus Conference di esperti a livel-lo internazionale.5 Pertanto, le funzioni vitali e lo stato neurologico dovrebbero essere valuta-ti frequentemente durante le prime 24-48 ore dall’esordio di un ictus. Va segnalato per com-pletezza di informazione che per ora non è dimostrata inequivocabilmente l’utilità del moni-toraggio strumentale continuo agli effetti di un migliore esito, e l’argomento rimane contro-verso in attesa di più chiare dimostrazioni.6-8

Il monitoraggio neurologico e pressorio dovrebbe proseguire nei primi giorni di mobilizza-zione, la quale è indicata il più precocemente possibile (§ 11.10).

11.1 MONITORAGGIO CARDIOLOGICO

La stretta correlazione tra ictus ischemico e patologie cardiache è stata ampiamente eviden-ziata in passato.9 Nella gestione del paziente con ictus ischemico acuto risulta, quindi, essen-ziale considerare la possibile coesistenza o insorgenza di disturbi cardiologici tra cui l’infartomiocardico acuto, l’insufficienza cardiaca congestizia, le aritmie e la morte improvvisa,10,11 lacui prognosi è fortemente legata alla tempestività dell’intervento. Alterazioni del tracciatoECG, come ad esempio l’inversione dell’onda T, si possono verificare nel 15%-70% deipazienti con ictus acuto, in particolare in caso di emorragia subaracnoidea o intracerebrale.12

Nell’ictus acuto, il rilascio di catecolamine può precipitare l’insorgenza di alterazioni del ritmoe/o della funzionalità cardiaca (scompenso cardiaco, infarto miocardico acuto).13 Le aritmiecardiache, in particolare la fibrillazione atriale, possono associarsi all’ictus.11,14 Esse raggiun-gono la massima incidenza nelle prime 24-48 ore dall’esordio dell’ictus ed in alcuni casi sonoad elevata mortalità.15 Pertanto il monitoraggio ECG continuo è indicato durante tutto l’arcodelle prime 48 ore per rilevare aritmie potenzialmente pericolose, in particolare, in pazienticon una delle seguenti condizioni: cardiopatie preesistenti, storia di aritmie, pressione arterio-sa instabile, elementi dell’esame obiettivo suggestivi di insufficienza cardiaca, alterazionidell’ECG di base 11,12,16 e nei casi in cui siano coinvolti i territori profondi dell’arteria cerebralemedia e in particolare la corteccia insulare.17 In assenza di monitoraggio continuo è auspica-bile effettuare controlli ECG ripetuti nelle prime 24 ore. Se le indagini cardiologiche di baseevidenziano la presenza di anomalie, può essere indicato l’uso di procedure diagnostiche piùsofisticate o il prolungamento del monitoraggio. In caso di insufficienza cardiaca clinicamen-te conclamata è indicata l’esecuzione dell’ecocardiogramma transtoracico.

Raccomandazione 11.1Grado DNelle prime 48 ore dall’esordio diun ictus è indicato il monitorag-gio delle funzioni vitali e dello sta-to neurologico. Questo va prose-guito in caso di instabilità clinica.

Raccomandazione 11.2Grado DLaddove sia disponibile, il moni-toraggio ECG continuo è indicatonelle prime 48 ore dall’esordio diictus nei pazienti con una delleseguenti condizioni: cardiopatiepreesistenti, storia di aritmie,pressione arteriosa instabile, ele-menti clinici suggestivi di insuffi-cienza cardiaca, alterazionidell’ECG di base e nei casi in cuisiano coinvolti i territori profondidell’arteria cerebrale media e inparticolare la corteccia insulare.In caso di instabilità clinica ilmonitoraggio va proseguito oltrele 48 ore.

Raccomandazione 11.3Grado DQualora non sia disponibile lastrumentazione per il monitorag-gio continuo sono indicati con-trolli ECG ripetuti nelle prime 24ore. In caso di insufficienza car-diaca clinicamente conclamata èindicata l’esecuzione precocedell’ecocardiogramma transtora-cico.

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Raccomandazione 11.4Grado DIl monitoraggio, continuo odiscontinuo, dello stato di ossige-nazione ematica è indicato alme-no nelle prime 24 ore dall’esordiodi un ictus medio-grave. In casodi anomalie va proseguito finoalla stabilizzazione del quadrorespiratorio.

Raccomandazione 11.5Grado DNella fase di stato la sommini-strazione routinaria di ossigenonon è indicata nei pazienti conictus acuto.La somministrazione di ossigenoè indicata nei pazienti in stato diipossiemia (SaO2 <92%).

In caso di ipossiemia moderata,in assenza di alterazioni delrespiro, è indicata la sommini-strazione di ossigeno a 2-4L/min, avviando la somministra-zione con elevate concentrazionidi ossigeno da ridurre successi-vamente in base ai dati di SaO2.

11.2 OSSIGENAZIONE EMATICA

Un altro punto critico nella gestione ottimale dell’ictus acuto è il mantenimento di una ade-guata ossigenazione tessutale.18 L’ipossia, promuovendo il metabolismo anaerobico e la deple-zione delle riserve energetiche, ostacola il potenziale recupero della zona di penombra ische-mica aggravando l’estensione dell’area infartuata e peggiorando la prognosi. Le più comunicause di ipossia sono rappresentate dall’ostruzione parziale delle vie aeree, dalla polmonite abingestis, dalle atelettasie e dall’ipoventilazione relativa, ad esempio, a scompenso cardiaco, adembolia polmonare, a estesi infarti cerebrali emisferici o vertebrobasilari, ad ampie raccolteemorragiche o a sostenuta attività epilettica da ictus emisferici. La ventilazione può peggiora-re durante il sonno. Pertanto il monitoraggio, continuo o discontinuo, dello stato di ossigena-zione ematica tramite, rispettivamente, pulsiossimetria o emogasanalisi è indicato almeno nelleprime 24 ore dall’esordio dell’ictus e va proseguito fino alla normalizzazione e/o stabilizzazio-ne del quadro respiratorio.

La posizione sollevata del tronco può essere consigliabile per il suo effetto favorevole sullasaturazione di ossigeno e sulla riduzione della pressione intracranica.19

Non vi sono tuttora dati a favore dell’efficacia della somministrazione routinaria dell’ossige-no-terapia, che risulta addirittura sconsigliata negli ictus di gravità lieve o moderata,20 e che vainvece indirizzata a quei pazienti in stato di ipossia documentata dall’emogasanalisi o in statodi desaturazione alla pulsiossimetria (saturazione O2 <92%). In questi pazienti, la sommini-strazione di ossigeno a 2-4 L/min per via inalatoria in genere migliora lo stato di ossigenazio-ne ematica e risulta sufficiente per la correzione dell’ipossiemia moderata in assenza di altera-zioni del respiro.16

È opportuno in questi casi avviare la somministrazione con elevate concentrazioni di ossige-no, riducendole successivamente in relazione ai dati della pulsiossimetria e della emogasanali-si. Se il paziente rimane ipossiemico in ventilazione spontanea ad alti flussi, è possibile appli-care una pressione positiva continua alle vie aeree (CPAP: Continuous Positive AirwayPressure) al fine di reclutare il maggior numero possibile di alveoli polmonari. Tale supportoventilatorio non invasivo (effettuato cioè senza intubazione tracheale, ma attraverso unamaschera facciale o nasale) richiede un certo grado di collaborazione da parte del paziente chedeve essere in grado di mantenere un adeguato volume corrente spontaneo e di tossire effica-cemente; inoltre può provocare distensione gastrica.21

L’assistenza ventilatoria manuale è indicata se il paziente è in apnea, se il suo volume correntespontaneo è insufficiente, se è opportuno ridurre il lavoro respiratorio. La ventilazione manua-le a maschera deve proseguire fino al ripristino di un’adeguata ventilazione spontanea o finoal posizionamento di un tubo endotracheale.

La protezione delle vie aeree superiori e l’assistenza ventilatoria sono indicate in caso dipazienti gravi con alterazione dello stato di coscienza. In questi casi (coma, disfunzione tron-coencefalica, assenza dei riflessi troncoencefalici, episodi apneici, rapido deterioramento neu-rologico) l’opportunità di intubazione tracheale e ventilazione meccanica dovrebbe esserevalutata tempestivamente.22-24 Anche se i dati riportati in letteratura non sono molti, si puòaffermare che la proporzione di pazienti con ictus che richiede intubazione tracheale e venti-lazione meccanica è altamente variabile con il tipo di ictus e si pone intorno al 5%-11% nel-l’ictus ischemico,23-26 nell’ambito 26%-30% nell’emorragia intracranica,25,26 intorno al 50%nell’emorragia subaracnoidea,25 anche se non mancano proporzioni più elevate (fino al 63%dei ricoverati) in specifici centri,27 mentre negli studi epidemiologici su popolazione il tasso èmolto più basso e probabilmente inferiore all’1%.

L’intubazione tracheale è indicata in presenza di segni di insufficienza respiratoria o di faticarespiratoria, in presenza di alterazioni dello stato di coscienza che non consentano la prote-zione delle vie aeree e in caso di rischio di aspirazione,28 come specificato nella Tabella 11:I.

È importante sottolineare che le manovre di laringoscopia e di intubazione tracheale possonodeterminare in via riflessa importanti alterazioni emodinamiche in grado di influenzare il flus-so cerebrale e la pressione endocranica. Tali manovre devono quindi essere effettuate dopoaver proceduto alla somministrazione di opportune dosi di farmaci sedativi e miorilassanti.

Nel caso sia prevedibile la necessità di un supporto ventilatorio di lunga durata è opportunoprocedere alla tracheostomia che facilita le manovre di broncoaspirazione, riduce l’incidenzadi stenosi laringotracheali da intubazione prolungata e migliora il comfort del paziente. Il cor-

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retto timing di tale procedura è tuttora controverso, sebbene alcuni Autori consiglino la suaesecuzione anche in terza giornata.29

La ventilazione meccanica può essere effettuata con diverse modalità; le più comunementeimpiegate sono le seguenti:30

• ventilazione meccanica controllata (CMV; Controlled Mechanical Ventilation);• ventilazione assistita-controllata (ACV; Assist-Control Ventilation);• ventilazione obbligatoria intermittente sincronizzata (SIMV; Synchronized Intermittent

Mandatory Ventilation);• ventilazione con supporto pressorio (PSV; Pressure Support Ventilation).

Durante la ventilazione meccanica controllata (CMV) tutti gli atti respiratori sono a carico del-l’apparecchio di ventilazione; questa modalità è applicabile solo in pazienti che non effettua-no alcuno sforzo respiratorio (drive assente o pazienti sedati ed eventualmente curarizzati).

La modalità di ventilazione assistita-controllata (ACV) consente al paziente di incrementare lafrequenza respiratoria: ogniqualvolta il paziente compie uno sforzo respiratorio raggiungendoun valore soglia prefissato, il ventilatore eroga un flusso inspiratorio pari ai valori preimposta-ti.

La ventilazione obbligatoria intermittente sincronizzata (SIMV) eroga un volume correnteprestabilito ad una frequenza programmata; a ciò si possono aggiungere atti respiratori spon-tanei del paziente la cui frequenza e volume sono determinati dalle possibilità di ventilazionespontanea del paziente stesso.

La ventilazione con supporto pressorio (PSV) garantisce un incremento meccanico della pres-sione inspiratoria, consentendo una notevole riduzione del lavoro respiratorio.

La scelta della modalità di ventilazione e l’impostazione dei parametri ventilatori dipendonodalle condizioni cliniche del paziente. È opportuno iniziare con una concentrazione di ossige-no del 100% (FiO2=1) riducendola poi fino a valori che consentano di ottenere livelli adeguatidi PaO2 (saturazione periferica ≥95%). Può essere utile l’applicazione di una pressione posi-tiva di fine espirazione (PEEP).

Il volume corrente iniziale deve essere di 8-10 mL/kg. La frequenza respiratoria deve essereregolata sul pH piuttosto che sulla CO2. Se l’adattamento al ventilatore risulta difficoltoso ènecessario procedere alla sedazione del paziente o, più raramente, alla curarizzazione.

Il supporto ventilatorio può essere progressivamente sospeso (“weaning”) quando siano risol-te le condizioni cliniche che ne avevano imposto l’adozione. Nella Tabella 11:II 31 sono preci-sati i criteri clinici che consentono di avviare le procedure di “svezzamento dal ventilatore”.

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Tabella 11:I – Indicazioni all’intubazione tracheale (Hacke W. et al 1995)28

pO2 <50-60 mm HgpCO2 >50-60 mm Hgcapacità vitale >500-800 mLsegni di fatica respiratoria: • tachipnea (<30)

• dispnea• auto PEEP• coinvolgimento dei muscoli respiratori accessori

acidosi respiratoriasignificativa alterazione dello stato di coscienzarischio di inalazioneimpossibilità di mantenere la pervietà delle vie aeree

Tabella 11:II – Criteri per la sospensione del supporto ventilatorio (Wijdicks E.F.M. 1997)31

PaO2 > 60 mm HgVolume corrente > 5 mL/kgCapacità vitale > 15 mL/kgPressione inspiratoria > -30 mm Hg

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Raccomandazione 11.6Grado DPer il trattamento d’emergenzadell’ipertensione nei pazienti conictus acuto è indicato il seguentealgoritmo: (da Stroke CodingGuide of the American Academyof Neurology, http://www.stroke-site.org/; febbraio 2003, modifi-cata)1. Lo sfigmomanometro automatico

dovrebbe essere verificato controuno di tipo manuale.

2. Se i valori di pressione diastolica,in due misurazioni successive adistanza di 5 minuti, superano i140 mm Hg, iniziare l’infusionecontinua e.v. di un agente antiper-tensivo come la nitroglicerina o ilnitroprussiato di sodio (0,5-1,0mg/kg/min), di cui però va attenta-mente monitorizzato il rischio diedema cerebrale, particolarmentenei grandi infarti, data la lorocapacità di aumentare la pressioneintracranica. Pazienti con tali rilievinon sono candidati al trattamentotrombolitico con t-PA.

3. Se i valori di pressione sistolicasono >220 mm Hg, o la pressionediastolica è tra 121-140 mm Hg, ola pressione arteriosa media è>130 mm Hg in due misurazionisuccessive a distanza di 20 minuti,somministrare un farmaco antiper-tensivo facilmente dosabile come illabetalolo, 10 mg e.v. in 1-2 minu-ti. Tale dose può essere ripetuta oraddoppiata ogni 10-20 minuti finoad un dosaggio cumulativo di 300mg. Successivamente a taleapproccio iniziale, il labetalolo puòessere somministrato ogni 6-8 orese necessario. Il labetalolo è scon-sigliato nei pazienti con asma,scompenso cardiaco o gravi turbedella conduzione. In questi casipuò essere usato l’urapidil (10-50 mg in bolo, ovvero infusione0,15-0,5 mg/min). I pazienti cherichiedono più di due dosi di labe-talolo o altri farmaci antipertensiviper ridurre la pressione arteriosasistolica <185 mm Hg o diastolica<110 mm Hg, non sono general-mente candidati alla terapia trom-bolitica.

4. Se il valore di pressione sistolica èdi 185-220 mm Hg o diastolica di105-120 mm Hg, la terapia d’e-mergenza dovrebbe essere riman-data, se non coesiste una insuffi-cienza ventricolare sinistra, unadissecazione aortica o un infartomiocardico acuto. Pazienti candi-

La gestione del supporto ventilatorio impone il ricovero in unità di terapia intensiva e la con-sulenza di specialisti rianimatori.

L’opportunità di procedere alla ventilazione meccanica in pazienti colpiti da ictus è da tempodibattuta in considerazione della elevata mortalità riscontrata (si veda anche la discussionesulla formulazione dell’ordine di non rianimare, § 8.7.2). La ventilazione meccanica è un inter-vento terapeutico indispensabile per la sopravvivenza ed al tempo stesso un indice della gra-vità dell’ictus cerebrale.27 La prognosi dei pazienti colpiti da ictus cerebrale sottoposti a ven-tilazione meccanica è peraltro migliore di quanto si ritenesse in passato.22 Berroushot e coll.hanno recentemente effettuato uno studio prospettico in pazienti con ictus ischemico eviden-ziando una mortalità dell’81% nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica a fronte di unamortalità globale del 24%.32 Nei pazienti in ventilazione meccanica la causa più frequente dimorte è stata il deterioramento neurologico con ernia cerebrale. Emerge da questo studio laconclusione che ciò che conta non è stabilire la reale opportunità della ventilazione meccani-ca, quanto riuscire ad evidenziare precocemente i segni di deterioramento neurologico inmodo da porre in atto ogni possibile intervento terapeutico.

11.3 PRESSIONE ARTERIOSA

Sebbene la presenza di ipertensione arteriosa sia frequente in pazienti con ictus acuto(>80%),29,33 il suo trattamento non deve essere generalmente iniziato precocemente e la suagestione ottimale non è stata ancora definita in maniera conclusiva,34-37 soprattutto in consi-derazione della necessità di garantire, particolarmente in questa fase, un flusso di perfusionecerebrale sufficiente alla sopravvivenza della penombra ischemica, non protetta dai meccani-smi di autoregolazione.38,39 Una revisione Cochrane conclude che manca ancora sufficienteevidenza per valutare l’effetto sull’esito conseguente ad una modifica della pressione arteriosanella fase acuta dell’ictus.40

Valori pressori elevati possono essere legati a molteplici cause, quali l’ictus stesso, il riempi-mento vescicale, il dolore, una ipertensione preesistente, la risposta fisiologica all’ipossia cere-brale o l’ipertensione intracranica, lo stress da ospedalizzazione.41 I valori pressori spesso sinormalizzano non appena il paziente viene lasciato riposare in ambiente tranquillo, o la vesci-ca viene svuotata, o il dolore controllato, o l’ipertensione intracranica trattata: a distanza di 4-10 giorni dall’esordio dell’ictus circa il 60% dei pazienti presenta una risoluzione spontaneadell’ipertensione.42

In caso di ipertensione marcata, la sua correzione deve avvenire gradualmente e con cautelaper evitare una risposta esagerata al trattamento antipertensivo e un possibile peggioramentoneurologico.18,35,43

Non sono disponibili ad oggi valori definitivi sui cut-off pressori per l’indicazione al tratta-mento urgente dell’ipertensione nell’ictus acuto.44 Tuttavia sulla base delle evidenze eConsensus finora ottenuti è possibile identificare un algoritmo operativo che integri rilievi cli-nici e strumentali (Tabella 11:III).

La terapia antipertensiva precoce è indicata in caso di ipertensione associata a trasformazioneemorragica dell’infarto, a infarto miocardico acuto, scompenso cardiaco, insufficienza renalesecondaria allo stato ipertensivo, encefalopatia ipertensiva, dissezione dell’aorta toracica, o neipazienti che necessitino di trattamento trombolitico o con eparina per via endovenosa.37 Al difuori di queste condizioni il trattamento in fase acuta non è indicato fino a valori di pressionemedia ≤130 mm Hg o di sistolica <220 mm Hg.18,37 In questi casi la migliore scelta terapeuti-ca endovena è rivolta all’uso di farmaci facilmente dosabili, di breve durata d’azione, e conminimo effetto vasodilatatorio cerebrale, per il pericolo di incremento della pressione intra-cranica, quali il labetalolo o l’enalapril (non disponibile in Italia in formulazione e.v.).45 Lamaggior parte dei pazienti può essere trattata per via orale con captopril o nicardipina. Non èindicato l’uso di calcioantagonisti per via sublinguale per la rischiosa rapidità d’azione di que-sto tipo di somministrazione.16,46

In caso di emorragia cerebrale è indicata la terapia antipertensiva qualora i valori pressorisiano: pressione sistolica >180 mm Hg o pressione diastolica >105 mm Hg.47

L’ipotensione arteriosa è infrequente nell’ictus acuto 48 e generalmente è legata ad una ipovo-lemia.49 Sebbene non vi siano dati per definire una soglia per il trattamento dell’ipotensione

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arteriosa nei pazienti con ictus acuto, questo viene raccomandato in caso di segni di disidra-tazione e/o di valori pressori significativamente inferiori a quelli usuali per il dato paziente. Leopzioni terapeutiche prevedono la somministrazione di fluidi e.v., il trattamento dello scom-penso cardiaco congestizio e della bradicardia, ed eventualmente agenti vasopressori quali ladopamina.16,17 L’emodiluizione ipervolemica e l’incremento pressorio farmacologico sono statiusati con successo in pazienti con ischemia secondaria a vasospasmo in corso di emorragiasubaracnoidea.37

La regolazione della fluidoterapia è di estrema importanza nel trattamento del paziente colpi-to da ictus, in considerazione dell’influenza sulla perfusione e sul metabolismo cerebrali eser-citata dal tipo e dalla quantità dei liquidi somministrati.

In passato la restrizione dei fluidi era considerata essenziale per limitare l’insorgenza di edemacerebrale. Tale approccio è stato oggi sottoposto a revisione essendo stati dimostrati gli effet-ti negativi dell’ipovolemia sull’evoluzione delle lesioni neurologiche.50

In presenza di lesioni intracraniche, infatti, in conseguenza dell’alterazione dei meccanismi diautoregolazione del flusso cerebrale, i valori di pressione sistemica diventano il determinantefondamentale del flusso cerebrale: il mantenimento di un’adeguata volemia è quindi il primoobiettivo da raggiungere.

Peraltro, l’alterazione della barriera ematoencefalica provocata dalle lesioni intracranichedetermina l’accumulo di liquido extravascolare che non deve essere in alcun modo aggravato.

La quantità di fluidi da somministrare deve essere stabilita sulla base della valutazione di para-metri clinici e di laboratorio: peso corporeo, diuresi, ematocrito, elettroliti sierici, urea, crea-tinina, osmolalità plasmatica, osmolalità urinaria, elettroliti urinari, parametri emogasanalitici.

dati alla terapia con t-PA, che pre-sentano persistenti valori pressorielevati, sistolici >185 mm Hg odiastolici >110 mm Hg, possonoessere trattati con piccole dosi diantipertensivo e.v. per mantenere ivalori di PA giusto al di sotto di talilimiti. Tuttavia la somministrazionedi più di due dosi di antipertensivoper mantenere sotto controllo la PArappresenta una controindicazionerelativa alla terapia trombolitica.

5. Non è indicato l’uso di calcio-anta-gonisti per via sublinguale per larischiosa rapidità d’azione di que-sto tipo di somministrazione.

6. In caso di emorragia cerebrale èindicata la terapia antipertensivaqualora i valori pressori siano:pressione sistolica >180 mm Hg opressione diastolica >105 mm Hg.

7. La correzione della pressione arte-riosa tramite agenti antipertensivinella fase acuta dell’ictus dovreb-be essere associata ad un attentomonitoraggio dello stato neurologi-co per rilevare prontamente lacomparsa di deterioramento.

8. Nei pazienti con ictus ischemicoacuto e pressione sistolica <185mm Hg o diastolica <105 mm Hg,la terapia antipertensiva non èusualmente indicata.

9. Sebbene non vi siano dati per defi-nire una soglia per il trattamentodell’ipotensione arteriosa neipazienti con ictus acuto, questoviene raccomandato in caso disegni di disidratazione e/o di valoripressori significativamente inferioria quelli usuali per il dato paziente.Le opzioni terapeutiche prevedonola somministrazione di fluidi e.v., iltrattamento dello scompenso car-diaco congestizio e della bra-dicardia, ed eventualmente agentivasopressori quali la dopamina.

Raccomandazione 11.7Grado DNei pazienti con ictus acuto èindicato il mantenimento di unaadeguata volemia, calcolando laquantità di fluidi da somministra-re sulla base di un accuratobilancio idrico.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 255

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Tabella 11:III – Algoritmo per il trattamento d’emergenza dell’ipertensione nei pazienti con ictus acuto(Stroke Coding Guide of the American Academy of Neurology, http://www.stroke-site.org/; febbraio 2003, modificata)

1. Lo sfigmomanometro automatico dovrebbe essere verificato contro uno di tipo manuale.2. Se i valori di pressione diastolica, in due misurazioni successive a distanza di 5 minuti, superano i 140 mm Hg, ini-

ziare l’infusione continua e.v. di un agente antipertensivo come la nitroglicerina o il nitroprussiato di sodio (0,5-1,0mg/kg/min), di cui però va attentamente monitorizzato il rischio di edema cerebrale, particolarmente nei grandi infar-ti, data la loro capacità di aumentare la pressione intracranica. Pazienti con tali rilievi non sono candidati al tratta-mento trombolitico con t-PA.

3. Se i valori di pressione sistolica sono >220 mm Hg, o la pressione diastolica è tra 121-140 mm Hg, o la pressionearteriosa media è >130 mm Hg in due misurazioni successive a distanza di 20 minuti, somministrare un farmacoantipertensivo facilmente dosabile come il labetalolo, 10 mg e.v. in 1-2 minuti. Tale dose può essere ripetuta o rad-doppiata ogni 10-20 minuti fino ad un dosaggio cumulativo di 300 mg. Successivamente a tale approccio iniziale, illabetalolo può essere somministrato ogni 6-8 ore se necessario. Il labetalolo è sconsigliato nei pazienti con asma,scompenso cardiaco o gravi turbe della conduzione. In questi casi può essere usato l’urapidil (10-50 mg in bolo,ovvero infusione 0,15-0,5 mg/min). I pazienti che richiedono più di due dosi di labetalolo o altri farmaci antipertensiviper ridurre la pressione arteriosa sistolica <185 mm Hg o diastolica <110 mm Hg, non sono generalmente candidatialla terapia trombolitica.

4. Se il valore di pressione sistolica è di 185-220 mm Hg o diastolica di 105-120 mm Hg, la terapia d’emergenzadovrebbe essere rimandata, se non coesiste una insufficienza ventricolare sinistra, una dissecazione aortica o uninfarto miocardico acuto. Pazienti candidati alla terapia con t-PA, che presentano persistenti valori pressori elevatisistolici >185 mm Hg o diastolici >110 mm Hg, possono essere trattati con piccole dosi di antipertensivo e.v. permantenere i valori di PA giusto al di sotto di tali limiti. Tuttavia la somministrazione di più di due dosi di antipertensivoper mantenere sotto controllo la PA rappresenta una controindicazione relativa alla terapia trombolitica.

5. Non è indicato l’uso di calcio-antagonisti per via sublinguale per la rischiosa rapidità d’azione di questo tipo di som-ministrazione.

6. In caso di emorragia cerebrale è indicata la terapia antipertensiva qualora i valori pressori siano: pressione sistolica> 180 mm Hg o pressione diastolica >105 mm Hg.

7. La correzione della pressione arteriosa tramite agenti antipertensivi nella fase acuta dell’ictus dovrebbe essere asso-ciata ad un attento monitoraggio dello stato neurologico per rilevare prontamente la comparsa di deterioramento.

8. Nei pazienti con ictus ischemico acuto e pressione sistolica <185 mm Hg o diastolica <105 mm Hg, la terapia anti-pertensiva non è usualmente indicata.

9. Sebbene non vi siano dati per definire una soglia per il trattamento dell’ipotensione arteriosa nei pazienti con ictusacuto, questo viene raccomandato in caso di segni di disidratazione e/o di valori pressori significativamente inferioria quelli usuali per il dato paziente. Le opzioni terapeutiche prevedono la somministrazione di fluidi e.v., il trattamentodello scompenso cardiaco congestizio e la bradicardia, ed eventualmente agenti vasopressori quali la dopamina.

SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Raccomandazione 11.8Grado DNei pazienti con ictus acuto lasomministrazione di soluzioniipotoniche (NaCl 0,45%, glucosio5%) non è indicata per il rischiodi incremento dell’edema cere-brale.

Raccomandazione 11.9Grado DLe soluzioni contenenti glucosionon sono indicate dati gli effettisfavorevoli dell’iperglicemia sul-l’esito neurologico.

Raccomandazione 11.10Grado DNei pazienti con ictus acuto lasoluzione fisiologica è indicataquale cristalloide di scelta perfluidoterapia.

Sintesi 11-1Dati sia sperimentali che cliniciindicano che l’ipertermia è dan-nosa a livello della lesione ische-mica ed è associata sia ad unpeggioramento clinico che ad unpeggior esito funzionale.L’ipotermia ha un effetto neuro-protettivo. Circa il 50% deipazienti con ictus cerebrale pre-senta ipertermia nell’arco delle 48ore dall’insorgenza dell’evento.

Devono essere inoltre calcolati e attentamente rimpiazzati i liquidi persi per via gastrointesti-nale, respiratoria e cutanea.

La scelta dei fluidi da somministrare deve tenere in considerazione i meccanismi che regolanoil movimento dei fluidi nel sistema nervoso centrale: la pressione osmotica, la pressione onco-tica, la pressione idrostatica e la funzione della barriera ematoencefalica.51 È dimostrato chegli effetti negativi dei fluidi sull’edema cerebrale sono indotti dalle variazioni della tonicità.52

Le soluzioni per fluidoterapia di impiego clinico si distinguono in cristalloidi e colloidi.

I cristalloidi contengono esclusivamente soluti di basso peso molecolare (<30·000 dalton) chepossono essere ionici (ad esempio Na o Cl), o non ionici (ad esempio glucosio). I cristalloidipossono essere ipotonici, isotonici o ipertonici.

Le soluzioni ipotoniche (NaCl 0,45%, glucosio 5%) sono assolutamente controindicate, inquanto possono incrementare l’edema cerebrale nelle regioni lese, ma anche in quelle perile-sionali ed in quelle integre in conseguenza della riduzione dell’osmolalità plasmatica che indu-cono.

Le soluzioni contenenti glucosio devono essere evitate, essendo stata dimostrata un’associa-zione tra elevati livelli glicemici e peggioramento del danno neurologico in pazienti con ische-mia cerebrale; ciò sembra determinato dall’accumulo di acido lattico e dalla conseguente ridu-zione del pH nel tessuto cerebrale indotti dall’iperglicemia.53

Le soluzioni isotoniche di più comune impiego sono la soluzione fisiologica e le soluzioni diRinger. Queste ultime sono in realtà lievemente ipotoniche rispetto al plasma, tanto da poterindurre effetti negativi a livello cerebrale, specie se somministrate in notevole quantità. Il cri-stalloide di scelta nei pazienti con lesioni cerebrali è quindi la soluzione fisiologica.

L’infusione di piccoli volumi di soluzioni saline ipertoniche sembra indurre un rapido miglio-ramento della volemia con effetti positivi sulla pressione endocranica.54 È possibile la com-parsa di effetti collaterali provocati dall’eccessivo rapido aumento della sodiemia; inoltre, èstato segnalato che l’impiego delle soluzioni ipertoniche sembra più efficace in pazienti conedema cerebrale postraumatico o postoperatorio, piuttosto che in pazienti con edema cere-brale conseguente ad ictus ischemico o emorragico.55 I dati al momento disponibili non sonosufficienti per stabilire precise indicazioni nel paziente con danno neurologico.56

I colloidi contengono soluti ad elevato peso molecolare che inducono con meccanismo osmo-tico il richiamo di liquidi nello spazio intravascolare. La loro maggior efficacia rispetto ai cri-stalloidi nel rimpiazzo volemico è limitata dalla possibile insorgenza di effetti collaterali; inol-tre il loro costo è notevolmente più elevato.

Le soluzioni di destrano 40 e 70 contengono polimeri del glucosio di peso molecolare mediorispettivamente 40·000 e 70·000 dalton. Il destrano 70 ha una pressione osmotica ed una capa-cità di espansione volemica simili a quelle del plasma. Il destrano 40 è iperosmotico rispettoal plasma ed ha quindi maggiore efficacia. La loro somministrazione può provocare reazioniallergiche anche gravi, alterazioni dei processi coagulativi ed interferenza con la tipizzazionedel gruppo sanguigno. Anche le soluzioni colloidali contenenti amidi possono provocare effet-ti collaterali analoghi. Le gelatine inducono un’espansione volemica estremamente limitata.

Sebbene l’albumina possa teoricamente essere considerata un espansore plasmatico naturale,il suo ruolo e la sua efficacia clinica rimangono controversi. Il plasma non deve essere impie-gato come espansore plasmatico.

11.4 TEMPERATURA CORPOREA

Circa il 50% dei pazienti con ictus cerebrale sviluppa ipertermia nell’arco di due giorni dal-l’insorgenza dell’evento acuto.57 Le cause più comuni di febbre nei pazienti con ictus sono:infezioni intercorrenti, disidratazione, alterazione dei meccanismi di regolazione cerebraledella temperatura e reazione di fase acuta.

L’ipertermia in fase acuta risulta associata ad una prognosi peggiore dell’ictus in termini dimortalità ed esiti, così come evidenziato da una recente metanalisi,58 persino per aumenti dellatemperatura corporea dell’ordine di mezzo grado.

L’ipertermia svolge un ruolo importante nella reazione a cascata che modula il danno neuro-nale, durante l’insulto ischemico. In modelli sperimentali una temperatura di 39° C attiva ed

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accelera nel cervello danneggiato meccanismi neuropatologici che inducono danno anchenelle strutture indenni. Al contrario la riduzione della temperatura corporea ha effetto neuro-protettivo, mentre l’azione dei farmaci neuroprotettivi può essere contrastata dall’ipertermia.

L’ipertermia in particolare promuove:1. la mobilizzazione del calcio intraneuronale;2. l’attivazione dei recettori glutammatergici;3. le disfunzioni della barriera emato-encefalica;4. la proliferazione delle cellule microgliali;5. la produzione di anioni superossido e di ossido nitrico;6. il rilascio dei neurotrasmettitori;7. il danno ischemico da depolarizzazione nell’area di penombra ischemica;8. la riduzione del recupero energetico e l’inibizione del rilascio di protein-chinasi.

È stato inoltre dimostrato che valori di temperatura superiori alla norma inibiscono in manie-ra determinante il re-uptake del glutammato extracellulare, determinandone l’accumulo in talecompartimento. Concentrazioni più elevate di glutammato e glicina sono state riscontrate inpazienti cerebrolesi ischemici ipertermici rispetto ai normotermici.59-62

Studi sperimentali hanno dimostrato inoltre che la temperatura corporea è correlata significa-tivamente con le dimensioni dell’area ischemica.63

L’esatto periodo entro cui la febbre può contribuire al danno cerebrale post-ischemico, non èstato tuttora ben definito. Recenti studi hanno tuttavia evidenziato che più precoce è l’esordiodell’ipertermia, maggiori sono le dimensioni dell’area ischemica. Nello studio di Castillo ecoll.62 durante le prime 72 ore il 60% dei pazienti presentava ipertermia. La mortalità a treanni era dell’1% nei pazienti normotermici e del 5%-8% in quelli con elevati valori di tem-peratura corporea.

Tuttavia, secondo alcune evidenze, solo l’esordio di ipertermia entro le prime 24 ore sembre-rebbe significativamente associato ad un peggiore esito clinico ed a un aumento di dimensio-ni dell’area ischemica.64

Pertanto è indicato il trattamento antipiretico assiduo nella fase acuta dell’ictus e anche lievirialzi della temperatura dovrebbero essere corretti mantenendosi entro valori inferiori a 37° C,almeno nei primi giorni.59 Nel trattamento della febbre, il farmaco comunemente usato è ilparacetamolo 65 e, se necessario, è possibile il ricorso a mezzi fisici di raffreddamento corpo-reo.59,66,67

Bisogna inoltre ricordare che numerosi studi clinici stanno valutando l’efficacia di una mode-rata ipotermia (32-33° C) nei pazienti con ischemia cerebrale. I risultati degli esperimenti sucavie sono incoraggianti.68

In pazienti con ictus la comparsa di febbre è attribuibile ad infezioni nel 60%-85% deicasi;69,70 si tratta di infezioni urinarie nel 10%-30% dei casi, polmoniti nel 10%-20% ed altreinfezioni (batteriemie o sepsi, infezioni di ulcere da decubito) nel 5%-30% dei casi.71-73 Lepolmoniti sono una importante causa di morte dopo ictus,74,75 in particolare in pazienti chesono immobilizzati o che non sono in grado di tossire efficacemente.75 La comparsa di febbredopo un ictus impone una immediata valutazione di una possibile complicanza infettiva ed unadeguato trattamento antibiotico.76

In pazienti immunocompetenti non è raccomandata l’attuazione di profilassi antibiotica, anti-micotica o antivirale.77 I trattamenti antimicrobici andranno istituiti sulla base del sospetto cli-nico di infezione e di appropriate indagini microbiologiche. La scelta della terapia antimicro-bica deve essere effettuata in relazione alla sede dell’infezione e alla presenza di fattori conco-mitanti (insufficienza renale, insufficienza epatica, allergie, etc.).

L’approccio empirico andrà effettuato tenendo presente l’eziologia presunta più frequente sta-bilita sulla base dei dati epidemiologici generali e locali di ogni singolo ospedale. La terapiaverrà poi corretta sulla base dei risultati delle indagini microbiologiche e colturali.

11.4.1 Trattamento delle complicanze infettive nel paziente con ictus

Tra le varie complicanze mediche dell’ictus acuto (neurologiche, psichiatriche, tromboembo-liche, algiche, da immobilità), quelle infettive costituiscono una delle più frequenti cause dimorbosità dopo la depressione, le cadute a terra e la sintomatologia dolorosa della spalla.

Raccomandazione 11.11Grado DNei pazienti con ictus acuto èindicata la correzione farmacolo-gica dell’ipertermia, preferibil-mente con paracetamolo, mante-nendo la temperatura al di sottodi 37°C.

Raccomandazione 11.12Grado DIn presenza di febbre in pazienticon ictus acuto è indicata l’im-mediata ricerca della sede e dellanatura di una eventuale infezionefinalizzata ad un trattamentoantibiotico adeguato.

Raccomandazione 11.13Grado DIn pazienti immunocompetentinon è indicata l’attuazione diprofilassi antibiotica.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 257

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Sintesi 11-2L’infezione delle vie urinarie è lapiù comune complicanza infettivanel paziente con ictus acuto, ed ilrischio dipende sostanzialmentedalla durata della cateterizzazio-ne. La terapia iniziale è empiricae basata sulla prescrizione di unapenicillina semisintetica protettao, in pazienti allergici, di un fluo-rochinolone (tenendo conto delrischio convulsivo associato); neicasi gravi si potrà associare unaminoglicoside oppure sommini-strare un carbapenemico inmonoterapia. Il trattamento anti-biotico potrà essere modificatosulla base dei risultati dell’urino-coltura e relativo antibiogramma.

Un punto importante è rappresentato dalla gestione dei pazienti con ictus acuto che manife-stano febbre, che però può anche essere dovuta ad un meccanismo centrale legato al dannocerebrale indotto dall’ischemia ed in questo caso la prognosi dell’ictus è ancora più sfavore-vole.78 L’esclusione di un’infezione è un fattore di diagnostica differenziale molto importanteperché evita l’inutile somministrazione di antibiotici ad ampio spettro con evidenti risparmisui costi economici e sui rischi di insorgenza di effetti collaterali e di resistenze batteriche.D’altro canto, la conferma della presenza di un’infezione e, soprattutto, l’identificazione del-l’agente responsabile mediante apposite indagini microbiologiche è altrettanto fondamentaleperché permette, dopo un’iniziale terapia antibiotica empirica ad ampio spettro, di effettuareun trattamento mirato con molecole a spettro più ristretto.

11.4.1.1 Infezioni urinarie

L’infezione delle vie urinarie (IVU) è la più comune complicanza infettiva nel paziente conictus acuto oltre a rappresentare, fino a pochi anni fa, la più frequente infezione nosocomiale.Nel 1990, ad esempio, le IVU nosocomiali presentavano un’incidenza del 30%-40% ma negliultimi anni la loro prevalenza è diminuita, forse in relazione al miglioramento delle misure diprevenzione e sorveglianza e alla migliore gestione dei cateteri urinari, che sono responsabilidi almeno l’80% delle IVU. Il rischio di IVU dipende infatti dalla durata della cateterizzazio-ne: la percentuale di infezione è bassa nei primi 3-5 giorni ma dopo 10-14 giorni metà deipazienti presenta batteriuria e dopo 30 giorni la stragrande maggioranza. Tuttavia altri fattoricontribuiscono ad aumentare il rischio di IVU: ritenzione urinaria, ipertrofia prostatica, sessofemminile, cateterizzazione peripartum, diabete mellito, età avanzata, condizioni generali sca-denti. È stato osservato che in pazienti con IVU associata a catetere il tasso di mortalità è trevolte più alto che nei pazienti non infetti, probabilmente per la possibile insorgenza di batte-riemia e sepsi. Lo 0,5% dei pazienti cateterizzati sviluppa infatti una batteriemia ed il 15%delle batteriemie nosocomiali è dovuto ad IVU associate a catetere, presentando un tasso diletalità del 30%.79

La batteriuria che si produce durante la cateterizzazione a breve termine (durata <1 mese) èdi solito dovuta a un singolo microrganismo come Escherichia coli ma vengono isolati anchePseudomonas æruginosa, Klebsiella sp., Enterobacter sp., Staphylococcus epidermidis,Staphylococcus aureus e Serratia sp. La cateterizzazione a lungo termine (>1 mese) è più spes-so polimicrobica ed è causata prevalentemente da E. coli, P. æruginosa, Proteus mirabilis e,meno comunemente, Providencia stuartii, Morganella morganii e Acinetobacter baumanni.79

Secondo i dati statunitensi del sistema NNIS (National Nosocomial Infections Surveillance), iprincipali agenti eziologici di IVU in generale sono E. coli (24%), enterococchi (16%), P. æru-ginosa (11%), Candida sp. (11%), Klebsiella sp. (9%) ed Enterobacter sp. (5%).80 Tra questimicrorganismi, problemi di resistenza possono emergere con enterococchi (multiresistenza, ivicompresa la resistenza ai glicopeptidi), P. æruginosa (multiresistenza), E. coli, K. pneumoniæed Enterobacter sp. (resistenza alle cefalosporine di III generazione mediata dalla produzionedi beta-lattamasi a spettro espanso per i primi due batteri, di beta-lattamasi cromosomiche peril terzo genere).81-83

L’urinocoltura è un metodo semplice, relativamente rapido ed economico per la diagnosi diIVU. Almeno 10 mL di urine dal mitto intermedio (o dalla porta urinaria nei pazienti catete-rizzati) devono essere raccolti ed inviati in laboratorio entro un’ora per evitare la crescita bat-terica, altrimenti dovrebbero essere conservati in frigorifero. La batteriurie sono da conside-rarsi significative se la conta batterica supera le 100·000 ufc/mL di urina, ma anche conte com-prese tra 10·000 e 100·000 ufc/mL in presenza di febbre e piuria (associare sempre l’analisidelle urine all’urinocoltura, a maggior ragione in pazienti cateterizzati!) devono essere ugual-mente giudicate significative.71

Inizialmente, la terapia antibiotica delle IVU è empirica e, secondo le considerazioni eziologi-che sopra ricordate, basata sulla prescrizione di una penicillina semisintetica protetta (pipera-cillina/tazobactam 4,5 g × 3-4, ticarcillina/clavulanato 3,2 g × 3-4) o, nei pazienti allergici allebeta-lattamine, di un fluorochinolone (levofloxacina 500 mg/die, ciprofloxacina 200-400 mg × 2; tenendo conto del rischio convulsivo associato); nei casi gravi si potrà associareun aminoglucoside (amikacina 15 mg/kg/die, gentamicina o tobramicina 5,1 mg/kg/die)oppure somministrare un carbapenemico in monoterapia (meropenem 1 g × 3, imipenem500 mg × 4). Ovviamente il trattamento potrà essere modificato allorquando dal laboratorio

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di microbiologia si rendano disponibili i dati dell’urinocoltura relativi all’identificazione delmicrorganismo responsabile ed al suo profilo di sensibilità antimicrobica,79,84 in particolare sedovessero essere presenti cocchi gram-positivi multiresistenti (enterococchi vancomicino-resi-stenti) o funghi del genere Candida (C. albicans o le più temibili specie non-albicans quali C.krusei e C. glabrata, resistenti ai comuni triazolici fluconazolo ed itraconazolo). Nel primo casopotranno essere impiegati nuovi antibiotici appartenenti alla classe delle streptogramine (qui-nupristin/dalfopristin) o degli oxazolidinoni (linezolid), nel secondo caso nuovi antifunginidella classe delle echinocandine (caspofungina) o dei triazolici di seconda generazione (vori-conazolo).

11.4.1.2 Polmoniti

La polmonite è una delle principali cause d’infezione ospedaliera e la seconda più frequentecomplicanza infettiva nel paziente con ictus acuto.71,73 La sua importanza epidemiologica ètestimoniata dagli elevati tassi di letalità (20%-50%) e dai notevoli costi economici (prolun-gamento del ricovero di 4-9 giorni con un costo aggiuntivo, negli Stati Uniti, di 1,2 miliardi didollari l’anno) che essa comporta. Tra i fattori di rischio di polmonite nosocomiale vannoannoverati alcuni correlati al paziente (età anziana, condizioni generali scadenti, immunosop-pressione, pneumopatia cronica, alterazione dello stato di coscienza) ed altri iatrogeni (som-ministrazione di antibiotici, inserimento di sondino nasogastrico, terapia con H2-antagonisti,recente intervento chirurgico o broncoscopia).79

Per quanto riguarda l’eziologia delle polmoniti nosocomiali, è di fondamentale importanzadiscriminare tra forme ad inizio precoce (entro cinque giorni dal ricovero) e tardivo. Le primesono per lo più causate da patogeni “classici” facenti parte della normale flora batterica oro-faringea (Streptococcus pneumoniæ, Hæmophilus influenzæ, S. aureus generalmente meticilli-no-sensibile) mentre una particolare tipologia d’infezione delle basse vie aeree è rappresenta-ta dalla polmonite da aspirazione, che si produce soprattutto in soggetti con alterazione dellostato di coscienza – come quelli con ictus di entità medio-grave – in seguito al deficit dell’a-zione ciliare e della tosse ed in virtù dell’azione favorente esercitata dalla disfagia e dalla pre-senza di sondino nasogastrico.71 Viene infatti impedita l’espulsione all’esterno del materialesalivare deglutito contenente una discreta quantità della flora batterica orale, costituita per lopiù da batteri anaerobi sia gram-positivi (peptostreptococchi, Streptococcus intermedius) chegram-negativi (Bacteroides fragilis, Fusobacterium sp., Prevotella sp.). Sul piano clinico la pol-monite da aspirazione si manifesta in modo del tutto simile alle comuni polmoniti alveolari sesi eccettua la produzione di un escreato dall’aspetto putrido e dall’odore fetido.85

Le polmoniti ad esordio tardivo (oltre cinque giorni dal ricovero) sono invece delle classicheinfezioni ospedaliere, determinate cioè da quei patogeni tipicamente riscontrabili in ambientenosocomiale ed invariabilmente caratterizzati dalla loro antibiotico-resistenza, spesso multi-pla: Enterobacteriaceæ con resistenza alle cefalosporine di III generazione mediata dalla pro-duzione di beta-lattamasi a spettro espanso (E. coli, K. pneumoniæ) o di beta-lattamasi cro-mosomiche (Enterobacter sp.), P. æruginosa ed Acinetobacter sp. multiresistenti, S. aureus meti-cillino-resistente.81-83

Purtroppo, anche in ambiente nosocomiale una diagnosi microbiologica di polmonite puòessere ottenuta in non più della metà dei casi. L’esame batterioscopico e colturale dell’escrea-to è da una parte gravato da un’elevata frequenza di falsi positivi dovuti alla contaminazionecon la flora residente delle alte vie aeree e dall’altra difficilmente ottenibile in pazienti con alte-razioni dello stato di coscienza come in caso di ictus. D’altronde le altre metodiche – se sieccettua l’emocoltura, da effettuare sempre e comunque – sono tutte invasive: broncoaspira-to, fibrobroncoscopia, agoaspirato transtoracico, biopsia polmonare transbronchiale o a cieloaperto. Tra le indagini invasive appena citate, la fibrobroncoscopia con cultura quantitativa daBAL o brushing protetto rappresenta l’indagine complessivamente più idonea, purché effet-tuata prima di iniziare una terapia antibiotica (od almeno due giorni dopo la sua sospensione).È della massima importanza inviare il più rapidamente possibile i campioni di materiale respi-ratorio al laboratorio (entro due ore) e chiedere l’effettuazione non solo dell’esame colturalema anche di quello batterioscopico, che con il minimo sforzo ed in tempi rapidissimi può for-nire informazioni preziosissime. Devono inoltre essere prese tutte le precauzioni possibili(rigorosa anaerobiosi) in occasione della raccolta, trasporto e lavorazione di campioni micro-biologici delicati come quelli per l’eventuale identificazione di batteri anaerobi obbligati.86

Sintesi 11-3La polmonite, che include la pol-monite da aspirazione, è laseconda più frequente compli-canza infettiva nel paziente conictus acuto. La terapia sarà alme-no inizialmente empirica utiliz-zando una monoterapia con uncarbapenemico o con una cefalo-sporina ad amplissimo spettro ouna penicillina semisintetica adampio spettro in associazione almetronidazolo. Considerato ilpossibile ruolo eziologico di S.aureus e la sua frequente meticil-lino-resistenza, può essereopportuno aggiungere alla terapiaun glicopeptide. Il trattamentodovrà essere protratto per 7-10giorni nelle infezioni da S. aureusmeticillino-sensibile o da patoge-ni respiratori classici; per 10-14giorni in quelli dovuti a S aureusmeticillino-resistente e bacilliaerobi gram-negativi; per 14-21giorni in caso di coinvolgimentomultilobare, cavitazioni, gravicondizioni di fondo. Il trattamentoantibiotico potrà essere modifica-to sulla base dei risultati dellecolture e relativi antibiogrammi.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 259

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Sintesi 11-4Poiché il principale fattore dirischio di batteriemia è rappre-sentato dalla presenza di cateterivascolari, è indicata un’adeguatagestione di tali presidi medico-chirurgici. La terapia iniziale èempirica e basata sull’associazio-ne di una beta-lattamina anti-Pseudomonas e di un aminogli-coside (oppure di una cefalospo-rina ad ampio spettro o un carba-penemico da soli), insieme conun glicopeptide. Il trattamentoantibiotico potrà essere modifica-to sulla base dei risultati delleemocolture e relativo antibio-gramma.

La terapia antibiotica sarà almeno inizialmente empirica e basata sulla conoscenza dei dati epi-demiologici riguardanti la possibile eziologia ed il profilo di chemiosensibilità sia generale chelocale dei microrganismi più probabilmente in causa. Nelle forme precoci potrà essere impie-gata una penicillina semisintetica protetta (amoxicillina/clavulanato 2,2 g × 3, ampicillina/sul-bactam 1,5-3 g × 4), una cefalosporina di II (cefuroxime 1,5 g × 3) o III generazione (cefo-taxime 2 g × 3, ceftriaxone 2 g/die) o, in pazienti allergici alle beta-lattamine, un fluorochino-lone (levofloxacina 500 mg × 2, ciprofloxacina 200-400 mg × 2), tutte queste molecole in asso-ciazione ad un agente antianaerobio (clindamicina 900 mg × 3, metronidazolo 500 mg × 4) perla possibilità di trovarsi di fronte ad una polmonite da aspirazione. Nelle forme ad esordio tar-divo il medico avrà l'opportunità di scegliere tra una monoterapia con un carbapenemico(meropenem 1 g × 3, imipenem 500 mg × 4) o con una cefalosporina ad amplissimo spettro(cefepime 2 g × 2) ed un'associazione di un aminoglucoside (amikacina 15 mg/kg/die, tobra-micina 5,1 mg/kg/die) e di una beta-lattamina ad ampio spettro comprendente gli anaerobi(piperacillina/tazobactam 4,5 g × 4, ticarcillina/clavulanato 3,2 g × 4). Considerato il possibileruolo eziologico di S. aureus e la sua frequente meticillino-resistenza, può essere opportunoaggiungere all’anzidetta terapia un glicopeptide (teicoplanina 800 mg/die i primi due giorniseguiti da 400 mg/die, vancomicina 500 mg × 4). Il trattamento dovrà essere protratto per 7-10 giorni nei casi ascrivibili a S. aureus meticillino-sensibile od a patogeni respiratori classici(pneumococco, Hæmophilus influenzæ), per 10-14 giorni in quelli dovuti a MRSA (stafilococ-co aureo meticillino-resistente) e bacilli aerobi gram-negativi e per 14-21 giorni nei casi impe-gnativi (coinvolgimento multilobare, presenza di cavitazioni, pazienti con gravi condizioni difondo).79,84

11.4.1.3 Batteriemie

Statistiche statunitensi evidenziano un’incidenza annua di circa 14,5 batteriemie nosocomialiogni 1·000 ricoveri con 62·500 morti ed un aumento, tra il 1979 ed il 1987, da 7,4 a 17,6 casiogni 1·000 abitanti. In uno studio su 260·834 pazienti, tra il 1980 e il 1992 è stata registratauna diminuzione della mortalità grezza dal 51% al 29% ma la mortalità attribuibile tra ipazienti ospedalizzati è aumentata da 3,55 a 6,22 per 1·000 ricoveri.79

Il principale fattore di rischio associato all’insorgenza di una batteriemia nosocomiale è rap-presentato dalla presenza di un catetere vascolare, con importanti diversificazioni a secondadel tipo di catetere usato (il rischio maggiore si ha con i cateteri venosi centrali non tunneliz-zati), della durata prolungata e della sede della cateterizzazione (il rischio maggiore si ha conl’arteria o la vena femorale e, per quanto riguarda i cateteri venosi centrali, la vena giugulare)e della tecnica di inserimento, che richiede la massima sterilità.86

In misura molto minore, anche l’inserimento di materiali protesici e l’effettuazione di altreprocedure invasive sono fattori predisponenti alla batteriemia primitiva mentre le batteriemiesecondarie conseguono generalmente ad un’infezione respiratoria inferiore (in particolare inpazienti intubati), postchirurgica od urinaria (in genere associata a catetere vescicale o a pro-cedura endoscopica). Altri generici fattori di rischio per batteriemia sono rappresentati dallaneutropenia e dalle terapie citotossiche, cortisoniche e soprattutto antibiotiche.87

Nelle forme secondarie i bacilli aerobi gram-negativi sono preponderanti mentre le infezioniprimitive sono dovute in quasi il 60% dei casi ai principali cocchi gram-positivi nosocomialitra cui S. aureus, stafilococchi coagulasi-negativi (SCN) ed enterococchi.80 In uno studio con-dotto in 49 ospedali statunitensi durante un periodo di tre anni, sono stati rilevati 10·617 epi-sodi di batteriemia nosocomiale, di cui il 31,9% dovuti a SCN, il 15,7% a S. aureus, l’11,3%a bacilli del gruppo K-E-S, l’11,1% ad enterococchi, il 7,6% a Candida sp., il 5,7% ad E. colied il 4,4% a Pseudomonadaceæ. In questo studio la letalità variava dal 21% per le batteriemieda SCN al 40% per quelle da Candida sp.88 Tra tutti questi microrganismi, problemi di resi-stenza possono emergere con S. aureus e SCN a causa della loro frequentissima meticillino-resistenza negli ospedali italiani (con percentuali che vanno dal 40% ad oltre il 60%), P. æru-ginosa ed enterococchi (multiresistenza), E. coli, K. pneumoniæ ed Enterobacter sp. (resisten-za alle cefalosporine di III generazione mediata dalla produzione di beta-lattamasi a spettroespanso per i primi due batteri, di beta-lattamasi cromosomiche per il terzo genere).81-83

L’emocoltura è il test di riferimento per la diagnosi di batteriemia ed alcuni punti fondamen-tali devono essere tenuti ben presenti quali: a) il momento del prelievo – all’acme febbrile odin presenza di brivido; b) il numero ed il volume dei campioni – almeno 3 a distanza di 10-20

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minuti l’uno dall’altro e con almeno 5-10 mL di sangue; c) la tecnica di raccolta – sterilità asso-luta; d) il sistema di lavorazione in laboratorio; e) la capacità del clinico di interpretare i risul-tati. Anche quest’ultimo aspetto ha la sua importanza: reperire in un’emocoltura la presenzadi pneumococco o di un bacillo aerobio gram-negativo è sempre indice di infezione certa men-tre l’isolamento di uno stipite di Staphylococcus epidermidis da un solo campione è indice dicontaminazione nella quasi totalità dei casi.89

La terapia delle batteriemie è fondata sull’impiego di farmaci battericidi che assicurino eleva-te concentrazioni sieriche, somministrati per via endovenosa ad alte dosi, generalmente inassociazioni farmacologiche per allargare lo spettro d’azione o per sfruttare il sinergismo dipotenziamento. Inizialmente, in attesa dei risultati delle emocolture è preferibile l’associazio-ne di una beta-lattamina anti-Pseudomonas quale ticarcillina/clavulanato 3,2 g × 4, piperacilli-na/tazobactam 4,5 g × 4, ceftazidime 2 g × 3 (o di un fluorochinolone come la levofloxacina500 mg × 2 o la ciprofloxacina 200-400 mg × 2 nei soggetti allergici alle beta-lattamine) con unaminoglicoside (amikacina 15 mg/kg/die, tobramicina 5,1 mg/kg/die), oppure l'impiego inmonoterapia di un carbapenemico (meropenem 1 g × 3, imipenem 500 mg × 4) o di cefepime2 g × 2. Considerata l’elevata frequenza con cui negli ospedali italiani vengono isolati stafilo-cocchi meticillino-resistenti (dal 40% per quanto riguarda S. aureus ad oltre il 60% per quan-to concerne gli SCN), è altamente consigliabile aggiungere al carbapenemico (od all’associa-zione beta-lattamina/aminoglicoside) un glicopeptide come teicoplanina (800 mg/die i primidue giorni seguiti da 400 mg/die) o vancomicina (500 mg × 4).79,84

11.4.1.4 Infezioni delle ulcere da decubito

Le ulcere da decubito, prevalentemente localizzate nelle aree declivi sottoposte a pressionequali le zone sacrali, calcaneali e coxofemorali, rappresentano una tipica complicanza medicain pazienti cronicamente allettati come quelli con ictus. L’aumento del peso corporeo (obesità)è un fattore di rischio per la comparsa di piaghe da decubito; anche l’iperglicemia e l’ipopro-teinemia rappresentano un fattore precipitante, e devono essere tempestivamente corrette.

La prevenzione si basa su un capillare e scrupoloso trattamento infermieristico che compren-de l’uso di un lettino antidecubito ad aria o ad acqua, di una minuziosa igiene e la mobilizza-zione del paziente con intervallo variabile da 1 a 4 ore a seconda dei fattori di rischio per lesio-ni da decubito. La formazione di ampie piaghe da decubito con tessuto necrotico si avvale diun adeguato trattamento chirurgico.

Per le condizioni predisponenti di fondo e l’incontinenza urinaria e fecale che spesso con-traddistingue tali pazienti, con facilità le ulcere da decubito si infettano prospettando cosìun’infezione che è tipicamente polimicrobica.71 Possono essere infatti in causa microrganismisia aerobi gram-positivi (enterococchi, stafilococchi, Streptococcus pyogenes) e gram-negativi(Enterobacteriaceæ, Pseudomonadaceæ), sia anaerobi gram-positivi (peptostreptococchi) egram-negativi (Bacteroides sp.).

Una terapia antibiotica delle ulcere da decubito infette dovrebbe essere intrapresa solo allor-quando la patologia sia particolarmente grave da produrre un’estesa cellulite oppure un pro-cesso settico testimoniato dalla presenza di segni e sintomi generali e dalla positività delle emo-colture, che devono essere sempre prelevate in pazienti febbrili. Su queste basi, considerandola molteplice eziologia di tali infezioni, un adeguato trattamento antibiotico è rappresentato dauna penicillina semisintetica protetta (piperacillina/tazobactam 4,5 g × 4, ticarcillina/clavula-nato 3,2 g × 4) oppure da un carbapenemico (meropenem 1 g × 3, imipenem 500 mg × 4) o, inpazienti allergici alle beta-lattamine, dall'associazione tra un fluorochinolone (levofloxacina500 mg/die) ed una molecola antianaerobia (clindamicina 900 mg × 3, metronidazolo500 mg × 4).84

Sintesi 11-5Le piaghe da decubito rappresen-tano una grave complicanza del-l’ictus acuto associata ad unaaumentata mortalità e ad un peg-giore andamento clinico e funzio-nale. Il rischio di piaghe da decu-bito è più alto nei pazienti obesi,nei diabetici e nei pazienti iponu-triti. La terapia antibiotica è indi-cata solo in presenza di un’este-sa cellulite, di segni e sintomi disepsi o di positività delle emocol-ture.

Raccomandazione 11.14Grado DNei pazienti con ictus acuto èindicata la prevenzione delle pia-ghe da decubito basata sul cam-biamento di posizione del pazien-te, con intervallo variabile da 1 a4 ore a seconda dei fattori dirischio per lesioni da decubito, suuna minuziosa igiene e sull’uso diun materasso ad aria o ad acqua.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 261

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Sintesi 11-6

La malnutrizione proteico-energe-tica nel paziente affetto da ictusacuto è un evento frequente. Lavalutazione dello stato nutriziona-le è fondamentale per evidenziareprecocemente situazioni di mal-nutrizione per eccesso o perdifetto e per mantenere o ripristi-nare uno stato nutrizionale ade-guato. Una nutrizione adeguata èimportante per evitare la compar-sa di complicanze, per ridurre itempi di ospedalizzazione, permigliorare la qualità della vita erendere più semplice ed efficaceil percorso terapeutico.

Raccomandazione 11.15 aGrado D

La valutazione dello stato dinutrizione e l’intervento nutrizio-nale sono indicati come compo-nente essenziale dei protocollidiagnostici-terapeutici dell’ictus,sia in fase acuta che durante ilperiodo di riabilitazione.

Raccomandazione 11.15 bGrado D

È indicato che figure professio-nali esperte (medico nutrizionista,dietista) facciano parte del grup-po multidisciplinare che gestisceil lavoro della stroke unit.

Raccomandazione 11.15 cGrado D

È indicato includere le proceduredi valutazione del rischio nutrizio-nale fra gli standard per l’accredi-tamento delle strutture sanitarie.

Sintesi 11-7

I protocolli diagnostici essenzialiper la valutazione dello statonutrizionale e del rischio nutrizio-nale nel paziente affetto da ictusincludono: a) gli indici nutrizionaliintegrati, che vanno effettuatiall’ingresso nell’ospedale o nellastruttura riabilitativa; b) le misureantropometriche, gli indici biochi-mici, la rilevazione dell’assunzio-ne dietetica e delle condizionimediche associate, da ripeterenel corso del ricovero con perio-dicità differente, in relazione alrischio nutrizionale individuale.

11.5 NUTRIZIONE

11.5.1 Valutazione del rischio nutrizionale

Il malato colpito da ictus può presentare una condizione preesistente di malnutrizione pereccesso o per difetto ed è a rischio di malnutrizione proteico-energetica.90-94 Uno stato di mal-nutrizione proteico-energetica è presente nell’8%-16% dei pazienti con ictus acuto, nel 26%dopo 7 giorni, nel 35% dopo 2 settimane e nel 40% all’inizio della fase riabilitativa.95-101

Fattori sia strettamente clinici (disturbi della masticazione, disfagia, disturbi della vigilanza evisuo-spaziali) che assistenziali (difficoltà di alimentazione autonoma per concomitanti distur-bi di forza e/o di coordinazione all’arto superiore) contribuiscono al deterioramento dellostato nutritivo. Inoltre età senile, alterazioni metaboliche, nonché fattori psicologici qualidepressione e isolamento, possono causare un ridotto interesse nell’alimentazione.95,96,101-107

La presenza di malnutrizione proteico-energetica è correlata ad una maggiore incidenza diinfezioni, piaghe da decubito, ridotta capacità di resistere ad insulti di tipo ossidativo ed allaperdita di massa muscolare, che determina o aggrava l’inabilità motoria.95,97,107-109

È necessario quindi includere nei protocolli diagnostici la valutazione dello stato nutrizionalee nei protocolli terapeutici gli interventi nutrizionali correttivi, sia in fase acuta che durante ilperiodo di riabilitazione.110,111 La valutazione del rischio nutrizionale è una procedura assi-stenziale che dovrebbe essere inserita negli standard di accreditamento degli ospedali.112,113 Lestroke unit dovrebbero dotarsi di efficaci protocolli nutrizionali e del personale più adatto allaloro gestione. Il team dovrebbe coinvolgere in modo coerente e continuativo un medico nutri-zionista e un dietista che, in collaborazione, possano garantire la massima qualità dell’inter-vento dietetico-nutrizionale, dalle scelte terapeutiche iniziali alla gestione nel tempo.110 Ilmedico nutrizionista, in particolare, valuta tipologie e costi/benefici dei protocolli terapeuticialla luce delle condizioni cliniche del malato, assicurandone il sistematico follow up metaboli-co. Al contempo, il dietista esegue la valutazione dietetica del paziente, collabora al monito-raggio dello stato di nutrizione, alla valutazione dinamica della assunzione dietetica, allagestione della nutrizione enterale, e coopera nella soluzione delle problematiche legate alladisfagia.114

Le metodiche a cui fare riferimento per la valutazione dello stato nutrizionale sono moltepli-ci, alcune di esse complesse ed attuabili solo in centri specialistici di nutrizione clinica, tutta-via è possibile ricorrere a protocolli semplificati applicabili in tutti gli ospedali e gli istituti ria-bilitativi.

La valutazione dello stato di nutrizione deve almeno comprendere:110

a) una prima valutazione o screening del rischio nutrizionale, da effettuarsi utilizzando gliindici nutrizionali integrati entro 24-48 ore dall’ammissione a tutti i pazienti.110,111 I risul-tati dello screening nutrizionale devono guidare ad una richiesta appropriata d’interventodel dietista per la valutazione ed il trattamento.111

Il Nutritional Risk Screening (NRS)112 ed il Malnutrition Universal Screening Tools(MUST)115,116 possono essere utilizzati anche nel caso dell’ictus. Entrambi gli indici, consi-derando il BMI, il decremento ponderale non intenzionale, la valutazione dell’assunzionedietetica, la condizione clinica e/o il trattamento, classificano il paziente a rischio lieve(NRS ≤2; MUST ≤1) o moderato/elevato (NRS ≥3; MUST ≥2; Tabella 11:IV e Figura 11–1).

b) successive e più complete valutazioni dello stato di nutrizione utilizzando misure ed indiciantropometrici, indici biochimici, la valutazione dell’assunzione dietetica e delle patologieassociate. Tali valutazioni devono essere ripetute con periodicità settimanale nei pazientinormonutriti; la Tabella11:V elenca gli indicatori ed i valori soglia da considerare.Il sospet-to di malnutrizione proteico-energetico necessita di un monitoraggio bisettimanale, vice-versa la presenza di una condizione di malnutrizione in atto (identificata dalla presenza dialmeno due indicatori, di cui uno biochimico), necessita di un immediato supporto nutri-zionale.

Gli indici essenziali da includere nel protocollo di valutazione dello stato nutrizionale e delrischio nutrizionale possono essere elencati come segue.

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11.5.1.1 Misure ed indici antropometrici

Per il paziente in grado di mantenere la stazione eretta:

peso, altezza, circonferenza vita. Il peso e l’altezza consentono il calcolo dell’indice di massacorporea (IMC o BMI = peso/altezza2 in kg/m2), con il quale evidenziare la presenza di mal-nutrizione per eccesso (BMI ≥30) o per difetto (BMI<20).117 La misura ripetuta del peso con-sente di evidenziare la presenza di decremento ponderale non intenzionale. Un decrementoponderale non intenzionale >5% negli ultimi due mesi può essere riferito ad una situazione dimalnutrizione proteico-energetica in atto. La misura ripetuta del peso corporeo va effettuatacon periodicità almeno settimanale per tutta la durata del ricovero: un decremento ponderalenon intenzionale del 2% rispetto alla precedente settimana è chiaramente indicativo di appor-ti energetici inadeguati.

Raccomandazione 11.15 dGrado DÈ indicato che, all’ingresso nel-l’ospedale e nella struttura riabili-tativa, si proceda alla valutazionedel rischio nutrizionale utilizzandoil Nutritional Risk Screening (NRS)o il Malnutrition UniversalScreening Tool (MUST).

Raccomandazione 11.15 eGrado DÈ indicato procedere alla valuta-zione del rischio nutrizionaleentro 24-48 h dal ricovero.

Figura 11–1. MalnutritionUniversal Screening Tool.116

Raccomandazione 11.15 fGrado DNel paziente in grado di mante-nere la postura eretta sono indi-cati misure e indici antropometri-ci essenziali quali circonferenzadella vita, calcolo dell’Indice diMassa Corporea (IMC) e stima deldecremento ponderale non inten-zionale.Nel paziente non deambulantesono indicate le misurazioniantropometriche di: peso corpo-reo, se disponibili attrezzaturespeciali, e semiampiezza dellebraccia, in luogo dell’altezza, peril calcolo dell’IMC o, in alternati-va, la circonferenza del braccio.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 263

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Tabella 11:IV – Nutritional Risk Screening (Public Health Commitee, 2003)112

punti stato nutrizionale punti condizione medica e trattamento1 perdita peso >5% negli ultimi 3 mesi 1 frattura dell’anca;

oppure: presenza di patologie croniche ancheassunzione dietetica <50-75% rispetto ai in fase di riacutizzazione:fabbisogni nella settimana precedente epatopatie croniche cirrogene,

malattie polmonari ostruttive croniche,tumori solidi;

radioterapia(ipercatabolismo lieve)

2 perdita peso >5% negli ultimi 2 mesi 2 post-intervento di chirurgia (addominale) maggiore;oppure: pazienti geriatrici istituzionalizzati;

IMC 18,5-20,5 associato a condizioni generali scadute ictus;oppure: insufficienza renale nel postoperatorio;

assunzione dietetica <25-50% rispetto ai pazienti ematologici;fabbisogni nella settimana precedente chemioterapia

(ipercatabolismo moderato)3 perdita peso >5% nell’ultimo mese 3 traumi cranici

oppure: trapianto di midollo osseoIMC <18,5 associato a condizioni generali scadute pazienti in terapia intensiva

oppure: (ipercatabolismo grave)assunzione dietetica 0-25% rispetto aifabbisogni nella settimana precedentetotale A totale B

TOTALE A+B: basso rischio di malnutrizione (punteggio ≤2);rischio moderato/elevato di malnutrizione (punteggio ≥3)

STEP 1 IMC

STEP 2 perdita di peso

STEP 4 valutazione globale del rischio di malnutrizione

STEP 3 effetti di malattia acuta

+ +

se il paziente è affetto da unamalattia acuta e si è verificato

o si prevede per almeno 5 giorniun introito nutrizionale insufficiente

punteggio = 2

IMC (kg/m2)>20 (>30 obeso)18,5–20,0<18,5

punteggio012

decremento %<5

5-10 >10

punteggio01 2

decremento ponderale non intenzionale negli ultimi 3-6 mesi

sommare STEP 1 + STEP 2 + STEP 3

punteggio 0basso rischio di malnutrizione

punteggio 1medio rischio di malnutrizione

punteggio ≥2alto rischio di malnutrizione

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Raccomandazione 11.15 gGrado DNel protocollo di valutazione dellostato di nutrizione sono indicatela valutazione dell’assunzionedietetica e la valutazione clinica;il dosaggio dell’albumina e laconta dei linfociti sono indicatiquali valutazioni biochimicheessenziali.

La circonferenza vita è la misura antropometrica più pratica per la valutazione della quantitàdi grasso viscerale direttamente correlato, anche nei soggetti normopeso, ad un aumentatorischio di malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. I valori di attenzione sono:118,119

• rischio moderato: >94 cm nell’uomo; >80 cm nella donna• rischio elevato: >102 cm nell’uomo; >88 cm nella donnaPer i pazienti non deambulanti, confinati nel letto o incapaci di mantenere la stazione eretta:

peso, semiampiezza delle braccia, circonferenza del braccio. Per i pazienti non deambulanti lamisurazione del peso richiede la disponibilità di attrezzature specifiche (sedie e letti a bilan-cia); la misurazione della semiampiezza della braccia permette una stima dell’altezza (secondoapposite tabelle di corrispondenza fra i due dati) mentre la circonferenza del braccio può esse-re utilizzata, in alternativa al BMI, per evidenziare una situazione di malnutrizione per difetto(<23,5 cm) o per eccesso (>32 cm).

11.5.1.2 Indici biochimici

Gli indici biochimici di più semplice determinazione ed interpretazione sono l’albuminemia ela conta linfocitaria. L’ipoalbuminemia è un fattore predittivo di una peggiore prognosi neipazienti affetti da ictus.93,120,121 I riferimenti diagnostici per albuminemia e conta linfocitariasono riportati in Tabella 11:V.

11.5.1.3 Valutazione dell’assunzione dietetica

La valutazione dell’assunzione dietetica è indicata per la valutazione ed il monitoraggio dellostato nutrizionale, nonché per l’impostazione di un adeguato supporto nutrizionale.

La prima valutazione dell’assunzione dietetica va effettuata all’ingresso in ospedale o nellastruttura riabilitativa ottenendo informazioni dai familiari o, qualora possibile, direttamentedal malato sui consumi dei 5-7 giorni precedenti; a tale scopo si utilizza l’inchiesta alimentareper ricordo (Recall) o questionari semplificati che mirano a valutare i consumi alimentari e leloro variazioni nel periodo che precede l’osservazione.

Le successive valutazioni si effettuano mediante la determinazione diretta di quanto consu-mato dal malato (p. es. con la valutazione degli scarti); le valutazioni dell’assunzione dieteticavanno eseguite per almeno un giorno a settimana e ripetute nei due giorni consecutivi se l’as-sunzione dietetica è <75% dei fabbisogni stimati. Misurazioni ripetute <75% impongonovariazioni della strategia nutrizionale adottata.Valutazione clinica

La valutazione clinica deve essere effettuata per evidenziare la presenza di ulteriori patologiee/o trattamenti terapeutici che possano determinare un incremento dei fabbisogni in energiae nutrienti o richiedere modifiche della composizione nutrizionale della terapia dietetica.

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Tabella 11:V – Criteri per la valutazione della malnutrizione proteico-energetica (PEM)

sospetto di PEM/PEM lieve PEMBMI (kg/m2) o, in alternativa, ≥20 <20circonferenza braccio (cm) ≥23,5 <23,5decremento ponderale non intenzionale (%) >5% in 3-6 mesi >5% in 2 mesialbuminemia (g/dL) 3,0-3,5 <3,0conta linfocitaria (no./mm3) 1·200-1·500 <1·200assunzione dietetica (copertura % del fabbisogno) 100%-75% <75%gravità della patologia o presenza di patologie associate no sì

supportonutrizionale

monitoraggiobisettimanale

11.5.2 Il trattamento nutrizionale nella fase acuta

Il supporto nutrizionale è parte integrante del trattamento dell’ictus cerebrale. La mancanzadi un adeguato supporto nutrizionale determina il rapido instaurarsi di un deficit calorico-pro-teico che ha conseguenze drammatiche sull’evoluzione del quadro clinico.122

Obiettivi del supporto nutrizionale sono la prevenzione o il trattamento della malnutrizioneproteico-energetica, di squilibri idro-elettrolitici o di micronutrienti.

L’istituzione del supporto nutrizionale si articola nelle seguenti fasi:a. valutazione dello stato di nutrizione (vedi § 11.5.1);b. valutazione dei fabbisogni di energia e nutrienti;c. timing e scelta delle modalità di somministrazione della nutrizione;d. prevenzione e gestione delle complicanze della nutrizione enterale.

11.5.2.1 Valutazione dei fabbisogni di energia e nutrienti

Il calcolo del fabbisogno energetico dovrebbe teoricamente essere effettuato mediante la calo-rimetria indiretta che valuta la spesa energetica sulla base del consumo d’ossigeno e della pro-duzione di anidride carbonica. Più semplicemente il fabbisogno energetico si calcola con ilmetodo fattoriale: il metabolismo di base (MB), predetto con le equazioni riportate in Tabella11:VI, va moltiplicato per un fattore che considera o il livello di attività fisica o particolari con-dizione cliniche.123

Allo stato attuale non è stato identificato alcun fattore di correzione specifico per le patologieneurologiche:122

• paziente allettato = 1,2• paziente non allettato = 1,3• trauma chirurgico minore = 1,2• trauma scheletrico = 1,35• sepsi grave = 1,6• ustione estesa = 2,1.

L’apporto proteico consigliato nei casi non complicati è di circa 1 g/kg di peso corporeo misu-rato (se normopeso) o desiderabile (in caso di obesità o magrezza) e fino 1,2-1,5 g/kg al gior-no in presenza di condizioni ipercataboliche o piaghe da decubito.112,124,125 Se il soggetto è gra-vemente malnutrito le stime del fabbisogno energetico e proteico vanno personalizzate.

Una volta coperti i fabbisogni di proteine, la proporzione dei carboidrati e dei lipidi può varia-re, rispettivamente, tra il 50% e il 65% dell’energia totale per i primi e tra il 20% e il 30%dell’energia totale per i secondi.112

I fabbisogni di minerali e vitamine del soggetto in fase post ictus normonutrito sono simili aquelli della popolazione generale di età, sesso e peso corporeo similare, mentre nel caso di sog-getto affetto da malnutrizione i fabbisogni vanno stimati in modo individuale.125 Nella faseimmediatamente post-evento il percorso nutrizionale da intraprendere va attivato in modo dif-ferente a seconda della capacità di deglutizione e del sensorio.

Per quanto riguarda l’apporto idrico, va eseguito un monitoraggio quotidiano per valutare leesigenze del singolo soggetto mediante bilancio delle perdite sensibili (urine e feci) e insensi-bili (cute e respiro).

Sintesi 11-8Obiettivi del supporto nutrizionalein fase acuta sono la prevenzioneo il trattamento della malnutrizio-ne proteico-energetica, di squili-bri idro-elettrolitici o di carenzeselettive (minerali, vitamine,antiossidanti, ecc.).

Sintesi 11-9Il fabbisogno di energia si calcolaapplicando il metodo fattoriale, ecioè misurando o stimando ilmetabolismo basale e correggen-do tale valore per il livello di atti-vità fisica (LAF) o per i fattori dimalattia, espressi in multipli delmetabolismo basale: sono ingenere indicati valori compresitra 1,2 e 1,5 volte il metabolismobasale.

Sintesi 11-10Il fabbisogno minimo di proteineè di circa 1 g/kg di peso corporeomisurato (se normopeso) o desi-derabile (in caso di obesità omagrezza) e fino 1,2~1,5 g/kg algiorno in presenza di condizioniipercataboliche o piaghe dadecubito. Il timing e la sceltadella modalità di somministrazio-ne della nutrizione sono condizio-nati innanzitutto dalle condizionicliniche del paziente.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 265

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Tabella 11:VI – Equazioni di predizione del metabolismo di base (MB; kcal/die) a partire dal peso corporeo (Pc)➀FAO/WHO/UNU 1985;124 Schofield et al 1985 123

età (anni) uomini donne30-59 11,6 × Pc + 879 8,7 × Pc + 82960-74 11,9 × Pc + 700 9,2 × Pc + 688≥75 8,4 × Pc + 819 9,8 × Pc + 624

➀ peso corporeo in kg misurato (se normopeso) o desiderabile(in caso di obesità o magrezza)

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Raccomandazione 11.16 aGrado BNei pazienti in cui è possibile l’a-limentazione per os, non è indi-cata l’utilizzazione routinaria diintegratori dietetici, in quanto nonassociata ad un miglioramentodella prognosi. L’utilizzazione diintegratori dietetici deve essereguidata dai risultati della valuta-zione dello stato nutrizionale.

Raccomandazione 11.16 bGrado DIl programma nutrizionale delsoggetto affetto da ictus in faseacuta prevede le seguenti opzioni:• soggetti non disfagici normo-

nutriti: alimentazione per osseguendo il profilo nutriziona-le delle Linee Guida per unaSana Alimentazione;

• soggetti non disfagici conmalnutrizione proteico-ener-getica: alimentazione per oscon l’aggiunta di integratoridietetici per os;

• soggetti con disfagia: adatta-mento progressivo della dietaalla funzionalità deglutitoria ealla capacità di preparazionedel bolo o nutrizione enterale,eventualmente integrate.

Raccomandazione 11.17 aGrado BNel soggetto affetto da ictus infase acuta la terapia nutrizionaleartificiale di scelta è rappresenta-ta dalla nutrizione enterale. Èindicato iniziare il trattamento dinutrizione enterale precocementee comunque non oltre 5-7 giorninei pazienti normonutriti e nonoltre le 24-72 ore nei pazientimalnutriti.

Raccomandazione 11.17 bGrado DLa nutrizione parenterale è indi-cata esclusivamente laddove lavia enterale non sia realizzabile osia controindicata o quale sup-plementazione alla nutrizioneenterale qualora quest’ultima nonconsenta di ottenere un’adeguatasomministrazione di nutrienti.

11.5.2.2 Timing e scelta delle modalità di somministrazione della nutrizione

Il timing e la scelta della modalità di somministrazione della nutrizione sono condizionatiinnanzitutto dalle condizioni cliniche del paziente. Come discusso in dettaglio nel § 11.5.3,molti pazienti con patologie cerebrovascolari, ed in particolare quelli che necessitano di trat-tamento intensivo, non sono in grado di alimentarsi per via orale, anche in considerazione del-l’elevato rischio di aspirazione polmonare, particolarmente frequente nei pazienti con distur-bi della deglutizione.Soggetto non disfagico

Nei soggetti con stato nutrizionale normale è indicata l’alimentazione per os con eventualeassistenza, se presenti altre alterazioni funzionali (paresi, ecc.). I risultati del FOOD Trialhanno evidenziato che la somministrazione routinaria di integratori dietetici non si associa, nelpaziente affetto da ictus, ad un miglioramento della prognosi e ad un decremento della mor-talità a sei mesi,126 tuttavia i dati a disposizione non consentono di effettuare un’analisi sepa-rata nei soggetti classificati come malnutriti e non sono confermati in altri studi.93,127 Pertanto,allo stato attuale, in presenza di malnutrizione proteico-energetica è indicata l’aggiunta di inte-gratori dietetici per os. Tali integratori dietetici vanno prescritti e somministrati con modalitàchiare e precise alla stregua di altre terapie, per evitare che non vengano in realtà assunti.110

Soggetto disfagico

L’impostazione del trattamento nutrizionale del paziente disfagico richiede uno studio preli-minare della deglutizione, come indicato nel § 11.5.3,128,129 e va pianificata in relazione alrischio di broncopolmonite ab ingestis, al grado di autonomia e allo stato nutrizionale delpaziente.

Il programma nutrizionale prevede la dieta progressiva per disfagia o la nutrizione artificia-le.111,130,131 Se il tipo ed il grado di disfagia presentato dal soggetto lo consentono, si può pro-grammare una dieta con alimenti e bevande a densità modificata; per ulteriori approfondi-menti sulle caratteristiche della terapia dietetica in corso di disfagia, si rimanda al § 14.9.2. Incaso di disfagia completa è indicata la nutrizione artificiale.110,124,125 Nel paziente neurologicola terapia nutrizionale artificiale di scelta è rappresentata dalla nutrizione enterale, poiché l’ap-parato gastroenterico è abitualmente integro; l’orientamento verso la nutrizione enterale sibasa su quanto le linee guida per la nutrizione artificiale delle principali società scientificheinternazionali e nazionali sostengono da tempo.125,132

Una metanalisi condotta dalla Cochrane Collaboration sull’efficacia degli interventi di nutri-zione artificiale in corso di disfagia conclude che non sono presenti studi sufficienti per porreraccomandazioni conclusive né sul periodo ottimale in cui iniziare il trattamento, né sullemodalità di somministrazione.133,134 Più di recente i risultati del FOOD Trial evidenziano undecremento non significativo della mortalità (riduzione assoluta del rischio pari a 5,8%; IC95–0,8% a 12,5%; P=0,09) e dell’endpoint combinato morte/esito sfavorevole pari a 1,2% (IC95–4,2% a 6,6%; P=0,7) nei pazienti sottoposti a nutrizione enterale precoce;135 sulla base di taleevidenza, ragionevolmente si può indicare di iniziare precocemente la nutrizione enteralequando necessario e comunque di non superare, nel soggetto normonutrito, i 5-7 giorni diattesa 135 e, nel soggetto con malnutrizione proteico-energetica, i 2-3 giorni.110,125

Nutrizione enterale del paziente in fase acuta post-ictus

È ormai dimostrato che la via enterale è da preferirsi rispetto a quella parenterale: essa favori-sce il trofismo della mucosa intestinale, consente il mantenimento della sua funzione immuni-taria e di barriera riducendo la traslocazione batterica, ha una incidenza minore di compli-canze infettive e metaboliche ed è meno costosa.125

Se il soggetto non presenta altre patologie concomitanti (diabete, insufficienza renale, epatica)sono utilizzabili le miscele polimeriche presenti in commercio dotate di tutti i macro e micro-nutrienti necessari prive di lattosio e glutine, a basso o normale residuo, a concentrazione calo-rica differente da 0,5 kcal per mL a 2 kcal per mL. L’impiego di tali miscele sterili e liquide,oltre a garantire in modo noto i fabbisogni nutrizionali, riduce in modo rilevante le compli-canze gastrointestinali legate a contaminazioni batteriche e quelle meccaniche a livello dellesonde nasogastriche, frequenti con l’uso di miscele allestite in modo artigianale.

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stesura 15 marzo 2005

11.5.2.3 Prevenzione e gestione delle complicanze della nutrizione enterale

Nei soggetti con patologie cerebrovascolari e nei soggetti con postumi di ictus il rischio diaspirazione è consistente. Peraltro, il rischio di aspirazione sussiste anche in caso di svuota-mento gastrico ritardato, particolarmente nei cerebrolesi più gravi.136,137

È necessario valutare la presenza di reflusso gastroesofageo e la somministrazione della nutri-zione enterale va effettuata con la posizione del tronco inclinata di 30°, valutando periodica-mente la presenza e l’entità del ristagno gastrico che non deve superare 150-200 mL.125

La somministrazione della nutrizione enterale tramite sondino naso-gastrico e mediante l’usodi enteropompe è una buona scelta finalizzata ad un supporto nutrizionale a breve termine inpazienti con grave disfagia da ictus. Infatti, in almeno il 50% dei casi la disfagia migliora entrouna settimana.138 L’utilizzo di enteropompe e di programmi di induzione graduali riducono inmodo consistente la probabilità di comparsa di complicanze gastroenteriche. Negli anziani viè spesso ridotta tolleranza del sondino naso-gastrico con conseguente auto-estubazione; ilriposizionamento del sondino è stressante e necessita del supporto radiografico per valutarneil corretto posizionamento. La rimozione involontaria comporta il rischio di aspirazione pol-monare.139,140 Nel paziente disfagico post-ictus il raggiungimento della quota calorica entro 3-4 giorni è un obiettivo clinicamente ipotizzabile.

In caso di reflusso gastroesofageo accertato, è indicato considerare dall’inizio la somministra-zione distalmente al legamento di Treitz o mediante posizionamento in digiuno della sondanasoenterica con manovra endoscopica o tramite digiunostomia.

Le principali complicanze meccaniche (occlusione, dislocazione, decubiti sonde nutrizionali)e gastroenteriche (nausea, vomito, diarrea) della nutrizione enterale sono prevenibili median-te l’uso delle seguenti procedure:125,141

• complicanze meccaniche:• lavaggio regolare della sonda;• utilizzo della enteropompa;• utilizzo di sonde di materiale e calibro adeguato;

• complicanze gastroenteriche:• protocolli di induzione adeguata;• soluzioni nutrizionali idonee;• manipolazioni con tecniche di asepsi di soluzioni nutrizionali e deflussori:• uso di enteropompe.

La PEG (percutaneous endoscopic gastrostomy), è un’alternativa in pazienti che necessitano dinutrizione enterale prolungata. Nel 95% dei casi vi è successo di inserzione, eccellente tolle-ranza da parte del paziente, bassa morbosità (6-16%) e mortalità (0-1%).142,143

È un metodo più invasivo rispetto alla alimentazione con sondino,133,144,145 e possibili compli-canze sono: perforazione gastrica, emorragia gastrica, fistola gastro-colica, infezione sulla zonadello stoma ed aspirazione polmonare. I risultati di uno studio randomizzato controllato, checonclude affermando che nel medio-lungo periodo la PEG si è dimostrata essere più sicura edefficace del trattamento con nutrizione enterale post ictus,145 non sono confermati dal piùrecente FOOD Trial, che evidenzia un possibile eccesso di mortalità (aumento assoluto dirischio pari a 1,0%; IC95 –10,0% a +11,9%; P=0,9) e un aumento del rischio combinato dimorte ed esito sfavorevole pari al 7,8% (IC95 0,0% a 15,5%; P=0,05) nei pazienti con inser-zione precoce di PEG.135

Pertanto, allo stato attuale, la messa in posizione di PEG va presa in considerazione nei sog-getti con disfagia persistente post ictus entro 30 giorni, e se è ipotizzabile una durata superio-re a due mesi.

11.5.3 Disfagia

La disfagia è una possibile conseguenza dell’ictus con ricadute negative sia sulla gestione dellafase acuta, sia sui tempi di degenza che sull’esito (morbosità e mortalità).146

La disfagia è presente nei pazienti con ictus in misura variabile fra il 13% (lesione unilaterale)e il 71% (lesioni bilaterali o del tronco).138,147-152

La deglutizione sembra essere mediata da una serie neurale che interessa entrambi gli emisfe-ri cerebrali con input discendenti verso il midollo.151

Raccomandazione 11.17 cGrado B

Nei pazienti che non deglutisco-no, è indicato attendere uno odue giorni prima di posizionare ilsondino, idratando il paziente pervia parenterale.

Sintesi 11-11

La nutrizione enterale tramitesondino naso-gastrico e con l’au-silio di pompe peristaltiche è rite-nuta più appropriata rispetto allanutrizione parenterale per il sup-porto nutrizionale a breve terminein pazienti con grave disfagia daictus; l’uso del sondino naso-gastrico può essere problemati-co, specie nei pazienti anziani.

Sintesi 11-12

Il posizionamento del sondino insede gastrica può non abolire ilrischio di inalazione in caso disvuotamento gastrico ritardato,particolarmente nei pazienti conlesioni cerebrali più gravi. In que-sti casi il rischio di inalazione siriduce se il bolo viene immessolontano dal piloro, oltre l’angolodi Treitz.

Raccomandazione 11.18Grado B

Nei soggetti con disfagia persi-stente post ictus e se è ipotizza-bile una durata superiore a duemesi, entro 30 giorni è indicatoconsiderare il ricorso alla PEG(gastrostomia percutanea endo-scopica), da praticarsi non primadi 4 settimane dall’evento.

Sintesi 11-13

La disfagia è una conseguenzafrequente dell’ictus con ricadutenegative sull’esito clinico e fun-zionale, sulla mortalità e suitempi di degenza. Oltre alla mal-nutrizione, possibili complicanzedeterminate dalla disfagia sono:l’aspirazione di materiale estra-neo con conseguente bronco-pneumopatia ab ingestis; la disi-dratazione e l’emoconcentrazionecon effetti secondari negativisulla perfusione cerebrale e sullafunzione renale.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 267

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

La disfagia è la conseguenza del danno a carico delle vie cortico-bulbari che connettono il cen-tro di controllo della deglutizione (localizzato nella regione corticale frontale inferiore bilate-ralmente) con i nuclei bulbari che mediano la via finale del meccanismo della deglutizione.Daniels et al.153 hanno proposto l’importanza del ruolo dell’insula anteriore nel meccanismodella deglutizione, poichè questa era la sede di lesione più comune nei pazienti con ictus edisfagia esaminati. L’insula anteriore ha collegamenti con la corteccia motoria primaria e sup-plementare, il nucleo mediale ventroposteriore del talamo ed il nucleo del tratto solitario,strutture rilevanti nella mediazione dei meccanismi di deglutizione orofaringea. Di conse-guenza, le lesioni dell’insula anteriore possono produrre disfagia, interrompendo questi colle-gamenti.

La compromissione della motilità del faringe determina disfagia per la concomitante ipomo-bilità della base linguale, per la ritardata e/o incompleta chiusura dello sfintere laringeo e perla disfunzione dello sfintere esofageo superiore con conseguente significativo aumento delrischio di aspirazione.138,154-156

Per quanto i meccanismi ed i substrati neuronali che regolano la coordinazione lingualedurante la deglutizione non siano esattamente definiti, l’incoordinazione della lingua durantela deglutizione nei disfagici non sembra essere associata ad aprassia bucco-linguale, a disturbidel linguaggio od aprassia degli arti. La gravità della compromissione della funzione degluti-toria dipende naturalmente dalla sede dell’ictus. I risultati di uno studio recente indicano tut-tavia che la gravità della disfagia dopo un ictus ischemico emisferico unilaterale è in relazionealle dimensioni dell’area di rappresentazione faringea a livello dell’area corticale motoria del-l’emisfero non interessato dal danno ischemico e pertanto vicariante.157

Tutti i tipi di ictus possono causare disfagia. In oltre il 20% dei casi, l’infarto lacunare si asso-cia a disfagia. L’ictus a carico del tronco encefalico è generalmente associato a disfagia piùgrave e più frequente rispetto alle lesioni emisferiche.158,159

Le lesioni sottocorticali possono causare disconnessione fra le regioni corticali implicate nelcontrollo orale e nella coordinazione della deglutizione, producendo cosi un disturbo delladeglutizione.160

Nell’infarto nel territorio della ACM di destra è stata evidenziata una maggiore durata di sta-zionamento faringeo degli alimenti, una più alta incidenza di deviazione laringea con conse-guente ingresso di materiale nel vestibolo laringeo ed una più frequente aspirazione di liquidisotto le corde vocali vere. Anche per quanto riguarda l’ictus emisferico la gravità e le caratte-ristiche della disfagia variano in base alla sede della lesione, secondo lo schema di Tabella11:VII.

Recentemente è stato dimostrato che la muscolatura per la deglutizione è somatotopicamenterappresentata nella corteccia motoria e pre-motoria di entrambi gli emisferi, ma è stata dimo-strata anche una asimmetria emisferica individuale, indipendente dalla dominanza emisferi-ca.152

La topografia dei muscoli miloidei è più laterale, mentre quella per il faringe e l’esofago appa-re più rostromediale. I pazienti con più pronunciata disfagia sembrano essere quelli con dannodell’emisfero in cui è localizzato il centro dominante motore per la deglutizione.

La prognosi a breve termine della disfagia è generalmente considerata favorevole. Di norma iltempo medio di recupero è una settimana, (il 50% di tali pazienti presenta una regressione del

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stesura 15 marzo 2005

Tabella 11:VII – Alterazioni della deglutizione per tipo di ictus

tipo di ictus tipo di lesione gravità tipo di alterazioneictus emisferico monolaterale sinistro + + - FASE ORALE DELLA DEGLUTIZIONE

Incoordinazione labio-glosso-mandibolare,disprassia orale,aumento tempo di transito orale del bolo.

ictus emisferico monolaterale destro + + - FASE FARINGEA DELLA DEGLUTIZIONERidotta escursione verso l’alto della laringe,ristagno del bolo verso l’alto,rischio di inalazione (soprattutto per i liquidi)

ictus emisferico lesioni corticali bilaterali + + + TUTTE

sintomo dopo 7 giorni), anche se il recupero è in funzione delle condizioni generali e dell’etàdel paziente.146,161

Anche la prognosi a distanza (6 mesi) è generalmente buona. In una coorte di 128 pazientinell’87% dei casi i pazienti tornavano alla dieta pre-ictus seppur durante il periodo di osserva-zione di 6 mesi circa il 20% aveva sofferto di infezioni polmonari. Un controllo tardivo convideofluoroscopia in pazienti con significativi problemi di disfagia all’esordio evidenzia unadisfunzione delle false corde vocali nel 50% dei casi ed aspirazione nel 20%-25%. Il riflesso dideglutizione assente o ritardato è indicativo di rischio maggiore di infezioni polmonari nei 6mesi successivi all’evento cerebrale, cosi come di difficoltà al ritorno ad una dieta normale peril transito orale ritardato. L’evidenza di transito orale ritardato e/o la presenza di liquido di con-trasto nel vestibolo laringeo, l’età superiore a 70 anni ed il sesso maschile, predicono una piùdifficoltosa ripresa deglutitoria ed il maggior rischio di polmoniti da aspirazione a 6 mesi.146

La malnutrizione dopo la prima settimana di ospedalizzazione predice un esito clinico negati-vo ed è correlata a una maggiore frequenza di infezioni urinarie e polmonari. La disfagiaaumenta di 2,6 volte il rischio di esito negativo.162

A trenta giorni dal ricovero per ictus, la malnutrizione ingravescente è fortemente correlataalla disfagia.96,163

La disfagia determina, in corso di ictus, disabilità funzionale ed aumento della morta-lità.147,164,165

La valutazione della deglutizione, attraverso le varie fasi: orale, velofaringea e faringea,dovrebbe essere attuata in ogni paziente con ictus.

Sebbene la valutazione con videofluoroscopia possa essere necessaria in una percentuale intor-no al 20% dei pazienti, l’approccio con il test dell’acqua è molto utile come metodo di scree-ning ed è attualmente il più usato.

La videofluoroscopia e il videocounter timer sono stati usati per registrare le caratteristiche dimotilità orofaringea durante la deglutizione.149,150,166

Numerosi studi associano significativamente l’evidenza videofluoroscopica di aspirazione dibario al rischio di sviluppare complicanze polmonari.167-169

L’aspirazione silente rappresenta un grave rischio per i pazienti con ictus acuto. In uno studiosu 114 pazienti con ictus, l’aspirazione silente, evidenziata alla videofluoroscopia, aumentavadi 5,5 volte il rischio relativo di pneumopatie.170

Il tempo di transito faringeo correla con il rischio di infezioni broncopolmonari: il tempo ditransito di meno di 2 sec si traduce in rischio lieve o assente; da 2 a 5 sec in rischio moderato(40%); maggiore di 5 sec. in rischio elevato (90%).168

Il test al bario modificato per l’identificazione della disfagia (TBM) rivela l’aspirazione deiliquidi e dei semisolidi. Nei pazienti clinicamente disfagici dopo un ictus, il TBM può distin-guere i potenziali soggetti con rischio di aspirazione. Tramite il TBM può essere inoltre defi-nito chiaramente il rischio di aspirazione di alimenti di varia consistenza, guidando così ladefinizione della dieta più appropriata.171

La prova con 99mTc è particolarmente utile nella gestione della disfagia asintomatica in pazien-ti anziani con ictus. Alcuni Autori hanno sperimentato questa tecnica di valutazione delladisfagia in pazienti affetti da ictus per ridurre il rischio di polmonite da aspirazione;172 è statosomministrato 1 mL di tecnezio (99mTc) al paziente durante il sonno attraverso un cateterenasale disposto nella bocca e verificando l’eventuale aspirazione a distanza di 9 ore.

Tuttavia, tutti questi test sono difficilmente eseguibili al di fuori di centri altamente specializ-zati. Peraltro, il rischio di disfagia è definibile in maniera sufficientemente accurata con unavalutazione clinica semplice come il Bedside Swallowing Assessment (BSA) che tiene in consi-derazione parametri come il livello di coscienza e segni clinici di potenziale disfagia come lapresenza di disfonia, disartria, difficoltà nell’espettorare o nell’eliminare le secrezioni e/o ilcibo, ridotto gag reflex.149,155,170,173 Quindi, la capacità di deglutizione si può valutare con unsemplice test. La prima fase prevede che il paziente tenti di deglutire 10 mL di acqua in tretempi diversi. Se il paziente riesce a deglutire i 10 mL, dare 50 mL di acqua in un bicchiere.La difficoltà nel bere da 10 a 50 mL di acqua o la comparsa di colpi di tosse (più di una volta)in due circostanze diverse permettono di valutare l’eventuale disfagia. Va notato che sebbene

Raccomandazione 11.19Grado DUn monitoraggio standardizzatodella funzione deglutitoria è indi-cato al fine di prevenire le com-plicanze secondarie alla disfagia.

Raccomandazione 11.20Grado DUna valutazione clinica standar-dizzata del rischio di disfagia(usando il BSA: BedsideSwallowing Assessment) e untest semplice, quale il test delladeglutizione di acqua, sono indi-cati in tutti i pazienti con ictusacuto. In centri specializzati pos-sono essere utilizzati approcci piùsofisticati quali un esame condot-to dal logopedista o dal foniatra ola videofluoroscopia.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 269

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

il 20% dei pazienti con aspirazione alla videofluoroscopia non abbia una disfagia evidenzia-bile con il test della deglutizione di acqua, tuttavia questo ha una soddisfacente predittivitànella prognosi dei pazienti con ictus ischemico.174,175 Infatti, l’insorgenza di complicanze infet-tive, la mortalità, la disabilità residua e la durata della degenza sono risultate significativamentecorrelate alla presenza di disfagia, ma non al riscontro di aspirazione evidenziata con la video-fluoroscopia.163 L’utilità della videofluoroscopia durante la fase acuta dell’ictus è pertantolimitata e non è quindi giustificato il suo uso routinario.176 Se c’è dunque qualche segno didisfagia al test della deglutizione dell’acqua non iniziare l’alimentazione per os.

Un programma di trattamento riabilitativo precoce della deglutizione nei pazienti con ictus edisfagia è sicuramente indicato.177

Tali valutazioni dovrebbero essere ripetute nell’arco della prima settimana mediante lo sche-ma di Tabella 11:VIII.

I pazienti in grado di bere non più di 5-10 mL di acqua con un sorso senza manifestare disfa-gia, possono iniziare con una dieta semisolida usando tecniche compensatorie di deglutizione.È importante un supporto medico, infermieristico, dietologico e di logopedisti. Pazienti capa-ci di deglutire con un sorso 10 mL di acqua, tollerano una alimentazione orale se si controllala struttura della dieta (semisolida), la dimensione del bolo e la postura durante l’alimentazio-ne. La manipolazione della fluidità degli alimenti usando le misure obiettive di un viscosime-tro può migliorare la gestione dietetica del paziente disfagico.178

Utili accorgimenti per il compenso di lievi deficit deglutitori sono i seguenti:173,179-181

1. assunzione di una posizione eretta del tronco durante l’alimentazione;2. assunzione di una posizione di capo e collo appoggiata;3. utilizzo di alimenti semisolidi;4. utilizzo di dimensione del bolo inferiore ad un cucchiaino da tè;5. restrizione di cibi liquidi;6. usare una tazza o un cucchiaino, e non una cannuccia per i liquidi;7. tossire delicatamente dopo ogni deglutizione;8. deglutire più volte, anche per piccoli boli, per svuotare completamente il faringe.

Le indicazioni per la nutrizione artificiale e la terapia dietetica del paziente disfagico sonodiscusse nei paragrafi 11.5.2.2 e 14.8.2.

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Tabella 11:VIII – Bedside Swallowing Assessment (BSA)

FATTORI basso rischio alto rischio1. livello di coscienza 1. vigile 1. sonnolenza, stupor o coma2. secrezioni bronchiali 2. no 2. sì3. disfonia 3. no 3. sì4. grave disartria 4. no 4. sì5. gag reflex diminuito o abolito 5. no 5. sì6. movimenti palato 6. simmetrici 6. asimmetria, paralisi7. tosse volontaria 7. normale 7. assente per una settimana8. funzioni deglutitorie 8. normale o lieve disfagia 8. disfagia franca9. sbavamento di acqua 9. no/minimo 9. franco10. movimenti laringei 10. sì 10. no11. tosse all’atto di deglutire 11. no/qualche volta 11. 2 o più12. voce gorgogliante 12. no 12. sì

11.6 GLICEMIA

All’esordio dell’ictus circa il 10%-20% dei pazienti con livelli normali di emoglobina glicosi-lata presenta valori iperglicemici,182,183 quale risposta ormonale precoce all’ischemia cerebra-le.184,185 Inoltre dall’8% al 20% dei pazienti con ictus ha una storia di diabete mellito,186,187 edun ulteriore 5%-28% presenta un diabete non precedentemente diagnosticato o una ridottatolleranza al glucosio.188,189 Globalmente l’iperglicemia all’esordio dell’ictus è presente in unapercentuale, variabile a seconda delle definizioni, tra il 20% ed il 50% dei casi.186,187,190

Non è stata ancora definita una correlazione univoca tra iperglicemia in fase acuta e peggio-ramento dell’esito dell’ictus. In passato la maggioranza degli studi, sebbene non tutti,187,191 hariportato una tale relazione in termini sia di mortalità sia di recupero neurologico,192-197 vero-similmente legata all’incremento e accumulo di lattato nell’area ischemica.198 In particolarenello studio TOAST i valori glicemici sono risultati fattori predittivi di peggiore esito cliniconei pazienti colpiti da ictus ischemico non lacunare, mentre non sembravano avere rilevanzanegli ictus minori, nè essere associati a maggior rischio di trasformazione emorragica dell’in-farto cerebrale.193

In caso di ischemia cerebrale focale, la presenza di un diabete preesistente è risultata associataad un maggior rischio di esito sfavorevole, in termini di morbosità e mortalità, verosimilmentelegato al danno arteriolare e capillare indotto dall’iperglicemia cronica (microangiopatia).199

Tuttavia non vi sono ancora dati conclusivi circa l’efficacia del trattamento dell’iperglicemianell’ictus acuto sul miglioramento dell’esito, né sul valore soglia oltre cui intervenire.L’iperglicemia dovrebbe essere corretta con terapia insulinica,200 il valore soglia di glicemiaconsigliato ed adottato in alcuni centri ed indicato dalle linee guida europee è >200 mg/dL o10 mmol/L, causando una certa ambiguità, dato che 10 mmol/L corrispondono a 180mg/dL,16,201 mentre le linee guida americane indicano la correzione dell’iperglicemia conobiettivo di mantenere valori <300 mg/dL.202 Tuttavia, valori soglia più bassi (150 mg/dL)sono stati proposti recentemente sulla base dei dati di studi sia clinici che sperimentali sullarelazione tra i valori di glicemia in fase acuta e la dimensione dell’infarto cerebrale o l’esito cli-nico.203 La somministrazione per via endovenosa periferica di una soluzione di destrosio al10% con 16 U di insulina rapida e 20 mmol di KCl per ogni 500 mL di soluzione, alla velo-cità di 100 mL/h, per 24 ore, che rappresenta il protocollo usato nello studio randomizzato econtrollato Glucose Insulin in Stroke Trial (GIST),194,204 è risultata efficace e sicura riducendo,in pazienti con ictus acuto, l’iperglicemia entro valori normali senza rischio significativo di ipo-glicemia, eventi avversi cardiovascolari o aumento della mortalità a 4 settimane. Da ricordaretuttavia che la somministrazione di insulina in infusione richiede un attento monitoraggio dellaglicemia (almeno ogni 2 ore) per un pronto aggiustamento della terapia. Una possibile alter-nativa consiste nella somministrazione di piccole dosi di insulina endovena.16

In caso di ipoglicemia è sempre indicata la pronta correzione con l’infusione di destrosio inbolo (soluzioni al 10% per via venosa periferica, o al 20% e 33% per via venosa centrale).16

In presenza di malnutrizione o di abuso di alcool è consigliabile associare tiamina 100 mg.

11.7 DISFUNZIONI VESCICALI NELL’ICTUS ACUTO

L’ictus cerebrale si accompagna frequentemente a disfunzioni vescicali, l’entità e la naturadelle quali sono conseguenza della sede e dell’entità del danno cerebrale. I disturbi più fre-quentemente riscontrati sono: incontinenza urinaria, ritenzione urinaria, urgenza minzionale.Con opportuni accorgimenti tali disfunzioni possono essere controllate.205

L’incontinenza urinaria, nella fase acuta dell’ictus, è stata ripetutamente riportata come indi-catore indipendente di rischio di morte, di disabilità grave, e della destinazione (istituziona-lizzazione o meno) del paziente dopo la dimissione.206

Tre sono i meccanismi principali responsabili di incontinenza urinaria dopo un ictus:1. danno a livello dei centri e delle vie nervose responsabili del meccanismo della minzione;

tale danno esita in incontinenza e/o urgenza minzionale;2. deficit cognitivo e/o di linguaggio, con funzione vescicale integra ma incontinenza da man-

cato controllo superiore;3. concomitante neuropatia (p.es. diabetica ) o effetto di farmaci che provocano iporeflessia

vescicale con conseguente incontinenza.

Sintesi 11-14L’iperglicemia è associata ad unamaggiore gravità della lesioneischemica cerebrale e ad unaaumentata morbosità e mortalitàsia in condizioni sperimentali chenell’uomo. Nel paziente diabeticolo scompenso del metabolismoglucidico rappresenta una gravecomplicanza. L’ipoglicemia puòessere un fattore aggravante deldanno ischemico cerebrale.

Raccomandazione 11.21Grado DIn pazienti con ictus acuto e iper-glicemia >200 mg/dL è indicatala correzione con terapia insulini-ca.

Raccomandazione 11.22Grado DIn pazienti con ictus acuto e ipo-glicemia è indicata la pronta cor-rezione tramite infusione didestrosio in bolo e.v., associandotiamina 100 mg in caso di mal-nutrizione o di abuso di alcool.

Sintesi 11-15L’ictus cerebrale si accompagnafrequentemente a disfunzionivescicali la cui entità e naturasono correlate alla sede ed entitàdel danno cerebrale. La presenzadi un’incontinenza urinaria nellafase acuta dell’ictus è un fattoreprognostico indipendente di mortee disabilità residua grave. Laritenzione e il residuo post-min-zionale si associano frequente-mente a infezioni del tratto urina-rio, a loro volta causa di ulterioricomplicazioni del quadro clinico.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 271

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Raccomandazione 11.23Grado DIl posizionamento a dimora di uncatetere vescicale è indicato solonei pazienti con grave disfunzio-ne vescicale.

Raccomandazione 11.24Grado DNei pazienti senza apparentidisfunzioni vescicali è indicatocontrollare periodicamente l’esi-stenza di residuo post-minzionalee qualora se ne verifichi la pre-senza praticare la cateterizzazio-ne sterile intermittente.

Raccomandazione 11.25Grado DÈ indicato evitare il cateterismovescicale quando non è necessa-rio.

Sintesi 11-16La valutazione della probabilitàclinica di trombosi venosaprofonda (TVP) secondo criteristandardizzati (vedi testo) puòessere utile nella valutazione deipazienti con ictus in cui sisospetti una TVP al fine di pro-grammare il successivo iter dia-gnostico.

Indagini urodinamiche possono indirizzare alla diagnosi, necessaria per un corretto approccioterapeutico.207

I disturbi del sistema nervoso autonomo in pazienti con patologie cerebrovascolari sonocomuni. Sono attribuibili a danno a livello delle vie autonomiche cerebrali, delle aree cortica-li fronto-parietali e del tronco encefalico, o alla disconnessione delle vie discendenti dall’ipo-talamo al mesencefalo, ponte e midollo spinale. Più frequentemente sono interessati la regola-zione della funzionalità cardiaca, della pressione arteriosa, della temperatura corporea, i rifles-si vasomotori e la sudorazione. Le disfunzioni intestinali e vescicali e l’impotenza sono allostato attuale sottovalutate rispetto alla loro prevalenza e al loro significato clinico.208

La ritenzione urinaria e la presenza di residuo minzionale, talvolta misconosciuti, sono altrefrequenti complicanze dell’ictus. Nel sospetto, bisogna procedere all’ecografia vescicale.209

Le disfunzioni vescicali, in particolare il residuo minzionale, si associano frequentemente ainfezioni del tratto urinario, con ulteriore complicazione del quadro clinico. Inoltre, la pre-senza di disfunzioni vescicali ha un impatto molto negativo sulla qualità di vita dei pazienti conesiti di un pregresso ictus.

Tecniche da preferire sono: la cateterizzazione sterile intermittente, che deve essere eseguitacorrettamente e secondo programmi di svuotamento prestabiliti, manovre riabilitatorie a livel-lo del pavimento pelvico, particolarmente utili se inserite in un programma di gestione delpaziente.

Nei pazienti senza apparenti disfunzioni vescicali è indicato controllare periodicamente la pre-senza di eventuale residuo vescicale post-minzionale e praticare, se necessario, la cateterizza-zione sterile intermittente.

La presenza di un catetere a dimora è necessario per pazienti con gravi problemi vescicali.Non si deve dimenticare tuttavia che nonostante le disfunzioni vescicali siano comuni nellafase acuta dell’ictus, esse migliorano spontaneamente dopo i primi giorni.205,210,211

11.8 TROMBOSI VENOSA PROFONDA (TVP) 212

La TVP localizzata agli arti inferiori è la forma più comune di trombosi venosa. Essa vienedefinita distale quando interessa le vene del polpaccio e/o la parte di vena poplitea posta al disotto della rima articolare del ginocchio, prossimale nelle forme che si estendono al di sopradi tale rima. La distinzione tra TVP prossimale e distale ha grande importanza clinica in quan-to è noto che le complicanze emboliche sono sostenute nella grande maggioranza dei casi daTVP prossimali e solo raramente da quelle distali. Queste ultime possono diventare fonte diemboli quando risalgono fino ad interessare la poplitea.

La TVP costituisce una malattia seria e potenzialmente fatale. In assenza di un tempestivo trat-tamento anticoagulante e adeguato per intensità e durata, la embolia polmonare (EP) può veri-ficarsi anche nel 50% dei casi nell’arco di 3 mesi. Si ha un’elevata tendenza alla recidiva diTVP, con ulteriore rischio di EP e accentuazione dei disturbi a distanza. Inoltre, superata lafase acuta compare con estrema frequenza la cosiddetta “sindrome post-trombotica”, affezio-ne talvolta altamente invalidante, caratterizzata da dolore, edema cronico, distrofia e discro-mia cutanea e dalla frequente insorgenza di ulcere trofiche croniche.

11.8.1 La probabilità clinica di TVP

Sono numerosi i soggetti che sviluppano segni e sintomi ascrivibili alla presenza di una TVP:l’incidenza annuale nella popolazione generale è stimata intorno a 3-4 per 1·000 abitanti. Isegni/sintomi clinici della TVP degli arti inferiori sono molteplici (dolore spontaneo o provo-cato dallo stiramento dei muscoli, rossore, cianosi, aumento della temperatura cutanea, cram-pi, aumento delle dimensioni dell’arto, edema franco, sviluppo di circoli collaterali, phlegma-sia alba dolens). Bisogna però sottolineare che la grande maggioranza di coloro che presenta-no tali sintomi e segni non ha una TVP ma è affetta da alterazioni muscolo-scheletriche o cuta-nee i cui sintomi sono simili a quelli della TVP.

La sintomatologia della TVP è, tuttavia, incostante e, quando presente, è quanto mai aspecifi-ca e variabile. Da quanto detto sopra si evince chiaramente che per una conferma della pre-senza di TVP, o per una sua esclusione, non ci si può basare solo su una diagnosi clinica, maoccorre ottenere il riscontro obiettivo di un esame strumentale. Solo una procedura diagno-

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stica standardizzata, che utilizzi metodi obiettivi e sensibili, consente di confermare o esclu-dere la presenza di TVP.

È stato recentemente dimostrato che la valutazione standardizzata di una serie di caratteristi-che cliniche del paziente con sospetta TVP (Tabella 11:IX) consente di classificare i pazientiin tre categorie con diversa probabilità di avere effettivamente una TVP: 75%, 17% e 3% diTVP rispettivamente nelle categorie a rischio alto, intermedio e basso.213 L’attribuzione ad unadi queste categorie consente di adottare iter diagnostici diversi a seconda del grado di proba-bilità clinica.

11.8.2 Diagnosi strumentale di TVP (arti inferiori)

I dati clinici, anche se indicativi di TVP altamente probabile, non possono essere sufficientiper la diagnosi che, in ogni caso, deve essere accertata preferenzialmente mediante ecografia.Solo in casi particolare è necessario ricorrere a flebografia (che resta il gold standard) o a RM.

11.8.2.1 Ecotomografia (ultrasonografia per compressione – CUS)

L’ultrasonografia (ecografia B-mode, duplex scanning, eco-color Doppler) è la metodica noninvasiva di prima scelta per la diagnosi di TVP prossimale degli arti inferiori (per definizione,trombosi estesa dalla vena poplitea ai segmenti iliaco-femorali). Infatti essa gode di una eleva-ta accuratezza diagnostica, praticità e semplicità d’uso, economicità, innocuità, e può essereripetuta senza restrizioni.

Il criterio più accurato per la diagnosi di TVP è basato sulla non compressibilità (totale o par-ziale) del lume venoso per effetto di una moderata pressione della sonda.214

La sensibilità del test di compressione per la diagnosi delle trombosi prossimali è del 97%(IC95: 96%-98%) e la sua specificità è del 98% (IC95: 97%-99%).215 La sensibilità cala note-volmente ed è comunque notevolmente dipendente dall’operatore nelle forme distali. In que-ste una sensibilità più elevata (60%) sembra poter essere raggiunta, secondo alcuni autori, conl’impiego dell’eco-Doppler e dell’eco-color Doppler, sebbene questa opinione non sia sup-portata da adeguati studi clinici.

Recentemente è stata proposta una modalità semplificata di esecuzione della CUS, che preve-de il solo esame della vena femorale comune all’inguine, e della vena poplitea alla fossa popli-tea fino alla sua triforcazione, con ripetizione dell’esame dopo una settimana, in caso di nor-malità iniziale. L’indagine così concepita sembra sicura ed efficace, ma implica la ripetizionedell’esame nel 70% dei casi. Tuttavia va sottolineato come questi risultati siano riferibili esclu-sivamente a pazienti ambulatoriali sintomatici.

Il trombo venoso tende a permanere a lungo, una volta formatosi (l’esame ultrasonograficorisulta ancora anormale in circa metà dei pazienti a distanza di un anno). Di conseguenza, ladiagnosi di recidiva risulta problematica.

Raccomandazione 11.26Grado DNel sospetto di TVP agli arti infe-riori in un paziente con ictus èindicata l’ecografia venosa.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 273

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Tabella 11:IX – Valutazione della probabilità clinica per la diagnosi di TVP

caratteristiche cliniche (se entrambi gli arti sono sintomatici valutare quello più accentuato) punteggiocancro in atto (terapia in corso, o nei precedenti 6 mesi, o palliativa) 1paralisi, paresi o recente immobilizzazione di un arto inferiore 1recente allettamento >3 giorni o chirurgia maggiore (entro 4 settimane) 1dolorabilità localizzata lungo il decorso del sistema venoso profondo 1edema di tutto l’arto 1gonfiore del polpaccio, 3 cm > controlaterale (10 cm sotto la tuberosità tibiale) 1edema improntabile (più accentuato nell’arto sintomatico) 1circolo collaterale superficiale (non vene varicose) 1diagnosi alternativa (verosimile almeno quanto quella di TVP) -2Punteggio totale

valutazione conclusiva: punteggio ≥3 alta probabilitàpunteggio =1 o 2 media probabilitàpunteggio ≤0 bassa probabilità

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Raccomandazione 11.27Grado DLa determinazione del D-dimeronon è indicata nella diagnosticadella TVP in pazienti con ictuscerebrale ospedalizzati, in quantopoco specifica.

Raccomandazione 11.28Grado DIn pazienti con ictus acuto è indi-cato controllare attentamente ifattori in grado di aumentare lapressione intracranica, quali l’i-possia, l’ipercapnia, l’ipertermia ela posizione del capo, cheandrebbe mantenuta elevata di30° rispetto al piano del letto.

Raccomandazione 11.29Grado DIn pazienti con ictus acuto il trat-tamento dell’edema cerebrale èindicato in caso di rapido dete-rioramento dello stato di coscien-za, segni clinici di erniazionecerebrale o evidenze neuroradio-logiche di edema con dislocazio-ne delle strutture della lineamediana od obliterazione dellecisterne perimesencefaliche.

11.8.3 I D-dimeri nella diagnostica della TVP

I D-dimeri sono prodotti di degradazione della fibrina stabilizzata e possono trovarsi in cir-colo per molte cause, un trombo venoso essendo solo una delle loro possibili fonti. Applicatialla diagnostica delle tromboembolie venose i metodi per il dosaggio plasmatico dei D-dime-ri hanno un’elevata sensibilità, ma bassa specificità e vengono utilizzati per il loro alto valorepredittivo negativo; cioè servono solo per escludere (in caso di risultato normale), ma non perconfermare una diagnosi di TVP (in caso di risultato alterato). Il dosaggio dei D-dimeri ese-guito in associazione alla CUS ha lo scopo di selezionare quei casi con CUS negativa ma D-dimeri alterati, nei quali non è possibile escludere una TVP distale e che pertanto devono esse-re ricontrollati con CUS dopo qualche giorno (5-7 giorni) in modo da diagnosticare tempesti-vamente la estensione prossimale di una TVP distale. Questa procedura diagnostica è statadimostrata valida da numerosi studi clinici di gestione di pazienti con sospetta TVPRecentemente si sono rese disponibili metodiche di laboratorio rapide, semplici, adatte per ildosaggio di campioni singoli e ad elevata accuratezza diagnostica (con un valore predittivonegativo pari o superiore al 97%).

Non è attualmente consigliabile utilizzare questo test nei pazienti asintomatici ad alto rischionon essendo disponibili soglie di discriminazione validate per queste specifiche situazioni.

È discusso se utilizzare il test in pazienti con ictus cerebrale. In pazienti ospedalizzati infatti ènoto che il D-dimero è assai spesso elevato. Così, poiché il test serve solo per escludere la TVP(se negativo), l’efficacia diagnostica del suo impiego risulterebbe molto bassa.

11.9 COMPLICANZE NEUROLOGICHE

11.9.1 Edema cerebrale

L’edema cerebrale solitamente insorge nelle prime 24-48 ore seguenti l’insulto ischemico e lamorte durante la prima settimana dall’ictus è frequentemente dovuta alla sua comparsa conaumento della pressione intracranica e conseguente erniazione cerebrale, che rappresentanoper lo più complicanze in corso di occlusione delle grandi arterie intracraniche e della forma-zione di ampi infarti multilobari.216,217

L’aumento della pressione intracranica può essere anche secondario alla comparsa di idroce-falo acuto ostruttivo.

Il trattamento dell’edema cerebrale in corso di ictus acuto è raccomandato in caso di rapidodeterioramento dello stato di coscienza e/o segni clinici di erniazione cerebrale e/o evidenzeneuroradiologiche di edema con dislocazione delle strutture della linea mediana od oblitera-zione delle cisterne perimesencefaliche. Gli obiettivi del trattamento sono:1. ridurre la pressione intracranica;2. mantenere una adeguata perfusione cerebrale per evitare l’aggravamento del danno ische-

mico;3. prevenire l’erniazione cerebrale.

L’approccio iniziale in passato prevedeva una moderata restrizione dei liquidi somministra-ti,218 tuttavia va considerato in merito quanto già detto in precedenza (§ 11.3) circa gli effettisfavorevoli dell’ipovolemia sull’esito neurologico nel caso di ictus. Devono essere controllatiattentamente i fattori in grado di aumentare la pressione intracranica, quali ipossia, ipercapniae ipertermia, e la posizione del capo andrebbe mantenuta elevata di 20°-30° rispetto al pianodel letto. L’incremento della pressione arteriosa può essere una risposta compensatoria al man-tenimento della perfusione cerebrale in pazienti con ipertensione endocranica marcata, per-tanto in questi casi non è consigliato l’uso di antipertensivi, in particolare di quelli ad effettovasodilatatorio cerebrale.218-220

I pazienti con deterioramento clinico possono essere trattati tramite iperventilazione, diureti-ci osmotici, drenaggio di liquor o chirurgia, sebbene non vi siano ad oggi studi in favore di taliapprocci nell’ictus acuto, così come per l’indicazione al monitoraggio della pressione intra-cranica che tuttavia risulta indicativa nella scelta terapeutica e nella definizione prognostica.218

L’iperventilazione è una misura d’emergenza che agisce pressoché immediatamente: la ridu-zione di 5-10 mm Hg di pCO2 nel sangue arterioso induce una riduzione del 25%-30% dellapressione intracranica,221,222 va però tenuta presente la necessità di mantenere una adeguata

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perfusione cerebrale per ovviare alla possibile vacostrizione indotta dall’iperventilazione, econseguente aumento dell’area ischemica. L’iperventilazione infine dovrebbe essere seguita daaltri interventi correttivi dell’edema.

L’inefficacia dell’uso dei corticosteroidi nell’ictus cerebrale negli studi effettuati,223-226 e, alcontrario, l’osservazione di una maggiore incidenza di complicanze infettive nei pazienti conictus trattati con terapia steroidea hanno portato a concludere che, malgrado la loro potenzialeefficacia nel contrastare la componente vasogenica dell’edema cerebrale, attualmente non sus-sistono indicazioni al loro uso nella terapia antiedemigena.227,228

Nonostante l’uso frequente di furosemide o di mannitolo dopo ictus, gli studi effettuati conquesti farmaci non risultano conclusivi circa la loro efficacia nel trattamento dell’edema cere-brale ischemico.18,229,230

La somministrazione parenterale di furosemide (40 mg i.v.) viene adottata nei pazienti in rapi-do deterioramento clinico, ma non è usata nel trattamento a lungo termine.

Il mannitolo viene comunemente utilizzato per il trattamento dell’edema cerebrale,227 alladose raccomandata di 0,25~0,5 g/kg i.v. in boli somministrati rapidamente nell’arco di 20minuti, ogni 6 ore, fino ad una dose massima giornaliera di 2 g/kg,231 anche se mancano anco-ra solide evidenze esterne per tale uso.232

Il glicerolo viene generalmente somministrato per via parenterale (250 mL di glicerolo al 10%in 30-60 minuti, ogni 6 ore), in alternativa è possibile la somministrazione orale (50 mL al 10%ogni 6 ore).16,227 Anche in questo caso l’uso non è ancora sostenuto da solide evidenze ester-ne.233 Da ricordare la necessità di controllo dell’emocromo durante la terapia con glicerolo inquanto il farmaco può indurre emolisi.

I barbiturici a breve durata d’azione, come ad esempio il tiopentale, somministrati in bolo,riducono rapidamente la pressione endocranica. Tuttavia il loro effetto è transitorio e richie-de il monitoraggio della pressione endocranica e dell’EEG, e inoltre dei parametri emodina-mici per il rischio di crisi ipotensive. Il loro uso continuativo è comunque sconsigliato per lamancanza di efficacia a fronte di effetti negativi a lungo termine.28

Nei casi di infarto esteso con grave effetto massa e mancata efficacia dei trattamenti antiede-ma, può essere considerata la chirurgia decompressiva, specialmente in pazienti giovani senzapatologie associate e con lesione situata nell’emisfero non dominante.

11.9.2 Gestione dell’epilessia vascolare in fase acuta

Le crisi epilettiche rappresentano un evento non raro nell’ictus sia nella fase acuta che nellafase tardiva.234

Tenuto conto che l’incidenza dell’ictus nella popolazione italiana è di oltre 340 casi per100·000 abitanti (§ 4.1.3), si può ben ritenere come esso rappresenti una delle cause più comu-ni di epilessia nella popolazione adulta, anche se lo sviluppo di crisi dopo l’insulto vascolare èun evento relativamente poco frequente (6%-9%).235 Infatti, sulla base di una recente revi-sione della letteratura, l’incidenza delle crisi varia dal 2,5% al 42,8% e quella dell’epilessia dal6% al 9%.236,237 Nei soggetti affetti da ictus l’incidenza delle crisi precoci è intorno al 5,8%,quella delle crisi tardive è del 3,1%.238 Nel complesso, il rischio d’insorgenza o di ricorrenzadi crisi nei primi 5 anni dopo l’ictus è pari all’11,5% ed il rischio relativo rispetto alla popo-lazione generale è pari a 35,2.239

A seconda del sottotipo patogenetico, poi, è interessante notare che negli ictus ischemiciembolici l’incidenza delle crisi varia dal 16,6% al 42,8%, nei trombotici dal 4,4% al 12,4% enegli ictus lacunari varia dall’1% al 3,7%;235,240-243 anche se in alcuni studi è riportata un’in-cidenza del 10%-17%. Nei TIA l’incidenza è del 2%-10%.241,243,244

Nelle emorragie intracerebrali, invece, le crisi compaiono nel 2,8%-6,5% con rischio maggio-re nelle localizzazioni lobari.240,245-247 Infine, nell’ESA l’incidenza delle crisi varia dal 2,7% al16,6%, mentre nelle malformazioni artero-venose può salire sino al 40%, rappresentando inquest’ultima situazione il sintomo d’esordio nel 19% dei casi.236,248,249 La maggiore estensionedell’infarto ischemico, l’interessamento corticale, la natura emorragica della lesione e la sualocalizzazione lobare, il deficit motorio persistente risultano associati alla maggiore probabi-lità di comparsa di crisi epilettiche.240,250,251

Raccomandazione 11.30Grado AMalgrado la potenziale efficaciadei corticosteroidi nel contrastarela componente vasogenica dell’e-dema cerebrale, attualmente illoro uso nell’ictus acuto non èindicato.

Raccomandazione 11.31 aGrado DLa somministrazione parenteraledi furosemide (40 mg e.v.):• è indicata in emergenza in

caso di rapido deterioramentoclinico,

• ma non è indicata nel tratta-mento a lungo termine.

Raccomandazione 11.31 bGrado DNel trattamento farmacologicoprolungato dell’edema cerebralesono indicati i diuretici osmoticiquali il mannitolo o il glicerolo.

Raccomandazione 11.31 cGrado DL’uso continuativo dei barbituricia breve durata d’azione non èindicato per la mancanza di effi-cacia a fronte di effetti negativi alungo termine.

Sintesi 11-17Nei casi di infarto esteso congrave effetto massa e mancataefficacia dei trattamenti antiede-ma, può essere considerata lachirurgia decompressiva, special-mente in pazienti giovani senzapatologie associate e con lesionesituata nell’emisfero non domi-nante.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 275

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Sintesi 11-18L’esame EEG ha poco valore dia-gnostico, e per la prognosi glistudi sono insufficienti. È inveceutile per la diagnosi differenzialetra eventi focali non vascolari edeventi critici.

Raccomandazione 11.32Grado DLa terapia antiepilettica a scopoprofilattico non è indicata neipazienti con ictus in assenza dicrisi epilettiche.

Raccomandazione 11.33Grado DLa terapia antiepilettica:• non è indicata in caso di crisi

epilettiche isolate,• è indicata in caso di crisi

ripetute,evitando il fenobarbital per unpossibile effetto negativo sulrecupero.

A parte le cosiddette crisi precursive (“heralding seizures”) che possono comparire da alcunigiorni ad alcuni anni prima di un ictus,252-255 la distribuzione temporale delle crisi in rapportoall’ictus segue il modello bimodale dell’epilessia post-traumatica, con un primo picco nelleprime 2-4 settimane (early seizures) ed un secondo picco dopo 6-12 mesi (late seizures).236,255,256

Le crisi precoci avrebbero un minor rischio di recidive, poiché verosimilmente legate a modi-ficazioni metaboliche dinamiche 257,258 tipiche della fase acuta dell’ictus (alterazione della sin-tesi proteica, depolarizzazione anossica della membrana, rilascio di glutammato nell’ictusischemico; deposito nella lesione di Fe francamente epilettogeno nelle emorragie cerebrali) epotenzialmente reversibili. Invece, per le crisi tardive la formazione di tessuto gliotico con con-seguente riorganizzazione delle connessioni assonali (diminuzione delle proiezioni inibitoriegabaergiche, modificazione delle caratteristiche di membrana ed aumento dei recettori per ilglutammato) rappresenterebbe il “primum movens” fisiopatogenico delle crisi con rischio direcidive dal 50% al 100% a seconda delle varie casistiche.

Nell’infarto cerebrale solo il 30% delle crisi sono precoci, mentre il 68%-73% sono tardive.Nell’emorragia cerebrale il 30%-70% delle crisi compare entro le prime 48 ore.

Nel 42%-89% dei casi le crisi sono parziali semplici per lo più motorie, con pronta genera-lizzazione nel 15%-21% dei casi,240 mentre crisi parziali complesse si hanno solo nel 3%-14%dei casi. Infine, lo stato di male epilettico 240,242 può comparire nel 4%-10% dei casi,243,259 rap-presentando la causa prima di stato di male nell’anziano.

Ai fini diagnostici è fondamentale l’esclusione di altri tipi di lesione cerebrale (tumorale, dege-nerativa, demielinizzante)260 con neuroimmagini,261 così come è importante escludere causedismetaboliche (ipoglicemie, iponatriemia, calcemia) e/o intossicazioni farmacologiche chepossono determinare deficit neurologici e convulsioni.260,262

Spesso anche la diagnosi differenziale tra evento critico epilettico da un lato e il TIA, l’ipo-tensione posturale, embolia polmonare, progressione dell’ictus e l’aritmia cardiaca dell’altro,si presenta difficoltosa, giovandosi di una buona anamnesi clinica e di studio EEG-grafico.263

L’EEG intercritico ha poco significato negli accertamenti routinari delle crisi dopo ictus, men-tre può essere un valido aiuto specie con registrazione in fase critica, prolungata e/o Holternei casi di stato di male epilettico parziale complesso, negli episodi di perdite di contatto o perescludere crisi parziali complesse atipiche o crisi psicomotorie.264,265

Riguardo al trattamento delle crisi associate ad insulto cerebro-vascolare, in letteratura vi èmolto poco di specifico e non vi sono studi controllati.

Tuttavia bisogna considerare come prima cosa quando un trattamento farmacologico per l’e-pilessia post-ictus è indicato e necessario.

Infatti una o due crisi nei primi quindici giorni da un accidente cerebro-vascolare hanno unrischio di recidiva molto basso e con molta probabilità non necessitano di trattamento con far-maci anticomiziali a lungo termine; mentre la presenza di molteplici crisi, di crisi prolungateo di crisi che possono interferire con il trattamento riabilitativo anche se compaiono in faseprecoce, suggerisce il trattamento farmacologico, con una eventuale sospensione delle terapiedopo 3-6 mesi.

Le crisi che si presentano dopo 2 settimane dall’evento ictale, e le crisi ricorrenti, necessitanodi un trattamento con farmaco anticonvulsivo a lungo termine.246,266-269

Il trattamento con i più comuni e conosciuti farmaci anticonvulsivi comporta un controllodelle crisi, mentre una farmacoresistenza anche alla politerapia si riporta solo nel 10%-30%dei casi. La scelta del farmaco, non essendoci studi clinici controllati, ricade nella maggiorparte dei casi sui comuni e collaudati farmaci anticonvulsivi come fenitoina, carbamazepina,fenobarbital e acido valproico.268,269

La scelta del singolo farmaco è legata al caso clinico, tenendo conto dei singoli effetti collate-rali dei sopracitati farmaci, dalle loro eventuali interazioni farmacologiche con altri farmaciusati nel paziente con ictus, dalle dosi di somministrazione. Dovrà anche essere tenuto inconto anche il loro eventuale impatto sul sistema neurocognitivo, dato che questi farmaci pos-sono produrre effetti collaterali a carico dei sistemi neurologici, ostacolando di conseguenza ilrecupero riabilitativo.265,270

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In verità non esiste un farmaco anticonvulsivo ideale nel trattamento dell’epilessia post-ictusche contempla un minor numero di effetti collaterali, una ridotta interazione farmacologicacon altri farmaci, e la somministrazione in unica dose.

Interessanti e confortanti dati clinici, che dovrebbero tuttavia essere controllati in studi ran-domizzati e controllati, ci pervengono dall’utilizzo dei nuovi farmaci anticonvulsivi come lalamotrigina, il topiramato ed il gabapentin.

Lo stato di male epilettico di tipo parziale semplice o complesso associato ad accidente cere-brovascolare in fase acuta 271 o subacuta, è associato ad alta mortalità – fino al 36% – nell’e-morragia cerebrale 247 e ad una prognosi sfavorevole.

In atto non vi sono studi clinici controllati nello stato di male epilettico nelle fasi acute del-l’ictus.272 Tuttavia appare valido e ben collaudato lo schema terapeutico di Tabella 11:X.

11.10 PREVENZIONE PRECOCE DELLE DISABILITÀ CONSEGUENTI ALL’ICTUS

È ormai opinione diffusa che l’assistenza finalizzata alla prevenzione della disabilità (riabilita-zione precoce) dovrebbe integrarsi con le attività mirate alla diagnosi ed al trattamento diemergenza nella fase acuta della cura dei pazienti con ictus.273

Gli obiettivi della prevenzione delle disabilità nella fase acuta dell’ictus comprendono ele-menti in grado di influenzare direttamente l’esito clinico, in termini di autonomia residua,senza incidere sulla lesione cerebrale o sulle condizioni generali (intese come comorbosità ecomplicanze). Essi sono attribuiti, nella pratica clinica, all’attività riabilitativa, anche se hanno,in senso stretto, poco a che vedere con la riabilitazione propriamente detta. Infatti, la preven-zione della disabilità residua mostra alcune differenze rispetto alle procedure che caratteriz-zano la riabilitazione intensiva:274

a. i programmi assistenziali realizzati al fine di prevenire la disabilità residua hanno lo scopodi prevenire ulteriori problemi, piuttosto che essere direttamente correlate al recupero delleabilità compromesse dalla malattia;

b. le pratiche di prevenzione della disabilità sono attivate sui soggetti in condizioni clinichenon stabilizzate, che hanno subíto un ictus pochi giorni prima e non sono riservate, cosìcome accade per la attività riabilitativa, a soggetti senza problemi clinici attivi;

c. le attività assistenziali ai fini preventivi sono in genere uguali per tutti i soggetti accomuna-ti sulla base delle condizioni del paziente e non “tagliate su misura”, sulle base delle carat-teristiche individuali della persona malata;

d. le procedure di prevenzione possono in gran parte essere realizzate da figure professionalinon appartenenti al mondo della riabilitazione.

Gli interventi mirati alla prevenzione della disabilità conseguente all’ictus influenzano sensi-bilmente la qualità dell’assistenza prestata a soggetti colpiti da questa malattia, così da risulta-re determinanti nel produrre vantaggi delle strutture dedicate alle malattie cerebrovascolariacute.275 Un compito della stroke unit è di combinare l’assistenza nella fase acuta, che com-

Raccomandazione 11.34Grado DNello stato di male epiletticoassociato ad ictus cerebraleacuto non vi sono evidenze afavore di un trattamento specificoper cui è indicato il trattamentostandard, monitorandone attenta-mente gli effetti collaterali piùprobabili nello specifico contestoclinico.

Raccomandazione 11.35Grado ANei pazienti con ictus è indicatointegrare fin dalla fase acuta l’at-tività di prevenzione della disabi-lità (mobilizzazione ed interventiriabilitativi precoci) con il pro-gramma diagnostico ed il tratta-mento di emergenza.

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 277

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Tabella 11:X – Schema terapeutico nello stato di male epilettico

1. Assicurare le pervietà delle vie respiratorie. Somministrare 10 mg di diazepam per via endovenosa rapida.Se le crisi continuano, somministrare altri 10 mg di diazepam per via endovenosa nell’arco di 30 sec.

2. Somministrare ossigeno. Inserire una cannula endovenosa e ottenere un campione di sangue per la deter-minazione di farmaci antiepilettici, azotemia, glicemia, elettroliti (compresi Ca++ e Mg++). Ottenere un cam-pione di sangue arterioso per determinazione di pH, PO2, HCO3. Monitorare respiro, pressione arteriosa,ECG e, se possibile, EEG.

3. Iniziare una infusione endovenosa di soluzione fisiologica. Somministrare un bolo di 50 mL di glucosio al50%.

4. Eseguire una ulteriore somministrazione di diazepam ad una velocità non superiore a 2 mg/min sino all’ar-resto delle crisi o sino al raggiungimento di una dose massima di 20 mg. Iniziare contemporaneamente unainfusione di fenitoina ad una velocità non superiore a 50 mg/min sino al raggiungimento di una dose cumu-lativa di 15-18 mg/kg (ridurre la velocità di infusione in caso di ipotensione).

5. Se le crisi persistono, inserire una cannula endotracheale e fare riferimento a testi specializzati. I tratta-menti disponibili comprendono diazepam, fenobarbitale, lidocaina, clormetiazolo, paraldeide. Utilizzare leterapie meglio conosciute e, se necessario, ricorrere all’anestesia generale con tiopentale e bloccanti neu-romuscolari. Monitorare l’EEG per rilevare eventuale attività elettrica abnorme.

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Raccomandazione 11.36Grado DÈ indicata la mobilizzazione degliarti del paziente con ictus peralmeno 3-4 volte al giorno.

Raccomandazione 11.37Grado DÈ indicato stimolare ed incorag-giare i pazienti con ictus alla par-tecipazione alle attività quotidia-ne.

Raccomandazione 11.38Grado DNei pazienti con ictus è indicatoselezionare i farmaci utilizzati perevitare interferenze negative conil recupero.

Raccomandazione 11.39Grado DNei pazienti con ictus è indicatopromuovere la verticalizzazioneprecoce attraverso l’acquisizionedella posizione seduta entro ilterzo giorno, se non sussistonocontroindicazioni al programma.

Raccomandazione 11.40Grado DNei pazienti con ictus è indicatofavorire la comunicazione con ilpaziente ed i familiari anche alfine di indicare e far apprenderele modalità di partecipazione alprocesso assistenziale.

prende la riabilitazione precoce, all’attività di contenimento della disabilità residua espressacome riabilitazione a lungo termine. Sulla base di tali presupposti, appare necessario realizza-re correntemente l’attività di prevenzione della disabilità residua all’ictus fin dai primi giornidopo l’evento, utilizzando le risorse di personale disponibili, indipendentemente dal numerodi fisioterapisti impegnati nell’assistenza agli acuti.276 D’altro canto, le attività che saranno diseguito esposte possono in gran parte essere realizzate da personale prioritariamente impe-gnato nel nursing, a testimonianza del fatto che la coerenza del programma assistenziale puòassumere maggiore rilievo dello specifico trattamento praticato.277,278

Gli obiettivi della prevenzione della disabilità post-ictale, da realizzare precocemente, posso-no essere sintetizzati come segue:17

a. contenimento della rigidità articolare indotta dall’immobilità;b. conservazione dell’integrità cutanea;c. potenziamento della profilassi delle infezioni respiratorie e delle trombosi venose profon-

de;d. esaltazione della partecipazione all’attività fisica e ai programmi assistenziali;e. facilitazione della verticalizzazione e prevenzione delle cadute (dal letto e nei trasferimen-

ti);f. formulazione di una prognosi ai fini della identificazione delle esigenze assistenziali desti-

nate al recupero da attivare a breve-medio termine.

Le attività abitualmente realizzate per raggiungere gli obiettivi sopra indicati possono essereindicate nei seguenti approcci:a. mobilizzazione passiva degli arti paretici o plegici secondo tutto il range di movimento delle

articolazioni per almeno 3-4 volte al giorno. Uno studio osservazionale ha documentato chela precocità della mobilizzazione e dell’addestramento del paziente rappresenta il fattoremaggiormente correlato con il ritorno a casa entro sei settimane dall’ictus;279

b. utilizzo di presidi antidecubito, mantenimento dell’igiene e cambiamento della posizionecon intervallo variabile da 1 a 4 ore a seconda dei fattori di rischio per lesioni da decubito.La prevenzione delle lesioni da decubito è realizzata attraverso il raggiungimento di duedistinti obiettivi da perseguire congiuntamente:• la protezione della cute• la riduzione della pressione delle sedi di appoggioL’intensità di tali interventi è condizionata dalla presenza di fattori di rischio per la comparsadi lesioni definiti sulla base della Scala di Norton o di altre scale analoghe (basate su para-metri quali lo stato generale, la mobilità/continenza e compromissione della coscienza).280

La protezione della cute è basata sull’igiene, sulla idratazione della superficie cutanea e sulmantenimento del trofismo. In tal senso la pulizia attenta, soprattutto in sede perineale esacrale, l’uso di creme in grado di proteggere la cute, analoghe a quelle utilizzate per i neo-nati, ed il frizionamento dolce delle zone sottoposte a pressione, sono considerati attivitàefficaci.La riduzione della pressione sulle sedi di appoggio è realizzata con sistemi attivi che distri-buiscono il peso corporeo su di un’area più vasta (indumenti in lana di pecora, basi diappoggio in lana di pecora o poliestere, imbottiture in gel e sistemi “attivi” che modificanoil punto di appoggio, alternando l’immissione e la emissione dell’aria od utilizzando sistemidi rotazione del letto o letti ad acqua). Anche se i sistemi attivi sono ritenuti più efficaci, epiù costosi, dei sistemi passivi, la strategia di intervento non può essere basata sull’applica-zione indiscriminata di un presidio ma sulla identificazione della migliore condotta, casoper caso, in relazione al rischio di decubiti. È opinione comune che la disponibilità di unostaff infermieristico, numericamente adeguato e sufficientemente preparato, possa garanti-re la più valida prevenzione dei decubiti, qualunque sia il presidio tecnico impiegato;

c. circa un terzo dei soggetti colpiti da ictus sono colpiti da complicanze infettive broncopol-monari,281 verosimilmente in relazione alla disfunzione ventilatoria. Infatti ripetute osser-vazioni hanno documentato la compromissione dei parametri funzionali polmonari fre-quentemente in maniera proporzionale alla gravità del deficit motorio.281-283 Accanto all’ac-curata valutazione clinica, alla terapia antibiotica, associata eventualmente al trattamentocon liquidi ed ossigeno, è necessario provvedere ad una attivazione dei muscoli respiratoried all’igiene tracheo-bronchiale. L’incentivazione della ventilazione autonoma, con posizio-namento adeguato a favorire l’espansione di tutti i settori polmonari, appare in grado di

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ostacolare la iperventilazione basale. La valutazione del riflesso della tosse e del meccani-smo di deglutizione può contribuire a quantificare il rischio di polmonite.284 Nei soggetticon coscienza compromessa, l’acquisizione di posizioni che favoriscano il drenaggio bron-chiale e l’eventuale attuazione di manovre che favoriscano l’espulsione delle secrezionibronchiali possono evitare condizioni predisponenti l’infezione polmonare o l’ipossia. Perla prevenzione delle trombosi venose profonde, accanto al trattamento farmacologico, èopportuno mobilizzare attivamente l’arto inferiore sano e mobilizzare passivamente l’artoparetico. A ciò si aggiunge l’utilizzo di calze elastiche o pneumatiche e l’acquisizione diposizioni che favoriscano il deflusso venoso dall’arto inferiore plegico. Prescindendo dal-l’intervento farmacologico, gli interventi preventivi della trombosi venosa profonda sonobasati spesso su pratiche non documentate da adeguate prove di efficacia. La mobilizzazio-ne precoce del paziente e quella selettiva degli arti colpiti appaiono utili per diversi scopioltre a quello di evitare la stasi ematica a livello dell’arto inferiore colpito e non sono dispo-nibili indagini selettive sull’efficacia della sola mobilizzazione precoce nella prevenzionedella trombosi venosa profonda. L’uso di calze a tutta lunghezza a compressione graduataha mostrato indubbi vantaggi nella sindrome da immobilizzazione secondaria ad interven-to chirurgico e quindi può essere ragionevolmente trasferito ai soggetti immobili in seguitoad ictus.285 Occorre comunque sottolineare che i gambaletti potrebbero non essere analo-gamente efficaci, e che, in caso di arteriopatia periferica e neuropatia diabetica, la com-pressione esterna può provocare lesioni ischemiche. Su questi argomenti ci si attendonorisposte più chiarre dallo studio CLOTS; § 10.1.3.1). Sull’impiego di strumenti di com-pressione pneumatica esterna e sull’uso della stimolazione elettrica dei muscoli paretici, alfine di utilizzare la contrazione muscolare per spingere il sangue che refluisce dagli arti infe-riori, non si hanno ancora dimostrazioni sicure di efficacia.286 L’incoraggiamento delpaziente a partecipare attivamente al programma di posizionamento e di mobilizzazione èbasato sul coinvolgimento nella assunzione di posizioni utili alla prevenzione della stasi pol-monare e della stasi venosa dell’arto inferiore plegico;

d. l’impegno degli arti paretici in qualche attività bimanuale è utile al fine di evitare il feno-meno del “non uso appreso”. L’impegno motorio è verosimilmente potenziato da un usoselettivo dei farmaci. Alcune segnalazioni condotte su piccole serie di pazienti o derivate dastudi sperimentali indicano che farmaci ad azione noradrenergica, quali amfetamine edopaminoagonisti in combinazione con trattamenti riabilitativi, possono favorire il recupe-ro di prestazioni motorie, percettive o linguistiche probabilmente riducendo la diaschi-si.287,288 In senso opposto, antagonisti dopaminergici quali le fenotiazine, agonisti gabaergi-ci quali le benzodiazepine ed alcuni anticonvulsivi quali il fenobarbital e la dintoina posso-no inibire il recupero incrementando la diaschisi e sopprimendo il fenomeno del potenzia-mento a lungo termine.289,290 Un’esperienza condotta su un piccolo gruppo di soggetti hadocumentato un’efficacia del metilfenidrato nel miglioramento dell’esito clinico.291 La faci-litazione dell’esplorazione dello spazio, percepito in caso di emianopsia o di disturbo del-l’orientamento spaziale dell’attenzione, si ottiene evitando posizioni del letto che lascinopoco spazio all’esplorazione visiva. L’impegno nella memorizzazione del programma di atti-vità giornaliere è utile per favorire l’orientamento temporale ed il mantenimento del ritmosonno-veglia. La promozione dei contatti interpersonali è cruciale per prevenire l’isola-mento del paziente e le conseguenze emotive e comportamentali che ne conseguono.L’informazione e l’educazione dei familiari riguardo il loro possibile contributo al miglio-ramento dell’assistenza al soggetto malato appare cruciale per ottenere una adeguata colla-borazione e potenziare l’attività fornita dagli operatori professionali. L’informazione offer-ta tramite opuscoli predisposti a pazienti e caregiver ha fornito, in uno studio clinico ran-domizzato, vantaggi in termini di qualità percepita, riguardanti lo stato mentale dei caregi-ver che ricevevano le informazioni, senza ricadute significative sull’esito clinico dell’ictus osulla qualità di vita dei pazienti;292,293

e. la facilitazione della acquisizione della posizione seduta nei soggetti senza compromissionedello stato di coscienza è consigliata da molti (anche senza prove formali di efficacia), a par-tire dal secondo-terzo giorno, a meno di condizioni cardiocircolatorie che rappresentinouna controindicazione assoluta all’avvio del programma di recupero della postura. La pre-venzione delle cadute può essere realizzata attraverso azioni molteplici:1. verifica del sistema di chiamata degli infermieri;2. controllo ad interventi regolari dei servizi igienici;

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 279

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3. verifica frequente delle condizioni del paziente, controllando ed eliminando le sorgentidi dolore o le cause di agitazione;

4. supervisione dei trasferimenti dal letto alla sedia o dal letto al bagno;5. istruzione del paziente e della famiglia. I soli sistemi di contenimento (sbarre nel letto,

fasce trasversali, ecc.) possono non essere efficaci ed incrementare l’agitazione nei sog-getti confusi:

f. previsione del recupero funzionale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, in relazionealle limitazioni esistenti nell’impiego di risorse destinate all’assistenza dopo l’ictus, racco-manda di selezionare i pazienti per i quali il futuro trattamento di riabilitazione intensivapuò essere importante, discriminando tre gruppi principali:294

1. pazienti con evoluzione favorevole indipendentemente dalla pratica riabilitativa;2. pazienti che possono presentare miglioramenti solo grazie all’impiego di idonea assi-

stenza riabilitativa;3. pazienti con ridotta possibilità di miglioramento a prescindere dal tipo di riabilitazione.Le informazioni disponibili consentono di avere una discreta quantità di indicatori sui fat-tori predittivi negativi del recupero (numero delle attività compromesse, gravità della com-promissione funzionale, comorbosità, incontinenza sfinterica, invalidità persistente all’ic-tus, deterioramento cognitivo, depressione, ecc.), ma non offrono modi sicuri per discrimi-nare la predizione di recupero spontaneo da quello legato alla riabilitazione intensiva. Duericerche di autori italiani hanno contribuito a definire alcuni indicatori predittivi favorevo-li nei riguardi del recupero dell’autonomia: menomazione non grave, impegno occupazio-nale persistente dopo l’evento vascolare, età inferiore ai 65 anni, buone capacità di atten-zione e di comunicazione verbale, tono dell’umore non compromesso. È comunque oppor-tuno sottolineare che nessuno degli indicatori predittivi costituisce una condizione del tuttovincolante, poiché anche soggetti di età avanzata e particolarmente compromessi possonomostrare una evoluzione favorevole in termini di autonomia soprattutto in relazione al pos-sibile miglioramento inatteso di alcuni fattori potenzialmente limitanti.295,296 La formula-zione di una prognosi riguardante la sopravvivenza, l’autonomia nella deambulazione e laripresa motoria degli arti basata sulla perdita di coscienza all’esordio dell’ictus, sulla rapi-dità di aggravamento del deficit e sul recupero dell’attività motoria può essere realizzata giàal termine della prima settimana.297 Ad essa consegue la realizzazione di una proposta sulsetting riabilitativo più idoneo al soggetto curato e sulle modifiche potenzialmente necessa-rie per adattare la residenza abituale alla vita del paziente sopravvissuto all’ictus.

Molte altre situazioni sono comunemente affrontate nella fase acuta dell’ictus con ricadute sul-l’autonomia residua. Fra queste possono essere sottolineate le problematiche relative all’ali-mentazione, al controllo sfinterico urinario e fecale, ai traumi della spalla e agli altri traumati-smi indotti dalle cadute dal letto, alla sonnolenza diurna eventualmente associata alla agita-zione notturna. Tali condizioni sono affrontate in dettaglio nel Capitolo 14.

11.11 ELEMENTI CARATTERIZZANTI LA DIMISSIONE

DALLE STRUTTURE DEDICATE ALLA FASE ACUTA

La pianificazione della dimissione dovrebbe essere avviata precocemente dopo l’accettazionedel paziente e dovrebbe prendere in considerazione i bisogni dei pazienti e dei loro familiari.294

È opportuno indicare le attività correlate alla prevenzione secondaria ed all’attività destinataal recupero delle abilità compromesse, indicando anche eventuali referenti dell’unità ictus chepuò fornire un aiuto nel coordinamento dell’assistenza.

Il piano di dimissione dopo la fase ospedaliera dovrebbe coinvolgere tutte le collaborazionicon gli operatori territoriali, evitando il realizzarsi di attività non coordinate.

La dimissione del soggetto che ha subíto un ictus dalla struttura dedicata all’assistenza alla fasesubacuta, realizza un passaggio che dovrebbe essere predefinito nell’ambito del progetto assi-stenziale redatto al momento dell’ammissione del paziente. In altri termini, ogni strutturadovrebbe identificare i propri criteri per la dimissione e realizzare un collegamento con altrestrutture assistenziali ospedaliere e territoriali, che garantisca la continuità dell’assistenza.17

La relazione effettuata alla dimissione del paziente dovrebbe comporsi di due distinte sezioni:la prima che ripercorre le fasi assistenziali già espletate e la seconda che individua gli obietti-vi da raggiungere e le modalità ritenute più opportune. In assenza di un progetto assistenzia-

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le già formulato dal team competente per l’assistenza alle malattie cerebrovascolari, il pazien-te è trattato “come un pacco” che cambia destinazione a seconda delle prestazioni disponibi-li nell’area geografica di residenza e non come un soggetto a cui viene offerta una risposta ade-guata ai bisogni di salute indotti dalla malattia cerebrovascolare.

Sulla base di tali premesse, la dimissione dovrebbe essere accompagnata dal resoconto dei pro-blemi affrontati dall’esordio della malattia con indicazione dei motivi che hanno condotto acerte scelte assistenziali. La relazione dovrebbe inoltre sintetizzare le condizioni al momentodell’ingresso e descrivere l’evoluzione fino all’uscita, oltre a testimoniare gli incontri che ilteam ha realizzato per affrontare il caso.279

Nella parte prospettica dovrebbero essere rappresentati i suggerimenti terapeutici a breve emedio termine, i criteri di scelta del setting assistenziale preposto (altro ospedale, struttura dilungodegenza, struttura di riabilitazione intensiva, domicilio con assistenza, ecc.) e gli obietti-vi degli interventi sanitari realizzabili in tempi diversi. A tale scopo è infine importante sotto-lineare le motivazioni degli eventuali controlli presso la struttura della fase acuta chiarendo lecompetenze necessarie per la realizzazione di un’adeguata assistenza continua.275

Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 281

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