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11. I modelli RAI e Mediaset a confronto I contesti interessati all’elaborazione dei palinsesti rispettivamente di RAI e di Mediaset sono congegnati in modelli strutturalmente diversi. Le differenze fra i due modelli ne riflettono la diversa filosofia di gestione dell’insieme di reti di cui ciascuna dispone. La RAI, pur prevedendo forme di coordinamento tra le programmazioni delle reti, assegna piena autonomia a ciascuna struttura (Rete, Testata; Dipartimento Scuola Educazione) che partecipa al palinsesto di ogni canale; Mediaset, al contrario, accentra la programmazione delle sue tre reti, coordinandola quindi, strutturalmente sin dalla fase iniziale di formazione dei palinsesti (Rizza N., 1989). Il modello Mediaset La programmazione delle tre reti Mediaset è affidata ad un unico Direttore dei Programmi, che coordina la Struttura di Palinsesto, unica per le tre reti, e le cinque Strutture Produttive, responsabili della produzione di “giochi e quiz”; “intrattenimento, varietà e speciali”; “programmi giornalistici e sportivi”, “programmi per bambini e ragazzi”; “fiction”. La funzione del Direttore dei Programmi è quindi nello stesso tempo sia di direzione e di coordinamento dei settori produttivi, che di definizione delle strategie di palinsesto per tutte e tre le reti. Di specifica competenza del Responsabile di Palinsesto, oltre alla formulazione delle griglie di programmi, sono i settori addetti alla produzione della self-promoition e all’impaginazione dei promo e delle pubblicità. Il modello appare formulato all’insegna della massima concentrazione delle funzioni direttive, funzionale ad organizzare in maniera sinergica e integrata l’offerta delle tre reti. Strutture, magazzino, uomini e risorse non appartengono a nessuna rete, ma sono 198

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11. I modelli RAI e Mediaset a confronto

I contesti interessati all’elaborazione dei palinsesti rispettivamente di RAI e di Mediaset

sono congegnati in modelli strutturalmente diversi. Le differenze fra i due modelli ne

riflettono la diversa filosofia di gestione dell’insieme di reti di cui ciascuna dispone.

La RAI, pur prevedendo forme di coordinamento tra le programmazioni delle reti,

assegna piena autonomia a ciascuna struttura (Rete, Testata; Dipartimento Scuola

Educazione) che partecipa al palinsesto di ogni canale; Mediaset, al contrario, accentra

la programmazione delle sue tre reti, coordinandola quindi, strutturalmente sin dalla

fase iniziale di formazione dei palinsesti (Rizza N., 1989).

Il modello Mediaset

La programmazione delle tre reti Mediaset è affidata ad un unico Direttore dei

Programmi, che coordina la Struttura di Palinsesto, unica per le tre reti, e le cinque

Strutture Produttive, responsabili della produzione di “giochi e quiz”; “intrattenimento,

varietà e speciali”; “programmi giornalistici e sportivi”, “programmi per bambini e

ragazzi”; “fiction”.

La funzione del Direttore dei Programmi è quindi nello stesso tempo sia di direzione e

di coordinamento dei settori produttivi, che di definizione delle strategie di palinsesto

per tutte e tre le reti.

Di specifica competenza del Responsabile di Palinsesto, oltre alla formulazione delle

griglie di programmi, sono i settori addetti alla produzione della self-promoition e

all’impaginazione dei promo e delle pubblicità.

Il modello appare formulato all’insegna della massima concentrazione delle funzioni

direttive, funzionale ad organizzare in maniera sinergica e integrata l’offerta delle tre

reti. Strutture, magazzino, uomini e risorse non appartengono a nessuna rete, ma sono

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assegnati all’una o all’altra in base agli obiettivi fissati per ciascuna rete dalla strategia

aziendale, la cui impostazione è attuata unitamente a Publitalia.

Con quest’ultima, la Direzione Programmi e il Palinsesto concordano l’obiettivo

complessivo d’audience da raggiungere per le reti del gruppo e gli obiettivi parziali per

ciascuna rete. Ne risulta sia la calibratura che il profilo di ciascuna rete, determinato dal

rispettivo tipo di target: ad esempio, stabilito nel 45% dell’ascolto il totale da

raggiungere, la quota del 25% è assegnata a Canale 5, che deve mantenere una

caratterizzazione di rete familiare con forte presenza di responsabili d’acquisto superiori

ai 35 anni; del 13% a Italia 1, consolidata come rete a target più giovane, moderno e

metropolitano; del 17% a Retequattro, attualmente orientata ad un target più alto.

L’organizzazione dei palinsesti è tenuta ad osservare le calibrature di ciascuna rete,

mantenendone i reciproci rapporti. Ciò comporta che a tali grandezze corrisponda la

ripartizione del budget tra le reti, e quindi la valutazione del costo di ciascun palinsesto.

In sintesi, la definizione degli obiettivi commerciali determina la definizione delle linee

editoriali. L’accentramento delle funzioni direttive e di coordinamento assicura

stabilmente la complementarietà e la sinergia tra le reti del gruppo e favorisce la

prontezza ad adeguare l’offerta alla domanda di mercato.

Il modello RAI

In periodo di assoluto monopolio la RAI era organizzata in un modello che prevedeva la

separazione fra le strutture rispettivamente preposte all’ideazione, alla produzione e alla

programmazione; dal 1976, quando diventa operativa la legge di riforma dell’anno

precedente, il modello organizzativo prevede per le tre Reti, per le tre Testate e per il

Dipartimento Scuola Educazione, autonomia di produzione, di programmazione e di

budget.

Paradossalmente, quindi, il modello organizzativo della RAI è strutturato oggi secondo

una logica meno favorevole ad operare in una situazione concorrenziale di quanto non

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lo fosse in epoca di monopolio, quando il modello organizzativo si basava sulla

centralizzazione decisionale, sul governo unico delle reti e sull’autonomia del palinsesto

rispetto alla produzione.

In sintesi, il modello organizzativo della Rai presenta:

1. una elevata frammentazione di strutture interessate all’elaborazione del

palinsesto di ciascun canale;

2. tre Reti e tre Testate, cui non corrisponde una programmatica diversificazione o

una specializzazione dell’offerta;

3. la moltiplicazione dei ruoli organizzativi e produttivi per ciascuna rete;

4. l’autonomia della politica di programmazione di ciascuna rete;

5. la suddivisione delle risorse finanziarie tra le reti attuata secondo il criterio

quantitativo del trasmesso;

6. il coordinamento ad hoc degli schemi di palinsesto.

Le reti del servizio pubblico si muovono in un contesto organizzativo notevolmente più

complicato e vischioso di quello dell’emittenza privata: ciò condiziona la possibilità di

una pianificazione strategica dell’offerta RAI; la complementarietà delle reti non è

implicata dal modello organizzativo, bensì è prima genericamente auspicata dagli

“indirizzi” dati all’azienda dal Consiglio di Amministrazione e poi affidata alla funzione

di controllo espressa dal Coordinamento. Evitare la concomitanza di programmi dello

stesso genere è un obiettivo in genere raggiunto, attraverso il monitoraggio attuato dal

Coordinamento. La definizione della specificità editoriale è invece auspicata, ma non

perseguita programmaticamente.

La diversificazione può essere quindi obiettivo strategico di ciascuna rete (come

dimostra il caso di Rai 3 che ha scelto di mirare a pubblici minoritari), ma non è

obiettivo aziendale. Al contrario, la complementarietà tra le reti del gruppo Mediaset è

preventivamente definita in base ad obiettivi di mercato e connessa alla centralizzazione

decisionale e finanziaria. Le caratteristiche del modello privato favoriscono pertanto la

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sinergia tra le reti, l’ottimizzazione delle risorse e la flessibilità a cogliere la domanda

del mercato pubblicitario.

12. Un approfondimento: la scrittura dei palinsesti in Mediaset

Per l’emittenza commerciale il primo modello completo di palinsesto è quello

stagionale definito dai quattro ai sei mesi prima dell’emissione, allo scopo di consentire

a Publitalia di presentarlo agli acquirenti degli spazi pubblicitari.

Nel primo capitolo si è discusso brevemente sulla televisione e sul suo legame con la

pubblicità: prima di attirare il pubblico infatti, i programmi, organizzati entro lo schema

del palinsesto, devono convincere gli inserzionisti di possedere una potenzialità

commerciale, orientata ai target cui sono rivolti i prodotti da pubblicizzare; è questo il

vero e proprio cardine nel percorso compiuto dai palinsesti Mediaset, dalla

progettazione iniziale fino alla redazione definitiva.

Se il mercato pubblicitario costituisce per l’emittenza commerciale una risorsa, per il

palinsesto si risolve in un sistema di vincoli, poiché comporta: a) la predeterminazione

del pubblico-target da assicurare agli investitori; b) dinamiche di vendita degli spazi

pubblicitari, tale da condizionare sia la selezione dei programmi che la loro permanenza

in palinsesto; c) la particolare configurazione del flusso di programmi, dovuta

all’inserimento degli spazi pubblicitari all’interno della pubblicità.

Il motto non è di fare bella televisione, ma una televisione che si vende: tale criterio-

guida si traduce in un insieme di pratiche di costruzione dei palinsesti, in quanto la

strategia di programmazione delle reti commerciali cerca di corrispondere agli schemi

degli investitori pubblicitari, per trarre dai vincoli il massimo profitto. Tuttavia va

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osservato come talvolta la logica del fatturato venga sospesa in nome di una più ampia

strategia d’immagine (Rizza N., 1989).

Una televisione su tre canali

Mediaset ha scelto di fare “una televisione su tre canali”: ogni Rete ha cioè una propria

fisionomia che corrisponde a determinate grandezze di audience e di investimenti,

nonché a differenti tipologie di pubblico. Nello stesso tempo, la programmazione delle

reti si informa al criterio della diversificazione dei programmi di ciascuna rete in

rapporto ai pubblici potenziali nelle varie fasce orarie, in modo da massimizzare la resa

pubblicitaria in ogni ora di trasmissione.

“Dare pubblico”, “dare bambini” o “dare casalinghe” sono espressioni ricorrenti in

Mediaset: esse riescono a rappresentare l’atteggiamento, i criteri e gli scopi degli addetti

alla programmazione dei network commerciali: non si tratta infatti di “prendere

pubblico” attraverso i programmi, ma di venderlo agli inserzionisti. L’elaborazione del

palinsesto stagionale si correla alla progettazione delle audience da assicurare al

mercato pubblicitario. Sulla base dei risultati raggiunti nelle stagioni precedenti e degli

investimenti affrontati per gli acquisti, la Direzione Programmi e Publitalia collegano le

previsioni d’ascolto alle tariffe pubblicitarie per gli spazi offerti dalle diverse fasce

orarie di ciascuna rete. Particolari programmi di prime time, come film in prima visione,

sono venduti con prezzi ad hoc, in considerazione della loro potenzialità d’ascolto.

Se le previsioni sull’audience saranno superate dagli ascolti effettivi, l’eccedenza di

pubblico sarà “regalata” agli inserzionisti; se invece le previsioni si dimostreranno

eccessivamente ottimistiche, si sconteranno i clienti, con ripercussioni nelle stagioni

successive. Bisogna sottolineare inoltre che la capacità revisionale si collega ad una più

ampia strategia d’offerta, fondata sulla conoscenza delle caratteristiche e degli

orientamenti del mercato.

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Target e segmenti: i dettati del mercato

La situazione italiana è caratterizzata da una predominanza assoluta di “grandi clienti”

(la Procter & Gamble, gli alimentari ed i grandi distributori), con un budget illimitato di

spesa ed interessati a “responsabili d’acquisto”, donne, talora non giovanissime e di tipo

tradizionale. Clienti interessati a target molto settoriali o hanno scarsa possibilità di

spesa per la pubblicità televisiva oppure hanno scarsa propensione a trasferire i loro

investimenti pubblicitari dalla stampa specialistica al mezzo televisivo.

In questo quadro, la “televisione che si vende” è quella che assicura con continuità

grandi quote di pubblico agli investitori: essa per definire il suo target si adegua a

utilizzare le categorizzazioni di mercato, fondate su variabili anagrafiche e sul potere

d’acquisto, talvolta imprecise se riferite ai consumi televisivi.

Per sfruttare appieno le potenzialità di mercato, l’emittenza commerciale deve tradursi

in una televisione catch-call, tradizionale, familiare e popolare, che scoraggia, perché

rischioso, l’abbinamento tra il proprio macrotarget e la sperimentazione di formule

innovative. Di qui la scelta di Mediaset di puntare su Canale 5 con una programmazione

in grado di soddisfare le esigenze dei grandi investitori e in grado di assicurare con

l’ampiezza dell’audience gli alti profitti. Ciò contribuisce a spiegare perché la strategia

delle scelte di programmazione attuate per la rete leader del gruppo Mediaset dopo il

primo periodo americano, abbia perseguito con determinazione la strada del ricalco

prima e dell’esproprio poi di generi e formule di successo ampiamente collaudati dalla

programmazione RAI.

Se Canale 5 è delegata a rastrellare il pubblico-massa generalmente familiare, altre

fasce d’ascolto, sia pure quantitativamente inferiori e meno redditizie, possono essere

prospettate come target al mercato pubblicitario.

La macchina organizzativa e produttiva di Mediaset, dimensionata sul mercato

pubblicitario e sui grandi numeri, si trova così a dover differenziare i pubblici per poter

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massimizzare l’audience complessiva delle tre reti: quel che conta, alla fine, è il

risultato complessivo d’audience che le tre reti riusciranno ad ottenere.

La diversificazione rappresenta dunque una modalità strategica di gestione delle

dinamiche di frammentazione del pubblico televisivo. Nelle tre reti Mediaset le

procedure di programmazione messe al servizio di tale strategia sono di diversi tipi. Una

prima modalità è attuata attraverso l’offerta del day time di Canale 5, articolata secondo

un criterio naturalistico di caratterizzazione delle fasce d’ascolto. Pur essendo quasi

interamente monogenere, l’offerta viene modulata in rapporto alle diverse componenti

del macrotarget familiare che costituisce il pubblico di riferimento della rete. E’ questo

un tipico procedimento di costruzione del palinsesto in una televisione generalista:

poiché la composizione del pubblico televisivo muta da una fascia oraria all’altra, in

corrispondenza ai ritmi imposti dall’organizzazione del tempo sociale, le fasce orarie

sono predisposte a ospitare programmi calibrati, in quanto a costi e target di

riferimento, ai rispettivi bacini d’utenza.

Con Italia 1, che si posizione come rete mirata ad un pubblico più giovane, la

segmentazione del pubblico di riferimento avviene attraverso la qualificazione

dell’offerta e solo in seconda istanza attraverso la diversificazione delle fasce orarie.

Italia1 è quella che con più decisione segmenta il proprio target, adottando un criterio

di differenziazione anagrafica che si traduce in uno stile e in un ritmo di

programmazione potenzialmente in grado di aggregare settori di pubblico diversi per

età, ma tendenzialmente accomunati da un certo gusto televisivo. Rete a fortissima

identità d’immagine, nella cui programmazione sono stati riservati quegli elementi di

ironia e di “tendenza” interdetti a Canale 5, Italia 1 si rivolge elettivamente ai giovani,

e ai bambini in alcune fasce orarie, pur non precludendosi la possibilità di convogliare

fasce d’ascolto più ampie, che non si riconoscono nella tradizionale programmazione

generalista.

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Sebbene i programmatori Mediaset sottolineino le difficoltà che incontrano talvolta nel

“vendere” Italia 1 agli inserzionisti (a causa dell’orientamento del mercato italiano

verso responsabili d’acquisto più tradizionali ed adulti) non si può non rilevare le

potenzialità presentate da questa rete sia per l’evoluzione del linguaggio della

televisione commerciale, sia per il potenziamento dei nuovi mercati e nuovi target.

Esemplare è in questo senso il mercato dei prodotti per l’infanzia, che ha trovato nelle

strisce di programmi dedicati ai bambini da Italia 1 non soltanto il territorio favorevole

ad attualizzare potenzialità inespresse, ma anche l’incentivo alla stessa produzione

materiale. In una prospettiva di marketing, Italia 1 si direbbe posizionata per attributi e

per il tipo di consumatore, attraverso la strategia di differenziazione del prodotto e

segmentazione del mercato che caratterizza l’area intermedia tra il “marketing

indifferenziato” di Canale 5 e il “marketing di nicchia”.

Diversa appare la procedura di definizione del pubblico di Retequattro. Tale rete è stata

tradizionalmente programmata nel day time per un target femminile e nel prime time

come risultante della programmazione delle altre due reti. Perseguendo il

riposizionamento e il restyling avviati nel 2001, la rete ha differenziato poi la sua offerta

affinando a programmi tradizionali rivolti a un target femminile adulto, prodotti mirati

ad un pubblico maschile.

Il tentativo di cambiare faccia a Retequattro, programmandola come rete a target più

alto ma non più ampio, indica che la strategia dell’emittenza commerciale può talvolta

sospendere la rincorsa all’audience e al profitto immediato allo scopo di raggiungere un

effetto di attenzione da parte della stampa e del mondo politico e soprattutto in modo da

conseguire una maggiore credibilità come azienda televisiva a tutto campo.

Per quanto riguarda la questione dei rapporti tra mercato pubblicitario ed elaborazione

dei palinsesti, è importante notare che il perseguimento degli obiettivi d’immagine, non

funzionali all’incremento dell’audience, sospende ma non contraddice le logica

economica dell’emittenza commerciale, in quanto queste operazioni non escludono nel

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medio-lungo periodo un “ritorno”, valutabile anche in termini economici. E’

significativo inoltre il peso che i programmatori di Mediaset attribuiscono

all’accoglienza tributata dalla critica televisiva e dalla stampa alle diverse scelte di

programmazione.

L’immagine di rete, se riflessa dalla stampa, può costituire infatti un fattore capace di

modificare la rigidità del mercato pubblicitario. La capacità di legittimazione della

stampa acquista per l’emittenza commerciale uno spessore cruciale, in quanto elemento

che, sia pur indirettamente, interviene nella dinamica di negoziazione con il mercato

pubblicitario. E’ chiaro che questo lavoro di negoziazione si svolge ai margini di un

quadro in cui è il mercato degli investimenti pubblicitari ad imporre vincoli strutturali

nell’individuazione e nella quantificazione dei pubblico. Ed è il mercato a pronunciare

l’ultima parola, frenando o bloccando i tentativi di diversificazione dell’emittenza.

Verso un modello produttivo

Poiché la struttura organizzativa che riguarda l’elaborazione dei palinsesti delle reti

Mediaset è unica e funzionale, il processo di stesura dei palinsesti ne risulta

semplificato, sia per quanto concerne la programmazione di ciascuna rete, sia per

l’orchestrazione generale, in quanto le diverse fasi di impostazione delle griglie dei

programmi non sono disgiunte, come accade in RAI, da quelle di comparazione e di

controllo, ma si sviluppano sin dall’inizio secondo modalità integrate e di

diversificazione delle identità e degli obiettivi assegnati alle reti. La pianificazione dei

palinsesti dei tre network si raccorda quindi ai differenti tempi della produzione, degli

acquisti e della vendita degli spazi pubblicitari, in modo che la definizione delle griglie

dei programmi attraversa una successione di fasi interdipendenti, mirate a focalizzare

l’assetto ottimale di un periodo di programmazione sempre più delimitato.

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Le modificazioni intervenute nella strategia d’offerta di Mediaset, dal periodo degli

esordi sino alla fase attuale di duopolio, si riflettono sulla gestione del palinsesto, oggi

strumento di mediazione tra il modello produttivo e la messa in onda.

Alla nascita, il palinsesto di Mediaset rispondeva a un modello “distributivo”, fondato

su procedure di selezione – esposizione – packaging di programmi, in autonomia dalla

produzione: palinsesto come tecnica compositiva. Tale modello, che funziona al meglio

se abbinato ad una programmazione basata quasi esclusivamente su prodotti di fiction

seriale, da un lato esalta il potere e l’autonomia del palinsesto, dall’altro ne semplifica le

procedure di pianificazione.

Varie ragioni hanno incrinato la solidità di questo modello: l’opportunità commerciale

di caratterizzare in modo spiccato le reti mediante programmi specificatamente pensati

per i rispettivi target; il fisiologico logoramento dei serial e delle serie made in USA;

l’esigenza di rinnovare il magazzino con prodotti più vicini alla cultura del pubblico

italiano; la possibilità di espansione verso nuovi mercati; la ricerca di una diversa

legittimazione sociale e la necessità di reggere la sfida con il servizio pubblico.

Con l’incremento delle autopromozioni, il ruolo del palinsesto diviene anche

previsionale rispetto alle proprie necessità future e propositivo nei riguardi della

produzione: ne consegue l’allungamento dei tempi di elaborazione dei palinsesti,

modulati sui diversi ritmi della produzione, del mercato e della concorrenza. Ciò

comporta anche un’inversione di tendenza rispetto ai classici modelli di televisione

commerciale e un avvicinamento al modello di palinsesto a ciclo completo (che integra

le diverse fasi di ideazione – produzione – collocazione - trasmissione dei programmi).

La pianificazione a lungo termine

Le fasi di lungo e lunghissimo periodo riguardano l’impostazione delle linee portanti

della programmazione: si tratta di decidere gli investimenti da compiere e le scelte da

operare fra produzioni, acquisti ed ingaggio dei realizzatori, degli attori e dei conduttori.

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Poiché l’impostazione dei palinsesti implica importanti investimenti, la strategia di

programmazione a lungo termine deve venire concertata con la parte commerciale del

gruppo Mediaset, in funzione delle previsioni di mercato.

Gli specifici tempi di approvvigionamento delle differenti tipologie di programmi (la

programmazione viene definita, ad esempio, con molto anticipo per quanto riguarda

l’offerta cinematografica, dal momento che sono necessari due o tre anni dalla

commessa relativa a film appena usciti nelle sale sino allo sfruttamento televisivo,

mentre la fiction autoprodotta, serie e miniserie, è prevista nella programmazione con

un anticipo di circa 18 mesi) scandiscono gli stadi iniziali di pianificazione, di modo che

la scrittura dei palinsesti si attua mediante procedure di focalizzazione progressiva, via

via che si definiscono, attraverso la politica degli acquisti e della produzione, i titoli che

riempiranno i diversi spazi. Ad eccezione della programmazione estiva che non prevede

la prima visione di nessun film e che può essere definita globalmente con un anticipo di

5/6 mesi, gli schemi di palinsesto relativi alle altre tre stagioni si riempiono di titoli in

maniera graduale, in una successione di fasi differenziate in rapporto al genere e alla

modalità produttiva dei programmi.

Certe scelte di programmazione implicano il rischio di una pianificazione

eccessivamente anticipata rispetto al momento dell’emissione, e quindi più esposta

all’aleatorietà dei mutamenti di gusto del pubblico o delle modificazioni intervenienti

nella strategia d’offerta della concorrenza. Queste scelte sono cruciali per la futura

definizione della strategia di palinsesto: sia in linea generale, perché predeterminano la

configurazione dell’offerta, sia perché, a seconda della loro identità, possono favorire o

pregiudicare in maniera rilevante la capacità di adeguamento del palinsesto alle

contingenze che si presenteranno di periodo in periodo.

Il rischio di uno scollamento tra la fase progettuale e le successive sarebbe enfatizzato

se le scelte di produzione e d’acquisto non fossero guidate da un’idea di palinsesto, da

criteri di scrittura della programmazione e dal riferimento ad un contesto di rete. In

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realtà, la griglia di palinsesto, con le scansioni e le cifre di rete, costituisce lo schema di

riferimento nella pianificazione produttiva di Mediaset. Ci vorrà ancora del tempo

perché lo schema sia definito, ma sin da questa fase i progetti rispondono ad una logica

di stesura dei palinsesti e non soltanto alla generica esigenza di immagazzinamento di

materiali.

Le fasi di selezione e di predisposizione dei programmi hanno come elementi di

riferimento la specificità di ciascuna rete e l’organizzazione temporale del palinsesto,

articolata secondo i moduli: il day time nei primi 5/6 giorni della settimana è

organizzato in strisce orizzontali a frequenza quotidiana; la possibilità di questa

frequenza è contemplata anche per la programmazione di tarda serata. I programmi di

prime time hanno cadenze settimanali. La programmazione dei giorni feriali è distinta

da quella del week end e la programmazione estiva è distinta da quella delle altre

stagioni. Le produzioni sono progettate in riferimento a una determinata fascia e per un

determinata rete, in funzione della calibratura che ne è stata operata, dell’immagine che

le è costruita, dal target che le si è assegnato, secondo una logica di posizionamento

commerciale.

A monte c’è dunque una stratega commerciale che prova a tradursi in linea editoriale; a

valle, un giudizio di appropriatezza tra un programma da produrre e rete che dovrà

ospitarlo. Oltre al rapporto esistente tra i programmi e la rete deputata ad ospitarli, esiste

un secondo tipo di nesso tra programmi e palinsesti: quello relativo alle fasce orarie. La

strutturazione impressa alla griglia in senso orizzontale e in senso verticale e il diverso

peso di mercato delle fasce orarie impone che i programmi debbano avere caratteristiche

di costi e di formato adeguate alla loro collocazione. I programmi prodotti da Mediaset

per le fasce del day time sono formulati in funzione del tempo di emissione e della

lunghissima permanenza in palinsesto. Ciò implica la ricerca di formule di programmi

orientate ai bacini d’utenza delle diverse fasce, ma anche la definizione del minutaggio

complessivo di ciascun prodotto. La tendenza a rendere fissa la programmazione diurna

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è assecondata in Retequattro e in Italia 1 mediante prodotti d’acquisto, selezionati in

funzione del target assegnato a ciascuna rete (soap opera e telefilm per la prima, sit com

e cartoon per la seconda). Per Canale 5 sono invece progettate le produzioni di

intrattenimento leggero, i quiz e i giochi mirati a diverse fasce d’ascolto, che consentono

alla rete leader di costruire la propria riconoscibilità e di istituire con il pubblico un

rapporto diretto e vivace.

Per quanto riguarda il prime time, la pianificazione a lungo termine consiste nel

predisporre la disponibilità di programmi adeguati ai pubblici di riferimento delle

diverse reti; onde evitare dispersioni di audience, la durata dei programmi serali,

comprensiva la pubblicità, dovrebbe tendenzialmente protrarsi il più a lungo possibile

entro i confini della fascia oraria, ma il raggiungimento di questo obiettivo presenta

difficoltà in rapporto ai formati dei programmi che si iniziano a definire in questa fase

di elaborazione del palinsesto. Il film, già conformato in una taglia piuttosto estesa, è in

questo senso un prodotto perfetto, così come possono diventarlo il quiz o altre

produzioni da studio; maggiori difficoltà si incontrano invece con le produzioni di

fiction che tradizionalmente sono concepite in formati più ridotti.

Per la stesura del palinsesto l’estensione del prime time fino alle 23 comporta una

maggiore difficoltà di selezione dei programmi e di composizione della serata: proprio

per mitigare tali difficoltà si tende a modificare la dimensione di formati

tradizionalmente consolidati definendone i parametri contestualmente al progetto di

produzione, quindi in una fase ancora embrionale di scrittura del palinsesto.

L’impostazione delle strategie: il palinsesto stagionale

Quando viene consegnato alla forza vendita perché lo sottoponga agli investitori

pubblicitari, il palinsesto stagionale delle reti Mediaset è formulato in una redazione

pressoché definitiva, articolato quasi interamente per titoli e non solo per generi.

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E’ bene notare che questo tipo di programmazione supera l’ambito del trimestre cui si

riferisce il singolo palinsesto stagionale: la caratterizzazione del day time e

l’abbinamento tra le fasce orarie di ciascuna rete e i relativi generi di programmi

riguarda l’intero periodo che va da ottobre a maggio compresi.

La possibilità che un certo titolo permanga in palinsesto per più stagioni è condizionata

dal genere di appartenenza del programma.

Se si tratta di un telefilm, a decidere la durata della permanenza è la disponibilità di un

numero di episodi sufficiente a coprire l’intero arco dei tre trimestri. Qualora tale

disponibilità sia limitata a periodi più ridotti, le scelte possono essere di due tipi: o

replicare il ciclo daccapo o iniziare la programmazione di una nuova serie. In

quest’ultimo caso, la selezione del telefilm subentrante è compiuta dal responsabile

palinsesto sempre con un criterio di omogeneità con la tipologia del telefilm in uscita,

nell’ambito delle diverse categorie della fiction seriale: le soap opera costituiscono il

repertorio di Retequattro, mentre la fantasy e le sit-com sono le tipologie destinate ad

Italia 1.

Se invece la striscia orizzontale è coperta da programmi autoprodotti, come i quiz che

occupano quasi per intero il day time di Canale 5, lo stesso titolo sarà abbinato ad un

certo orario per tre stagioni consecutive, dal momento che il modulo di produzione-

trasmissione prevede all’incirca 200 puntate. Ciò significa che per il day time il

palinsesto è strutturato con estrema rigidità, resa ancora più inflessibile dal meccanismo

di vendita degli spazi. Per il day time gli aggiustamenti rispetto alle decisioni iniziali

sono molto rischiosi. Se per esempio si decide di fare una striscia alle 18, si deve

comunque partire con un piano di almeno 200 puntate: se ne vendono 200

all’inserzionista, si fanno contratti sul piano di 200 puntate, si fanno piani di

produzione sugli studi per 200 e se va bene non ci sono problemi, se va male invece, si

rischia, perché ci si trova di fronte al problema di doverlo sospendere senza avere

pronta nessuna sostituzione adeguata, andando incontro alle delusioni degli investitori

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pubblicitari. Nella realtà però, questo non si verifica, perché le stagioni sono

abbastanza prevedibili (Direttore Programmi).

Dalle risposte dell’audience la stesura del palinsesto del day time trae indicazioni per le

scelte da attuare di anno in anno: ciò che funziona non si cambia. Per il day time la

stesura del palinsesto è agevolata dal fatto di conoscere con sicurezza la

programmazione della concorrenza, da quando anche la RAI ha adottato il modulo

orizzontale per gran parte delle fasce orarie, replicando di anno in anno i formati dei

relativi programmi senza apportarvi modificazioni sostanziali. Ciò consente di

predisporre l’offerta sulle tre reti, mirando stabilmente ai target indicati dagli

investimenti pubblicitari.

Il trascinamento orizzontale (da un giorno all’altro nello stesso orario di trasmissione) e

quello verticale (il traino che ogni programma compie potenzialmente sul precedente e

sul successivo) sono i principi ispiratori della configurazione dell’offerta: più attendibile

il primo di quanto non possa esserlo il secondo, condizionato dal ricambio naturale dei

pubblici da una fascia all’altra della giornata.

Secondo le regole che derivano dall’adesione ai ritmi di consumo connessi

all’organizzazione del tempo sociale, cui si lega il flusso televisivo, la programmazione

del day time definisce, insieme ad estese zone dei palinsesti stagionali, la stessa

fisionomia delle reti.

In questa fase di elaborazione del palinsesto, il prime time presenta un minor grado di

definizione rispetto alle fasce diurne: minore poiché molti titoli attendono di essere

assegnati ad una data, ma precisa per quanto riguarda l’abbinamento dei generi ai

diversi giorni della settimana ed il repertorio dei programmi che saranno trasmessi nella

stagione.

La programmazione serale deve essere prevista con buon anticipo, dai quattro ai sei

mesi dall’emissione. Le fasi successive, quelle a ridosso dell’emissione, consentiranno

gli aggiustamenti tattici più opportuni rispetto all’offerta della concorrenza, ma la

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strategia di palinsesto dell’emittenza commerciale è già completamente delineata in tale

fase di elaborazione.

La ripartizione dei programmi disponibili in magazzino tra le diverse stagioni e la

stesura integrata dei palinsesti delle tre reti costituiscono le operazioni salienti della

strategia che si esplica nel palinsesto stagionale. La prima operazione si esplica tenendo

conto dei trend di ascolto stagionali, delle previsioni sul comportamento della

concorrenza, degli orientamenti del mercato pubblicitario e della disponibilità di

magazzino. La ripartizione dei programmi di prime time nell’arco delle stagioni sembra

essere la procedura affrontata con maggiore sicurezza in maniera omologa tra Rai e

Mediaset. La pianificazione del palinsesto stagionale è attuata secondo un criterio

inerente i risultati da raggiungere in base all’analisi della condizione del mercato e della

disponibilità di magazzino. Inoltre, l’autunno e l’inverno sono le stagioni privilegiate, in

cui la concorrenza è più aspra e in cui si lanciano i film in prima visione, mentre l’estate

rappresenta una stagione di scarso interesse, a causa della riduzione dell’audience, in

cui la programmazione si fa meno costosa: un palinsesto pieno di prime visioni è infatti

estremamente caro, mentre un palinsesto come quello estivo, che ha un’offerta

cinematografica costituita da repliche a costo zero, è di tutto risparmio.

Una volta che a ciascuna stagione sono stati assegnati i pacchetti di programmi, inizia la

fase cruciale di scrittura del palinsesto. Il criterio della calibratura e della vocazione

definite sinergicamente e singolarmente per le tre reti costituisce la base di partenza.

L’organizzazione dei programmi nei palinsesti stagionali viene attuata secondo una

logica di controprogrammazione11 rispetto all’offerta RAI.

La disposizione dei programmi è congegnata in modo che Canale 5 sia messa in grado

di contrastare la programmazione di Rai 1 e che le altre due reti agiscano invece come

11 Tale vocabolo, come già affermato, non ha sempre il preciso significato del termine americano (quello cioè di un modo di programmare che mira a raggiungere un pubblico non interessato al programma della concorrenza), anzi esso viene adottato nell’accezione opposta, indicando un modo di programmare mirato ad erodere lo stesso pubblico della concorrenza.

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forze complementari (in modo da mirare alla massimizzazione degli ascolti, mediante la

proposta sera per sera, di un’offerta diversificata rispetto a quella della rete leader). Si

favorisce così la sinergia tra le reti, prevedendo programmazioni che, coprano

simultaneamente l’arco dei target prescelti. Contemporaneamente però l’attenzione è

rivolta agli schemi di palinsesto della concorrenza, per quanto possano esser previsti

anticipatamente. E’ la formula specifica in cui il genere viene declinato che individua il

target; pertanto le zone di palinsesto che Canale 5 nel palinsesto stagionale ricalca sul

modello classico di Rai 1 sono occupate da programmi che per impegno produttivo o

cast di attori possono esser presentate agli investitori pubblicitari come competitive. Il

contrapporre all’offerta della concorrenza i suoi stessi generi è un’ulteriore prova di

sfida che non può che enfatizzare l’immagine forte che Canale 5 si è costruita nel

tempo.

Per quanto riguarda l’attribuzione di spazi serali ai film, bisogna rilevare che

quest’ultimo non sembra subire le oscillazioni delle mode o le obsolescenze che in

questo decennio hanno interessato altri generi televisivi. Il film costituisce la risorsa

primaria di ogni palinsesto e spesso l’elemento più gradito.

I programmatori affermano di voler evitare l’assegnazione contemporanea di tre film

alle tre reti, perché è una scelta che non paga: meglio avere ogni sera un film o una

serata di produzione, ma non sempre questo è possibile. Quando il palinsesto stagionale

configura una serata tutta cinematografica, si dà per scontato che nel breve termine la

selezione verrà compiuta coerentemente con la strategia integrata di diversificazione dei

target e dell’identità di rete. A ciascuna rete, infatti, sono state assegnate specifiche

“affinità elettive” verso particolari tipologie cinematografiche: ad esempio, i film

italiani, nuovi e di prima visione sono di Canale 5, mentre i grandi film di Hollywood

sono di Retequattro. Una serata Mediaset programmata con tre film è quindi non meno

diversificata di una serata con tre differenti proposte di genere: si presuppone infatti che

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più che scegliere il genere, il film o la produzione, il pubblico sceglie il tipo di

spettacolo.

Inoltre, bisogna notare che il film costituisce lo strumento più adatto a consentire le

“mosse situate” dell’ultimo momento (sempre che si disponga di un magazzino ben

fornito). Non è un caso che in alcune serate instabili della RAI la griglia di Canale 5

abbia previsto un film, in modo che fosse possibile al momento opportuno selezionarne

il tipo. Per mitigare il peso delle controindicazioni al film sono stati messi in opera

specifici dispositivi di composizione del palinsesto: l’inserimento dei film in un ciclo

che favorisce un effetto di serializzazione e quindi di maggior riconoscibilità e di

induzione di attese ed abitudini al consumo; l’abbinamento del film a un programma di

informazione e dibattito, che attualizza il film, inscrivendolo all’interno del “discorso

televisivo” dell’emittente.

Per quanto riguarda invece la programmazione di tarda serata (quella che va dalle 23

alle 2 di notte), la tendenza a modularla come striscia orizzontale fa sì che nel palinsesto

stagionale questa zona della griglia sia in gran parte esattamente definita per titoli: è

questa la scelta ormai stabilizzata per Canale 5 con il Maurizio Costanzo Show, la cui

permanenza in palinsesto osserva lo stesso lunghissimo modulo del day time. La

programmazione di tale fascia ha acquisito rilievo nella costruzione dei palinsesti e

nell’interesse del mercato pubblicitario. Se cala la quota di pubblico potenzialmente

raggiungibile, può infatti agevolmente aumentare lo share, in virtù di una

programmazione che con la sua cadenza quotidiana e con la qualità delle formule

adottate favorisce l’effetto-appuntamento e un ascolto più motivato e stabile di quello

tipico del prime time.

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Aggiustamenti tattici: dal palinsesto mensile alla scaletta settimanale

Con il palinsesto stagionale le linee strategiche della programmazione sono già state

impostate. Le successive redazioni della griglia riguardano le mosse tattiche, attuate con

i programmi che sono già acquisiti.

La fase di aggiustamento ha i suoi punti fermi nella composizione del palinsesto e nella

messa a punto della scaletta settimanale. Il primo è finalizzato a fornire ai settimanali

informazioni sulla programmazione di un mese; la seconda, chiusa dai quindici ai venti

giorni prima dell’emissione, è da considerare in linea generale rigida, definitiva ed

operativa.

Con la scaletta settimanale il processo di focalizzazione del palinsesto giunge al suo

ultimo stadio formale. Il pacchetto di programmi che nelle fasi precedenti si è deciso di

attribuire a un determinato periodo viene gradualmente smistato, in modo da far fronte

alla concorrenza; nel caso della RAI, le variazioni apportate dall’ultima redazione

rispetto alle precedenti sono determinate dall’irruzione dell’attualità nel palinsesto e

solo in secondo luogo da motivi di controprogrammazione.; per Mediaset, invece, i

margini di flessibilità consentiti alla scaletta settimanale hanno come uniche variabili

l’offerta delle reti pubbliche e l’andamento degli ascolti.

Con la chiusura della settimana si decide tatticamente con prodotti che sono già

acquisiti: si decide cosa si vuole ottenere, si considera ciò che fa la concorrenza e si

stabilisce se si vuole vincere o perdere (Direttore programmi).

E’ chiaro che per i programmatori voler perdere significa soltanto perdere con il minor

danno possibile, evitando lo spreco di programmi in una situazione che si delinea già

vinta dalla concorrenza. Questo accade quando la RAI trasmette i classici programmi-

evento, come il Festival di Sanremo, ai quali sarebbe suicida contrapporre i film più

costosi, ma anche la trasmissione di partite di calcio particolarmente importanti. Quando

si verifica quest’ultimo caso, di cui talvolta si ha notizia dopo la chiusura della scaletta

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settimanale, non si esita ad operare una sostituzione in tono minore, magari informando

soltanto all’ultimo minuto il pubblico.

La scaletta settimanale si imposta comunque per vincere; la sua definizione consente

nell’attribuire i titoli mancanti alle collocazioni non ripetitive del prime time: ai film,

alle produzioni di fiction drammatica e agli specials; I programmi seriali (quelli che

compongono le strisce orizzontali e quelli del prime time a cadenza settimanale, dal quiz

al varietà, dai serial sino alle rubriche), per la loro stabilità di permanenza nel palinsesto

sono già stati precedentemente definiti e non subiscono variazioni.

Anche qualora si verificassero per i programmi di questa classe ascolti inferiori alle

previsioni, la decisione di sospenderli è subordinata a diversi fattori: relativamente ai

programmi del day time e ai meccanismi di vendita degli spazi pubblicitari.

Relativamente ai programmi del prime time, invece, più forte appare la

controindicazione di ordine produttivo-programmativo. Poiché l’emittente commerciale

si è dotata di un forte apparato di produzione di instant-programs, il vuoto provocato da

un programma seriale potrebbe essere colmato velocemente soltanto con film adeguati

al prime time, particolarmente costosi e di non illimitata disponibilità, oltre che non

proponibili per ulteriori collocazioni serali stabili senza modificare l’immagine di rete.

La decisione di sospendere un programma previsto per una lunga permanenza in

palinsesto è confinata a casi eccezionali, per i quali si prendono decisioni immediate,

non pianificabili nelle redazioni di palinsesto. Le forze di manovra del palinsesto

settimanale sono i film: essi consentono aggiustamenti tattici, sia in base alla

programmazione della concorrenza, sia in base alla valutazione dei trend d’ascolto del

periodo che precede la settimana di cui si sta compilando al scaletta.

L’ipotesi di modificare una collocazione, sostituendo ad esempio un programma seriale

del prime time con un film non è mai presa in considerazione per una settimana

specifica; tuttalpiù, se si comprende che un certo programma seriale potrebbe

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conseguire risultati migliori con un’altra collocazione, si rende stabile la modifica, una

volta attuata.

La scrittura del palinsesto risulta caratterizzata dalla continua ricerca di un equilibrio,

fra la tendenza alla stabilità delle collocazioni e la previsione della flessibilità da

esercitare in modo situato.

Se i modi in cui si esplica la flessibilità consentita dalla scaletta settimanale, mediante la

selezione dei film, trovano nella concorrenza il termine di confronto, sono tuttavia

condizionati a l’immagine di ciascuna rete, in quanto i prodotti devono esser giudicati

congrui al target prefissato. Per enfatizzare l’appropriatezza del film al target della rete,

lo strumento della self-promotion è essenziale. Alla chiusura della scaletta settimanale

corrisponde l’apertura della produzione della campagna promozionale sulla singola

settimana. Quando anche i promo sono pronti, circa una settimana prima della messa in

onda, una struttura tecnica si incarica della preregistrazione dell’intera programmazione,

impaginata a cura dell’ufficio addetto al palinsesto, per inviarla alle emittenti che la

diffonderanno su tutto il territorio.

Le ultime mosse

Talora le mosse della concorrenza sono tali da indurre i programmatori di Mediaset a

valutare l’opportunità di modificare le decisioni prese, allo scopo di attuare una

controprogrammazione ad hoc, anche se rimane necessario tener conto dei vincoli che

legano al mercato pubblicitario.

Soltanto se gli accordi presi con gli inserzionisti lo consentono e se si ritiene di disporre

di prodotti “giusti” in magazzino, allora bisogna decidere che vale la pena di superare

anche la controindicazione tecnica costituita dall’aver già piazzato i programmi e dal

non poter più fare in tempo ad arrivare sui settimanali.

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Sino a 10 giorni prima della messa in onda si può confidare nella possibilità di produrre

una campagna promozionale, la cui crucialità è enfatizzata dall’essere rimasta lo

strumento più potente per informare il pubblico.

Anche nella controprogrammazione dell’ultimo momento, il criterio della specificità

dell’immagine di ciascuna rete continua ad essere operante. Ciò significa che le

modificazioni possono cercare di alzare il tono di una serata o magari mutare i rapporti

di calibratura fra le reti, ma non di tradirne la vocazione che per ciascuna di esse è stata

costruita nel tempo.

Per un cambio di titoli attuato in tempi ancora più stretti, resta invece solo

l’informazione sui quotidiani, attuata acquistando ulteriori spazi, ma per giungere a

quest’ultima risoluzione, la situazione deve avere caratteri di particolare gravità per le

sorti dei networks.

La self-promotion

Alla promozione si attribuisce il compito di esplicitare l’appropriatezza dei programmi

alla linea editoriale di ciascuna rete e di orientare il pubblico nei casi di variazione

dell’ultimo momento.

I promoters delle tre reti dipendono dalla Direzione del palinsesto e da questa ricevono

gli input necessari alla realizzazione dei promo. Già in occasione dei palinsesti

stagionali, i promoters vengono convocati dalla Direzione del palinsesto allo scopo di

essere istruiti sulle linee di politica di programmazione e sulle strategie editoriali decise

per ciascuna rete. In questa sede si impartiscono anche le direttive generali sulla

filosofia della self-promotion e sui criteri operativi cui attenersi nella scelta delle

immagini e del tono dei promo, in connessione con le politiche di immagine aziendale.

A ogni inizio di stagione, ai promoters di ciascuna rete viene di solito assegnata la

responsabilità della campagna trimestrale relativa a un programma seriale o a un ciclo di

film. Inoltre, in coincidenza della chiusura della scaletta settimanale, al promoter

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prescelto sono forniti gli elementi di conoscenza sul prodotto da promuovere e sugli

obiettivi dei programmatori, perché sappia che il programma che promuove è

programmato contro un altro programma della concorrenza, che ha determinati

obiettivi, che bisogna raggiungere un determinato pubblico, che magari non è

immediatamente di quel programma, ma che con un certo taglio del promo lo si può

raggiungere (Responsabile palinsesto).

Per ciascun film, ad esempio, viene fornita al promoter una scheda informativa che,

oltre ai dati relativi alla trama o al regista, specifica: il giorno e l’ora di emissione; gli

obiettivi di audience e target che si intendono conseguire; il numero e la tipologia di

versioni di promo da produrre e l’identità di un eventuale sponsor del programma.

L’insieme di tali notizie orienta la selezione delle scene del film, in modo strumentale

agli obiettivi della programmazione. In particolare va notata la prassi della

“targettizzazione” del promo, nelle due diverse valenze in cui è usata: può trattarsi

infatti del tentativo di “riscrittura”, o costruzione di un nuovo frame per un film che è

almeno al secondo passaggio. Si cerca quindi di cambiargli i connotati, per poterlo

presentare come congruente alla linea editoriale e quindi al pubblico elettivo della rete

emittente. Oppure, può trattarsi del tentativo di convogliare su un film pubblici diversi:

il promoter dovrà produrre versioni diversificate di promo, corrispondenti ai vari target

da raggiungere. Per lo stesso film è possibile selezionare le scene o ricorrere agli effetti

speciali, per poi trasmettere ciascuna versione nell’orario e nel contesto di rete in cui più

facile è trovare il target corrispondente.

Le modalità di programmazione dei promo si incaricano quindi di potenziare

l’impostazione sinergica dei palinsesti Mediaset. Pur in assenza di precisi riscontri circa

l’influenza della promozione sul consumo televisivo, i programmatori le attribuiscono

enorme importanza: quando si vede, ad esempio, che nei suoi primi 10 minuti un brutto

programma ha un ascolto molto più alto di come poi prosegue, allora vuol dire che la

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gente era incuriosita dalla campagna di promozione e questo dà una misura dei

risultati dello sforzo compiuto (Responsabile palinsesto).

Interruzioni fuori programma

La sospensione di un programma destinato a occupare il palinsesto per un certo numero

di settimane è un evento che si verifica con un certo clamore, perché sospendere

bruscamente programmi previsti per più settimane è sì prova di flessibilità, ma anche di

ammissione lampante, davanti al mercato pubblicitario, alla stampa e al pubblico, di un

insuccesso, cioè di un guasto nei meccanismi previsionali. Esporsi a questa prova

negativa d’immagine viene considerata tuttavia un male minore rispetto al perseverare

in una programmazione sbagliata.

Una scelta di questo genere si giustifica dunque solo in circostanze estreme, ad esempio

in caso di drastico calo degli ascolti o di eccessiva trasgressione, poiché provocano

danni di immagine all’azienda.

Inoltre, a differenza della RAI, nonché dei network statunitensi, Mediaset ha una fiducia

incondizionata nel proprio intuito e relativa sfiducia in ricerche che possono invece

prevedere il gradimento di un programma, ma non lo share che potrà raggiungere.

La ricerca

I programmatori Mediaset, pur non nutrendo eccessiva fiducia nella ricerca qualitativa,

non si privano del tutto delle indicazioni che le indagini sul pubblico e sull’accoglienza

dei programmi possono fornire per la costruzione del palinsesto.

Esistono stretti rapporti tra i responsabili della programmazione ed il settore

commerciale, il cui Ufficio Ricerche ha funzionato, sino alla fine dell’88, quando è stata

istituita la struttura “marketing di palinsesto”, come Ufficio Studi al servizio delle reti.

Tramite l’Ufficio Ricerche, che invia quotidianamente ai settori addetti alla

programmazione i report sugli ascolti, i programmatori hanno la possibilità di leggere

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qualitativamente i dati quantitativi. Ciò significa conoscere capillarmente la

composizione dell’audience di un programma e verificare se corrisponde al target

prescelto dal mercato pubblicitario.

Un’altra modalità di lettura qualitativa dei dati quantitativi riguarda le curve di ascolto

di singoli programmi, che consentono di modificare la struttura dei programmi nei punti

che si rivelano più deboli.

I rari tentativi di indagine qualitativa con interviste e questionari sono stati invece

accolti con perplessità: viene infatti giudicata scarsamente indicativa una ricerca che

prevede il gradimento di un determinato programma, in quanto non può fornire

indicazioni sul comportamento effettivo del pubblico, che al momento del consumo sarà

chiamato a scegliere tra quel programma e quelli proposti dalla concorrenza.

L’istituzione di un Ufficio di Marketing del Palinsesto formalizza la funzione

precedentemente svolta dal Marketing di Publitalia e garantisce una maggiore aderenza

alle esigenze della programmazione televisiva. La domanda di conoscenza del

Palinsesto riguarda la possibilità di individuare con la maggior precisione possibile la

composizione dei target di specifici programmi, ma raramente i dati aggiungono

qualcosa in più rispetto a quello che l’esperienza ha già insegnato (Direttore

programmi).

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CAPITOLO QUARTO

IL MARKETING, LE STRATEGIE E LE RICERCHE

1. Introduzione: il patto comunicativo fra la Tv e gli spettatori

La televisione cerca di incontrare il suo pubblico in diversi modi. Si è detto “incontrare”

e non “accondiscendere” o “accontentare”, in quanto ciò che è in gioco non è la mera

adeguazione ai gusti del telespettatore, ma la capacità di definire un terreno su cui

l’azione dell’emittente possa incrociare quella del ricevente, l’offerta di programmi

possa commisurarsi con una domanda e una proposta possa confrontarsi con un’attesa.

In altre parole, ciò che è in gioco è la possibilità di costruire un punto di convergenza

(Casetti F., 1988).

Per sottolineare la peculiarità di un simile punto d’incontro, si è convenuto di designarlo

con il nome di patto comunicativo: si tratta di quell’accordo di fondo grazie a cui

emittente e recettore riconoscono di comunicare e di farlo per delle ragioni

fondamentalmente condivise.

Questo patto va inquadrato nell’ambito televisivo, nella capacità della Tv di trasmettere

dei contenuti e di costruire dei rapporti sociali. Di fronte al video il telespettatore è

sollecitato a riconoscere i personaggi, ma ancor di più, è spinto a comprendere le

intenzioni che animano i programmi che li caratterizzano e le finalità che li sostengono.

In secondo luogo questo patto, riferito alla televisione, sembra assomigliare ad un

dikatat e cioè ad un disegno imposto da una delle due parti a scapito dell’altra. Tuttavia

dentro e fuori i programmi la presenza del pubblico non manca: il feed back è continuo

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e soprattutto è evidente la preoccupazione dell’emittente di tener conto dei desideri del

recettore.

In terzo luogo questo patto costituisce un rapporto puramente simulato che viene

costantemente riproposto sullo schermo, ad esempio tra il conduttore ed il pubblico in

studio o tra il presentatore ed il suo ospite.

In quarto luogo questo patto non va pensato come qualcosa di definito: in televisione

c’è sempre lo spazio per un riaggiustamento o per una ristrutturazione; del resto un

accordo è sempre il frutto di una più o meno lunga negoziazione.

In conclusione, tutti i rituali comunicativi, anziché perdite di tempo, si rivelano in

televisione delle mosse cruciali, delle strategie e delle importantissime tattiche, messe in

atto dal marketing e dalla comunicazione, per costruire, mantenere ed incanalare il

rapporto fondamentale con il pubblico.

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2. Le tendenze emergenti nella Neotelevisione

La nascita della neotelevisione ha evidenziato alcuni snodi essenziali, in particolare per

quanto riguarda l’audience. Essa, da entità direttamente raggiungibile è diventata

terreno di conquista: il pubblico va infatti guadagnato, cercato, sedotto e preso. Poco

importa che gli spettatori vengano catturati per poi essere venduti ai pubblicitari. La

necessità di un incontro passa in primo piano, in quanto diviene essenziale costruire un

buon rapporto fra lo spettatore e un programma o una rete (Casetti F., 1988).

Inoltre, il pubblico non è più definibile univocamente: anche a causa

dell’intensificazione dell’offerta, i suoi atteggiamenti e i suoi comportamenti si spostano

con rapidità; così come le categorie di appartenenza non costituiscono più un

riferimento sicuro. Se il video rischia di non sapere più bene per chi è acceso, lo

spettatore rischia di non saper più bene che cosa si vuole da lui. Ciò vale soprattutto là

dove al bisogno di una massimizzazione dell’ascolto, si aggiunge il bisogno di una

specializzazione: il profilo dello spettatore cui ci si rivolge è sempre qualcosa di

affermato ed insieme sfuggente. La perdita dei parametri fissi si rispecchia

nell’affermarsi di un palinsesto composito, strutturato sui “contenitori”: ciò che trionfa è

quindi il “flusso”, in cui viene dato di tutto un po’, tanto per non sbagliare.

Parallelamente il bisogno di registrare continuamente il rapporto tra il video e spettatore

si rispecchia nell’affermazione di figure come quelle del conduttore: vero e proprio

padrone del “flusso”, egli ha la funzione di precisare ciò che sta passando e a chi è

espressamente dedicato.

Inoltre la Neotelevisione mobilita anche altri fatti: ad esempio sostituisce alla ricerca di

un consenso la ricerca di una disponibilità al consumo o all’equilibrio dell’offerta delle

accelerazioni e degli ingorghi.

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Un’altra particolarità della Neotelevisione riguarda i procedimenti di autopromozione

messi in opera dai diversi broadcaster per garantirsi, nell’attuale regime concorrenziale,

la massima quantità possibile di audience. Il sintomo più evidente di tale realtà è il

moltiplicarsi all’interno del “flusso” di occasioni di richiamo e accaparramento dello

spettatore: dai promo di ogni forma e dimensione ai richiami delle voci off in coda ai

programmi, dai prossimamente alle citazioni da una trasmissione all’altra, la televisione

non risparmia mezzi per mettere in atto un elogio a se stessa. Proprio la massiccia

presenza di tali fenomeni autopromozionali finisce d’altra parte per condizionare il

rapporto tra la televisione e il suo pubblico, caratterizzandolo come un rapporto di

persuasione e seduzione.

Anche le vendite in diretta e i programmi promozionali si prestano ad esibire con

chiarezza quei meccanismi di richiamo sempre un po’ chiassoso e di coinvolgimento

sempre un po’ forzato che sottostanno ai programmi di autopromozione messi in atto

dalle reti principali. Vi si vendono creme, caminetti, pentole o pellicce, e non

programmi a venire: ma i meccanismi sono gli stessi; se l’alibi della vecchia televisione

era la cultura, il rimosso della neotelevisione è il commercio.

La messa a fuoco del funzionamento della Neotelevisione ha consentito di avanzare

alcune osservazioni. La prima riguarda l’ipotesi di una televisione come semplice

fornitrice di beni. Un servizio pubblico dovrebbe concentrarsi sulla diffusione di

informazioni e consentire alle varie voci del sociale di farsi sentire: se ciò significa il

ritorno ad un’idea di televisione come “canale neutro” e come “megafono”, la strada

sembra preclusa. La televisione non trasmette più: costruisce o tenta di costruire delle

interazioni. Il servizio consiste nel far sì che il pubblico si senta interlocutore, nel

coinvolgerlo in quanto viene trasmesso e nell’immetterlo in una situazione di

convivialità. Il video comporta un lavoro di aggregazione sociale che si pone in linea

con le attuali tendenze della comunicazione (si pensi alla figura del P.R., il cui compito

è di far sentire il cliente non un target, ma un interlocutore).

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La seconda osservazione riguarda la già menzionata figura del conduttore, il quale

costituisce l’incarnazione dei meccanismi della mediazione. Il conduttore rappresenta il

broadcaster: in qualche caso coincide con la filosofia o con l’etichetta di chi emette.

Egli è anche il rappresentante delle ragioni del pubblico: non solo perché non raccoglie

direttamente le richieste, ma anche perché si fa garante che queste vengano esaudite. Le

principali tendenze che si riscontrano nella figura del conduttore sono due: egli può

infatti assumere la “maschera neutra” in cui ciascuno può vedersi (Pippo Baudo, Mike

Bongiorno, che corredano la loro capacità di essere “opachi” con la capacità di

assumersi una regia rispetto alle presenze altrui) o divenire “macchietta” cui ci si affida

proprio perché non ci si identifica con essa (Funari, Wanna Marchi e tutti i personaggi

cardine delle televisioni minori, che hanno solo la possibilità di esagerare). Qualcuno

suggerisce un ridimensionamento della figura del conduttore; in realtà, il suggerimento

è molto spesso finalizzato alla sostituzione delle “maschere neutre” con le “macchiette”,

che certamente animano il panorama, ma che chiamate a ruoli comunicativi sono poi

costrette a ridursi a loro volta a guest-star.

Il terzo spunto riguarda i destini del “programma contenitore”. La formula non fa altro

che tradurre un dato di fatto, e cioè la trasformazione della programmazione televisiva

in una sorta di flusso generalizzato, in cui il passaggio da un segmento all’altro è poco

marcato (le voci che sulla coda di un film annunciano l’arrivo di un altro programma o il

giornalista del Tg che prima di chiudere ricorda come continuerà la serata). In questo

senso oggi il “programma contenitore” come genere specifico può scomparire perché

tutta la programmazione televisiva è ormai un gigantesco contenitore. Bisogna anche

sottolineare che il contenitore ha conosciuto due forme distinte: o l’accostamento di

brani disparati, uniti solo dalla presenza di un conduttore o la messa in atto di un quadro

di interazione permanente che si impone sui diversi contenuti via via messi in gioco (il

“salotto televisivo” realizza questa formula). Oggi è la prima idea di contenitore, più

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meccanica, ad essere in crisi, mentre la seconda, proprio perché valorizza l’interazione,

appare ancora forte.

La quarta osservazione investe il problema dell’attuale concorrenza fra la RAI e

Mediaset. Ad esempio la RAI valorizza sempre di più la sua presenza come elemento

costante nel panorama nazionale: essa si qualifica rispetto ai telespettatori come “amica

da sempre”, mentre il network privato valorizza sempre più la sua capacità di soddisfare

ogni esigenza del momento, o la sua capacità di coprire ogni istante della giornata: esso

si presenta come “amico di sempre”. Inoltre, dal punto di vista della strategia

autopromozionale, la divaricazione appare più netta: l’emittente di Stato sembra

preferire figure forti di broadcaster-destinatore, che si pongono come punti di

orientamento e di riferimento delle strategie messe in atto. Di qui, nei promo, l’impiego

di testimonianze che vedono in scena rappresentanti dell’emittente, di racconti che

richiamano la natura di “azienda” della RAI, di attese non avventurose, ma per così dire

tranquille. Le reti private, al contrario, sembrano operare un indebolimento della figura

del broadcaster: protagonista della promozione diviene il flusso stesso, e l’unico merito

dell’emittente sembra quello di aprire un canale dei espressione a chi è capace di

manifestare da sé i propri meriti. Ne deriva, nei promo, l’impiego di racconti centrati

piuttosto sul consumo, di testimonianze affidate a voci di supposti spettatori; di attese

rilanciate in continuazione ed intrecciate caoticamente; così come ne deriva la

definizione delle figure in video quali esempi di “uomini di successo” piuttosto che

come “portaparola istituzionali”.

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3. Il marketing della comunicazione

Nel paragrafo primo di questo capitolo si è accennato al fatto che la televisione

stabilisce con i telespettatori una sorta di patto comunicativo, il quale si serve di mosse

e strategie per costruire un rapporto di fiducia con il pubblico. Di conseguenza, viene

spontaneo chiedersi come funziona il marketing quando si considerano prodotti che

hanno a che fare con la comunicazione.

La comunicazione va concepita come un processo che deve seguire determinate regole e

come prodotto comunicazionale: per essere “venduto” al suo pubblico ha bisogno di

pianificazione (Passerini W., Tomatis A., 1992).

E’ necessario appropriarsi di un modello che, pur essendo specifico per ogni tipo di

impresa, deve essere composto da alcuni elementi di base. “Quali sono dunque i fattori

più importanti da considerare per il nostro modello di base?”, si domanda David

Bernstein, uno dei maggiori esperti internazionali di comunicazione. “La

comunicazione è: Chi dice, Che cosa, a Chi, attraverso Quale Canale e con Quali Effetti.

E’ un’attività complessa, dinamica e continua, dove ci sono molti viaggi di andata e

ritorno”. E conclude: “Lo scambio di messaggi formali e informali è continuo, la

comunicazione è dinamica, essa cambia la conoscenza dei partecipanti ed influenza le

relazioni tra loro. Dunque, ogni modello di comunicazione completo deve tenere conto

dei seguenti elementi: pensieri e impressioni, personalità-identità-immagine, emittente-

codificatore-decodificatore-ricevente, messaggi formali ed informali e loro interazioni,

interferenze, feedback, aspetto dinamico ovvero scambi ripetuti di messaggi, relazione

tra i partecipanti”.

Per ridurre a pochi termini il processo di comunicazione intenzionale, si può evidenziare

che esso deve rispettare almeno tre fasi o operazioni. La prima operazione da compiere

è quella dell’analisi del soggetto che comunica: che strategia sta perseguendo? Quali

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sono i suoi bisogni? A che cosa deve servire la comunicazione? In una parola, la fase

uno coincide con la definizione degli obiettivi e la loro coerenza con l’ente emittente.

Come avviene nel marketing dei prodotti, il secondo passo da compiere è quello

dell’analisi dei differenti tipi di pubblico che si vogliono colpire. A chi intendo

rivolgere il mio messaggio? E’ un pubblico di specialisti con i quali posso usare un

certo gergo o è un vasto pubblico? Con il mio messaggio ho lo scopo d’invogliare il

pubblico ad acquistare il mio prodotto o voglio far crescere la mia notorietà? Mentre

parlo ad un pubblico posso urtare la suscettibilità di un altro? Sto “confezionando” un

messaggio troppo generico, con il rischio di colpire nessun tipo di pubblico? Quali sono

esattamente i miei pubblici? Tutti questi sono problemi vanno affrontati anche in ambito

di definizione delle strategie televisive.

Definiti gli obiettivi, la strategia e i tipi di pubblico giudicati interessanti, la terza fase

consiste nell’adottare un comportamento manageriale anche nel processo di

comunicazione. “La realizzazione di attività di comunicazione deve sottoporsi alla

stessa metodologia che si segue per ogni attività svolta nell’organizzazione: prevedere,

decidere, organizzare, dirigere, coordinare e controllare. Si tratta come è noto di un

ciclo di attività in cui il controllo ha lo scopo di fornire gli elementi per correggere gli

errori di previsione e di attuazione e consentire lo sviluppo di un nuovo ciclo sempre più

realistico ed efficace. Anche per le attività di comunicazione occorrerà, quindi, fissare

obiettivi realistici, determinare le risorse da impiegare, definire un periodo di tempo

adeguato per raggiungere gli obiettivi stessi e controllare, poi, se e in che misura sono

stati raggiunti, in modo da poter dare inizio successivamente a un nuovo ciclo, in cui

sempre più efficacemente ci si avvicinerà agli obiettivi stabiliti”.

Ovviamente, a differenza forse di altri processi aziendali, nell’ambito della

comunicazione gli elementi emozionali, non razionali e lo stile acquistano una notevole

importanza. Ciononostante il programma va costruito seguendo le regole di

pianificazione e controllo delle altre attività di gestione dell’impresa. Il mercato va

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attentamente segmentato e i prodotti comunicazionali, dunque i programmi televisivi,

vanno veicolati così come vengono distribuiti gli altri normali prodotti. Il programma

avrà maggiori possibilità di successo se guidato da alta intenzionalità e da una rigorosa

analisi dei punti di forza e debolezza, ma avrà un’ancora più elevata probabilità di

centrare i suoi obiettivi se sarà preceduto e accompagnato costantemente da strumenti e

tecniche di ascolto.

Infine, la comunicazione deve rispondere a una visione integrata, coerente ed olistica: vi

deve essere coerenza tra la comunicazione che si rivolge all’interno e quella che si

rivolge all’esterno; vi deve essere coerenza tra gli strumenti adottati e i tipi di pubblico a

cui si intende rivolgersi; infine vi deve essere anche coerenza tra la comunicazione

intenzionale e le “fughe di informazioni” non intenzionali o emozionali che

scaturiscono.

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4. Televisione e “marketing dell’esperienza”

La ragione più importante per cui consumiamo è che, attraverso il consumo, cerchiamo

di soddisfare un intenso bisogno di migliorare le nostre vite. Del resto, perché scatti la

decisione di acquistare un bene o un servizio, bisogna che il consumatore, prima di

tutto, immagini come sarà la propria vita dopo che si sarà procurato il prodotto, ne

preveda un miglioramento netto (ricavando da questa fantasia autostima e

gratificazione) e arrivi, in questo modo a desiderarlo.

Quando un’azienda assicura a una determinata marca un’“esperienza” molto

emozionante e, proprio per questa ragione, anche “memorabile” per il consumatore,

facilita questa sua “proiezione in avanti”, ovvero il processo di simulazione mentale

attraverso cui il consumatore vede se stesso e la propria vita “trasfigurati” dalla

fruizione del bene o del servizio in questione.

Pertanto, ogni volta che si parla di “marketing dell’esperienza” si intende fare

riferimento all’insieme degli strumenti, delle decisioni e delle azioni attraverso cui le

aziende, intenzionalmente e con risorse proprie, mettono in scena le proprie marche,

offrendo emozioni intense, perciò memorabili, ai consumatori. Naturalmente, nella

definizione l’elemento più importante è il concetto di “messa in scena”, dal momento

che il “marketing dell’esperienza” coniuga la proposizione e la vendita di un

determinato prodotto con l’entertainment.

E’ anche possibile costruire “esperienze” attraverso il recupero delle memorie

generazionali e la loro attualizzazione, condotta in relazione alla particolare sensibilità

delle varie generazioni; ciò dovrebbero non solo ridurre il rischio di operazioni banali e

“saturanti”, perché lontane dalla sensibilità dei consumatori, ma anche far giungere il

marketing e la comunicazione d’impresa ad una rifondazione del loro rapporto con il

consumatore, nel segno di una maggiore consapevolezza delle marche rispetto alle

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emozioni da cui i consumatori sono mossi, e nella direzione di un più profondo rispetto

da parte delle marche per il disagio esistenziale che muove gli individui alla ricerca di

nuove esperienze; tale rispetto dovrebbe manifestarsi attraverso l’offerta di “esperienze”

che aiutino gli individui ad accettarsi con tutti i loro limiti.

La televisione costituisce indubbiamente un’esperienza per i telespettatori; certo:

un’esperienza debole, perché “mediata”, ma pur sempre “reale”. Talmente reale e

concreta da generare emozioni intense in chi la guarda e da fissarsi sia nei ricordi degli

individui sia nella memoria collettiva, divenendo così parte integrante della cultura e

dell’identità nazionali (Aroldi P., Colombo F., 2003).

Eppure, nonostante la natura “esperienziale” della televisione, è innegabile che, nelle

iniziative che “il marketing dell’esperienza”, specie in Italia, ha sinora rivolto ai

consumatori, la Tv sia stata molto spesso compresa nel mix degli strumenti e dei canali

di comunicazione impiegati, ma quasi mai centrale. In parte, però, questa situazione è

anche l’inevitabile conseguenza dell’abbandono, da parte della Tv, di quella funzione

“socializzatrice” che, fin dagli anni Cinquanta, essa ha sempre svolto nel nostro Paese.

Infatti, in Italia, la televisione ha innanzitutto insegnato ai cittadini ad apprezzare la

modernità e, per quanto possibile a gestirla. Tra gli anni Sessanta e Settanta, prima

Carosello e, in un secondo momento, le Tv commerciali hanno rappresentato per gli

Italiani “il manuale di istruzioni” grazie alle cui indicazioni essi hanno potuto sposare la

modernità, rappresentata da prodotti di marca, dai nuovi sistemi di produzione e

distribuzione di beni e servizi, dalle nuove tecnologie e da stili di vita svincolati da quel

mondo contadino che stava rapidamente scomparendo sotto i colpi

dell’industrializzazione. Ma in quel “manuale”, gli Italiani, oltre a modelli di vita e

consumi nuovi e accattivanti, hanno anche trovato le istruzioni per vivere il mutamento

sociale senza perdere tradizioni e cultura, dunque senza sradicarsi e smarrire la propria

identità. A questo progetto, come già ribadito, hanno risposto tanto la RAI di Barnabei e

Carosello, tra gli anni Sessanta e Settanta, quanto i network privati dei primi anni

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Ottanta, con quella loro peculiare mistura di “America” e “nostranità” (tra Dallas e

Mondaini-Vianello).

Anche nel passaggio tra anni Ottanta e Novanta, la televisione ha mantenuto un ruolo di

primo piano nel processo di socializzazione del Paese, da una parte dando un contributo

all’opera di “disvelamento” di tutti i possibili retroscena (dalla politica all’economia),

dall’altra offrendo ai cittadini tutta l’informazione necessaria a comprendere i

mutamenti politici ed istituzionali in atto (ad esempio la nuova legge elettorale e il

bipolarismo).

Negli ultimi 5-7 anni, però, la televisione si è come arenata, attardandosi in una

funzione di “denuncia” che, sempre più spesso, assume il profilo della battaglia contro i

piccoli truffatori, i politici profittatori e i vip presenzialisti. Il tutto senza più un progetto

socio-culturale definito ed unitario, e senza quasi accorgersi di quanto bisogno ci

sarebbe, in un’epoca povera di grandi ideali, di qualcuno disposto a esporsi e a

consigliare.

Lo sconquasso emotivo generato, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo

millennio, dalla rapida crescita e dall’ancor più rapida implosione della New Economy,

così come lo shock prodotto dall’11 settembre, hanno fatto sì che intravedessimo tutti,

in maniera chiara e distinta, i nostri limiti: la nostra goffaggine di “aspiranti milionari

mancanti”, la nostra angoscia davanti alla prospettiva di una vita senza stupori né svolte

possibili e la nostra fragilità di “bersagli inconsapevoli” dell’odio religioso e di classe.

Ma è appunto nel limite che cerchiamo l’Altro, ovvero chi ci possa aiutare a superarlo.

E pur di fronte ad un bisogno così drammatico, la Tv continua a raccontarci che “siamo

a sette domande dall’esser miliardari e che siamo sempre ad un passo dal biglietto

vincente”.

Oggi ci troviamo di fronte al paradosso di una televisione produttrice d’immaginario e

fonte d’identità collettiva, meno rapida ed efficace delle imprese nel cogliere il bisogno

di rassicurazione e di “senso” che emerge dalla società. Mentre le aziende, entro breve,

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incominceranno a porsi il problema di come rendere meno “volatili” per i consumatori

le esperienze associate ai propri marchi, la Tv, arroccata nella difesa di una non meglio

precisata “leggerezza”, rischia di perdere la propria centralità sociale e culturale,

divenendo così una semplice commodity, cioè un servizio anonimo e scontato. E questo

proprio mentre i telespettatori, sempre più esperti del mezzo e consapevoli delle proprie

esigenze, incominciano seriamente a distinguere, nel rapportarsi ai singoli programmi,

tra quelli in grado di valorizzare il proprio tempo libero e quelli che rischiano invece di

immiserirlo (Abis M., Bossi V., Carullo A., 1999).

Si respira, nella società, un bisogno talmente forte di autenticità e spessore umano che

ogni insistenza della Tv sugli stili e linguaggi superficiali e stereotipati ha un che di

insopportabilmente retrogrado. E questo appare tanto più evidente quando si fa

riferimento al tipo di esperienze che la Tv, in mercati più moderni e competitivi del

nostro, regala ai consumatori. Non sono rari, infatti, specialmente negli Stati Uniti, gli

esempi di fiction o di reality-show di successo che hanno generato in rete veri e propri

“portali” dove si con-fondono realtà e finzione, le storie del pubblico e le vicende dei

personaggi della Tv, l’intrattenimento, l’utilità sociale e la charity. E tutti questi “casi

pionieri” prefigurano una televisione “calda”, che non abbandona mai il proprio

pubblico, ma che gli consente, in qualunque momento, di entrare nel proprio mondo,

sospeso fra realtà e fantasia, e di “navigarlo”: non per separarsi dalla vita reale, ma al

contrario, per “rileggerla” da nuovi punti di vista e trovare i giusti consigli e gli stimoli

più efficaci per cambiarla in meglio.

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5. Il marketing in Mediaset: il Marketing Palinsesto

Per quanto riguarda l’Ufficio Marketing di Mediaset, bisogna sottolineare che si tratta in

realtà dell’Ufficio Marketing e Merchandising, il quale, nello specifico, è strutturato in

diversi ambiti: c’è l’Area Prodotto, che si occupa della ricerca qualitativa sul prodotto e

delle ricerche di mercato; c’è l’Area Palinsesto e Coordinamento, che si occupa di

coordinare i prodotti televisivi a livello di programmazione e di fare in modo, quindi,

che in una determinata serata un programma di una rete sia collocato in modo tale da

non sovrapporsi e da non cannibalizzare un’altra rete. (Tale area si occupa anche di

assegnare alle reti i diversi film che vengono acquistati dalla Trasmissione Diritti);

infine c’è il Marketing Palinsesto, che si preoccupa di monitorare giorno per giorno ciò

che avviene nei palinsesti Mediaset e in quelli RAI, sia nella fascia del day time che del

prime time. Tale Ufficio è inoltre incaricato di supportare le reti quando si deve decidere

dove collocare un prodotto e quindi, si occupa di analisi a livello di contesto

competitivo, di totale ascolto e di analisi a livello di posizionamento dei vari prodotti,

sia in fase terminale che in fase previsionale degli ascolti, in quanto ad ogni stagione

viene richiesto da Publitalia di stimare quanto potrà fare il palinsesto ciascuna rete.

Vengono dunque effettuate diverse stime, le quali devono essere sottoposte alle varie

reti e, in base anche alle indicazioni di quest’ultime, viene stabilito quale potrebbe

essere l’obiettivo più opportuno per ciascuna di esse.

L’Ufficio Marketing Palinsesto si occupa anche di tenere sotto controllo tutto ciò che

riguarda la programmazione; si interviene infatti su qualsiasi cosa riguardi il prodotto,

non solo per decidere dove esso debba essere collocato, ma anche per valutare il suo

corso; si valuta inoltre l’andamento dei prodotti RAI e quanto essi possano dare

“fastidio”; entrando nello specifico di un prodotto si può determinare, analizzando

particolari curve, se i break sono posizionati più o meno bene e se può essere più o

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meno opportuno spostare il programma “avanti” o “indietro”, utilizzando tutta una serie

di software.

Le analisi vengono fatte non soltanto a livello macro, sulla base dell’audience e dello

share, cioè a livello di ascolto, ma anche nel dettaglio, andando a vedere che profilo ha

un determinato programma o una determinata fascia oraria, con tutta una serie di

strumenti.

Le stime vengono effettuate essenzialmente sulla base degli storici: se si deve valutare,

ad esempio, quanto potrà fare il Grande Fratello il prossimo anno, è necessario andare a

vedere tutti gli storici di tale programma; valutare la possibile collocazione, per

determinare se è la stessa dell’anno precedente o cambia; e valutare il conteso

competitivo, cioè cosa fanno le altre reti in quella stessa fascia oraria e se sono più o

meno forti rispetto agli anni passati. Se invece il prodotto non è conosciuto e non è mai

stato sperimentato, come per la prima edizione del Grande Fratello, ci si basa

soprattutto sui dati dei paesi stranieri, nello specifico su ciò che ha fatto il Grande

Hermano in Spagna: sul successo che ha avuto in quel paese e su quale era il profilo.

Per profilo si intende quali sono gli spettatori che guardano di più un determinato

programma, cioè il target più rappresentativo: se sono più uomini o più donne, se sono

più giovani, più anziani o più bambini, più persone del Nord o del Sud, più laureati o

non laureati.

Per tutte le valutazioni vengono utilizzati i dati forniti dall’Auditel, sulla base dei quali,

attraverso particolari software, si riesce a vedere, sia per ogni fascia oraria che per ogni

programma, qual è il pubblico che segue lo spettacolo. Ad esempio, si è stimato che

Grande Fratello aveva uno share del 30%, cioè il 30% degli spettatori davanti al

televisore seguiva la trasmissione; questo 30% era costituito da una certa quantità di

uomini e da una certa quantità di donne. Il profilo viene messo anche in evidenza da

particolari grafici ed istogrammi, i quali mostrano con il colore blu la maggior presenza

di uomini e con il colore rosso, invece, la maggior presenza di donne.

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Per quanto riguarda la strutturazione del palinsesto, si cerca sempre di bilanciare un

certo numero di programmi sicuri, già sperimentati, che ormai sono nella fase matura,

con programmi sperimentali che potrebbero in futuro divenire le trasmissioni di punta

del palinsesto. Ci sono periodi in cui il palinsesto è più occupato da programmi maturi,

ma anche periodi in cui il palinsesto è più coperto da programmi nuovi e sperimentali.

Non c’è esattamente una regola per quanto riguarda la collocazione stagionale dei nuovi

programmi: Grande Fratello, ad esempio, che aveva però già un marchio di successo

grazie all’esperienza degli altri Paesi, è stato collocato nella stagione autunnale, in

quanto evento, e quindi, come tale, poteva essere collocato solo in tale stagione; ci sono

invece dei programmi che vengono collocati durante la stagione estiva come numero

zero: ad esempio, qualche tempo fa Italia 1 trasmise Macchemù, un programma sulle

sigle televisive con Alessia Marcuzzi e Paola Barale; esso fu collocato come numero

zero verso fine primavera/inizio estate; dopo aver visto che era andato piuttosto bene,

sono state fatte altre quattro puntate, collocate però nella stagione autunnale. Molto

dipende dalla forza del programma: è ovvio che programmi vissuti come eventi o già

forti in partenza vengano collocati nella stagione autunnale. Queste considerazioni

riguardano però solo l’intrattenimento, in quanto la fiction è tutto un altro mondo.

La giornata tipo dell’Ufficio Marketing, costituito da circa una trentina di persone fra

marketing, merchandising e ricerca & sviluppo, inizia con la consultazione dei dati dei

palinsesti delle sette reti principali, suddivisi per fasce orarie. Essi vengono analizzati

grazie ai diversi indici: in primo luogo si analizza il prime time, cioè quanto hanno fatto

in tale fascia tutte le reti; dopodiché si guarda attentamente nel dettaglio tutto il

palinsesto di ciascuna rete.

Tra gli indicatori, quelli che vengono considerati di più per valutare la bontà di un

programma a colpo d’occhio sono lo share e l’ascolto medio; inoltre si possono fare

analisi più approfonditamente grazie ad ulteriori indici, come la penetrazione, anche se

in realtà vengono guardati di più la copertura e la permanenza, dove per copertura si

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intende gli individui che hanno visto per almeno un minuto un determinato programma

in televisione (essa è una sorta di indice di attrazione del programma); mentre per

permanenza si intende il tempo dedicato dagli individui alla visione del programma,

cioè per quanto tempo si è rimasti sintonizzati sulla trasmissione (è una sorta di indice

di tenuta: indica cioè per quanto tempo questo programma è riuscito a trattenere gli

spettatori); mentre la copertura è l’attrazione, la permanenza può essere considerata

quasi un indice di fedeltà al programma.

Con questa serie di indici si valuta dunque il successo del palinsesto; se salta all’occhio

qualcosa di particolare, ad esempio se l’Eredità facesse il 36% di share (invece del

solito 27%) mentre Passaparola, anziché fare il suo 23-24%, facesse il 17%, si

andrebbe ad indagare che cosa è accaduto nella data fascia oraria, quale pubblico si è

spostato e si analizzerebbe su quale pubblico in realtà si è perso: se sui giovani, se sugli

adulti, se sugli uomini o sulle donne. Tutto viene dunque sempre fatto sulla base dei dati

Auditel, in quanto tutto il lavoro del Marketing Palinsesto si fonda essenzialmente su

tali dati, mentre l’Area Prodotto svolge analisi più qualitative, basate su ricerche di

mercato e focus group, in modo da poter analizzare di più i contenuti dei programmi. Il

Coordinamento si occupa invece di distribuire quello che è il magazzino film, tv-movie e

serie televisiva e di allocare le risorse alle diverse reti, le quali sceglieranno poi, come e

quando programmare; il Coordinamento fa in modo che ci sia una gestione coordinata

di tutte le risorse, sia per quanto riguarda la programmazione che la distribuzione: ad

esempio il film Il gladiatore viene collocato per forza su Canale 5, che è la rete

ammiraglia di Mediaset, così come invece un film più particolare, raffinato, ma non da

grandi numeri viene collocato su Retequattro, che ha degli spazi appropriati per tali

generi la domenica sera o in seconda serata; ci sono infatti dei film che vanno solo su

Retequattro per Cinema Festival e che non andranno mai sulle altre reti; i film d’azione,

invece, vengono collocati su Italia 1, in quanto si tratta di prodotti che hanno un

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determinato target, ma anche potenzialità d’ascolto più contenute rispetto a quelle di

Canale 5.

Per quanto riguarda gli obiettivi a breve e a medio-lungo termine dell’attività di

marketing, è chiaro che l’attività mira a supportare le reti e le decisioni che vengono

prese dalla Presidenza, ma in realtà l’obiettivo fondamentale è facilitare la presa di

decisioni che riguardano la programmazione in generale; non c’è una vera e propria

distinzione fra obiettivi a breve e a lungo termine, in quanto il marketing in televisione è

molto diverso dal marketing che viene fatto in una normale azienda, poiché in Tv gli

obiettivi in astratto sono difficili da quantificare.

Per quanto riguarda il target delle tre reti, Canale 5 si rivolge ad un pubblico più

familiare ed adulto, Italia 1 ai giovani, mentre Retequattro, la rete più “anziana”, anche

se ora si sta “spostando”, alle donne. All’interno di queste macrodefinizioni, a seconda

della programmazione, ci può essere la serata in cui Canale 5 si rivolge ad un pubblico

più femminile, ad esempio il giovedì con il Bello delle Donne, escludendo i bambini,

per i quali Italia 1 si preoccupa di programmare un film adatto.

Queste decisioni vengono sempre prese tenendo conto anche della programmazione

della concorrenza; è infatti prassi tenere una riunione dove si decide la programmazione

delle reti da lì ai prossimi 15 giorni. E’ sempre possibile venire a conoscenza della

programmazione della concorrenza, in particolare di quella della RAI, attraverso lo

scambio di informazioni e soprattutto attraverso i giornali, come le guide televisive e, se

necessario, effettuare degli aggiustamenti sulla programmazione (Dott.ssa Marina Del

Bigio, Direzione Marketing Palinsesto, 2003).

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5.1. Il marketing dell’Area Prodotto

L’Area Prodotto si occupa di quelle che sono le produzioni all’interno del palinsesto.

Mentre l’Area del Palinsesto ha un ruolo importante nel determinare quale slot

temporale è migliore per un determinato tipo di programma, l’Area Prodotto effettua

valutazioni più profonde sulle singole trasmissioni. In particolare, si occupa dei prodotti

dell’intrattenimento, dell’informazione e dei personaggi delle tre reti. Tale Area si

occupa anche della fiction, però solo di quella in onda, in quanto ciò che riguarda la

fiction prima che vada in onda, cioè i concept test e i test pilota, viene realizzato da altre

strutture.

Le valutazioni effettuate da quest’Area riguardano essenzialmente ciò che è andato in

onda, anche se c’è una parte di lavoro che si occupa dei numeri zero dei programmi che

verranno trasmessi, mentre molto difficilmente ci si preoccupa dei concept test. Per

concept test si intende la descrizione del programma, cioè l’elaborazione dell’idea senza

che il prodotto venga diffuso. Risulta quindi molto difficile per l’Area Prodotto lavorare

solo sulla descrizione, in quanto cambia totalmente la percezione che si ha nel leggere la

descrizione di un programma da quella che si ha invece nel vederlo, poiché gli elementi

che possono entrare in campo sono infiniti. E’ quindi molto più utile lavorare su un

numero zero ed, infatti, anche la politica aziendale negli ultimi anni sta andando in

questa direzione.

Una volta avuta l’idea di un nuovo programma, viene stesa con gli autori quella che sarà

la trasmissione e si realizza quindi un numero zero, il quale verrà poi testato.

Solitamente, per i numeri zero la metodologia di ricerca che viene utilizzata più spesso è

quella degli MPM (minut per minut), che sostanzialmente prevede innanzitutto una fase

di scelta del pubblico, selezionato ovviamente in base a determinati criteri: se si tratta di

valutare un nuovo programma di Canale 5, che apparterrà ad una determinata fascia

oraria e che andrà a sostituire un'altra trasmissione, verranno prese persone che

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guardano la Tv in quella data fascia e che quindi vedono Canale 5 in quell’orario. Al

pubblico, che viene dunque selezionato ad hoc in base ad una serie di caratteristiche,

viene mostrato il numero zero e durante il visionamento può esprimere il suo giudizio

attraverso una specie di telecomando che gli consente di indicare il gradimento minuto

per minuto: con questo telecomando il pubblico può quindi segnalare se il programma

gli piace poco, abbastanza, molto o moltissimo; si tratta di una scala a quattro valori con

il “grado” indifferente nel mezzo. I giudizi espressi producono una curva minuto per

minuto che consente di vedere, conoscendo ovviamente il contenuto di ogni singolo

minuto, che cosa funziona e che cosa invece deve essere sistemato.

In questo caso non si tratta quindi di un programma che dopo essere stato realizzato

viene mandato in onda e valutato, ma di una cassetta, mai trasmessa, che viene mostrata

ad un pubblico appositamente selezionato, utilizzando quindi la metodologia dell’MPM.

Altre volte, invece, viene girato un numero zero che viene in seguito mandato in onda:

in questo caso è inutile utilizzare l’MPM, visto che la curva d’ascolto è già disponibile

grazie ai dati di ascolto, e si preferisce fare semplicemente una ricerca con il focus

group, prendendo quindi delle persone che hanno visto il programma e facendo un

lavoro di analisi e di riflessione con queste.

Per riassumere, il programma “pilota” può non andare in onda, richiedendo l’impiego

della metodologia dell’MPM al fine di essere valutato e testato, oppure andare in onda

ed in questo caso si utilizza, per la valutazione, il focus group.

Il focus group, quindi la ricerca qualitativa, viene usata normalmente per tutti i prodotti.

Solitamente, le ricerche qualitative vengono fatte su programmi che in onda non hanno

dei risultati in linea con le attese, in modo da capire che cosa non funziona e modificare

direttamente il prodotto (ovviamente questo può essere fatto solo quando sono previste

più puntate).

Le ricerche qualitative possono essere eseguite però anche su programmi che ottengono

dei buoni risultati: se, ad esempio, si realizza una ricerca di questo tipo su un

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programma che va in onda tutti i giorni, come Passaparola, i risultati possono essere

disponibili circa 20-30 giorni dopo l’avvio delle ricerche, dando la possibilità, in

collaborazione con la rete, i produttori e gli autori del programma, di intervenire e

modificare ciò che, in base ai dati ottenuti, è risultato non funzionare.

A volte, vengono quindi anche fatte ricerche con fini non direttamente operativi, in

quanto il programma funziona, semplicemente per capire quali sono i modelli di

successo; vengono perciò indagate trasmissioni con buoni risultati, per comprendere

quali sono i meccanismi che ne consentono il successo.

La maggior parte delle ricerche effettuate dall’Area Prodotto è di tipo qualitativo, ma

talvolta si effettuano anche ricerche quantitative, le quali possono consistere in

interviste telefoniche; normalmente, tali interviste vengono fatte su aspetti specifici di

un dato programma, in quanto in una ricerca telefonica è abbastanza difficile riuscire ad

andare in “profondità”, come accade invece nei focus group, e quindi capire quali sono i

motivi profondi che hanno portato alla visione o al rifiuto di un programma. La ricerca

telefonica, che consiste nel proporre una serie di domande mirate, viene quindi utilizzata

quando si hanno elementi molto particolari da indagare: ad esempio la presenza di un

personaggio all’interno di una trasmissione oppure il fatto che uno specifico programma

preveda una data rubrica, laddove si hanno però già delle ipotesi sulla possibile

sostituzione del personaggio o sulla modifica della trasmissione rispetto agli aspetti che

si pensa non funzionino.

Inoltre, esiste anche tutta un’area di lavoro d’analisi sui personaggi; gli strumenti che

vengono utilizzati a tal fine consistono essenzialmente nella ricerca che viene fatta da

Abacus, grazie alla quale vengono rilevati due volte l’anno l’autorità e il gradimento di

una serie di personaggi dell’intrattenimento, del cinema e dell’informazione; e nei

questionari postali, somministrati ad un campione rappresentativo molto ampio. Con i

questionari vengono interviste circa 2000 persone, mentre un’intervista telefonica

riguarda numeri decisamente più piccoli (un campione per essere considerato

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rappresentativo deve essere costituito da almeno 400-600 casi, anche se molto dipende

dall’obiettivo e da quanto serve dettagliare il target e il microtarget); i questionari

postali richiedono però tempi più lunghi rispetto all’intervista telefonica, in quanto il

fatto che le persone compilino tranquillamente a casa il questionario e lo rinviino

implica una fase di field che dura 3 o 4 settimane; dopodiché c’è anche tutta una fase di

ritorno e di rielaborazione dei dati; solitamente, solo nel giro di tre mesi è possibile

avere a disposizione dei risultati.

Per i personaggi si utilizzano le interviste telefoniche soprattutto quando serve avere un

riscontro in tempi più rapidi, in quanto la ricerca Abacus viene effettuata solo due volte

l’anno e, quindi, quando si necessita di indicazioni in tempi diversi o quando servono

dei dettagli maggiori, in quanto Abacus, proponendo un questionario, prevede solo una

serie di item che sono prestabiliti, senza nessuna possibilità di variazione.

Per quanto riguarda l’informazione, la sua analisi richiede un grosso lavoro sui dati di

ascolto, per cui c’è un monitoraggio costante dell’andamento dei telegiornali Mediaset e

RAI, nel corso dei giorni, delle settimane e dei mesi. I lavori qualitativi

sull’informazione sono meno frequenti; a volte si è provato a fare delle interviste

telefoniche o anche delle ricerche qualitative sui Tg Mediaset (ad esempio, quando partì

a suo tempo Tg5 mattina, fu fatto un lavoro di analisi sulla fascia oraria, sui bisogni

d’informazione degli spettatori in quella fascia e sulla struttura dei Tg), però sono un

po’ più random, in quanto l’immagine dei Tg è abbastanza sedimentata, di conseguenza

il lavoro qualitativo sui telegiornali non è così usuale. La maggior parte degli studi

sull’informazione è quindi un’analisi di dati.

Gli interlocutori di tutte queste ricerche sono la Direzione Marketing, le Direzioni di

rete, tutta l’Area della Produzione, gli autori dei programmi e chiaramente la Direzione

generale, la quale è interessata a qualsiasi lavoro di questo genere.

C’è anche una parte di studio più quantitativa, di analisi dunque dei dati di ascolto, che

accompagna il lavoro qualitativo, in quanto prima di partire con un’analisi qualitativa,

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c’è normalmente un’elaborazione quantitativa dei dati ascolto, che consente di formare

delle ipotesi e di valutare, anche se solo attraverso uno studio di dati numerici, una serie

di indicazioni sul programma: ad esempio, l’analisi della curva di ascolto è uno

strumento molto utile, con un risvolto operativo concreto per lo studio del programma,

in quanto è possibile incrociare l’andamento della curva con il contenuto della

trasmissione, dando la possibilità di valutare la “tenuta” di un gioco o di una

trasmissione di prime time. E’ chiaro che qui entrano in gioco non solo valutazioni

rispetto al programma che c’è in onda, ma anche il fatto che esiste un contesto

competitivo attorno; perciò, se si ha un break su un’altra rete, la crescita della curva

della propria rete andrà valutata, non solo in relazione al contenuto della trasmissione,

ma anche in base al fatto che sull’altra rete c’è la pubblicità.

Questo è un lavoro che a volte sostituisce la ricerca qualitativa, dove è possibile e,

quindi, dove non c’è necessità di andare “in profondità”, in quanto la curva non può

certo dare indicazioni sulle motivazioni di visione o di rifiuto di un programma, anche

se si può intuirlo in base a ciò che c’è in onda; lo studio della curva non è certo

un’analisi che va a vedere il gradimento del pubblico.

Per quanto riguarda le ricerche di “scenario”, cioè le analisi delle tendenze e delle

preferenze manifestate dal pubblico a livello generale, esse non sono di competenza

dell’Area Prodotto, ma del Marketing Strategico, il quale si occupa di studiare gli

“scenari”, cioè di effettuare grosse ricerche sull’immagine delle reti nel corso del tempo,

oppure sull’immagine dei Tg nel corso degli anni e soprattutto si preoccupa di capire

quali sono le tendenze in atto nella società, le quali possono essere più generiche e

riguardare quindi la società dei consumi (anche la televisione, ma non solo quella)

oppure un po’ più dettagliate e focalizzate sul mercato televisivo; in questo caso c’è

allora un’analisi dell’andamento delle immagine delle reti rispetto al pubblico, che va

quindi ad indagare il gradimento che i telespettatori esprimono in relazione alla rete e al

programma sulla rete.

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Le ricerche sugli “scenari” vengono effettuate però da istituti esterni, sia per Mediaset

che per la RAI o per altre reti, in quanto richiedono un campione molto rappresentativo

della popolazione e quindi una struttura di ricerca molto grossa (Dott.ssa Barbara

Galbusera, Area Prodotto, 2003).

5.2. Il marketing dell’Area Palinsesto e Coordinamento

Il Palinsesto e Coordinamento mette insieme le tre ipotesi teoriche di palinsesto di

ciascuna rete per ogni stagione televisiva e sta attento che i target non si sovrappongano

l’uno con l’altro. Inoltre, fa in modo che l’offerta delle tre reti Mediaset sia competitiva

rispetto all’offerta RAI e che non si cannibalizzi al suo interno. Si cerca di far sì che

ogni sera la rete, a seconda del tipo di prodotto che le viene attribuito, possa fare il

massimo risultato possibile, perciò si cerca di trovare la collocazione ideale per ogni

specifico prodotto, lavorando sul target che quella specifica sera è “libero”. Si parla di

sera, perché questo tipo di ragionamento riguarda essenzialmente il prime time, in

quanto il palinsesto del day time è più stabile e più solido rispetto a quello della prima

serata.

Un altro compito dell’Area Palinsesto e Coordinamento riguarda le attribuzioni di titoli

di ciò che il gruppo Mediaset acquisisce a livello di film, telefilm, serie ed in parte anche

a livello di format, anche se non è proprio il campo specifico del Coordinamento e

Palinsesto, in quanto l’ambito elettivo di tale Area riguarda essenzialmente i diritti e

cioè i film, i telefilm e i tv-movie. In alcuni momenti specifici dell’anno il Palinsesto e

Coordinamento li attribuisce alle varie reti: si cerca quindi di capire quali sono le

esigenze dei palinsesti annuali di ciascuna rete e quali sono gli obiettivi d’ascolto che si

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devono raggiungere; in base a ciò si cerca di proporre un certo numero di pezzi “forti”

confezionati e adatti all’obiettivo che si deve conseguire. Le esigenze vengono stabilite

contando i “buchi” cinema o i “buchi” serie che il palinsesto presenta: ad esempio, a

giorni finirà su Italia 1 Dawson’s Creek (sta infatti andando in onda l’ultima stagione e

nel giro di poche settimane è prevista la fine della serie); per riempire tale buco si

effettua prima di tutto un monitor sul mercato, al fine di valutare cosa c’è a disposizione

su quel genere (in questo caso si sta parlando di teen-drama da un’ora); è necessario

cercare prodotti che abbiano una durata abbastanza lunga, in quanto in questo caso si ha

l’esigenza di una programmazione a strisce e quindi quotidiana: non bastano perciò 22

episodi, ma ne servono almeno 40. Dopo il lavoro di monitor del mercato, si effettua

un’operazione di coordinamento con la struttura che acquisisce i diritti, cercando di

sensibilizzarla e di portarla ad acquistare ciò di cui si ha esigenza; infine, si

attribuiscono i prodotti alla rete. In questo caso si tratta di un lavoro di attribuzione

abbastanza semplice, molto più difficile è attribuire il cinema, in quanto tutte le reti lo

vogliono e lo programmano, visto che è un prodotto che funziona particolarmente; c’è

una infatti tipologia di cinema che in televisione ha un pubblico elettivo piuttosto ampio

e questo fa sì che i film siano particolarmente contesi dalle varie reti.

L’attribuzione ad una rete o all’altra dipende da molti fattori: da un bilanciamento

generale che riguarda la struttura del magazzino, dalla forza degli obiettivi che ciascuna

rete deve raggiungere, da come è messa la rete in quel momento, nonché da una

valutazione di quale rete si prevede farà più fatica, perché ha un palinsesto meno solido

o perché alcuni dei suoi programmi stanno cominciando a non funzionare più come

prima.

Il cinema è la tipologia di prodotto più “forte” ed immediata: appena una trasmissione

non funziona si sostituisce con il cinema, in quanto è sempre a disposizione; è infatti

molto più facile sostituire qualcosa che non va con il cinema, piuttosto che con altre

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produzioni che richiedono ovviamente tutta una fase produttiva che il cinema ha già

avuto.

Al fine di coordinare la programmazione delle varie reti, se un programma è già andato

in onda si ha un vantaggio, in quanto si è a conoscenza di come è andato, di quanto ha

fatto, di quanto è stato “forte” e soprattutto si conosce la tipologia di pubblico che l’ha

guardato. Non sempre la tipologia di pubblico dei film è però la stessa, in quanto può

accadere che, a seconda della programmazione che sta attorno, possa cambiare il

profilo. E’ molto difficile che cambi il pubblico dell’Isola dei famosi o di Beautiful:

sono infatti dei prodotti a lunga “tenitura”, che hanno un target di riferimento stabile, il

pubblico può crescere o diminuire, ma la tipologia rimane sempre la stessa; invece, un

film di avventura può avere una sera una percentuale di bambini altissima, poiché questi

non hanno nulla da vedere, mentre un’altra sera può avere una percentuale di donne

elevatissima; comunque, se il film è già andato in onda è sempre possibile avere un

primo profilo del pubblico.

Ogni programma ha quindi un contesto, che dipende dalla programmazione delle altre

reti, ed il pubblico televisivo può preferirlo o meno a seconda di ciò che sta attorno; ci

sono infatti alcuni film “scacchiera”, che messi come sono fanno sì che siano gli altri a

doversi adeguare, ma la maggior parte delle volte l’abilità di chi si occupa della

programmazione, sia in Mediaset che in RAI, consiste nel cercare di infilarsi all’interno

di una scacchiera già pronta e di fare il massimo possibile. E’ chiaro che tale discorso

non riguarda un film come Titanic al primo passaggio, in quanto si tratta in questo caso

di un prodotto che una volta inserito richiede agli altri di adeguarsi.

La controprogrammazione è un’operazione molto delicata: per controprogrammare il

calcio si usa essenzialmente un prodotto femminile, ma bisogna sottolineare che negli

ultimi anni esso non è più così maschile ed è inoltre necessario chiedersi, per effettuare

una controprogrammazione efficace, se tale sport è, ad esempio, “giovane” o “vecchio”,

del “Nord” o del “Sud”. Anche controprogrammare San Remo non è un lavoro così

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semplice: studiando lo storico dell’emesso, si nota che il pubblico è abbastanza statico,

ma l’abilità del programmatore consiste anche nel sorprenderlo. Il pubblico di San

Remo è comunque cambiato nel corso degli anni, ogni anno il programma non è sempre

forte e il suo successo dipende anche dalle serate, quindi ci sono delle sere in cui è più

facile controprogrammare e sere, invece, in cui è più difficile.

Un caso di controprogrammazione efficace, oltre che di ottimizzazione delle risorse,

riguarda il film Laguna Blu: si trattava di un prodotto che era ormai “finito” e che aveva

ottenuto sempre ascolti piuttosto bassi; eppure, grazie all’abilità dei programmatori,

Italia 1 è riuscita a posizionarlo in una serata in cui nulla si rivolgeva ad un pubblico di

adolescenti e di ragazzine e in cui niente aveva un aspetto avventuroso, esotico ed

arioso; Italia 1 è così riuscita a far fare a Laguna Blu l’11%, quando il suo storico

presentava invece la metà degli ascolti. Molto spesso programmare significa quindi

anche far sì che un prodotto molto visto e vecchio possa non essere morto. Anche una

scelta più nuova, in quella serata in cui Italia 1 ha collocato Laguna Blu, probabilmente

avrebbe fatto lo stesso in termini di ascolto, ma la vera abilità consiste anche

nell’ottimizzare il più possibile il magazzino e nel cercare di far sì che ogni prodotto

riesca a lavorare su tutto il suo potenziale. Ciò è facilissimo in alcune sere, mentre in

altre, in cui, ad esempio, Canale 5 e Raiuno da soli fanno la metà dell’ascolto televisivo,

diventa molto più complicato.

Le scelte sbagliate si pagano caro, in quanto si lavora per traguardi ed ogni stagione

presenta dunque il suo obiettivo. Parte degli spazi sono già stati venduti, quindi se una

sera una rete fa pochi ascolti, è necessario la sera seguente farne di più. Gli errori sul

prime time si pagano caro, anche se può ovviamente succedere di compiere scelte

sbagliate.

Come già affermato, si programma tenendo presente la programmazione della RAI,

della quale si viene a conoscenza attraverso i quotidiani. Il venerdì sera i settimanali

chiudono e quindi, se a questo punto una rete decide di variare la sua programmazione,

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gli spettatori, tramite i giornali, si troveranno ad avere un’informazione sbagliata. Ciò

non conviene alla rete: è controproducente, poiché i programmi più sono promossi più

hanno probabilità di successo. Il cambio di palinsesti è comunque un processo molto

turbinoso, in quanto può addirittura capitare che si decida di variarli di mezz’ora in

mezz’ora.

Gli strumenti utilizzati dall’Area Palinsesto e Coordinamento sono tipici strumenti di

marketing, cioè di analisi di macrotarget e di dati Auditel. In base al responso dei dati

d’ascolto, che arriva la mattina verso le ore 10 circa, il lavoro viene organizzato per

ampiezza e per macrotarget. Inoltre, se tali macrotarget vengono analizzati più

approfonditamente, si arriva ad avere dettagli maggiori (Dott. Alessandro Grieco, Area

Palinsesto e Coordinamento, 2003).

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5.3. Gli strumenti

Per valutare com’è andato un programma, cioè la sua performance, oltre al dato in share

o in valore assoluto, ci si basa anche sull’andamento che esso ha avuto nel corso della

sua messa in onda; a tal fine si analizzano le curve di ascolto, le quali possono essere

fatte sia in share sia in valore assoluto. Per valutare il buon andamento del programma

serve soprattutto la curva in share; tale curva viene mostrata da un grafico1, il quale

segnala anche le curve di ascolto di tutte le altre reti.

Ad esempio, il grafico allegato è stato analizzato per verificare i risultati di

Passaparola: il diagramma mostra delle freccette, le quali indicano l’inizio e la fine del

programma, e i vari blocchi. Inoltre, si può notare la punta finale d’ascolto con “il gioco

della ruota” prima del Tg5, che è uno dei punti più alti di Passaparola.

Con questo grafico è possibile valutare quali sono i blocchi più forti, quelli meno forti e

con quale rete è stato lo scambio di pubblico durante il break. E’ possibile quindi

analizzare il successo di un programma sia in assoluto (cioè, come è andato, ad

esempio, Passaparola nel complesso) sia rispetto alle altre reti, per valutare lo scambio

di pubblico che ci può essere stato.

Esiste anche la curva in valori assoluti2, la quale in realtà spesso rispecchia l’andamento

del totale ascolto, che dalle 17.30 alle 21.00 è in crescita, in quanto tutti gli individui

tornato a casa dopo il lavoro; quindi, più o meno tutte le reti mostrano, in questa fascia,

una curva in crescita: è ovviamente buona cosa per le reti, se si ha a che fare con un

totale ascolto in aumento, avere una curva che cresce, in quanto se rimane stabile

significa che si sta “perdendo” in share e dunque quote in termini percentuali.

Un altro tipo di elaborazione viene invece eseguita per valutare in una serata il profilo

ed il posizionamento di ciascuna rete. Ad esempio, l’allegato3 mostra il profilo del

1 Vedasi il primo allegato. 2 Vedasi il secondo allegato. 3 Vedasi il terzo allegato.

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allegato primo

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allegato secondo

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allegato terzo

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allegato quarto

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prime time del 9 aprile 1999: si può notare che Canale 5 con Chi ha incastrato Peter

Pan si è posizionato sul pubblico delle famiglie, in particolare sui bambini e sul

pubblico delle donne fino ai 45 anni. Il grafico mostra infatti con il colore nero gli

individui, con il blu gli uomini, con il rosso le donne e con il colore azzurro i bambini

(dai 4 ai 14 anni). Inoltre vengono indicate con ogni sbarra le varie distinzioni: per

quanto riguarda gli uomini, ad esempio, la prima colonna rappresenta l’età dai 15 ai 25,

la seconda dai 25 ai 35, fino ad arrivare all’ultima colonna che mostra gli over 65.

Le sbarre gialle rappresentano invece l’istruzione, mentre quelle verdi l’area geografica.

Per quanto riguarda l’istruzione le varie colonne mostrano le elementari, le medie

inferiori, superiori e laurea. Le colonne verdi rappresentano invece il Nord-Ovest, il

Nord-Est, il Centro e il Sud.

Dal grafico si può quindi rilevare che Chi ha incastrato Peter Pan si posiziona sul

pubblico delle famiglie, in particolare sulle donne e sui bambini, mentre Italia 1, pur

avendo un pubblico sempre giovane, con Money Train si concentra prevalentemente

sugli uomini, risultando abbastanza allargato sul pubblico maschile; quindi se Canale 5,

nella serata del 9 aprile 1999, si è preoccupata delle famiglie, nella stessa serata Italia 1

ha cercato invece di “prendere” un pubblico maschile abbastanza largo.

Un altro strumento utilizzato per valutare come sono collocate le reti è la mappa di

posizionamento: l’asse orizzontale, andando verso destra, indica lo spostamento verso

un pubblico adulto, over 35; l’asse verticale, invece, indica che salendo si ha a che fare

con un pubblico più maschile. Dall’allegato del 1 dicembre 20034 si può notare che Il

processo di Biscardi (La7) ha un posizionamento adulto e maschile; Augusto il primo

imperatore (Rai1), invece, femminile e adulto; Canale 5 con il film Billy Elliot

femminile, ma molto più giovane; ciò vale anche per Rai2 con ER; mentre Italia 1, con

il film Gli svitati, costituisce, in termini di posizionamento, una via di mezzo fra Il

processo di Biscardi e Billy Elliot; Cinquanta (Rai3) si posiziona su un pubblico

4 Vedasi il quarto allegato.

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femminile over 35; mentre Carabinieri 2 (Retequattro) si trova esattamente dentro la

fiction di Rai1, quindi risulta concentrato su un pubblico maschile e femminile over 35.

Ciò non significa però che Retequattro venga utilizzata per controprogrammare Rai1, in

quanto quasi sempre c’è un certa similitudine fra Rai1 e Retequattro, poiché, mentre

Canale 5 viene usata per controprogrammare Rai 1, Retequattro e Rai 1 presentano la

stessa tipologia di pubblico, che normalmente è più adulto.

La RAI ha infatti per tradizione un pubblico più adulto e quasi sempre i suoi prodotti

sono più forti sul pubblico over 35. Quindi, con Carabinieri 2 non si contoprogramma

in modo vero e proprio, ma si tenta di prendere un altro tipo di pubblico, cercando però

di “agguantarsi” il pubblico più centrale, anche se gli over 35 sono usualmente

d’appannaggio delle reti RAI (Dott.ssa Marina Del Bigio, Direzione Marketing

Palinsesto, 2003).

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6. La Direzione di Rete e il riposizionamento di Retequattro

Mediaset comprende tre reti (Canale 5, Italia 1 e Retequattro) e quindi tre Direzioni di

Rete. Ognuna di queste reti ha un suo posizionamento preciso dal punto di vista del

mercato del pubblico televisivo: ciò significa che esse hanno costruito negli anni una

propria identità personale; hanno inoltre una serie di prodotti che le contraddistinguono

e che quindi sono in grado di dare una immagine di esse ben precisa al pubblico.

E’ possibile comprendere se il pubblico percepisce tali immagini di rete attraverso

un’indagine quantitativa, la quale consiste ovviamente nella verifica dell’Auditel, ma

anche nelle scansioni psicografiche, che analizzano le caratteristiche anagrafiche,

demografiche e sociali come, ad esempio, il livello di istruzione del singolo individuo

che sta guardando una data trasmissione. E’ quindi possibile avere una radiografia ben

precisa del pubblico che guarda sia le tre reti Mediaset che le altre reti. L’altro riscontro

è invece di tipo qualitativo: di tanto in tanto la Struttura Marketing affida a MAKNO &

C., una società esterna, un “Osservatorio” sull’impressione del pubblico rispetto alle

identità delle reti, indagando la posizione che i prodotti hanno nella percezione del

pubblico. Canale 5 è la rete ammiraglia, la rete più generalista e più familiare che esista,

si rivolge ad un pubblico ampio e il più diversificato possibile. Nel corso del tempo ha

costruito questo tipo di familiarità e consuetudine di programmazione e quindi ogni

anno va a consolidare il suo palinsesto, rifidelizzando il suo pubblico. E’ perlopiù

dedicata alla produzione di fiction e a una televisione di un certo tipo, da Distretto di

polizia al Bello delle donne, ma anche a programmi di intrattenimento più largo, da Il

Bagaglino e La sai l’ultima? a C’è posta per te e a reality-show come il Grande

fratello. Si tratta di proposte molto diversificate e la sua strategia, dal punto di vista

aziendale, è quella di controprogrammare e quindi di marcare stretto Raiuno.

Italia 1 ha un altro tipo di profilo, assolutamente diverso: si tratta di un pubblico

giovane, non solo dal punto di vista anagrafico, in quanto si è osservato che i giovani

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numericamente sono pochissimi, ma anche dal punto di vista mentale; per cui Italia 1 si

posiziona verso quel tipo di pubblico che ha attitudini giovanili e che quindi è disposto a

vedere quel tipo di proposta. E’ la rete che può sperimentare di più e che si è spinta

oltre, in termini di linguaggio televisivo e di contenuti, con programmi come Le iene e

La Gialappa’s. E’ la rete che lancia molti programmi, i quali, una volta consolidati nel

loro successo, si trasferiscono su Canale 5, come è avvenuto per Zelig. Si tratta quindi

di una rete laboratorio, perché avendo delle particolarità, in questi anni ha sempre

cercato di riposizionare il suo profilo con dei programmi dai contenuti particolari; con

un certo tipo di serie televisiva, come Smallville e CSI; con un certo tipo di offerta

cinematografica, come Matrix e Speed, sicuramente innovativa dal punto di vista del

linguaggio; e con un certo tipo di proposta di produzione, come Zelig, Il Cabaret, Il

Brutto anatroccolo e Gli invisibili: tutte proposte alternative rispetto alla

programmazione di Canale 5.

Italia 1 veniva inoltre generalmente usata per controprogrammare Raidue, quando però

Raidue aveva più o meno lo stesso mandato; infatti, da un po’ di anni Raidue ha una

identità non ben precisa, è una commistione di generi; tale rete non si è delineata bene

nell’odierno panorama televisivo. Essa ha delle “corde” giovanili all’interno della sua

programmazione, ma anche delle “corde” un po’ più larghe: è la rete che programma

Incantesimo e Quelli che il calcio ed è la rete che propone Al posto tuo e La grande

notte del lunedì sera. Raidue ha quindi delle differenziazioni in termini di

programmazione, frutto certamente di scelte ben precise. Nell’ambito delle strategie

aziendali, Italia 1 non ha la missione specifica di controprogrammare altre reti, ma una

missione strategica in termini di presidio rispetto ad un certo tipo di pubblico, quello

giovane, il quale è estremamente interessante, in quanto si tratta del pubblico che

utilizza anche altri mezzi e che è più innovativo dal punto di vista tecnologico, poiché si

spinge verso i confini di Internet, del cinema e del consumo multimediale, ma che

contemporaneamente è anche molto sensibile a certe tendenze e certe mode.

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Retequattro ha sempre avuto una storia molto particolare. Negli anni Novanta era

focalizzata su un pubblico essenzialmente femminile, anziano ed adulto, in quanto nel

corso degli anni aveva caratterizzato il suo palinsesto con una serie di prodotti adulti e

di lunga serialità, come le soap opera e le telenovelas, costruendo anche dei veri e

propri appuntamenti all’interno della sua programmazione. Questo creava una grande

presenza di pubblico, in quanto si raggiungevano degli ascolti abbastanza elevati (oltre

il 13% di media sul day time), ma portava anche ad un’immagine della rete

prevalentemente rosa, nella quale venivano inseriti dei programmi ad hoc. Questo tipo

di pubblico costituiva, dal punto di vista del mandato pubblicitario e quindi dal punto di

vista della concessionaria esclusiva di Mediaset (Publitalia ’80), la quale si occupa di

trovare dei clienti inserzionisti disposti ad acquistare spazi pubblicitari, un’audience

abbastanza interessante, ma di largo consumo. Tendenzialmente adesso, dopo la crisi

che si è avuta nel mercato, la concessionaria pubblicitaria e quindi, indirettamente le

aziende, cercano pubblici molto precisi, cioè il target mirato; non serve ai clienti

inserzionisti avere i numeri, i grandi quantitativi, bensì il pubblico di riferimento ben

preciso; non serve cioè sparare nel mucchio, ma individuare il bersaglio. Ad esempio,

un produttore di nuove tecnologie e di computer di nuova generazione ha bisogno di un

pubblico diverso da quello degli anni ’90 di Retequattro. In generale si ricerca ora, da

un punto di vista commerciale, un pubblico più pregiato e questa è stata anche la scelta

editoriale di Retequattro: da tre anni a questa parte si è infatti progettato questo nuovo

posizionamento della rete, un po’ voluto dalla concessionaria di pubblicità e un po’

anche perché rientrava nelle scelte editoriali. L’obiettivo è stato quello di non rinnegare

il pubblico esistente, ma di allargarsi ad un pubblico diverso, più giovane, più maschile

e soprattutto più colto, quindi con un’istruzione migliore; il tutto, però, senza perdere il

pubblico presente. In vista di questo fine, sono state fatte diverse scelte, considerando

che contemporaneamente il budget è stato ridimensionato, in quanto la crisi economica

che ha colpito tutte le aziende e quindi anche quelle del settore televisivo, ha portato ad

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una riduzione dei budget di produzione; in questi due anni si è avuto un

ridimensionamento del budget dell’ordine del 38% (si tratta quindi di una riduzione

abbastanza consistente) ed è difficile dare una nuova identità alla rete con meno risorse.

Nonostante tali difficoltà sono state fatte però varie operazioni, quasi tutte coordinate

per andare a catturare questo nuovo tipo di pubblico. Si è lavorato soprattutto sulla

fascia della seconda serata, cha va dalle 23 in poi, dove il bacino di pubblico è inferiore

a quello del prime time, ma dove c’è anche un tipo di audience più disponibile a certe

proposte. Si è cercato quindi di puntare su alcuni generi che sono propri di questo

pubblico maschile e colto, i quali possono essere: la divulgazione scientifica,

l’approfondimento giornalistico, la storia, il calcio (argomento di grande fascino per il

pubblico maschile) e l’approfondimento politico. Notando il palinsesto attuale di

Retequattro si può infatti rilevare che esso è stato arricchito con nuovi appuntamenti

soprattutto nella fascia serale, che prima era caratterizzata esclusivamente da proposte

cinematografiche, i Bellissimi di Retequattro, i quali non sono stati eliminati, ma

mantenuti come appuntamento consolidato.

Il lunedì solitamente è dedicato all’Appuntamento con la storia, programma con Cecchi

Paone: vengono mostrati documentari della ZDF e della BBC, i quali sono d’acquisto e

riguardano i fatti storici più importanti del secolo scorso, dalla Prima Guerra Mondiale

agli ultimi giorni di vita di John Kennedy. Si tratta quindi di una trasmissione di

approfondimento con delle esclusive dal punto di vista visivo, cioè con delle immagini

mai viste prima d’ora, e con del materiale inedito. Il martedì è stata creata una testata

giornalistica dal titolo Record: si tratta di storie di miti e di sport. Si è ricostruita la

storia e la vita di grandi campioni dello sport per rivivere ad esempio le emozioni di

Senna o per raccontare i trionfi di Tomba o di Schumacher, abbinando l’aspetto

semplicemente agonistico e sportivo alla parte più personale e biografica del

personaggio. Il mercoledì è stata invece inaugurata una testata chiamata Top secret; è

dedicata a tutti i misteri irrisolti, dall’omicidio/suicidio di Marilyn Monroe alla morte di

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Lady Diana. Si è cercato quindi di approfondire tali aspetti, ponendo particolare rigore e

attenzione ai particolari e alla stesura dei testi. Top secret si alterna 2000, un’altra

testata giornalistica di soft news, di grandi reportage ed inchieste, che possono

riguardare la prostituzione in Sud America, la chirurgia estetica o i disastri naturali. Si

tratta di un contenitore di news improntato alle denunce e alle inchieste. Il giovedì lo

spazio è invece dedicato ai Bellissimi, che riguardano una produzione cinematografica

di prima visione. Tali prodotti cinematografici sono andati incontro ad alcuni problemi

determinati dal fatto che, nel corso del tempo, questi film da bellissimi sono diventati

belli ed infine meno belli, in quanto ormai usurati nel loro ciclo di vita; inoltre, il

rifornimento di nuovi titoli, a causa della riduzione di budget, è stato minore, ciò ha

determinato la necessità di ridurre a solo due serate lo spazio dedicato ai Bellissimi per

preservare i titoli e per fare in modo che la proposta fosse unica e sensata. Il venerdì è

stato inaugurata una seconda serata dedicata all’approfondimento politico con Marco

Taradash, il cui titolo è La Zona rossa. In tale trasmissione vengono ospitati politici e

giornalisti che discutono fatti e argomenti di attualità. Al sabato viene invece dedicata

un’altra seconda serata al grande cinema, così come alla domenica. Dalle proposte si

può notare che si tratta non solo di prodotti destinati al pubblico femminile, ma anche di

prodotti diretti ad un pubblico ben disposto a seguire le grandi storie, i fatti di cronaca,

gli approfondimenti giornalistici e lo sport.

Anche in prima serata sono stati fatti diversi interventi: oltre al consolidato

appuntamento con La macchina del tempo, trasmissione dedicata alla divulgazione

scientifica attraverso documentari storici e naturalistici, è stata introdotta una seconda

testata, utilizzando sempre più o meno gli stessi materiali, ma riformulati e maneggiati

sotto un altro concept, quello del perché ed infatti il titolo del programma è Sai xchè?: si

cerca di rispondere alle piccole e grandi domande, ai piccoli e grandi interrogativi che

ogni persona può avere, da perché i dinosauri si sono estinti a perché ci si stringe la

mano quando ci si incontra; si tratta di curiosità antropologiche, ma anche di

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spiegazioni sociali. Inoltre, è stato rinnovato anche il parco artisti, introducendo nuove

conduzioni: è stato infatti inserito Umberto Pellizzari, famoso per essere semplicemente

il detentore del record di immersione, il quale però serve al programma in quanto uomo

non solo in grado di condurre una trasmissione di questo genere, ma anche capace di

fare delle cose eccezionali, come sperimentare sul suo corpo alcune realtà che vengono

spiegate durante il programma (ad esempio, si è trasferito sotto la neve per spiegare il

modo in cui il corpo reagisce alle escursioni termiche); è stata anche inserita Barbara

Gubellini che, essendo una biologa, ha competenze specifiche e quindi una maggiore

credibilità. Si tratta dunque di due volti nuovi, assolutamente giovani, che permettono di

parlare di argomenti quali la natura, la scienza e la storia sotto un’identità diversa,

rispondendo alle esigenze del programma che è improntato alla risposta dei piccoli e

grandi perché.

Un altro programma che è stato introdotto di recente è Genius: si tratta di un quiz di

nuova generazione, come Chi vuol essere Milionario? o L’Eredità caratterizzati da una

certa atmosfera, da ritmi specifici e da domande a risposta multipla, condotto da Mike

Bongiorno. Si è infatti deciso di adottare Mike, il re del quiz, di riposizionare la sua

“arte” e di rimetterlo nella sua serata storica, il giovedì, dandogli però un formato

acquistato dall’esterno (Fox), riadattato e riscritto in funzione dei gusti italiani; il

risultato è stato un programma in cui si laureano dei piccoli geni, ragazzi dagli 11 ai 13

anni, che concorrono rispondendo a domande impegnative, non solo di cultura generale,

ma anche specifiche. Sono state fatte 10 puntate e in ognuna si laurea un genio;

l’attenzione è mista: da una parte c’è l’incredulità e lo stupore nei confronti di una

persona che a quell’età riesce a rispondere a certe domande complicate, dall’altra c’è

anche la voglia di concorrere in contemporanea, così come avviene per tutti i quiz. Si

tratta di un’operazione che ha pagato, in quanto non consiste nell’ennesima

riproposizione di un quiz di Mike, ma riguarda un nuovo formato che Mike Bongiorno è

stato in grado di gestire. E’ un programma caratterizzato da una contaminazione di

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generi: esattamente ciò che sta facendo Retequattro, la quale si è posta come obiettivo

l’ibridazione delle categorie. L’infotainment (informazione ed intrattenimento) è infatti

ciò che ha ispirato la seconda serata, lo stesso si cerca di fare per il prime time: si vuole

mettere insieme stili che prima erano separati (l’informazione, l’intrattenimento e il

quiz) sotto una nuova luce ed un nuovo impianto visivo. Questi sperimenti stanno

sicuramente pagando, in quanto stanno dando alla rete maggiore visibilità. Inoltre,

essendo arrivati alla fine del 2003, si sta facendo una valutazione, la quale sta mettendo

in luce che in questi ultimi due anni la rete ha guadagnato più pubblico (si è cresciuti di

un punto percentuale in più di share sul prime time), risparmiando però il 40% delle

risorse.

Per quanto riguarda invece il day time si è deciso di mantenere solo due grandi

appuntamenti a lunga serialità (Sentieri e Febbre d’amore) e alcuni diritti d’acquisto

come Walker Texas Ranger o i classici del giallo (Poirot e Nero Wolfe): si tratta di

un’operazione di recupero di prodotti, che però sta dando anche una grande visibilità.

Nel day time è stata invece inserita una nuova striscia, Solaris – il mondo a 360°:

trasmissione sempre a carattere scientifico, che sta fornendo grandi soddisfazioni in

termini di ascolto e che propone anche un nuovo volto (Tessa Gelisio).

Altre operazioni di restlying sono state fatte non solo a livello di contenuto, ma anche a

livello di immagine, si è cercato infatti di rimaneggiare i colori classici della rete,

tentando di darle un’identità nuova: in apertura e chiusura dei break pubblicitari sono

stati previsti i promo, i quali sono anticipati da un’animazione di quattro secondi che

serve ad attirare l’attenzione: si tratta di animazioni di riprese live che si trasformano da

un’immagine all’altra proprio per indicare, da un punto di vista concettuale, che la rete è

in evoluzione, cioè in progress e che quindi si sta trasformando da una situazione

all’altra. Si stanno facendo perciò delle modifiche anche a livello di immagine, in

quanto un’immagine di rete viene costruita certamente attraverso i prodotti che si

propongono, ma deve anche essere cucita attraverso dei “segni di punteggiatura”: i

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promo, gli annunci, le animazioni e le grafiche, che servono a caratterizzare la rete e a

“mettere la firma”. Sono tuttavia operazioni che si fanno in tempi lunghi e con grandi

risorse, anche se Retequattro ha fatto tutto ciò in poco tempo. L’aspetto che ha

favorevolmente colpito è che comunque il posizionamento è cambiato, seppur in poco

tempo: si sta andando verso un nuovo pubblico, il quale mostra di seguire i nuovi

programmi, senza che il “vecchio” pubblico abbia deciso di abbandonare la rete; non

solo non si è perso pubblico, ma lo si è anche guadagnato. Questa esperienza dimostra

che anche facendo programmi culturali si riesce ad ottenere l’apprezzamento degli

spettatori: la cultura non è noiosa, per divulgarla efficacemente è però necessario, in

ambito televisivo, adottare delle strategie, dei meccanismi ed un linguaggio diverso e

più familiare, in modo da non risultare monotoni. E’ così possibile ottenere la stessa

credibilità, rendendo però l’argomento un po’ più semplice e non spaventando le

persone che si avvicinano al programma.

Si è inoltre deciso di terminare La ruota della fortuna, programma storico di

Retequattro, il quale chiude definitivamente il 20 dicembre 2003, in quanto ci si è

accorti che il suo ciclo di vita è ormai usurato e che, quindi, non è più necessario

continuare; l’ipotesi più probabile per sostituire tale programma consiste nel serializzare

Genius, cambiando in parte i suoi contenuti.

All’interno della struttura di Retequattro lavorano varie persone che si occupano di

diverse funzioni: c’è il Direttore Generale (Dott. Giancarlo Scheri), che ha il mandato

per gestire questa situazione di cambiamento; c’è una persona che si occupa della

produzione, dell’immagine della rete e quindi anche della promozione (Dott. Angelo

Florio) e una persona che invece si preoccupa dell’area dei diritti: effettua delle

valutazioni sui titoli cinematografici e di lunga serialità che vengono dati a Mediaset

(Dott. Marco Costa), inoltre tale persona, in accordo con il Direttore di Rete, decide la

collocazione in palinsesto di determinati titoli, sceglie di promuovere determinate serie

e di mandare in onda i diritti, cioè gli acquisti cinematografici e di fiction.

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Retequattro, così come le altre reti, cerca sempre di ottimizzare le risorse che Mediaset

possiede internamente: ha infatti replicato un grande successo come Carabinieri e

replicherà più avanti Distretto di polizia; nel corso del tempo sono stati inoltre acquisiti

tanti prodotti attraverso gli accordi con le Major, che sono stati però mandati in onda

tanto tempo fa. L’obiettivo è quindi, in regime di economia, quello di andare a

verificare i prodotti che si hanno in archivio, per vedere se c’è qualcosa di ancora utile

che possa funzionare rispetto alla linea editoriale di Retequattro. Tale operazione è

condotta brillantemente dalle redazioni che si occupano di diritti, le quali cercano di

scoprire prodotti fermi che possono essere utilizzati, come i classici del giallo (Poirot e

Nero Wolfe), i quali sono stati usati per creare un appuntamento.

Si è recuperato, inoltre, Law & Order, un programma a lunga serialità, con tantissimi

episodi e ben costruito, il quale va in onda il sabato. Un altro programma è 24, che va

invece in onda la domenica; si tratta di una serie in 24 episodi, ciascuno della durata di

un’ora. E’ la storia in tempo reale di una giornata di un detective del FBI che deve

risolvere un caso; la storia è costruita tutta in tempo reale e la particolarità del

programma consiste non solo nella scansione temporale che crea una grande tensione,

determinata dal fatto che in 24 ore bisogna risolvere un problema (la quale è in grado di

creare la fidelizzazione dell’appuntamento), ma anche nel fatto che si usano delle

tecniche particolari, per cui si vedono in tre quadrati tre momenti che avvengono

contemporaneamente: si tratta di un linguaggio nuovo e diverso da quello delle solite

fiction. Il programma ha però inizialmente sofferto, mentre ora sta ottenendo dei discreti

risultati. Anche questo è un tentativo di sperimentazione con il fine di catturare un certo

tipo di pubblico.

Per quanto riguarda la promozione, essa ha una struttura a parte, presieduta dal Dott.

Florio, ed è composta da sette promoter, più una coordinatrice ed una persona che si

occupa dell’impaginazione e che quindi deve decide dove posizionare il promo

all’interno di ogni break pubblicitario. Retequattro promuove quasi tutti i suoi

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appuntamenti, sia di prima che di seconda serata e anche qualcosa del day time.

Tendenzialmente si promuovono circa 21 promo a settimana. I promoter sono una

figura di tipo tecnico-creativo che, visionando il materiale e guardando le immagini,

studiano una campagna articolata. Sono un po’ dei pubblicitari, con la differenza che in

questo caso si osserva tutto il ciclo di vita del prodotto, nel senso che si fa sia

l’ideazione del soggetto e del testo, sia la realizzazione tecnica, con la peculiarità che si

ha un budget più scarso rispetto a quello previsto per uno spot vero e proprio. La

promozione deve comunicare la rete, il prodotto e l’appuntamento, adottando un

linguaggio e una grammatica che siano quelli della rete; sono perciò diversi i promo di

Canale 5 rispetto a quelli di Italia 1 o delle reti RAI; il promo veicola, infatti, oltre al

prodotto, anche la rete a cui appartiene: quello di Italia 1 ha perciò delle espressioni

linguistiche ed un montaggio più accelerato rispetto al promo di Retequattro, la quale ha

invece una cura del dettaglio diversa. Il promo deve quindi veicolare il sistema valoriale

della rete: tutti i prodotti che vengono comunicati dalla rete devono possedere tale

sistema di valori. In 30 secondi, attraverso il promo, si deve riuscire a dire di che rete si

sta parlando e di che prodotto si tratta, ma si deve anche riuscire ad invitare e a sedurre

lo spettatore, oltre che a fargli prendere un appuntamento. Si tratta quindi di

un’operazione complicatissima, che deve essere realizzata in 30 secondi. Il promo ha un

valore referenziale puro: “ti invito a sintonizzarti su Retequattro alle ore 20,30”, ma ha

anche un valore seduttivo e pubblicitario, in quanto deve cercare di incantare, sedurre e

prendere lo spettatore. Ciò vale sia per i promo di programmi, che per i promo di fiction.

Si tratta di un’arte e allo stesso tempo di una tecnica di sintesi, la quale prevede la

conoscenza della grammatica creativa/pubblicitaria e di quella tecnico-realizzativa; si

deve conoscere il montaggio e il modo in cui un programma di 90 minuti può essere

smembrato e sistemato: si prendono infatti le single inquadrature, le quali, montate in

modo diverso, possono veicolare messaggi differenti e raggiungere quindi pubblici

diversi. L’obiettivo è infatti quello di catturare, tramite i vari promo, sia lo stesso

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pubblico, che quello di altre reti (Dott. Angelo Florio, Direzione Promozione di Rete,

2003).

7. Le tendenze di rete

Dall’analisi dell’insieme della programmazione, é possibile riassumere le strategie e gli

stili di ciascuna rete (Casetti F., 1988). In primo luogo si può evidenziare

l’atteggiamento verso la quotidianità, la quale costituisce l’orizzonte comune entro il

quale si muovono le strutturazioni dei singoli palinsesti; in secondo luogo è possibile

rilevare le differenti forme di gestione dell’interazione comunicativa: si tratta di

analizzare i modi in cui il programma e il palinsesto vengono presentati allo spettatore.

Infine si può anche prendere in esame il tipo di accordo comunicativo caratteristico di

ciascuna rete, focalizzando l’attitudine d’ascolto richiesta allo spettatore.

Raiuno

Fin dalle prime battute, e cioè dal prologo della giornata televisiva, Raiuno mette in luce

la sua natura “istituzionale”. Anche il segnale orario e il telegiornale, che scandiscono i

momenti forti della giornata televisiva, sono segni di legittimazione e di fiducia

istituzionale.

L’istituzionalità della rete è confermata anche dagli annunci autopromozionali affidati

alle annunciatrici: essi sono, tra le varie forme di promozione, quella più ufficialmente

deputata a trasmettere la voce dell’emittente; i loro modi contribuiscono a costruire

un’immagine di legittimazione forte.

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Questa caratteristica di istituzionalizzazione si innesta su un costante richiamo alla

quotidianità, che Raiuno assume come sfondo di ogni interazione sociale. Ogni

frammento di quotidianità viene inserito entro una cornice discorsiva. Questa

operazione di commento esplicito è molto evidente nei contenuti di Uno mattina, dove

momenti di apprendimento e spettacolo vengono trasformati, attraverso la mediazione

del conduttore, in occasioni di interazione diretta con il pubblico.

I tratti peculiari sono quindi riassumibili come autorevolezza istituzionale, riferimento

al “mondo della vita”, e continua incorniciatura dei brani ospitati attraverso una

mediazione personalizzata. Questi tre tratti sembrano convergere verso un’idea di patto

comunicativo in cui broadcaster e audience si segnalano per la buona condotta

reciproca. E’ appunto questo patto che costituisce la marca caratteristica di Raiuno.

Raidue

Raidue, all’interno del mandato istituzionale delle reti RAI, sembra riferirsi alla

quotidianità intendendola soprattutto come attualità. Quest’ultima viene pensata da

Raidue non come entità unica definita, ma come un insieme di frammenti dotati di una

duplice caratteristica: da una lato essi vanno scelti e messi in rilievo attraverso

un’azione di commento; dall’altra essi possiedono una loro significatività intrinseca. Di

qui un deciso stacco rispetto a Raiuno per quanto riguarda il rapporto con il

telespettatore: viene fatto emergere pienamente il senso dei fatti, il conduttore perde i

tratti personali particolarmente carismatici ed invadenti e l’interazione fra broadcaster e

audience viene costruita all’insegna di una trasparenza e neutralità. Inoltre c’è un

costante rimando allo spettatore, chiamato ad assumere in prima persona la complessità

dei frammenti. A ciò mira anche la struttura prevalente propria dei promo di questa rete,

costruiti spesso come racconti di consumo. In essi si anticipa al destinatario il tipo di

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fruizione offerto dal testo promosso, e per far questo ne precisa le caratteristiche

(generi, protagonisti, trama e regista) e ne fornisce un “assaggio”.

In conclusione, la quotidianità intesa come attualità, la frammentazione del reale, il

ruolo “neutro” del conduttore e il compito affidato allo spettatore costituiscono le

strategie di Raidue, cioè la sua “filosofia” di rete.

Raitre

Raitre tratta la quotidianità come orizzonte e fonte di conoscenza; perciò il palinsesto

insiste sulla valorizzazione dei contenuti trasmessi, più che sulla valorizzazione

dell’interazione stessa. La quantità e la distribuzione quotidiana di programmi educativi

ne sono una dimostrazione, insieme al largo spazio occupato dai notiziari nazionali e

locali.

I modi di annuncio che questa rete ha adottato sono una sorta di compensazione, ma

anche di conferma: da un lato si vivacizza un momento di interazione con lo spettatore;

dall’altro canto, però, i tratti dell’annuncio paiono confermare lo stile di impegno e di

sperimentazione culturale di cui Raitre ha sempre voluto farsi carico e investire il suo

pubblico.

Inoltre, lo spettatore deve operare da solo sulle giunture che collegano i diversi

programmi, a differenza di Raiuno in cui la tendenza è di rendere fluidi i passaggi tra i

programmi, o di Raidue che invece tende a lessicalizzarli, attraverso il commento dello

speaker.

L’accordo comunicativo, quindi, si appoggia molto sul sapere dello spettatore e fonda

“una condotta consapevole”.

Canale 5

La quotidianità viene intesa da Canale 5 come gioco. Non ci si riferisce solo alla

presenza di un alto numero di quiz e concorsi, alcuni dei quali si rifanno direttamente ad

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elementi della vita corrente, ma ad un modo generale di trattare la quotidianità.

Quest’ultima è assunta nei suoi elementi ludici, “frizzanti” e spettacolari. La

narrativizzazione della quotidianità (tendenza dominante anche nelle altre due reti del

polo privato) trova quindi su Canale 5 il suo primo riscontro.

E’ quanto viene ribadito anche da un esame dell’autopromozione praticata da questa

emittente: anzitutto, i promo adottano la struttura tipica dei “prossimamente” filmici;

poi, essi riguardano soprattutto programmi dominati dal patto dello spettacolo, in

particolar modo varietà e film; infine essi risultano piuttosto numerosi.

Per quanto riguarda i modi dell’interazione comunicativa, questi mostrano un

sostanziale equilibrio tra presentazione implicita e presentazione personalizzata. Il tratto

veramente originale è costituito dalla tendenza a costruire patti particolarmente

coinvolgenti: a ciò mira anche la strategia più adottata nei promo, cioè il continuo rinvio

dell’esplicitazione della proposta, che genera attesa e partecipazione. La condotta dello

spettatore è sottoposta ad una normatività debole: il patto regola perciò una condotta

informale, che punta spesso sulla sorpresa.

In conclusione, il racconto della quotidianità congiunta con la costruzione di un patto

insieme coinvolgente e debole, dà luogo ad un’interazione seducente, esasperata ed

inventata momento per momento.

Italia 1

La presenza marcata e continua di programmi di finzione fa pensare anche qui ad una

quotidianità narrativizzata. Su questo sfondo, comune anche agli altri network privati,

emergono, comunque, le peculiarità di Italia 1.

In primo luogo, si ricorre a una modalità d’interazione quasi sempre implicita,

riscontrabile anche negli spazi promozionali; in questo ambito abbondano, infatti, i

rimandi da un programma ad un altro affidati alla voce off, la quale assume il ruolo di

voce del programma successivo. In secondo luogo, il quadro narrativo in linea con il

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target giovanile a cui vuole essere attento, si specializza e assume la forma di una

quotidianità ad hoc.

Retequattro

Retequattro, da parte sua, si rivolge ad un pubblico soprattutto femminile: ad esso sono

indirizzati, per esempio, i teleromanzi e le sit-com, che raccolgono il rapporto tra

emittente e spettatore, e il patto che lo inquadra, attorno al grande modello del racconto

sentimentale.

Le modalità di interazione comunicativa dominati si basano sulla presentazione

implicita, correlativamente alla predominanza dei programmi di finzione, quest’ultima è

confermata anche dalla nettissima prevalenza di promo relativi a film.

Conclusioni

Dopo aver analizzato brevemente le tendenze di programmazione delle singole reti, è

possibile fare un accenno anche ai tratti comuni che legano le reti entro strategie più

complessive, che vanno oltre la singola emittente e che interessano i poli televisivi nel

loro complesso.

Dall’esame delle singole reti sono emerse due direzioni diverse nell’orientamento verso

la quotidianità. Il polo RAI fa riferimento ad una quotidianità come concatenazione

stretta di segmenti, con la possibilità di inserimenti da parte dello spettatore: il “mondo

della vita” di Raiuno, l’”attualità” di Raidue e l’”universo culturale” di Raitre.

Il polo privato fa invece riferimento ad una quotidianità già più lavorata e più

finalizzata: in esso la vita di tutti i giorni da un lato assume il volto di un “racconto”,

dall’altro si innesta in un “rituale di consumo”.

Risulta diversa anche la politica autopromozionale dei due network: la televisione

pubblica dimostra di essere in grado di offrire un vasto ventaglio di possibilità allo

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spettatore, e dunque è in grado di coprire tendenzialmente tutti gli aspetti della realtà,

mentre la televisione privata cerca di costruire un rapporto privilegiato con il

telespettatore, in cui la realtà passa in secondo piano e la quotidianità diviene terreno

d’incontro per un’interazione comunicativa mirata.

Anche l’interazione viene dunque intesa in modo diverso: in breve, nelle reti RAI si

registra una presenza dell’interazione molto superiore che sulle reti private; invece la

forma interattiva implicita, seppur presente in buona misura anche nella RAI, prevale

sul polo privato.

Inoltre, la RAI fa più uso degli annunci e dei rimandi ancorati alle presenze in video,

mentre le emittenti private preferiscono usare per lo più promo spettacolari o rimandi

effettuati dalla voce off.

L’insieme delle varie caratteristiche riscontrate disegna, dunque, due diversi modelli di

patto interattivo: la televisione pubblica sembra proporre un patto aperto, mentre le reti

private propongono un patto il cui destinatario appare continuamente evocato ed

insieme compresso.

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8. Una ricerca di marketing: l’Osservatorio sul sistema televisivo

Dal 1989 prima la RAI, successivamente la RAI insieme a Mediaset commissionano a

MAKNO & C. una grande ricerca annuale sull’immagine della televisione:

l’Osservatorio sul sistema televisivo.

L’Osservatorio sull’immagine del sistema televisivo è una ricerca di carattere

continuativo sul rapporto fra il pubblico italiano e la Tv, focalizzata su tre filoni base:

1. il consumo televisivo in generale;

2. l’immagine delle reti;

3. l’immagine dei programmi e dei personaggi.

La ricerca è stata realizzata per la prima volta nel 1989 su un campione di 2000 cittadini

(dai 15 anni in poi) rappresentativo della popolazione italiana e da allora ripetuto tutti

gli anni. L’Osservatorio sul sistema televisivo in Italia, ideato dalla RAI, confinanziato

da Mediaset a partire dal 1993 e realizzato da MAKNO & C., costituisce quindi una

ricerca continuativa di monitoraggio che ormai fa parte del sistema informativo di

marketing di entrambi i protagonisti del mercato televisivo.

Il questionario utilizzato comprende una parte centrale riproposta in modo pressoché

costante nel tempo, cui sono affiancate, nelle varie edizioni, sezioni specifiche di

approfondimento degli snodi problematici volta a volta più rilevanti.

L’immagine delle reti, dei generi televisivi, dei programmi, dei personaggi e, più in

generale la struttura, le modalità e i valori del consumo televisivo vengono rilevati,

analizzati ed interpretati, permettendo anche di generare le serie storiche di numerosi

indicatori attinenti ai filoni costanti d’indagine e di sviluppare analisi di tendenza.

L’ingresso di nuove forme di comunicazione rese possibili dalla digitalizzazione, la

crescita esponenziale dei costi per l’acquisto dei diritti per la trasmissione delle partite

di calcio, le attuali difficoltà di alcuni generi televisivi, come il varietà, l’aumento di

peso di altri, come la fiction in primo luogo, e la stessa perdita di significato di alcune

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linee di demarcazione tra generi sono tutti fenomeni che incrinano la relativa stabilità

pregressa del nostro sistema televisivo e che meritano di essere analizzati (Abis M.,

Bossi V., Carullo A., 1999).

La RAI è stata una delle prime aziende a fare ricerca: ricerca di mercato, ricerca sui

linguaggi e ricerca di gradimento. Erano gli anni ’50 e parlare di ricerca era ancora un

discorso per pochi mentre i primi istituti demoscopici cominciavano solo allora ad

operare. Oggi fare ricerca è diventato una realtà, oltre che una necessità, per ogni

azienda e la RAI, in particolare, ha completato il percorso di rafforzamento delle proprie

capacità conoscitive, di centralizzazione e razionalizzazione delle attività di intelligence

all’interno di una sua struttura, al fine di mettere a disposizione indicazioni utili. Tali

dati consentono inoltre all’Auditel di conoscere con profondità il rapporto tra domanda

ed offerta di televisione e di contribuire così alla qualità della programmazione.

Soltanto pochi anni fa, il nostro immaginario televisivo era in bianco e nero e si

accontentava di poche ore al giorno di televisione da seguire su due soli canali; i

genitori mandavano a letto i figli dopo Carosello, poi è arrivato il colore. Nel settore dei

media italiani però, la vera rivoluzione l’ha portata la Tv commerciale. La pubblicità

televisiva, liberata dai “Caroselli” ha fatto da volano alla nostra economia,

moltiplicando gli investimenti di grandi e piccole aziende su tutti i media, trasformando

e migliorando la stessa comunicazione pubblicitaria; contemporaneamente ha anche

accresciuto la consapevolezza del telespettatore, portandolo ad avere un rapporto più

maturo ed informato con i consumi.

Società italiana e televisione si sono evolute, l’una influenzata dall’altra. La

concorrenza dei network privati e, soprattutto di Canale 5, Italia 1 e Retequattro ha

fortemente influito sul sistema televisivo italiano, stimolando creatività ed innovazione

per restare al passo del cambiamento delle esigenze del pubblico, finalmente libero di

scegliere il programma preferito nel ricco panorama di reti a disposizione.

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Immediatamente salta agli occhi la centralità della televisione generalista, la quale

deriva anche dall’immagine che il mezzo televisivo ed i suoi personaggi hanno presso il

pubblico, dal legame che lo lega a chi ne fruisce, dalla forza di coesione che genera e,

dal ruolo di socializzazione che svolge. La televisione generalista e i suoi contenuti

saranno dunque sempre centrali per il sistema. Film, telefilm, inchieste, news e talk

show continueranno ad essere i grandi protagonisti di quella “fabbrica

dell’immaginario” che è e sarà sempre la Tv, qualsiasi sia il mezzo attraverso il quale

entra nelle nostre case.

276

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8.1. Le macrotendenze del mercato televisivo

Gli ultimi dieci anni circa di televisione costituiscono un periodo di importanti

trasformazioni del mercato televisivo e, più in generale, del sistema della comunicazioni

di massa nel nostro paese.

In tempi recenti, si è notato che la televisione sta diventando un mezzo fruito a livello

sempre più individuale; questo fenomeno ha principalmente tre cause:

1. la frammentazione dell’offerta, che rende disponibile una molteplicità di canali e

di generi tale da sollecitare interessi diversificati;

2. una diversa concezione della famiglia maggiormente disgregata e più

sporadicamente radunata attorno al “focolare domestico”;

3. l’aumento nel rapporto tra numero di televisori e componenti della famiglia,

dovuto sì alla riduzione della dimensione delle famiglie, ma soprattutto

all’aumento del numero di apparecchi televisivi.

Negli anni ’90, con la saturazione della crescita economica, la domanda si sposta da una

logica di prodotto a una logica di servizio, seguendo un bisogno complesso ed

articolato, guidato principalmente dalla variabile più scarsa, e cioè la variabile tempo; si

ricercano attributi intangibili vicini alla cultura dell’individuo; diventa cruciale il

posizionamento politico, religioso, etico e valoriale del singolo bene; il target diventa il

singolo individuo, che non si può raggruppare in segmenti omogenei semplicemente

sulla base di variabili strutturali, ma che si classifica sulla base dei gusti e del consumo.

Ciò si sta verificando anche per il mercato televisivo; di conseguenza, per le emittenti

televisive ci si trova di fronte alla necessità di studiare nuovi modelli di segmentazione

di mercato al fine di comporre la propria offerta in modo diversificato sulla base di

questa nuova articolazione della domanda.

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Inoltre, si è notato che l’autoreferenzialità della televisione è diventata un fenomeno

sempre più rilevante e diffuso.

Vi è autoreferenzialità sia nell’offerta che nella domanda. Per quanto riguarda l’offerta,

numerosi studi mostrano come la televisione sempre più di frequente parli di se stessa e

promuova se stessa. Vi è peraltro autoreferenzialità anche dal punto di vista del

telespettatore: aumenta, infatti, nell’ambito delle fonti informative sui programmi

televisivi, il peso di Televideo, delle annunciatrici e dei messaggi promozionali, a spese

della stampa tradizionale e delle guide televisive, al punto da poter affermare che la

fonte informativa più utilizzata sulla televisione è oggi la televisione stessa.

L’Osservatorio ci dimostra infatti che la fonte informativa più frequentemente utilizzata

sulla programmazione televisiva è lo zapping (26,4% delle risposte), seguita dal

Televideo (23,6%), mentre un certo rilievo hanno pure le annunciatrici (16,4%) ed i

promo televisivi (13%).

Non si può dimenticare, infine, tra le principali macrotendenze oggi in essere, la

progressiva crescita delle nuove forme di televisione, a pagamento (pay-tv e pay-per-

view) digitali, trasmesse via cavo o tramite satellite, tematiche, a spese della classica

televisione gratuita, analogica, via etere, generalista.

Certamente la televisione generalista non ha per il momento i giorni contati. E’ inoltre

da chiedersi in che misura la televisione interattiva costituisca di per sé parte integrante

del sistema mass-mediatico: va considerato infatti che la capacità di scelta dei servizi

offerti e del momento in cui disporne la rende un’attività di tipo individuale e, in un

certo senso, asociale.

Un programma televisivo trasmesso via etere può essere un’esperienza condivisa in

tutto il mondo, mentre ciò non avverrà mai per l’interattività e la multimedialità.

La capacità di guardare un programma in un momento specifico scelto dall’utente e non

dai responsabili del palinsesto, potrebbe rappresentare un cambiamento significativo

nello stile di vita una volta che la televisione interattiva si sia diffusa su larga scala.

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Questo fattore inciderà sull’ulteriore sviluppo della televisione interattiva: poiché gli

esseri umani sono animali sociali, una parte rilevante di essi potrebbe preferire a

un’esperienza tecnicamente superiore, ma individuale, un’esperienza condivisa.

8.2. Dieci anni di Osservatorio TV tra bilanci e previsioni

Sulla base delle osservazioni curate dalla Direzione Marketing di Mediaset (RTI), i cui

componenti, con il loro impegno e la loro sensibilità, si spingono sempre oltre la banale

contabilità della “guerra degli ascolti” (chi vince e chi perde) e sanno trarre validi

insegnamenti umani e professionali tanto dalle vittorie quanto dalle sconfitte, è possibile

affermare che i cambiamenti che hanno interessato da più di dieci anni a questa parte la

televisione si sono fatti sentire pesantemente.

Dieci anni fa Canale 5, Italia 1 e Retequattro avevano circa un decennio di vita. Un

decennio segnato dal contrasto tra le crescenti simpatie popolari per il fenomeno

dell’emittenza privata e le lentezza della macchina legislativa, in affanno sui tempi di

messa a punto di regolamenti in grado di accogliere e comprendere il continuo sviluppo

del settore delle telecomunicazioni, ma soprattutto, circa dieci anni fa Canale 5, Italia 1

e Retequattro non avevano i telegiornali e trasmettevano ancora in lieve differita gli

incontri sportivi, eventi musicali e ogni altra manifestazione che meritasse l’attenzione

delle cronache.

Pochi lo ricordano, tale è stato il radicamento che i notiziari delle reti Mediaset si sono

conquistati negli ultimi anni, ma i famosi “eventi dell’89” (la caduta del muro di Berlino

e dei regimi dell’Est europeo) così come la rivoluzione di Pechino, le vittorie di Azzurra

e la Coppa del Mondo dell’82, le Tv private hanno potuto raccontarli solo in differita.

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Per dieci anni alle Tv private è stato impossibile essere vere televisioni (il che significa

entrare nel vivo degli avvenimenti, spalancare nuovi orizzonti davanti agli occhi dei

telespettatori, informare e contribuire a formare gli italiani). Questo non significa che

non vi siano stati tentativo di dare al pubblico anche lo sport e l’informazione, tuttavia

la cifra delle reti Mediaset non poteva che essere prima di tutto l’intrattenimento, un

genere gradevole e gradito al pubblico, ma pur sempre “un” genere.

Nella notte del 15 gennaio 1991, le reti Mediaset con un programma speciale chiamato

“Studio Aperto”, sono entrate definitivamente nell’era della diretta Tv.

Successivamente sono state varate le quattro testate giornalistiche Mediaset (Tg5,

Studio Aperto, Tg4 e Studio Sport) e servizi quali il meteo e il teletext (Mediavideo), la

diretta domenicale della Santa Messa (su Retequattro), le dirette elettorali (proprio il

Tg5 ha sperimentato per la prima volta in Italia la tecnica degli exit poll) e diversi

programmi in grado di trattare l’attualità.

Analogamente, lo sport ha trovato ampio spazio anche sulle reti Mediaset con le partite

di calcio e soprattutto con la Champions League. Con la diretta, anche l’intrattenimento

è potuto diventare più emozionante, aprendo lo spettacolo all’alea dell’imprevisto e

consentendo l’interazione con il pubblico a casa.

Una tappa fondamentale dello sviluppo televisivo è stata la legge Mammì, la quale,

dopo 15 anni di incertezza legislativa, durante i quali ogni imprenditore televisivo ha

dovuto sostenere “al buio” ingenti investimenti per affermarsi a sostenere il difficile

confronto con il Servizio Pubblico, ha sancito il principio delle pari dignità di tutte le tv

italiane. Lo Stato concede di utilizzare l’etere a tutte le aziende dotate di precise

prerogative sia economiche che editoriali e una volta ottenuta la concessione a

trasmettere, tutte le reti acquisiscono pari diritti e pari doveri.

Il risultato del referendum sulla Tv ha mostrato che gli italiani non desiderano rimettere

in discussione l’assetto del sistema televisivo, ma considerano soddisfacente quello

attuale, modellato dalle preferenze del pubblico e degli investitori pubblicitari. Il

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Referendum ha dimostrato altresì che per il pubblico italiano le Tv private sono

diventate un patrimonio irrinunciabile.

In ogni caso il processo di “istituzionalizzazione”, dall’interno di Mediaset, è stato

vissuto anche secondo altri punti di riferimento: la possibilità di dare completezza alla

programmazione offrendo un miglior livello di servizio ai telespettatori; la possibilità di

soddisfare le domande di un pubblico diventato sempre più esigente, critico e maturo; la

possibilità di mettersi alla prova innovando il modo di trattare generi quali

l’informazione o lo sport.

L’istituzionalità passa anche attraverso la disponibilità ad impegnarsi nel sociale

(Mediaset svolge infatti da anni una sistematica attività a favore delle organizzazioni no

profit, aiutandole a produrre le loro campagne di comunicazione) e attraverso al

capacità di esercitare un autocontrollo sui propri contenuti.

Il pubblico ha premiato questo arricchimento dell’offerta Mediaset, visto che, come

rivela l’osservatorio MAKNO sull’immagine del sistema televisivo, i telespettatori che

dichiarano di seguire solo le reti Mediaset, trovandovi un’offerta esaustiva, sono passati

in un decennio dal 4% al 13%.

In dieci anni la Tv, in generale, e le reti Mediaset, in particolare, sono cambiate

profondamente, ma anche il pubblico ha subito profondi cambiamenti. La “casalinga di

Voghera” oggi è senz’altro più smaliziata. La meraviglia per il “luccicante mondo della

Tv” è stata sostituita da un atteggiamento più competente, distaccato e critico. Solo il

pubblico più anziano e con minore istruzione considera ancora la Tv come una mera

fonte di compagnia, mentre l’atteggiamento delle altre categorie sociali è decisamente

più attivo e pragmatico.

La variabile chiave per capire il telespettatore di domani sarà il tempo. Tempo

lavorativo e tempo libero si mescolano e la Tv entra nelle case solo se e quando piace,

se e quando interessa, se e quando accende passioni. Insomma, nel frattempo anche la

famosa casalinga ha acquistato dimestichezza con il mezzo televisivo ed è diventata più

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curiosa ed esigente, oltre che più insofferente rispetto alle offerte ritenute non all’altezza

delle proprie aspettative.

L’Osservatorio MAKNO mostra inoltre come l’analisi delle serie storiche consenta di

evidenziare alcune tendenze piuttosto nette: l’ascolto televisivo si frammenta

(specialmente attraverso lo zapping), si diffonde nelle varie stanze dell’abitazione

(ormai solo una famiglia su tre dispone di un televisore solo) e si individualizza.

Resta da capire se queste tendenze preludano ad una generale perdita di peso della Tv

generalista (il modello televisivo praticato tanto dalla RAI quanto da Mediaset) a

vantaggio di reti tematiche (magari in versione pay o pay- per-view). In realtà, a oggi, la

Tv generalista sta dando prova di ottima salute (tra il 1997 e il 1998 l’ascolto televisivo

è aumentato sia in termini di “contatti” – chi ha visto la Tv per almeno un minuto -, sia

in termini di “minuti visti” ogni giorno dal telespettatore medio). Stando alle stime degli

esperti, le Tv tematiche in digitale assumeranno un’importanza economica di tutto

rilievo, tuttavia non dovrebbero sostituire, ma integrare l’offerta delle reti generaliste

che continueranno ad offrire al minimo costo la massima varietà d’offerta.

Semplicemente dovrebbe aumentare l’esposizione a tutti i media tout court.

Certamente molto dipenderà anche dai contenuti che la Tv generalista saprà veicolare in

futuro, dalla loro originalità, dalla loro innovatività e dalla capacità che avranno di

garantire alle famiglie svago ed informazione, proprio perché il livello di raffinatezza

del pubblico televisivo e della sua domanda è cresciuto enormemente.

282

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8.3. Le preferenze degli spettatori

Se è vero, ad esempio, che nel 1998 quasi il 60% degli utenti si dice “abbastanza

soddisfatto” dei programmi televisivi, è anche vero che, di converso, un’altra porzione

piuttosto ampia li subisce passivamente. Consuma per “abitudine”, o perché “non sa

cosa fare” o per “occupare” il tempo libero, senza contare coloro per i quali il televisore,

prima o poi, si riduce a rumore di fondo. Alla base di queste scelte sta tutto un clima

ideologico che si riversa sulla televisione come prassi sociale o come forma ratificata di

alienazione: c’è, allora, chi motiva i propri giudizi sostenendo che la televisione lo

“rilassa” (43%), o che gli “tiene compagnia” (37%), o che ne guadagna in “cultura”

(28%) e c’è, perfino, chi attribuisce alla televisione le più ardue virtù, come quella di

permettere di “stare insieme” (4,4%) e di ”stimolare la conversazione” (3,2%). Se si

percepisce un calo di tensione nel rapporto con la televisione, si preferisce attribuirne la

causa ad un lavoro che si è fatto più impegnativo (30%), piuttosto che al venir meno

dell’interesse per i programmi trasmessi (27%).

Viste dalla parte di chi produce valori tramite un mezzo di comunicazione socialmente

capillare, queste sono le condizioni che via via si pongono come presupposto della

comunicazione stessa.

Per quanto riguarda le tipologie di programmi che gli spettatori preferiscono si

segnalano alcune tendenze. Continuano ad aumentare i giudizi positivi nei confronti del

film che, come genere, è percepito come un prodotto totalmente autonomo dall’apparato

produttivo della televisione. Con metà dei voti rispetto al film, cresce l’apprezzamento

dei telegiornali, ma non brillano i programmi di approfondimento dell’informazione e

dell’attualità. Il “varietà” è in calo, ma sono anche in atto alcuni tentativi di ibridarne il

genere tramite la spettacolarizzazione della cronaca privata e dei travagli domestici;

283

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mentre il talk show e i vari giochi a quiz guadagnano qualche affezionato in più, un

progresso particolarmente significativo è toccato allo sport.

Il pubblico che segue lo sport si è ormai consolidato intorno a valori che sfiorano il

60%, ma, chiaramente, è l’evento sportivo ad interessare, e non quell’insieme di

trasmissioni, dove lo spettacolo della polemica e la “chiacchiera sportiva” hanno

sostituito l’analisi tecnica. Il calcio, notoriamente, abita più di altri sport l’immaginario

collettivo, perché può vantare una struttura simbolica forte non disgiunta dall’impatto

televisivo. Sci, tennis e pallavolo, per esempio, sono più vincolati al momento da certi

personaggi specifici che non risultano di immediata sostituibilità come i loro

corrispettivi del calcio. Soltanto così si spiega la disaffezione improvvisa nei confronti

del tennis che, ad esempio, dal 1996 al 1997 passa dal 22% al 14% delle preferenze, o

certe curiosità impreviste nei confronti dello sci che, nel medesimo periodo, passa dal

35,5% al 44,4%. Lo sport e lo spettacolo sportivo sono dunque diventati la narrazione

popolare più rilevante grazie alla televisione.

Per quanto riguarda la pubblicità, già alcuni aspetti quantitativi del fenomeno risultano

chiaramente indicativi: dai primi anni Ottanta al 1994 (secondo i dati Nielsen

Nasa/Nbi), il numero degli annunci pubblicitari televisivi nei canali della RAI è quasi

quintuplicato e quello nelle televisioni cosiddette “commerciali” sono settuplicati. Il

dato è ancora più significativo se letto alla luce della concorrenza nella raccolta

pubblicitaria fra stampa e televisione. Dopo anni di subalternità, infatti, le reti

commerciali hanno eguagliato e sopravanzato il totale degli investimenti nella stampa e

la RAI, da sola, ne ha raccolto più della metà.

Una presenza quantitativa di tale portata non poteva mantenere “intatta” l’ormai

tradizionale interazione comunicativa con l’utente. Da lì, la ricerca di nuove tecniche di

marketing, di nuovi linguaggi persuasivi e la ristrutturazione di tutti i programmi per

forme, contenuti e loro sequenzialità nel tempo dello spettatore.

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ORARI DI ASCOLTO DEI TG

1992 (%) 1997 (%) 1998 (%) 1999 (%)

Mattina 11.6 18.7 30.2 30.9

Ora di pranzo 60.8 71.8 74.8 76.4

Tardo

pomeriggio

12.3 17.0 16.4

Ora di cena 86.9 88.1 88.8 88.1

Tarda

sera/notte

15.7 16.3 22.9 27.1

FREQUENZA DI ASCOLTO DEI TG

1992 (%) 1997 (%) 1998 (%) 1999 (%)

Tutti i giorni 76.7 83.0 85.9 86.0

3 – 4 giorni alla

settimana

16.0 8.6 7.4 7.4

1 – 2 giorni alla

settimana

5.1 3.1 2.8 3.0

Mai, quasi mai 2.2 5.3 3.7 3.8

285

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TG - PRINCIPALI MOTIVAZIONI DI PREFERENZA

1997 (%) 1998 (%) 1999 (%)

Completezza e

varietà

32.0 34.0 34.4

Chiarezza e

comprensione

28.9 28.4 32.7

Comodità orario 27.9 23.5 24.2

Conduttori/giornalisti 23.7 22.1 21.5

Abitudine 18.0 12.4 12.8

Approfondimento 15.5 15.5 17.6

Obiettività 12.4 14.6 15.2

PROGRAMMI PREFERITI

1995/96 (%) 1997 (%) 1998 (%) 1999 (%)

Film 57.1 63.9 67.4 68.8

Tg 31.5 31.0 34.8 36.6

Varietà e spettacolo 23.2 19.9 14.1 13.7

Documentari 19.3 24.5 28.7 25.4

Informazione/attualità 19.0 20.8 19.2 20.4

Riprese sport 14.9 16.4 20.5 17.1

Programmi culturali 13.5 13.0 11.0 11.5

Rubriche sportive 11.1 13.2 10.3 9.6

Quiz/giochi 9.8 11.4 12.4 12.9

Talk show 8.6 9.4 11.2 7.4

286

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FREQUENZA DI ASCOLTO DEI PROGRAMMI SPORTIVI

1991

(%)

1992

(%)

1993

(%)

1995/96

(%)

1997

(%)

1998

(%)

1999

(%)

Più volte alla

settimana

20.6 22.5 21.6 24.1 26.1 24.7

Il sabato e la

domenica

5.0 7.0 5.9 6.3 5.7 7.3

Solo il sabato 0.3 0.4 0.3 0.0

Solo la domenica 11.5 11.9 9.9 12.9 11.9 8.1 8.1

Saltuariamente 15.7 14.0 14.6 14.8 15.6 16.7 15.6

Mai/quasi mai 43.8 48.5 46.0 44.5 41.7 42.3 44.2

287

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SPORT SEGUITI IN TV

1990

(%)

1991

(%)

1992

(%)

1993

(%)

1994

(%)

1995/96

(%)

1997

(%)

1998

(%)

1999

(%)

Atletica

leggera

10.7 9.6 8.0 11.3 5.7 6.0 7.6 8.5 7.9

Automobilismo 20.2 21.5 16.8 18.2 20.9 17.9 23.8 19.0 42.4

Calcio 87.4 87.1 83.3 84.0 85.0 84.2 84.0 85.0 84.1

Ciclismo-

strada e pista

9.8 12.5 11.2 13.7 11.2 12.2 15.1 18.7 21.3

Ginnastica

artistica –

ritmica

2.3 3.1 1.9 1.0 0.8 1.4 1.6 1.5

Motociclismo 3.2 2.1 3.0 3.2 3.2 1.8 4.3 4.4 9.0

Nuoto 1.9 2.0 2.2 2.4 1.9 2.3 3.7 4.0

Pallacanestro 12.5 10.8 9.2 11.3 10.3 10.6 9.1 9.5 8.2

Pallanuoto 7.9 0.6 0.3 0.3 1.1 1.6 0.4

Pallavolo 10.1 9.0 8.9 11.6 10.3 8.7 9.1 8.5 7.6

Pattinaggio su

ghiaccio

2.5 3.4 2.2 2.5 2.6 3.8 2.7

Pugilato 20.6 15.0 9.1 7.2 6.7 6.6 5.8 8.1 6.7

Sci 19.5 13.8 27.5 39.7 33.6 35.5 44.4 42.9 14.3

Tennis 16.2 21.0 16.8 16.1 11.5 22.0 14.1 13.7 13.4

BASE (% SUL

CAMPIONE)

60.0 53.2 51.5 54.0 56.6 55.5 58.3 57.7 44.5

Nota: il totale è superiore al 100% perché la domanda prevedeva fino a 3 possibilità di risposta. Sono

riportati solo gli sport segnalati da almeno l’1% degli intervistati

288

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COSA VORREBBE DI DIVERSO

1998 (%)

Programmi

informativi/culturali/educativi/scientifici

44

Più film 16

Meno pubblicità 15

Più imparzialità e sincerità 14

Più musica – teatro – arte 11

Meno violenza 10

Programmi più seri e impegnativi 10

Programmi meno aggressivi e superficiali 8

Più sport – meno calcio 6

Programmi più innovativi 6

Più programmi di intrattenimento 5

Meno speculazione sui casi umani 2

Meno talk show 2

BASE (% SUL CAMPIONE) 14

Nota: la base di riferimento della domanda è costituita dagli intervistati che vorrebbero qualcosa di

diverso dalla Tv

289

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9. Ricerca sugli spettatori italiani

L’Osservatorio sulla Comunicazione dell’università Cattolica del Sacro Cuore di

Milano ha svolto nel corso del triennio 1999-2001 una serie di indagini sulle audience

su commissione della Direzione Marketing RTI (Mediaset).

Le ragioni della committenza discendono essenzialmente dalla crescente

insoddisfazione che gli operatori del marketing televisivo avvertivano per alcuni

approcci tradizionali al pubblico, ai suoi gusti e ai suoi comportamenti di consumo.

I risultati di tali indagini, condotte secondo una prospettiva in grado di integrare lo

studio sociostorico dell’industria culturale, l’indagine qualitativa sui consumi e l’analisi

semiotica dei testi, hanno messo in evidenza i profili del pubblico televisivo e il

bagaglio esperienziale con cui ci si relaziona al medium televisivo (Aroldi P., Colombo

F., 2003).

Sono state individuate e testate sinteticamente quattro coorti generazionali, a cui è stato

assegnato un nome definitorio, il quale esprime per suggestione l’atteggiamento

attualmente assunto nei confronti del mezzo.

I Nostalgici sentimentali (nati fra il 1945 e il 1952)

Questa prima coorte generazionale ha vissuto la propria fase formativa fra il 1958 e il

1967. Si tratta di una fase compresa fra gli inizi del boom economico e gli inizi della

contestazione studentesca. In questa fase, assai articolata, la società italiana è percorsa

da mutazioni strutturali: si pensi all’industrializzazione e alla crescente mobilità sociale,

nonché in generale alla diffusione di beni e pratiche sino a quel momento elitarie.

Inoltre i giovani, sia perché naturalmente aperti alle profonde modificazioni in atto nella

società, sia perché divenuti destinatari di strategie di offerta e di comunicazione,

cessano di essere semplicemente adulti in formazione, per divenire sotto molti aspetti un

vero e proprio gruppo sociale, caratterizzato da mode, stili di vita e comportamenti

290

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propri. Ne discende un differente atteggiamento nei confronti dei media, che per molti

adulti rimangono una sorta di universo culturale parallelo alla cultura vera e propria,

mentre per i giovani sono un vero brodo di cultura entro il quale crescere.

L’offerta dell’industria culturale in questa fase risente largamente di questa progressiva

diversificazione del mondo giovanile, mentre il medium intergenerazionale costituito dal

cinema propone, in un’offerta assai vasta e ramificata, anche alcune produzioni

tipicamente nazionali in cui la fruizione giovanile e adulta si sovrappongono.

Si può dire che la televisione costituì una solida via di mezzo fra le alternative

rappresentate dalla musica e dal cinema: mezzo ancora saldamente familiare, la Tv

parlava al nucleo intero, ma di volta in volta sapeva costruire isole di programmazione

per i più giovani. Esemplare da questo punto di vista la fortunata Tv dei ragazzi, in una

fascia-contenitore di metà pomeriggio che presentava serie di fiction, documentari,

giochi-varietà in una prospettiva di intrattenimento pedagogico. Il caso più interessante

è costituito comunque da Carosello, la trasmissione pubblicitaria costruita con un

formato molto rigido e vincolante, inizialmente progettata per le consumatrici e in

seguito sempre più consapevolmente trasformata in siparietto per bambini.

I Nostalgici critici (nati tra il 1953 e il 1965)

Questa seconda coorte generazionale ha vissuto la propria fase di formazione in un

periodo compreso tra il 1968 e il 1980. Il periodo in questione è segnato da grandi

trasformazioni del Paese, e in generale da una lunga crisi economica, politica e

culturale, anche a causa delle vicende internazionali (ad esempio la crisi energetica

successiva alla guerra del Kippur).

Sul piano dei soggetti sociali, il decennio vede l’emergere della soggettività femminile,

che si esprime sul piano politico e culturale, con ricadute anche sul versante dei

consumi culturali. Soprattutto per le donne, i media e i loro prodotti entreranno in un

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universo di scelte consapevoli, che possono trasformare il consumo in ricezione

culturale vera e propria.

Le diete mediali di questa coorte sono caratterizzate da un forte legame con un

sentimento di appartenenza sociale, politico e culturale: cantautori, saggistica,

controinformazione e cinema d’essai non sono solo proposte e consumi di uno e più

pubblici definiti, bensì una sorta di matrice riconoscibile di uno stile entro certi limiti

condiviso. Talmente condiviso che fenomeni come la diffusione della disco-music

vivono per qualche tempo sottotraccia nella percezione di osservatori attenti alle

trasformazioni in atto.

Il cinema comincia a manifestare l’aggravarsi dell’emorragia di spettatori nelle sale che

segnerà la svolta nel sistema complessivo dell’offerta cinematografica; accanto alla

tradizione del cinema d’autore, continua il successo del cinema comico o di un certo

nuovo “seriale d’autore” e dei blockbuster americani.

Per quanto concerne la televisione, vanno rilevati da un lato il tardivo pronunciamento

della magistratura sulla legittimità dell’emittenza privata a fronte di un sistema

decisamente misto; dall’altro una riforma della RAI che farà della Tv di Stato qualcosa

di profondamente diverso dal periodo precedente, in grado di produrre nel decennio

successivo innovazione e sperimentazione. Ma questa innovazione è di là da venire e il

mezzo televisivo rimane un po’ in ombra, in questa fase, a parte la prosecuzione

fortunata di modelli e serie in qualche modo ancora appartenuti a una tradizione

consolidata nel periodo precedente.

I Razionali storici (nati fra il 1966 e il 1978)

La terza coorte generazionale ha vissuto la propria fase di formazione in un periodo

compreso fra il 1981 e il 1992. Il periodo in questione segue il ricomporsi della lunga

crisi sociale degli anni Settanta e ne anticipa un’altra: quella del crollo della prima

repubblica, della fine dei grandi partiti protagonisti della vita politica nazionale e della

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nascita di uno scenario politico e co-istituzionale per molti versi nuovo. Gli anni Ottanta

furono per il nostro Paese un periodo di abbandono delle grandi ideologie, di relativo

benessere economico, di definitiva terziarizzazione e di diffusione del modello

finanziario come possibile via al successo e all’ascesa economica. Alcuni fenomeni di

tribù metropolitane giovanili, come i Paninari e adulte come gli Yuppies, diedero un

tono insieme conformista e ottimistico al decennio, creando un mood in cui si inseriva

l’offerta dell’industria culturale nazionale, in cui l’espansione della Tv commerciale

consentiva un nuovo ciclo di importazione di cultura americaneggiante (si pensi a

Dallas e a Dynasty), e in cui in generale anche la stampa cominciava a inseguire una

certa televisizzazione, con formati sempre più influenzati dalle necessità degli

inserzionisti pubblicitari.

Ma, in generale, accanto a questa impronta fortemente americana e fondata sul

marketing, non mancavano offerte differenti (si pensi all’avvento delle “anime”

giapponesi, prima vera alternativa al cartoon disneyano), con una nuova creatività

presente nei vari media attraverso un mix del tutto inedito caratterizzato dalla sensibilità

al mercato e dalla volontà di sperimentazione.

I nuovi modelli di consumo non separano tanto i giovani dai meno giovani, le donne

dagli uomini, quanto piuttosto all’interno delle generazioni e dei generi a partire da

scelte complessive, con un’accettazione diffusa dei modelli in cui comunque ogni forma

di consumo ha a che vedere con un apparire che dice qualcosa dei soggetti e del loro

essere, non soltanto del loro avere. Esemplare è la centralità della moda, che testimonia

di un sentire diffuso, che va al di là della singola scelta di acquisto e di abbigliamento.

Per quanto riguarda i media, si può dire da questo punto di vista che la centralità

assoluta della Tv, che fa nel nostro Paese il mezzo dominate, riguarda da un lato i suoi

aspetti economici e proprietari: si pensi alla scalata della Mondatori, che vede il gigante

editoriale italiano entrare nell’orbita di Mediaset inaugurando una nuova forma di

concentrazione editoriale nel nostro Paese.

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Dall’altro canto, tale centralità ha a che vedere con atteggiamenti più impalpabili, ma

altrettanto significativi, come la perfetta sintonia fra un mezzo cambiato sotto il profilo

tecnico e culturale e una società in rapidissima mutazione.

I Razionali disincantati (nati fra il 1979 e il 1985)

Quest’ultima coorte generazionale ha vissuto al propria fase di formazione in un periodo

compreso fra il 1993 e il 2000. Per questa coorte, dunque, il processo di socializzazione

televisiva è in corso. Tuttavia, vista l’ampiezza del lasso temporale preso in

considerazione e la rapidità dei mutamenti di gusto e di comportamento, è possibile

riconoscere, nei più adulti fra questi ragazzi, alcuni elementi che fanno già pensare a un

utilizzo retrospettivo del consumo televisivo.

Non vi è dubbio che questa fase sia segnata dalla trasformazione della politica (la prima

legislatura eletta con sistema parzialmente maggioritario e la vittoria del nuovo soggetto

politico creato da Berlusconi appartengono a questo periodo), mentre sul piano sociale

si riscontra nel mondo giovanile e negli atteggiamenti di consumo, il consolidamento di

tribù, caratterizzate da forme di identità segmentata attraverso processi che integrano

fortemente il consumo nella vita, ma che innervano pure il consumo di scelte sempre

più consapevoli e mirate. Si diffondono così fenomeni cult nel cinema (Matrix), nella

letteratura (Tamaro), nella televisione (MTV), accanto a pratiche ludiche (la

Playstation) o relazionali (il telefono cellulare). Questi fenomeni generazionali si

sposano però con un forte ritorno alla famiglia, regolato da nuovi patti di convivenza fra

genitori e figli, con maggiore libertà per questi ultimi.

Sul piano dell’offerta culturale, il panorama si modifica radicalmente: basta ricordare la

diffusione dei cellulari, dei computer, di Internet e dei DVD. Ne si può dimenticare il

ruolo esercitato dalla televisione a pagamento e/o satellitare nel trasformare la

percezione del piccolo schermo. Naturalmente questa offerta finisce per dar vita ad

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alcune segmentazioni fondate sulla disponibilità di spesa, creando nuove nicchie di

consumo, sempre più articolate.

In generale, finisce l’era della centralità della Tv generalista. Il mezzo continua a

svolgere un importante ruolo di leader per quanto concerne gli investimenti pubblicitari,

ma i contenuti più importanti (il cinema di prima visione e lo sport) gli vengono

progressivamente sfilati. Si afferma invece la fiction come colonna vertebrale della

programmazione, in un panorama di format sempre più simili e in una caduta

abbastanza consistente della creatività.

Quattro idee di televisione

Si può passare ora a valutare gli atteggiamenti dei soggetti testati in relazione alla Tv

come mezzo. Sotto questo profilo le quattro coorti generazionali possono essere

raggruppate in due coppie.

La prima coppia è costituita dalle due generazioni più anziane, i cui rappresentanti

possono essere raggruppati sotto la definizione di Nostalgici. Gli spettatori di questa

coppia non soltanto manifestano un ricordo assai preciso della televisione della propria

giovinezza (basta infatti nominare un genere, un programma o un personaggio perché si

scateni una rincorsa memoriale piena di piacere e stupore: riemergono soprattutto gli

sceneggiati e i varietà), ma sono sostanzialmente d’accordo nell’attribuire a quella Tv,

monopolista e in bianco e nero, un primato di qualità rispetto alla Tv uscita dagli

scossoni della fine degli anni Settanta. Tanto è l’affetto per quella televisione in bianco

e nero che gli spettatori di queste generazioni manifestano un giudizio piuttosto duro

verso la grande trasformazione del panorama televisivo degli anni Ottanta,

caratterizzato dal colore, dal telecomando, dalla molteplicità e varietà dell’offerta mista

pubblica e privata. In realtà, i programmi di questa televisione sono ricordati anch’essi,

così da dimostrare una visione abitudinaria e abbastanza appassionata.

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Diverso è l’atteggiamento nei confronti della Tv degli anni più recenti. Qui si ha un

ritorno all’affetto; i programmi non soltanto vengono ricordati in maniera spontanea, ma

sono di nuovo inseriti in un’immagine complessiva del medium positiva. Si ha

l’impressione che la televisione del presente sia guardata come sfondo di un passato

mitico. Così, una fiction riuscita è per questi spettatori la riproposizione aggiornata dei

vecchi sceneggiati, sia per il suo stile e i suoi contenuti narrativi, sia per le modalità di

fruizione: viene guardata con i figli, così come durante la giovinezza veniva guardata

con i genitori.

Un fenomeno del tutto speculare si verifica per la seconda coppia di generazioni, che

comprende gli spettatori più giovani, e che si può riunire sotto la definizione di

Razionali. In questo caso è la televisione della fase monopolistica che viene rifiutata:

così il bianco e il nero diventa, per questi spettatori, un indicatore di povertà e

semplicismo di una programmazione del tutto obsoleta. Per queste generazioni la

limitatezza dell’offerta può solo significare un controllo eterodiretto sui consumi. I

Razionali non vivono la pubblicità come l’esplosione di una offerta comunicativa, ma

solo come un ambiente naturale di comunicazione, perfino divertente quando non

eccessivo ed enfatico.

Il cuore della memoria televisiva di queste due generazioni è costituita dalla

programmazione degli anni Ottanta, descritta come un’esplosione di vitalità e di

innovazione: è la Tv del colore non solo tecnologico, ma anche estetico ed emozionale,

così come la varietà dell’offerta diventa simbolo di libertà di consumo. Nel ricordo della

televisione della giovinezza (che per l’ultima generazione è particolarmente fresco), gli

spettatori di queste due coorti si dimostrano meno coinvolti in termini di nostalgia. Essi

tendono in particolare ad utilizzare forti competenze tecniche; riconoscono la Tv di oggi

come figlia della Tv degli anni Ottanta e mostrano una percezione individualistica della

fruizione. I programmi importanti per questi spettatori sono quelli che li hanno uniti ai

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coetanei, che li hanno fatti sentire partecipi di un gruppo da cui i più adulti erano in

qualche modo esclusi.

La frattura storica e simbolica che separa i Nostalgici dai Razionali conferma una

distinzione già da tempo assodata nel passaggio dal sistema monopolista a quello misto:

quella fra paleo e neotelevisione.

Una simile distinzione comporta due tipi di fruizione, di percezione e di memoria della

televisione assai diverse. In questo senso la distanza fra i Nostalgici e i Razionali

sembra legata alla svolta operatesi nel nostro Paese sul finire degli anni Settanta. Si può

provare a sostanziare gli elementi che hanno drammatizzato la differenza: l’avvento di

innovazioni tecnologiche; le trasformazioni del sistema in termini di contenuto

dell’offerta e della sua soggettività; il cambiamento del registro discorsivo. E’

esemplare la riarticolazione del palinsesto, il trionfo dell’autopromozione delle reti, la

suddivisione in fasce, persino la colonizzazione progressiva di tutto l’arco della

giornata. Bisogna segnalare anche la svolta interattiva di una Tv che permette dagli anni

Ottanta in poi l’accesso al pubblico attraverso le telefonate e poi, attraverso la

partecipazione alle trasmissioni come attore-comparsa e infine come attore protagonista.

Per quanto riguarda i Razionali, si riscontra nella coorte più anziana (gli Storici) un

atteggiamento più “caldo” e partecipe di quello che si riscontra nella più giovane. Per

gli appartenenti alla prima coorte, la Tv è un rifugio, che propone un’offerta ampia e

differenziata in una fase di crisi degli altri media. La fruizione del piccolo schermo si

caratterizza per alcuni fenomeni nuovi come i cartoons di provenienza giapponese,

Drive In di Antonio Ricci, le trasmissioni di Renzo Arbore, che si installano nella

memoria e che ancora oggi restituiscono il sapore di un periodo.

Non c’è quasi traccia di questo sapore nella coorte dei più giovani, che è stata definita

sotto questo profilo dei Disincantati. La Tv non è più percepita come mezzo centrale;

semmai, è ad altri mezzi che si guarda per cogliere le istanze nuove. All’interno

dell’offerta televisiva decolla la fruizione di MTV, di cartoons, di fiction e shows

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giovanili, in una scelta che tuttavia appare residuale, come se l’abitudine alla visione

della Tv fosse una sorta di obbligo che occorre riempire con quanto c’è di meno peggio,

anziché con proposte esaltanti.

Al di là delle differenze le prime generazioni delle due coppie manifestano almeno due

ordini di caratteristiche comuni: su un versante esse hanno vissuto la loro adolescenza

nella fase di affermazione della tecnologia televisiva. Certo, per i Nostalgici

sentimentali si trattava dell’affermazione del mezzo televisivo tout-court, mentre per i

Razionali storici la novità era costituita dalle innovazioni di colore e del telecomando.

D’altronde, le due fasi che hanno accompagnato la giovinezza delle due generazioni in

questione hanno in comune alcune caratteristiche sociali, legate a fasi diversamente

propulsive dell’economia: il boom per i Nostalgici sentimentali, la ripresa degli anni

Ottanta per i Razionali storici.

Di segno opposto è invece l’atmosfera che accompagnò l’approccio delle seconde

generazioni di ogni coppia al piccolo schermo: sul versante tecnologico, le fasi che

videro l’adolescenza dei Nostalgici critici e dei Razionali disincantati si segnalarono

come fasi di stabilizzazione e di assestamento, in cui il mezzo non presentava

sostanziali segnali di innovazione, e anzi attraversava una certa crisi di generi e

paradigmi.

Dalla sistematizzazione dei dati raccolti nelle due indagini con i focus group emergono,

quindi, differenti profili generazionali in cui è possibile segmentare il pubblico

televisivo rispetto ai contenuti della memoria televisiva, alle percezioni e alle

motivazioni del suo contenuto.

Iniziando dalle due generazioni dei Nostalgici, il primo tratto caratterizzante legato alla

sua memoria televisiva è la straordinaria facilità con cui i soggetti ricordano la

programmazione degli anni Cinquanta-Settanta, cioè la Tv fruita nell’età dell’infanzia e

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della giovinezza. Leggendo la mappa5 approntata dai Nostalgici dei prodotti televisivi

ricordati come i più significativi di questo periodo è interessante rilevare la

collocazione “anticipata” di un programma, Happy Days, molto più recente rispetto agli

altri citati, considerando che la prima puntata andata in onda in Italia risale al 1978. Tale

“suggestione” rivela qualcosa di legato alla capacità dei contenuti dei programmi

culturali di fondersi nella memoria e nell’identità di chi li fruisce. Happy Days si

inserisce nella mappa memoriale della televisione delle origini come chiave di lettura

che racchiude in sé quella visione nostalgica con cui le due coorti guardano al passato.

Allo “splendore” degli anni Settanta si sostituisce l’apparente rimozione della

televisione degli anni Ottanta6. Tali anni sono sanzionati negativamente come fine del

periodo mitico, a causa dell’avvio di una Tv senza contenuti e camaleontica. La

prospettiva nostalgica assegna, infatti, alla Tv commerciale la “colpa” dell’invasione

della programmazione americana e di una sovrabbondanza dell’offerta a scapito della

qualità. La disaffezione verso il periodo televisivo degli anni Ottanta si è quindi

esplicitata per l’identificazione negativa del decennio televisivo con l’inizio della

sovrabbondanza di un’offerta di programmi non di qualità.

Rispetto alla televisione attuale, la rievocazione di alcuni programmi – come Un medico

in famiglia, Caro maestro, La macchina del tempo, Commesse – è dettata dal

riconoscimento, e dal piacere ad esso legato, di un ritorno al passato, dell’affermarsi di

una televisione che, pur agendo secondo una logica di differenziazione dei target e

quindi a favore di un consumo individualistico, guarda alla sua storia promuovendo

anche programmi rinnovati nella tradizione.

Così, anche rispetto alla memorabilità delle storie televisive, la rievocazione dei

Nostalgici è guidata dal ricordo del gradimento della loro fruizione, in cui emerge

5 La cittadella, Il musichiere, Il conte di Montecristo, L’amico del giaguaro, Lascia o raddoppia?, Perry Mason, Carosello, Il dottor Kildare, Il commissario Maigret, I fratelli Karamazov ed Happy Days. 6 Apparente poiché, di fatto, sono vari e molteplici i consumi televisivi legati a questo decennio, tra cui i più menzionati sono Sentieri, Dallas, Dynasty, Anche i ricchi piangono, La smorfia, Quelli della notte, Indietro tutta.

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l’attitudine a rievocare storie di derivazione letteraria7, quale garanzia di contenuto e di

coinvolgimento.

Nel caso di Commesse, ad esempio, il tratto che viene evidenziato con più forza è la

vicinanza che i personaggi suscitano nel lettore, a partire dalla professione che svolgono

i protagonisti e dai problemi di vita quotidiana che affrontano in ogni puntata.

Passando al profilo del pubblico dei Razionali storici, la coorte dei 24-36enni, manifesta

una competenza nettamente superiore alle altre coorti nella capacità di ricostruire, a

partire dagli anni Ottanta, il quadro dell’offerta televisiva, tanto vasto grazie alla

diversificazione e individualizzazione dei ricordi dei soggetti, in conseguenza della

pluralità di scelta propria del sistema misto e dell’affermarsi di un consumo individuale.

Pur essendo la televisione degli anni Ottanta quella direttamente fruita durante

l’infanzia, non mancano riferimenti estemporanei ai programmi precedenti, filtrati dalle

repliche o dai racconti altrui8. L’immagine della Tv delle origini è costruita in base a

una percezione tendenzialmente negativa, in cui gli aspetti caratterizzanti sono costituiti

dalla situazione di monopolio e dalla conseguente povertà di programmazione, spesso

ricordata o pensata come nazional-popolare, intendendo con ciò la limitatezza dei

contenuti come anche il colore, il solo bianco e nero, che la governano. Gli anni Ottanta

sono visti come il momento della svolta positiva della Tv. Tale periodo diviene agli

occhi dei Razionali sinonimo di fantasia, libertà ed evoluzione, proprio grazie all’inizio

dell’era di una Tv più americana in cui la programmazione si è evoluta diventando

competitiva, propositiva, varia, divertente e addirittura frizzante. Come già per le

generazioni dei Nostalgici, sulla mappa memoriale dei Razionali si esercita una

distorsione, evidenziata in questo caso dalla collocazione di Twin Peaks, trasmesso in

Italia nel ’91, nella programmazione degli anni Ottanta. La citazione di tale telefilm

7 Tra le storie televisive che le due coorti di Nostalgici condividono nel loro bagaglio memoriale, quelle lette come “grandi” sono il genere giallo e in particolare Nero Wolfe e Maigret, Commesse, Moltalbano, La Piovra, Sandokan, Uccelli di rovo. 8 Come, per esempio, riportando sempre i più citati, Happy Days, Sandokan, Lassie, Furia, Scaccia pensieri, Orzowei, Spazio 1999, Hulk.

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sembra spiegarsi come esempio dell’affermarsi di contenuti originali e di forte impatto

sul pubblico.

Twin Peaks costituisce il capitolo conclusivo di un periodo arrivato alla sua piena

maturazione, che può giocare in modo consapevole sulla contaminazione e l’esibizione

di tutti quegli elementi di cui si sono nutriti gli anni Ottanta, fondendo insieme i generi

del thriller, del sentimentale, del fantastico e del drammatico in una ripresa che adotta

come sguardo privilegiato al rappresentazione del quotidiano secondo i modi della

fiction seriale.

La Tv di oggi9 è definita come ripetitiva, ancorata soprattutto ai programmi di fiction o

di real-Tv, spesso invadente e politicizzata, in cui ciò che determina la programmazione

è la “dittatura” dell’ascolto. I Razionali adottano ragioni più di tipo tecnico per scegliere

o apprezzare un programma, valutando la sua aderenza a modelli di contenuto

riconoscibili e rapportandosi alla Tv come ad un semplice apparecchio domestico di uso

quotidiano.

Infine, gli spettatori più giovani, cioè i Razionali disincantati: la coorte di nascita 1979-

1985 presenta una debole memoria televisiva. Questa non appare dovuta tuttavia

soltanto all’età anagrafica bensì, più profondamente, a uno scarso investimento emotivo

e cognitivo nei confronti del medium. La televisione direttamente conosciuta è solo

quella degli anni Novanta10, mentre l’immagine del passato deriva da ricordi altrui o da

repliche (come nel caso di Happy Days, Rin Tin Tin, Lassie). Con gli anni Ottanta, la

memoria rievoca la fruizione infantile di una Tv soprattutto fatta di cartoni animati e

percepita come ricca, americana, privata, dei quiz (fra i programmi più citati Holly e

Benji, Lady Oscar, Georgie, La ruota della fortuna). Questi soggetti mostrano da un

lato una stretta competenza tecnica nei confronti dei programmi di oggi, che li conduce

9 I programmi più menzionati sono Friends, La tata, Scherzi a parte, X-Files, i programmi della Gialappa’s, Hunter, Le iene, Commesse, Lupin III, Pippo Kenndy Show, Ally Mc Beal. 10 L’universo esperienziale di riferimento comprende, ad esempio, Fuego, Andrea Pezzi, Un medico in famiglia, Dawson’s Creek, Festivalbar, Zelig, Mai dire gol, Real TV, I Simpson, South Park, Streghe, Ultimo, X-Files.

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ad una forte specializzazione sui generi giovanili o adolescenziali, dall’altro una

decrescente ammirazione verso la Tv generalista a vantaggio delle novità tecnologiche.

Le caratteristiche che rendono il mezzo televisivo interessante agli occhi di questo

segmento di pubblico sono perciò il riferimento ai canali tematici, satellitari, alla

programmazione specialistica e differenziata, a una Tv informatizzata.

E’ inoltre importante evidenziare che si è riscontrata una certa difficoltà nella fase di

focus group con i Razionali disincantati finalizzata all’individuazione di un “modello”

di storia televisiva: infatti, alla Tv, in prima istanza disconosciuta come fonte

narrativa11, essi oppongono la propria rete familiare o amicale, considerata come

principale risorsa di “storie”.

11 Nella programmazione televisiva fruita i Disincantati riconoscono e hanno consumato come storie televisive ER, La Piovra, Ultimo, X-Files.

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CAPITOLO QUINTO

L’ASCOLTO

1. L’ascolto e le sue forme di rappresentazione

Per capire l’importanza che in ogni azienda televisiva riveste il dato relativo all’ascolto

occorre tener presente che la televisione è l’unica organizzazione industriale che non

può conoscere in via automatica la quantità di merce che vende. L’informazione più

semplice comune ad ogni organismo decisionale in un contesto industriale è perciò da

scoprire per il settore televisivo attraverso una forma di intervento relativamente

complessa. A fronte di tale difficoltà di reperimento di una fonte primaria di

informazioni sta la quantità di consumatori del prodotto televisione che risulta talmente

elevata da non poter essere paragonata con quella di nessun altro prodotto industriale.

Dunque l’industria televisiva, che ha bisogno più di ogni altra di dati sul proprio

mercato, è anche quella che è costretta ad approvvigionarsi di tale fonte con maggiore

difficoltà (Barlozzetti G., 1986).

Questa prima contraddizione risulta inoltre soggetta ad una serie di complicazioni

dovute alla duplice natura del consumatore del prodotto televisivo. Lo spettatore è

difatti da una parte il pubblico cui la merce televisione viene offerta, ma costituisce esso

stesso una merce che l’industria televisiva vende agli utenti pubblicitari.

Lo spettatore è dunque allo stesso tempo soggetto ed oggetto di un mercato che si

configura come caratterizzato da forme di complessità del tutto tipiche.

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Il terzo polo di una premessa concettuale al problema “audience” è costituito dalla

difficoltà a costruire rappresentazioni di sintesi tale da descrivere al meglio il

comportamento di una grande massa di utenti.

Ogni sintesi statistica relativa all’audience costituisce un’astrazione in cui la descrizione

del fenomeno oggetto di interesse viene realizzata secondo sistemi convenzionali che

rappresentano in ogni caso solo una delle molteplici opzioni possibili, tutte per loro

stessa natura in qualche modo imprecise, in tale campo. Inoltre il dato di ascolto non è

solo un dato industriale, ma costituisce anche un’informazione utilizzabile in altre

chiavi.

Esso può uscire dal conteso per il quale è stato immaginato per divenire una valutazione

politico-culturale od un’informazione promozionale.

La complessità teorica della costruzione di un indicatore di sintesi che rappresenti il

fenomeno ascolto deriva innanzitutto dalle caratteristiche intrinseche al fenomeno

stesso. Ogni consumo è di fatto descrivibile in una chiave dicotomica secondo la quale

ogni soggetto può o non aver compiuto un determinato atto. Pertanto consumatori di un

determinato bene saranno solo i soggetti che avranno scelto di acquistarlo, mentre tutti

gli altri soggetti possono essere considerati come non-consumatori.

L’ascolto televisivo possiede tale natura dicotomica solo ad un livello iniziale tale da

non poter essere gestito in modo semplice, ma ogni elaborazione successiva perde tale

convinzione e diventa dunque una convenzione scelta tra una serie di altre possibili. La

condizione descrivibile in modo elementare è dunque solo quella relativa ad un

intervallo orario brevissimo, il più breve che lo strumento di indagine consente, in cui

realmente ogni soggetto può aver compiuto un determinato atto di ascolto oppure no.

Considerando però la combinazione di possibilità che tale iniziale dicotomia produce se

esplosa per il numero di intervalli orari elementari in cui una giornata televisiva può

essere suddivisa, si capisce che tale dato iniziale risulta di fatto non leggibile.

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Si può ipotizzare che tra le numerosissime combinazioni possibili di ascolto televisivo

solo quelle di fatto registrabili in una normale giornata siano così numerose e così

differenziate tra loro da risultare rarissima l’individuazione di due soggetti che abbiano

ascoltato la televisione in modo uguale.

La scelta della forma di tale rappresentazione o l’algoritmo di calcolo che produce

l’informazione risulta poi da una parte frutto di una logica interna a quell’operazione

che più di ogni altra deriva dall’analisi delle audience, ossia la costruzione dei

palinsesti, ma dall’altra capace di indirizzare una strategia di ottimizzazione delle

audience stesse

Il dato di ascolto si sforza di descrivere il comportamento dei telespettatori nei confronti

dell’offerta. Andranno dunque utilizzate combinazioni di definizioni relative all’offerta

con definizioni relative ai telespettatori. L’offerta costituisce l’elemento del problema di

più semplice definizione concettuale: essa può venire articolata o in “prodotti semplici”,

ossia trasmissioni, o in fasce orarie omogenee, oppure in intere giornate di offerta

televisiva.

Inoltre l’analisi per fasce orarie o per intere giornate può riferirsi sia a singole reti, sia a

gruppi di reti omogenee sia all’interno del mezzo. Anche i periodi temporali di

riferimento possono variare, passando da una singola giornata, alla settimana, al mese,

al trimestre, o da riferirsi ad un intero anno.

Nei riguardi del telespettatore il discorso si complica e le forme di rappresentazione del

comportamenti di questo soggetto risultano più numerose. Va anche segnalato che

molte volte le analisi d’ascolto non si riferiscono a tutta la popolazione, ma considerano

solo un certo segmento, anche se di norma maggioritario, di pubblico.

Tralasciando quelle forme di rappresentazione sintetiche teoricamente possibili, ma

nella pratica poco utilizzate, si possono esaminare solamente quelle applicate più

frequentemente.

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La prima e la più semplice consiste nella già menzionata curva d’ascolto. In tale

rappresentazione vengono indicate per ogni intervallo orario elementare di rilevazione

le stime relative alla numerosità dei soggetti in ascolto. Tale prodotto permette di

comprendere quali sono i momenti della giornata televisiva ad ascolto più alto e quali

quelli ad ascolto più basso e, se confrontato in una serie storica di individuare eventuali

momenti di crescita di audience o momenti di contrazione.

La curva di ascolto non fornisce però indicatori sintetici, non evidenzia le reazioni

all’offerta e soprattutto non permette di comprendere il turn-over dei telespettatori. Tale

forma di rappresentazione semplice risulta pertanto da una parte quella in cui il dato

originale subisce meno trattamenti, ma dall’altra quella di più difficile gestione in

termini di analisi. Si può supporre che un’ipotesi di palinsesto che deriva dalla sola

curva di ascolto sia possibile, ma che risulti di difficile gestione pratica.

La seconda forma di rappresentazione utilizzata è quella dell’ascolto medio. Tale

indicatore sintetico risulta nella pratica quello più frequentemente usato, al punto di

essere spesso denominato semplicemente “ascolto”. Esso consiste nella stima del

numero medio di spettatori presenti in un determinato intervallo temporale che può o

meno coincidere con un determinata trasmissione. Dunque l’ascolto medio definisce il

numero di spettatori presenti in “qualsiasi” intervallo temporale elementare compreso

all’interno di una determinata fascia. Nella pratica l’ascolto delle trasmissioni televisive

altro non è stato che una stima di ascolto medio. Può risultare utile sapere che tale

convenzione risulta quella che produce dei numeri in valore assoluto più piccoli. Anche

in questo caso il fenomeno del turn-over del pubblico non viene evidenziato e dunque

comportamenti di fatto assai differenti possono venire rappresentati in modo simile.

Il vantaggio dell’ascolto medio è però soprattutto quello di fornire un solo dato e di

rendere pertanto possibili confronti semplici. Inoltre consente di pesare la resa effettiva

di determinate operazioni di palinsesto in modo immediato. Ad esempio il

potenziamento di una fascia minoritaria permette di aumentare in termini sia assoluti

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che relativi l’ascolto medio di tale fascia, ma risulta poco influente sull’ascolto medio

dell’intera giornata. Al contrario, il potenziamento di una fascia oraria maggioritaria

contribuisce al dato relativo all’intera giornata in misura rilevante. Il dato “ascolto

medio” induce però a possibili equivoci. Ad esempio nei casi in cui tale indicatore viene

applicato ad unità di prodotto permette di confrontare le informazioni relative a

trasmissioni di durata diversa in termini matematicamente corretti, ma concettualmente

assai deboli. Difatti più una trasmissione risulta lunga più il dato relativo alla media

degli individui in ascolto tende di norma a decrescere. Ad esempio una trasmissione di

tre ore che inizia alle 20.30 può avere un ascolto medio inferiore, e di norma lo avrà,

rispetto a quello di una trasmissione di un’ora che parte nello stesso orario anche se la

fascia oraria di programmazione comune, ossia l’intervallo orario 20.30 – 21.30, è

risultata mediamente più ascoltata.

Un ulteriore dato che recentemente risulta spesso utilizzato è quello relativo ai

cosiddetti “contatti”. Tale rappresentazione di sintesi fornisce la stima del numero degli

individui che in almeno uno degli intervalli orari elementari di rilevazione sono risultati

in ascolto, sono cioè entrati in “contatto”, del mezzo televisivo. Contrariamente a ciò

che succede per l’ascolto medio il contatto rappresenta l’indicatore che fornisce valori

assoluti più alti (è stato anche definito con il termine “ascoltatori”).

Il contatto è l’unico indicatore che permette di stimare il volume di pubblico

complessivamente raggiunto dall’offerta. Purtroppo non fornisce praticamente nessuna

altro tipo di informazione e pertanto risulta di utilità pratica assai marginale, se non

come informazione promozionali.

Il contatto consente difatti la costruzione di informazioni di tipo trionfalistico, ma non

fornisce informazioni utili alla pianificazione dei palinsesti.

Il terzo indicatore, che risulta però meno utilizzato, è relativo alla “durata d’ascolto”.

Esso concerne la stima del tempo mediamente passato davanti alla televisione da parte o

dell’intera popolazione o dei soli soggetti che risultano in ascolto. La differenza tra

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l’informazione relativa alla durata dell’ascolto su base popolazione e quella su base

ascoltatori risulta più forte di quella che a prima vista può sembrare. Difatti una rete a

basso ascolto ma ad elevata fedeltà può risultare ascoltata mediamente solo per

pochissimi minuti dall’intera popolazione, ma per intere ore da quei pochi soggetti che

realmente la seguono.

La “durata d’ascolto” costituisce un indicatore scarsamente influente sul meccanismo di

fabbricazione dei palinsesti. Tale indicatore risulta però spesso presente in analisi di tipo

teorico sul consumo dei televisione. E’ intuitivo che ascolto medio, contatti e durata

risultino legati oltreché logicamente anche da precise relazioni matematiche.

Tali informazioni possono riferirsi sia ad unità di prodotto, che a fasce orarie di

programmazione omogenea che ad intere giornate televisive; ed inoltre riferirsi sia a

singole reti che a gruppi di reti o, al limite, al totale mezzo.

Inoltre i periodi temporali di analisi possono essere anche relativamente lunghi, come

un mese o un trimestre. Ne consegue che le operazioni di palinsesto necessarie per

ottimizzare uno di tali indicatori possono risultare differenti da quelle necessarie per

ottimizzarne altri. Basterà qui far rilevare che se l’ascolto medio si riferisce alle

trasmissioni il palinsesto più forte risulterà più frammentato di quello che ottimizza

l’ascolto medio relativo alle fasce orarie, oppure che una programmazione

particolarmente dinamica permette di vedere crescere il dato relativo ai contatti, mentre

una programmazione più coerente ottimizza le durate di ascolto.

Dunque la scelta di utilizzare un indicatore piuttosto che un altro finisce per costruire in

qualche modo già una indicazione di strategia di palinsesto.

Inoltre certi indicatori risultano più consoni ad alcune fasi dello sviluppo del mercato

televisivo, mentre altri risultano più adatti a situazioni differenti. Così l’ascolto medio

che rende i dati di audience meno elevati è stato privilegiato in quei periodi in cui la

concorrenzialità è stata o meno forte o addirittura assente, al contrario del “contatto” che

è tipico di una situazione di forte competizione. Va infine ricordata la recente esperienza

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del sistema meter gestito dalla RAI che ha per la prima volta offerto in via continuativa

al mercato televisivo una serie di definizioni di audience relative ad ogni unità descritta.

Tale innovazione consiste dunque nella fabbricazione sistematica di più indicatori sui

fenomeni che si intende descrivere e risulta coerente con uno strumento che potendosi

riferire grazie alla propria metodologia di rilevazione automatica ad unità temporali

brevissime ha stressato le definizioni di audience precedentemente adottate. Inoltre tale

arricchimento della possibilità di analisi risulta coerente con il periodo di accesa

concorrenzialità, e dunque di costruzione più attenta dei palinsesti, che vive oggi la

televisione in Italia.

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2. La misurazione dell’audience: introduzione

Una prima grande area di ricerca riguarda i comportamenti di fruizione della Tv

manifesti e registrabili. L’attenzione è rivolta alla dimensione quantitativa e ad alcuni

aspetti strutturali. Si mira a determinare l’entità del consumo (quanti spettatori?) e

insieme ad individuare la composizione socio-demografica dell’audience (chi vede la

televisione?); a correlare le tipologie di pubblico con le tipologie dell’offerta televisiva

(chi vede che cosa?); a definire la frequenza della fruizione (come si distribuisce il

consumo televisivo nella giornata e nella settimana?).

Gli strumenti che trovano applicazione privilegiata in quest’area sono quelli in grado di

misurare quantitativamente il consumo di televisione, raccogliendo anche i dati

descrittivi sulle caratteristiche socio-demografiche degli spettatori: sono gli strumenti

“audiometrici”, caratterizzati per un verso dalla vocazione a “prender nota” con rigore

dei singoli atti di visione e, per un altro verso dalla venatura numerica e statistica

(Casetti F., Di Chio, 1998).

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2.1. Strumenti: questionari, diari di consumo e meter

Il consumo di televisione è qualcosa di aleatorio, di intangibile. I soggetti dell’industria

televisiva non possono “toccarlo”, non hanno a che fare con merci imballate che entrano

ed escono dai magazzini e che si possono contare. Ecco allora l’importanza di una

rilevazione d’ascolto attendibile, per poter fornire ai soggetti presenti sul mercato una

“testimonianza” certa dell’ascolto di un programma: la “prova” che chi fa televisione ha

davvero un interlocutore a cui rivolgersi, che la televisione ha un prodotto (i contatti) da

poter vendere. In questo senso, la messa a punto di un sistema attendibile di rilevazione

quantitativa dell’audience è stato uno dei traguardi più importanti nell’ambito delle

ricerche sulla televisione (Casetti F., Di Chio, 1998).

I primi strumenti di rilevazione quantitativa dei dati d’ascolto sono stati mutuati dalle

indagini demoscopiche. Si tratta in particolare di interviste personali, di interviste

telefoniche coincidenziali e di diari di consumo. Ad essi, poi, è seguito uno strumento

che è diventato tipico della televisione: il meter.

Intervista personale

Si somministra a un campione di individui un questionario per raccogliere informazioni

sull’ascolto televisivo degli intervistati “nella giornata di ieri (“day after recall”) o

“nell’ultima settimana, giorno per giorno” (“seven days recall”).

Si chiede dunque ai soggettivi ricostruire la giornata predcedente e di riferire in quali

ore hanno fatto che cosa, con un’attenzione particolare ai momenti in cui hanno

guardato la televisione, specificando orari e programmi. E’ richiesto ovviamente uno

sforzo di memoria che può deformare il dato. A questo riguardo, l’intervistatore può far

ricorso a cartellini con il nome del programma o a foto dei conduttori o a giornali

specializzati con l’illustrazione della programmazione televisiva: tutte tecniche di

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sostegno al ricordo. Con questo metodo si raccolgono dati sul consumo televisivo

dettagliati alla mezz’ora o al quarto d’ora.

Indagine telefonica “coincidenziale”

Attraverso un sistema di interviste via telefono, scaglionate nel corso della giornata, si

verifica per ciascun soggetto in campione se il tv-set è acceso o meno, su quale canale è

sintonizzato e chi è di fronte allo schermo. Generalmente si rileva l’ascolto televisivo

della famiglia nella mezz’ora precedente la chiamata, con il dettaglio del quarto d’ora.

I pregi di questa tecnica sono l’immediatezza del dato, la velocità di raccolta e di

elaborazione delle informazioni e i bassi costi. I limiti, invece, riguardano la difficoltà di

ottenere dati sull’ascolto individuale, sull’ascolto del secondo televisore e i rischi di una

deformazione del campione di base.

Diari di ascolto

Si tratta di un resoconto del consumo di televisione che le famiglie di un campione,

opportunamente addestrate, si impegnano a compilare quotidianamente. Viene in tal

modo registrato l’ascolto televisivo di tutti i membri del nucleo familiare, giorno per

giorno, di solito per un periodo di 14 giorni. Il dettaglio di riferimento è il quarto d’ora,

“attribuito” a una data emittente se l’individuo ha guardato, in quale quarto d’ora, quella

emittente più a lungo delle altre.

Naturalmente, lo strumento deve essere facile da “maneggiare”: al compilatore deve

essere richiesto solo di barrare delle caselle e le griglie da riempire devono essere

chiare. Similmente, il rilevatore dell’istituto che compie l’indagine deve essere ben

preparato. Deve saper addestrare i responsabili familiari e deve seguire con accuratezza

il corretto svolgimento delle annotazioni. I tempi di produzione dei dati sono circa 2-3

settimane: un periodo lungo se confrontato con le poche ore richieste da un’indagine

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telefonica, ma vantaggioso se paragonato alle 4-5 settimane necessarie per le interviste

personali.

Le interviste personali prima, il diario di ascolto poi, hanno costituito la strumentazione

adottata nelle rilevazioni ISTEL, che in Italia dal 1980 al 1985 sono state la fonte più

autorevole di dati sull’ascolto televisivo.

Il meter

Nel 1981 viene introdotto in Italia il meter, cioè uno strumento di rilevazione

automatica del consumo televisivo. E’ un apparecchio elettronico, che viene posizionato

sopra ogni televisore della casa. Ciascun componente della famiglia ha in assegnazione

un pulsante, posizionato sul meter o sul relativo telecomando, e identificato da un

numero o dal proprio nome. Questo pulsante va premuto ogniqualvolta la persona si

predispone alla visione. È così possibile sapere chi sta di fronte al teleschermo e

correlare l’ascolto alle variazioni socio-demografiche dello spettatore. Per questa sua

capacità di registrare il consumo individuale il meter adottato in Italia è detto people-

meter. Pulsanti addizionali sono previsti per eventuali “ospiti” e dunque per registrare

l’ascolto televisivo di coloro che sono in casa in quel momento, ma che non vivono in

famiglia. Altri pulsanti sono predisposti per segnalare l’età e il sesso di questi spettatori

occasionali.

Tutti i dati di visione sono immagazzinati nel meter fino a che un computer centrale, che

controlla l’intero sistema di rilevazione, non li recupera. Questi dati comprendono:

quando il televisore viene acceso o spento, quale canale viene visto e quando avvengono

i cambi di canale (il tutto collegato alla presenza di ciascun individuo della famiglia e

alle caratteristiche anagrafiche); e dettagliato minuto per minuto. Raccolti i dati di

visione individuale, il computer procede alla verifica e alla validazione delle

informazioni, “aggancia” i dati minuto per minuto ai palinsesti effettivamente emessi ed

elabora così i risultati d’ascolto di ciascun programma.

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L’innovazione apportata è evidente: il consumo televisivo non viene annotato ma

registrato automaticamente da un apparecchio. In tal modo si hanno tre vantaggi di

fondo:

1. si riducono le possibilità di errore del rispondente su quanto e cosa è stato visto;

2. si ottiene un dettaglio informativo altrimenti non disponibile, e cioè

l’andamento del consumo per brevi unità temporali. Si può misurare così la

visione di spot e comunicati commerciali;

3. si ha a disposizione una fonte di dati sistematica e continuativa.

In Italia fu la RAI ad installare per prima un panel dotato di meter, suscitando diverse

polemiche. Ecco allora che, dopo un periodo di discussione, nacque l’Auditel, una

società con il compito di organizzare e gestire una fonte unica e riconosciuta da tutti di

rilevazioni audiometriche.

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3. L’indagine Auditel: il sistema meter

L’Auditel S.r.l. si costituisce con lo scopo di rilevare in maniera imparziale e obiettiva i

dati relativi all’ascolto televisivo italiano. L’apparato tecnico-logistico di cui si avvale

Auditel per la raccolta e l’elaborazione dei dati è assai complesso. Attualmente la

gestione della raccolta/elaborazione è affidata in appalto alla società di ricerca AGB.

Lo strumento mediante il quale avviene la raccolta automatica dei dati è, come già

affermato, il people-meter (Casetti F., Di Chio, 1998).

Le apparecchiature che compongono il meter utilizzato dalla AGB sono tre:

• M.D.U. o unità di identificazione: installato sul televisore registra l’accensione,

lo spegnimento dell’apparecchio e il canale su cui è sintonizzato, oltre a tener in

memoria i dati socio-demografici e psicografici di ciascun membro della

famiglia.

• HANDSET, il telecomando: serve per registrare la presenza di ciascun

componente della famiglia e di eventuali ospiti. A ogni familiare corrisponde un

tasto identificato da un numero da 1 a 8, che va premuto ogniqualvolta ci si

pone all’ascolto o si termina la visione. Quando un tasto viene premuto, sul

display dell’MDU si illumina il numero corrispondente che si spegne solo

quando il tasto è premuto di nuovo per segnalare il termine dell’ascolto.

• C.D.S.U. o unità centrale di memoria e trasmissione: ha la funzione di

“interrogare” le MDU localizzate sui diversi apparecchi di cui la famiglia

dispone, memorizzare i dati d’ascolto e trasmetterli, vai modem, alla centrale

AGB.

Le informazioni giornaliere raccolte dal meter sono:

• Le registrazioni di ciascun cambiamento di status del Tv-set. I possibili

cambiamenti sono: accensione, sintonizzazione su un determinato canale,

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cambio di canale e spegnimento. (la persistenza minima per considerare il Tv-

set sintonizzato su un canale è stata concordata in 15’’).

• Le registrazioni di ciascun cambiamento di status degli individui. Lo status

degli individui può essere: presente davanti al televisore acceso o assente. (La

persistenza minima per considerare un individuo presente è stata concordata in

30’’).

• La registrazione della presenza di ospiti con le caratteristiche identificanti

concordate.

Ogni cambiamento di status viene definito statement. Mediamente in ogni famiglia il

meter raccoglie circa 55 statement. Tutti gli statement riferentisi alla stessa giornata

vengono invitai tramite modem, tra le 2 e le 6 del mattino, alla centrale AGB. Questa

fase di raccolta dei dati viene chiamata polling. Una volta affluiti presso il computer

centrale, i dati vengono sottoposti alla fase di validazione. I dati sono validati e poi

rilasciati secondo tre configurazioni: 1) individui (dati individuali); 2) ascolto familiare

(dati aggregati); 3) tv accesi (dati riferiti ai Tv-set, cioè ai singoli televisori accesi). In

particolare, a seconda degli esiti del controllo, si possono accettare o scartare i dati,

qualora non rientrino nei parametri stabiliti.

Terminata la fase di validazione, il computer centrale finalmente elabora i dati

giornalieri: li espande all’universo, li incrocia con i palinsesti emessi, e li rende

disponibili per le procedure di interrogazione da parte dei numerosi utenti. Sono

passate 4 ore dalla fine del polling: sono circa le 10 del mattino e i dati sono disponibili

on-line.

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3.1. Il panel Auditel

La raccolta dei dati Auditel avviene su base campionaria. La costituzione del panel

Auditel è stata preceduta da una vastissima indagine allo scopo di avere una fotografia

dettagliata delle caratteristiche strutturali e delle tipologie delle famiglie, nonché del

consumo televisivo familiare che il campione sarebbe chiamato a rappresentare.

L’indagine ha portato a individuare 4012 unità statistiche, ossia micro-aggregati socio-

anagrafici omologhi, distribuiti su tutto il territori italiano, entro le quali sono state poi

selezionate le famiglie del panel. Dal 1986 a oggi, il campione è stato gradualmente

rinnovato, sia a causa della mortalità, sia al fine di seguire i mutamenti della società

italiana. Dal 1990 sono stati inseriti nella rilevazione anche gli ospiti, cioè le persone

che saltuariamente si uniscono al nucleo familiare per vedere la televisione.

E’ importante sottolineare che Auditel rileva il consumo televisivo delle famiglie nella

prima casa. E’ escluso l’ascolto nelle seconde case e l’ascolto fuori casa (Casetti F., Di

Chio, 1998). A partire dal 1991 il panel è stato riclassificato in base agli stili di vita

identificati dall’istituto Eurisko. Si tratta di 16 segmenti di popolazione, costruiti in

base a vari parametri fra cui sesso, età, reddito, valori individuali, attività sociali,

utenza dei mezzi di comunicazione, gestione del tempo libero, modelli di consumo e

abitudini alimentari. I soggetti appartenenti al panel di età superiore ai 14 anni sono

stati classificati rispetto a queste tipologie. Dal 1997 il campione Auditel è raddoppiato,

passando da 2420 a 5000 famiglie. Questo potenziamento è stato effettuato per far

fronte alle esigenze delle emittenti locali che non si ritenevano sufficientemente coperte

dalla configurazione a 2400 famiglie. La nuova base campionaria offre diversi vantaggi

anche alle emittenti nazionali e agli investitori pubblicitari che otterranno dati ancora

più affidabili e con dettaglio maggiore su tutti i target.

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Inoltre, è stato introdotto un nuovo sistema di meter, predisposto per monitorare

l’utilizzo del video-registratore, e per rilevare i televisori sintonizzati su reti via cavo e

satellite.

3.2. I dati Auditel: le definizioni di base e gli indicatori principali

I tre principali indicatori utilizzati nel mercato italiano per quantificare il pubblico di

una trasmissione televisiva sono il numero di contatti (o copertura), l’ascolto medio e lo

share (quota percentuale).

Il numero di contatti (o copertura) è dato dal numero di telespettatori che hanno

seguito per almeno un minuto una determinata trasmissione su una data emittente

(Casetti F., Di Chio, 1998). Si parla di contatti netti (o copertura netta), quando si

computa il numero di persone diverse fra loro (e cioè “al netto delle duplicazioni”) che

si sono sintonizzate, per almeno un minuto, sulla rete o sul programma considerato. Qui

non è importante stabilire per quanto tempo il programma è stato seguito, ma quanti

telespettatori tra loro distinti lo hanno visto: chi ha visto 20 minuti di quel programma

conta quanto chi ha visto solo un minuto. Si parla invece di contatti lordi (o copertura

lorda), quando invece ci si riferisce alla somma dei contatti “al lordo delle

duplicazioni”. In questo caso se un individuo vede tre minuti di programma, viene

contato tre volte e il “volume d’ascolto” che genera equivale a quello di tre persone

diverse che hanno visto il programma, ciascuna per un solo minuto. Vengono,

insomma, computati i “minuti/persona”.

L’ascolto medio (o ascolto nel minuto medio) esprime il numero di spettatori presenti

mediamente in ciascun minuto di programma. L’ascolto medio si calcola dividendo il

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numero di contatti lordi per il numero dei minuti (normalmente la durata di un

programma).

Ascolto medio: copertura lorda/durata

L’ascolto medio è dato dunque dal rapporto tra la somma di tutti i telespettatori presenti

in un certo intervallo di tempo e la durata (espressa in minuti) dell’intervallo stesso.

Lo share è la quota percentuale di pubblico che si è sintonizzata su un determinato

programma, rispetto al totale del pubblico presente davanti al televisore nello stesso

intervallo di tempo considerato.

Numericamente è espressa dal seguente rapporto:

Share: ascolto medio di una emittente/ascolto totale * 100

I dati di share vanno sempre letti e valutati in relazione alle diverse fasce orarie del

giorno a cui si riferiscono: uno share del 26% nel prime time ha un significato diverso

da un analogo 20% ottenuto alle 10 del mattino. Occorre infatti tener conto dell’entità

del bacino d’ascolto (l’ascolto totale, appunto) a cui il programma si rivolge in quel

momento.

Tre altri indicatori importanti sono la permanenza, i minuti visti e la penetrazione.

La penetrazione è il rapporto percentuale tra l’ascolto medio di un certo programma e

la popolazione di riferimento. Numericamente è espressa così:

penetrazione: ascolto medio/popolazione * 100

la penetrazione (o rating) è l’indicatore d’ascolto più utilizzato nei mercati televisivi

americani ed europei.

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I minuti visti indicano il numero dei minuti che i diversi spettatori hanno trascorso, in

media, di fronte al programma. Numericamente, si può esprimere come il rapporto fra

“copertura lorda” e “copertura netta”:

minuti visti: copertura lorda/copertura netta

il che equivale a: minuti visti: ascolto medio/copertura netta * durata

Per spiegare che cosa significa la permanenza è necessaria una premessa. E’ evidente

che un medesimo “ascolto medio” può essere frutto di due situazioni assai diverse:

possiamo avere tanti spettatori che si soffermano poco sul programma, oppure pochi

spettatori, che lo seguono dall’inizio alla fine. Nel caso di un programma di 3 minuti,

potremmo avere 9 spettatori che lo guardano ciascuno per 1 minuto, oppure 3 spettatori

che lo seguono per intero: l’ascolto medio sarebbe sempre 3.

A evidenziare la diversa qualità dell’ascolto medio ci aiuta la permanenza, che

possiamo assumere come un indicatore percentuale della densità del consumo o anche

come indicatore di fedeltà del pubblico. Formalmente, si può esprimere così:

permanenza: ascolto medio/copertura media * 100

Seguendo l’esempio di poco fa, avremmo nel primo caso (9 spettatori che seguono il

programma ciascuno solo per 1 minuto):

permanenza: ascolto medio/copertura netta * 100 = 3/9 * 100 = 33.3%

e nel secondo caso (3 spettatori che lo guardano per intero):

permanenza: ascolto medio/copertura netta * 100 = 3/3 * 100 = 100%

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E’ evidente che, tanto più alta è la permanenza, maggiore è la capacità del programma

di tenere a sé gli spettatori. Va però detto che questa capacità è anche funzione inversa

della durata del programma: quanto più una trasmissione è lunga, tanto più sarà

difficile che trattenga gli spettatori per tutta la sua estensione. Non a caso, la

permanenza si può anche esprimere con il rapporto fra minuti visti e durata.

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3.3. I materiali standard e le elaborazioni speciali

Auditel fornisce quotidianamente una serie di tabulati in cui sono riassunti, per

ciascuna rete, i dati di ascolto delle principali fasce orarie e di ciascun programma. Il

tabulato delle “fasce standard”, che presenta i dati d’ascolto di ciascuna rete, ordinati

per fasce orarie e i tabulati del “palinsesto dei programmi”, che presenta i dati di

ascolto dei programmi mandati in onda da una rete, sono disponibili ogni mattina dalle

10 circa e vengono spesso consultati come veri e propri “bollettini di guerra” da cui

attingere le prime informazioni, organizzate sinteticamente, sugli andamenti del giorno

precedente (Casetti F., Di Chio, 1998).

L’indagine Auditel consente la visualizzazione grafica degli andamenti di ascolto

minuto per minuto in share e ascolto medio, e rilascia un primo profilo delle

caratteristiche sociodemografiche del pubblico di un dato programma. Questo ulteriore

livello di dettaglio permette analisi più approfondite sui risultati d’ascolto sia in valori

assoluti (i grafici ottenuti utilizzando l’ascolto medio dei programmi) che in valori

percentuali (i grafici in share). Inoltre, la visualizzazione grafica dei dati d’ascolto

consente una rapida comprensione dei movimenti del pubblico, dei flussi di scambio

fra un programma e l’altro, delle cadute e dei picchi d’ascolto all’interno delle

trasmissioni.

Questi dati sono i più utilizzati e costituiscono il set informativo a cui quotidianamente

si fa riferimento. Sono tuttavia disponibili anche molte altre informazioni: ad esempio,

l’ascolto minuto per minuto di alcuni target socio-demografici, i dati di ascolto per

famiglie e per televisori accesi, le analisi delle coperture, le classifiche dei programmi

più visti e i dati delle emittenti locali e minori.

AGB fornisce inoltre valutazioni delle performance delle campagne pubblicitarie,

analizzando “copertura” e “frequenza” di spot, messaggi promozionali, promo di

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programmi e di interi break, nonché gli indici di affollamento. Sono elaborazioni che

servono ad analizzare a posteriori gli effetti della pianificazione di una campagna

pubblicitaria, delle iniziative di comunicazione istituzionale e della promozione di rete.

In aggiunta ai dati forniti da AGB vi sono elaborazioni speciali eseguite da MCS

(Media Consultants Servizi). MCS presta particolare attenzione al mercato

pubblicitario e in suoi servizi si rivolgono in modo privilegiato ai media planners delle

agenzie di pubblicità. MCS fornisce valutazioni delle performance delle campagne,

analizzando i calendari delle pianificazioni, con opzioni flessibili e la possibilità di

interrogazione on-line della propria banca dati. Inoltre, MCS integra i dati sull’ascolto

televisivo con le altre ricerche sulla stampa (ADS, AUDIPRESS, ISPI, ISEGI) e sulla

radio (AUDIRADIO), e con i dati sui consumi (NSSI).

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4. Cosa si fa con l’Auditel: introduzione

Il modo migliore per comprendere come usare lo strumento-Auditel è andare a curiosare

nelle stanze dei bottoni, tra gli addetti ai lavori che, in concreto, fanno la televisione e la

vendono a coloro che vogliono vendere altre cose (i prodotti) a chi la televisione la

guarda (LINK Idee per la televisione, 2003).

Intervistando un gruppo di professionisti che occupano posti chiave all’interno

dell’industria televisiva e che fanno girare i meccanismi della macchina televisiva sono

emersi alcuni punti fondamentali:

• Auditel è la lingua condivisa di chi fa questo mestiere, una sorta di terreno

comune che permette di muoversi e di capirsi;

• Auditel è un punto di riferimento inevitabile, il grado zero della televisione: può

essere usato “scientificamente” come un indice di borsa, assiduamente come un

bollettino meteorologico o saltuariamente come una bussola da consultare di

tanto in tanto; ma rimane sempre un prezioso strumento di lavoro, sul quale si

innestano l’esperienza e la sensibilità accumulate in anni di lavoro;

• in campo degli atteggiamenti professionali, che in televisione comprende una

gamma vasta ed eterogenea, si estende tra due polarità ideal-tipiche: la

mentalità marketing oriented, che attribuisce la massima importanza all’analisi

dei dati; e quella più intuitiva, olistica ed orientata al prodotto. Entrambe le

specie non potrebbero esistere senza Auditel, ma l’utilizzo che esse fanno dei

dati di ascolto segue strategie differenti.

Nel complesso, Auditel è uno strumento più raffinato di quanto si pensi e l’audience

non è affatto una materia prima manipolabile, ma una “nube” sfuggente che si cerca di

(in)seguire nei suoi continui spostamenti, solo parzialmente prevedibili.

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4.1. Dietro le quinte di chi fa la Tv: il Direttore di Rete? Come un analista in borsa

Cos’è l’audience per il Direttore della più importante rete commerciale italiana?

Sintetizzando in poche parole le argomentazioni di Giovanni Modina, Direttore di

Canale 5, si potrebbe dire: numeri e diagrammi da un lato, stimolo creativo e relazioni

dall’altro. Ovvero: indici d’ascolto. E’ questa l’essenza di un approccio tecnico-

economico al problema complesso della gestione di una rete commerciale (LINK Idee

per la televisione, 2003).

La scelta di quest’approccio dipende innanzitutto dal background professionale di

Modina, che ha lavorato nell’analisi finanziaria, nel marketing del largo consumo e nel

marketing televisivo, prima di approdare, nel 1998, alla direzione di Canale 5.

La sua è una competenza tecnica: si tratta di cercare di capire in tempo come allocare le

risorse che vengono date, quali risorse chiedere, che palinsesto a medio e lungo periodo

fornire sulla base anche dei trend di successo che si riesce ad intravedere.

Come un analista di borsa, che guarda il grafico degli indicatori dell’azienda o del titolo

che sta monitorando, si guarda l’indicatore della rete o del programma che si sta

seguendo.

Un Direttore di Rete guarda il prodotto, ne vede le performance, proprio come le

performance di un titolo: monitora gli andamenti, verifica le serie storiche e le

potenzialità sulla base degli indici in possesso.

Certo, sotto quegli indici ci sono fenomeni socioculturali, politici ed antropologici.

Anche in borsa c’è la conoscenza implicita di cosa significa un indice: perfino un titolo

derivato, che sembra la cosa più astratta ed asettica, in realtà è legato a molte cose

concrete come per esempio la raccolta di cotone in America, e anche un Direttore di

Rete, quando ha tempo e voglia, può cercare di capire cosa c’è sotto quell’indice:

saperlo fare può inoltre dare valore aggiunto, anche se non si tratta di un lavoro

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imposto dal mandato aziendale, in quanto si ha normalmente a che fare con un lavoro

più di routine.

Il mandato aziendale impone di ottenere e mantenere le percentuali d’ascolto che indica

la concessionaria.

Il processo aziendale, semplificato, parte dall’area finanziario-amministrativa, che

indica gli obiettivi di redditività per tenere alto il corso del titolo. Queste indicazioni

passano alla concessionaria di pubblicità che deve vedere se gli obiettivi richiesti sono

compatibili con la situazione di mercato e quindi determinare le linee che consentono di

rispettarli.

In una situazione normale la concessionaria indica ciò che il mercato si aspetta come

risultato complessivo e ciò che lei si aspetta dal mercato come introito. A quel punto ci

si deve attenere il più possibile al rispetto di quei dati: andar sotto è un fallimento, ma

anche andar sopra è un errore, perché si regalerebbero dei contatti che la stagione

successiva il mercato darà per acquisiti (l’imprenditore protesterebbe se l’anno dopo

avesse, agli stessi prezzi, uno share diminuito).

Il criterio di economicità porta anche alla standardizzazione e omogeneizzazione dei

programmi, alla tendenza a ripetere i format di successo e anche questo fa parte delle

regole del gioco. Quando si arriva alla direzione di una rete, la prima cosa con cui

bisogna fare i conti è il ciclo di vita di un prodotto. Si deve essere in grado di valutarlo

sulla base dei risultati ottenuti (evitando di affossarlo): se li ha ottenuti in una

situazione di particolare favore, si deve pensare ad accorciare il ciclo di vita di quel

prodotto; nel caso contrario si è portati a pensare che il ciclo di vita o la fase di maturità

di quel prodotto sia più lunga di quanto immaginato.

Per Grande Fratello, ad esempio, si era ipotizzato un ciclo di vita più breve. Lo

stabilizzarsi di un certo tipo di ascolto con queste modalità, fa pensare che il ciclo di

vita si stia notevolmente allungando. Bisogna poi considerare che del ciclo di vita fa

parte anche il passaggio ad altre reti o in altre fasce orarie.

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In generale è anti-economico cambiare i palinsesti in presenza di prodotti che non

hanno finito di dare il loro contributo.

Insomma, non è per pigrizia che si replicano tipologie di prodotti. Anche perché, per

ridurre gli oneri, gli investimenti devono essere pluriennali. Canale 5 ha già

ipoteticamente pronti i palinsesti di 4-5 stagioni, sia per l’intrattenimento che per la

fiction. La messa in cantiere di una fiction importante, per assorbire i costi degli

investimenti, deve essere per forza programmata in una prospettiva pluriennale. Si ha

già quindi in cantiere il prodotto che vedremo nel 2005.

Poi ci sono ciclicità determinate dal muoversi autonomo di gusti e di tendenze. Nei

periodi di magra non bisogna farsi prendere da smanie e drogare la programmazione.

Se uno è convinto di avere un palinsesto buono deve lasciar passare il momento

negativo. Queste ciclicità si vedono spesso, adesso però Mediaset è in una fase florida,

determinata da buone scelte di programmazione e da errori altrui, ma anche

dall’andamento ciclico.

La prevedibilità può essere interpretata come un’inerzia nei gusti dell’audience a livello

quotidiano e di ciò si è coscienti. Il pubblico di Mediaset è piuttosto stabile. In Italia ci

sono 6-7 reti importanti e una miriade di reti piccole. Il pubblico è abituato da tempo a

questo contesto e a una certa immagine delle reti, sa più o meno cosa può trovare su

una o sull’altra. C’è una certa inerzia e l’obiettivo non è di invertirla, ma

semplicemente di capire se e quando, all’interno di questa inerzia, qualcosa sta

cominciando pian piano a cambiare.

Non esiste un circolo virtuoso tra inerzia del pubblico e standardizzazione dei prodotti e

dei palinsesti Tv. Nessuno può prevedere quanto durerà un’inerzia. Ci si deve basare

sull’interpretazione meccanica del ciclo di vita, che poi ha in sé un’interpretazione dei

gusti del pubblico.

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Quando un prodotto si esaurisce non lo fa con la lentezza con cui si è affermato. Lo fa

di colpo: una disaffezione diventa immediata, repentina, e quindi problematica. Per

questo è importante saper interpretare il ciclo di vita.

4.2. Una mattina nell’ufficio del Direttore di Canale 5

Dal punto di vista narrativo la giornata di un direttore di rete inizia con un buon film

d’azione, con un bell’inizio emozionante per agganciare lo spettatore. Anche se, nel

tempo, l’abitudine e la professionalità ne riducono probabilmente la componente

ansiogena, la lettura dei dati Auditel del giorno prima inizia sempre con un po’ di

suspence (LINK Idee per la televisione, 2003).

Appena arrivano i dati, per placare l’ansia si guarda innanzitutto il totale giornata e il

prime time. Per capire se qualcosa è andato bene o male, il dato più immediato e

importante è lo share. Tutte le altre disamine sono successive.

Se il risultato non è particolarmente soddisfacente si guardano permanenza e curva.

Potrebbe essere stato poco visto all’inizio perché la promozione non ha funzionato, ma

con un buon dato di permanenza si può sperare che accumuli ascolto nel tempo.

Quindi si vanno a vedere le fasce più importanti: i Tg, il mezzogiorno, il pre-serale e la

prima e seconda serata, controllando cosa ha fatto il concorrente diretto, Raiuno (lo

scontro nel pre-serale è fondamentale per il palinsesto pubblicitario di una rete).

Il confronto prosegue con altre reti, perché in alcune fasce cambia la tipologia

dell’ascolto di Mediaset e cambiano perciò i concorrenti. Per esempio, nel primo

pomeriggio, quando partono i programmi della De Filippi, il confronto è con Raidue.

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Poi si arriva all’analisi di Canale 5, puntuale in ogni singola fascia. Si comincia dalla

mattina, col Tg delle 8 (si controlla il risultato dei Tg per l’effetto che possono avere

sul risultato complessivo del palinsesto, anche se dei Tg e della loro confezione la

direzione di rete di Canale 5 non è direttamente responsabile).

E’ dalla parte centrale del palinsesto che inizia una successione concatenata di tassativi

pubblicitari che vanno rispettati e di passaggi di pubblico da un prodotto all’altro

attraverso l’effetto trascinamento. Tutto questo incastro, che parte dal Tg di

mezzogiorno, prosegue con le soap, i contenitori del pomeriggio, quindi con Verissimo,

fino ad arrivare al pre-serale, è un tutt’uno che si deve monitorare attentamente. Qui

l’analisi degli ascolti è approfondita, perché un eventuale calo in qualsiasi punto, anche

all’inizio del pomeriggio, a volte può minare il risultato dell’intera giornata.

Canale 5 ha un pubblico più giovane, più alto-consumante, più metropolitano, quindi

meno abitudinario: la gente che abbandono la rete ad un certo punto può ritornare,

anche se ovviamente l’ideale è avere un pubblico che entra e non che esce. Per Raiuno

invece, è più importante che non si rompa la continuità, il trascinamento da un

programma all’altro, perché ha un pubblico meno reattivo, refrattario ai cambiamenti.

Ciò dipende soprattutto dall’età e dall’abitudine. Nella mente di molta gente Raiuno è

ancora la rete di riferimento. Accade solo con Raiuno, e in parte con Raitre, in alcune

fasce del prime time.

Altre analisi di routine sono quelle di chiusura della settimana: due settimane prima si

chiudono le informazioni sul palinsesto che andranno pubblicate su Sorrisi e Canzoni e

le altre guide Tv; si fa una stima degli ascolti della settimana andando a vedere quello

che in passato hanno fatto in situazioni simili tutte le trasmissioni Mediaset e facendo

ipotesi d’ascolto secondo i cluster di appartenenza. Con le stime di chiusura di

settimana, 9 volte su 10 i risultati sono azzeccati quasi ai decimali.

All’interno di una direzione di rete non si può dedicare tutto il tempo all’analisi, come

si fa quando si lavora nel marketing: si deve leggere i dati il più velocemente possibile,

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cercare di farsi un’idea il più possibile completa di come stanno andando le cose,

prendere decisioni veloci e poi aspettare i dati del giorno dopo.

4.3. L’importanza della verosimiglianza: l’opinione di Mario Giordano, Direttore

di Studio Aperto

La scaletta di un Tg è fatta di notizie: se un kamikaze palestinese si fa esplodere su un

autobus non ci si chiede quale sia il gradimento da parte del pubblico. È

automaticamente in scaletta, però sarebbe ipocrita dire che i dati Auditel non hanno

alcuna importanza nella compilazione della scaletta. L’obiettivo è quello di parlare a

più persone possibili, quindi si è sensibili alla risposta del pubblico. Auditel è un

criterio di scelta delle notizie che si somma ad altri (LINK Idee per la televisione,

2003).

All’interno di un telegiornale ci sono momenti di alleggerimento in cui si danno notizie

sul mondo dello spettacolo e dello sport. In questi frangenti il dato Auditel è padrone.

Per esempio, se si deve dare una notizia che riguarda la vita sentimentale di un attore se

ne sceglierà uno che piace al pubblico di Italia 1. Lo sforzo di integrare il pubblico con

quello di Italia 1 è continuo e gioca un ruolo importante. Spesso si danno notizie sui

programmi di successo di Italia 1: si è parlato tanto di Zelig perché è diventato un

fenomeno di costume.

Tra gli indicatori Auditel, quello più usato è senz’altro la curva. L’analisi dei dati non è

scientifica, ma empirica. In altre parole: non esiste una correlazione puntuale tra lettura

della curva e scaletta dei Tg. La dipendenza dal dato non è immediata, ma sedimentata

nel tempo. Dall’analisi delle curve si sa che i delitti di Cogne e Novi Ligure, per

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esempio, sono ancora in vetta agli interessi del pubblico, quindi si privilegiano le

notizie che riguardano queste due tragedie. Inoltre le curve servono per “controllare”

quello che fanno i programmi concorrenti col Tg di Italia 1. Per esempio, Verissimo, è

un programma che condivide con Italia 1 un certo tipo di pubblico. Da questo punto di

vista ci si comporta come tutti gli altri programmi televisivi, in particolare l’edizione

delle 18.30 è molto attenta al flusso di pubblico e alle indicazioni dei dati Auditel.

Oltre alle analisi sul pubblico fornite da Auditel, viene periodicamente prodotta dal

Marketing un’analisi qualitativa del Tg, sostanzialmente un’analisi del bacino di

pubblico.

Inoltre, il Direttore di Studio Aperto afferma di aver smesso di chiedersi se l’Auditel sia

“soddisfacente” e soprattutto se sia vero: l’importante è che sia verosimile e condiviso.

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4.4. L’Auditel aiuta a prendere la mira, ma non ti dà la forza: l’opinione di Aldo

Romersa, Vicedirettore di Italia 1

“Auditel è un metodo generale che ho introiettato e mi aiuta a vedere le cose.

Rappresenta le regole di base del gioco”. Esordisce così Aldo Romersa, Vicedirettore

di Italia1 e per spiegarsi usa una similitudine: “Non posso edificare una casa prima di

avere fatto un’analisi del terreno, devo essere sicuro che non sia argilla o sabbia quella

che ho sotto i piedi. Auditel mi dice la composizione del terreno, cioè, fuor di metafora,

la composizione del bacino di pubblico che ho di fronte. Non posso definire un

palinsesto senza sapere che ogni slot ha un bacino determinato: è un’informazione

necessaria che deve essere incrociata con il posizionamento che la rete ha e deve

mantenere” (LINK Idee per la televisione, 2003).

“Ci sono quattro elementi fondamentali nel lavoro di compilazione di un palinsesto: il

bacino di pubblico; il posizionamento della rete nel contesto competitivo; il flusso del

palinsesto; la forza con la quale si occupa una posizione.

Nei primi tre punti, Auditel gioca un ruolo fondamentale. Il bacino di pubblico è

definito da una serie di variabili socio-demografiche che ritraggono il profilo

dell’audience in una determinata fascia oraria. Questa informazione nasce

dall’osservazione ripetuta dei dati Auditel, giorno dopo giorno, fascia oraria per fascia

oraria. Il bacino di pubblico è una variabile definita dalla fascia oraria, dal giorno della

settimana e dalla stagione. Con l’esperienza sei in grado di associare ad ogni slot un

pubblico diverso, evitando così di mettere in programmazione prodotti che non siano

adatti a quella specifica audience. Il pomeriggio ha infatti un pubblico e dinamiche di

ascolto diverse rispetto alla sera.

Nella definizione del profilo, Auditel svolge un ruolo attivo, rappresenta una

competenza acquisita. Dopo parecchie “ore di dati”, come le “ore di volo” di un pilota,

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si riesce ad abbinare con precisione un prodotto al suo pubblico: la commedia

sentimentale parla soprattutto alle ragazze giovani, il thriller ha un pubblico unisex tra i

30 e i 40 anni; la commedia demenziale americana non riesce a sfondare sul pubblico

adulto (come se ci fosse una barriera linguistica insuperabile). Insomma Auditel ti

permette di definire il pubblico dei generi.

Prendiamo, ad esempio, il sabato pomeriggio. Dall’osservazione dei dati Auditel

sappiamo che il bacino, il pubblico di riferimento, è quello delle 15-34enni, una

presenza maggiore che negli altri giorni della settimana. Nel caso di Italia 1, rete

giovane per eccellenza, il posizionamento di rete permette di sfruttare questo bacino. A

questo punto entrano i gioco altre due variabili: il flusso e la forza. Per flusso si intende

un’organizzazione del palinsesto che fornisca, a una determinata tipologia di pubblico,

una continuità nella fruizione. Il sabato pomeriggio la logica di flusso deve tener conto

del pubblico di 15-34enni e cercare di tenerlo, con altri, fino a sera, quando entrano in

gioco pubblici nuovi.

Proporre programmi con target tra loro eterogenei non pagherebbe, né in termini di

pubblico, né in termini di posizionamento. Come si costruisce un flusso che permetta di

trattenere il più possibile quel pubblico? Qui interviene la forza con la quale decido di

occupare la posizione: posso colpire il pubblico di riferimento con maggiore o minore

intensità, scegliendo programmi che hanno un appeal diverso, un film piuttosto che un

altro, oppure un cartone animato o un evento liete.

La definizione della forza di un film o di una serie televisiva dipende da competenze

editoriali-culturali che non sono legate ad Auditel.

Ogni anno le reti devono esprimere un giudizio sui prodotti visionati (i film usciti in

sala e le serie nuove). Per i film si deve compilare una valutazione economico-

gestionale (VEG) nella quale si dà un giudizio sui singoli prodotti che poi potranno

essere comprati o meno. In questo modo si monitora il mercato, si sa quel che si

compra, dove collocarlo e cosa resta in vendita. La valutazione è costituita da una serie

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di categorie che si assegnano in base alle competenze editoriali e alla sensibilità di

ognuno verso il prodotto. Il giudizio sulla forza di un film è dato sia da elementi

oggettivi (cast, genere e plot), sia dalla sensibilità acquisita per il prodotto, nella quale

confluiscono le proprie competenze editoriali e gli stimoli che vengono dall’esterno. In

definitiva si può dire che Auditel è uno strumento necessario, ma non sufficiente, una

sorta di mirino che ti aiuta a prendere la mira ma non ti garantisce di colpire il

bersaglio; una grammatica di base che permette di avere un approccio corretto a questo

lavoro, per fare il quale non puoi pensare di usare soltanto le tue competenze culturali,

o peggio ancora, l’espressione del tuo gusto. Bisogna essere interpreti, parlare lingue

diverse, capire a chi ti rivolgi e conoscere i gusti del pubblico passando attraverso i

propri”.

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4.5. L’Auditel non fa la Tv, ma la misura: l’opinione di Carlo Panzeri,

Coordinamento Palinsesti Rti

Auditel rappresenta un linguaggio comune per chi lavora in televisione, uno strumento

di base sul quale si innestano ulteriori criteri di valutazione e di decisione, di carattere

economico ed editoriale. Per Carlo Panzeri, responsabile del Coordinamento Palinsesti

Rti, l’obiettività dello strumento è fuori discussione.

I dati Auditel, accoppiati a criteri qualitativi, vengono utilizzati lungo l’intera catena

del lavoro: stima del palinsesto, monitoraggio della programmazione e consuntivo

dell’ascolto di un programma o di un palinsesto nel suo complesso. L’Auditel è

soprattutto uno strumento che consente di essere in continuo contatto con i “clienti”: la

capacità di essere adeguati alla domanda del pubblico è scandagliata minuziosamente

con cadenza quotidiana, in un processo di continua messa in discussione delle ipotesi

teoriche (LINK Idee per la televisione, 2003).

I dati utilizzati con regolarità dalla struttura marketing di Mediaset, oltre a quelli usuali

di share e ascolto medio, sono la copertura e la permanenza, accanto ad una serie di

elaborazioni che “pescano” dai dati Auditel (curve, mappe ed istogrammi).

Copertura e permanenza sono dati importanti che dicono com’è stato visto un

programma: il primo ci descrive la capacità di un prodotto di attrarre pubblico; il

secondo, invece, la capacità di trattenerlo.

La curva di ascolto è un indicatore molto usato: documenta le performance di un

programma minuto per minuto, aiutando l’analista a formulare un giudizio consapevole

dell’atteggiamento complesso del pubblico.

Esistono poi particolari rappresentazioni grafiche, gli istogrammi, che ci aiutano a

determinare l’efficacia dei vari prodotti sui diversi target (uomini, donne, svariati

incroci di sesso ed età, area geografica e livello di istruzione). Questo strumento,

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insieme alle mappe (altra modalità di rappresentazione grafica degli ascolti, utile a

posizionare in modo relativo su un grafico il complesso dell’offerta di uno slot) aiuta a

capire come ha funzionato la programmazione di una certa fascia: chi ha “combattuto”

con chi; chi ha vinto e chi ha perso.

Esistono infine una serie di elaborazioni ancora più specialistiche fra cui le analisi

basate sui cosiddetti “dati elementari”, cioè sui singoli individui del panel Auditel e

non più sul campione espanso come si fa normalmente.

In definitiva, Auditel è insostituibile per chi lavora in televisione: consente di

monitorare con attenzione, continuità e precisione quello che accade sul mercato degli

ascolti e fornisce un linguaggio comune. Rappresenta però solo uno strumento

diagnostico: non fa la televisione, ma la misura.

Oltre ad Auditel si usano anche ricerche qualitative (focus group) su singoli programmi

o su personaggi Tv (Mediaset è infatti abbonata alla ricerca condotta da Abacus sui

personaggi Tv); ci si serve di analisi desk (analisi del contenuto ed analisi testuali), di

ricerche sugli stili di vita e di analisi socio-economiche.

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5. L’Auditel per la Tv pubblica

Per una Tv commerciale “la dittatura dell’audience” è una condizione costitutiva ed

indispensabile. Ma quanto conta l’Auditel per una Tv pubblica? La prima ed ovvia

risposta è che dipende dal modello di business. La RAI, finanziata sia dal canone che

dalla pubblicità, sembra costretta in una condizione vagamente schizofrenica: un

servizio pubblico è per metà al servizio dei cittadini e per metà al servizio del mercato.

Per Carlo Nardello1, responsabile del marketing RAI, il problema della convivenza delle

due anime del servizio pubblico si risolve con un aforisma: “Una televisione pubblica

che parlasse in un deserto di ascolto non potrebbe adempiere a nessuna missione”

(LINK Idee per la televisione, 2003).

Il servizio pubblico si regge su risorse provenienti sia dal canone d’abbonamento che

dalla pubblicità: le due facce convivono, non sono separate. La percentuale di risorse

pubblicitarie dell’azienda di servizio pubblico è di circa il 50%. La RAI ha pertanto

esigenze analoghe a quelle dell’emittenza privata in termini di conoscenza del mercato.

Ma a differenza dell’offerta televisiva delle reti commerciali, che hanno come primo

interlocutore il consumatore, il servizio pubblico ha come valore di riferimento

essenziale il cittadino-utente, che di fronte ad una scelta sempre più vasta e differenziata

è sempre meno soggetto passivo ed acritico. La qualità dei contenuti è oggi primaria

fonte di legittimazione sul mercato, come strumento principale per lo sviluppo di una

cultura libera e pluralista, ma al tempo stesso la RAI ha tra i suoi obblighi la

sperimentazione di nuove tecniche di produzione, la convergenza multimediale, lo

sviluppo di nuovi modelli produttivi e la ricerca di nuovi linguaggi televisivi.

L’Auditel permette alla televisione pubblica semplicemente di comprendere “il giorno

dopo” quale è stata la risposta dell’utente all’offerta. Come strumento di indagine

1 Più precisamente la direzione di Carlo Nardello si occupa di Corporate Marketing, Sistema informativo di Marketing, Business Development e Marketing Internazionale.

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finalizzato alla verifica delle performance, l’Auditel è un importante indicatore delle

scelte del pubblico e quindi è utile anche alla Tv pubblica. Quanto all’affidabilità,

raffrontando le informazioni che provengono da differenti strumenti di indagine sul

pubblico televisivo l’esperienza mostra che le indicazioni “di massima” che provengono

da Auditel sono risultate sempre “coerenti” con quanto emergeva da altre fonti.

Il peso specifico del risultato Auditel (anche per il suo effetto di “sintesi mediatica”) è

considerevole nell’ambito del sistema di strumenti di indagine a disposizione, ma non è

mai servito da solo a sancire il destino di una trasmissione. Auditel, in quanto indagine

di tipo sostanzialmente “quantitativo” (anche se arricchita da considerevoli dettagli per

i target socio-demografici), non consente di cogliere tutti gli spetti che caratterizzano il

gradimento di un programma (dal format al conduttore). E’ per questo che da tempo la

RAI si è dotata di uno strumento interno di indagine, l’IQS2.

L’IQS, cioè il famoso indice di Qualità e Soddisfazione, nasce in via sperimentale con

lo scopo di misurare la qualità percepita dal telespettatore, in adempimento a precisi

obblighi previsti all’interno del contratto di servizio. In questi anni RAI ha

sperimentato varie metodologie al fine di perfezionare l’analisi della percezione da

parte del pubblico. Fondamentale è la valutazione delle attese nei confronti del servizio

pubblico, che vanno poi tradotte nell’analisi quotidiana del percepito. Attraverso analisi

qualitative sul pubblico si identificano gli ambiti di indagine, cioè gli elementi della

qualità attesa e con cadenza quotidiana si rileva il percepito. Il tutto determina un indice

sintetico che permette di valutare con estrema semplicità il livello di qualità raggiunto

dal prodotto televisivo. L’utilizzo è prettamente interno mentre all’esterno, con cadenza

annuale, vengono trasmessi i valori IQS relativi alla programmazione delle tre reti RAI

(di gruppo e per singola rete) e per genere televisivo.

L’evoluzione del sistema radiotelevisivo, sia in Italia che in altri paesi europei, sta

andando sempre più nella direzione di una progressiva omologazione del modello di

2 Per un approfondimento vedasi ultimo paragrafo: Il panel IQS della RAI

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offerta tra il settore pubblico e privato, ma la struttura dell’offerta RAI è fortemente

differenziata rispetto a quella delle emittenti commerciali. Il 78,5% dell’offerta RAI è

dedicata ai generi tipicamente considerati di servizio pubblico; la continuità e la

sistematicità degli appuntamenti di informazione consentono una presenza costante

sugli avvenimenti, in particolar modo su quelli a livello internazionale; il forte rapporto

con il territorio è rappresentato dalle 21 sedi regionali e dai 4 centri di produzione Tv,

con una capacità di mobilitazione su grandi eventi legati a significative opzioni

culturali e sociali.

L’incontro tra offerta generalista e pubblici specifici è la mission strategica aziendale

per la costruzione di un’offerta televisiva intesa come ricerca di nuovi linguaggi

espressivi e tecnologici, come industria culturale in grado di costruire prodotti di

qualità, vincenti dal punto di vista degli ascolti, ma svincolati da pure logiche di

mercato, con una particolare attenzione a intercettare le nuove domande e i nuovi

bisogni degli utenti.

Gli obiettivi d’ascolto vanno comunque rispettati: ogni canale ha un obiettivo in termini

di ascolto nelle fasce orarie più pregiate dal punto di vista dell’investimento

pubblicitario, oltre ad altri obiettivi legati maggiormente alla mission indicata (per

esempio target da raggiungere). E’ ovvio che ciascuna trasmissione dovrebbe realizzare

una performance in linea con questo tipo di attese.

Altre indagini di tipo quantitativo finiscono per dare risultati analoghi ad Auditel: i

sistemi integrativi, ad esempio, sperimentati ed in uso, sono tutti quelli che consentono

di ottenere valutazioni di tipo qualitativo sulla programmazione. E’ comunque

fondamentale il fatto che indagini diverse siano basate su differenti campioni della

popolazione.

Per quanto riguarda il pubblico, non è possibile etichettarlo dividendolo tra servizio

pubblico ed emittenza commerciale. Il pubblico è solo uno e ha molteplici esigenze ed

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interessi che vengono soddisfatti da differenti tipologie di prodotto offerti dalla RAI e

dagli altri operatori del mercato.

6. Non solo Auditel: tattiche astute ed analisi qualitative

L’audience in una Tv commerciale non si cerca solo con i numeri e le statistiche di

Auditel. Viene catturata anche con ricerche qualitative o “motivazionali”, mirate su

programmi specifici, sui personaggi e sull’immagine di rete. E poi è presente in modo

ancora più sottile e soggettivo, incorporata nell’intuito di autori e produttori.

Nel momento di creazione, confezionamento e assemblamento di un programma ci

sono due tipi di atteggiamento e due modalità di lavoro (spesso conviventi, non sempre

pacificamente): quello “artigianale”, spesso presente nei programmi di nicchia; e quello

“industriale”, comune nei format di largo ascolto e nei programmi seriali.

Semplificando, si potrebbe dire che nel primo prevale la logica del prodotto, nel

secondo quella del marketing (LINK Idee per la televisione, 2003).

L’audience, in chi fa la Tv, è anche intuito e mestiere. Spesso gli autori della Tv

commerciale parlano del loro rapporto con l’audience e i suoi numeri un po’ come un

vecchio pescatore che racconta i trucchi e le astuzie della pesca; le caratteristiche delle

reti e delle esche. Anche nella vita quotidiana di questi professionisti della Tv

dominano le “tattiche astute”. Sono trucchi artigianali “dentro” le strategie del potere

(dell’istituzione televisiva), ma a volte funzionano proprio perché riescono a svincolarsi

dal potere e dall’ossessione dell’audience.

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In generale questo atteggiamento tattico-astuto è tipico di chi lavora su programmi

almeno inizialmente di nicchia, quelli che quando funzionano diventano cult e magari

poi riescono a trasformare il culto in una moda mainstream o quasi.

Un recente caso esemplare è quello di Zelig, dietro il quale ci sono altri due vecchi

artigiani del comico televisivo come Gino&Michele; un altro caso è quello de Le Iene,

che devono molto al mestiere di Davide Parenti3.

Un “vecchio pescatore” di audience e maestro di queste tattiche astute è Antonio

Ricci4, l’autore di Drive In, Paperissima e di Striscia la Notizia.

Nello stile “industriale”, invece, le decisioni si affidano soprattutto alle tecniche

d’analisi: il programma può essere testato prima della messa in onda sottoponendo ad

analisi qualitative i numeri zero (con focus group) o le puntate pilota mandate in onda.

In quest’ultimo caso i dati qualitativi e “motivazionali” vengono messi a confronto con

i dati d’ascolto.

Con quest’approccio è più naturale testare e intervenire sui programmi mandati in

onda: analisi di routine, incrociate con le varie rielaborazioni dei dati Auditel, si fanno

su programmi che richiedono una messa a punto o un restyling

Come sostenuto nel capitolo precedente, con le analisi qualitative si lavora anche sui

personaggi televisivi: un lavoro attento che può assumere un valore fondamentale sia

per il buon esito di un programma, sia per la carriera della star.

3 Per un approfondimento vedasi paragrafo successivo. 4 Per un approfondimento vedasi paragrafo: L’ascolto per Antonio Ricci.

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6.1. L’ascolto per Davide Parenti

L’autore capo de Le Iene, Davide Parenti, non si attende sorprese dai dati di ascolto:

con un programma come questo si sa in anticipo se la puntata perderà o vincerà il

confronto con i programmi rivali. Di regola, la parte del programma che si svolge in

studio perde e i servizi guadagnano pubblico. Inoltre, ogni pezzo ha un suo pubblico,

più o meno ampio. La curva di ascolto de Le Iene la si conosce in anticipo. L’unica

sorpresa potrebbe essere legata a calcoli sbagliati sulla controprogrammazione, ma

generalmente si sta molto attenti (LINK Idee per la televisione, 2003).

Naturalmente si conosce la curva, ma non l’ampiezza. Quella dipende da molte

variabili. Anche da un week-end di sole, perché il pubblico de Le Iene è quello che

viene definito giovane, metropolitano, con alto potere di spesa, ovvero il tipo di

pubblico meno fedele, più incline a lasciare la trasmissione per fare qualcosa di più

emozionante, come andare a spasso anziché stare a casa a guardare la Tv.

Quando ci si mette a compilare la scaletta del programma si deve tenere conto di tutte

queste cose: è una specie di battaglia navale, fatta di caselle piene e caselle vuote e tu

devi decidere quali mosse fare. Ci sono delle regole precise: si inizia sempre con un

pezzo forte, capace di attirare pubblico il più possibile. In Tv “le cartucce migliori

vanno sparate subito”, mentre in coda si ha la possibilità di sperimentare di più.

Ci sono inoltre dei servizi che vanno protetti perché possano crescere. Se si posiziona

una cosa nuova sulla coda di un film, per esempio, è come mandarla al patibolo.

Nessuno la guarderà. Questo, però, a volte può essere un vantaggio, perché dà la

possibilità di sperimentare cose nuove in video. Viceversa ci sono blocchi che

funzionano sempre, per esempio “l’intervista doppia”, una specie di jolly che dovunque

metti attira e mantiene pubblico

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Per Parenti una cosa importante è anche la visione da casa del programma: vedere il

programma in Tv, anziché in AVID (la macchina per montare i filmati) ti permette di

capire tante cose. Innanzitutto il ritmo: solo da spettatore si riesce a capire se il

programma assemblato funziona o meno, è una questione di tempi che vanno gestiti e

misurati.

Il criterio di scelta è comunque il gusto personale: “se piace a chi lo fa, è ragionevole

che piaccia anche al pubblico. L’Auditel serve da conferma, ma non si basa le scelte sui

calcoli astrusi fatti sul dato. “Ci piace pensare di offrire al nostro pubblico la

televisione che per primi noi guarderemmo. Siamo come un ristorante dove serviamo i

piatti che piacciono a noi. Non usiamo olio scadente o ingredienti di bassa qualità.

Certo, il nostro gusto è cambiato nel tempo, è frutto di compromessi, ma resta il fatto

che noi siamo golosi di quello che prepariamo. Il pubblico si accorge di queste cose,

soprattutto il nostro. All’inizio eravamo più estremi, ma ci siamo accorti che quando

esageri le persone tendono a non seguirti; ci siamo allora smussati, ma abbiamo

continuato a fare quello che ci piace. Per esasperare la metafora del ristorante: se

cucini con troppo pepe la gente si stanca e ti viene la nausea” afferma Davide Parenti.

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6.2. L’ascolto per Antonio Ricci

Ricci sostiene che è determinante sapere che la Tv non è una finestra sul mondo, ma

una finestra sul mercato: il più grande telemarket dall’inizio della storia dell’Umanità e

come in qualsiasi suk chi grida più forte cattura l’attenzione degli altri.

La pubblicità è il momento “onesto” della Tv. E’ il momento in cui capisci chiaramente

che c’è qualcuno che ti vuol vendere qualcosa, in quanto il blocco pubblicitario

“blocca” lo svolgimento dello spettacolo (LINK Idee per la televisione, 2003).

Alcuni spot sono molto belli e senz’altro più interessanti delle trasmissioni che li

contengono, ma è soprattutto vero che, essendo molto ripetitivi, al loro arrivo il

telespettatore preferisce cambiare canale. Il fuggi-fuggi è generale, coinvolge milioni di

telespettatori, ma c’è un tempo tecnico di reazione tra prendere in mano il telecomando

e schiacciare, così lo spot d’apertura lo si “becca” di sicuro. Per questo la prima

posizione di un blocco pubblicitario costa di più.

L’unico sistema rivelatosi efficace per affrontare i blocchi pubblicitari è stato quello di

rispondere al bombardamento con il bombardamento: pensare la trasmissione come una

corsa dei centodieci ostacoli dove è importante la partenza, ma è soprattutto il ritmo che

ti fa superare i cavalletti con facilità.

L’Auditel è una divinità; i suoi responsi sono dogmi. Come Eurinomo, il genio

infernale che sbrana la carne dei morti lasciando solo lo scheletro, così l’Auditel ogni

giorno si spolpa qualche conduttore, qualche telegiornalista o soubrette. Per placarlo, i

Direttori di Rete, oltre a vittime umane, sacrificano soprattutto il buon senso.

Anche Ricci ammette che sui “grossi numeri” senz’altro una tendenza l’Auditel può

darla, mentre per le trasmissioni di “nicchia” il responso è viziato dal fatto che il

campione si restringe troppo.

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I dati che in realtà andrebbero sempre interpretati diventano però l’unico elemento

concreto per un giudizio estetico e di merito. L’opinabile diventa certezza. I dati sono

positivi. Sei un genio, le puntate sono stupende e si ride anche sulla fiducia. Per

qualche motivo i risultati scendono: sei impazzito, riscaldi sempre la solita minestra, la

satira è morta, ormai vanno di moda i buoni sentimenti.

Il dio Auditel possiede delle caratteristiche “meccaniche” curiose e poco studiate.

Facendo la trasmissione Odiens nel 1998 ci si accorse che la punta di ascolto era

sempre alle 21,20. A quell’ora qualsiasi cosa si mettesse (un balletto, un cane

“parlante”, un monologo comico o il mago Otelma) veniva sempre visto dal maggior

numero di telespettatori. Sfruttando questa “meccanicità”, Giucas Casella nella puntata

di Domenica In del 12 novembre 1995, previde che i telespettatori alle 19,30 sarebbero

stati 6 milioni e 800mila. Azzeccò e venne invitato con tutti gli onori al Tg1, dove

spiegò di essere entrato in trance nelle case degli italiani e di averli contati.

L’Auditel per Ricci è fonte di vita e garanzia di libertà. E’ per questo che cerca di

capire tutti i suoi segreti. Se non facesse grandi ascolti verrebbe spazzato via in un

giorno.

Non si tratta però di assecondare i “presunti lati deteriori dei telespettatori” inseguendo

un risultato meramente quantitativo.

Ricci presuppone sempre di avere di fronte un pubblico intelligente, in grado di

rispondere alle provocazioni e di accogliere i dubbi. Le migliaia di telefonate e il

numero sempre crescente di segnalazioni che arrivano via fax o via Internet

testimoniano che sempre meno i telespettatori subiscono la televisione come

dispensatrice di certezze.

L’Auditel si può anche “evadere”, ma contrariamente al fisco, dichiarando di più.

Intervistati sugli ascolti, i dirigenti e i conduttori tendono per lo meno ad arrotondare i

numeri verso l’alto. Quasi sempre la sparano grossa: “Facciamo sette milioni”. “Sette

milioni” non è però la media, ma solo il punto più alto di una singola puntata record,

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non omologabile perché ottenuto con vento favorevole, mentre sulle altre reti c’è

sciopero. Questi dati vengono presi per oro colato dai giornalisti i quali, se si facessero

sorprendere a far la fatica di controllarli, verrebbero radiati dal loro Albo.

Per giocare con questa tendenza a volte a Striscia la Notizia si danno dei numeri

incredibili: “Ieri abbiamo fatto venti milioni”. In realtà si tratta di un dato vero e

verificabile: è il numero dei “contatti”, cioè il numero di spettatori che per un minuto si

è sintonizzato con la trasmissione.

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7. Dietro i dati Auditel

Per un grande produttore indipendente l’uso attento e specialistico dello strumento

Auditel è indispensabile; soprattutto per le produzioni a lunga serialità e gli adattamenti

ai format, che rappresentano uno stadio di industrializzazione delle produzioni. Marco

Bassetti, di Endemol Italia, produttore di Grande Fratello, di soap come Vivere e Cento

Vetrine, di fiction e intrattenimento da prime time, sostiene che queste competenze

multigenere richiedono una conoscenza puntuale di pubblici e palinsesti.

Si utilizza un dato Auditel elaborato qualitativamente e quantitativamente dalla società

Geca, di origine spagnola, che ha importato in Italia una serie di sofisticate analisi dei

dati grezzi: sono dei preziosi strumenti di supporto per i produttori e i creativi.

Per i programmi in prime time il primo confronto è quello della scaletta, con la curva

che dà l’andamento minuto per minuto dell’ascolto: picchi e cali, ma anche

composizione del pubblico. Da questo primo confronto, epurato dalle contaminazioni da

controprogrammazione delle altre reti, si ha un primo dato sulla forza del programma:

se la curva cresce e il pubblico rimane e si consolida, il programma funziona (LINK

Idee per la televisione, 2003).

Ovviamente l’aggiustamento a partire dal dato vale per tutti quei programmi che

permettono di intervenire in corso d’opera. Le fiction di poche puntate in prime time

restano dei prototipi che vengono testati dalla messa in onda: per essi l’Auditel decreta

senza appello successo o insuccesso.

Per i programmi in daytime, spalmati in più puntate, e per i programmi in prime time in

diretta o ancora in produzione mentre sono trasmessi (per esempio Grande Fratello), si

scende a controllare la composizione del pubblico e ad aggiustare eventualmente

scaletta e blocchi.

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La lettura di un’intera edizione di un programma, con il suo storico, permette di

individuare i punti di debolezza e di forza e di lavorare su questi. Influiscono tuttavia

anche altri elementi come per esempio la necessità di innovare alcune parti, o i

linguaggi, perché esauriti dal programma stesso, o magari da altri che lo hanno copiato.

Il programma si rivede a tavolino, ma gli aggiustamenti finali si determinano più a

ridosso dell’uscita, quando si delinea più chiaramente il contesto competitivo, la

controprogrammazione sulle altre reti, che in ultima analisi determina il pubblico della

propria trasmissione.

In definitiva il dato Auditel è uno strumento di base, fondamentale, ma ci sono una serie

di altre variabili in gioco. Bisogna leggere dietro il dato Auditel ed è quello che si tenta

di fare tutti i giorni, trovando delle forti indicazioni anche di carattere qualitativo. Per

esempio i dati sulla composizione del pubblico: oltre alla quantità, al sesso, all’età, il

dato Auditel dà la regione di provenienza, il grado di scolarizzazione, dice se è un

pubblico metropolitano, di città medie o grandi e la sua permanenza. Insomma, offre un

insieme di informazioni che a parere di Marco Bassetti sono indici qualitativi.

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8. Il ruolo dell’Auditel per l’analisi dei personaggi

L’utilizzo efficace delle star – le “risorse artistiche”, nel gergo televisivo – comporta

anche l’uso di strumenti d’indagine, quantitativi e qualitativi, che permettono di

verificare il rapporto tra i volti Tv e il pubblico, di designare il “profilo” del personaggio

nella percezione del pubblico.

Giorgio Restelli, responsabile delle risorse artistiche Mediaset, sostiene che l’Auditel,

insieme ad altre ricerche condotte sui personaggi televisivi, consente di definire il

gradimento di un personaggio e il suo profilo. La televisione è fatta di persone che

mettono il loro volto davanti alle telecamere e instaurano un certo rapporto con il

pubblico. Per Mediaset è importante conoscere il più possibile questo rapporto. Il

profilo di un personaggio permette di deciderne la collocazione (LINK Idee per la

televisione, 2003).

Un personaggio nuovo richiede però intuito e sensibilità. Normalmente accade che un

personaggio nuovo si affacci al mondo televisivo con un talento grezzo, l’obiettivo

diventa quindi di individuarne le potenzialità e di aiutarlo a compiere un percorso

formativo adeguato. E’ nell’interesse dell’azienda che questo accada, un talento va fatto

crescere e mantenuto con ruoli adatti che non lo espongano oltre misura.

In tutto questo Auditel gioca un ruolo di verifica: la curva di ascolto di un programma

permette di giudicare una performance e mettendo a confronto diverse curve si può

disegnare un profilo del personaggio. E’ necessario fare un’analisi attenta dei dati

Auditel: la singola performance conta relativamente, bisogna seguire l’intero percorso

di un personaggio per valutane il valore.

I dati Auditel vengono in soccorso anche per affrontare rapporti difficili con star che

stanno passando un momento di appannamento. Spesso capita che uno stile di

conduzione che ha avuto successo per molto tempo non funzioni più e che serva la

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fredda oggettività dei dati di ascolto per convincere un personaggio a rivedere il suo

stile e a modificarlo per rinnovarsi.

9. L’Auditel nel mercato pubblicitario

Una bilancia per pesare la Tv; per pesare la quantità di teste raggiunte dalla pubblicità e

stabilire così i prezzi da far pagare a chi compra gli spazi pubblicitari. Questa è

l’essenza dell’Auditel.

In Italia il 52% degli investimenti pubblicitari finisce alla Tv, cioè in gran parte, alle

concessionarie di pubblicità del duopolio: Sipra per la RAI e Publitalia per Mediaset.

Sono loro i grandi venditori con la bilancia Auditel in mano.

Di fronte a loro ci sono i grandi acquirenti, cioè soprattutto i centri media, che decidono

le strategie pubblicitarie dei principali produttori, consigliandoli se e quando infilare

spot o telepromozioni in certi programmi televisivi piuttosto che in altri; oppure

pubblicare pagine su giornali o riviste; o utilizzare campagne alla radio o manifesti nelle

città (LINK Idee per la televisione, 2003).

I venditori

Per i venditori l’Auditel è il migliore dei mondi possibili: l’ordinata sequenza di cifre

che arriva puntualmente sui tavoli ogni mattina è uno strumento di lavoro affidabile e

inappellabile, che tuttavia costringe a un notevole sfasamento temporale: Auditel è una

bilancia che pesa il passato per vendere il futuro; e quando si vende e compra un nuovo

programma, la determinazione del peso diventa un’operazione creativa. Anche per

questo la concessionaria di una Tv commerciale ha voce in capitolo nella progettazione

del prodotto televisivo. Giancarlo Aru, del marketing di Publitalia sostiene che la

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concessionaria suggerisce alla “fabbrica televisiva” le caratteristiche intrinseche del

prodotto, che deve essere modellato sul target. Auditel sta alla Tv come lo scanner (alle

casse dei supermercati) sta alla grande distribuzione: rileva il grado di accettazione dei

consumatori. Ogni rete è caratterizzata da un posizionamento editoriale specifico e da

una base di spettatori con preferenze televisive e caratteristiche socio-demografiche

differenziate, con particolare attenzione alle fasce di pubblico più interessanti per il

settore pubblicitario.

Il peso dei venditori si sente anche nel caso di programmi che non funzionano come ci

si aspettava. In questo caso si cerca di discutere con la parte editoriale, individuando gli

aggiustamenti di tiro e le modifiche. Non si giudica mai il successo o l’insuccesso delle

prime puntate: il valore di un programma si definisce nel tempo. Una riunione

settimanale di verifica con i centri media e con i clienti aiuta a definire il

posizionamento del programma e a valutare eventuali aggiustamenti.

In ogni caso occorre buon senso e continuità nell’interpretazione dei dati. In primo

luogo perché un programma, soprattutto se ha successo, si satura in termini di bacino

pubblicitario dopo due o tre puntate. In secondo luogo perché il prodotto costruisce

fedeltà nell’arco di tutto il periodo di emissione, e un dato grezzo e limitato dice ben

poco in merito al suo vero valore; ad esempio i programmi a striscia: costruiscono

affezione giorno dopo giorno.

I compratori

Per i compratori il predominio televisivo in campo pubblicitario è visto in modo

ambivalente. Da un lato sembra il retaggio di un’epoca ormai passata, che continua

imperterrita a sopravvivere in un contesto molto diverso, nel quale la “dieta” mediatica

dell’utente è sempre variata: cinema, dvd, videogiochi e più in generale i media

interattivi. Dall’altro la centralità è giustificata perché la Tv continua a offrire una solida

base di investimenti e a dimostrarsi strumento efficace e molto affidabile. Luca Cavalli,

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media manager del reparto Research del gruppo ZenithOptimedia5 sostiene che l’offerta

crescente di mezzi di comunicazione cui abbiamo assistito nel decennio scorso ha

radicalmente trasformato l’approccio alla pianificazione strategica. In questo scenario

multivariato la televisione continua comunque a occupare un ruolo centrale, soprattutto

in relazione a mercati di massa e a target allargati. E’ sicuramente una peculiarità della

realtà italiana che trova scarso riscontro nel contesto europeo. Esistono però, anche nel

nostro mercato, arene competitive più segmentate ed elitarie che riescono ad uscire da

questa logica. Fortunatamente, perché spesso è lì che la capacità di media-creativo di

un’agenzia vengono chiamate in causa.

Del tutto positivo è invece il giudizio sul mezzo Tv di Roberto Roseano, “research

director” di Media Italia6, il quale sostiene che la televisione continua a essere il mezzo

che meglio soddisfa la maggior parte delle esigenze di chi comunica: raggiunge

velocemente tutti i segmenti della popolazione, ha un costo per contatto competitivo su

molti target, offre diverse tipologie di comunicazione (spot, sponsorizzazioni,

telepromozioni e televendite), garantisce visibilità alle campagne e, dal punto di vista

del ricercatore, offre dati in abbondanza. Proprio questi dati rivelano che l’attuale

stagione televisiva sta ottenendo valori d’ascolto record.

Questo non significa che nella progettazione di una campagna pubblicitaria la Tv venga

selezionata per default. In ogni strategia che si rispetti vengono selezionati i mezzi che,

compatibilmente col budget disponibile, meglio consentono di perseguire gli obiettivi

della campagna, in base alle loro caratteristiche tecniche e commerciali. Per quanto il

suo peso sia rilevante a livello aggregato, non va dimenticato che nel 2002 le aziende

5 Il gruppo ZenithOptimedia, nato dalla fusione tra Zenith Media e Optimedia, è oggi una delle agenzie media più importanti al mondo. Opera a livello internazionale con 166 uffici in 59 paesi e gestisce investimenti pubblicitari per oltre 20 miliardi di dollari. 6 Media Italia è un’agenzia media a servizio completo che fa parte del Gruppo Armando Testa S.p.A. Nata a Torino nel 1982, è il primo centro media costituito in Italia. Nel 2002 ha amministrato 600 milioni di euro per conto di 65 clienti.

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che hanno pianificato la Tv sono state 1300, contro le 15400 che hanno pianificato la

stampa7.

Benché Auditel sia ritenuto uno strumento pressoché perfetto per il lavoro dei centri

media sulla Tv, i numeri non sono i soli criteri di efficacia utilizzati: ci sono anche i

profili, l’immagine del programma e il gradimento dei personaggi.

Numeri, profili, contenuti, conduzioni: secondo Cavalli sono tutti fattori importanti

nella valutazione del mezzo televisivo. Nel caso di una ricerca tipicamente mass market,

dalla storicità consolidata e prodotta da una grande multinazionale leader del settore,

servirà soprattutto la logica dei numeri; nel caso di un nuovo prodotto molto giovane e

segmentante, che deve costruirsi in breve tempo una solida awareness, diventeranno

preponderanti gli elementi più qualitativi dei veicoli di comunicazione.

Insomma, l’audience, nelle mani di questi strateghi della comunicazione, è tutt’altro che

la dittatura della quantità: è piuttosto un territorio multiforme, da conquistare con

tattiche diverse. Un piano è normalmente costituito da un mix di rubriche pubblicitarie

ad alto, medio e basso ascolto. Molto spesso le rubriche più affini ad un target, ossia

quelle che meno disperdono i contatti su segmenti di popolazione che non interessano,

hanno ascolti tutt’altro che elevati. Ciò che conta realmente è far sì che il messaggio

raggiunga una elevata quota degli appartenenti al target, con una adeguata frequenza e

dentro un determinato arco temporale.

Occorre inoltre considerare che ci sono gli altri strumenti, a volte indispensabili, da

affiancare o da sostituire all’Auditel.

Cavalli afferma che più un’emittente si rivolge a focus target più la base campionaria

rappresentativa si riduce, aumentando l’errore statistico. L’esperienza e il ricorso ad

altre metodologie di valutazione possono a questo punto venire in aiuto agli operatori

del settore; ad esempio ci si riferisce alle indagini single source8, utilissima fonte di

7 Dati Nielsen Media Research. 8 Alla fine degli anni ’80 la società Nielsen Italia, istituto di riferimento per le indagini di consumo di beni e prodotti, decise di provare ad abbinare le indagini di consumo famigliare, che già svolgeva, a quelle di

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informazioni complementari e, in alcuni casi sostitutive, per l’analisi dei mezzi. Per

quanto riguarda l’efficacia poi, le concessionarie per prime hanno ormai imboccato la

strada di indagini alternative (come le coincidenziali e i tracking) con lo scopo di

monitorare in tempo reale le fluttuazioni della fruizione.

Quando il centro media amplia l’orizzonte al consumo di tutti i media, une delle

ricerche più usate è Sinottica di Eurisko, un’indagine che scatta due fotografie all’anno

su campioni di 5.000 casi.

Ciò consente di incrociare informazioni sull’esposizione ai mezzi di comunicazione, sui

consumi, sui beni posseduti e sulle caratteristiche degli individui, tutte informazioni

rilevate presso ciascun intervistato.

Sinottica ha anche il pregio di fornire informazioni sui mezzi che non dispongono di

una ricerca ufficiale (come per esempio il cinema) o su veicoli dall’audience ancora

ignota (come per esempio MTV, ma anche testate stampa non ancora rilevate da

Audipress). E’ molto utile in fase strategica sia per fare l’identikit di un target di

comunicazione (profilo socio-demografico e comportamentale), che per analizzare la

sua esposizione a mezzi, emittenti, programmi, testate e fasce orarie.

I mezzi selezionati in strategia vengono poi pianificati con software che “girano” sui

dati più dettagliati delle ricerche specifiche, come Auditel, Audipress e Audiradio.

Auditel è ciò che serve per pesare la pubblicità in Tv; ma quanto contano i suoi numeri

per valutare l’efficacia di una campagna pubblicitaria?

Roseano ricorda che il principio fondamentale per un’agenzia pubblicitaria è: “It’s not

creative unless it sells” (non è creativo se non vende). In verità, è ben noto che le

ascolto televisivo. Il nuovo sistema, denominato Nielsen Single Source Italia (NSSI) Audience Tv consentiva di raccogliere informazioni e dinamiche delle famiglie sui dati di esposizione ai media e i dati di consumo di prodotti. Il valore di tale indagine era avere una fonte unica di informazioni, che permettesse, entro certi limiti, un controllo di efficacia delle campagne pubblicitarie. In un primo tempo si chiese alle famiglie di compilare dei diari sulla fruizione televisiva, successivamente venne introdotto un set meter per ognuno dei televisori presenti nelle case dei panelisti. Il sistema non incontrò però il favore dei potenziali utenti: fra i motivi, gli elevati costi d’impianto, l’impegno eccessivo richiesto ai panelisti e la difficoltà di trovare una correlazione diretta fra consumi Tv e di prodotto.

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vendite sono influenzate anche da altre leve del marketing mix, soprattutto prezzo e

promozione (del cliente, ma anche dei concorrenti). Per questa ragione spesso l’analisi

si concentra sulle cosiddette soft variables, il ricordo e il riconoscimento della

campagna pubblicitaria e qui conta molto la creatività del messaggio.

Alla fine un cattivo piano mezzi depotenzia un’ottima creatività, ma una mediocre

creatività rende inutile un ottimo piano mezzi.

Quantità e qualità, ancora una volta, sono inestricabilmente intrecciate.

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10. Misurare il gradimento: introduzione

La rilevazione quantitativa dei dati di ascolto consente di descrivere l’audience,

attribuendo un peso ad un fenomeno intangibile. Questo non è però l’unico strumento

per analizzare l’ascolto televisivo. Ve ne sono molti altri, in quanto la televisione è un

fenomeno assai complesso che richiede una pari complessità di approcci e di strumenti

per essere analizzata.

Le ricerche audiometriche, come quella effettuata da Auditel, nascono per rispondere a

precise esigenze commerciali: misurare il numero di contatti e descrivere il pubblico,

dal punto di vista delle variabili socio-demografiche, delle scelte di visione e degli

orientamenti di consumo. Esse forniscono soltanto una delle possibili fotografie del

consumo televisivo, mettendo a fuoco alcuni tratti peculiari e tralasciandone altri, come

i processi cognitivi e motivazionali che presiedono alla visione della Tv.

Accade però, che i risultati forniti dall’Auditel vengano utilizzati, magari

impropriamente, come unico parametro per decretare il successo o l’insuccesso di una

trasmissione o per orientare le linee editoriali delle reti, sia commerciali che pubbliche.

Tutto questo è forse inevitabile; resta però vero che limitarsi alla lettura del fenomeno

così come viene fornita dagli strumenti audiometrici significa dimenticare la natura

multidimensionale dell’audience e la complessità del consumo televisivo (Casetti F., Di

Chio, 1998). Gli atteggiamenti espressi dal pubblico nei confronti di un programma

trovano una prima sintesi nel concetto di gradimento. L’esigenza di misurare il

gradimento che un programma suscita nasce da più ragioni: da un lato si vogliono

descrivere le dinamiche del consumo, affiancando ad un dato che indica il sintonizzarsi

di un pubblico su una trasmissione, anche un dato che evidenzia il grado di

soddisfazione che il pubblico ricava dalla visione del programma (in questo modo si

vuole integrare la misura quantitativa del successo di un programma con un indicatore

qualitativo sintetico); dall’altro lato si vuole invece capire meglio in che cosa consista la

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qualità di un programma: quanto e che cosa è apprezzato. Le emittenti vi badano perché

il successo di un programma è legato sia alla sua capacità di mobilitare un’audience che

alla sua capacità di soddisfarla: in ogni caso la misurazione del gradimento è una pratica

che, con alti e bassi, ha accompagnato tutta la storia della televisione.

Al di là dei problemi derivanti dal fatto che la qualità di un prodotto e la relativa

soddisfazione non sono facilmente misurabili attraverso parametri fissi, ci si imbatte in

una questione fondamentale: quella del rapporto fra indici di gradimento e dati di

ascolto.

Se ci fosse una effettiva correlazione tra gli indici di ascolto dei programmi e i loro dati

d’ascolto, il programma più gradito dovrebbe essere anche il più seguito. In realtà,

spesso non è così, o perché l’autopercezione del consumo di televisione e, più ancora,

l’autorappresentazione del telespettatore divergono dalla reale dieta di visione (ad

esempio, il numero di persone che dichiarava di amare Quark non coincideva con il pur

elevato numero degli spettatori effettivi); o per effetti di distorsione statistica del

campione (i pochi che seguono un programma di nicchia lo amano tantissimo: e così il

suo indice di gradimento è più alto di quello di un programma seguito da molti

spettatori). Di fatto, in quasi tutta Europa, l’indice di gradimento non trova alcuna

corrispondenza nei risultati di ascolto e lo si utilizza come parametro di riferimento

qualitativo. Negli Stati Uniti, invece, molti “tracking studies” (studi continuativi) sul

gradimento dei programmi hanno evidenziato un maggior legame con gli effettivi dati

di consumo. Una ragione potrebbe trovarsi nel diverso grado di disponibilità e

affidabilità dei soggetti intervistati: in Europa, sono ancora attivi meccanismi di censura

e deformazione delle risposte che tendono a creare la distorsione tra quanto dichiarato e

i comportamenti concreti tenuti dai soggetti; negli Stati Uniti questo fenomeno è assai

più contenuto. Un secondo aspetto riguarda le caratteristiche della programmazione

televisiva: il fatto che negli Stati Uniti si privilegi uno stile di programmazione

relativamente stabile facilita l’assunzione di comportamenti di consumo costanti e

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dunque la possibilità di individuare con maggior agio le correlazioni tra indici di

gradimento e indici di ascolto.

10.1. Il panel IQS della RAI

Dal luglio 1997 la RAI ha dato corso alla rilevazione della qualità percepita dei suoi

programmi televisivi, varando il cosiddetto IQS (Indice di Qualità e di Soddisfazione).

Sappiamo che qualità e soddisfazione sono la risultante di una serie di percezioni, che

attengono alle caratteristiche del prodotto e alle attese di chi lo consuma, e che le une e

le altre si connotano diversamente secondo il “genere consumato”: un certo programma

sarà ritenuto di qualità soprattutto se giudicato chiaro e obiettivo, mentre un altro dovrà

essere in primo luogo interessante e divertente. L’indice di qualità e di soddisfazione è

pertanto scomponibile in una serie di fattori, ciascuno dei quali concorre, con un suo

peso, a determinarlo (Casetti F., Di Chio, 1998).

La base statistica è costituita da un campione di famiglie (per il momento 1000),

stratificato per zona geografica, ampiezza e secondo variabili socio-demografiche,

rappresentativo dell’universo delle famiglie italiane: fanno parte del panel IQS tutti i

componenti delle famiglie campione con almeno 8 anni. Sono considerati rispondenti

tutti coloro che compilano il questionario proposto nel corso della trasmissione. Il

questionario viene somministrato in uno o più momenti “centrali” del programma,

secondo la sua durata, per cercare di coglierne gli aspetti salienti. La probabilità che un

individuo risponda al questionario è proporzionale alla sua permanenza nella visione del

programma: ciò garantisce che il numero dei giudizi raccolti sia soprattutto espressione

di ascoltatori non erratici. I giudizi espressi dagli individui del panel, concorrono alla

definizione degli indici di qualità e soddisfazione.

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La rilevazione della qualità percepita viene effettuata su molti programmi trasmessi

dalle reti RAI giorno per giorno: alcuni di questi programmi sono rilevati

sistematicamente; altri, essendo ricorrenti vengono rilevati ciclicamente, secondo un

calendario che ne garantisca, nel tempo, la significatività delle stime.

L’indagine si avvale di uno strumento interattivo, denominato “I-Kit”, che è collegato al

televisore principale di ciascuna famiglia campione: questa apparecchiatura, utilizzando

le pagine di Televideo, trasmette in sovrimpressione sul video le domande del

questionario riferite al programma che si sta vedendo e trasferisce quindi le risposte,

tramite la presa telefonica, all’istituto che ha l’incarico di elaborarle; gli individui della

famiglia interagiscono con l’I-Kit tramite un semplice telecomando, che consente loro di

posizionarsi sulla risposta desiderata, utilizzando dei tasti freccia. Tutti coloro che

stanno vedendo il programma rispondono, in sequenza, alle domande del questionario,

qualificandosi attraverso l’indicazione del rispettivo codice rispondente.

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CONCLUSIONI

L’analisi effettuata nel cuore della tesi, composto dal capitolo terzo e quarto, mi

permette di mettere in evidenza alcuni punti interessanti, tutti basati sull’essenziale

osservazione che il mercato della televisione e quello della pubblicità sono legati a

doppio filo, grazie allo strumento fondamentale dell’offerta televisiva, cioè il palinsesto,

il quale rappresenta l’anello di congiunzione fra il sistema televisivo e quello

pubblicitario.

Prima di tutto è necessario sottolineare che la presenza del soggetto privato nel settore

televisivo è principalmente determinata dalle opportunità di profitti connessi

all’esistenza dei due mercati.

Il mercato pubblicitario è costituito dagli investimenti che le imprese effettuano nella

comunicazione esterna al fine di promuovere i propri prodotti e servizi: la

comunicazione commerciale; la comunicazione d’impresa di tipo pubblicitario è

caratterizzata infatti dall’acquisto di spazi messi a disposizione dalle concessionarie di

pubblicità.

Nel mercato televisivo, i programmi costituiscono i fattori di produzione, il palinsesto

rappresenta il prodotto e gli spettatori corrispondono ai consumatori. Nel mercato

pubblicitario, invece, il palinsesto costituisce il fattore di produzione, gli spettatori il

prodotto e gli inserzionisti pubblicitari i clienti.

Queste considerazioni, sviluppate nella mia indagine, mi hanno permesso di capire

quanto il mercato pubblicitario condizioni la logica e l’attività dell’impresa a livello del

mercato televisivo, in quanto la produzione e la composizione del palinsesto sono

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rivolte ad attrarre il maggior numero di spettatori e quindi si concentrano su quei

programmi che hanno una più elevata potenzialità d’ascolto.

Questo è quindi il motivo basilare che spinge le reti televisive ad organizzare l’intera

routine produttiva intorno al palinsesto, inteso come “luogo” in cui la propria offerta

può porsi in relazione con la domanda del pubblico.

Facendo un parallelismo con la struttura del supermercato, ritengo che il palinsesto

possa essere considerato una sorta di “scaffale dell’offerta televisiva”: composto da film,

telefilm, reality-show, quiz, giochi ed informazione, permette di soddisfare la domanda

degli spettatori e soprattutto consente la creazione di un mondo immaginario, in quanto

stimola sogni e desideri grazie alla continua partecipazione dei suoi personaggi e dei

suoi vip presenzialisti, i quali rappresentano un collante di questo “villaggio virtuale”.

Un’osservazione importante inerente alla struttura dei palinsesti di oggi riguarda il ruolo

della pubblicità: si è infatti osservato che essa costituisce attualmente un elemento

centrale del palinsesto, tanto che quest’ultimo può essere quasi pensato come una

sequenza di inserti pubblicitari incorniciati da programmi che possono servire di

richiamo.

Il mutamento che il palinsesto ha subito nel tempo deriva essenzialmente

dall’evoluzione dello scenario economico italiano alla fine degli anni Settanta. In questo

periodo, infatti, l’industria italiana era impegnata in una rapida modernizzazione della

propria attività di marketing, grazie alla quale si potenziò la grande distribuzione a

livello nazionale. Per consentire la riuscita degli obiettivi commerciali delle aziende

risultava necessario un forte incremento dell’attività promozionale su scala nazionale e

sotto questo profilo la televisione rappresentava un mezzo insostituibile.

Grazie all’analisi della problematica palinsestuale è emersa l’importanza che rivestono

oggi le strategie della programmazione, le quali hanno dovuto sviluppare soprattutto in

questi ultimi anni particolari tecniche, prima fra tutte la controprogrammazione, ricavata

dall’esperienza della Tv americana, proprio nel tentativo di guadagnare porzioni di

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audience sempre più elevate e di ottenere un’identità di rete che possa far risaltare ogni

singola emittente differenziandola dalle altre. In modo particolare, per quest’ultimo

obiettivo uno degli strumenti più utilizzati è quello dell’autopromozione, cioè la

disseminazione nel palinsesto di promo che pubblicizzano programmi che verranno

emessi in futuro; per quanto riguarda tale argomento, mi hanno particolarmente

appassionato le procedure che stanno alla base della realizzazione e della

predisposizione dei promo, grazie alle informazioni che mi sono state fornite dal

Responsabile della Promozione di Retequattro (Dott. Angelo Florio), il quale mi ha

fatto comprendere che il promo non solo deve riuscire a dire in 30 secondi di che rete si

sta parlando e di che prodotto si tratta, ma deve soprattutto veicolare il sistema valoriale

dell’emittente.

Ritengo che in futuro i palinsesti delle reti generaliste probabilmente non presenteranno

differenze particolari rispetto a quelli attuali. Sarà invece importante esaminare

l’impatto delle nuove tecnologie e della moltiplicazione dei canali attraverso

l’espansione in Italia delle reti via satellite, in quanto permettono da una parte la

costituzione di reti tematiche (dotate di palinsesti monogenere) e dall’altra la

costruzione di palinsesti ad hoc da parte del telespettatore (attraverso i vari sistemi pay

per view o video on demand).

Materialmente, il palinsesto consiste in un prospetto dove verticalmente vengono

indicate le ore di programmazione giornaliera, suddivise in fasce orarie significative,

mentre orizzontalmente sono riportati i giorni della settimana. La griglia così

determinata viene quindi riempita dai programmi di una settimana “tipo”, a seconda

della stagione considerata. La suddivisione si basa sulle caratteristiche degli spettatori

nelle varie ore della giornata, rendendo possibile offrire una programmazione più mirata

in base al pubblico, nonché fornire un’audience qualitativamente definita alle aziende

che acquistano spazi pubblicitari.

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Per quanto concerne la predisposizione dei palinsesti appaiono rilevanti le differenze fra

il modello RAI e quello Mediaset; la diversa impostazione del palinsesto nella

concessionaria pubblica, il quale contiene una maggior quota di programmi informativi

e culturali, rispetto alle reti private, dove invece predominano quelli di intrattenimento,

può essere giustificata dalla fonti di ricavo. Le aziende che si basano sulla vendita di

pubblicità tendono a privilegiare, come è emerso dall’analisi, generi che sono in grado

di attirare una maggiore quota di telespettatori; la RAI, invece, essendo sostenuta in

buona parte dal canone, deve diffondere programmi educativi, culturali e informativi,

usualmente di minor successo, ma indispensabili. Nelle imprese televisive finanziate

dalla pubblicità, l’obiettivo perseguito è costituito dalla massimizzazione dell’ascolto,

visto che il mercato di riferimento è rappresentato dagli investitori pubblicitari, i quali,

nell’acquistare gli spazi del palinsesto, considerano il numero di persone che possono

raggiungere, la composizione dell’audience e il costo necessario per raggiungere gli

spettatori.

Costruire il palinsesto significa soprattutto operare sul tempo e scegliere i segmenti più

opportuni in cui collocare i diversi programmi con l’obiettivo di far sì che la tipologia di

spettatori cui sono diretti abbia la possibilità effettiva di “consumarli”; ciò rende quindi

necessario, per i professionisti del marketing, determinare quali tipologie di persone si

trovano in casa nei diversi momenti della giornata, nei diversi giorni dell’anno e quali

sono le loro abitudini di consumo televisivo.

In particolar modo sono emerse le difficoltà con cui ci si scontra quando si predispone il

palinsesto: la sua scrittura, infatti, si rivela un processo impegnativo, in quanto è

necessario che lo schema di programmazione sia flessibile, in modo da poter effettuare

continui aggiustamenti rispetto alle scelte realizzate dalla concorrenza, ma anche fisso e

steso con largo anticipo, in quanto deve essere presentato il prima possibile alla

concessionaria che effettua la vendita degli spazi pubblicitari.

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La sua stesura comporta tempi estesi di lavorazione (dalla predisposizione di un

palinsesto generico si giunge al dettaglio della programmazione dell’azienda televisiva)

e, come ho già sostenuto, assume delle caratteristiche differenti all’interno della RAI e

di Mediaset; in particolar modo, per quanto fa parte della realtà di quest’ultima, sono

emersi particolari interessanti, sia per quanto riguarda la predisposizione dei suoi

palinsesti (è necessario infatti consegnare il prima possibile alla concessionaria di

pubblicità una bozza ben definita, per ottenere riscontri significativi da parte degli

inserzionisti), sia per ciò che concerne l’organizzazione della sua Struttura Marketing,

della quale mi sono occupata nel capitolo quarto, analizzandola non soltanto da un

punto di vista teorico, ma anche secondo una prospettiva pratica e reale, grazie

soprattutto alle testimonianze dei Responsabili delle diverse Direzioni.

La costruzione del palinsesto è un’operazione laboriosa che richiede aggiustamenti

continui: analizzando la sua predisposizione ho infatti capito l’importanza del rispetto di

alcuni criteri (ad esempio l’appropriatezza fra genere e fascia oraria, le regole del prime

time, l’esigenza di “non spezzare il pubblico” e soprattutto la necessità di

controprogrammare); inoltre, i singoli palinsesti devono cercare di non creare

concorrenza interna; a tal fine viene realizzata un’azione di coordinamento che si rivela

essenziale per evitare sovrapposizioni d’immagine: ad esempio, si cerca di rendere

leader una data rete per ogni fascia oraria oppure di differenziare i palinsesti in modo da

massimizzare l’audience complessiva, anche se difficilmente si può sottrarsi del tutto

agli imprevisti. Insomma, i processi inerenti alla predisposizione dei palinsesti sono

estremamente complicati e ciò ha portato allo sviluppo di specifiche tecniche di

programmazione, le quali sono state desunte direttamente dall’ambito statunitense, in

quanto i network Usa hanno dovuto fin dalla loro nascita costruire i propri schemi di

programmazione in una situazione di concorrenza e hanno perciò prodotto appositi

settori destinati all’ottimizzazione delle scalette, in relazione ai diversi target e alle

diverse fasce orarie.

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L’attività di palinsesto non può comunque considerarsi esaurita fino al momento in cui

la programmazione non viene convertita in un flusso di immagini mandate in onda, in

quanto, come ho già affermato, la predisposizione dei palinsesti richiede fino all’ultimo

sistemazioni continue per fronteggiare al meglio la concorrenza; infine, una volta che i

programmi sono stati trasmessi, emerge l’importanza del controllo degli ascolti tramite i

dati messi a disposizione dall’Auditel, in modo da verificare il rendimento dell’attività.

Attraverso l’indagine inerente ai palinsesti sono risultate le difficoltà a cui si va

incontro, soprattutto per quanto riguarda l’emittenza privata, quando si decide di

rinnovare la programmazione: stabilire fino a che punto una rete commerciale debba

essere innovativa è un compito difficile, in quanto l’innovazione è una necessità, ma

non certo un’inclinazione della Tv commerciale. Dallo studio effettuato è risultato che il

compito d’innovatore spetta a chi non ha nulla da perdere (le Tv locali, ad esempio) e a

chi, provvisto del canone, è meno esposto alle punizioni che il mercato è capace di

impartire in caso di errore o di difficoltà di decollo. Per quanto riguarda la realtà della

Tv privata, non avendo in cura emittenti facenti parte delle due categorie appena citate,

a Mediaset hanno spesso mediato tra la necessità d’innovare e la vocazione fisiologica

alla prudenza, anche se per rinnovare l’offerta delle reti, sono state approntate nel corso

degli anni alcune variazioni abbastanza importanti, sebbene non rivoluzionarie.

Mi sono particolarmente interessata all’emergere in ambito televisivo di alcune nuove

tendenze, principalmente legate al nuovo rapporto che la Tv instaura con il suo

pubblico; esso, da entità direttamente raggiungibile è diventato terreno di conquista:

l’audience va infatti guadagnata, cercata, sedotta e presa, in quanto gli spettatori devono

essere catturati per poi essere venduti ai pubblicitari; ecco, allora, il motivo per cui le

strategie comunicative e di marketing assumono un’importanza decisiva in campo

televisivo: esse servono a mantenere e ad incanalare la relazione con i telespettatori, i

quali, sempre più esperti del mezzo e consapevoli delle proprie esigenze, incominciano

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seriamente a distinguere, nel rapportarsi ai singoli programmi, tra quelli in grado di

valorizzare il proprio tempo libero e quelli che rischiano invece di immiserirlo.

Entrando nella concretezza del marketing televisivo, grazie all’analisi

dell’organizzazione e degli incarichi di tale Ufficio in Mediaset, è emerso come la

Direzione Marketing Palinsesto, l’Area Prodotto e l’Area Palinsesto e Coordinamento,

pur avendo funzioni specifiche, siano perfettamente coordinate. Ogni giorno le

Direzioni si scontrano con diverse difficoltà: il Marketing Palinsesto deve affrontare,

citando solo i principali, problemi inerenti al monitoraggio della programmazione

Mediaset e RAI, al supporto delle reti quando si deve decidere dove collocare un

prodotto e quindi, le difficoltà riguardano essenzialmente le analisi a livello di contesto

competitivo, di totale ascolto e le analisi a livello di posizionamento dei vari prodotti,

sia in fase terminale che in fase previsionale degli ascolti, in quanto ad ogni stagione

viene richiesto da Publitalia di stimare quanto potrà fare il palinsesto di ciascuna rete.

L’Area Prodotto, invece, si occupa di quelle che sono le produzioni all’interno del

palinsesto. Mentre l’Area del Palinsesto ha un ruolo importante nel determinare quale

slot temporale è migliore per un determinato tipo di programma, tale Area effettua

valutazioni più profonde sulle singole trasmissioni. In particolare, si occupa dei prodotti

dell’intrattenimento, dell’informazione e dei personaggi delle tre reti. L’Area Palinsesto

e Coordinamento, invece, si occupa di coordinare i prodotti televisivi a livello di

programmazione e di fare in modo, quindi, che in una determinata serata un programma

di una rete sia collocato in modo tale da non sovrapporsi e da non cannibalizzare

un’altra rete.

Mediaset comprende tre reti (Canale 5, Italia 1 e Retequattro) e quindi tre Direzioni di

Rete. Grazie allo studio della struttura della Direzione di Rete è emersa l’importanza,

per ciascuna emittente, di avere un proprio preciso posizionamento dal punto di vista

del mercato del pubblico televisivo: ciò significa, per una rete televisiva, costruire negli

anni una propria identità personale e avere una serie di prodotti che la

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contraddistinguono e che quindi sono in grado di dare un’immagine di essa ben precisa

al pubblico. Colpisce, in modo particolare, l’identità di Retequattro e le complicate

operazioni di riposizionamento che ha subito negli ultimi anni a causa delle esigenze

manifestate dal mercato pubblicitario e soprattutto dalla concessionaria esclusiva di

Mediaset (Publitalia ’80); tale riposizionamento ha cominciato a dare i suoi frutti e la

rete si rivolge ora ad un pubblico allargato, diverso, più giovane, più maschile e

soprattutto più colto, quindi con un’istruzione migliore; il tutto, però, senza aver perso il

pubblico precedente.

Attraverso le ricerche commissionate dalla Struttura Marketing di Mediaset si è

indagato in merito alle preferenze dei telespettatori, al consumo televisivo in generale,

alle tendenze del mercato televisivo e soprattutto all’immagine che il pubblico ha dei

programmi, dei personaggi e delle reti.

E’ possibile capire se il pubblico percepisce tali immagini di rete principalmente

attraverso una ricerca quantitativa, la quale consiste ovviamente nella verifica

dell’Auditel, della cui rilevazione e delle cui critiche mi sono occupata nell’ultimo

capitolo, focalizzandomi in modo particolare su ciò che significa l’ascolto per i vari

guru della Tv, cioè sul modo in cui vengono prese le decisioni sulla base del riscontro

fornito dai dati Auditel.

L’Auditel non serve comunque solamente per la valutazione dei contatti pubblicitari.

L’utilizzo ai fini pubblicitari è un obiettivo di grande rilevanza, ma non rappresenta

l’unica finalità, in quanto si è evidenziato come i dati Auditel vengano anche usati al

fine di rilevare il gradimento ed il posizionamento delle “risorse artistiche”. La

rilevazione degli indici di ascolto non è nata quindi con il solo scopo di misurare la

pubblicità (sebbene abbia deciso di accennare anche al suo ruolo all’interno del mercato

pubblicitario); e non lo è dal punto di vista logico, poiché ciò che viene misurato sono

gli ascolti relativi al flusso continuo del palinsesto, sia che in esso vi sia pubblicità, sia

che si tratti di normale programmazione.

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Oggi, molti sostengono che l’Auditel serve solo alla pubblicità; così, però, si dimostra

di avere poca considerazione nei confronti degli individui, delle loro scelte, dei loro

giudizi e dei loro valori. L’Auditel ha infatti costituito per la Tv italiana una vera

riforma di struttura, avendo manifestato ai protagonisti della comunicazione la figura

del pubblico quale saldo punto di riferimento e riscontro della loro attività. Prima del

suo avvento il pubblico non era presente e le decisioni sulla programmazione venivano

effettuate principalmente sulla base dei giudizi, degli interessi e dei valori di chi faceva i

programmi. Da qualche tempo, però, qualcuno afferma che bisogna confezionare

programmi televisivi senza preoccuparsi più di tanto degli indici di ascolto, ma chi

sostiene tale opinione è un po’ in malafede o si occupa di televisione come spettatore e

non come operatore: com’è possibile, infatti, produrre una trasmissione ignorando come

la medesima viene accolta dal destinatario naturale?

Nella trattazione dell’argomento si è ritenuto dunque importante considerare i vari

aspetti in relazione ai quali è possibile indagare i meccanismi televisivi, integrando lo

studio della stesura dei palinsesti, con quello delle tecniche e degli strumenti di

marketing, senza dimenticare la preziosa funzione svolta dagli indici di ascolto, che

stanno alla base di tutte analisi inerenti ai programmi, ai personaggi e al profilo del

pubblico.

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www.rai.it

www.mediaset.it

www.la7.it

Colloqui

Dott.ssa Del Bigio M. (26 novembre 2003 e 2 dicembre 2003), Direzione Marketing

Palinsesto - Mediaset

Dott.ssa Galbusera B. (2 dicembre 2003), Area Prodotto - Mediaset

Dott. Grieco A. (10 dicembre 2003), Area Palinsesto e Coordinamento - Mediaset

Dott. Florio A. (10 dicembre 2003), Direzione di Retequattro - Mediaset

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