10 storie di comunicazione politica (con morale incorporata).

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agosto 2016 10 storie di comunicazione politica (con morale incorporata).

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chi siamo

Giovanni Sasso direttore creativo e socio fondatore

@giovisasso

facebook.com/giovanni.sasso2

@pallegretta

facebook.com/peppalle

Peppe Allegretta copywriter senior

Siamo nati nei primissimi anni 70 in Puglia, siamo laureati e abbiamo frequentato un master ma per la nostra formazione sono state decisive altre esperienze. Per Giovanni i programmi che guardava da bambino: Tribuna Politica, Carosello, Goldrake e 90º Minuto. Per Peppe l’aikido, le ciaspolate, Dee Jay Television e il cinema d’essai

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#01 Perdere le elezioni,

non la facciadi G. Sasso

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A fare un discorso della vittoria sono bravi tutti. Si scrive da sé. Quello della sconfitta è molto più difficile. Ma politicamente, può essere assai più utile.

Perdere le elezioni, non la faccia

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Con questo celebre “discorso della sconfitta”, Matteo Renzi comincia a costruire un pezzo importante della narrazione che lo porterà, successivamente, alla vittoria.

Stralci del discorso di Renzi dopo la sconfitta alle primarie del 2012

Perdere le elezioni, non la faccia

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• Ammissione della sconfitta• Lealtà con l’avversario• Assunzione di responsabilità• Nessuna ricerca di scuse• Sguardo rivolto al futuro

Gli ingredienti di un buon discorso della sconfitta:

Perdere le elezioni, non la faccia

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Cercare scuse, dare la colpa ad altri, dire “gli elettori non hanno capito”, è invece un pessimo esempio di racconto della sconfitta

Qui Fassino, per esempio, dice una cosa forse condivisibile, ma la dice in modo maldestro. In pratica, dice: “Io non ho nulla da rimproverarmi, il risultato è ingiusto”.

Perdere le elezioni, non la faccia

Intervista di Repubblica a Fassino dopo la sconfitta alle amministrative 2016

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Qui un altro grande statista, fa capire come si reagisce alla sconfitta.

Ancora una volta, la chiave vincente è: ammissione di responsabilità + rifiuto di attenuanti generiche.

Stralci della conferenza stampa di Luciano Spalletti dopo la sconfitta della Roma in Champions League contro il Real Madrid (2016)

Perdere le elezioni, non la facciaguarda il video sul tuo browser

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Perdere le elezioniè un danno momentaneo.

Perdere la facciaè per sempre.

MORALE

Perdere le elezioni, non la faccia

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#02 Il fascino discreto

del candidatodi P. Allegretta

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L’80% delle scelte si prendono col cuore, anche in cabina elettorale. Quindi non ci resta che fare innamorare gli elettori del nostro candidato. Ma, come sa bene chi ha avuto una relazione più lunga di due anni, fare durare l’amore è molto più difficile che innamorarsi.

Il fascino discreto del candidato

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In un’era in cui l’esperienza di un politico può persino essere controproducente, gli ingredienti del filtro d’amore vanno cercati più proficuamente nelle sue qualità umane. Tiriamo fuori l’uomo, o la donna, che si cela nel politico!

Foto per un manifesto della campagna di Michele Emiliano, sindaco di Bari, 2004

Il fascino discreto del candidato

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La scelta empatica è quasi obbligata. Le emozioni convincono più dei contenuti, ma rinunciare ai contenuti, in campagna elettorale, vorrebbe dire ammazzare la politica.

La sfida è dunque

1. veicolare contenuti2. usando un canale empatico

Il fascino discreto del candidato

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La campagna di Nichi Vendola alla Regione Puglia, nel 2005 usava il “canale empatico” e associava a ciascuna caratteristica umana del candidato una sua caratteristica più politica. Il profilo umano del candidato veicola il messaggio politico.

Il fascino discreto del candidato

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Gigi de Magistris conferma la teoria: quando è diventata una vittima delle Legge Severino ha riconquistato il cuore dei napoletani. Le sue vicende umane hanno messo completamente in ombra i contenuti della campagna e ribaltato il destino di un mandato piuttosto opaco. Giggino uno di noi!

Il fascino discreto del candidato

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Empatia sì, ma nel rispetto della verità. Se vogliamo evitare crisi di coscienza cerchiamo di essere sinceri e almeno non attribuire al candidato qualità che non ha. Mai più un cane Empy a riscaldare un candidato freddo come Mario Monti. Sono crimini che non pagano.

Il fascino discreto del candidato

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L’amore vince sempre sull’odio e su una pallosa

lista di contenuti.

MORALE

Il fascino discreto del candidato

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#03 Coincidenza? Io non credo

di G. Sasso

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La campagna di Vendola del 2005 è stata osannata da pubblico e critica ed è forse ancora oggi la campagna più conosciuta di Proforma.

Uno dei 4 soggetti della campagna, vincitrice del premio Gala della Politica come migliore campagna affissioni del 2005

Coincidenza? Io non credo.

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Eppure il vero segreto di quella campagna non è la cosiddetta «idea geniale».

La Repubblica, 6 febbraio 2005

Coincidenza? Io non credo.

Nello stesso giorno in cui presentavamo la campagna alla stampa, sui giornali appariva questa accusa di Pisanu, allora ministro dell’interno.

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In pratica, Pisanu usava le stesse “etichette” che noi avevamo messo accanto ai “faccioni” di Nichi. Potevamo saperlo in anticipo? No, ma l’avevamo previsto. Perché avevamo azzeccato pienamente il brief.

E questo è successo grazie alla perfetta intesa con il candidato, alla conoscenza del contesto, allo studio accurato dei target.

Coincidenza? Io non credo.

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Non esiste lo slogan geniale. Esiste quello che interpreta bene

un ottimo il brief

MORALE

Coincidenza? Io non credo.

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#04 Cambiare...

Perché?di P. Allegretta

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Se fra candidato ed elettore deve scoppiare l’amore, sappiate che prima o poi finirà. È la dura legge dell’amore: l’amore finisce sempre e spesso si trasforma nel suo opposto.

Un altro prenderà il posto vacante nel cuore dell’elettore in un avvicendamento inevitabile e inarrestabile.

Cambiare... Perché?

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Il cambiamento è fisiologico: tutto cambia ma non l’esigenza di cambiare.

Parlare di cambiamento in una campagna elettorale quindi è sempre una mossa corretta. Se è il nostro avversario a usare il cambiamento, prima di noi e in modo più credibile di noi, su quel punto sarà inattaccabile. E imbattibile.

Cambiare... Perché?

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Nel 2009 Vincenzo Divella si ricandidava alla presidenza della Provincia di Bari. Il suo avversario usò il solito claim sul cambiamento: “Cambiare si può, cambiare si deve”. Noi rispondemmo così: “Cambiare… perché?”. Finì 50 a 44 per il nostro avversario. Con la nostra campagna volevamo spiegare che la continuità del buongoverno era meglio del cambiamento. Errore madornale.

Cambiare... Perché?

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Fassino ci spiega perché.

In questa intervista, dopo la sconfitta alle amministrative del 2016 a Torino, racconta un aneddoto: una signora, in un bar, lo ringrazia per tutto quello che ha fatto per Torino, e poi...

Un ragionamento incomprensibile è inattaccabile: cambiamento a tutti i costi!

Cambiare... Perché?

La Repubblica, 21 giugno 2016

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La lezione del 2009 ci è servita.

Qualche anno più tardi, non abbiamo ripetuto lo stesso errore :)

Cambiare... Perché?

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Cambiare, perché?Perché sì.

MORALE

Cambiare... Perché?

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#05 Ma che musica!

di G. Sasso

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La vittoria di Matteo Renzi alle primarie del PD del 2013 viene celebrata con questa canzone.

Ma che musica!

Firenze, 8 dicembre 2013, vittoria di Renzi alle primarie PD

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Il giorno dopo, su un quotidiano, appare questa interminabile, dotta esegesi, che ci spiega il perché e il percome di una scelta musicale del genere, tirando in ballo addirittura Veltroni, Che Guevara, Kennedy, la Baia dei Porci e il nome del gruppo musicale, gli «Icona Pop».

Ma che musica!

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Peccato che la musica prevista per l’entrata di Renzi fosse un’altra (un brano di Avicii, Wake Me Up, usato peraltro per tutto il tour delle primarie).

Solo che quella sera, l’addetto alla regia, all’arrivo di Renzi sul palco, era momentaneamente in bagno.

E qualcuno, pur di non lasciare la sala in silenzio, scelse a caso una canzone dalla playlist della musica d’attesa: I don’t care, degli Icona Pop.

Ma che musica!

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Se siete alla regia di un evento elettorale, ricordate di espletare i vostri bisogni fisiologici prima

dell’arrivo del candidato.

MORALE

Ma che musica!

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#06 La risposta

è dentro di tedi P. Allegretta

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Per veicolare i contenuti si può utilizzare l’insight, un metodo molto noto in pubblicità che consiste nell’uso di un canale empatico preferenziale per dialogare con il target.

Basta associare al contenuto che ci interessa comunicare una condizione che il target ha certamente vissuto. In questo modo, tra chi parla e il suo destinatario avverrà un riconoscimento che favorirà il passaggio e la comprensione del contenuto.

La risposta è dentro di te.

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Un esempio è lo spot che sosteneva la prima candidatura di Emiliano a sindaco di Bari. Erano in corso gli europei di calcio, 2004, e la questione Cassano sì, Cassano no era all’ordine del giorno. Così tutti i baresi si riconobbero nel vecchietto che nello spot grida “metti a Cassano!”. Alla voglia di scegliere chi mettere in campo associammo la possibilità di scegliere il proprio sindaco e l’insight fu molto convincente: Emiliano non vinse le sue prime elezioni per merito di quello spot (nessuno vince le elezioni per la campagna elettorale, per quanto azzeccata essa sia). Ma non c’è dubbio che «metti a Cassano» rappresentò un potente veicolo della portata innovativa della sua candidatura.

La risposta è dentro di te.

Lo spot Metti a Cassano, per Michele Emiliano (Bari, 2004). Ebbe un tale succeso da diventare la sigla del programma quotidiano di Sky Sport dedicato agli europei di calcio.

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Il canale empatico si apre se riusciamo a parlare la stessa lingua del target, e non solo in senso figurato. Ma la lingua deve essere funzionale ai contenuti che esprime, e il target deve condividere anche quelli. Nella parte tematica della campagna di Antonio Decaro a sindaco di Bari un cittadino/testimonial diceva “il mio sindaco non mi acchia la fatica ma crea lavoro per Bari”.“Acchiare la fatica” significa semplicemente “trovare lavoro”, ma abbiamo scelto il dialetto per richiamare l’abitudine barese di andare a chiedere il lavoro direttamente al sindaco. Il dialetto locale quindi è giustificato perché definisce un fenomeno locale.

La risposta è dentro di te.

Uno dei soggetti della campagna affissioni per Antonio Decaro sindaco di Bari, 2014.

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Anche il tormentone per funzionare davvero deve lavorare su un’esperienza già condivisa dal suo target e soprattutto deve essere versatile. In quante più situazioni è utilizzabile maggiori sono le possibilità di successo.

La risposta è dentro di te.

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LO SMACCHIAMO

In questo caso, si è presa una frase già di per sé parecchio criptica di Pierluigi Bersani, allora segretario del PD (in molti ancora si chiedono cosa voglia dire «smacchiare il giaguaro» riferito a Berlusconi) nonché impossibile da associare ad alcuna esperienza reale o anche solo ideale di un cittadino comune, e si è cercato, ripetendola in modo ossessivo, di «trasformarla» artificialmente in tormentone pop.

La risposta è dentro di te.

Il video «Lo smacchiamo», per la campagna del PD del 2013

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CHIAMA DECARO

In questo secondo caso (tenendo conto delle dovute differenze di target e di tipologia di campagna) il tormentone «chiama Decaro» diventa vincente nella campagna barese del 2014 perché si basa su una effettiva e riconosciuta propensione dell’assessore (e futuro sindaco) Antonio Decaro a occuparsi di svariati problemi cittadini intervenendo di persona.

La risposta è dentro di te.

Il video «Chiama Decaro», per le amministrative a Bari nel 2014

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I politici sono tutti uguali. A noi.

MORALE

Ma che musica!

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#07 Un programma senza audience

di G. Sasso

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Ancora campagna elettorale di Antonio Decaro, sindaco di Bari, 2014. In fretta e furia, approfittando della presenza lampo della ministra Boschi in città, realizziamo uno spot per sottolineare i buoni rapporti tra il candidato e un autorevole membro del governo.

Un programma senza audience

Lo spot «Sciamaninne», per le amministrative a Bari nel 2014, finisce con i due protagonisti che decidono di andare a mangiarsi un pezzo di focaccia.

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All’uscita dello spot, piovono (forse giustamente) molte critiche. Tra cui questa, un po’ «pittoresca».

Un programma senza audience

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Ma soprattutto questa, apparsa su un quotidiano locale.

Un programma senza audience

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Insomma, la critica è: «Dove sono i contenuti?». Giusto (se non fosse che la campagna, spot a parte, era piena di contenuti). Qualche giorno dopo, a tale proposito, organizziamo un affollato evento pubblico, nel quale il candidato spiega il suo programma con 82 (leggasi ottantadue) slide, tra cui una finale in cui, per ogni misura, esplicita le coperture: quanti soldi servono e come trovarli. Una cosa molto rara in una campagna elettorale.

Un programma senza audience

Alcune slide del programma di Decaro.

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Il giorno dopo, sullo stesso giornale che aveva reclamato a gran voce i contenuti, questo è l’articolo dedicato all’evento sul programma.

Un programma senza audience

Non è un problema di visualizzazione. Quell’articolo non è mai uscito, nessuno scrisse nulla.

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E allora, quanto tempo dedicare al programma, in una campagna elettorale?

1) È fondamentale avere un programma serio, approfondito, solido. Impaginarlo bene e pubblicarlo online perché sia fruibile da tutti. La proposta programmatica è il fulcro dell’azione politica. E la buona politica è la premessa della buona comunicazione.

2) Non è però consigliabile investire troppe risorse nella «comunicazione» del programma. Meglio isolare cinque misure spendibili e puntare su quelle. E lasciare il racconto delle altre a strumenti di comunicazione più targettizzabili (webcard, sessioni di Q&A, incontri con specifici stakeholder).

Un programma senza audience

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La prova? In questo incontro, davanti a più di 2.000 persone (simpatizzanti di Giachetti), alla domanda «chi ha letto il programma?»…

Un programma senza audience

Incontro pubblico Renzi - Giachetti, amministrative 2016, Roma

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...alzano la mano in due. Il coordinatore dei tavoli del programma (in pratica, chi ha scritto il programma) e la designer della campagna, (in pratica, chi ha impaginato il programma).

Un programma senza audience

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Quelli che invocano il programma, sotto sotto, preferiscono

la focaccia.

MORALE

Un programma senza audience

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#08 Il sistemone

di P. Allegretta

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La presenza di tanti contenuti va semplificata con un sistema rigoroso e riproducibile. La serialità dello schema è fondamentale, ma per funzionare deve essere utilizzabile anche dai suoi fruitori. Uno schema stimola automaticamente il suo fruitore a completarlo con i propri contenuti e così lo coinvolge. Nell’era dei social questa è la chiave della viralità e spesso decreta il successo di una campagna.

Il sistemone

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Un esempio di sistema di questo tipo lo troviamo nella campagna di Merola a sindaco di Bologna. Il claim era: “Questa è la Bologna che mi piace”. L’uso della prima persona permette di attribuire la frase sia al candidato che al cittadino che legge. Così il claim porta automaticamente il suo destinatario a chiedersi qual è la Bologna che gli piace, e lo coinvolge. Infatti nella pubblicazione che raccoglie i contenuti, ogni tema è introdotto proprio dalla testimonianza di un cittadino che racconta la sua Bologna personale. Nella campagna tematica utilizziamo ancora lo stesso claim per comunicare i contenuti sostituendo alla parola “Bologna” i diversi temi: la mobilità, la scuola, la cultura, etc.

Il sistemone

Campagna multisoggetto per Virginio Merola sindaco, amministrative 2016, Bologna..

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Nella campagna di Nichi Vendola per le primarie del CS del 2012 il sistema addirittura si riduce a una parola sola: “Oppure”. È funzionale alla contrapposizione di due termini: quello che la precede e quello che la segue.Vendola è sempre il secondo termine, è sempre il rimedio, l’alternativa. La parola “Oppure” dunque definisce perfettamente il candidato, l’alternativo per eccellenza, ma da sola definisce già anche il cuore della sua proposta politica. I termini tematici che precedono e seguono “Oppure” possono essere cambiati a piacimento.

Il sistemone

Campagna multisoggetto per Nichi Vendola, primarie del centrosinistra 2012..

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Le parodie che sono seguite a questa campagna (e ad altre) sono ampiamente previste e, anzi, auspicate, perché contribuiscono ad aumentare la popolarità della campagna stessa.

In questi due casi abbiamo creato generatori online di manifesti fake per facilitare il compito ai taroccatori.

Il sistemone

Parodie delle campagne di Vendola e di Renzi.

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Se c’è una cosa veramente, ma veramente difficile,

è la semplicità.

MORALE

Il sistemone

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#09 «Sono stato frainteso!»

di G. Sasso

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Cosa dice Maria Elena Boschi in questa intervista?

Una cosa molto semplice: «Se a Torino vince la Appendino, Torino perde 250 milioni stanziati dal Governo per creare il Parco della Salute». Un’affermazione scontata, poiché la candidata Appendino è contraria a quel progetto.

«Sono stato frainteso!»

Intervista di Maria Latella a Maria Elena Boschi durante la campagna elettorale per le amministrative del 2016.

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Come viene raccontata questa frase di Boschi? Così:

Titoli che in maniera più (il Fatto) o meno (gli altri due) esplicita, fanno intendere che la ministra stia minacciando di togliere fondi a un Comune in base all’esito del risultato elettorale.

«Sono stato frainteso!»

Huffington Post

Il Fatto Quotidiano

Il Giornale

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Di chi è la colpa? Dei «giornalisti cattivi»? No, almeno non solo. Ai politici che comunicano, soprattutto a quelli al centro del mirino, non deve mai sfuggire che ogni parola può essere

1. strumentalizzata2. fraintesa Dunque, a costo di allungare un po’ il brodo, il politico deve SEMPRE cercare di contestualizzare le proprie affermazioni, e di aggiungere particolari che per lui (e per un pubblico informato) sembrano a prima vista superflue.

Nel caso specifico Boschi (anche se lo aveva già fatto in precedenza, nella stessa intervista) avrebbe dovuto specificare in modo chiaro che il finanziamento sarebbe venuto meno non per volontà del Governo ma in quanto collegato a un progetto incompatibile col programma di Appendino.

«Sono stato frainteso!»

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Altro consiglio per evitare fraintendimenti: provare a usare un linguaggio semplice.

FRASE SBAGLIATA

FRASE CORRETTA (anche se leggermente più lunga)

«Chiediamo la supervisione dell’ANAC sull’appalto e stiamo valutando una class action»

«Chiediamo che l’autorità nazionale anti-corruzione vigili sull’appalto e stiamo valutando un’azione legale dei cittadini a tutela dei loro interessi»

«Sono stato frainteso!»

Quanti sanno cos’è l’ANAC? Quanti sanno cos’è la class action? E la supervisione, esattamente, cos’è?

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Qualche piccola regola di buonsenso per evitare «fraintendimenti»

«Sono stato frainteso!»

Mai sopravvalutare chi ti ascolta.

Mai sopravvalutare la buona fede e la deontologia professionale dei giornalisti e degli opinion maker.

Mai dare per scontato che chi ti ascolta sappia cosa hai detto in precedenza e/o conosca il contesto.

(Ma attenzione a non cadere nel difetto contrario)

Mai considerare chi ti ascolta un idiota.

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La vita ti dà spesso una seconda occasione.

La comunicazione politica no.

MORALE

«Sono stato frainteso!»

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#10 L’insostenibile

leggerezza del titolodi G. Sasso

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Mi intervistano al telefono. Argomento, scuola LaProf. Domanda: «Chi ci parteciperà al dibattito, Renzi?». Risposta: «Un politico, ma sicuramente non lui».

Risultato, il giorno dopo:

L’insostenibile leggerezza del titolo

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Sempre nella stessa intervista telefonica, chiedo al giornalista un solo favore. Di non replicare l’errore fatto il giorno prima da un suo collega di un giornale concorrente che aveva scritto: «LaProf, scuola di politica». Gli faccio notare che noi non facciamo politica, ma «comunicazione politica», e che sono due cose molto, molto diverse. E lui: «Certo, non preoccuparti».Naturalmente, il titolo, il giorno dopo, è questo:

Il giorno dopo lo chiamo e gli chiedo spiegazioni. E lui: «Comunicazione politica era troppo lungo, non ci entrava».

L’insostenibile leggerezza del titolo

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Non vi venga mai in mente di fondare una scuola di

psiconeuroendocrinoimmunologia. Nessun giornale ne parlerebbe.

MORALE

L’insostenibile leggerezza del titolo

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10 piccole storie di comunicazione politica (con morale incorporata)

Pensierino finale, dedicato ai ghostwriter prolissi

Woodrow Wilson is said to have asked those inviting him to address a trade association convention how long they wanted him to speak, adding that a ten-minute speech would take him a week to prepare, a five-minute speech

ten days to prepare, but, for an hour or longer speech he was “ready right now”.

da “Counselor“- Ted Sorensen (ghostwriter di JFK)

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Grazie.

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