10 - Papini Ed Il Gruppo Di Ur

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Quaderni del Gruppo di Ur X G. PAPINI e il GRUPPO di UR edizione: Maggio 2005 Immagini della testata del I numero del Leonardo (1903)

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Quaderni del Gruppo di Ur

X

G. PAPINI e il GRUPPO di URedizione: Maggio 2005

Immagini della testata del I numero del Leonardo (1903)

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Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emersonell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, siacitazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuoaggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato puòrendere opportuna una nuova edizione.

Il presente Quaderno è diviso in più sezioni:1) Introduzione.2) Il "Leonardo".

3) Alcuni saggi filosofici di Papini:3a) Morte e Resurrezione della Filosofia;

3b) Unico e Diverso;3c) Dall'Uomo a Dio.

4) Papini: da autodidatta ad allievo di Reghini a cattolico.5) Papini ed Evola.

6) Evola: Superamento dell'Attivismo

1) INTRODUZIONE

di Frater Petrus ed Occhi di Ifà

Per sua stessa affermazione (1), lo storico delle religioni Mircea Eliade cominciò ad interessarsialla cultura italiana dopo la lettura di "Un uomo finito" di Giovanni Papini. Un suo giudizio complessivo sull'opera di Papini si trova in "Mircea Eliade, L'isola diEuthanasius. Scritti letterari, Torino, Bollati Boringhieri, 2000", pag. 301 :"Confesso d'aver letto ciascuno dei 30 volumi di Papini almeno tre volte (e lo confesso pursapendo che certi idioti di spirito torneranno a gridare al mio "papinismo"). Continuo ad amaretutto quanto Papini, così com'è. Credo che non vi sia miglior elogio che si possa fare a unoscrittore che quello di confessare d'amarlo interamente anche se da lui ci separano le idee, iltemperamento e i princìpi religiosi o morali. Dietro quei 30 volumi c'è un uomo maledettamentevivo e integro. Le migliaia di libri che ha letto non l'hanno cambiato. Le idee che ha promosso e

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abbandonato una dopo l'altra non l'hanno inaridito. La vastità della sua opera non è riuscita abloccarlo, a paralizzarlo, a consegnarlo completamente alla storia morta. Nessuno nel nostrosecolo, neppure André Gide, ha affrontato tante esperienze e lottato su tanti fronti. E mentreGide non poteva mai astenersi da quel concetto di malintesa "gratuità", Papini si immedesimavatutto in quello che faceva al momento. Amava e odiava con passione, con ogni fibra del suocorpo, a riprova di una vitalità e di uno spessore spirituale rari. Oggi che un'intera classe diuomini pratica il compromesso per paura di esporsi, l'esempio di Papini può ridiventare attuale.E' un uomo che non si vergogna dei suoi errori. Un vero segno del genio. Solo gli sterili e imediocri si preoccupano della perfetta coerenza dei propri pensieri, e sono ossessionati dallapaura di sbagliare. Papini ha sbagliato, si è furiosamente contraddetto e compromesso. Eppuredella sua opera è rimasto più di ogni "opera" perfettamente delineata, messa a punto e correttadalla prima all'ultima pagina".Il desiderio di incontrare Papini fu uno dei principali motivi che spinsero Eliade a compiere il suoprimo viaggio in Italia, proprio in quel 1927 in cui nacque la rivista Ur. Come è noto, Papini, inprecedenza, era stato in contatto con diverse personalità che poi fecero parte del Gruppo diUr(2); ma, a differenza di Eliade, Evola considerava l'autobiografia "Un uomo finito" latestimonianza evidente del fallimento di Papini in campo esoterico, che determinò la sua"conversione" al cattolicesimo.Comunque stiano le cose, analizzare il rapporto intercorso tra Papini e i membri del Gruppo diUr può aiutare a comprendere meglio le relazioni esistenti tra esoterismo ed exoterismo, comeanche tra paganesimo e cristianesimo.

(1) vedi ad es. Mircea Eliade, “Ricordi”, in Mircea Eliade e l’Italia 1987, p. 112(2) Tra i quali Arturo Reghini, Aniceto del Massa, Arturo Onofri e Nicola Moscardelli, ma solo irapporti con Reghini, come vedremo, ebbero un aspetto effettivamente inerente agli studiesoterici [n.d.u].

2) Il "Leonardo"di Deo_Ame

Il primo numero della rivista "Leonardo" uscì il 4 gennaio 1903. La testata presentava sotto iltitolo "Leonardo", una esoterica incisione di Adolfo De Karolis, con una stella sovrastanteun'aquila in volo. Il titolo, la stella e l'aquila sono contornate da una cornice di fronde che riporta,in basso a sinistra, il motto leonardesco: "Non si volge chi a stella è fisso". Il Programmasintetico diceva che “Un gruppo di giovini desiderosi di liberazione, vogliosi di’universalità,anelanti a una superiore vita intellettuale, si sono raccolti in Firenze sotto il simbolico nomeaugurale di 'Leonardo' per intensificare la propria esistenza, elevare il proprio pensiero, esaltarela propria arte”. Essi si dichiaravano, nella vita, pagani e individualisti; personalisti e idealisti nelpensiero, e, nell’arte, amanti della trasfigurazione ideale della vita e vogliosi di combattere leforme inferiori. (1)

Nell’articolo di fondo, intitolato L’Ideale Imperialista, Papini scrisse: "Chiamo imperialismo quella

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corrente, varia di forme e di nomi, quasi omogenea di significato, che si contrappone nelpensiero e nella vita di questi giorni, alla corrente democratica, socialista, umanitaria, cristiana ocristianeggiante. Il contrasto è forte e palese : è fra l'individuo e la collettività, tra l'egoismo el'altruismo, tra lo spirito di solidarietà e quello di dominazione." Esaminò quindi le idee delMarasso e del Corradini, esponenti del nazionalismo italiano. "A seconda delle razze – osservava Papini – questo imperialismo ha preso denominazioni eatteggiamenti diversi: è pratico e realista nel mondo anglosassone con Chamberlain, i suoimercanti e i suoi soldati – è teorico e distruttore in Germania con Nietzsche e i suoi epigoni – èletterario ed estetico in Italia con Marasso e Corradini. Le tre razze occidentali, l’anglosassoneattiva, la germanica pensante, la latina esteta, hanno impresso il loro particolare suggello allacomune tendenza". Dopo aver dimostrato che i primi assaggi di una filosofia nazionalista, basata sul principio dellaforza, avente come mèta il trionfo degli individui e dei popoli con l’impero all’apice della civiltà,erano errati, egli aggiungeva: "Se volete qualche cosa di più vicino alla realtà attiva vi ricorderòche il profeta Nazareno, il sognatore giudeo, vinse senza spade e senza archi: minò il vastoimpero cesareo con delle parole e dei sentimenti. Voi da buoni lettori di Nietzsche chiamatedeboli i cristiani, eppure essi vinsero e dominarono, e voi sapete che la vittoria dà il battesimodella forza».Il suo pragmatismo magico, già evidente nella precedente affermazione, lo portava a concludereche: "La dominazione libera e piena di uno solo è pura ideologia: dietro e intorno all'uomo cisono inevitabilmente gli uomini. Il duce è la bandiera che raccoglie , la voce che esprime, lacoscienza che illumina - non mai la volontà che guida... Aspiriamo a preda più vasta e piùdegna: all'Impero intellettuale di tutte le essenze dell'universo."Potrebbe essere interessante confrontare questo "imperialismo intellettuale" papiniano, con"l'imperialismo pagano" di Reghini ed Evola. Si noti poi come, nell'ultima affermazione di Papini,sia implicita la concezione di un Imperator universale (Dio personale non creatore) "de facto" enon "de iure", che diviene tale per la sua superiorità intellettuale: un conceto analogo saràespresso da Evola, ad es. nel saggio "Il valore dell'occultismo nella cultura contemporanea"(apparso su Bilychnis, Roma, Novembre 1927).

(1) Gli articoli erano firmati con pseudonimi incisi dagli stessi autori su cartigli, cioè simboli aforma di rotolo di carta. Il cartiglio in egizio si chiamava "sheni", cioè "circondare" ed era unovale che circondava i nomi del faraone. [n.d.u]

3)ALCUNI SAGGI FILOSOFICI DI PAPINI

a cura di Ida La Regina e Tarquinio Prisco

Quel che segue è il saggio "Morte e resurrezione della filosofia" di Gian Falco (GiovanniPapini), «Leonardo», 20-12-1903. Papini a quell'epoca intendeva la filosofia come una guida ,oltre che per la comune prassi (Taumasiologia), anche ai fini di un rifacimento del mondo(Magica) e per il ritrovamento e rifacimento di sé (Egologia). Con tali idee, c'è da stupirsi cheentrasse in contatto con futuri membri del Gruppo di Ur?

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3a)Morte e resurrezione della filosofia

Intenzioni

Finora le critiche che si son fatte alla filosofia sono state parziali, limitate a una teoria, a unsistema, a una scuola, a un indirizzo. Quanto alla parte costruttiva si è pensato piuttosto a dareun nuovo sistema che a tramutare da' fondamenti ogni filosofia; a fare qualcosa di definitivopiuttosto che d'iniziale. Diversi sono i miei propositi:

1)) ricercare il valore della filosofia e non di alcune filosofie; 2)) rinnovarne completamente il compito e il contenuto, conservando il nome di filosofia solo percomodità di tradizione verbale. Per giungere a questi scopi è necessario: 1)) riconoscere quali sono le aspirazioni, i caratteri essenziali della filosofia; 2)) esaminare i dati, i mezzi, gli strumenti della filosofia per vedere se le sue aspirazioni sonraggiungibili; 3)) studiarne i prodotti per scoprire se fossero state raggiunte (ricerche critiche sui tre maggioriproblemi filosofici: il cosmologico, lo gnoseologico e l'etico).

Le volontà filosofiche

Dopo un'esposizione dei principali tipi di definizione della filosofia, dimostrerò due fatti di grandeimportanza: 1) che la filosofia manca di un carattere suo proprio, di un quid speciale che la contraddistinguadalle altre forme di attività umana. Quanto all'oggetto (la conoscenza del tutto), l'ha comune conla somma di tutte le scienze; l'aspirazione all'unità, alla sintesi, s'incontra pure nelle scienze enell'arte. Quanto ai mezzi, ai metodi, vediamo che l'uso dell'analisi e delle ipotesi è pur propriadelle scienze; l'impiego della fantasia e delle immagini dell'arte; la tendenza a dar norme ècomune alle arti pratiche, alla tecnologia. In generale prende dalla vita lo scopo (postulati morali) e dalle scienze e dall'arti le forme e imetodi; 2) che attraverso tutte le molteplici definizioni appaiono costanti tre volontà della filosofia, trecaratteri o fini ch'essa crede o vuol possedere, cioè: a) l'universalità (occuparsi di tutte le cose, del tutto); b) la razionalità (cioè l'asentimentalità, l'impersonalità, l'anazionalità, l'indipendenza, la fissitàecc. ecc.); c) la realtà (il filosofo crede di poter cogliere ed esprimere la reale realtà, quella di cui laconoscenza comune, volgare, disordinata, mutevole, non è che l'apparenza ingannatrice). Un esame dei dati della filosofia mi permetterà di vedere se queste voglie sono state o possonoessere soddisfatte.

Dati sentimentali

Anche i filosofi, come gli altri uomini, son mossi da sentimenti e da istinti. La filosofia non è cheuna reazione sentimentale, vitale, che assume esteriormente manifestazioni razionali (es.

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classico: giustificazioni teoriche degli istinti). C'è sempre, in ogni filosofo, una prefilosofia, ch'èfatta di elementi vitali ed effettivi. Ne accennerò, per ora, alcuni: 1) istinto di conservazione individuale e sociale (che provoca le varie formule morali che a lorovolta dànno origine a costruzioni metafisiche); 2) sentimento estetico (amore della simmetria, mania trinitaria, uso delle metafore ecc.); 3) bisogno di dominare (col razionalismo par di tenere in pugno le cose particolari); 4) piacere della lotta (discussione, confutazione, sentimento di superiorità); 5) piacere del nuovo, dell'inusato, del raro, del segreto; 6) amore delle idee pure (che indica sensibilità poco intensa); 7) amore della dimostrazione (es. Spinoza — piacere di genere architettonico e musicale); 8) amore della separazione (la filosofia, come tutte le attività aristocratiche, divide dagli altri); 9) pigrizia (che genera due aspirazioni): a) alla unità (per aver meno sforzo di attenzione nella conoscenza delle cose, per riunirle i fascisemplici); b) alla definitività (per non dover cambiare troppo spesso). Siccome i sentimenti sono personali, variabili, molteplici, scompare la possibilità del primocarattere della filosofia, della razionalità.

Dati razionali

Sono: la mente (l'attività intellettuale in genere); i concetti e l'arte di aggruppare e organizzare iconcetti: la logica. Nella mente c'è da notare: 1) l'immobilità (non s'è pensato ancora a trasformarla, a renderla più atta all'opera sua, asuscitar lati nuovi ecc.); 2) la tendenza alla cristallizzazione (abitudini mentali); 3) la ristrettezza (non è ancora abbastanza ampia, aperta, capace; non l'abbiamo scavata adovere); 4) il suo radicale contrasto colle cose (le cose sono mutevoli, varie, mobili, molteplici, ricche; ilpensiero tende alla fissità, all'unicità, all'immobilità, alla semplificazione). Quanto ai concetti son di due sorta: 1) generali (uomo, astro ecc.) e allora non sono che segni verbali che richiamano un individuosolo, tipo, modello della classe, schematizzato e impoverito; 2) universali (termini generali ai quali si attribuisce l'universalità: forza, spirito ecc.) i qualiperdono ogni significato e divengono inconcepibili, poiché ogni concetto è comprensibile econoscibile in quanto si differenzia e si distingue da altri, mentre nei casi di concetto universaleil termine, essendo dichiarato il solo veramente esistente, quello al quale ogni manifestazioneappartiene, assume ogni carattere e per conseguenza, possedendoli tutti, non si può trovarealtro termine al quale contrapporlo e col quale distinguerlo per poterlo intendere. Trasformare ungruppo d'intuizioni in un concetto generale significa deformarle e impoverirle; trasformare unconcetto generale in universale significa ottenere un segno vuoto, un inconcepibile assoluto. Lalogica, malgrado le sue apparenze di assolutezza, nasconde due pericoli che insidiano l'operadel filosofo. Essa è: 1) relativa (ogni individuo ha una logica sua, in ogni età della sua vita, e ciò che per A èconseguenza inevitabile di una data proposizione non sembra tale a B) (Newman). Ed è relativaalla razza (confronti tra la logica aristotelica e quella nyâya) e al linguaggio (differenze tra lalogica greca e quella inglese fondate sulle diversità delle lingue, cfr. Tannery e Peirce). Logicadel sentimento e logica dell'immaginazione (Bergson); 2) contraddittoria (ogni ragionamento include una petizione di principio, perché abbiamobisogno di supporre esistente o caratterizzato o risolto quello che c'è da dimostrare, dacaratterizzare o da risolvere, cfr. Agrippa, Hegel, Bertini, Nietzsche). Questa necessità delpensiero porta a porre problemi inconcepibili quali sono la maggior parte di quelli filosofici (es.origine e causa del mondo, noumeno e inconoscibile, conoscibilità reale o falsa del mondoecc.). I dati razionali non ci permettono dunque di raggiungere né l'universalità (inconcepibile) né la

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razionalità (relativa, incompleta) né la realtà (impoverimento, insufficienza della mente).

Dati espressivi

Oltre che essere una germinazione interiore (vitale e sentimentale) e una costruzione esteriore(logica e razionale) la filosofia è pure un complesso di parole e di segni, cioè di espressioni. Lafilosofia, in quanto è comunicazione di pensieri, è linguaggio. Ora tutti i filosofi (da Platone aVailati) si son lamentati delle imperfezioni del linguaggio, il quale essendosi formato in epocheprefilosofiche e fra genti primitive, non è adatto a esprimere le nuove scoperte del mondo edello spirito. Le principali critiche che gli si posson muover sono: 1) d'essere incompleto (non permette la comunicazione dei caratteri singolari speciali, personali;non dà i passaggi, le sfumature, il nuovo. Strumento livellatore e democratico: Bergson); 2) di far credere all'esistenza di un corrispondente di ciascun segno (c'è la parola, ci dev'essereanche la cosa. Termini negativi, inconcepibili ecc.); 3) di far credere all'inesistenza di ciò che non ha segno; 4) di far ritenere rapporti fra le cose quelli che son semplici rapporti fra le parole (separazione,fusione); 5) di far credere alla molteplicità delle cose quando c'è la molteplicità dei segni; 6) di far supporre unico ciò ch'è espresso da un segno unico ecc. ecc. ecc. Così non si esprime tutto quel che si pensa e non si pensa tutto quel che si dice. La critica dellinguaggio ci porta a negare alla filosofia il raggiungimento della realtà in quanto essa vorrebbeessere espressione e comunicazione del reale. Riassumendo abbiamo veduto come i dati di cuila filosofia si giova non permettano in nessun modo la soddisfazione della sua triplice volontà diessere razionale, universale e rivelatrice di realtà. La filosofia s'è illusa ed è rimasta sconfitta.

La morte della filosofia

Poiché la filosofia non può in nessun modo raggiungere ciò che vuole è costretta a ritirarsi, arinunziare, a morire. E ci sono infatti cause e segni di prossima morte: 1) la sterilità (la fecondità filosofica è una leggenda: i motivi filosofici si riducono a tre o quattro,ma oggi sono esaurite tutte le formule, le combinazioni, i rifacimenti. Si vive sul passato,facendo della storia o delle variazioni di nomenclatura); 2) l'assunzione di forme artistiche (passionalità, metafore ecc. che mostrano la tendenza aconfondersi e perdersi in altra forma d'attività); 3) le preoccupazioni pratiche che vanno crescendo e ingenerano uno spregio sempre maggioreper le riflessioni e meditazioni che non offrano immediata utilità; 4) l'interiorità crescente (misticismo, vita intima, diffidenza dell'espressione, motoantirazionalista); 5) il ritorno a posizioni primitive che indica la fine della parabola filosofica (le conclusioni piùrecenti riportano a stadi prefilosofici o della prima filosofia: animismo in metafisica;indimostrabilità della legge morale in etica; realismo ingenuo in gnoseologia ecc.).

Tentativi di salvataggio

Ci sarebbe il modo di risollevare la vita della filosofia, cercando di modificare e accomodarequegli strumenti che si son visti inadatti e contrari? Vediamo: 1) Dati sentimentali. Bisognerebbe disumanizzare il filosofo, cioè togliergli le sue tendenze, isuoi sentimenti personali — cioè, in fondo, ucciderlo, poiché un uomo è in quanto possiede unapersonalità sua, in quanto è diverso dagli altri. E d'altra parte la filosofia dovrebbe pur semprecorrispondere a sentimenti anche se generali, i quali potrebbero essere, come qualcuno hapensato o tentato, quelli più diffusi tra gli uomini. Ma anche in questo caso non s'avrebbe larazionalità universale, poiché i sentimenti seguiterebbero a modificare profondamente l'attività

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logica, senza contare che i sentimenti comuni alla maggioranza in una data epoca possonoscomparire o trasformarsi in un'altra. 2) Dati razionali. Occorrerebbe trasformare la mente, ma per trasformarla bisognerebbe ches'avesse già in noi il punto a cui si vorrebbe giungere, la nuova forma d'attività che si vorrebbefar nascere e allora vorrebbe dire che la mente è già trasformata. Quanto ai concetti universalisi potrebbe tentare di ridursi al minimo di comprensione col massimo di generalità, cioè aldualismo. Ma anche i sistemi dualisti son monistici, dal momento che la spiegazione del mondonon vien data da essi separatamente, ma consiste nel loro rapporto, nell'atto che intercede fraloro. Inoltre o si tratta di due principi o modi assolutamente diversi ed eterogenei e allora non sicapisce come possono agire l'uno su l'altro (cfr. il grande rompicapo cartesiano) o si tratta dicose che abbiano profonde relazioni fra loro, che abbiano una tal quale omogeneità (ad es.materia e forza) e allora siam forzati a ridurle sotto un unico concetto, a tornare al monismo,all'universale, all'incomprensibile. 3) Dati espressivi. Bisognerebbe modificare il linguaggio, ma: a) o si tratta di tradimenti che son propri del linguaggio in quanto è linguaggio, cioè segno,espressione; b) o si tratta di tradimenti apparentemente transitori. Ma ad ovviarli è necessario pur sempreadoprare il linguaggio, e se questo non è ancora sicuro, come saranno sicuri i resultati?Parrebbe che non ci fosse via di scampo, ma invece ve ne son due. La filosofia non deve moriree continuerà a vivere in due modi: 1) com'è ora, in forma di tre sopravvivenze (documento, giuoco, scudo); 2) in altra forma, mutandone radicalmente gli spiriti e i fini (sorpassamento della filosofia).

Filosofia come documento

I filosofi vogliono spiegare tutto, ma in generale non si curano di spiegare loro stessi e la lorofilosofia. S'è dimenticato che i sistemi son pure parti dell'universo, oggetti su cui si puòspeculare, rivelazioni ed espressioni di uomini. La filosofia resterà dunque, come fatto, in duemaniere: 1) come documento cosmico (essendo la parte più alta, più elevata del mondo, quasi la sintesidell'universo, il fiore delle cose, in essa si può forse scoprire il segreto di tutto, si può prenderlacome quintessenza rappresentatrice, come forma suprema in cui appariscono più chiare leaspirazioni e le forme dell'inferiore); 2) come documento psicologico (poiché ogni filosofia è l'espressione di una vita, di untemperamento, di un insieme d'istinti, di sentimenti e di voglie, noi possiamo ritradurre i simbolilogici in simboli vitali, ricostruire personalità, completare vite non conosciute per altre vie,tentare rievocazioni d'individui e interpretazioni di tempi. Qualcosa di simile ho fatto per i filosofiultimi da Kant in giù, nel mio Crepuscolo dei Filosofi).

Filosofia come giuoco

Vista la vanità dell'opera filosofica quale fu sempre fatta noi non possiamo prendere più sulserio la filosofia, pensare con fede, costruire con gravità. L'arrivo alla coscienza del valorepuramente verbale e personale della filosofia ci toglie ogni ragione di rispetto, di dovere, ecc.Ma ci saranno ancora degli spiriti aristocratici, i quali, pur sapendo che le loro meditazioni ecostruzioni non hanno né un valore razionale né un valore universale, si diletteranno dicomporre nuove metafisiche, nuove teorie della conoscenza, nuove formule morali o di adottaree trasformare variamente quelle già esistenti. Faranno, cioè, dei giuochi filosofici. Per questioccorrerà un manuale. Lo faremo e forse esporremo alcune delle regole del giuoco speculativo:la varietà, la complicazione, la contraddizione. E avremo il giuoco della battaglia (sofistica), ilgiuoco della cavalcata (fantasie metafisiche) ecc., ecc.

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Filosofia come scudo

Per molto tempo ci saranno ancora di quelli che crederanno alla solidità, all'efficacia, al valoredelle teorie razionali. Allora ci serviremo di questa credenza ritardataria per giustificare i nostriatti. La filosofia rimarrà come scudo teorico delle nostre azioni. Sarà una corazza della quale noiconosceremo la fragilità, l'inconsistenza, la vanità. Sapremo che un solo colpo la dissolverebbe,ma gli altri, i fedeli, crederanno, vedendola scintillare, che sia di saldo acciaio e in molti casi cisalverà. Socialmente saremo coperti; intellettualmente, per noi, saremo nudi.

La resurrezione filosofica

Si tratta, fin qui, di sopravvivenze. Occorre per il nostro amor proprio di pensatori, che sotto labandiera della filosofia ci sia qualcosa di più vivo e di più nuovo. Se la filosofia non può andareverso le vecchie mète, troviamone delle nuove. Una sola ambizione conserveremo: il possessointero della realtà. Bisogna cominciare col fornire alla filosofia un carattere suo particolare, unquid suo proprio. Bisogna che sia qualcosa di non comune alle altre attività, qualcosa chenessuno fa o tenta. Ciò non accade colla ricerca del generale e dell'unità perché tutte le attivitàumane, nessuna eccettuata, ci tendono. La grande preoccupazione degli uomini è quella digittare delle corde, delle funi, dei ganci tra le cose. Unire, legare, stringere, avvicinare. E d'altraparte togliere, impoverire, decapitare. Non vogliamo spaziare troppo coll'occhio, non vogliamofare dei salti. Noi preghiamo la logica che stenda dappertutto le sue maglie, che prenda questediversità ribelli per schiacciarle nel suo pugno, per farne una poltiglia digeribile. Abbiamobisogno dell'unico che toglie fatica e dà meno noia. Riportare il nuovo al vecchio: che dolcezza!Lo spirito non vuole arricchirsi troppo, non vuole aumentare i suoi scaffali, non apre la porta chealla gente di casa. Non vuol disturbi di nuove conoscenze. Ha la malattia dei legami, deirichiami, delle comunicazioni e delle catene. Così l'umanità soddisfatta nella sua pigrizia, nellasua mania unitaria ha fatto del paragone e dell'immagine uno dei segni del genio (Aristotele,Schopenhauer, Bain, James, Hoffding). Questa abitudine ostinata di volere unire e semplificarela ritroviamo nelle varie classi di attività: 1) nella tecnologia, nelle arti pratiche che hanno bisogno di ridurre, di schematizzare, disemplificare per i bisogni della pratica (cfr. uomini d'azione unilaterali); 2) nell'arte la quale tende all'esclusione di una parte degli elementi della realtà colla scelta(Taine) e tende o all'unità di gruppo (teoria dei tipi di Herckenrath e di Helwig) o all'unitàuniversale per mezzo dell'immagine (Biese, Arrèat); 3) nelle scienze, le quali tendono, come ognun sa, alle formule semplificatrici, alle definizioniche tengon conto dei caratteri generali e aspirano all'unità completa e definitiva (grandigeneralizzazioni scientifiche, monismo latente delle scienze fisiche e naturali) ecc. Tutti temonoil particolare, il completo, l'isolato, il singolare (odio degli eroi). Nessuno lo vuole o lo cerca. Lafilosofia farà quel che nessuno fa o vuol fare, ha trovato la sua missione originale: sarà laricerca e la scoperta del particolare. La tradizione universalista che rimonta, nella filosofiaoccidentale, a Senofane, ma risale al pensiero vedico, coll'unificazione del politeismo indiano inAditi e in Agni avanti di giungere all'Atman delle Upanishads, viene ad essere spezzata.Sembrerà un ritorno, un passo indietro? Può darsi che lo dicano, ma non è. È un'illusione chel'unitarismo rappresenti uno stadio intellettuale superiore e recente. Il contrario piuttosto è vero:si pensi ai vocaboli dal larghissimo senso dei primitivi (Leibniz, Max Müller, Hoffding) allaimpotenza di distinzione dei selvaggi, dei fanciulli e degli uomini volgari che vedono tutto moltopiù simile di quello che sia per osservatori più sottili, e si dovrà concludere che lo sviluppointellettuale va dall'indefinito al definito, dal generale al particolare, dal confuso al distinto, dalfuso al dissociato. Gran parte del progresso intellettuale è fatto con dissociazioni d'idee (Remyde Gourmont), e il raffinamento dei sensi consiste nel cogliere quelle differenze che ai sensirozzi e non esercitati sfuggono. Mi piace dare anche, en passant, una teoria metafisica asostegno della necessità della ricerca del particolare. Tutte le metafisiche sono animiste,consistono, cioè, in una animazione delle cose (sensazioni) fatta con elementi affettivi o volitivi(volontà ecc.). Ora il fatto più profondo delle psiche diviene il fatto più profondo dell'universo.Questo fatto più profondo è, per me, la tendenza all'inerzia, all'ozio, al riposo, all'annientamento.

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Eccone alcune prove: 1) tutte le cose e tutte le attività tendono, come abbiamo visto, verso l'unità, verso l'identitàuniversale e suprema. Ma noi sappiamo che l'universale, l'unico, è inconcepibile el'inconcepibile, tradotto da logico in concreto, equivale all'inesistente; 2) tutte le cose tendono alla cessazione di sé stesse (legge del finalismo suicida). Si agisce pernon agire. Ogni azione tende a fare cessare lo stato attuale, cioè la tendenza a sé stessa(Regàlia). Ogni desiderio desidera la propria negazione (Cresson). La tendenza a Dio(immobilità dell'eterno-infinito), la volontà dell'annientamento (buddismo) ecc. ecc. Il mondo,somma di tutte le cose, tende dunque a far cessare sé stesso; 3) il mondo è forza, movimento, volontà. Ma può essere volontà di vivere (Schopenhauer)? No,perché vive di già. Sarebbe ridicolo volere e desiderare ciò che s'ha di già. Allora poiché vive evuole non può volere che il contrario dell'esistenza, il nulla. Il mondo tende a sopprimersi, asuicidarsi. Ora dobbiamo essere noi dei semplici spettatori del mondo? Perché, dopo cheabbiamo scoperto la tendenza del mondo, non cerchiamo di contrastarla, di impedirla, non cifacciamo attori ed autori? Il rimedio consiste nell'andare contro ai mezzi che fanno prevedere ilfinale annullamento: l'universale e il riposo. Così movendo verso il particolare e l'azione lafilosofia tenta di salvare il mondo, da teoria diviene azione. Ecco l'altro gran mutamentod'indirizzo nella filosofia. Mentre finora il pensatore assumeva rispetto alle cose un'attitudinequasi passiva, conoscitiva, teorica, ora deve assumere un'attitudine attiva, pratica. Non devesolo conoscere e accettare il mondo, ma deve salvarlo, trasformarlo, ed accrescerlo. Salvarlocon la ricerca del particolare e dell'attività, trasformarlo con la ricerca di nuovi modi diconoscenza, e accrescerlo con creazione di altri mondi. (C'è il mondo? No. Ci sono i mondi, piùmondi, parecchi mondi per ciascun uomo. Bisogna crearli, moltiplicarli. Sforzo supremo: mondotrascendentale, completamente diverso dall'empirico sensibile). Molti problemi metafisici nonsono risolvibili che con l'azione. Ad esempio il massimo problema metafisico, il principio delmondo, è consistito o in un tentativo di ridurre l'interno, lo spirito (elemento interno, attivo, idea,volontà) all'esterno, alla materia (intuizione sensibile), il che, tradotto in termini psicologici, sidimostra assurdo; oppure di ridurre l'esterno all'interno, egualmente assurdo quando fattorazionalmente (omogeneità verbale) ed inutile quando fatto affettivamente (estasi mistica,incoscienza). Il ponte tra cose e spirito, cioè tra sensazioni e sentimenti, non può esser dato chedall'azione. E allora si rovescia la tradizione metafisica e dall'animazione si trascende allacreazione. Mentre lo sforzo dei maggiori metafisici è di mettere la volontà nel concreto(volontarismo: Schelling, Schopenhauer, Wundt, Paulsen ecc.) ci dobbiamo proporre di rendereconcreta la volontà, cioè di rendere reali esternamente i nostri desideri (sogno magico chepassa in filosofia). Così l'uomo non solo colla creazione della verità, dell'infinito e della legge sifa Dio (Goethe, Fichte, Feuerbach, Stirner, Comte, Hazard, Maeterlinck), ma anchecoll'oggettivazione concreta del suo desiderio, colla creazione della realtà. Così con latrasformazione dell'attività filosofica da teorica in pratica, noi sfuggiamo a tutti gli inganni e a tuttii tradimenti del razionalismo e dell'espressione, delle formule, delle parole, delle forme, delleregole, che, pur essendo necessarie come strumenti di vita, sono tanti intermediari tra noi e lapiena realtà, sono tanti vetri che falsano, tante forbici che tagliano. E così noi rientriamo inpossesso di tutta la ricchezza del mondo (particolare) e creiamo collo spirito (nuovi mondi) ecoll'azione che vivifica, per mezzo dello spirito, le cose, tendiamo a una più intensapsichizzazione del mondo. Ma resta ancora un carattere che la filosofia futura, a differenza dellapassata, deve possedere: la personalità. Visto che una filosofia universale, per tutti, è per piùragioni un vano sogno bisogna rassegnarci a fare una filosofia per ciascuno. Ognuno che saràdegno avrà la sua filosofia, adatta ai suoi bisogni, ai suoi interessi, ai suoi sentimenti. Non più sicercherà d'imporre a tutti una medesima uniforme d'una medesima misura. Il filosofo potrà faredue cose: 1) un bazar di filosofie, un deposito di sistemi, un magazzino ed esposizione di teorie, divisesecondo i temperamenti, i sentimenti e i fini principali: ove ciascuno che non abbia tempo difarsi da sé la filosofia possa trovare da provvedersene con poca spesa; 2) ma poiché per farsi una filosofia è bene farla adatta al nostro io, bisogna cominciare aconoscerlo, soprattutto in quanto è singolare, in quanto si distingue e si separa dagli altri. Eccocosì la teoria dell'io, l'Egologia, che conterrà i necessari degli avviamenti perché ognuno possa

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fare, in sé stesso, un'autoscopia che gli serva quasi di misura per procacciarsi l'attività e lafilosofia che gli conviene di più. Così non parleremo più di filosofia ma di filosofi, e non faremo la storia delle dottrine ma lastoria dei dottrinari.

Conclusioni

Ecco dunque capovolta la vecchia filosofia. Oggi la filosofia tende all'unico, alla teoria, allaconoscenza della realtà, all'animazione del concreto — domani dovrà dirigersi alparticolare, alla pratica, alla creazione della realtà, alla concretazione dell'anima. Sipoteva definirla: una conoscenza unificatrice e universale della realtà — si potrà definirlauna ricerca e creazione pratica del particolare e del personale. Avremo così delleimportanti conseguenze metafisiche, gnoseologiche, morali e metodologiche: 1) Conseguenze metafisiche. La soluzione passa dal piano teorico all'attivo. Si tratta difare e non di dire, di creare più che di spiegare. Si fa il mondo invece di accettarlo. 2) Conseguenze gnoseologiche. Distinzione di due ordini di sapere: a) sapere pratico scientifico, il quale è teorico ma è fatto in vista della pratica e tendeall'unità, alla semplificazione ecc.; b) sapere reale, filosofico, il quale è attivo ed è fatto in vista del possesso integrale dellarealtà, e tende al particolare, all'azione, alla personalità ecc. 3) Conseguenze morali. Questa nuova concezione della filosofia in generale e dellametafisica in particolare porta alla necessità della distinzione, della separazione, dellanon fusione, della lotta ecc. cioè ad una morale individualista. La morale dell'altruismo(amore, fusione, annientamento) è contraria a tutto lo spirito di questa filosofia. 4) Conseguenze metodologiche. Non avrà solo mutazioni nel contenuto ma anche nellospirito. Non esporrà più dei risultati ma consiglierà dei mezzi. Non dirà ciò che si vedeper le strade, ma dirà quali sono i viottoli per arrivarci e veder da sé. Avremo così laguida pel particolare (Taumasiologia), quella pel rifacimento del mondo (Magica) e quellapel ritrovamento e rifacimento di sé (Egologia). Si compie così il ciclo perfetto della filosofia la quale, partita da uno stato di nonespressione e di pura azione, attraverso la riflessione sugli atti sociali (morale), sulmondo (cosmologia) e sulla conoscenza (gnoseologia) ritorna, per mezzo diconseguenze gnoseologiche, alla non espressione, alla pratica, alla vita. La mia propostadi futura filosofia è nello stesso tempo il compimento, l'ultimo anello di ritorno dellafilosofia e il programma, il principio di qualche altra cosa. Mentre in genere i filosofiaspirarono a fare qualcosa di stabile, di ultimo, di definitivo (Hegel, Comte, ecc.) io tengosoprattutto a fare qualcosa d'iniziale, ad aprire una strada nuova ove altri, forse,camminerà e correrà.

Il Cartiglio di Papini

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Papini approfondisce la sua concezione della filosofia, che chiama "pontificale", nel saggio"Unico e diverso" del 1904, dove ne fornisce la definizione. Interessante la sua tabella delle"Opposizioni Universali", che ricorda tanto il Pitagorismo, quanto la dottrina estremo-orientaledello Yin-Yang.

3b) Unico e diverso

La concezione pontificale della filosofia

Quando i filosofi si pongono in cammino per i loro pellegrinaggi alla ricerca del San Graaldell'Assoluto provano il desiderio di muovere da qualcosa nella quale ogni uomo possaconvenire. Ma questa unità iniziale non può trovarsi nel conoscere, perché le parole confondonoe nascondono la secreta e reale concordia, e avviene, soprattutto in filosofia, che teorie le qualisembrano opposte fra loro conducano a conseguenze quasi identiche. Così, nell'azione, tantol'idealista berkeleyano che nega a parole la materia e il materialismo buchneriano che nega aparole lo spirito, si comportano, nella pratica, dinanzi a quello che si usa chiamare «mondoesterno», nella stessa maniera. Chi voglia dunque trovar qualcosa in cui tutti sian veramente d'accordo, deve ricorrere, noncome gli altri filosofi, al Conoscere, ma al Fare, e siccome il filosofo è, per quanto sembriqualche volta il contrario, un uomo vivo, che pensa e scrive per uomini vivi, esso può partiresoltanto dal fatto fondamentale e primordiale della vita stessa. Ma vivere è agire, e agire è accrescere sé stessi. Cioè vivere significa tendenza ad arricchire séstessi, tendenza al possesso. Se ciò è vero ogni prodotto dell'attività degli uomini deve esserestato originato dalla tendenza al possesso e poiché la filosofia è uno di questi prodotti possiamodefinirla uno degli strumenti creati dall’uomo per l’appropriazione del mondo. I modi coi quali ci si raffigura di solito la filosofia, e soprattutto la sua funzione, sono tre, ma tuttie tre si possono ridurre a un quarto che li accomuna nel fine al quale convengono per diversefoci. Queste concezioni, infatti, sono:-la concezione terapeutica, che considera la filosofia come farmaco, medicinale, specifico,elixir di calma vita, preservativo ecc. (morali, consolazioni, consigli di prudenza, massime ecc.Stoici, Boezio, Larochefoucauld, Gracian ecc.);-la concezione poliziesca, che destina la filosofia alla ricerca del fondo, del segreto,dell'arcano, della sorgente, dei veri connotati, della molla occulta del mondo. (Metafisici atendenze moniste. Cosmogonie apocalittiche);-la concezione notarile, che assegna alla filosofia il compito di far la descrizione, l'inventario, ilcatalogo esatto, la lista precisa di tutte le cose. (I positivisti ed empiristi, almeno nelleintenzioni).Ma queste concezioni si possono facilmente riportare a una quarta, cioè alla-concezione pontificale, che riguarda la filosofia come una delle strade per arrivare acomandare alle cose per mezzo del pensiero. Rispetto a questo fine tanto i tonici morali cherendono l'uomo forte, tanto i principi universali che tendono a darci in mano le redini del mondo,come pure la descrizione delle cose, che ci permette la previsione, cioè il potere di modificaregli avvenimenti, non sono che mezzi subordinati, viottoli per salire alla strada maestra.

Ma qualcuno chiede: questa concezione pontificale della filosofia è giustificata dagli effetti? Inaltre parole: Qual è la capacità conquistatrice della filosofia? L'unico modo per rispondere è quello di vedere in cosa consiste o cosa ci offre quella parte dellafilosofia che si riferisce all'universo. Bisogna cercare quel che c'è di comune, di basale in tutte lemetafisiche. Bisogna fare, cioè, una metafisica ponendosi dinanzi alle metafisiche come imetafisici si pongono dinanzi alle cose: una metafisica delle metafisiche.

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Ed è questo, forse, il solo mezzo per ottenere veramente la così ardentemente bramata unità. Chiedersi: Cos'è il mondo? è da stupidi. Ognuno di noi ha il suo mondo e lo vive, lo crea, loconosce, lo modifica, se ne serve. L'uomo che ha buona salute non prova il bisogno in tantacerta concreta e vissuta esistenza del mondo di chiedersi cos'è il mondo. Le metafisiche, infatti,e potrei addurne parecchie prove, sono una delle vie di scarico, di sfogo, una delle diversioni emanifestazioni innocue di certe malattie mentali (mania del dubbio ecc.). Ma questi malati sonostati molti e noi possiamo, per ragioni di salute chiederci: Qual è stato il pensiero degli uominisul mondo? cosa ci dicono le metafisiche? Quando avremo esplorata la strada potremo dire se conduce davvero a quella città meravigliosain cui tutti vogliamo alloggiare.

Le metafisiche non possono essere che dualiste

La metafisica è la sistemazione delle cose come la politica è la sistemazione degli uomini. È lapolitica cosmica, la vera Weltpolitik. Mentre la piccola politica, la politica umana, si chiede: Chideve comandare? la grande politica, la politica mondiale, si domanda: Qual è la cosa prima, lacosa che tutto regge? Finora i metafisici — questi Soloni dell'universo — hanno assoggettato, in apparenza, il mondoa tre regimi: quello dell'unico, della coppia, della folla, che corrispondono all'incirca alle tre formearistoteliche della monarchia, dell'aristocrazia e della democrazia. Le metafisiche, cioè, hannodetto di essere moniste, dualiste e pluraliste. Ma i metafisici, come i politici, si sono ingannati. Come non è possibile in realtà né il governo diun solo né il governo di tutti, così non esiste, di fatto, né il monismo né il pluralismo. Il pluralismo appare di due sorta: o è radicale, cioè ammette una moltitudine indefinita di fattiirriducibilmente diversi e allora è al di fuori della filosofia perché esclude a priori la possibilità diqualsiasi concezione generale del mondo; o è unitario, cioè suppone una moltitudine di esseri ocose (atomi, monadi, ecc.) sostanzialmente identiche e solo diverse nelle loro posizioni nellospazio, e allora non essendoci fra gli elementi del mondo nessuna diversità qualitativa siamodinanzi a una forma d'unità fondamentale, dinanzi ad una forma molto comune di monismo. Ma neppure il monismo assoluto, d'altra parte, può esistere. Non esiste a priori perchéinconcepibile, dal momento che un elemento particolare perde ogni significato quando vieneadibito a una funzione universale, quando non esiste più nulla, cioè, da cui possa distinguersi.Non esiste a posteriori perché tutti coloro che si son detti monisti hanno avuto bisogno, quandos'è trattato di spiegare il mondo, di ricorrere a un altro principio oltre quello che avevanoammesso dapprima come unico. Empedocle ha dovuto ammettere due principi coeterni nel seno del suo assoluto; i neo-platonicison giunti, ad onta del loro emanatismo unitario, a un dualismo primitivo; Spinoza ha dovutoammettere nella sua sostanza due attributi irriducibili (l'estensione e il pensiero); Fichte hariconosciuto che il non-me è un ostacolo insormontabile per la ragione; Hegel ha dovutoconfessare, ad onta del suo panlogismo, che nella natura c'è un elemento illogico; i materialistinon hanno potuto fare a meno della forza, e gli energisti non sono riusciti a sopprimere lamateria. I monisti tutti, quando hanno voluto fare la teoria compiuta del mondo, son diventati,anche senza volerlo, dualisti. Infatti il dualismo è quello che soddisfa meglio le esigenze del pensiero, perché offre il massimodi generalità accompagnato col minimo di comprensibilità, cioè riducendo al minor numero ditermini, a due l'opposizione ch'è necessaria per ottenere la distinzione (l'intelligibilità). Perciòtutte le metafisiche sono dei dualismi, confessati o simulati.

Le metafisiche non possono essere che duellistiche

Non basta che le metafisiche contengano due termini. Bisogna che non vadano d'accordo. Pergiustificare la loro presenza, cioè la loro distinzione, debbono battersi fra loro. E questo accadeveramente: ogni metafisica è la narrazione del duello mondiale di due elementi che si disputanoil primato. Non vale il dire che questi due elementi vanno sempre insieme, come la materia e laforza. Per combattersi debbono essere in contatto: la lotta non è forse l'abbraccio violento di

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due corpi? Se i due personaggi obbligatori delle metafisiche non fossero nemici avrebbero qualcosa incomune. Ma basterebbe questa qualsiasi comunanza perché il filosofo, colla sua foia unitarista,si potesse permettere di identificarli e di tornare al monismo, cioè al vuoto e all'incomprensibile. Non restano allora che due vie: o i due elementi stanno separati, ciascuno per conto proprio,senza rapporti e allora non servono a spiegar nulla; oppure hanno fra loro relazioni e queste,non potendo essere amichevoli, sotto pena di monismo, cioè di morte, sono guerresche. Lemetafisiche, allora, non differiscono che in questo: nel giudicare quale sia il vincitore fra i dueelementi che si combattono. Ogni filosofo ha il suo campione preferito e per esso canta vittoria. Tutte le dispute filosofiche siriducono così a competizioni di giudici di campo. Ci son filosofi così innamorati del loro prediletto che immaginano che l'avversario, a un certopunto, muoia e scompaia sotto i suoi colpi, e questa amorosa illusione è una delle tante vie perle quali passa l'istinto monistico per tornare di soppiatto. Ma il giuoco non gli riesce perchésoppresso uno dei duellanti finisce il duello, cioè, in metafisica, finisce il mondo, ch'è soltanto unduello o una serie di duelli. Tanto coloro che vogliono fare un corpo solo dei due rivali, quanto coloro che ne voglionoucciso uno a maggior gloria dell'altro, insidiano l'esistenza del mondo, o, meglio, l'esistenza delmondo in quanto costruzione filosofica. Perché una metafisica abbia senso bisogna che sia lastoria di una guerra o, più modestamente, il verbale di uno scontro.

Le metafisiche non possono essere che psicomorfiche

Comprendere significa assimilare, assimilare significa far proprio. Cioè noi comprendiamoquello che facciamo nostro, quello che riduciamo a qualcosa di nostro (Vico). Ma quello per cuici sentiamo noi, per cui siamo qualcosa di diverso e di opposto è il nostro spirito e soprattutto lemanifestazioni attive del nostro spirito (sentimento e volontà) più personali e perciò più interne.L'unico metodo che abbiamo dunque per comprendere il mondo è quello di ridurlo a qualcosa disimile allo spirito nostro, d'immaginarlo animato da qualcosa che l'assomigli a un Io più grande,da qualche forma universale di attività psichica. Questo metodo si chiama animismo e finora gliuomini, anche quando fanno gli scienziati, non hanno trovato nulla di più chiaro e di piùcomprensibile. Le scienze sono ancora impregnate di animismo e le metafisiche non sono altroche sistemi di animismo su grande scala. Infatti tutte le metafisiche — eccettuate alcune poche, come quelle dei primi jonici — sono di trerazze: o fondate su parole astratte (Essere, Sostanza, Fatto, Apeiron, Assoluto, Noumeno) e allorasiccome codeste son simboli logici universali e vuoti, non dicon nulla; o fondate su concetti apparentemente astratti ma di origine psichica (Attività, Forza,Energia, Evoluzione, Dissoluzione); o fondate su concetti francamente tolti dal mondo dello spirito (Idea, Intelligenza, Amore eOdio, Monadi, Io, Volontà; Atman, Gemüth, Inconscio, Immaginazione ecc.). Cioè le metafisiche o non dicon nulla o sono psicomorfiche. Anzi è da osservare che più ci siavvicina ai tempi nostri si fanno più frequenti le metafisiche non ipocritamente animiste e coloroche non vogliono saper di animismo rinunziano addirittura alla metafisica e si contentanodell'empirismo neutrale di Mach. Da questa condizione necessaria di tutte le metafisiche noi possiamo anche prevedere qualesarà la loro silhouette generale. Nello spirito noi ritroviamo due lati nettamente distinti: il latorappresentativo (conoscenza, ragione, ecc.) e il lato emotivo e motivo (sentimenti, volontà, ecc.)e perciò siamo portati a credere che anche nelle metafisiche, le quali son proiezioni dello spiritonel mondo, si debba ritrovare questa opposizione ch'è nello spirito dell'uomo.

Le metafisiche dicono tutte la stessa cosa

Da tutto quello che ho detto fin qui mi pare risulti chiaro che le metafisiche o non dicon nulla odicon tutte la stessa cosa. E questa cosa è che il mondo si spiega e si comprende

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immaginandolo resultante dalla lotta di due principi di origine psichica. Due elementi spirituali sicombattono: ecco il leit motiv, visibile o invisibile, di tutte le teorie generali dell'universo. Vale adire che mentre l'universo reale e concreto che noi viviamo e possediamo ci presenta unaperpetua diversità, le trascrizioni e traduzioni verbali del mondo si riducono a un testo solo, eogni metafisica è la traduzione in linguaggio più o meno diverso di una sola idea sul mondo. Ilche significa che tutte le metafisiche sono traducibili fra loro giacché cambia soltantol'espressione di un'unica teoria. Tant'è vero che si possono tradurre in linguaggio dualista leespressioni monistiche, e in linguaggio idealista le affermazioni materialiste. Si cambiano leparole ma non il senso, quando, naturalmente, il senso ci sia. Le ragioni per cui viene scelto unlinguaggio piuttosto che un altro son varie: c'entra il desiderio della novità, la maggiore brevità ecomodità, il maggiore potere di suggestione su certi sentimenti (il linguaggio spiritualista, adesempio, ha un colorito più morale di quello spiritualista, ecc.). Le differenze tra le metafisiche si riducono dunque a due:a) la gerarchia tra i due principi, cioè la designazione di quello che vien ritenuto più importante edesiderabile;b) e il linguaggio (o meglio il dialetto) che serve ad esprimere il luogo comune delle metafisiche.Tolte queste differenze tutti i metafisici ci raccontano la stessa storia.

L'unica metafisica

È inutile dunque continuare a parlare di tante metafisiche. La metafisica è una e la sua formulaè questa: L’universo rappresenta il prodotto dell’opposizione costante e universale del principioclassico e del principio romantico, dell’unico e del diverso. Io chiamo classico tutto ciò ch'è universale, unitario, passivo — romantico tutto ciò ch'èpersonale, particolare, attivo. Ciò che tende all'immobilità e all'universalità è classico; ciò chetende al cangiamento, al moto e alla personalità è romantico. Questa opposizione si trova in tutto il dominio intellettuale, dalla metafisica più astratta allasociologia più realista; e perciò possiamo facilmente opporre le due serie dei termini classici edei termini romantici. I termini di ciascuna serie sono traducibili fra loro ma nessuno dei terminidella serie classica è traducibile in un termine della serie romantica e viceversa. Il che significache ogni serie è riducibile a un solo termine (classico o unico, romantico o diverso) il quale puòrappresentarla tutta, qualunque sia. Io ho scelto i termini di classico o di romantico perché sono,per la loro stessa indeterminatezza, i più adatti a suggerire la complessità delle due serierispettive. Per dare un'idea più chiara di questa metafisica unica, o metafisica delle metafisiche, darò quiun quadro delle due serie, avvertendo che i termini a sinistra son quelli che suggeriscono ideed'immutabilità, di quiete, di unità, cioè termini classici e che i termini a destra son quelli cheriflettono le idee di mutabilità, di moto, di particolarità e diversità, sono cioè i termini romantici.

CLASSICO E ROMANTICO

Opposizioni universali

universale essere

passività eterno materia spazio

continuo determinismo

particolare divenire, evoluzione

attività fuggevole

forza, spirito tempo

discontinuo libertà

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fissità quantità

omogeneo

mobilità qualità

eterogeneo

Opposizioni psichiche

corpo espressione, parole

ragione conoscenza

automatismo, abitudine imitazione esperienza

impersonalità sedentarietà

calma serietà

misura, euritmia dovere usuale

vita esteriore ottimismo

anima vita, azioni sentimento

volontà riflessione, iniziativa

invenzione sogno

originalità vagabondaggio

mobilità ironia

sproporzione, esagerazione passione

caratteristico vita interiore pessimismo

Opposizioni conoscitive

ordine logica

astrazione regola, legge

non-io oggettivismo prevedibilità positivismo

mescolanza metafisica intuizione

natura, fatto io

soggettivismo imprevedibilità

idealismo

Opposizioni religiose

panteismo deismo teologia

Dio

Dio personale teismo

misticismo Demonio

Opposizioni estetiche

arti nello spazio (pittura, scultura,

architettura) oratoria, rettorica

melodia dialettica

arti del tempo (danza, poesia, musica)

esprit, humour sinfonia

lirica

Opposizioni biologiche

eredità specie fisse omocromia

salute normalità

uomo

variabilità trasformismo divergenze

malattia genio e follìa

fanciullo

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Opposizioni sociali

civili greci latini

democrazia collettivismo nazionalismo

morale socialità

tradizione

selvaggi e barbari orientali

germanici, slavi aristocrazia

anarchia cosmopolitismo

amoralismo individuo, eroe

rivoluzione, reazione

Origini e fini di «unico» e «diverso»

Il mondo, quale lo immaginiamo, è dunque il prodotto di questa unica opposizione dallemolteplici forme. O l'unico cerca d'incarcerare e ridurre il diverso, o il diverso cerca di scacciaree sopprimere l'unico. Il diverso universale sta nelle vicende di questa guerra. Per chi debbono essere i nostri voti e i nostri aiuti? Per raccapezzarci non c'è di meglio chevedere quali siano le cause e gli effetti dei due avversari. L'unico, o il principio classico, vien dato:a) dalla ragione, cioè dalla nostra mente, e non dalle cose;b) dai bisogni di comunicazione sociale (il linguaggio è fondato sulle somiglianze ed è sempregenerale);c) dalla pigrizia, ch'è il fondo dell'uomo. (Infatti è assai più facile e comodo aver a che fare conpoche generalità che dover tener presenti tutte le differenze di una moltitudine di cose. Ilmonismo è un prodotto della debolezza e vigliaccheria mentale);d) da un errore di origine magica, che consiste nel credere che per agire sulle cose bisogna checi sia fra tutte quante una specie di omogeneità.

Gli effetti dello spirito di unità, finché si limita al generale, sono:a) l'avvicinamento di cose lontane (l'associazione per somiglianza ecc.);b) a formazione delle leggi scientifiche.Ma quando si trattasse del raggiungimento vero e proprio dell'unico, avremmo per resultatol'immobilità, l'omogeneità assoluta, cioè la negazione dei due segni dell'esistenza (attività,cangiamento), l'annientamento, la morte. Il trionfo dell’unico significherebbe la morte del mondo.

Il diverso, invece, è dato:a) dalla realtà medesima, la quale ci dà, non quando è conosciuta ma quando è vissuta, unasuccessione di differenze nello spazio e nel tempo. Cioè il diverso è dato dall'intuizione e nondalla ragione;b) dal desiderio di aumentare e arricchire il mondo, dal desiderio di possedere di più.

Gli effetti del diverso sono, com'è da figurarsi, gli opposti di quelli dell'unico:a) l'aumento qualitativo del mondo;b) la liberazione del mondo da tutti gli schematismi e verbalismi che la ragione gli ha messoaddosso;c) l'acquisto di una più diretta potenza, perché soltanto escludendo l'intermediario del concetto evolgendo l'attenzione alla produzione del particolare, cioè del vero concreto, possiamo giungerea una più vasta e più rapida appropriazione del mondo.

L'unico ci conduce dunque alla morte, il diverso alla potenza. A noi sta scegliere. Noi abbiamo,in questo momento, nelle nostre mani, le sorti del mondo. In nostro arbitrio sta il morire per

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sempre o il farsi dei — annientare il mondo od accrescerlo. Mai come in questo momentol'uomo può sentire la grandezza paurosa della sua volontà. Io sono, dinanzi a questo terribilebivio, in una specie di estasi di sublimità. Se noi riusciamo a render reale l'unità alla qualetendono le nostre menti il mondo è perduto; se invece ci ribelliamo e liberiamo il mondo,tornando noi stessi alla vita attiva, particolare, varia, il mondo è ingigantito e arricchito. Dallanostra decisione dipende il destino dell'universo. Che gli diremo dunque? Vivi? o Perisci?

Avventure di classico e romantico

Vediamo come l'uomo ha risposto. Il primo momento è sempre romantico; nella specie e nell'individuo. I selvaggi e i fanciulli sonoromantici, e i selvaggi sono i fanciulli dell'umanità, come la fanciullezza è l'età selvaggiadell'uomo. Insofferenza di regole e di leggi, volubilità, instabilità, fantasia, amore delvagabondaggio e dell'avventura, curiosità ed emozionalità sono i loro caratteri. A loro succede lo spirito classico, legislatore, ordinatore o tranquillizzatore, rappresentato dalleprime costituzioni e dai civilizzatori per i selvaggi, dai genitori e dalla scuola per i fanciulli. Nella civiltà occidentale il primo tentativo di predominio dello spirito classico si ha in Grecia.Omero è già vecchio e rappresenta la saggezza di una virilità che succede a una lunga etàbarbara, infantile, capricciosa, fattrice di miti e di sogni, che non è stata rivelata letterariamenteche tardi e imperfettamente. Colla Grecia geometrica e loica comincia il dominio della regola, della misura, della legge, dellaragione, comincia il disprezzo o l'odio per le temerità adolescenti, per le «apparenze fuggevoli emutevoli». La matematica e la logica comandano, l'arte si fa tradizionale e stilizzata, la vitaesterna, fissa nella sua pompa, ha il sopravvento sulla libera vita interiore. Le forze romantichenon scompaiono (tragedie, miti, peripli ecc.) ma finiscono coll'esser sopraffatte. Tutta la storiaspirituale della Grecia si riduce alla guerra tra la lirica e la dialettica, la tragedia e la commedia,la poesia e la filosofia. Il Cristianesimo, tentativo del romantico Oriente per ristabilire i diritti della vita dello spirito nelladisseccata civiltà classica, fu costretto, se non volle perdersi completamente, ad assimilarsi lacultura greca e l'organizzazione romana e la Chiesa rappresentò in tutto il Medio Evo lo spiritoclassico. Solo il misticismo, fanciullesco e solare come quello di S. Francesco e superdivino e tenebrosocome quello di Meister Eckheart, insieme alla cavalleria errabonda e immaginosa,rappresentarono nel Medio Evo lo spirito romantico. Il Rinascimento e la Riforma che vengon presi come tentativi di ribellioni e che gli storicimettono a precorrere le rivoluzioni dei nostri tempi, non furono, come potrebbe sembrare,insurrezioni di carattere romantico. Sono invece un ritorno a qualcosa di tradizionale, anzi unrincrudimento di tradizioni. Il Medio Evo era stato soprattutto romano e cattolico: il Rinascimentovolle esser greco e la Riforma cristiana. Il Medio Evo, per quanto con scarsa cultura, avevasentito e vissuto la tradizione pagana e romana, aveva visto il Papa di Roma erede dell'Impero.La Rinascita continuò, ed esagerò, ma verbalmente, la tradizione medioevale; sostituì il cultodella parola e della forma alla pratica della vita e dello spirito. Invece di fare un impero o unanazione si scrissero elogi di Cesare; invece di andare alla ventura si scrissero romanzi dicavalleria; invece di esser religiosi si composero trattati sulla fede. La Rinascita fu il trionfo delleparole sulle cose, della regola e dell'imitazione sulla libertà e l'invenzione; del letterato e delloscienziato sull'uomo intuitivo e sentimentale. La Riforma non si distingue molto dal Rinascimento: anch'essa è classica. È classica perchénon fa che una sostituzione di autorità e di legge, dalla Chiesa alla Bibbia, dal Papa ai nuovicapi religiosi. È classica perché rivela gusti pagani: i protestanti si rivoltano a Roma per nonmandar più denari, cioè, per goderseli per sé, e i loro capi amano il vino e le donne come satiri(Lutero) e fanno condannare e ardere i ribelli come pontefici e imperatori (Calvino). Quando il Rinascimento ebbe assicurato il culto degli antichi e l'ammirazione dei modelli, e ilprotestantismo si fu adagiato nelle tradizioni, nelle regole e nelle tradizioni delle sue Chiese, ci

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fu un periodo che si può chiamare classico fra i classici (secoli XVII-XVIII), sede principale laFrancia, in cui la logica penetrò anche nell'arte e i matematici e i fisici stabilirono il loro impero.L'opposizione romantica però, per quanto sopita, non morì: il barocco, esasperazione delclassico, aspira al moto e al colore e vuol uscire dal classico esagerandolo; la musica, gaia opatetica, offre un bel rifugio a quella vita ingenua e profonda, che non poteva manifestarsi colleparole. Ma la vera e grande insurrezione romantica — che dura ancora — non comincia che verso lametà del settecento. J. J. Rousseau, nato in paese impregnato d'influenze germaniche, tornacol pensiero alla vita libera del selvaggio, anteriore alla polis classica ed è insieme il padre dellarivoluzione politica e della rivoluzione intellettuale, e porta con sé nello stesso tempoRobespierre e Chateaubriand. Il Romanticismo giunge e s'impone. Esso rappresenta l'esplosione dell'anima europea contro ilregime classico che aveva avuto l'egemonia fin dalla Grecia; rappresenta la liberazionedell'uomo, dell'individuo particolare e passionale, fantastico e mobile, contro l'armatura ditradizioni, di regole, di norme, di leggi, di uniformità che fasciavano e asfissiavano la libera vita.Nel suo cerchio d'influenza si muovono e si succedono i grandi liberatori: Rousseau che ci liberadalle convenzioni dell'uomo civile; Kant che libera il pensiero dalla cosa; Napoleone cherisuscita il miracolo del fantastico avventuriero mondiale e fa nascere entusiasmi, ambizioni,leggende nuove; Herder che ci libera della letteratura e dalla nazionalità; e torna alla poesiaspontanea di tutti i popoli diversi; Fichte che libera l'io dal mondo; Schopenhauer che ci vuolliberare dall'ossessione della volontà; Carlyle dall'uomo terrestre; Stirner dall'uomo-idea;Nietzsche dall'uomo logico e moralista; Bergson dall'uomo sociale e parziale... Tutti i caratteri romantici esprimono questo bisogno di liberarsi da qualcosa, di liberarsi da tuttele forme e le fasce dell'età classica. L'individualismo ci mostra l'uomo contro il gruppo, l'orgogliodella personalità, lo sprezzo delle regole, il culto del genio, cioè dell'io profondo, il predominiodel lirismo, il senso dell'originalità e diversità personale; l'ironia, il capriccio, l'humour sono dellearmi per disgregare le opinioni cristallizzate, i costumi imposti; il cosmopolitismo, accompagnatodal senso storico e dal dilettantismo, segna il desiderio di liberarsi dalle patrie ristrette, ildesiderio del nuovo, del diverso, del mutevole; la sensibilità, il rispetto della passione, il cultodella donna (che rappresenta meglio del maschio il prevalere dell'istinto e del sentimento)indicano la reazione al predominio del ragionamento e del calcolo, il bisogno di un ritorno allavita e alla natura; immaginazione che va in cerca del leggendario, del favoloso, del misterioso,dell'occulto, fa sfuggire i romantici all'abituale, al buon senso, alle cose note e perciò non piùdesiderabili. I personaggi romantici o suggeriscono immagini di movimento (pellegrini, cavalieri,trovatori, cantori, erranti ecc.) o immagini di passione (disperati, suicidi, malinconici ecc.). Iluoghi cambiano spesso, si rievocano i tempi antichi, i popoli lontani: tornano in onoreShakespeare e la ferocia tragica. È naturale che questo sforzo enorme di liberazione e di distruzione fosse accompagnato da unacerta malinconia o addirittura dal pessimismo: la fatica dell'opera, la febbre della battaglia, ilrimpianto incosciente delle vecchie cose uccise, la sproporzione eterna tra i propositi e le forzene furono le cause maggiori. Oggi la grande lavanda romantica non è finita. Il secolo XIX è stato veramente il secolospogliatoio, ma non tutte le vecchie vesti ci siamo tolti di dosso. Il predominio del romantico,cominciato solo nella seconda metà del secolo XVIII, non accenna a finire ed anzi appena ora ègiunto a penetrare in certi domini della vita spirituale. Se vogliamo che si formi una nuova civiltànon transitoria il nostro compito più grave è di condurre al suo sforzo massimo il romanticismo.L'insurrezione romantica porta al trionfo della sensibilità, dell'istinto, dell'azione — è la rivincitadel diverso sull’unico. Ma l'insurrezione non può essere che un momento. Sorge dietro ad essa

il problema post-romantico

Il romanticismo ha condotto a due risultati:a) alla nudità dell'uomo, spogliato di tutto ciò che s'era formato attorno a lui per impedirne la vitasempre rinnovantesi;b) alla condanna dell'intellettualismo puro, unitario e legislatore, cioè alla morte della filosofia. Il

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problema post-romantico è dunque doppio: Cosa deve fare l'uomo? Come si può far cessare ildissidio dell'unico e del diverso che riempie di sé la metafisica?

Quanto al primo ci sono varie risposte: o l'uomo ritorna al passato umano (nel-classicismo,tradizione ecc.) o al passato animale (alle bestie, come propone Remy de Gourmont) o si creaaltre vesti, cioè altre regole e altre costrizioni, oppure risolve di restarsene nudo e di agire piùpotentemente senza bisogno di strumenti e d'impacci. Quanto al secondo la risposta è unica; finché si continua a fare della metafisica il dissidio traunico e diverso non può scomparire. Finché facciamo della filosofia, cioè della generalità, ilparticolare è come qualcosa di ostile, di nemico, che il pensiero non riesce bene a dominare e apadroneggiare. È un dato, che smentisce volentieri la teoria, e rovescia, come una terravulcanica, le fragili costruzioni che gli si affollano sopra. Perciò il contrasto non può essererisolto finché si resta nella teoria, finché il generale vien considerato come uno strumento. Sitratta di cacciarlo dal suo impiego d'intermediario, e bisogna perciò criticarlo praticamente, cioèsostituirlo. Fare a meno dell'unico, per mezzo della taumasiologia, significa sopprimere uno deitermini. La realtà è indicibile, ma è modificabile. Facendo dell'azione invece che della metafisicasi fa cessare l'opposizione e nello stesso tempo si dà un ideale nuovo all'uomo liberato in graziadel romanticismo. Poiché anche dopo minata la civiltà classica il desiderio del possedere restasempre il primo e maggiore e se il classicismo, allontanandosi dal reale, non ci permette disoddisfarlo abbastanza noi abbiamo così un letto in cui incanalare le nuove forze che simanifestano via via che si succedono le liberazioni romantiche. Il problema post-romantico dunque ha nella sua duplicità una soluzione unica: aumentare lapotenza. La filosofia scompare; il razionalismo svanisce spontaneamente nel formalismoautomatico (ricordate il calculemus di Leibniz) e d'altra parte si rivelano faticosamente delleforze nascoste e spregiate, le forze nuove e mute che giacciono nel subliminal self. Aumentare la potenza significa diminuire il suo valore di costo, cioè sopprimere gli intermediarii,e questo si potrà fare soltanto cercando di impadronirsi di quella potenza personale, segreta,meravigliosa, rapida, ch'è in ogni uomo. Invece di fingere, bisogna essere; invece di ottenerepoco con molto, ottenere molto con nulla. È questo, oggi, il compito di chi sente che qualche grande cosa si va compiendo, di tutti quelliche voglion essere Dei non soltanto a parole.

***

Le premesse filosofiche, espresse nei due saggi già visti, trovano il loro coronamento in questoterzo saggio papiniano "Dall'Uomo a Dio", Leonardo, Febbraio 1906, ove l'autore applica iconcetti di "unico" e "diverso" al caso specifico dell'ascesi spirituale.

3c) Dall'uomo a Dio

Cosa significa uomo-dio

Uomo-Dio ha tre significati: cristiano, mistico, magico:

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•) cristiano: l'idea dell'Incarnazione; Dio che si fa uomo per redimere (Cristo) o addottrinare(Buddha) gli uomini; •) mistico: l'idea di fusione; l'anima personale che si confonde con l'essere universale e diventadivina facendosi e sentendosi parte d'Iddio; •) magico: l'idea d'imitazione; l'anima cerca di acquistare i poteri attribuiti a Dio, diventa divina inquanto le cose sono parti obbedienti di essa.

Io adopro l'espressione Uomo-Dio nel senso magico, che inverte i rapporti tradizionali fra l'uomoe la divinità. Finora o gli Dei s'erano fatti uomini (secondo i credenti) o gli uomini avevanofoggiato gli Dei simili a loro (secondo gli psicologi). Ora è l'uomo che vuol farsi Dio e gli uominivogliono foggiare loro stessi simili agli Dei. Non è più Dio che s’incarna ma l'uomo che s’india.

Fra gli attributi divini a cui esso aspira il primo è l'onnipotenza al quale, del resto, si possonoridurre anche gli altri (come l'onnisapienza, ch'è un mezzo per l'onnipotenza). Volere diventareUomo-Dio significa dunque cercar di ottenere la massima quantità di potere diretto sopra gliuomini e le cose.

Perché l'uomo vuol diventare dio

La ragione più forte per la quale l'uomo vuol diventare Dio è

il bisogno della pace definitiva

Gli uomini non sono soddisfatti del presente. Infatti agiscono e desiderano senza fine. Agiresignifica cercare di ottenere quel che non si ha — desiderare senza fine vuol dire non potereottenere tutto quello che non si ha. Miseria, impotenza, — agitazione continua e desiderieternamente rinascenti: ecco la sorte degli uomini. Per uscire da questo tormento essi seguonodue vie:

- la via del possesso

- la via della rinunzia

O cercano di soddisfare il massimo numero di desideri — o cercano di estirparli tutti. O sisforzano di ottenere una parte delle cose desiderate o di persuadersi che le cose desiderate mairraggiungibili non hanno nessun valore. La prima via è quella dei conquistatori, dei potenti, deiricchi, degli epicurei — la seconda è quella degli asceti, degli stoici, dei santi cristiani e degliyoghi indiani. Ma nessuno di questi due modi di liberazione riesce. Soddisfacendo parte deidesideri non si fa altro che accrescerne il numero perché il possesso delle cose desiderate fasorgere nuovi desideri oppure rinforza quelli che non sono stati soddisfatti. Cercando disopprimere i desideri si finisce col sopprimere solo i più comuni e volgari (dell'amore, dellaricchezza, ecc.), sostituendone altri anche più forti (della vita eterna, dei poteri occulti, ecc.).

Alcuni forse son riusciti ad estirpare del tutto i desideri ma pochissimi, in moltissimi secoli,malgrado la predicazione continua di due fra le più grandi religioni del mondo (il Cristianesimo eil Buddhismo). Per ciò il metodo della rinunzia si può considerare praticamente, per la quasitotalità degli uomini, fallito e appare necessario trovarne un altro. Quest'altro, che io propongo, èquello dell'onnipotenza.

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L'unico modo per non desiderare le cose, per disgustarsene è quello di possederle. Chi tutto hanon può desiderar nulla. Appunto per questo Dio è pensato come perfetto e beato. Finché nonabbiamo ottenuto le cose desiderate noi le immaginiamo grandi, dolci, piacevoli. La bramaeccita l'immaginazione ed esagera le promesse di felicità. Ma il possesso ha, dopo un certotempo, per risultato la nausea e chi molto possiede molto disprezza (Salomone). Perciò se ilsoddisfare solo alcuni desideri non riesce che ad accrescere i rimanenti e se l'estirparli tutti èquasi impossibile non c'è altra soluzione che questa: soddisfarli tutti. Giacché noi desideriamosolo le cose che non si possono avere, cioè bisogna che noi possediamo o possiamopossedere tutte le cose.

Per far ciò è necessaria l'onnipotenza. L'uomo deve diventar Dio — da schiavo agitato etormentato delle sue voglie padrone calmo e beato di tutte le cose. Quando l'uomo otterrà tutto,o sarà certo che potrà ottenere nell'istante qualunque cosa egli desideri, tutto il mondo cambieràdi valore ai suoi occhi.

Le cose subiranno un deprezzamento infinito. I desideri moriranno nel suo cuore senza bisognodi esercizi spirituali, di cilici o flagelli: quale uomo sano desidera l'aria se continuamente n'ècircondato? Il mondo sarà come un corpo più grande di cui l'uomo sarà l'anima e le cose gliobbediranno come ora obbediscono all'anima le membra. L'uomo sarà anche il mondo e ilmondo sarà parte dell'uomo. Morendo il desiderio muore l'azione, poiché non c'è più bisogno diagire per ottenere ciò che non si ha, dal momento che si ha tutto. Non essendoci più azione nonci saranno più cambiamenti. Il regno del diverso sarà chiuso: l’unico concreto (non l’unicoverbale dei metafisici monisti) gli succederà. Il regno dell'unico è il regno della calma, della nonazione, della pace: è il sogno del mistico che cerca la unione con Dio, è il sogno di tutte leattività che cercano il riposo.

Il mondo diventerà, attraverso l'Uomo-Dio, una sola cosa, immobile, omogenea — nonesistente. Sarà il vero nirvana a cui aspirano tutte le anime. Ogni cosa cerca il suo contrario — ilmondo del diverso tende all'unico, l'attività tende all'immobilità, la vita tende alla morte. Lagrande opera, il resultato ultimo dell'Uomo-Dio sarà la fine del mondo per mezzo della suaperfezione.

Ciò che vuol fare l'uomo-dio

Ma a questa quiete assoluta, a questa pace eterna, a questa divina morte non si può arrivareche dopo un periodo d'intensa attività. Per giungere a non agire più, bisogna riuscire ad agireimmensamente più che non ora, per poter fare a meno di qualunque azione bisogna potercompiere un numero enorme di azioni che oggi non si sanno compiere. Per giungereall'immobilità bisogna esser più mobili che oggi, per giungere all'unità ancor più creatori deldiverso, per giungere alla soppressione del desiderio bramosi di più grandi cose. Oggisappiamo far poco: — soltanto quando sapremo far tutto non avremo più bisogno di far nulla.

Da quale parte ci verrà questa potenza? Questa volontà di onnipotenza è un delirio poetico ouna possibilità pratica? Questa potenza — rispondo — esiste già negli uomini e s'è manifestatain tempi vicini e lontani ed è possibile aumentarla e disciplinarla. La preparazione dell’Uomo-Dioè un problema pratico. Si potrà giungere allo stato divino compiutamente oppure soltantoavvicinarsi, ottenerlo rapidamente o lentamente, con facilità o a stento, ma non siamo dinanzi aqualcosa d'irrimediabilmente assurdo e di radicalmente impossibile.

C'è tutta una classe di uomini, di razze, di lingue, di nomi, di metodi, di tempi diversi (santi,yoghi, medium, fakiri, magnetisti, profeti ecc.) i quali hanno ottenuto un certo numero di fatticosiddetti miracolosi per mezzo di poteri cosiddetti occulti. Questi fatti sono:

1) far muovere i corpi senza toccarli (levitazione ecc.);

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2) far sparire ed apparire i corpi (apporti, fantasmi, scomparse di oggetti ecc.); 3) trasformare i corpi e cambiarne gli effetti; 4) allontanare o provocare i fenomeni naturali (tempeste ecc.); 5) vedere e conoscere l’invisibile (il pensiero altrui, le cose lontane, le future ecc. Divinazione,chiaroveggenza ecc.); 6) trasmettere direttamente il loro pensiero (telepatia ecc.) a distanza; 7) conservare e prolungare la vita umana (guarigioni istantanee dei mali, continuazione dellavita in condizioni anormali; senza mangiare, senza dormire ecc. — risuscitare i morti ecc.).

Tutti questi fatti, chiamati meravigliosi solo a causa della loro relativa rarità, costituiscono nelloro insieme, quando fossero riuniti in un solo uomo, un grado di potenza molto superiore aquello dell'uomo comune, ridotto all'uso delle sue membra e dei suoi strumenti. So bene chequesti fatti da molti non son creduti e vengono attribuiti alla frode o alla fantasia, ma letestimonianze son tante e così diverse e indipendenti fra loro che, pur facendo la partedell'inganno — che del resto si riduce il più delle volte a imitazione di fatti reali — siamo costrettiad ammetterne la possibilità e la realtà. Ma questi poteri, per quando incredibili e grandiappaiano, non bastano a chi vuol farsi Uomo-Dio. Non sono che un principio. Sono una piùgrande potenza ma non l'onnipotenza. L'opera del cercatore della divinità non deve dunquefermarsi a ottenere quei fatti che altri già hanno ottenuto saltuariamente e spesso senza volerlo,ma deve esser volta ad aumentarne il numero e a renderli ripetibili a volontà. I miracoli passatisono il più delle volte piccoli e sporadici. L'Uomo-Dio deve ottenerne sempre più grandi, piùabbondanti e far sì che non dipendano da un'intuizione improvvisa o da una specie di graziainconscia ma soltanto dal suo volere.

L'arte del miracolo

L'impresa dell'Uomo-Dio è resa più lunga e difficile dalla mancanza di un insieme di regole e dinorme sicure per ottenere i poteri meravigliosi di cui ha bisogno. Alcuni dei potenti spirituali(chiamo così i santi, i maghi, i mistici, i medium ecc.) o coloro che hanno studiato la loro vita e laloro psicologia hanno indicato e descritto alcuni dei mezzi e degli antecedenti dei miracoli —hanno, cioè, detto quali sono le condizioni in cui i miracoli il più delle volte avvengono e qualisono i metodi di vita o gli atti di coloro che li fanno avvenire. Queste indicazioni e descrizioni ilpiù delle volte concordano e il genere di vita e il lavoro interno dei potenti spirituali viene dipintoquasi colle stesse parole dall'ascetica indiana di mille anni fa e dai rituali magici del secolo XIX;dalla mistica cristiana del Medio Evo e dal New Thought dei nostri giorni. Manca però, fino adora, una tecnica della creazione, un'Arte del miracolo, vale a dire la raccolta e l'interpretazionedi tutte le cause dei fatti straordinari, ordinate in modo da potersi tradurre in regole pratiche perchi muova alla ricerca dell'onnipotenza.

Eppure un'Arte del miracolo, com'io la penso, non sarebbe difficile, ora che gli studi sulleantiche religioni, sui grandi mistici, sulle scuole occulte e sulla medianità accennano a rifiorire eogni giorno offrono nuovi documenti e nuove teorie all'esploratore dell'anima. L'Arte del miracoloè in fondo un nome diverso per quell'utilizzazione dell’anima di cui tante volte ho parlato. Noiabbiamo delle forze in noi stessi che cercano di essere svegliate e dirette. Ci sono degli uominiche si sono serviti di alcune di queste forze e hanno ottenuto cose che alle legioni dei timidi edegli ignari son parse incredibili. Osserviamo ciò che questi uomini hanno fatto e come l'hannofatto e cercando di essere come loro e di vivere come hanno vissuto potremo riuscire a fare ciò

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che hanno fatto.

Il loro massimo segreto è stato la concentrazione dello spirito — raccogliere l'anima in un punto,tutte le potenze interiori verso un'idea per ottenere il massimo grado di forza. Per giungere aquesta concentrazione è lunga e terribile la via. Bisogna isolarsi, sopprimere i sentimenti,ricacciare la sensualità, abolire le sensazioni particolari, morire, come dicono i cristiani, almondo. «Nessuno ha il mondo in suo dominio — dice Meister Eckehart — come colui che atutto il mondo ha rinunziato».

La solitudine, il silenzio, la castità, il digiuno sono le preparazioni necessarie dei poteristraordinari. E anche certi atti esterni, come il fissare oggetti, lo stare immobili, il trattenere ilrespiro, il procurarsi artificialmente dolori che avvezzino all'insensibilità, favoriscono laformazione del fascio delle potenze spirituali. I semplici di spirito, quelli che non sono distrattidalle complicazioni dialettiche e dalle curiosità molteplici degli intellettuali, i miserabili, i poveri,che non son preoccupati dalla cura delle ricchezze, dalla bramosia di accrescerle o dal timore diperderle, sono i chiamati fra i quali si scelgono più facilmente i pochi eletti al potere spirituale. Enon basta questa preparazione remota e costante. Occorrono gli stati di esaltazione speciali diqueste forze interne — gli stati di preghiera, di estasi, di trance, di rapimento, di comando in cuila fede crea la realtà, in cui l'amore ci fa unir colle cose, in cui la volontà concentrata e potenteplasma direttamente l'universo.

Quest'arte del miracolo non potrà dare a tutti la possibilità di compiere prodigi perché non bastasapere quali condizioni e quali strumenti si richiedono per ottenere un certo effetto o mettersi inquelle condizioni o possedere quegli strumenti — e non basterà neppure all'Uomo-Dio il qualeha bisogno di poteri più grandi di quelli sui quali può essere oggi fondata. Ma quest'arte ènecessaria per incominciare e soltanto quando sarà fatta si potrà dire intrapresa praticamentel'ascensione a Dio.

Cosa creerà l'uomo-dio

Per quanto lo scopo finale dell'Uomo-Dio sia la pace definitiva e la fine dei cambiamenti e delleazioni pure ci sarà un tempo in cui esso deve agire assai più di quello che mai abbiano agito gliuomini tutti insieme e in cui deve fare le sue grandi prove sul mondo per assicurarsi del suopieno potere e per conseguenza della perfetta inutilità di adoperarlo più oltre. Perchél'Uomo-Dio giunga realmente a disprezzare tutte le cose bisogna che passi attraverso aun'epoca di rifacimento, di trasformazione e creazione del mondo tale da procurargli la certezzacompleta che ormai egli non potrà mai più desiderare alcuna cosa.

L'Uomo-Dio prima di giungere al nirvana, alla quietude, deve sconvolgere l'universo, rifarlo asuo modo, produrre improvvisamente cambiamenti di grandezza e importanza non mai vedute.Ed ecco che sorge per questo l'ultimo problema dell'Uomo-Dio: quello dei modelli deicambiamenti. Per far cambiare qualcosa bisogna avere un'idea, un disegno, un programma diquello che si vuol vedere apparire in luogo di ciò che c'è. Per trasformare questo mondo in unaltro mondo e questo secondo mondo in un terzo e così via bisogna avere nella menteun'immagine di questi mondi diversi che ci guidi per comandare alle cose. Chi non vede e nonsa cosa vuol fare non potrà mai cambiare neppure il colore di una foglia.

I serbatoi di modelli per le trasformazioni che opererà l'Uomo-Dio sono quattro:

- l'arte

- le religioni

- le metafisiche

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- le scienze immaginarie

L'arte, ch'è la scelta e il rifacimento fantastico delle cose — le religioni che sono le più ricchecollezioni di ideali, d'utopie, di sogni, di vite beate, di mondi diversi dal mondo attuale — lemetafisiche, ch'esprimono i desideri di certi uomini singolari intorno alla costituzionedell'universo, possono servire magnificamente l'Uomo-Dio, il quale potrà esercitare la suapotenza rendendo reali i demoni dell'inferno dantesco, o la vita paradisiaca, o il monadismoleibniziano. Ma questi modelli non bastano: bisogna ancora immaginare altri mondi ai quali ipoeti, i creatori di miti e i filosofi non hanno pensato. Accanto alle scienze di ciò ch'esiste e di ciòch'esisterà bisogna creare le scienze di ciò che non esiste, ma potrebbe esistere — bisognainventare tutte le scienze immaginarie.

La scienza, com'è fatta finora, poteva bastare ad uomini che non si proponevano di fare grandicambiamenti nel mondo, ma piuttosto di adattarsi alle cose che esistono. Per i loro bisognibastano le previsioni su ciò che deve accadere, che si suppone simile a quel ch'è accadutofinora, e perciò le scienze non si occupano altro che di ciò ch'è accaduto e, in base a questo, diquel che accadrà a somiglianza di questo.

Ma per quelli che vogliono preparare una nuova età plastica del mondo — che vogliono rifare etrasformare il mondo, codeste scienze non bastano più. Ci vogliono scienze non solo di quelche accade e di quel che accadrà ma di quello che accadrebbe se certe condizioni, certi fatti,certe parti della realtà cambiassero. Per cambiare, e cambiare coscientemente, bisogna sapereprima ciò che succederebbe cambiando certe parti. Bisogna scegliere tra i vari mondi possibili eperciò bisogna che si creino tante fisiche, tante biologie, tante psicologie quanti sono icambiamenti possibili, sia pure attualmente fantastici, che noi possiamo fare nei corpi, negliorganismi, nelle anime. Sull'esempio delle geometrie non euclidee bisogna costruire dellefisiche non-newtoniane, delle biologie non-darwiniane, ecc. Fra queste varie prospettive offertedalle scienze immaginarie il creatore sceglierà quelle che vuol vedere realizzate in modo che lasua capacità di rifare il mondo possa avere un numero indefinito di prove possibili.

4) Papini: da autodidatta ad allievo di Reghini a cattolico

Oso: Papini, dopo le premesse teoriche già evidenziate in questo forum, decise che era ilmomento di agire.Nell'opera "Un uomo finito" (1932, cap. XXVIII) scrisse:"Io dovevo essere - realmente, effettivamente essere - quel che nella lunga vigilia avevosognato per me, avevo proposto agli altri: un santo, una guida, un semidio...Il mio scopo immediato era: accrescere all'infinito il potere della volontà; far sì che il mio spiritopotesse comandare a uomini e cose senza bisogno di atti esterni. Cioè: far miracoli. Null'altro".Qui si può notare il primo difetto dell'intento di Papini. Nello scritto del 1903, "Morte eresurrezione della filosofia", aveva provvisoriamente posto sullo stesso piano il "rifacimento delmondo (Magica)" e il "ritrovamento e rifacimento di sé (Egologia)". Dottrinariamente già errava,perchè la Magica comprende l'Egologia, anzi la Magica è, soprattutto, Egologia.In seguito però pose addirittura come obiettivo principale il "rifacimento del mondo" e non siaccorse di cadere inavvertitamente in un rozzo "solipsismo filosofico". Infatti il "comandare a

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uomini e cose senza bisogno di atti esterni" cozza contro la ...volontà altrui. Per quanto riguardapoi le cose inanimate, se le leggi che le governano sono "abitudini dello spirito", esse peròsono "abitudini dello spirito collettivo", cioè comuni a tutti gli esseri senzienti che abitano undeterminato "locus" dell'universo. Non è così facile (nè così necessario) per un singolo ascetavincere la volontà collettiva. Non che i miracoli siano impossibili, ma anche coloro che licompirono (a cominciare da Cristo e Buddha) non li indicarono mai come la méta. Parlando disolipsismo, viene sicuramente in mente la "Teoria dell'Individuo Assoluto" di Evola. Ma quello diEvola è un "solipsismo magico" (anche se espresso in termini filosofici), cioè un metodorealizzativo, che peraltro Evola stesso modificò profondamente, dopo certe, ben note,vicissitudini della sua vita.

ES:Infatti il verificarsi di fenomeni psicocinetici o, più in generale, paranormali non ènecessariamente indice di elevata spiritualità. Lo dimostrano ad es. i cosiddetti casi di RSPK(Psicocinesi Spontanea Ricorrente) detti anche Poltergeist. Quest'ultima è una parola tedescacomposta dal verbo poltern che significa "fare chiasso, rumoreggiare", e dal sostantivo geistcioè "spirito, fantasma", dunque si può tradurre con "fantasma chiassoso".Emilio Servadio (1904-1994), che tra i membri del Gruppo di Ur fu sicuramente il piùinteressato ai fenomeni paranormali, scrisse che in parecchi casi di poltergeist "è statoaccertato che le manifestazioni avevano a che fare con la "crisi puberale" di un ragazzo o di unagiovinetta, ed erano in qualche modo connesse con certi loro conflitti inconsci, e con la relativamobilitazione, altrimenti inespressa, di potenti cariche sessuali ed aggressive" [Servadio, 1963].Servadio asserisce che nei casi di poltergeist può esservi molto spesso un'attivazione, a livelloinconscio, dell'aggressività, specie se nell' ambiente c' è una persona che, a torto o a ragione,viene sentita come limitante o oppressiva [Servadio, 1986].Data la giovanissima età dell'agente focale "si suppone che nella predetta età critica, sisvolgano nell' inconscio del giovane protagonista conflitti particolarmente intensi, inerenti all'attivarsi degli impulsi sessuali e delle difese, o controcariche, relative" [Servadio, 1986].Sulla questione della psicodinamica del RSPK aggiunge: "La psicoanalisi ha mostrato come iconflitti inconsci possano assumere caratteristiche assai primitive ed estreme, lo stesso si puòipotizzare nei riguardi dei conflitti, e delle energie che li alimentano, relativi ai giovani inquestione. L' enigma del Poltergeist consiste per altro nella eccezionalità e paranormalità delmanifestarsi dei conflitti: i quali, in modi e per canali ignoti, danno luogo a fenomeni parafisicinell'ambiente, anziché originare sintomi, o sogni" [Servadio, 1986].Nessun fenomeno magico dunque (se per magico si intende un "modus operandi" attivo econsapevole), tanto da poter essere studiato con i comuni mezzi della psicanalisi e dellaparapsicologia: mezzi che sarebbero quanto meno inadeguati per studiare un'effettivafenomenologia iniziatica. Ma sul rapporto tra psicanalisi ed esoterismo si ritornerà piùampiamente in futuro.

Oso: Continuando nella lettura di "Un uomo finito", (cap. cit.) troviamo le frasi: "I santi miportavano verso le religioni; i maghi verso le scienze occulte...Conoscevo già tutti e due icammini: quello celeste, verso i paradisi consacrati; e quello sotterraneo verso gli inferimaledetti."Qui la confusione di Papini è totale. Se (mi riferisco ovviamente all'Alta Magia) scopo ultimo deimaghi non è adorare il Dio Personale, non è neppure adorare il Diavolo. Il mito buddhistadell'incontro di Buddha con Brahma lo indica chiaramente, dal momento che in quell'episodioBuddha ha la meglio tanto su Brahma tanto su Mara, personaggio equivalente al Satana delladottrina cristiana.

Tarquinio Prisco: Nella "Storia di Cristo", un miglioramento rispetto alla fase precedente, c'èsicuramente. Egli scrive (cap 28, p. 155, Firenze 1925): "I Miracoli che raccontano gliEvangelisti sono stati, per moltissimi moderni, la prima ragione di lasciar Gesù e l'Evangelo.Non possono credere al miracolo; il Miracolo non cape ne' loro cerebri ringrinziti: dunquel'Evangelo mentisce e se mentisce in tanti luoghi non gli si può credere neanche nel resto. Gesù non può aver risuscitato i morti; ergo le sue parole non hanno nessun valore. Quelli che

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ragionano così - e ragionan male perchè soltanto una dottrina può dar valore ai miracoli, ma imiracoli non provano sempre le dottrine - danno ai miracoli un peso e un significato moltomaggiore di quello che Gesù non abbia loro concesso. Se avessero letto i Quattro Evangeli, sisarebbero avvisti che Gesù è spesso riluttante a far miracoli. Che si scansa quando è chiamatoa farli; che non dà una suprema importanza a questo suo divino potere".Dunque Papini ha finalmente capito che, nell'ascesi spirituale, l'accento deve essere postosull'azione interiore e non sulla ricerca dei miracoli esteriori.

Tullio Quasimodo: Su Papini, ho letto il saggio omonimo di Evola, che si trova attualmentenella raccolta "Ricognizioni" (Roma, 1974). In particolare, rispetto al libro sulla vita di Cristo, che Papini scrisse in seguito alla sua"conversione" al cattolicesimo, Evola dice: "Esso ci sembra costituire la prova più evidente chenessuna vera, profonda crisi spirituale sia stata alla base della 'conversione' di Papini, che almassimo in essa può aver agito una rinuncia interiore, il bisogno di pacificarsi e di rendersi lecose più facili, traendo da un corpo fisso di credenze quelle certezze che non aveva saputotrovare dopo la fase iconoclasta. Perchè in questo libro non vi è nulla di trasfigurante e ditrasfigurato, non si avverte il minimo mutamento di sostanza umana, uguale è lo stile, nulla viencolto o dato come dimensione più profonda del cattolicesimo e dei suoi miti: è una banaleapologetica in base ai dati più esteriori, catechistici e sentimentali del cristianesimo. Che DelMassa abbia potuto associare Papini alle 'origini di un cammino che potrebbe essere definito ilcammino italiano per la tradizione', ciò è cosa che ci lascia di stucco, semprechè di tradizione insenso superiore, e non di vieto tradizionalismo, si tratti".Mi chiedo se Del Massa, a cui Papini stesso si diceva "legato da vecchia e cordiale amicizia" siastato influenzato nel suo giudizio da tali raporti. Un po' come è avvenuto, in fondo, allo stessoEvola, che spesso ha volutamente evitato di affondare i colpi nei confronti di Guenon, appuntoper l'intercorso rapporto di amicizia. Oppure, in quel libro, nascosto dalla patina catechisticaevidenziata da Evola, vi è anche qualcosa che si può far valere in un diverso ordine di idee?

EA: I saggi proposti da Ida e da Tarquinio dimostrano come, già prima di Evola, Papini si eraposto il compito di illustrare, adoperando come mezzo il linguaggio filosofico, i problemi inerentialla magia. In particolare, riguardo al problema dell'Uomo-Dio, si possono fare le seguentiosservazioni. In Papini manca la distinzione, formulata con precisione da Eckhart, tra la Divinità(Gottheit) e il Dio personale (Gott). La Divinità è l'Uno-Tutto (En to Pan) degli ermetisti che siesprime in liberi enti, la cui attuosità, che può essere consonante o dissonante (vedi "Appuntisul Logos" di Oso) determina il divenire, in guisa simile a quella descritta da Dante, nel celebreverso "Voi che intendendo il terzo ciel movete". Quanto sono liberi questi enti? Nel saggio "IlValore dell'Occultismo nella Cultura Contemporanea ", Evola dice: "Nessun pianoprovvidenziale, nessuna legge di ordine data a priori che il dinamismo delle varie forzeandrebbe semplicemente ad eseguire, in qusto mondo allo stato libero: ciò che sta prima sonoinvece questi poteri, ed ogni legge ed ogni ordine nulla più che un prodotto di organizzazione". In realtà ad una (ed una sola) legge essi sottostanno. Fanno infatti tutti partedell'Uno-Tutto e perciò, in ogni caso, si trovano tra loro in una qualche forma di relazione diretta o indiretta, consapevoli che siano o meno di essa. Il filosofo inglese AlfredEdward Taylor (1869-1945), famoso per i suoi studi su Platone, ha espresso questa "legge"nell'opera "Elementi di Metafisica" (1903), dicendo che l'Assoluto (la Divinità) può esseredescritto come un sistema finalistico, nel quale tutti gli enti sono teleologicamente ordinatiall'unità dell'insieme e a ciascun ente viene "assegnato" un posto in relazione a tutti gli altri. E' possibile, come dice Papini, per l'uomo diventare Dio? Se è alla Divinità (Gottheit) che ci siriferisce è da escludersi, perchè in un sistema ove esiste una pluralità di enti, nessun ente puòessere identico all'intero sistema. Se invece si fa riferimento, come sicuramente intende Papini,al Dio personale (Gott), il discorso è diverso. Per Dio personale, in magia, ha da intendersiquell'ente che in una determinata "epoca" ha una attuosità che domina quelle di tutti gli altri enti.Così lo descrive Evola (op. cit.): "Un potere più vasto il quale è riuscito a travolgere, riprendereed unificare altri sotto di sé, riducendo così l'originario caos delle forze molteplici e lottanti".Naturalmente nulla impedisce che, in determinate epoche, più enti di attuosità "consonante" si

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trovino al medesimo livello supremo, così che possono benissimo concepirsi periodi"monoteistici" (con un unico ente supremo) che si alternano a periodi politeistici (con più entisupremi). Possono anche esistere situazioni intermedie, cioè periodi nei quali vi è un unico entesupremo, ma altri enti hanno un potere assai vicino al suo (gerarchie angeliche), così chequalcuno può anche tentare il "sorpasso" ("ribellioni e lotte nei cieli"). Come debbano intendersitali lotte è così descritto da Evola (op. cit.): "La lotta, tuttavia, qui ha un senso tutto speciale,libero da tutto ciò che è odio e violenza: è come un mettersi faccia a faccia di 'presenze', comeun incontrarsi e misurarsi di gradi di 'essere', di 'quanta' di intensità".

Luce: In "Spontaneità e Libertà", hai scritto: "... Aspirare a questa condizione suprema non deveperò portare a disprezzare i molteplici stati intermedi. Il mago apprezzerà qualunque, per quantomodesta, trasformazione della spontaneità in libertà. E si comporterà, secondo una notaimmagine di Eliphas Levi, come le onde che non si stancano di corrodere lo scoglio, fino asgretolarlo".Ed è proprio la qualità che mancava a Papini: lui voleva tutto e subito! Scrive nella sua biografia"Un uomo finito": "Fin da allora [da ragazzo] sono stato di quelli per cui il poco o la metà noncontano. O tutto o nulla!"(1) . Ciò è pericoloso, soprattutto quando si hanno ancora idee benpoco chiare. Egli argomenta: "Chi erano gli autori di queste primizie miracolose? I santi, imaghi, i medi: nomi diversi di quegli uomini soprapotenti che avevano compiuto, con diversifedi, prodigi somigliantissimi. Il segreto non era dunque nelle dottrine. Il santo impregnato diteologia cattolica, il mago tutto intriso di teologia cabalistica, alessandrina, paracelsica; il medioimbevuto di teologia spiritualistica uso Allan Kardec, facevano, o speravano e promettevan difare, le stesse cose. La vera causa risiedeva dunque nel'essere medesimo di questi uominiprivilegiati, che soltanto per caso o spinti da una qualunque luce teorica manifestavanosaltuariamente la loro potenza....Ero fedele alla mia idea: pensare allo strumento e non allateoria; trasformare lo strumento invece di cambiare soltanto parole, terminologie" (2).Incredibile! Papini, da tutti considerato a quell'epoca il massimo rappresentante italiano delPragmatismo, non teneva conto di una elementare norma che è comune al pragmatismofilosofico e alla magia e cioè che... "la dottrina è metodo", la teoria è strumento! e che,ammesso e non concesso, che partendo da una base spiritista, religiosa o magica si possanoottenere fenomeni esteriori uguali, ben diverso è sicuramente il raggiungibile livello diconoscenza e di dominio di sé nei tre casi.Papini prosegue: "Bisognava assolutamente scoprire il segreto: dovevo in tutti i modiimpadronirmene - o sparire...Partii solo per l'ultimo tentativo - col mio pazzo sogno nel cuore.Sarei disceso di nuovo dalla montagna vittorioso e tremendo come un Dio - o non sarei piùtornato". Tornò invece, ovviamente...sconfitto, nè altro ci si sarebbe potuto aspettare viste lepremesse.Si è molto discusso dei rapporti di Papini con membri del Gruppo di Ur. Quello con ArturoOnofri, del quale è testimonianza un carteggio (1916-1917), non sembra aver avuto influenza sugliavvenimenti di cui ci stiamo occupando: Papini era già uscito dal suo tentativo esoterico edOnofri non aveva ancora iniziato il suo itinerario magico. Più importante (anche se Papini non locita mai esplicitamente nella sua autobiografia) il rapporto con Arturo Reghini, che collaborò ades. al Leonardo. A tale amicizia accenna anche Evola, ad es. ne "Il Cammino del Cinabro".Sbaglierebbe però chi pensasse ad un iniziatico rapporto maestro-allievo. Non devonoingannare frasi del tipo: "Non potevo illudermi di far tutto da me, dal nulla. Dovevo rientrareanch'io, a dispetto del mio altezzoso spregio per il passato, in una qualche tradizione; affidarmiagli altrui insegnamenti, approfittare delle vecchie esperienze" (3). Mancava infatti un'effettivafiducia: "Mi iniziai, alla lontana, alla tesofia; tentai l'esperienze respiratorie raccomandate dalloyoga; chiesi insistentemente i segreti; mi offrii come discepolo. Non già ch'io avessi piena fedein quel guazzabuglio esoterico e simbolico dal quale, secondo loro, doveva sprizzar la luce...Deisistemi arruffati, delle cerimonie scimmiottate e delle formule meccanicamente ripetutesorridevo, ma in tutta quella massa d'insegnamenti e d'esperimenti che per diecine di secoliavevan occupato l'oriente e l'occidente, supponevo che qualcosa di solido dovesse puresserci"(4). Del resto le mire di Papini, dirette più al paranormale che al propriamente magico,

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dimostrano come l'influsso di Reghini su Papini non giunse, in ogni caso, in profondità(5).

(1) G.Papini, Un uomo finito, Firenze 1935, p. 27(2) Ibidem, p. 260(3) Ibidem, p. 258(4) Ibidem, p. 258(5) Fu la terza serie del Leonardo, che consta di 7 fascicoli dal febbraio 1906 all'agosto 1907, adavere una maggiore impronta esoterica. Papini fu attorniato per quasi un anno da una nuovacompagnia della quale facevano parte Roberto Assagioli, Aldo De Rinaldis e Arturo Reghini. Nell’articolo di congedo del Leonardo, intitolato "La fine", Papini scrisse: "Per tre volte abbiamoaccolto con noi uomini diversi e per tre volte abbiamo dovuto riconoscere la impossibilità dimescolanze. Il primo connubio è stato quello coi letterati e i pittori che finì subito, grazie allafondazione dell’effimero "Hermes"; il secondo è stato coi logici, coi matematici e gli analitici, iquali si sono resi intollerabili per la loro mancanza di tolleranza e per la loro incapacità dicomprendere il lato artistico e avventuroso della nostra opera; e il terzo con gli occultisti daiquali, fin dall’ultimo numero, ci siamo definitivamente staccati". [n.d.u.]

Pietro Negri: Penso non si possa concludere il discorso su Papini, senza almeno un riferimentoalla sua opera "Dante Vivo" (Firenze, 1933). Essa conferma tutti i limiti del pensiero di Papini.Dante è riguardato soprattutto dal punto di vista del "convertito" Papini, che è diventatomoralista, tanto da arrivare a giudicare Dante "crudele", per certi passi dell'Inferno (cap. XXVIII"Dante crudele"). Un’altra prova - secondo Papini - “che in Dante non v’è, sempre, una piena e sempre vigileaderenza all’insegnamento di Gesù è il giudizio ch’egli dà, nel Convivio, dei fanciulli” (cap. XXIX"Dante e i pargoli"). Ciò sarebbe connesso col fatto che, nel Vangelo, Gesù dice: “Lasciate che ifanciulli vengano a me, e non vogliate loro vietarlo, perché il regno di Dio è per quelli che a loroassomigliano. In verità, vi dico, chi non accoglie il regno di Dio come un fanciullo, non c’entrerà”.Dante, invece, afferma: “La maggiore parte de li uomini vivono secondo senso e non secondoragione, a guisa di pargoli (...). Tosto sono vaghi e tosto sono sazii, spesso sono lieti e spessotristi di lievi dilettazioni e tristizie, tosto amici e tosto nemici; ogni cosa fanno come pargoli,senza uso di ragione.” Tuttavia, Papini, alla fine, ammette che Dante fa anche dire a Beatrice(Parad., XXVII, 127-128):“Fede e innocenza son repertesolo ne’ parvoletti...”E' evidente che Papini ha dimenticato più o meno tutto l'insegnamento esoterico , che possamai aver ricevuto da A. Reghini o da altri. Come infatti non capire che una cosa è l'innocenzadei bimbi quale simbolo della necessaria catarsi iniziatica e un'altra cosa è riconoscere tutti ilimiti della loro ancora imperfetta capacità di ragionare? Come è ovvio aspettarsi, Papini nega che, salvo in due casi (il Veltro e il 515) nella DivinaCommedia vi siano "misteri" e perciò critica coloro che inclinano ad una interpretazioneesoterica di quell'opera (cap. XLIV "La pretesa oscurità"). Ma non si ricorda che Dante avevaindicato chiaramente che le sue opere, oltre ai primi tre significati (letterale, allegorico e morale)ne avevano anche un quarto anagogico?Eppure lui stesso è costretto a notare che, alla sua epoca, Dante era considerato un mago (cap.XXXVIII "Dante Mago"). In un punto solo traspare ancora una parte dell'insegnamento di Reghini, quando Papiniriconosce il valore "demiurgico" della Commedia dantesca, cioè come essa sia statavolutamente scritta con lo scopo di influenzare positivamente l'anima umana: "Da questaispirazione e da questa volontà nacque, nello spirito di Dante, la Divina Commedia, libro unico intutte le letterature appunto perchè non è soltanto un libro ma qualcosa più d'un libro, assai piùche un libro: uno dei tentativi più eroici che un uomo abbia mai fatto per rifare e salvare i suoisciagurati fratelli; per condurre i viventi, come il poeta stesso affermò, dallo stato di miseria allostato di felicità" (cap. XLII "Il poema demiurgico"). Se Papini avesse tenuto fermo ciò che hascritto in quel capitolo anche nello stendere gli altri capitoli, tutto il suo Dante sarebbe risultato

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un po' più "vivo". Invece Papini conclude che Dante "è, almeno in due casi un fallito. Prima ditutto come uomo politico...E si può dire fallito anche come uomo religioso" (cap XLVIII"Fallimenti"). Il "fallito" Papini trova dunque conforto nel dichiarare "fallito" Dante. Non si accorgePapini che la potenza "demiurgica" della Commedia, fattasi sentire per secoli, si fa sentireancora oggi in un imponente stuolo di appassionati e studiosi? Effimero è invece l'insegnamentodi Papini e di tutti coloro che si preoccupano più di "sembrare" e di "stupire" che di "essere",come direbbe Evola, in "spaventevole purità".

Sagittario: Si può anche dire che la Divina Commedia, analogamente a quel che si è detto inquesto Forum per l'Apocalisse, sia un libro magico, veicolo di una duplice magia: Se si considerano gli episodi narrati come situati nel "tempo sacro" è la descrizione di unitinerario interiore. Se si considerano, invece, situati all'epoca di Dante, allora le apparenti profezie sono altrettantisortilegi, atti al ripristino di un certo tipo di tradizione. Sortilegi che gli studiosi di Dante,consapevolmente o inconsapevolmente, alimentano e rinnovano, come una vera e propriaininterrotta catena di maghi, operante dall'epoca di Alighieri ad oggi.

EA: Per certi versi, l'atteggiamento del Papini successivo alla "conversione", nei confronti diDante, ha analogie con quello assunto, nell'opera "Dante e il simbolismo pitagorico", da Vinassade Regny (Firenze 1871-Cavi di Lavagna 1957). Questo autore è stato una sorta di "pitagoricocattolico" che, pur riconoscendo nell'opera dantesca un influsso pitagorico, ha negato che Dantesia stato un esoterista, ritenendo il suo pitagorismo perfettamente "ortodosso", giacchèaccettato e veicolato dagli stessi "Padri" della chiesa. L'atteggiamento di De Regny èsintomatico di quel che avveniva in certi ambienti di Firenze dagli Anni Venti in poi, ma che finìcon l'influenzare anche personalità non fiorentine, come ad es. Girolamo Comi e Guido deGiorgio.Scrive significativamente Aniceto Del Massa, in una pagina di diario del 31 Dicembre 1928: "E'opportuno attaccare, oggi, la Chiesa e il Cristianesimo? Non è più saggio aiutare l'opera dipurificazione e di palingenesi dei migliori che operano nel suo seno stesso? Oppure di aiutarequelle forze stesse che ne determino lo sgretolamento?"Agli ambienti filo-cattolici di cui stiamo parlando non era estraneo un personaggio a noi ben notoe cioè Alfonso del Guercio. Riguardo a lui, in una pag. di diario datata 7 Marzo 1930, scrive DelMassa: "Stamani con Del Guercio si è parlato un po' di nostre cose: Kremmerz non gli va troppo...Ma ho potuto facilmente dimostrare all'amico che alcune delle sue critiche erano inesistenti".Del Massa collaborò poco dopo, assieme a Del Guercio, alla rivista l'Universale di Berto Ricci.Come già sappiamo (vedi Quaderno "Nuovi dialoghi sull'Ermetsmo"), la soluzione di DelGuercio fu quella di "carpire" l'iniziatura miriamico-kremmerziana, per poi cercare di trasfonderlain un "ordine" cattolico detto Ordine del Mantos (quanti danni hai fatto Guenon!). Papini e DeRegny rinunciarono, invece, semplicemente all'esoterismo. Papini perchè si era "scottato" e DeRegny perchè, pur essendo uno studioso, non era mai stato un esoterista. Su una linea affinealla loro si pose poi Attilio Mordini, che collaborò all' "Ultima", rivista fondata da Papini. Il difettodi Papini (De Regny è un po' più signorile) fu quello di "gridare che l'uva era acerba, sol perchènon era riuscito ad afferrarla". Evola non gli poteva certo perdonare frasi come queste, che sipossono trovare nella parte iniziale de la "Storia di Cristo":"Si tentò allora di accozzare dei facsimili di religioni che avessero, meglio di quelle altre, ciò chegli uomini cercano nella religione. I Liberi Muratori, gli Spiritisti, i Teosofi, gli Occultisti, gliScientisti credettero di aver trovato il surrogato infallibile del Cristianesimo. Ma codesti guazzettidi superstizioni muffose e di cabalistica cariata, di simbolica scimmiante e di umanitarismoacetoso, codeste rattopature malfatte di buddhismo d'esportazione e di Cristianesimo tradito,contentarono qualche migliaio di donne a riposo, di bipedes asellos, di condensatori del vuoto efermi lì."Da che pulpito veniva la predica! visto che proprio Papini era del tutto incapace di fare undoveroso distinguo tra tutti i movimenti che pretendeva di giudicare così sommariamente. Comi, De Giorgio e Del Massa non ripudiarono mai l'esoterismo. Comi si limitò, dopo un certoperiodo, a non manifestarlo più pubblicamente e a rivalutare invece pubblicamente il

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Cattolicesimo. De Giorgio era per una Tradizione Romana che riconoscesse nel cattolicesimo lasua prosecuzione. Evola, come dimostra in "Maschera e Volto", avrebbe accettato unCattolicesimo, che, a sua volta, avesse apertamente riconosciuto l'esoterismo e tratto linfa daesso. Del Massa cercò di agire da "tessitore", di cucire quell'ordito tra le parti che Evola (senzaconvinzione quanto a realizzabilità) auspicava. Infatti, Del Massa continuò a parlarepacatamente di esoterismo e di magia, pur non negando alla linea dell'amico Papini un certosostegno. Onde, logicamente, alla morte di questi, il suo giudizio fu più lusinghiero di quello diEvola.Il risultato? tutti lo possono constatare: nessuno! Non è possibile rattoppare la tela traesoterismo ed exoterismo, quando quest'ultimo ha la pretesa di considerare eterodosso il primo.

Come hanno fatto la maggior parte degli altri membri del Gruppo di Ur, l'esoterista (anchequando è cristiano come Colazza, Onofri e Scaligero) deve... fregarsene e procedere tranquilloper la sua strada. E' l'exoterista che, quando avverte insoddisfacente la sua strada, deveaccostarsi all'esoterismo.

5) PAPINI ED EVOLA

EA: Si potrebbe inquadrare meglio il pensiero di Papini nell'ambito della corrente filosofica delpragmatismo. E' infatti apparentemente curioso che questo movimento di pensiero abbia potuto,da un lato, condurre al pensiero magico del "primo" Papini e dall'altro influenzare fortementepolitica, scienza, pedagogia etc. soprattutto nell'area anglosassone.

Occhi di Ifa: Traduco la parte iniziale di una recente intervista allo studioso belga RobertSteuckers, segretario generale dell'associazione culturale "Sinergie Europee" con sede aBruxelles. Steuckers ritiene (cosa che non condivido) che il pragmatismo filosofico, tramitePapini, abbia influenzato considerevolmente anche Evola.

Cinque domande a Robert Steuckers sulla "Nuova Destra"

Dichiarazioni raccolte da Marc Lüdders, presidente di Synergon-Deutschland

1. Nel corpus dottrinale e filosofico del pragmatismo americano, del bioregionalismo e delcomunitarismo, quali sono gli elementi che potrebbero risultare utili agli europei nonconformisti?

Robert Steuckers: Il termine "pragmatismo" deriva dal greco antico "pragma", che significa"azione". I filosofi che hanno teorizzato il pragmatismo americano sono stati principalmente due: Charles Sanders Peirce e William James. Peirce voleva -come la "nuova destra" franceseall'inizio del suo itinerario- richiamare l'attenzione dei filosofi sul fatto che si utilizzava un grandenumero di concetti filosofici impropriamente e che il suo utilizzo erroneo conduceva ad unavalanga di errori. La lingua filosofica doveva quindi essere sprovvista d'ambiguità, essere chiarae comprensibile. Non doveva essere sovraccaricata con alcun gergo. Contrariamente al suodiscepolo e compatriota James, Peirce ha continuato ad essere un "realista" nel senso filosoficodel termine, nel senso che accettava interamente la realtà generale. William James, erapiuttosto "nominalista" (da lui proviene, come vedremo in seguito, l'utilizzo del termine"nominalismo" da parte di Armin Mohler e, più tardi, da parte di Benoist; precisiamo qui, dopo le

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critiche cattoliche alla ND, che il "nominalismo" di Mohler, copiato maldestramente da Benoist,non è il nominalismo medioevale, ma quel complesso nominalismo ostile alle idee astratte -e,quindi, alle idee del 1789 e "dello stupido secolo XIX" - che deriva da James, e che avràinfluenza su Blondel, Sorel e Papini).

Blondel: una dottrina della conoscenza attiva

Per James, i fatti, gli eventi, i fenomeni e gli atti particolari sono le espressioni di una totalità, diuna realizzazione, che l'astratto non può mai personificare. James ha esercitato una forteinfluenza sui filosofi francesi Maurizio Blondel e Giorgio Sorel, come pure sullo scrittore italianoGiovanni Papini. James parlava "di una volontà di credere", più precisamente di crederenell'azione, nella nostra azione, nella nostra capacità di agire. Blondel che era cattolico, hafondato un movimento che ha chiamato "la scuola dell'azione" ed ha sviluppato, a livelloepistemologico, "una dottrina della conoscenza attiva". L'uomo deve credere nella sua forzad'azione (Tat-kraft) ed agire. Blondel ha sviluppato in profondità questa filosofia dell'azione edha abbandonato gradualmente il pragmatismo originale dei nordamericani; quest'ultimo è troppo"naturalista" e manca di impulso. L'azione, nella prospettiva di Sorel, è puramente politica erivoluzionaria, conseguenza logica della volontà rivoluzionaria del movimento socialista elavoratore. Tramite Sorel, il pragmatismo americano è riuscito a passare dal socialismo alfascismo mussoliniano, benché James, ad esempio, abbia continuato ad essere durante tutta lasua vita un coraggioso democratico americano. In conclusione, non si può fare un'eguaglianzatra pragmatismo e fascismo. Ma si può constatare, semplicemente, un'influenza di quello,suscitata da principio in Blondel e Sorel.

Del pragmatismo magico: da Papini a Evola

Tuttavia, Papini, oggi purtroppo assai poco conosciuto in Francia ed in Germania, ha datoun'interpretazione molto romantica della dottrina pragmatica dell'azione nella sua rivistaLeonardo. In Italia, la ricezione papiniana del pragmatismo americano ha condottoall'elaborazione del "pragmatismo magico", dove l'uomo pretende di esercitare la sua volontàsulle cose, come se fosse un dio creatore (demiurgico). Questo magismo - come ho mostrato,purtroppo molto fuggevolmente, nella mia relazione su Evola, durante il seminario di Vienna, inoccasione del centesimo anniversario della sua nascita (maggio 1998) - ha avuto un'influenzadecisiva su Julius Evola. E per ciò l'influenza del pragmatismo americano su Sorel ed Evola èstata infine esercitata, in modo indiretto, sulla "Nuova Destra", anche se questa filiazione non èmai stata oggetto di uno studio attento, cosa della quale mi rammarico vivamente. Purtroppo,oggi, le influenze di Blondel e Papini si ignorano completamente, cosa che fa spesso guardarealla "Nuova Destra" come ad un insufficiente e frammentario corpus dottrinale. Molti osservatoriestranei a questo ambiente della Nuova Destra cercano continuità e filiazioni che non trovano.Perché nessun lavoro, di natura "genealogica" o "archeologica", è stato effettuato in profonditàdalla ND sul suo corpus.

Ida La Regina: Gli scritti degli uomini politici danno spesso l'impressione di essere divagazionisu una realtà immaginaria, fatte da chi guardando le cose "dallo spiraglio di una porta" (lospiraglio della politica) non può cogliere che dettagli della realtà effettiva. L'intervista diSteuckers conferma questa impressione. In tutto ciò che dice, egli non coglie mai l'essenzadegli argomenti trattati. Cita invece dei dettagli non caratterizzanti, solo perchè evidentementeritiene che "tirino acqua al suo mulino".Ad es. su Pierce dice:

<Il termine "pragmatismo" deriva dal greco antico "pragma", che significa "azione". I filosofi chehanno teorizzato il pragmatismo americano sono stati principalmente due: Charles SandersPeirce e William James. Peirce voleva -come la "nuova destra" francese all'inizio del suo

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itinerario- richiamare l'attenzione dei filosofi sul fatto che si utilizzava un grande numero diconcetti filosofici impropriamente e che il suo utilizzo erroneo conduceva ad una valanga dierrori. La lingua filosofica doveva quindi essere sprovvista d'ambiguità, essere chiara ecomprensibile. Non doveva essere sovraccaricata con alcun gergo. Contrariamente al suodiscepolo e compatriota James, Peirce ha continuato ad essere un "realista" nel senso filosoficodel termine, nel senso che accettava interamente la realtà generale.>

Il Pragmatismo di Peirce non è certo caratterizzabile dal desiderio di un linguaggio filosoficochiaro e comprensibile, perchè tale desiderio si ritrova anche in moltissimi altri filosofi nonpragmatisti, ad es.(limitandoci ad alcuni dei più recenti) negli esponenti della "Filosofia Analitica"(scuola di Oxford) oppure in quelli del "Circolo di Vienna". Per gli stessi identici motivi, non èneppure caratterizzabile dal realismo: si può benissimo essere "realisti" e non seguaci delpragmatismo di Peirce.Il termine "pragmatismo" mette in rilievo, invece, la tesi fondamentale di Peirce secondo cui ilsignificato di qualsiasi idea è determinato dalla sua rilevanza pratica. Il concetto che lega lafilosofia di Peirce alla nascita del pragmatismo é quello di credenza, illustrato nei suoi saggi "Ilfissarsi della credenza" (1877) e "Come rendere chiare le nostre idee" (1878): quando l'uomo sitrova in dubbio, dà il via ad una 'ricerca', per mettere capo a una credenza, cioè ad un'abitudine(habit) di pensiero che va a costituire, nello stesso tempo, una regola d'azione . Il significatodella credenza risiede completamente nelle sue conseguenze pratiche, cioè nelle azioni cheessa comporta come regola di condotta: due credenze che portino alle medesime azioni sonoperciò uguali, anche se formulate in termini diversi. Più in generale, Peirce sostiene checomprendere un'idea significa comprendere le sue possibili conseguenze, i suoi possibilicorollari. Il termine "pragmatismo" venne introdotto, da Peirce stesso, nell'ambito del 'Club metafisico', ungruppo di scienziati e filosofi che si riunivano a Cambridge, attorno alla figura di ChaunceyWright, e di cui fece parte anche l'altro pragmatista ricordato da Steuckers e cioè W. James. L'assunto pragmatistico é considerato da Peirce esclusivamente come una 'teoria delsignificato', non come una 'teoria della verità'. Ovverosia, se le diverse conseguenze dellecredenze servono a distinguere i loro diversi significati, il fatto che una credenza si riveli piùefficace di altre, non implica che essa sia anche la più vera. Prendendo le distanze dallatendenza di altri pragmatisti a far coincidere l'efficacia con la verità, Peirce abbandoneràsuccessivamente il termine pragmatismo, sostituendolo con quello, come egli stesso dice,"abbastanza brutto da non essere rubato", di "pragmaticismo".Secondo Peirce, una credenza può essere "fissata" in virtù della «tenacia individuale» (cioèrifiutandosi di mettere in discussione le proprie idee), o «per autorità» (che consenta diescludere le altre opinioni), o «metafisicamente» (cioè con un 'metodo a priori" che proceda inbase al puro ragionamento); oppure può nascere dall'esperienza organizzata con il cosiddetto«metodo scientifico». Se dal punto di vista dell'efficacia tutti questi metodi sono validi,considerando le cose dal punto di vista della verità, il metodo scientifico è quello da seguirsi,dato che esso consente, tramite un processo di progressiva autocorrezione, un gradualeavvicinamento alla verità. Fissata con metodo scientifico, la credenza è «chiara» se risultanochiari gli effetti pratici che può produrre: la chiarezza non é pertanto il presupposto della ricerca,ma il risultato di essa. La chiarezza per Peirce non deriva dunque, come crede ingenuamenteSteuckers, da una semplicistica eliminazione del gergo filosofico, ma è il risultato progressivodel metodo scientifico.

Sadescan: Anch'io, leggendo il brano tratto dall'intervista di Steuckers, ho avuto l'impressionedi una visione "di scorcio", avente come finalità quella di regalare improbabili (anzi impossibili)antecedenti al pensiero di Evola, che vanno invece cercati altrove: nel solco del pensierotradizionale. Concordo con quanto dice Ida nei riguardi di Peirce e vorrei ora esaminare più indettaglio ciò che Steuckers dice di W. James. Egli, afferma:

<William James, era piuttosto "nominalista" (da lui proviene, come vedremo in seguito, l'utilizzo

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del termine "nominalismo" da parte di Armin Mohler e, più tardi, da parte di Benoist; precisiamoqui, dopo le critiche cattoliche alla ND, che il "nominalismo" di Mohler, copiato maldestramenteda Benoist, non è il nominalismo medioevale, ma quel complesso nominalismo ostile alle ideeastratte -e, quindi, alle idee del 1789 e "dello stupido secolo XIX" - che deriva da James, e cheavrà influenza su Blondel, Sorel e Papini). Per James, i fatti, gli eventi, i fenomeni e gli attiparticolari sono le espressioni di una totalità, di una realizzazione, che l'astratto non può maipersonificare.>

La prima cosa da notare è che Steuckers sbaglia sicuramente nel voler fare di W. James unasorta di "padre del nominalismo moderno", giacchè il nominalismo moderno è nato assai prima,con Hobbes, Hume e soprattutto con Berkeley, il quale ha insistito sull'inesistenza, non solonella realtà ma soprattutto nella mente dell'uomo, di idee generali astratte. Secondo Berkeley,l'uomo possiede soltanto delle idee particolari, alle quali però attribuisce dei nomi comuni.Ebbene, Papini conosceva benissimo il pensiero di Berkeley, tanto da diventare il traduttore dialcuni suoi testi(1) e perciò non aveva bisogno di attingere il suo nominalismo da James.

(1) - Berkeley George. Trattato dei principi della conoscenza umana. Traduzione di G. Papini. Bari,Laterza, 1909 - Berkeley Giorgio. Principi della Conoscenza e Dialoghi tra Hilas e Filonous. Tradotto da G.Papini. Bari, Laterza, 1925 .

Cerchiamo allora di vedere quale può essere stato l'effettivo influsso di James su Papini e qualeinvece (cosa che Steuckers trascura) l'influsso inverso di Papini su James.L’elaborazione delle tematiche filosofiche fu preceduta, nell'attività di James, da approfonditi esistematici studi sulla psicologia, espressi soprattutto nei "Principi di psicologia", apparsi nel1890. In essi l'autore sostiene, in particolare, che la mente umana non è una "sostanza", non hala natura di una "cosa" stabile e determinata, ma si presenta essenzialmente come attività.Fu a partire dal 1896 che James fece esplicitamente suo l'orientamento pragmatista, espressonell'opera "La volontà di credere" (1897). Tale volontà consiste nell’accettare di credere aun’ipotesi non suffragata dai fatti, purché essa sia di vitale importanza per l’individuo che viaderisce. Viene in tal modo giustificata, secondo James, ad es. l’accettazione di un credoreligioso. Sicuramente resta, ed è ineliminabile, un margine di rischio (secondo quantoriconobbe Pascal) ma la volontà è pur sempre in grado di contribuire, in qualche misura, arender vero ciò in cui stabilisce di credere, suscitando almeno in parte le condizioni chepossono soddisfare la sua ipotesi. In questo senso, la fede religiosa si giustifica per le valideconseguenze che essa produce sul piano sociale e su quello morale. A questa prospettiva diun pragmatismo "magico-fideistico" aderì appunto G. Papini nel periodo del Leonardo.La differenza tra la posizione di James e quella di Peirce venne così espressa, da Jamesstesso, nell'articolo "The Pragmatic Method" (Journal of Philosophy, Psycology and ScientificMethods, 8 Dic. 1904):"Per parte mia , penso che si dovrebbe esprimerlo [il principio pragmatista] in maniera più ampiache non faccia Peirce. Per noi la testimonianza definitiva di ciò che significa la verità è proprio lacondotta ch'essa ci detta e ci ispira. Ma essa ci ispira questa condotta perchè prima ci predicequalche particolare cambiamento nella nostra esperienza che precisamente richiede quel datogenere di condotta da noi. E io preferirei esprimere il pensiero di Peirce dicendo che l'effettivosignificato di ogni proposizione filosofica può essere sempre ridotto a qualche conseguenzaparticolare, nella nostra futura esperienza pratica, sia attiva o passiva; l'importante sta più nelfatto che l'esperienza debba essere particolare che nel fatto che essa debba essere attiva".Fu in occasione del V Congresso Internazionale di Psicologia, tenutosi a Roma nell'Aprile del1905, che James conobbe i pragmatisti italiani (Papini, Vailati, Calderoni, Amendola etc.), comesi evince da una lettera a sua moglie, spedita in quel periodo dall'Italia. Circa un anno dopo (7Aprile 1906) James, entusiasta, scriveva ad un altro filososofo pragmatista e cioè F.C.S.Schiller, definendo Papini "un gioiello" che si era messo alla testa di tutti i filosofi pragmatisti: " Papini is a jewel. To think of a little Dago putting himself ahead of every one of us (even of

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you, with his Uomo-Dio) at a single stride".Sempre nel 1906, James confermò il suo lusinghiero giudizio in una lettera privata a Papini del27 aprile 1906 (riportata in Giovanni Papini l'uomo impossibile, a cura di Paolo Bagnoli, Firenze,Sansoni, 1982, pagg. 10-11). In essa, lo definisce "suo maestro" e "vero genio":"My dear friend and master,Papini,I have just been reading your Crepuscolo dei Filosofi, and the February number of Leonardo,and great is the resultant fortification of my soul. What a thing is genius! and you are a realgenius! Here have I, with my intellectual timidity and conscientiousness, been trying to clear afew steps of the pathway that leads to the systematized new Weltanschauung, and you with apair of bold strides, get out in a moment beyond the pathway altogether into the freedom of thewhole system, into the open country. It is your temper of carelessness, quite as much as yourparticular formulas, that has had such an emancipating effect on my intelligence".L'accurato studio di James del pensiero di Papini venne espresso nell'articolo "Papini and thePragmatist Movement in Italy" (pubblicato sul Journal of Philosophy, Psycology and ScientificMethods nel 1906), nel quale si dice tra l'altro:"Lo scorso anno, in un articolo del Leonardo, stabilisce molto acutamente l'intera portata e ilprogramma pragmatista. Fondamentalmente, egli dice, il pragmatismo significa il non irrigidirsidi tutte le nostre teorie e credenze, occupandosi del loro valore strumentale. Il pragmatismoincorpora e armonizza varie antiche tendenze come:1. Nominalismo, con il quale egli intende "l'appello al particolare". Il Pragmatismo ènominalistico non solo riguardo alle parole, ma riguardo alle frasi e alle teorie.2. Utilitarismo, o enfatizzazione degli aspetti e problemi pratici.3. Positivismo, con il disprezzo delle questioni verbali e inutili.4. Kantismo, perchè Kant afferma il primato della ragion pratica.5. Volontarismo, nel senso psicologico, quello della secondaria posizione dell'intelletto.6. Fideismo, nella sua attitudine verso le questioni religiose".

Proprio a Papini James si ispirò nella sua nuova opera "Pragmatismo" (1907), che reca ilsignificativo sottotitolo "Nome nuovo per vecchi modi di pensare". In essa dice ad es. : "Il pragmatismo non cristallizza le nostre teorie, dà loro un valore di guida e le mette allaprova.Va d'accordo, per esempio, con il nominalismo per il continuo richiamo agli individuiparticolari, con l'utilitarismo per il rilievo dato agli aspetti pratici, con il positivismo per il suodisprezzo delle soluzioni verbali, delle questioni inutili e delle astrazioni metafisiche".

Tuttavia, il problema se James sia stato rigidamente e per sempre un nominalista è daconsiderarsi ancora aperto. Infatti egli, trattando della filosofia di Alexander Bain, afferma anche:"Il difetto che troviamo in lui è la sua frammentarietà e la conseguente incoerenza. Laframmentarietà, la disponibilità a definire qualcosa soltanto quando se ne scorge l'esigenza delmomento, è diventata una tale tradizione nella storia della mente britannica che i filosofi che,come Spencer, sono completamente sistematici sono visti poi con sospetto e disapprovazioneda molte menti anglosassoni. Questa posizione estrema è certamente scorretta, poichè il veroimpulso che definisce il filosofo in quanto tale è quello di cercare di ottenere una completezzacoerente; e ogni forte tentativo di elevare un forte sistema di pensiero possiede uno stileintellettuale che è, considerato da un punto di vista estetico, per non dire del resto, molto piùnobile del materiale buttato giù goffamente da Bain". (W. James, "The Emotion and the Will, byAlexander Bain, and Essais de critique gènèrale, by Charles Renouvier" contenuto in W.James, "Essays, Comments and Reviews", Cambridge 1987, p. 322). Interessa anche notare che James attribuisce proprio alla sistematicità del pensiero diRenouvier il merito di avere affrontato in maniera più corretta il tema della libertà. (Cfr. ivi, p.323). Inoltre, Renouvier si dimostrerebbe superiore all'empirismo inglese, incarnato in questosaggio dalla figura di Alexander Bain, anche per la sua capacità di superare la frammentazionedel nominalismo incapace di 'ricomporre' il mondo dopo averlo separato nelle sue parti: "La polemica di Renouvier contro le nozioni metafisiche di sostanza, di infinito e delle ideeastratte ci sembra essere molto più potente di quanto scritto in inglese sull'argomento: ma egli

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differisce dai suoi colleghi [nominalisti] inglesi dando un grande risalto alle leggi che governano ifenomeni oltre che ai fenomeni stessi". (Ivi, p. 313). Questo brano dovrebbe fare riflettere sulla possibilità che la posizione filosofica di James nonsia facilmente classificabile come nominalistica in senso stretto; a questo proposito R. B. Perrydice:"James non fu mai (nonostante le critiche di Peirce) un ferreo nominalista. Egli mostrò infatti cheLocke, riconoscendo il potere della mente di formarsi idee generali, era un realista, piuttosto cheun nominalista. Egli stesso andò oltre Locke nella sua enfasi sulle idee generali, fino adabbracciare una prospettiva realistica, come quando in un seguente periodo parlerà dei concetticome di 'realtà di un nuovo ordine' ". (R. B. Perry, "The Thought and Charachter of WilliamJames", 2 voll., Little, Brown & Co., Boston 1935., p. 547).

EA: Steuckers conclude:<Tuttavia, Papini, oggi purtroppo assai poco conosciuto in Francia ed in Germania, ha datoun'interpretazione molto romantica della dottrina pragmatica dell'azione nella sua rivistaLeonardo. In Italia, la ricezione papiniana del pragmatismo americano ha condottoall'elaborazione del "pragmatismo magico", dove l'uomo pretende di esercitare la sua volontàsulle cose, come se fosse un dio creatore (demiurgico). Questo magismo - come ho mostrato,purtroppo molto fuggevolmente, nella mia relazione su Evola, durante il seminario di Vienna, inoccasione del centesimo anniversario della sua nascita (maggio 1998) - ha avuto un'influenzadecisiva su Julius Evola. E per ciò l'influenza del pragmatismo americano su Sorel ed Evola èstata infine esercitata, in modo indiretto, sulla "Nuova Destra", anche se questa filiazione non èmai stata oggetto di uno studio attento, cosa della quale mi rammarico vivamente. Purtroppo,oggi, le influenze di Blondel e Papini si ignorano completamente, cosa che fa spesso guardarealla "Nuova Destra" come ad un insufficiente e frammentario corpus dottrinale. Molti osservatoriestranei a questo ambiente della Nuova Destra cercano continuità e filiazioni che non trovano.Perché nessun lavoro, di natura "genealogica" o "archeologica", è stato effettuato in profonditàdalla ND sul suo corpus>.

In sintesi, egli afferma che il magismo papiniano avrebbe avuto una influenza decisiva suJ.Evola e che pertanto il pensiero di Evola sarebbe stato, sia pure indirettamente, influenzatodal pragmatismo americano. Come vedremo tra poco, riproponendo il saggio "Superamentodell'Attivismo", Evola respingeva il pragmatismo e le correnti filosofiche affini. Steuckers, perciò,da un lato dice di rifarsi ad Evola, dall'altro lato lo contraddice apertamente. Cerchiamo dunquedi appurare se sia Evola ad aver ragione nei riguardi di sé stesso o se sia invece Steuckers ad"essere più realista del re". Come si può notare, Steuckers non fa che rammaricarsi di non aver potuto trattare chefuggevolmente dell'argomento e che, più in generale, non vi siano studi sull'argomento. Il suorammarico nasconde la realtà e cioè che non vi è prova alcuna di quanto asserisce ed è perquesto che, ovviamente, non possono esistere studi a favore della sua tesi.Infatti, se è vero che l'aspetto "fideistico" del pragmatismo giunse a Papini da W.James, èaltresì vero che, come dimostra la lettera di James a Schiller (riportata da Sadescan) il concettodi Uomo-Dio e perciò l'aspetto propriamente magico del pragmatismo giunse, al contrario, aJames da Papini. In “Cronaca Pragmatista” (1) Papini ammise l'esistenza di contrasti all’interno del gruppopragmatista "tanto sui limiti del Pragmatismo come sulla funzione di esso" e mise se stesso fracoloro che "nel Pragmatismo vedono il lato eccitante, creativo e magico […] il trionfodell’attitudine attiva e modificatrice sopra quella passiva e registratrice; il promettitore dell’UomoDio". Come già sappiamo, nell'altro articolo del medesimo numero del Leonardo, "Dall'uomo aDio", lo scrittore fiorentino parlò della formula uomo-Dio, dell’itinerario per realizzarla e deipossibili risultati. William James, pur entusiasta di una simile concezione, pronosticò a Papini:"You will be accused of extravagance, and correctly accused; you will be called the Cyrano deBergerac of Pragmatism, etc.; but the abstract program of it must be sketched extravagantly.‘Correctness’ is one of the standards of the older way of philosophizing"(2). Il filosofo americano,inoltre, avvisò Papini di non aspettarsi troppo dai fenomeni paranormali: "I myself suspect that

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you are hoping too much from telepathy, mediumship, etc.; but no matter, we can all gatherfrom you the example of courage".(3)

(1) G. Papini, “Cronaca Pragmatista” in Leonardo, 1906, IV, febbraio, p. 60.(2) Lettera di William James a Papini, 27 aprile 1906, in Aa.Vv., Giovanni Papini l’uomoimpossibile, Sansoni, Firenze 1982, p. 11.(3) Ibidem.

Non derivandogli da James, da chi aveva assimilato Papini l'atteggiamento magico? I suoi studie i suoi contatti, come si sa, furono molteplici, tuttavia egli stesso ci offre una risposta precisa aquesta domanda. Nel 28 Luglio del 1946 (ricevendo notizia della morte di A.Reghini) cosìscrisse nel suo diario: "Conoscevo il Reghini da una quarantina d'anni. Era insieme matematico eccellente e occultistadogmatico e convinto. Aveva dimostrato, pare, un teorema che nessun matematico, prima di lui,era riuscito a dimostrare; preparava un'opera su Pitagora. Aveva tradotto l'opera di Agrippasulla magia, con una dotta introduzione, e aveva diretto riviste di scienze ermetiche. Era l'unicomago rispettabile ch'io abbia mai incontrato".

A. Reghini G. Papini

E' dunque evidente che l'unica visione magica rispettabile era, perfino per il Papini ormai"convertito", quella di Arturo Reghini.Reghini iniziò la sua collaborazione al Leonardo proprio a partire da quel primo fatidico numerodel 1906, con l'intervento "Giordano Bruno smentisce Rastignac". La collaborazione continuònegli anni 1906 e 1907. Un suo intervento si ebbe anche in una successiva rivista diretta daPapini, "Lacerba", e precisamente nel numero 19° del 20 settembre 1914, in cui la redazione,firmandosi Lacerba, si schierò per l'intervento in guerra.Nell'archivio della Fondazione Primo Conti (a Fiesole) che contiene, tra gli altri, il ricchissimoarchivio di Papini, sono conservate alcune lettere di Reghini. In una si trova ad es. la frase.:"Caro Papini, oggi sono un po' stanco perché questa notte ho avuto dei violenti attacchi astrali".Perciò non erano solo discorsi teorici quelli che intercorrevano tra Reghini e Papini.Si deve concludere che se, come sostiene Steuckers, il "magismo" di Evola deriva veramenteda quello di Papini, esso deriva indirettamente da Reghini e certo non da James.Ma Evola subì effettivamente l'influsso del pensiero di Papini?Sembra proprio di no. Non solo non aveva eccessiva simpatia per il pragmatismo ma, quandovolle mettere in forma filosofica ciò che aveva appreso in ambito esoterico, usò come strumentol'idealismo e non il pragmatismo. Può essere che a fargli scegliere il termine "idealismo magico"

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sia stata la lettura dell'omonimo testo di Novalis, apparso (sempre nel I n° del 1906) sulLeonardo, nella traduzione dal tedesco di Giuseppe Prezzolini. Ma il testo di Novalis è, comeindica il titolo, idealista e non pragmatista.Evola non cita mai Papini, nè nei "Saggi sull'Idealismo magico", nè in "Teoria e Fenomenologiadell'Individuo Assoluto". Piuttosto cita direttamente, ma raramente, James. La citazione piùinteressante si trova nei "Saggi sull'Idealismo magico" (p.72 nota 1, ediz. Atanor 1925) ove, nelprecisare i rapporti tra l'idealismo magico e l'empirismo (di James era uscito postumo nel 1912 "Saggi sull'empirismo radicale", termine con il quale denominò l'ultima versione della suafilosofia), Evola dice:"E' dunque chiaro il rapporto della presente teoria con l'empirismo: come questo, esso negaogni conoscenza a priori, ogni necessità razionale e si rimette all'esperienza. Essa afferma che'il criterio del possibile è il reale, il fatto'. Ma per l'empirismo la remissione all'esperienza è'passiva', l'esperimento vale per esso come una sanzione da parte di altro che non la centralevolontà; invece nella presente veduta l'esperienza è 'attiva' e la 'verificazione' non è chel'affermazione di potenza, v. d. l'affermazione che 'in se stessa', nella propria intensità, ha ilprincipio della propria dimostrazione e verità. Cf. W. James, 'The Will to believe', Longmans,1897, p.170: 'The truths cannot become true till our faith has made them so'."Evola cita dunque James quale esempio di empirista nel quale si è affacciata l'esigenza di unatteggiamento più attivo nei confronti dell'esperienza, senza però riconoscere minimamentealcuna filiazione del suo pensiero nei confronti di quello del filosofo americano.

Cosa ne pensasse effettivamente Evola del Pragmatismo e di analoghe correnti filosofiche saràevidente a tutti, leggendo il saggio "Superamento dell'Attivismo", apparso sul quotidianocremonese "Il regime fascista" del 18 gennaio 1933.

Julius Evola

Superamento dell'Attivismo

E' un fatto difficilmente contestabile, che l'attivismo costituisca la parola d'ordine dell'ultimaciviltà. L'esaltazione e la pratica dell'azione, quindi di tutto ciò che è sforzo, slancio, lotta,divenire, trasformazione, perenne ricerca, inesausto movimento, si vede affiorare da ogni dove.E non solo noi oggi abbiamo il trionfo dell'azione, ma abbiamo anche una filosofia sui generis alservigio di essa, che con una critica sistematica e con un forte apparecchio speculativo volge acrearsi alibi d'ogni genere e a gittare a piene mani il disprezzo sui valori proprii a ogni diversopunto di vista. Così, nelle cose l'occhio del moderno si abitua a trascurare sempre più l'aspetto"essere" per affissarsi invece sull'aspetto "divenire", "sviluppo", "storia": "storicismo" e"divenirismo" vanno a battere il ritmo all' "attivismo" e noi vediamo che nelle stesse scienze iprincipii che ieri si ritenevano immutabilmente validi e intrinsecamente evidenti oggi vengonoconsiderati come assunzioni ipotetiche da controllarsi in funzione del divenire della conoscenzascientifica; noi vediamo che nelle stesse religioni un'esegesi di tipo nuovo non tiene nessunconto delle pretese di assolutezza e di trascendenza che i dogmi e le "rivelazioni" presentavanoe tende a non vedere in tutto ciò che dei momenti di un divenire, di una storia immanente

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dell'aspirazione religiosa, non esitando, su questa base, a procedere alle umanizzazioni piùcontaminatrici. In filosofia la cosa è ancora più evidente. Pragmatismo, volontarismo, attualismo,ecc., sono correnti che, sia pure in forma varia, convergono tutte in un unico motivo il quale nonfa che tradurre in sede speculativa il motivo stesso della vita immediata d'oggi, il suo tumulto, lasua febbre di velocità, la sua meccanizzazione volta a contrarre ogni intervallo di spazio e ditempo, il suo ritmo congestivo e privo di respiro che nei popoli anglosassoni e soprattuttoamericani giunge poi al suo limite. Qui il tema attivistico perviene realmente a un acmeparossistico e quasi diremmo pandemico, assorbe la totalità della vita secondo un'accelerazioneche sembra non conoscere più freno, mentre gli orizzonti si riducono sempre più sensibilmentea quello buio e impuro di realizzazioni affatto temporali e contingenti, dove la demonìa delcollettivo si fa onnipotente su esseri privi di ogni sostegno tradizionale, tetanizzati da unairrequietudine che oltrepassa tutti i limiti, dominati da forze scatenate sotto molti aspettisubpersonali e prive di volto che li sospingono verso l' "ideale animale" di una nuova civiltàarimànica. Per tale via, le cose sono giunte a un punto tale, che per coloro, i quali non sonoancora del tutto dimentichi di quelle antiche tradizioni, che fecero la nostra vera nobiltàspirituale, l'arrestarsi e il rendersi un conto preciso della situazione col riportarsi a un punto divista più alto si impone. E in realtà è possibile muovere una critica e una reazione control'accennato orientamento del mondo moderno non in nome della stasi o dell'astrazioneintellettualistica o estetizzante, bensì proprio in nome della stessa azione: mostrando che ilmondo moderno, in fondo, di ciò che sia veramente azione non sa quasi più nulla - quel cheesso esalta, è soltanto una forma inferiore d'azione - e che appunto in ciò stanno la deviazionee il pericolo. In realtà, vi è azione e azione; vi è un attivismo sano e un attivismo che èsemplicemente febbre, esaltazione, vertigine senza centro, tanto che, lungi dal testimoniare unaforza, come volgarmente si crede, esso indica soltanto un'impotenza e un'incapacità. Oggi,sotto specie delle varie filosofie della "vita", del "divenire" e dell' "irrazionale", è appunto diquesta seconda specie di attivismo che trattasi; e per questo occorre che il ritorno a una più altaconcezione dell'azione ristabilisca l'equilibrio e arresti un processo, le cui deleterie conseguenzeson già fin troppo visibili. Noi abbiamo perduto il senso di ciò che nelle nostre tradizioniclassiche significava spiritualmente l'opposizione fra mondo "naturale" e mondo "intelligibile". Ilmovimento - in tali dottrine - era considerato come il principio delle cose di natura inferiore, peròil movimento come la "perenne fuga delle cose che sono e non sono" (Plotino), come impotenzaa compiersi e a possedersi in una legge e in un limite, a realizzarsi come atto perfetto. L'altromondo - il "mondo intelligibile" - non era il mondo della non azione, ma era invece quellodell'azione perfetta, quello di un azione che si differenziava dal modo proprio alla "natura" inquanto era priva di desiderio e sufficiente a sè stessa: in quanto azione assoluta, avente in sèstessa il proprio oggetto e il proprio principio. Un ideale sovrannaturale, aristocratico dell'azionefaceva dunque da anima a tale visione antimoderna: né a essa soltanto. Chi prendesse contattocon alcuni insegnamenti tradizionali dell'Oriente ariano si stupirebbe forse dinanziall'affermazione, che tutto ciò che è movimento, attività, divenire, cangiamento, è proprio a unprincipio passivo e feminile, mentre al principio virile e "solare" vien riferita l'immobilità,l'immutabilità, la fissità. E così non si renderebbe nemmeno troppo conto di che cosa possasignificare l'altra affermazione, che "il Saggio discerne la non-azione nell'azione e l'azione nellanon-azione". In ciò non si esprime affatto un quietismo, ma appunto la stessa consapevolezzadi un ideale superiore, aristocratico dell'attività, rispetto al quale l'azione comune diviene quasiun non-agire. E' l'idea che in termini metafisico-teologici si ritrova poi nella stessa dottrinaaristotelica del motore immobile. Chi è causa e signore effettivo del moto, non si muove eglistesso. Egli suscita e dirige il moto, desta l'azione ma, egli, non agisce, nel senso che non è"trasportato", non è preso dall azione, non è azione, bensì una superiorità calmissima,impassibile e imperativa, da cui l'azione procede e dipende. Ecco perché‚ il suo comandopossente e invisibile si è potuto chiamare un "agire-senza-agire". Dinanzi a questo ideale diazione dominata, chi agisce preso dallo slancio, dalla passione, dall'immedesimazione, daldesiderio, dall'inquieto bisogno non agisce veramente, ma è un agito. Per quanto paradossalepossa sembrare questa espressione, il suo è un agire passivo. Ecco perché, rispetto al mondotrascendente, superiore, regalmente freddo, puramente determinativo, "immobile" dei "Signoridel moto" lo si assomiglia appunto a femina: egli si muove, fa, crea, corre ma la ragione, la

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causa assoluta della sua azione cade fuori di lui. Orbene, una volta compreso questo idealetradizionale dell'azione e della non-azione, se si esamina il senso proprio alle dottrineattivistiche, diveniristiche, bergsoniane, ecc. in voga al giorno d oggi, di massima ci troviamodinanzi precisamente a questa forma inferiore e passiva di azione: ciò che oggi si esalta, è unoslancio cieco e istintivo, onde si va senza sapere perché si vada, senza avere potere di esserediversamente da quel che si è, di dominarsi, di crearsi in sè stessi un centro, un limite, una luce,una ragione assoluta. E' l'agire per agire, come una spontaneità e "élan vital", come necessitàimmediata e mai risolvibile - quand'anche il tutto non si riduca a una volontà più o menoconsapevole di stordirsi e di distrarsi, a un'agitazione e a un rumore che tradisce la paura per ilsilenzio, per il distacco interno, per l'assoluto essere degli individui superiori - mentre dall'altraparte essa sostiene e fomenta in ogni modo la rivoluzione dell'uomo contro l'eterno. Per quantonecessariamente tronche, queste considerazioni bastano per dare il senso del punto centrale diriferimento. Al tumulto della vita moderna, alla molteplicità scatenata delle forze e delle passioniche essa ha evocate sia nell'ordine della società che in quello stesso della natura su cui,attraverso la tecnica, l'uomo oggi fa sempre più profonda presa, dovrebbero corrispondere forzedi centralità: di ascesi, di comando, di assoluto dominio spirituale, di assoluta individualità e diassoluta visione - forze che oggi meno che in qualsiasi altro tempo ci è dato di constatared'intorno. E questo difetto è vano sperare che possa essere veramente rimosso, quando sicontinui a ridurre l'azione all'unico tipo dell azione materiale e "passiva", spinta dall'esterno evolta verso l'esterno; quando non si veda altro che essa e si ritenga che l'azione interiore,l'azione segreta che non crea più macchine, banche e società, ma uomini, asceti e guerrieri,esseri superbi dominatori delle proprie anime, svincolati da ogni sete, liberati, non sia azione marinuncia, astrazione, perditempo. Finché tale sia il criterio non c'è da aspettarsi che una semprepiù alta vertigine sempre più lontana da qualsiasi centro e a qualsiasi controllo che non siaquello della reciproca dipendenza di parti di un mostruoso ingranaggio lanciato a vuoto, senzanessuno che possa più nulla. Se nella sua febbre di correre, di andare sempre più in là comedegli assetati o degli inseguiti il mondo moderno non realizza che le estreme conseguenze delromanticismo, ciò che di nuovo potrà stabilire un equilibrio e non estinguere, ma integrare,centralizzare, rendere maschia, solare e attiva l'azione, non può essere che una rievocazione diquel che, in senso lato, si può chiamare l'esperienza classica: amore del cosmos contro il caos;della forma contro l'informe, dell'ethos contro il pathos, della chiarità contro la penombra, deldistinto e del "dorico" contro il promiscuo, l'inquieto e il senza limite. L'ideale di un nuovoclassicismo dell'azione e del dominio, animato da nuovi contatti col supertemporale, preparatodai valori di un ascesi virile e di una superiorità aristocratica al semplice "vivere", è ciò che oggici occorre. Esso varrà a creare lentamente centri, qualità e individualità nuove - nuove peressere "tradizionali" nel senso più profondo e vivo del termine - dinanzi a cui, per una leggenaturale irresistibile, non potranno non piegarsi e non subordinarsi in un migliore futuro le forzesenza centro, senza persona e senza luce emerse attraverso il mito dell'azione nei tempi ultimi.