G. Papini - Un uomo Finito, 1922.pdf

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Il capolavoro di Papini

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  • un uomo finito

  • Opere di GIOVANNI RAPINI

    STORIA DI CRISTO h 70' migliaio.

    FINZIONE

    TRAGICO QUOTIDIANO 1906; 1913; 1918; 1920.PILOTA CIECO 1907; 1913; 1918; 1920.UN UOMO FINITO 1912; 1915; 1917; 1918; 1919; 1920; 1922.BUFFONATE 1914; 1918; 1919; 1922.

    LIRICACENTO PAGINE DI POESIA 1915; 1918; 1920.OPERA PRIMA 1917; 1918; 1921.GIORNI DI FESTA 1918; 1920.

    TEORIACREPUSCOLO DEI FILOSOFI 1 906 ; 1 9 1 4 ; 1 9 1 9 ; 1 92 1

    .

    ALTRA META 1912; 1916; 1918; 1922.PRAGMATISMO 1913; 1920.

    POLEMICA24 CERVELLI 1912; 1915; 1917; 1918.STRONCATURE 1916; 1917; 1917'; 1918; 1920.MASCHILIT 1915; 1918; 1921.ESPERIENZA FUTURISTA 1919.POLEMICHE RELIGIOSE 1918.LA PAGA DEL SABATO 1915.L'UOMO CARDUCCI 1918; 1918; 1919.TESTIMONIANZE 1918; 1919.FUROPA OCCIDENTALE 1918.CHIUDIAMO LE SCUOLE 1919.

  • "Ln^a

    un uomo finitoDI

    GIOVANNI PAPINI

    UNDICESIMA EDIZIONE

    VALLECCHI EDITORE FIRENZE

  • PROPRIET LETTERARIA

    Firenza, 1922 - Subilimenti Grafici A. Vallecchi: Via Ricasoli 8, Via S. Zanobi 64

  • Tu non se' mortai ma se' ismarrita

    Anima nostra, che s ti lamenti

    Dante

  • andante

    Visse tutta sua et solo e selvaggio.

    Ariosto,.

  • I.

    Un mezzo titratto*

    ^.

    Io non son mai stato bambino. Non ho avuto fan-ciullezza.

    Calde e bionde giornate di ebbrezza puerile ; lun-ghe serenit dell' innocenza ; sorprese della scoperta quo-tidiana dell' universo : che son mai ? Non le conosco onon le rammento. L' ho sapute dai libri, dopo ; le in-dovino, ora, nei ragazzi che vedo ; 1' ho sentite e pro-vate per la prima volta in me, passati i vent'anni, inqualche attimo felice di armistizio o di abbandono.Fanciullezza amore, letizia, spensieratezza ed io mivedo nel passato, sempre, separato, meditante.

    Fin da ragazzo mi son sentito tremendamente soloe diverso n so il perch. Forse perch i miei eranpoveri o perch non ero nato come gli altri ? Non so :ricordo soltanto che una zia giovane mi dette il sopran-nome di vecchio a sei o sett'anni e che tutti i parenti

    l'accettarono. E difatti me ne stavo il pi del temposerio e accigliato : discorrevo pochissimo, anche coglialtri ragazzi ; i complimenti mi davan noia ; i gestiimi facevan dispetto ; e al chiasso sfrenato dei compa-gni dell' et pi bella preferivo la solitudine dei can-

  • A

    lucci pi riparati della nostra casa piccina, povera ebuia. Ero, insomma, quel che le signore col cappellochiamano un bambino scontroso e le donne in ca-pelli un rospo .

    Avevan ragione : dovevo essere, ed ero, tremen-damente antipatico a tutti. E mi ricordo che sentivobenissimo intorno a me questa antipatia la quale mifaceva pi timido, pi malinconico, pi imbronciatoche mai.

    Quando mi ritrovavo per caso con altri ragazzi nonentravo quasi mai nei loro giochi. Mi piaceva star daparte a guardarli coi miei occhi verdi e seri di giudicee di nemico. Non per invidia : era piuttosto disprezzoquel che sentivo dentro in quei momenti. Fin da queltempo incominci la guerra fra me e gli uomini. Io lisfuggivo e loro mi trascuravano ; non li amavo e miodiavano. Fuori, nei giardini, chi mi scacciava e chimi rideva dietro ; a scuola mi tiravano i riccioli o miaccusavano ai maestri ; in campagna, . anche in villadal nonno, i ragazzi dei contadini mi tiravan le sassate,senza che avessi fatto nulla a nessuno, quasi sentis-sero eh' ero d'un'altra razza, I parenti m' invitavano

    o mi carezzavano quando proprio non potevan famea meno, per non mostrare dinanzi agli altri una par-

    zialit troppo indecente, ma io m' accorgevo benis-simo della finzione e mi nascondevo e ad ogni loroparola rispondevo sgarbato ed acerbo.

    Un ricordo pi di tutti gli altri s' inciso nel miocuore : umide serate domenicali di novembre, o dicem-bre, in casa del nonno, col vino caldo in mezzo alla ta-

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    vola, dentro una zuppiera, sotto il gran lume a pe-trolio bronzato ; col vassoio delle bruciate accosto etutta la famiglia zii e zie, cugini e cugine in quan-tit, coi visi rossi attorno.

    U patriarca, accanto al fuoco, bianco ed arguto,rideva e beveva. Scoppiettavano i ciocchi gi mezzicoperti di cenere delicata ; sbattevano i bicchierisui piatti ; squittivano le zie bigotte e sapute sui casie gli scandali della settimana e i ragazzi ridevano estrillavano in mezzo al fumo turchino dei sigari paterni.A me tutto quel bruso di festa economica e idiota fa-ceva male all' anima e al capo. Mi sentivo straniero ldentro, lontanissimo da tutti. E appena mi riuscivapassavo di nascosto la porta e a passi prudenti, rasenteal muro umidiccio, mi inoltravo nell' andito lungo etenebroso che portava fin all'uscio di casa. E l sentivoil mio piccolo cuore di solitario che batteva con vee-menza, come se stessi per far un non so che di male,per commettere un tradimento. In quell'andito v'erauna porta vetrata che dava sopra una corticina sco-perta : la schiudevo appena e mi mettevo ad ascoltarl'acqua che veniva gi stanca e a malincuore, rimbal-zando sui mattoni e sulle pozze ; che veniva gi senz'en-tusiasmo, senza furia, ma con l'ostinatezza lenta eodiosa di qualcosa che non finir mai. Ed io l'ascoltavonel buio, col freddo nel viso e cogli occhi bagnati e sedallo spiraglio qualche goccia mi schizzava d'un trattosulla carne mi sentivo fehce, come se quella stillavenisse a purificarmi, a invitarmi altrove, fuori dellecase e delle domeniche. Ma una voce mi richiamava

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    alla luce, al supplizio, ai commenti. pensoso e scontroso. Finda allora il meglio della mia vita era dentro di me. Finda quel tempo, tagliato fuori dall' affetto e dalla gioia,mi rintanavo, mi distendevo in me stesso, nella fan-tasticheria bramosa, nella solitaria ruminazione delmondo rifatto attraverso l' io. Non piacevo agli altrie l'odio mi rinchiuse nella solitudine. La solitudine mifece pi triste e spiacente ; la tristezza serr il cuoreed aizz il cervello. La diversit mi stacc anche daiprossimi e la separazione mi fece sempre pi diverso.E fin da quel principio di vita cominciai a gustarela virile dolcezza di queir infinita e indefinita malin-conia che non vuole sfoghi e consolazioni, ma si con-suma in s stessa, senza scopo, creando a poco a pocoquell'abitudine della vita interna e solitaria, che ciallontana per sempre dagli uomini.

    No : io non ho mai conosciuto la fanciullezza. Nonricordo affatto d' essere stato bambino. Mi rivedo, sem-pre, selvatico e soprappensiero, appartato e silenzioso,

    senza un sorriso, senza uno scoppio di franco piacere.

    Mi rivedo pallido e attonito come nel primo ritratto.La fotografia strappata a met, sotto il cuore.

    piccina, sudicia e stinta : i bordi del cartoncino sonneri, come le cornici dei morti. Un viso sbiancato dibambino astratto guarda verso sinistra e si sente chel a sinistra, difaccia a lui, nessuno lo guarda. Gli occhi

    son tristi, un po' affossati non son venuti bene ?

    ,

  • 7-

    la bocca chiusa a forza, coi labbri un po' soprammessi,per non far vedere i denti. Unica bellezza : i ricciolimorbidi, lunghi, inanellati che cascan gi sul baverodella marinara.

    La mamma dice che son io a sett' anni. Pu essere.Questo ritratto l'unica prova eh' io abbia dellamia fanciullezza. Ma vi par forse questo un ritrattodi bambino ? Questo piccolo spettro slavato, che nonmi guarda, che non vuol guardare nessuno ?

    Si vede subito che qiiegli occhi non son fatti pertingersi del celeste del cielo : son bigi, son nuvolosi disuo. Quelle gote s' indovina che son bianche, cheson pallide e che saranno sempre bianche e semprepallide : diventeranno rosse soltanto per fatica o ver-gogna. E quelle labbra cos chiuse, volontariamentechiuse, non son fatte per aprirsi al riso, alla parola,

    alla preghiera, ai grido. Son le labbra serrate di chipatir senza la seccante debolezza dei lamenti. Sonlabbra che verranno baciate troppo tardi.

    In questa mezza fotografia sbiadita ritrovo l'ani-ma morta di quei giorni ; il viso delicato del rospo /> ;il cipiglio dello scontroso ; l'accoramento calmo del vecchio . E mi si stringe il cuore ripensando a tuttiquei giorni smorti, a quegli anni infiniti ; a quella vitarinchiusa, a quella mestizia senza motivi ; a quellanostalgia incancellabile di altri cieli e d' altri camerati.

    No, no : quello non il ritratto di un bambino.Io vi ripeto che non ho avuto fanciullezza.

  • IL

    Un centinaio di libri

    Mi salv da codesta solitudine senza luce la smaniadi sapere. Da quando ebbi conquistato rigo per rigo ilmistero del sillabario (massiccie lettere nere, minu-scole ma in grassetto ; oneste incisioni in legno ; lon-

    tane e freddolose serate d' inverno, sotto al lume a pe-trolio, colla palla tutta dipinta di fiorellini arancioni

    ed azzurri, accanto alla mamma giovane e sola checuciva coi capelli neri chinati sotto a' riflessi) io

    non ebbi piacere pi grande n consolazione pi si-cura del leggere. I pi nitidi e sentimentali ricordi diqueir et non son quelli del primo berretto alla mari-nara di velluto celeste, o delle arancie succiate aUaringhiera di una vasca verdemorta e neppure degliimpettiti cavalli scalpitanti invano sopra una strisciadi legno, e neanche del primo brivido provato pressouna bambina dalla bocca semiaperta pel respiro an-sante della corsa. Ricordo invece con ancor infantiledesiderio il mio primo o secondo libro di scuola po-vero, umile e sciocco libro di lettura legato in cartonegiallino, dove un ragazzo modello, compunto epaffuto, inginocchiato in camicia sopra un lettino di

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    ferro, pareva che recitasse proprio quella preghiera ri-

    mata eh' io compitavo l sotto. E ricordo con maggiorenostalga una specie di Mille e una Notte della natura,

    un librone colla costola vrde sfilaccicata, colle pagine

    vaste, larghe, rincincignate, rossastre d'umidit, spesso

    strappate a mezzo o sudicie d' inchiostro, ma eh' io

    aprivo con la certezza di vedermi apparir dinanzi, sem-pre nuova, una gi conosciuta meraviglia. Li i polipi

    giganti dai tondi occhi crudeli affioravan dal mare per

    abbrancare i grossi velieri del Pacifico ; un giovane

    alto, in capelli, genuflesso in ciftia a uifmonte mandavasopra un oscuro cielo tedesco la sua ombra colossale ;in mezzo alle altissime e ritte pareti di una valle spa-

    gnuola stretta e buia un piccolo cavaliere passava,

    appena illuminato da un raggio del cielo alto, tuttospaurito da quel silenzio d'abisso ; un imbambolatodemiurgo cinese, sol vestito da un cencio alla cintola,con lo scalpello in una mano e il martello nell'altra,

    stava rifinendo il mondo in mezzo al disordine di unarigida foresta di stalattiti spuntate su dalla terra ;un fiero esploratore impellicciato piantava una granbandiera nera, sconvolta dal vento, suU' estrema punta

    di un promontorio, in faccia al Mar Polare, bianco,solitario e furioso.... E sfogliando le pagine arrossatem' apparivano a un tratto faccie intontite di naturalipolinesiani ; isole madreporiche posate sul mare comezattere leggere ; sinistre comete gialleggianti sullo scon-

    finato terrore del cielo nerissimo d' inchiostro e sche-

    letri di rettili colossali....

    E ricordo, fra i primi libri che mi capitarono sotto

  • IO

    gli occhi anche una brutta sconciatura delle memoriedi Garibaldi eh' io leggevo e rileggevo senza capireesaltandomi istintivamente a quel puzzo di polvere,a quello scintillo di sciaboloni, a quelle cavalcate rosse

    di banditi e di vincitori. Niente di preciso avevo intesta n sapevo nulla d' Italia o di guerre : pur misfogavo a ridisegnare la barbuta faccia del Generalesul foglio di guardia del volume e mi sembrava cheavesse ad essere ancora vivo e vicino.

    Ma uno dei momenti pi divini della mia vita fuquando ebbi ogni diritto sulla biblioteca di casa. Lalibreria del babbo consistevia in una rustica cesta ditruciolo con dentro poco pi o poco meno di centovolumi. Quella cesta era in una stanzina nascosta irfondo alla casa e che dava sui tetti vera Alhambradelle mie fantasie dove e' era di tutto : legni dabruciare, cenci smessi, trappole per i topi, gabbie dipasserotti, un fucile da guardia nazionale e un' inti-gnata camicia rossa garibaldina con la medagliadel '60.

    L mi chiudevo ogni giorno, appena ero libero, etiravo su a uno a uno, con stupore e circospezione, i

    libri dimenticati. Volumi slegati, scompagnati, imti,avviliti da cacature di mosche e di piccioni, tuttistrappati e sgualciti eppur tanto generosi per me disorprese, di meravighe e di promesse ! Leggevo quae l ; decifravo ; non sempre capivo ; mi stancavo ;mi riprovavo, sempre agitato da un impaziente rapi-mento appena m'accostavo per le prime volte, a queimondi della poesia dell'avventura e della storia che

  • II

    talora una frase o una figura facevan balenare un at-timo solo al mio cervello vergine.

    Non leggevo soltanto : fantasticavo, ripensavo, ri-fabbricavo, tiravo a indovinare. Per me quei librieran tutti sacri e pigliavo assolutamente sul serio tuttoquel che dicevano. Non distinguevo tra storia e leg-genda, tra fatto e fantasia : i caratteri di stampaerano ai miei occhi testimoni infallibili di verit.

    Per me la realt non eia quella della scuola, dellastrada, della casa ma piuttosto quella dei libri

    dove mi sentivo viver di pi. In certi pomeriggi bru-ciati d'estate vedevo Garibaldi galoppar col mantellosollevato dalla brezza tra le mandrie e le fucilate dellapampa ; nelle mattinate uggiose e piovigginose ero in-sieme al conte Alfieri che bestemmiava dietro ai ca-valli ed ai versi su tutte le strade postali d' Europa

    ;

    e la sera fremevo di patriottico odio o di oratoria fre-nesia di gloria cogli uomini illustri di un Plutarco mi-nutamente stampato in tanti volumettini vestiti dicolor zeffirino.

    In quei libri trovai anche le prime spinte a riflet-tere. V'erano, in fondo a quella meravigliosa cesta, an-che cinque o sei volumacci verdi (zibaldoni volterrianidi un compilatore razionalista) dove si buttava giIddio e la santa teologia e si mettevano in burlettai racconti della Bibbia e i preti del cattolici^mo. Trale infinite cose di quel centone v' era anche l' inno aSatana del Carducci e da quel tempo ho sempre sen-tito pi amore per l'Angelo ribelle che per il maestosoVecchio che sta nei cieli. Riconobbi poi quanto fosse

  • 12

    grossolana e malsicura quell'apologetica irreligiosa ma

    debbo anche ad essa, bene o male, d'essere un uomoper il quale Dio non mai esistito. Figliolo di padreateo ; battezzato di nascosto ; cresciuto senza prediche

    e senza messe non ho mai avuto quelle che si chiamano crisi d'anima , notti di Jouffroy o scoperte dellamorte d' Iddio , Per me Iddio non mai morto perchnon mai stato vivo nell'anima mia.

    Un altro libro ebbe un grand'effetto sulla mia mented'aUora e perci di sempre : l'Elogio della Pazzia di

    Erasmo da Rotterdam. Ce n'era in casa un'edizioneitaliana colle secche figure incise da Holbein e lo lessipi volte con gusto indescrivibile. Debbo, forse, ad Era-smo la mia passione per i pensieri non comuni e ilconvincimento profondo che gli uomini son canagliequando non sono imbecilli.

    \

  • III.

    Un milione di libri.

    Y)opo qualche anno di letture furiose e disordinatemi accorsi che i pochi Ubri ch'erano in casa e queglialtri pochi che potevo avere ricorrendo alle scarselibrerie di parenti e conoscenti o comprandone qual-cuno usato coi centesimi risparmiati sul companaticoo coi soldi rubati alla mamma, non bastavano. Seppida un ragazzo un po' pi grande di me che, c'erano incitt grandissime e ricchisirae Hbrerie aperte a tutti,dove in date ore si poteva andare, chiedere qualunquelibro si volesse, e, quel che pi conta, senza spendernulla. Decisi di andarci subito. C'era per una diffi-colt : per entrare in que' paradisi bisognava aver perlo meno sedici anni. Io ne avevo dodici o tredici ma perl'et mia ero anche troppo alto. Una mattina di lugliomi provai. Salii uno scalone, che a me parve largo esolenne, tremando. Dopo due o tre minuti di incer-tezza e di batticuore infilai nella saletta delle richieste,

    scrissi alla peggio la mia scheda e la presentai conl'aria impacciata e sospettosa di chi sa d'essere in fallo.L' impiegato lo ricordo ancora : sia maledetto ! eraim omaccino con tanto di pancetta e due occhic tti

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    cilestri di pesce morto e una piegacela maligna a' duelati della bocca mi squadr con aria di compati-mento e con esosa voce strascicata mi chiese : Scusi, quanti anni ha lei ?Feci il viso rosso pi di rabbia che di vergogna e

    risposi, facendomi pi vecchio di tre anni : Quindici. Non bastano. Mi dispiace. I-^gga il regolamento.

    Tomi fra un anno.Uscii di l umiliato, indispettito, abbattuto e tutto

    gonfio di odio fanciullesco contro quell'orribile uomo

    che impediva a me, povero e affamato di sapere, illibero uso di un milione di libri e cos mi rubava vi-gliaccamente, in nome d'un numero scritto, un annointero di luce e di gioia. Avevo intravisto, entrandolaggi, una sala lunga e vasta, con venerabili seggio-loni ad alta spalliera coperti di panno verde, e tuttointorno libri libri e libri, libri vecchi grossi e massicci,colle costole di pergamena e di pelle, scritte e fregiated'oro : una meraviglia ! E ognuno di que' libri chiu-deva quel che cercavo, offriva quel cibo ch'era fattoper me : storie d' imperatori e poemi di battaglie, vitedi uomini semidivini, libri santi di popoli morti, e> lescienze di tutte le cose e i versi di tutti i poeti e i si-

    stemi di tutti i filosofi. E quelle migliaia di promessein lettere d'oro eran per me : a un mio comando i vo-lumi che aspettavano sotto la polvere, dietro la retefitta degli scaffali, sarebbero scesi verso di me, e l'avreisquadernati e sfogUati e divorati a mio piacere !

    Non aspettai neppur un anno per tentar la seconda

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    prova. Anche questa riusc male. Dovetti arrivare aduna altra estate per vincere. Avevo poco pi di tre-dici anni forse tredici anni e mezzo.

    Insieme ad un altro ragazzo pi grande di me, cheda un pezzo entrava l senz' inciampo, finalmente pas-sai. Per non dar nell'occhio e non passar da bambinoin cerca di passatempo chiesi un libro serio, un librodi scienza quello del Canestrini su Darwin.

    C'era questa volta al di l della parete di legno e di

    vetro un altro impiegato un tipo alto e secco comeun uccellaccio pelato, sgarbato nelle mosse e che nonstava mai fermo. Prese la mia richiesta senza guar-.darmi, ci fece su un segnaccio con un lapis blu e lapass ad un ragazzetto ch'era l presso senza far parola.

    Aspettai mezz'ora, rodendomi dentro dalla paurache il libro non ci fosse o che non volessero portar-melo. Quando venne me lo strinsi sotto il braccio edentrai tutto vergognoso e in punta di piedi nella gransala di lettura. Non avevo provato mai un tal sensodi riverenza neppure in chiesa da piccino. Comespaventato dal mio ardire e dal trovarmi l dentro,dopo tanto, in mezzo a quel gigantesco reliquiariodella sapienza dei secoli, andai a sedermi sul primoseggiolone libero che mi si par dinanzi. Era tale losmarrimento e il piacere e lo stupore e il senso d'esserdivenuto ad un tratto come pi grande e pi uomo cheper quasi un'ora non riuscii a capir nulla nel libroche avevo dinanzi.

    Tutto, l dentro, mi pareva santo e maestoso comeil ritrovo di una nazione. Quei seggioloni sudici e

  • i6

    stinti, coperti di stoffa dove lo scolorito verde finivanel giallo o si nascondeva sotto 1' untume nero, sem-bravano a' miei occhi colossali e fas'osi come troni e ilvasto silenzio mi pesava sull'anima pi grave e solennedi quello d'uni cattedrale.

    Dopo quel giorno ci tornai tutti i giorni, per tuttoil tempo che la tediosissima scuola mi lasciava libero.A poco a poco feci l'abitudine a quel silenzio, a quellastanzona cos alta sopra la mia testa arruffata di ado-lescente trascurato, a quella ricchezza sterminata divolumi antichi e nuovi, di lessici, di riviste, di opu-scoli, di atlanti, di codici e di manoscritti. Diventaipresto come di casa, imparai le facce dei distributori,scopersi i segreti delle segnature, penetrai nei catalo-

    ghi, conobbi i visi dei fedeli e degli appassionati chevenivano come me, tutti i giorni, precisi e impazienticome a un ritrovo di volutt.

    E mi gettai a capofitto in tutte le letture che misuggerivano le mie pullulanti curiosit o i titoli de' libriche trovavo nei libri che andavo leggendo e intra-presi allora, senza esperienza, sen^a guida, e senza

    un qualsiasi disegno, ma ton tutto il furore della

    passione, la vita dura e magnifica dell'onnisapientej

  • IV.

    Dal tutto al nulta.

    Che cosa volevo imparare ? Che cosa volevo fare ?Non lo sapevo. N programmi n guide : nessmia ideaprecisa. Di qua o di l, est od ovest, in profondit oin altezza. Soltanto sapere, sapere, saper tutto. (Eccola parola del mio disastro : tutto !). Fin d'allora sonostato di quelli per cui il poco o la met non contano.O tutto o nulla ! E ho voluto sempre il tutto e cheniente sfugga o resti fuori ! Completezza e totalit pi niente da desiderare, dopo ! cio la fine,r immobilit, la morte !

    Allora volevo saper tutto e non sapendo da che parteincominciare, sfarfalleggiavo attraverso la conoscenza,

    coU' aiuto di manuali, dizionari, enciclopedie. L'enci-clopedia era il mio sogno pi alto, l' ideale pili caro

    il libro massimo e perfettissimo. L, almeno a giudi-care dalle promesse e dalle apparenze, c'era tutto. Ogmnome di uomo, di citt, di animale, di pianta, di fiume

    o di montagna era l registrato, messo al suo posto,spiegato, illustrato.

    Ad ogni domanda l'enciclopedia rispondeva su-bito senza durar fatica a cercare. Nella mia retto-rica fantasia tutti gli altri libri eran fiumi che si

    Papimi, Un uomo finito a

  • I

    versavano in quell' infinito mare, eran grappoli desti-nati a riempir col sugo quelle capaci botti di vino ;innumerevoli chicchi di grano che macinati e impastatidavan pane per tutte le bocche e per tutte le fami.

    Come il mistico si sprofonda nell'unico Dio e cercascordarri d'ogni particolare sensibile io mi tuffavo eperdevo in quel mare di sapienza che nel punto stessodi pienarmi mi dava nuovo appetito e nuova arsione.

    Accadde che a forza di praticare e maneggiare enci-clopedie mi venne voglia di farne una anch' io. A quin-dici anni, con una mente cos libidinosa, l' impresa mipareva facile.

    Ma non volevo fare un'enciclopedia come le al-tre. Cunsultandone pi d'una e leggendo altri librim'ero avvisto che l'enciclopedia completa e perfettanon esisteva. In una c'era talvolta quel che nell'altramancava e in un punto c'era troppo poco e altrovemolto di pi. Cercando nomi fuori di mano e notiziepi minute m'era accaduto pi volte di trovarle tuttemute e ignoranti, con gran rabbia e sorpresa mia.

    Mi proposi dunque di fare un'enciclopedia che nonsolo contenesse la materia di tutte le enciclopedie ditutti i paesi e di tutte le lingue, ma le superasse e le

    sorpassasse ; dove ci fosse tutto quel che in loro eradisperso e sparpagliato e pi ancora ; e che non fossesolamente ricopiatura e rimpasticciamento di enci-clopedie vecchie, ma un lavoro miovo, fatto su di-zionari, manuali e libri recenti e speciali, di tuttequante le scienze, storie e letterature.

    Decisa la cosa non stetti con le mani in mano : la

  • ig

    mia vita aveva una direzione ; le lunghe ore di biblio-teca avevano oiTnai un fine pi grave e determinato.Mi posi al lavoro con focosa pazienza. Da quel giorno era di luglio, nella stagione della libert

    ogni parola che cominciasse per a mi attrasse come ilviso d'un amico. Tutte le massicce enciclopedie, i volu-ninosi dizionari, i repertori usati e consunti, i voca-

    bolari speciali furon tirati gi dalle assi degli scaffali perme, per me che copiavo e riassumevo e traducevo esfogUavo con pi lena e furia di prima. Oh quanto midetter da fare tutti quei fiumiciattoli germanici che co-minciavano per Aa e quanti mai titoli di libri do-vetti registrare per render conto di una dinastia didotti olandesi, dei van der Aa e come fu lunga etediosa la lista delle abbreviazioni latine che comiii-cian con A ! In quei giorni fui preso da tenerezzaper Abila, lontana citt sul mare ; e vidi per laprima volta opere di legge per sciivere con aria d' in-tenditore dell'abigeato. Risfogliai il vecchio testamento

    per ritrovare la pietosa Abigail e il profeta Abacuc ;snidai ne' commentatori di Dante la vita e le gestadell' incendiario Bocca degli Abati ; feci conoscenzacon tutte le variet dell'abete ; mi erudii nella storiadi Abbiategrasso e nella geografia dell'Abissinia.

    Dapprincipio ricopiavo alla rinfusa su quaderni, supezzi di carta scompagnati e diversi poi mettevoogni cosa al pulito, in ordine, su carta ben legata e le-vigata. Di giorno, in biblioteca, scrittura brutta, sfor-mata, frettolosa, macchie, scarabocchi, e abbreviature la sera, alla tremante fiamma della candela, la pibella calligrafia di cui ero capace, inglese e rotonda, con

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    inchiostro nero e rosso ; e la carta sugante sotto la mano

    sinistra... Che divertimento I Per star l, gobbo e conpoco limie, a scriver la mia enciclopedia, avrei lasciatoqualunque gioco e qualunque teatro e anche, scom-metto, un serraglio di bestie feroci che, nelle fiere, era

    quel che mi tirava il cuore pi d'ogni cosa.Eppure anche quella impresa che magnificava me

    stesso, povero ragazzo ignorante, ai miei ocelli e per-fino a quelli de* distributori di bibHoteca che mi guar-davano con piet venata d' ironia e di rispetto, mivenne a noia o, per dir meglio, mi spavent per la per-fezione che volevo raggiungere. Gi lavoravo da unpaio di mesi, e di mattina e nel pomeriggio sotto i fine-stroni infuocati e di sera sotto le lampade ad arco diun altra biblioteca o al lume di candela in cameramia, eppure scrivi e riscrivi non ero riuscito a oltre-passare le parole che cominciavano per Ad. Un lun-ghissimo articolo sul furente Achille mi secc. Costeg-giavo la questione omerica ; ero sull'orlo della filologiaclassica

    ;parecchie parole greche (che non capivo)

    mi umiliarono.La ragione corse in aiuto alla stanchezza. Comin-

    ciavo allora a fiutare un po' di filosofia, chiss inquali perfidi libri !, e cominciavo alla peggio a riflet-tere men grossamente che non s'addicesse alla miaet. Vidi dunque che la sapienza vera non potevaconsistere in un accozzo alfabetico di notizie bor-

    seggiate qua e l da ogni parte ; in un ammontic-chiamento di raccattaticci e di copiature, ordinatomeccanicamente ma senza soffio di vita n anima dioensiero.

  • 21

    Abbandonai l'enciclopedia ma nello specialismo nonvolevo cascare : il mio dongiovannismo cerebrale mitirava sempre indietro quando stavo per gettanni inun solo amore. Ci voleva per me lo sterminato, il gran-

    dioso, la totalit delle cose, l'ampiezza dei tempi

    la processione dei secoli e dei voliuni.

    Mi parve che la storia dovesse fare al caso mio.Ideandola in grande, completa, storia di tutte le

    cose e di tutte le attivit, c'entrava ogni cosa menole scienze, che avrei potuto studiar da me, a parte.Naturalmente non gi storia breve e particolare diun'epoca o di un popolo ma storia universale di tuttii tempi e di tutte le razze. Il sogno veniva cos ad esserespaccato quasi a mezzo, ma, quel che rimaneva eratanto da mettere in pensiero uno scrittore di quindicio sedici anni.

    Ed eccomi di nuovo a cercare, a studiare, a copiare,a compilare.

    Conoscevo e ammiravo gi la storia universale delCant che mi aveva soccorso in parecchi de' mieifrangenti eruditi ma intendevo farne una assai pivasta, piena e sicura di quella. Eppoi il Cant era cat-tolico e codino. La mia sarebbe stata la storia razio-nalista e rivoluzionaria giacch a quel tempo erocome mio padre, ateo e repubblicano.

    Era ancora l' idea fissa medioevale dello specchiodi tutte le cose, ma fatta pi ragionata e spirituale.Molti, moltissimi, infiniti fatti ma legati insieme dauna vita che cresce e monta e si svolge, disposti e coagu-lati da im pensiero che sale dalla pi cieca voglia divivere all'eroica inutilit del pensiero per il pensiero.

  • 22

    Per cominciare m' inselvai nella cronologia egizianae impasticciai un compendio della storia di Egitto finoagli alessandrini. Stavo per passare ai cinesi quando mivenne il pensiero clie la mia storia era senza capo. Perscrivere una storia che fosse davvero universale oc-correva principiare dalla creazione del mondo e nondai primi ricordi scritti. Quel poco che sapevo di astro-nomia e di geologia mi aveva dato l' idea di antichitmeravigliose e di perpetui disfacimenti e nascimenti dimondi. Non potevo pensare, come il Cant, a ripigliarpari pari i sette giorni degli ebrei e il fat e il paradisoterrestre. Bisognava raccontare il principio dell'uni-verso non* gi secondo Mos ma secondo la scienza. Lascienza, per me, s' impersonava allora in Camillo Flam-marion e in Carlo Darwin. Il primo mi riportava aLaplace e il secondo a Lyell. Ed eccomi improvvisatoastronomo e geologo e antropologo per riscrivere all'uso

    moderno la formazione della terra. Pi d'una sera fic-cai i miei poveri occhi gi miopi nel fondo del cieloper scoprire una di quelle nebulose immani matricidi stelle e pianeti, di cui favoleggiavano con cifre efigure i cosmologi nuovi.

    Ma quando ebbi i iscritto con qualche lirica inesat-tezza l'epopea fiammeggiante del sistema solare e lapaziente storia delle scorze della terra pensai che

    non avevo fatto ancora tutto. Avevo detto come ilmondo s' era formato ma non gi quel che gliuomini avevan fantasticato sopra il principio dellecose.

    Ma nella mia storia ci doveva esser tutto : e passai

  • 23 -

    allora dalle scienze alle cosmogonie. Codesto scrupo-lo di storico (non gi storia dei soli fatti ma anchedelle credenze sui fatti) ebbe grande effetto sui mieistudi.

    La mia curiosit si biforc : cascai da una partenella letteratura comparata e dall'altra nella religione.

    Nella religione prima di tutto. Non ci fu teogonia omito cosmico eh' io non ricercassi e non riassumessi oricopiassi per inzepparne il principio della mia storia.

    Su nessuna per mi fermai come su quella degliebrei. Avevo in casa una di quelle bibbie nere che trenta

    anni fa i protestanti inglesi vendevano in Italia permezzalira (e nessuno le voleva) : rilessi l tutta la Ge-nesi. Ma non bastava. Cercai in biblioteca i commentipi lodati, le sbrosce erudite pi autorevoli sull'operadei sette giorni, e concordisti cattolici ed eretici in com-butta. Leggevo e sfogliavo libellacci spiritosi del set-tecento e apologie ristuccate aUa moderna per dar sod-disfazione ai seminaristi meno cretini ; saggi francesi

    chiari e mussanti come la sciampagna e sodi panettonifilosofici ed esegetici alla tedesca, e articoli di vocabolarie glosse lunghe e variolingue di bibbie poliglotte, senzasaper discernere il sicuro dal sofstico e l'accertato dal

    supposto. Rifrugai anche nei volumi verd,i che avevotrovato nella cesta-libreria e persi a poco a poco il ri-

    cordo della causa prima dalle mie ricerche per sper-dermi nel pruneto delle questioni bibliche.

    Presi una cotta, ad esempio, per il tentativo concor-datario : ebbi la pazienza di leggere il grosso libro di

    un tal Pianciani, eppoi il colossale Esamerone dello

  • 24

    Stopparli e varie altre esercitazioni biologiche e scola-

    stiche di gesuiti darwiniani o quasi. E mi venne alloraun pensiero : tutti i commenti della Bibbia che si co-noscono son fatti da preti, da vescovi, da teologi, dacredenti da bigotti anche se luterani o quac-cheri o valdesi o sociniani. Manca invece, cio : cre-devo che mancasse un commentario della Bibbiafatto da un razionalista, da un uomo positivo, da unmiscredente disinteressato, da uno spirito libero chesegua versetto per versetto tutti i libri del Testamentovecchio e nuovo e metta sotto gli occhi di tutti, senzaeufemismi, gli errori, le contraddizioni, le bugie, leridicolaggini, le prove di ferocia, di furfanteria e dibalordaggine di cui son piene quelle pagine che diconoispirate da Dio. Un simile commento, pensavo, farebbeassai pi male alla fede che non le sfuriate ateistichee le seccantissime controversie che sono il pi dell'an-titeologia moderna.

    Questo commento non e' : lo far io ! Ormai le imprese grandi non mi facevan battere il

    cuore e questo, rispetto all' enciclopedia suprema, eraun lavoretto da nulla, che potevo finire comodamente,pensavo, in un paio d'anni.

    Cominciai seriamente : presi una grammatica ebraicae in capo a pochi giorni scrivevo gi i grossi e contorticaratteri semitici ed ero capace di ricopiare i versettidel Pentateuco dall' originale. Raccolsi un materialeche a me pareva grandissimo e ammonticchiai ognimattina e ogni pomeriggio roba nuova finch un giornomi parve abbastanza. Mi sentivo sazio e quasi nau-

  • 25

    seato da tanta arruffata erudizione : sentivo cJtie senon riuscivo a darle una forma purchessia avrei la-sciato ogni cosa li ; e per sempre.

    Allora ricopiai il primo versetto del Genesi (inebraico) e principiai a stendere il commento : Nelprimo giorno Iddio cre il cielo e la terra . Ero subitoin mezzo alle difficolt grosse. In codesto versetto cisono due parole che hanno dato assai da fare agli ese-geti e che i cristiani hanno tradotto a modo loro, comeconveniva alla teologia fissata nei concili e nei pa-dri. Nel testo c' Dio o Dei ? cre o form ?

    Cio : i primi giudei eran monoteisti o politeisti ?credevano alla creazione dal nulla o s' immaginavanoIddio come mi demiurgo scultore che desse forma auna materia increata e indipendente da lui ? Problemiinfiniti, come si vede : storici, linguistici e filosoficiinsieme. Ma non mi sbigottii e cominciai a scrivere.

    Scrivi, scrivi e scrivi non mi riusciva di levarne legambe : si accavallano gli argomenti, le difese, le con-trodifese ; s' inseguivano le citazioni in tre, in quattrolingue ; si aprivano e si espandevano le parentesi "filo-sofiche e le scorrerie teologiche. Il mio pochissimoebraico in questa terribile congiimtura si smarriva edovevo fidarmi degli altri e gli unici degni di fede.;rano, per me, quelli che davan torto ai preti e ra-gione alla Ragione.

    Inclinavo dunque a credere che si dovesse tradurre gli Dei formarono ma il difficile stava nel farne per-suasi gli altri e nel farli persuasi in modo tale che nes-suno potesse rivoltarsi o dubitar del contrario.

  • 26

    E scrivi e scrivi e scrivi non riuscivo a venire a capodi quel maledettissimo versetto che mi rester impressonella memoria finch avr vita. E pi scrivevo e pile idee si ringarbugliavano e le bottate polemiche e ledissertazioni etimologiche e le induzioni dialettiche simescolavano e si sovrapponevano in una sabbaticadanza erudita della quale io stesso non riuscivo pi aritrovare il ritmo e il motivo. Finalmente, come e quandolo Spirito volle, la spuntai : avevo scritto pi di du-gento pagine fitte. Attaccai il secondo versetto : E laterra era una cosa deserta e vacua ; e le tenebre erano

    sopra la faccia dell'abisso ; e lo spirito di Dio si movevasopra la faccia delle acque . Qui i tradimenti e i falsit eologici eran minori ma le difficolt quasi egualmentegrandi : dovevo spiegare le tenebre e l'abisso e distin-guere il concetto di spirito d'Iddio dall' idea d' Iddio

    (primo seme dell'alessandrina trinit) e il ricordo delleacque mi portava verso la Grecia, verso i primi pensa-menti della Grecia : Esiodo colla sua teogonia e il mondoeh' esce dall'oceano e il savio Talete milesio che videneir umidit il principio di tutte le cose. Sguazzavosino alla bocca nell'erudizione ; arrischiavo anche lecitazioni greche (qual commozione nel ricopiare a unoa uno, con mano malsicura, i divini caratteri di Pla-

    tone !) e mi raggiravo in quella macchia di chiose,glosse, elucidazioni e dissertazioni come Adamo nelgiardino zoologico e botanico dell' Eden.

    A furia di scrivere arrivai al terzo versetto : E Id-dio disse : sia la luce. E la luce fu . Parole che sorpre-sero anche il retore Longino per quanto pagano fosse

  • 27

    ma che a me, fresco discepolo di Bayle, di Voltaire edell'autore delle Veglie Filosofiche Semiserie, non ispi-

    raron rispetto. Riso, piuttosto : quante sogghignaturealle spalle d' Iddio che creava la luce prima di avercreato il sole !

    Non arrivai al quarto, ero gi stanco e seccato.Se per tre versetti c'eran volute tutte quelle pagine,

    tutti quegli appunti, tutte quelle erudizionere, cosaci sarebbe voluto per far tutta la Bibbia e commen-tare a dovere migliaia e migliaia di versetti ?

    Era meglio tornare ai sistemi antichi : riassumere eattaccare. Stesi il piano di una grande opera contro lafede ; ne scrissi parecchi frammenti : era, mi ricordo,in lingua toscaneggiante, in tono piuttosto cogliona-tore, e arieggiava un po' l'Asino del Guerrazzi lettoda me con indicibile gusto in quei tempi.

    Ma anche questa somma del razionahsmo non andinnanzi ; e specialmente fu intralciata da altre ricrcheche avevo intrapreso nello stesso tempo e che derivava-no, come queste sulla Bibbia, da quel famoso primo ca-pitolo della storia universale che non avevo mai scritto.Dalle cormografe che si trovano nei libri sacri e neimiti popolari m'era venuto voglia di passare alle loroforme poetiche nelle et colte e siccome non facevomai le cose a mezzo avevo scandagliato, a furia di di-zionari e di storie, tutte le letterature del mondo perraccogUere e ritrovare quei poemi che avevan per ar-gomento la creazione del mondo. Ne trovai molti ; lilessi, copiai ; meditai al solito di scriverci un Ubroe, via facendo, come succede, m' innamorai di certi poe-

  • ~ 28

    ti, lessi di loro altre opere, passai a loro vicini, mi ven-nero sott'occhio i pi degli scrittori della loro letteraturae finii col diventare un maniaco di letterature orientalie occidentali com' ero stato, poco prima, di storiauniversale o di critica biblica.

    Far la storia di tutto il mondo e di tutti gli avveni-menti umani pensai troppo, specialmente perun novizio come me, ma una storia universale dellaletteratura la potr fare non come le hanno fattefin qui ; non per nazioni, non per secoli, ma per soggetti.\ Volevo una storia letteraria mondiale comparata,non solo bibUografca, ma ordinata secondo le materiee gli argomenti. Gran ricerca, dunque, di temi e di in-dici e di titoli ; infiniti appunti su leggende e su motivipoetici e cassette piene zeppe di schede bibliografiche.Mi ero ristretto assai ma la smania mia dell'universaleera abbastanza soddisfatta. Per, dopo qualche mesedi esplorazioni affannose e disordinate, dovetti per-suadermi che anche questa era impresa troppo diffi-coltosa per esser menata a buon fine. Avrei dovuto,per far bene, studiare chiss quante lingue e leggere

    senza alzar gli occhi per diecine di anni. Una storiacom' io sognavo non era da farsi a furia di titoli : bi-sognava conoscer tutto l' importante, pagina per pa-gina, e rileggere pi d'una volta per scoprire le fontie stabilire le comparazioni.

    Mi vidi forzato a un'altra rinunzia (quinto o sestofalHmento !) e deliberai di studiare soltanto le lettera-

    ture pi vicine alla mia, le letterature neolatine. Mastudiarle a fondo coli' idea di scriverne la storia pa-

  • 29

    rallela e col proposito d' insegnarle in avvenire. Edeccomi diventato un romanista accanito : lettore di

    riviste filologiche, decifratore di manoscritti, udi-

    tore di corsi speciali e gran maneggiatore di ma-nuali e bibliografie. In quel tempo studiai conbastante metodo le letterature francese e italianadelle origini ma quella che mi att^- di pi fu lameno conosciuta, la meno stimata : quella spagnola.

    [. Gi tempo prima avevo studiato il bel eastigliano inuna grammatica da tre soldi e avevo tradotto qualchescena del Magico Prodigioso di Calderon, ma allora presia guida i hbri di Amador de los Rios e del Ticknor,ripescai i primissimi testi, dal fuero di Avila ai pitardi romances, almanaccai attorno al Mysterio de losReyes Magos, m' innamorai del Poema del Cid, diven-tai specialista su frate Gonzalo de Berceo e mi adden-trai nella saporita arguzia dell'arciprete de Hita. E nonmi fermai qui : vidi e lessi in parte tutti i volumoni dellabiblioteca Rivadeneyra ; scovai manoscritti catalani, ca-stigliani e portoghesi ; imparai quasi a fondo lo spa-gnolo antico ; meditai edizioni critiche ; ricopiai, non

    potendo procurarmi i libri, opere intere e filialmente conclusione eterna e nuova disfatta decisi di la-

    sciar da parte la storia comparata delle letteraturer romanze per fare un perfetto manuale di storia della

    letteratura spagnola.

    Anche di questo scrissi i primi capitoli : risalii agliIberi, ai Romani, seguii le vicende dei Goti, l' invasionedegli eaabi, il sorgere del nuovo volgare e potei giun-

    gere lino ai primi documenti. Ma la narrazione s' inter-

  • _ 30

    ruppe in piena critica del Poema del Cid. Altri pensierie altri studi eran sopravvenuti che avean meno a chefare coll'erudizione. La letteratura spagnola fu l'ul-tima avventura mia di compilatore e di dotto. Deplo-revole avventura ultimo momento di una discesache allora non avvertivo da quanto era precipitosa.

    Dal tutto allo specialismo : dalla sapienza completaalla storia universale dalla storia universale alla

    critica della religione da questa alla letteratura com-parata universale eppoi alla letteratura comparataromanza e finalmente a una sola letteratura e finalmen-

    te a im periodo solo di una letteratura. A forza di fal-limenti parziali, di scarti, di riduzioni e di raccogli-

    menti q, che volevo tutto, che volevo saper tutto e in-segnar tutto, m'ero ridotto a compiacermi di varianti edi minuzzoli filologici e bibliografici nel cantuccio di unsolco e dapprima il campo intero m'era sembratotroppo angusto spazio alla mia bramosia di lavoro ! Etutta la mia vita, anche dopo, stata cos un eternoslancio verso il tutto, verso 1' universo, per dopo ri-cascare nel nulla o dietro la siepe di un'orto : un

    succedersi di ambizioni enormi e di rinunzie precipi-tose. Questa breve storia di tentativi fanciulleschi una fra le traduzioni posbibili del segreto della miavita.

  • V.

    L'Afco di Trionfo.

    Io son nato con la malattia della grandezza. Il mioprimo ricordo questo : avr avuto forse otto forse no-v'anni ; stavo quasi sempre solo e leggevo spesso unlibraccio di scuola pieno di grossolane figure e di sca-rabocchi violetti. Li trovai un giorno la storia dell' in-coronazione del Petrarca in Campidoglio e la lessi erilessi. Anch' io, anch' io... * dicevo tra me, senza nep-pure sapere precisamente perch ]a corona fu messain capo aJ grassoccio poeta. Dal libro la tonda facciamal disegnata del lamentoso sonettaio tutta chiusa nelcappuccio aureolato di fogliette aguzze come un fega-tello pareva che sorridesse e m' incuorasse.

    Feci di tutto perch il babbo mi portasse al Vialde' Colli. Quando fui lass strappai dai bassi arbusti diuna siepe un par di fronde di sempreverdi. Non ero si-curo che fosse il famoso alloro ma non ci badavo. Tor-nato a casa mi rinchiusi in quella stanzina ch'era infondo alla casa e dove sta\ a la gi ricordata hbreria ditruciolo. L feci con quelle fronde mia specie di coronae me la messi in capo ; mi buttai sulle spalle un gran

  • __ on

    cencio rosso e cominciai a girar lungo i muri cantandouna lunga nenia, che a me pareva eroica e fremebonda,battendo solennemente sopra ima cassa di legno colmanico d'un coltello. Mi pareva, a quel modo, di an-darmene in gran pompa al Campidoglio e che quel ru-more fosse l'accompagnamento necessario, forse il mug-ghio della moltitudine plaudente. Cos feci, una bigiamattina d' inverno, il mio buffo sposalizio colla gloria.

    Ma la prima .V(|ra promessa che feci a me stesso fupi tardi, a quindici o sedici anni. Era im'afosa dome-nica d'agosto, verso le quattro, ed io passeggiavo ma-linconico e senza compagnia, come il solito, per unadelle strade pi limghe e pi larghe della mia citt.Avevo in mano un giornale comprato a forza di chissquali umiUazioni, e camminavo a capo basso, stanco, an-noiato, indispettito contro il caldo e contro gU uomini.r Era l'ora in cui la gente si leva mezza istupidita dalla

    siesta ed esce fuori coUa ridicola speranza di un soffiod'aria e del fresco della sera. Escivano le baUe infioccatecoi bambini rossi e piagnucolanti fra le trine ; i maritisudati colle mogli a braccetto ; i fratelli colle sorelle perla mano ; i giovinottelli a due o tre colle sigarette bian-che penzolanti dai labbri ; le ragazze coi fazzoletti

    chiari in testa e gh occhi briosi e desiderosi ; i vecchiettiin soprabito coli'ombrello celestino sotto il braccio ; i

    poveri soldati vestiti di scuro e tutti impacciati co' loro

    guanti di filo bianco. A ogni momento la gente cresceva ;riempiva i marciapiedi ; traversava la strada, rideva,

    si salutava. Sotto i grandi cappelli fioriti gli occhi delle

    donne scintillavano da ogni parte come diamanti neri ;

  • 33

    ogni tanto due cappelli di paglia tenuti da due mani al-zate apparivano sopra le teste dell'armento festivo.

    Io mi ci trovavo a disagio. Non conoscevo nessunoe odiavo tutti. Ero vestito male ; ero brutto ; ero biancoin viso ; avevo l'aspetto severo del malcontento : sen-tivo che nessuno mi amava e poteva amarmi. Chi miguardava mi disprezzava con tutto il corpo, passando

    ;

    qualcuno si voltava indietro a guardar lo sparuto so-litario e rideva. Specialmente le belle ragazze vestitedi bianco e di rosso, col viso bruno e i denti puliti, erancrudeli con me : spesso sentivo le loro scocrodantirisate dietro alle mie spalle. Forse non ridevan di mema in quei momenti n'ero certo e soffrivo. Tutta lavita bella mi pareva negata : io solo, io senza amore,io senza fortuna. E quella gente andava alla sua pas-seggiata, tranquilla, senza saper nulla delle mie tri-stezze di adolescente povero e scacciato.

    E allora, ad un tratto, mi rivoltai. Sentii dentrodi me come un tuffo di sangue, un rimescolamento ditutto l'essere. No, no, no ! gridavo dentro a me stesso,cos non dev'essere ! Anch'io sono un uomo, anch' iovogUo esser grande e feUce. Cosa credete d'esser voial-tri, uomini sciocchi e donne ben vestite, che mi pas-sate d'accanto con tanta strafottenza ? Vedrete cosafar io ! Voglio esser pi di voi, pi di tutti, sopra atutti. Son piccino, povero e brutto ma ho un'animaanch' io e quest'anima getter taU gridi che tutti do-vrete voltarvi e sentirmi. E allora io sar qualcosa evoi seguiterete a non esser nulla. E far e creere diventer grande pi dei grandi e voi con-

    fAPi!!, Uh uomo finito 3

  • 34

    tinuerete a mangiare, a dormicchiare, a passeggiarecome oggi. E quando passer io tutti mi guarderanno ele belle donne avranno uno sguardo anche per me e leragazze ridenti mi vorranno accanto e mi stringerannotremando le mani e gli uomini seri si leveranno ilcappello e lo terranno ben alto sopra il loro capo quandopasser io, io in persona, il grande, il genio, l'eroe .

    E cos pensando rialzavo la testa e il mio petto sigonfiava, e i miei occhi guardavano con odio e fie-rezza tutte le faccie che mi passavan daccanto. Eroiin altro : in quel momento, dicerto, sembravo pibllo.

    Arrivai cos a una gran piazza, dinanzi a un arco di

    trionfo. I cavalli della quadriga galoppavano nel cieloarroventito del tramonto mentre giuravo a me stessoche sarei diventato grande prima di morire.

  • VI.

    Miseria.

    In quei tempi ero povero, decentemente ma atroce-mente povero. .(Ho sempre odiato, e anche oggi, quelli

    che son nati vicini ai portafogli pieni quelli che

    hanno potuto comprare quel che hanno desiderato,quasi sempre). Ero borghesemente povero senza famee senza freddo ma soffrivo.

    Non m' importava di andar vestito cogli spogli delbabbo, consimiati, lisi e infrittellati ; con toppe benmesse dietro e in fondo ai calzoni,, n di avere in testacappellucci sbertucciati, n di camminare con scarpetroppo strette, risolate e rimontate pi volte. Le gioiedella mia vita eran piuttosto rade e modeste. Un soldodi ciliegie o di fichi 1' estate, di bruciate o pattona

    r inverno bastavano alla mia ghiottonizia. Al teatro(stenterello) e al caff (gelato) una volta l'anno

    forse due, se c'era qualche invito di mezzo. E una do-menica l'anno a mangiare in campagna, sempre al so-lito posto (Fiumiciattolo stracco con poc'acqua, sassi,canneti, prati bruciati, pesci fritti).

  • 3^

    Eppure questa meschinissima vita di meschini bor-ghesi non nii faceva soffrire che per ia mancanza didenari vivi e sonanti, di denari niiei, da poter spen-dere da me, come piaceva a me.

    Quelli che hanno avuto il babbo benestante, la mam-ma pietosa, il borseUino rifornito a tempo e il salva-danaio accanto al letto ; i ragazzacci vogliosi che hamiosciupato tante mai lire d'argento per balocchi, figure,paste e frutte e porcherie non possono imma^jinarequanto ho sofferto io, da bambino, da ragazzo, da ado-lescente, fin quasi a yent'anni. (Soltanto a diciannoveanni passati ho guadagnato i primi fogli da dieci, miei).

    Eppure avevo bisogno pi degli altri e per altrecose. Avevo bisogno, prima di tutto, di Ubri (quelli dicasa eran pochi, in biblioteca non potei andar che tardi) avevo bisogno di giornali (fin d'allora questi ruba-tempo mi tentavano) avevo bisogno di carta dascrivere, e di penne e d' inchiostro. Miserie, spese pic-cole, pochi soldi. Eppure anche quei pochi soldi manca-vano. Mio padre non poteva darmi nulla e aveva ra-gione. Durava fatica a mantener tutti noi. Compravaogni tanto, sui barroccini, un Hbro, ma non pi di dueo tre all'anno. Pi tardi mi concesse una lira e mezzoal mese, un soldo al giorno ! per i vizi, come s'usa,

    dire nelle nostre famiglie. 1 miei vizi erano la carta

    bianca e la carta stampata.Come fare, dunque ? Dove trovare i denari che

    volevo, che dovevo avere a tutti i costi per le spesemie, per dar da mangiare alla mia anima ?

    Ricorsi a pi mezzi : prima di tutto all' economia.

  • 37

    Mi davano due soldi al giorno per il companatico dellacolazione. Io spendevo sette centesimi. Ogni settimana cinque giorni di scuola eran tre soldi : un

    volimie della Biblioteca del Popolo o tre quadernidi carta.

    Poi c'era la mamma. La mamma era, com' giusto,pi misericordiosa del babbo. Vedeva la mia passione,mi compativa. Anche lei, poveretta, non aveva moltipi soldi di me appena quelli lasciati dal babboper le spese di casa, giorno per giorno. Eppure, a forza

    di indicibili risparmi ed espedienti trovava il mododi darmi due, tre e anche quattro soldi per settimana,che si tramutavan subito in dispense di libri illustrati,

    in carta rigata a casellini (perch c'entrasse pi roba)o in giornali di letteratura.

    Altro mezzo era il ladrocinio e non mi vergognoa confessarlo. Per molti anni mi son dato, cautamentema di continuo, al piccolo furto domestico. A volte lamattina presto, mentre il babbo era ancora a letto, riu-scivo li fra il buio ad acchiappare qualche soldo neltaschino della sottoveste appesa a un attaccapanni

    oppure non rendevo il resto di qualche spesa se il babbose ne scordava o dicevo di avere speso qualcosa dipi o di avere perso una parte dei quattrini per lastrada. Mi gridavano ma era tanto il conforto di queipochi soldi nascosti !

    Tentai anche il commercio ma con poca fortuna.Mettevo da parte la carta da involti e la vendevo

    facevo raccolta di nccioli di pesca, compravo e riven-devo francobolli usati ma i guadagni eran difficili emiserabili.

  • 3

    E a dispetto dell' economie, della compassione ma-tema, delle truffe e dei commerci succedeva a volteche non avevo niente, proprio niente, neppure un soldoper comprare un giornale. Erano i giorni in cui strappavole pagine bianche dei hbri o i fogli dei quaderni discuola per poter scrivere ; in cui mettevo un po' d'aceto

    nel fondigliolo polveroso deh' inchiostro pur di poterinzuppare la penna, erano i tristi giorni in cui stavofermo pi del solito alle cantonate o alle mostre de' libraiper leggere di straforo le mezze colonne dei giornali oqualche pagina di libro.

    Quanta passione in quei tempi ! Giorni bigi di freddo,di solitudine e di miseria senza speranza ! Quanta di-sperazione per la carta che sugava e in cui l' inchio-

    stro cattivo si spandeva malignamente confondendo leparole e il pensiero ; per un pennino spuntato che nonvoleva scorrere e in casa non ce n'era pi

    ;per la ostina-

    zione di un libraio che non mi voleva dar quel libro permezza lira di meno e io non avevo quattrini abbastanza !

    Anche a forza di sotterfugi, di preghiere, di inganniero sempre il povero, il ragazzo povero e silenzioso che

    nessuno vede volentieri. I Ubrai mi davan poco ascoltoquando chiedevo il prezzo di un Ubro sapendo ormaiche potevo disporre di centesini e non di Hre i pa-droni dei barroccini non avevan piacere che stessi tanto

    a sfogliare e a leggicchiare perch il pi delle volte noncompravo nulla o compravo librettucci di scarto daspender poco, o magari volumi scompleti i giorna-lai mi davan guardatacce perch mi studiavo di leg-gere a tradimento,

    t^ Ma io ricordo sempre con orgoglio le umiliazioni di

  • 39

    quegli anni. Quante volte son passato e ripassato di-nanzi a una vetrina, adorando cogli occhi un libro lun-gamente desiderato, e senza cuore per chiederne il prez-zo ! E quante volte tastavo in tasca i pochi soldi, e liricontavo per la paura di averne meno o di averli

    persi, ed entravo in bottega col viso bianco, timido,e zitto, aspettando che il padrone fosse solo per dirquel nome e quel titolo.... Quanto mi disprezzavanoallora, librai, padroni, compagni, parenti, tutti ! Ra-gazzaccio scarno, silenzioso e mal vestito, cogli occhifissi di miope, le tasche piene di fogli, le mani sudicied' inchiostro, le pieghe della rabbia e della tristezza in-tomo alla bocca e la mia ruga diritta che comin-ciava a incidersi in mezzo alla fronte.

    Eppure : cosa chiedevo ? Forse di andar vestitocome i signorini modello delle incisioni virtuose, tuttiquanti attillati e ingolettati ? Forse di mangiar carne edolciumi fino al vomito e all' indigestione ? Chiedevocase belle, viaggi, fucili, cavalli di legno o teatri ^i bu-rattini ?

    Ero brutto e spregevole lo so e lo sapevo ancheallora, ma pure sotto quella bruttezza e quella mi-seria c'era un'anima che voleva sapere, conoscer la ve-rit, imbeversi tutta di luce e sotto quel cappellacciountuoso e quella testa spettinata c'era un cervello chevoleva capir ogni idea e dappertutto ragionare o so-gnare c'era una mente che di gi guardava quel cheglia Itri non vedono e si nutriva l dove i pi non tro-vano che vuoto e desolazione. Perch nessuno ha ca-pito e mi ha da,to quel che mi toccava per diritto ?

  • ^40

    Per non mi lamento di quella miseria n mi ver-gogno delle passate umiliazioni. La facilit della vitami avrebbe fatto, forse, pi vigliacco, meno appassio-nato e, alla fine, pi povero. L'amarezza continua di chinon ha e non pu avere mi ha tenuto lontano daglialtri, e ha costretto il mio spirito nel laminatoio deldolore che 1' ha reso pi pulito, pi affilato e pidegno.

  • VII.

    La mia campagna.

    Oltre che a' libri ed a' morti debbo l'anima mia aglialberi ed a' monti. La campagna mi educ quanto labiblioteca. Una certa e determinata campagna : tuttoquel che c' di poetico, di malinconico, di grigio e di

    sohtario in me 1' ho avuto dalla campagna di Toscana,dalla campagna ch' intomo a Firenze.

    Mio padre, uomo di poche parole e di curiosit in-tellettuali superiori al suo stato, mi portava ogni do-menica, fin da bambino, fuor di porta. S' andava viasoli, dopo mangiato, senza parlare. Il babbo sapevacerte strade solitarie, deserte, fuori di mano, dove sicamminava adagio adagio per ore intere e senza in-contrare un'anima. Non sempre veramente : qualchevolta ci s' imbatteva in un prete, in un contadino,in una vecchia. Ci salutavano e si tirava di lungo.

    Il babbo era quasi sempre soprappensiero ioruminavo fra me precoci disappunti o ingenui abbozzid'idee. Ma guardavo. Di sopra ai muri in cui la stradaera incassata si spenzolavano i rami convulsionaride' bigi olivi o sfilavano i rosai nani, poveri, non cu-

    rati, i rosai colle rose fradicie e sbiancate che cascavano

  • 42

    foglia a foglia gi nella zanella a marcire. Quante mi-glia rasente a quei muri ! Muri che vedo ancora ; muribassi, quasi muriccioli che invitavano la gente a se-dere ; muri umidi, toppati di licheni bigi e di fungaieverdi, colle scolature nere e luccicanti delle feritoie

    ;

    muri altissimi, con alberi grossi, neri e fronzuti in alto,quasi a sostenere giardini pensili ; muri nuovi, appenafuori di porta, incalcinati da poco e decorati di rusticigraffiti da manovale. Ogni tanto un cancello di villa

    cancelli chiusi e scuri, contro i quali saltava e rintro-

    nava di dentro, il cane abbaiante ; cancelli spalancati,con un cipresso per parte, come per guardia, e un viale

    che andava in su, in pendo, fra siepi di mortella e diaMoro. Ogni tanto i muri si aprivano e succedevano lesiepi vive, alte, ptunose, bianche di brina e di neve ininverno, bianche di fiori in primavera, nere di morealla fin dell'estate. E pi lontano ancora sparivanomuri e siepi e la strada soHnga e massicciata (come iviottoli conventuali in montagna) saliva tra i cipressi ogli abeti e avevo l sotto le valli solcate e i prati

    bagnati e i fondi di nebbia e l' illusione dell' infinito.A me pareva di rinascere. Soltanto lass, col vento

    in viso, senza cappello, senza pensiero preciso, sentivo

    di vivere come avrei voluto sempre. Quando si riscen-deva per tornare in citt la tristezza mi riagguantavail cuore e il pungente crepuscolo della sera accompa-gnava la mia nostalga coi tocchi delle fievoli cam-pane inascoltate. Allora, per non staccarmi da quelmondo libero e fresco, ne portavo con me qualchepezzo : un'oliva nera, grinzosa, lustra, trovata gi tra

  • 43

    le foglie ; una ghianda colla sua coppa nispida ; un sassomarmoreo scheggiato e tagliente a mo' di catena alpe-

    stre ; una pina dura e verde ; una coccola di cipresso ;un marron d' india ; una- ciocca d'aghi d'abete : una

    gallozzola di cerrc... A me piaceva tutto quel che erasemplice e rozzo tutto quel che aveva un non so chedi montagnolo e di non curato quello che davail senso della durezza, della solitudine, della vita sana

    e senza giardinieri.

    Io non son nato per le campagne ricche, lussureg-gianti, meridionali e tropicaU non son nato per ifiori vividi e profumati, per i frutti grassi, per il sole.

    La campagna che sento io, la campagna mia, quelladi Toscana, quella dove ho imparato a respirare e apensare ; campagna nuda, povera, grigia, triste, chiusa,senza lussi, senza sfoggi di tinte, senza odori e festoni

    pagani, ma cos intima, cos famihare, cos adatta allasensibilit delicata, al pensiero dei soUtari. Campagnaun po' monacale e francescana, un po' aspra un po' ne-ra, ove senti lo scheletro di sasso sotto la buccia er-bosa, e i grandi monti bruni spopolati si rizzano aun tratto quasi a minaccia delle valli placide e frut-tifere. Campagna sentimentale della mia fanciullezza

    ;

    campagna eccitante e morale della mia giovent, cam-pagna toscana magra ed asciutta, fatta di pietra se-rena e di pietra forte, di fiori onesti e popolani, di ci-pressi risoluti, di quercioli e di pruni senza moine,quanto mi sembravi pili bella delle campagne famosedel sud, colle palme e gli aranci e i fichi d' india e labianca polvere e il furente sole d'estate I

  • -^44

    S'andava fuori d'ogni stagione ma quando riac-cendo i ricordi non vedo che inverno o autunnoo primavera piovosa : cieli coperti, uniti, grigi, chiusi

    ;

    vento mordente o la quiete fredda e imbronciata dellaterra che pena e lavora nel profondo. Non vedo maisole ; non sento mai caldo ; o vedo un solicello an-nacquato che viene a occliiate di tra le nubi in viaggioe fa sembrar pi nera la terra ogni volta che risparisce.Vedo la campagna come sotto un cielo di nord, contutto il raccoglimento e il deserto dell'anno che finisce,dopo che l'ultimo ramiciolo dimenticato raggrinzitosui tralci secchi della vite.

    E mi ricordo bene di certe corte e ventose giornatedi gennaio e di febbraio, quando si camminava vialesti per le strade dure, ghiacciate, che risonavanosotto i passi fra muri asciutti che rimandavan gli echi,sotto le sfilaccicature bianche delle nuvole alte. A forzadi camminare tornavo a casa coi piedi brucianti e il visoacceso, tutto vibrante e vigoroso come se tornassi dauna vittoria.'E la casa povera e buia, e la mia cameruc-cia fredda e arruffata, con una lucernina a olio, d'ot-

    tone, che dava poco lume e un so che di mortorio, mipareva il ritomo alla mediocrit, alla schiavit allamorte. Allora prendevo un libro e leggevo alla fiochis-sima luce di quella funebre lucerna e a poco a poco tuttoil mio corpo si raffreddava, i piedi tornavan gelati, latristezza raddoppiava ed io mi buttavo sul letto a sep-pellir nel sonno i desideri inespressi e i sogni indeter-

    minabili di una vita troppo diversa da questa eda ogni vita^'\

  • appassionato

    lo lasciai per sempre la vita delle pianure.

    Ibsen.

  • vili.

    La scoperta del male.

    X-Da una fanciullezza selvatica e precocemente intro-spettiva ; da un'umiliata solitudine imposta dalla timi-dezza, dalla diversit e dalla miseria ; dalle ripetute

    disfatte di un'enciclopedismo troppo ambizioso ; dallirismo elegiaco rimuginato per strade grigie, tra murianneriti sotto cieli di cenere ; dai confusi impeti versouna vita eroica, degna, poetica, subito negati e anne-gati nella maledetta quotidianit di una vita ridotta,provinciale, striminzita e mortificante sci un pessi-

    mismadisperato e chiuso in s come una fortezza senzafinestre" Appena l' intelletto alla fine dell'adole-scenza fu maggiorenne chiese alla vita le sue ragionie non ebbe risposta. La teoria dette forma alla malin-conia. Alla tristezza fisica e assoluta dei pomeriggi dellefeste invernali tenne dietro l' inchiesta sui beni e sui

    mali dell'esistenza e lo spirito rispondeva di no a ognipromessa ; replicava di no a ogni bugiardo sogno, aogni falso piacere e soffiava sugli ultimi incanti come

    il vento di mezzanotte sulle poche fiamme rimastedi una luminaria andata male.

    Al languore delle veglie fantasticanti, quando vien

  • -48-voglia di compianger s stessi, senza ragione, come nonsi compianger mai nessuno, seguirono le ricerche sullanatura del dolore, sulla brevit delle gioie, sulla bilan-cia della felicit terrestre ; ai sonetti patetici per la

    fine dei giorni e degli autunni segu la ferma inten-zione di protestare pubblicamente e razionalmente con-tro la bestiale accettazione della vita.

    A quella et la perpetua domanda inutile si ripre-sent a me con le stesse parole di tutti i tempi e ditutti i tediati : La vita degna d'essere vissuta ?

    Cosa potevo rispondere ? La vita poco mi promet-teva e nulla mi dava. Non potevo aspettarmi ricchezze, non trionfi negli studi, poich fin dal principio avevoinfilato per necessit di cose mia strada breve e me-diocre di scuole, non amore di donne perch bruttoe pauroso, non sterminatezza di sapere che le im-prese troncate mi facevan male a pensarci. Pochi sicuravan di me nessuno mi voleva bene, eccetto ilbabbo e la mamma, troppo lontani da quest'animache da loro veniva e pur anche a loro sembrava stra-niera.

    Non mi restava che il pensiero : sempre m'era pia-ciuto generalizzare, stringer rapporti tra fatti lontani,

    indovinar leggi, smontare e rimontar teorie. Poco pri-ma, fresco della Scienza nuova capita male, m'ero messo

    in testa di costruire una filosofia della storia letteraria

    e mi ero immaginato di aver scoperto i corsi e i ricorsidell'arte, le cause delle grandezze e delle decadenze nelleletterature. Fin da allora il Taine mi apriva il cervelloe mi faceva invidioso per quella sua facilit di com-

  • po-

    pone schemi chiari, ordinati e simmetrici d' idee, ap-pena coloriti, tra una linea e l'altra, da manate difatti

    ;gi il demone teorico insidiava il fanciullo poeta

    e m' imboccava le formule, le sentenze e i ben dedotticorollari.

    Il pensiero gi armato si butt dunque su questavita miserabile senza carnevali e senza fari e fece pre-sto a scoprirne il vuoto e il rinchiuso dolore. tuttaqui ? A ogni desiderio una ripulsa, a ogni aspirazioneuna smentita, a ogni sforzo una schiaffo a tutta lavoglia di felicit che ci prende a Sedici, a diciott'annila promessa del nulla. Il nulla mascherato in centomaniere ! Fede, gloria, arte, azione, paradiso, conqui-sta : maschere sul volto, occhiaie senza occhi, bocchesenza lingue, baci senza risposta.

    La vita, per esser comportabile, va intensamente vis-suta. La sensibilit la riempe di momento in mo-mento e se pur muta simile ad acqua che passaalmen ci trasporta come una corrente che pu sem-brare eguale ed eterna. Ma se la vita si analizza e sispoglia e si spella col pensiero, colla ragione, colla lo-gica, colla filosofia allora il vuoto si addimostra senzafondo, il nulla confessa francamente esser nulla e ladisperazione si appollaia nell'anima come l'angelo sipos sul sepolcro disertato dal figlio d' Iddio.

    Cos accadde che mi affermai, con tutto l'ardoredi una vita ascendente, nella negazione la vita.La mia risposta la sola possibile allora allamaligna ingiustizia della sorte e alla silenziosainimicizia degli uomini fu la persuasione dell' in-

    Papini, Un uomo finito 4

  • 50

    finita vanit del tutto, della canaglieria congenita edell' infelicit indistruttibile del genere umano.

    Il mio pessimismo, per quanto lo proclamassi e locredessi radicalissimo, non fu conseguente e non arriv

    fin dove poteva e doveva giungere. Fu, sul principio,sentimentale, poetico-letterario. L'enciclopedico arrab-

    biato e il lirico germinante che erano in me si diviserol'opera. Anche la scoperta dell' infelicit della vitafu pretesto a nuove compilazioni. Raccolsi nelle mieletture tutti gli sfoghi dei poeti, le battute dei dram-matici, gli incisi degli oratori, i moniti dei predicanti,gli aforismi de'mezzi e degli interi filosofi dove fosse, ve-lata o no, dimostrata o lamentata, l'inutilit dell'esi-stenza, il sopravvento del male, la tristezza dei sogni

    interrotti, delle illusioni lacerate ; l' accoramento del

    passato irritomabile ; la disperazione che piega e stronca

    l'anima quando s' girato attorno alla vita da ogniparte isola breve e appena illuminata dell' infinitogorgo del nulla. Messi insieme cos un funereo zibal-done di dolore fatto verbo, dove i distici, i paradossi,i lagni, i rimpianti di uomini lontani nello spazio,nel tempo e nello spirito si ritrovarono accozzatiassieme, come il coro angoscioso dell' umana incon-

    tentezza.

    Non per curiosit letteraria soltanto : ero sincero.l ritrovar negli altri quegli sconforti e quelle maledi-zioni mi dava animo. Mi sembrava di non esser pisolo, di aver ritrovato i fratelli, i compagni nati perme, i morti consolatori. Mi sembrava di non potere avertorto nella mia negazione e che questa non fosse sol-

  • 51

    tanto la vigliacca protesta di un ragazzo sciupato dalla

    disordinata sognera.

    Ma non facevo soltanto centoni di sentenze : pen-savo io stesso di fare il libro, il vero libro sulla vita ;il libro che avrebbe dovuto decidere una volta per sem-pre ogni uomo a far di s stesso e degli altri e dell'esi-

    stenza intera queUa disistima che meritano. In queltempo m' imbattei per la prima volta in im grandefilosofo. Leggicchiai, lessi, meditai Schopejahauer, abrani, a pezzi, a intervalli, ma abbastanza per sentireche la scienza agevole del librettini di geologia o d'evo-luzione non era il punto pi alto al quale potesse giun-gere r intelligenza conoscente. E

    .

    tentai di tracciare

    una storia del pessimismo e percorsi cos, a gran gior-nate, la storia della filosofia, dove altre idee, oltre quellenegativa* e dolenti, mi attrassero e mi incuriosirono.

    L'erudito non era pi solo : il teorico cresceva es' irrobustiva. L'assettatura del mio sistema pessimi-stico fondato sulla legge che sono necessariamenteirraggiungibili giustappunto i fini pi desiderabili fuaccompagnata da gioie intellettuali quasi nuove perme. E non dimenticai d'esser portato agli estremi ealla totalit. Mi dispiaceva in Schopenhauer l'ostilital suicidio. Io preparai invece, come ultima parte dellagrande opera, una stoica propsta di suicidio univer-sale. Non gi per chiasso : non vedevo altra via d'uscita.Suicidio individuale no, perch ridicolo e inutile ; masuicidio in massa, suicidio cosciente e concordementedeliberato, tale da lasciar sola e deserta la terra a ro-tolare inutilmente nei cieli. Immaginavo di poter fon-

  • 52

    dare una societ la quale si sarebbe dovuta v^a viaaccrescere ed estendere insieme alla diffusione del mioinconfutabile libro. Quando questa lega dei disperatiavesse esattamente combaciato coU'umanit intera sisarebbe dovuto scegliere il gran giorno la fine 1Avevo pensato anche ai mezzi e mi parve che il velenofosse assolutamente da preferirsi.

    Sciocchezze, fanciullaggini ! Eppure il pensiero fsso

    di dover esser l'apostolo di questa suprema conclu-

    sione della vita fu per me, un certo tempo, l'unico

    pretesto per rimanere ancora in vita. E acconsentii avivere soltanto colla buffa speranza di far morire tutti

    gli uomini insieme a me.

  • IX.

    Gli aliti.

    Ma non ero pi solo. Gi sul finire dell'adolescenzaero uscito da quell'ombrosa solitudine fanciullesca chemi aveva salvato l'anima dall' incanagliamento pre-coce dei ragazzi compagnoni. Avevo un cuore anch' io.Sentivo d'aver qualcosa da dire e volevo parlare, sfo-garmi. Fino allora tutto l'amore compresso di cui erotolmo l'avevo dato a me stesso. M'ero commosso suicasi miei, sulla mia vita senza scopo e senza uscita.Avevo chiamato la morte presso di me in cattivi e pa-tetici versi italiani e francesi ; e avevo pianto su quellamia morte vicina ed oscura. La notte, pensando a me,alla mia sorte miserabile di uomo a cui era chiusa ognistrada e rifiutata ogni gioia, piangevo. Di giorno por-tavo negli occhi stanchi e nel mio vestito sempre nerouna specie di lutto anticipato di me medesimo.

    Avevo bisogno di affetto. Volevo sentire una manonella mia mano, volevo essere ascoltato e ascoltare

    ;

    aver qualcuno a cui dire in segreto, nell'abbandonoindimenticabile delle prime amicizie, quei sentimenti,quei desideri e pensieri, che non si possono dire aibabbi e alle mamme. Volevo qualcuno eguale a me,

  • 54

    per lavorare assieme ; qualcuno pi grande di me perimparare, per essere guidato ; qualcuno al di sotto dime, per aiutare e ammaestrare.

    Spiavo nei volti e nei cuori e non trovavo il pidelle volte che compatimento o disprezzo oppure,

    peggio I quell'odiosa e troppo facile camerateria deigiovinetti malavvezzi che ti pigUan sotto braccio perparlarti di casini e biciclette. De' compagni di scuola,francamente, non volevo saperne. Che roba ! Filisteigoderecci in calzoni corti ; sgobboncelli lividi e mastur-

    batori ; beceri rompicoglioni e quell'esoso, finto eravviato primo della classe ! No, no. Per me ci vo-levano cuori amorosi e, specialmente, cervelli attivi edaperti. Gente come me ; di quelli che fanno a scuolapoca figura ma che leggono, pensano, ruminano e hannocuriosit insolite e sogni balzani per la testa. Uno solone trovai a scuola ma non era scolaro : era un maestro.Maestro per necessit e poeta per natura. Giovane egeneroso com'era seppe scoprire nelle mie parole ene' miei sguardi l'anima che per tutti era muta. La suavenuta nella mia vita fu come l'apparizione dellaprima stella nel lungo indugio d'un crepuscolo serale.Egli incoraggi i miei impulsi poetici ; seppe apprez-zare le mie vagabonde ricerche letterarie e, per quantosuperiore, mi tenne alla pari. Fu il primo che in quelragazzo sperso seppe vedere un uomo.

    Ma lui solo, per quanto cordiale fosse la sua patemaamicizia, non mi bastava : io cercavo i giovani, i gio-vani come me, e tanto cercai che nel giro di pochianni feci parte di- gruppi o cenacoli che a me sem] ra-

  • 55

    rono, almeno sulle prime, banchetti e paradisi d' in-telligenza .

    Cominciai col far comunella con due studenti pivecchi e istruiti di me (sapevan di latino e di greco !)coi quali fondai una specie di congrega letteraria che

    si chiam la Trinit. Si fece lo statuto in regola e sinominaron le cariche : ognuno di noi fu, l dentro,qualcosa.

    La nostra legge ordinava che ciascuno, volta a volta,dovesse sostenere ima tesi e scrivere una specie di me-moria che doveva esser letta e discussa dagli altri dueai quali era imposto, pena la vergogna, d'esser sempre

    contrari al terzo. Quando fu la mia volta buttai gi inuno scartafaccio di pi di cento pagine- una stronca-tura cavillosa e violenta dei Promessi Sposi. Codestolibro l'odiavo fin da quando, a scuola, m'era toccato,per un anno intero, far l'analisi logica e grammaticaledelle mediocri disgrazie di Renzo Tramaglino e diLucia Mondella. Quella contadina senza passione ; quelprete coglione e vigliacco

    ;quel frate che aveva sem-

    pre pronta sotto la tonaca la predica o la benedizione ;quell' innominato che fa il terribile sul serio e poi silascia sconvolgere dai singhiozzi di una plebea bigotta

    e umiliare dalla scaltra oratoria di un santo mi secca-vano o mi facevan rabbia. Non sentivo tutto quelche d'arte pura e grande v' in molte pagine di quellibro troppo famoso mentre quell'aura pietosa e cri-stiana che vi spira dentro

    ;quella acquiescenza servile

    ai voleri del Signor Iddio;quella punizione esemplare

    dei peccatori accompagnata dal trionfo discreto dei

  • 5t>

    semplici e dei disgraziati mi faceva rivoltare con tuttoil fuoco del mio spirito satanico e carducciano.

    Lessi, su in campagna, sotto un bel cielo vivido di

    febbraio, la mia stroncatura e su quei due che di-vennero in seguito egregi e rispettabili servitori dello

    Stato fece un' impressione pessima. Ma come ? Ilpi piccolo, il pi giovane della trinit mettersi a di-leggiare, sbeffare e sgonfiare uno dei cap)lavori delgenio italiano ! Va bene l'audacia, il coraggio, la man-canza di pregiudizi ma fino a quel punto no dav-

    vero ! La discussione fu pi acida e litigiosa del solito.Rividi spesso i miei due censori e ci parlai ancora madella trinit non si parl pi, n allora n mai.

    Per fortuna incontrai poco tempo dopo un uomo

    aveva assai pi anni di me ch'era tutto il contrario

    di quegli altri ; poeta (cio scriveva poesie in versi e

    in prosa) ; musicista (suonava il flauto) ; entusiasta,cordiale, e stravagante come volevo e desideravo. Co-

    nosceva e amava gli stessi scrittori del mio cuore (Poe,Walt Whitman....) ; m' inizi a Baudelaire ; mi dettea leggere libri meravigliosi e nuovi per me : Flaubert,

    Dostojevski, Anatole France ..La sua vita era doppia : amministratore, o che so

    altro, durante il giorno era un sognatore ardente e

    scapigliato la sera e la domenica. Scriveva moltissimo

    e aveva trovato perfino il n^zzo di far stampare qual-

    cosa di suo ne' giornali. Mi fece conoscere altri amicisuoi, artisti o che volcvan esser tali : un poeta delica-

    tissimo, dovizioso di immagini, languido di tutte le

    malinconie, heiniano e dannunziano insieme, lettore

  • 57

    furibondo di tutte le letterature e, in fondo, scrittore

    di razza. Era alto e fine come un gambo di giglio ;pallido come un novizio mistico ; pudico e fragile

    come una vergine, ma era tisico e mor presto.Conobbi insieme a loro anche un pittore misterioso

    e funereo, appassionato di Boecklin ; im violinista mezzomatto, improvvisatore furioso (sul piano) di marcietrionfali ; un compositore principiante, che andava per-petuamente in cerca di libretti, di lezioni di canto e

    di mogli altrui.Non eran quelli, come vidi pi tardi, uomini tali da

    potermi dar molto o da' quali si potessero aspettareopere grandi. Pure fu quello, per me, dopo la ghiaccialibresca, il primo contatto col mondo caldo e vivodell'arte, Jn quel facsimile di boheme di citt piccolatutte le attivit dello spirito eran rappresentate. Ve-

    devo in loro gli uomini che facevano, che creavano,che avrebbero raggiunto un giorno o l'altro la gloria enon pi le immagini intiri/zite dei morti celebri, so-lenni' e seppelliti.

    Da quelle giovinezze oscure, affannate, ubriacate daisogni e dilaniate dai dubbi sarebbero usciti i geni didomani, i conquistatori dell'eternit, i donatori felicidelle bellezze nuove. Ed io volevo essere uno di loro,sentirmi compagno, fratello in questa sotterranea ri-cerca della bellezza e della fortuna.

    Ci si ritrovava tutte le feste in casa del maggiorefra noi : si pigliava il caff ; si fumava (le prime siga-rette !); si parlava con enfatica sincerit di un libronuovo, di uno scrittore scoperto allora, di un articolo,

  • -58-di un'opera ; si discuteva, si leticava, s'urlava. Op-

    pure i poeti leggevano fra le iixtexruzioni dell'entusia-

    smo di tutti i poemetti scritti durante la settimana ;e imo intonava sul flauto una pastorale di monotonatenerezza ; e un altro suonava Bach o un pezzo di mu-sica sua.

    V'era in noi tutti la fefjpa speranza d'esser desi-gnati alla gloria e alla grandezza. Ognuno di noi am-mirava l'altro e n'era ammirato. Non c'erano invidieo rivalit. Si voleva essere ingannati e sognare : unadelle frasi pi ripetute fra noi era : che bisognava berea gran sorsi nella coppa della chimera . Cosa poi fossee in che consistesse questa famosa chimera di cui sifaceva im cosi smoderato uso domenicale non ho maipotuto sapere.

    Fra quei cinque affiliati avevo anch' io la mia parte.Rappresentavo l dentro il critico, l'erudito, il filosofo.

    A me si rivolgevano per aver notizie storiche o titolidi libri o lumi precisi sulle teorie di moda Godevopresso di loro una fama di sterminata sapienza, chesolo in parte, e rispetto all' ignoranza degli altri, sen-tivo di meritare. Ma codesta reputazione e la mia nondel tutto vinta taciturnit mi rendevano autorevolee temibile pi del bisogno. E a loro,, quasi per pauradella enorme stima che avevan per me, non lessi mainiente di quel che pure andavo scrivendo concitata-mente in quel tempo attorno ai pi imbrogliati problemidella vita e della morte.

    Per quanto mi sentissi bene in quella periodica ba-raonda poetica pure sentivo che non mi bastava, che

  • 59

    qualcosa di pi andava cercando il mio spirito, ormaiassuefatto e portato alle estratfezze e alle costruzioni

    concettuali. L godevo al calore di quell'entusiasmoleggero e un po' volgare ; la poesia mi allargava e affi-nava la sensibilit ; la musica, assaporata allora per le

    prime volte, accompagnava con ritmi pi gravi le miegaloppate visionarie.

    Ma non sentivo in nessuno dei miei nuovi amici lapassione per il pensiero nudo, l'abitudine del ragio-namento, il gusto e la pratica della schermaglia logica.

    E dopo un paio d'anni avvenne il mio tradimento : liabbandonai a poco a poco per altri compagni, per altreorgie cerebrali

    Eran tre, i nuovi. Uno studente di medicina, biondoe bello, che preferiva Shelley e De Musset ai trattatidi psichiatria e la galleria degli Ufzi alla sala anato-

    mica ; un quasi dottore in lettere, nano e loquace, fni-gatore di librerie, poeta in incognito, a volte bombonee sfargione ma infine buon figliuolo ; un ragazzaccio,minore di tutti noi, irregolare in ogni cosa, scolarodi nessuna scuola, studioso di nessun argomento, ne-

    mico giurato d'ogni disciplina ; sfiduciato di s e orgo-gliosissimo ; cinico e malinconico. Sentii subito che inquesto. qui c'era pi anima e stoffa che negli altri duee a lui, specialmente, mi accostai fin dai primi tempi.Lo stesso giorno che lo conobbi ci leticai ma in seguitol'ebbi alleato contro gli altri due che rappresentavanonei nostri numerosi ritrovi quotidiani la poesia, la let-teratura, l'eleganza, lo snobismo irr una parola quellospirito dannunziano che cominciava allora a gonfiare

  • 6o

    e marcire anzi tempo i giovani italiani. Noialtri due,invece, s'era per il fatto, per il sapere certo, per 1' ide,

    per la teoria semplice e simmetrica, per la dura filosofia.Per molti mesi si riusc a stare insieme e a discu-

    tere renza troppa amarezza. Alcune simpatie comunie specialmente alcuni odi da tutti fortemente sentiti,ci tenevano stretti insieme. Alla fine per si comincia punzecchiare e a pungere ; dall' ironia si pass pie-sto al sarcasmo all' ingiuria, ali 'assalto. La compagniafin misteriosamente : ci fu per aria un sospetto tra-gico. Finalmente si venne d'accordo alla separazioneassoluta e perpetua : due di qua e due di l. Rivedoancora la cantonata e l'ora in cui fa deciso e sbrigato

    in poche parole l'irrevocabile abbandono. Ci sepa-rammo senza addii n strette di mano. Ed io rimasi,nell'appressamento della sera, con un amico solo, colsolo anodco di tutta la vita, con un amico tutto per me.

  • X.

    Lui

    Caro Giuliano ! Son onnai trascorsi dodici anni epi da quell'autunno afoso e piovigginoso in cui lenostre anime sperse s' incontrarono e si ritrovarono.Possiamo parlare di quei tempi pacatamente, serena-mente, come se non si trattasse proprio di noialtri cheabbiamo ancora gli stessi nomi e cognomi e tante me-morie in comune. Non siamo pi gii stessi. Non sonopi io non sei pi te. A un certo punto abbiamopreso diverse strade. Tu sei ora un uomo serio, rispet-tato, operoso : hai ammiratori, seguaci, forse disce-poli. Hai fatto le tue campagne

    ;puoi mostrare le tue

    ferite ; hai saputo creare dal nulla qualcosa che sta,che regge e che rende ; hai voluto nascondere le traver-sie dolorose della tua anima complicata sotto il grem-biule del manovale e gli occhiali del ragioniere.

    Io son rimasto un po' sempre il giramondo estrosoe senza timone di quei tempi l : non ho arte nparte ; non ho la pietra di una certezza su cui posareil capo ; non ho un pezzo di mondo eh' io possa cingerdi muro e dire : mio ! Ma son mutato anch' io e come 1

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    Possiamo dunque parlar di quegli anni con tuttala verosimiglianza della calma, come se fosse storia estoria d'altri. Ma non posso fare a meno di parlarne ;la nostra amicizia non fu come tutte le altre : frivola,passeggera, sentimentale. Tu devi riconoscere che nonfu come tutte le altre.

    Io non so se tu abbia mai sentito profondamente, intutta la sua pienezza, che avvenimento gra\e e bello stata la nostra lunga fraternit. Per conto mio nonso rivedere la mia vita di quegli anni che accompagnatadaUa tua figura di laborioso ed eccitabile giacobino.Mi vedo con te contro n vento d' inverno e contro ilpolverone d'estate ; appoggiato sulle spallette. dei lun-garni a contemplare l' inutile furia della pescaia ; di-steso sull'erba, sopra una vetta del Mugello ; chinato

    a frugar sui barroccini di libri usati o seduto in silen-zio alla tavola sparecchiata d'un'osteria di campagna.Per quanti sforzi faccia non mi vedo mai solo. Ricordogiorno per giorno la nostra vita comune e nient'altro

    all' infuori d quella.

    Ti rammenti della tua prima casa, in quella stradapulita e solitaria, fra palazzi e giardini ben serrati,dove non passano verso sera che amanti e portieri ?Era una casa grande e un po' gialla e per quanto nonpotesse aver neppur cinquant'anni esalava gi qualcosadi vecchio e di triste. Ti rammenti dello stanzone buiotutto pieno di libri ; magazzino di tutte le delizie ita-liane e francesi ; ubertosa terra promessa di tutte le

    mie curiosit d' ignorante ? Ti rammenti le chiacchie-rate lunghe in camera tua, davanti al tepido sfavillo

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    della legna asciutta, mentre scendeva rapida la sera ele campane suonavano senza mai smettere per qualchelutto dimenticato ? E ti ricordi quel giardinuccio ste-rile infossato tra muri umidi e finestre sempre chiusedove per la prima volta abbiam parlato commossi diStirner e della divina libert dell' io ? O ti rammenti,piuttosto, quando s'andava ad aspettare il tramontosui colli e si guardava la citt distesa vigliaccamentesulle sponde del fiume lento e si diceva : Sarai nostra ?

    A volte s'andava pi lontano, sui monti, in cercadi solitudine, di vento e di severit. La strada non pa-reva mai lunga. Si andava innanzi col nostro passolesto di camminatori impazienti e invece dei canti c-allietavano il cammino i pensieri e i paradossi. Le sailite ci animavano come una battaglia da vincere ; lescese ci umiliavano e ci ammutolivano. Si scappavapresto dai muri di cinta, dalle siepi di fil di ferro, daicampi rigati a solchi diritti come un quaderno di scuola.Si cercava l'altezza e la libert ; le strade senza la re-gola delle fratte ; i viottoli e le scorciatoie ; le macchiespoglie ; l'eite sassose che portano alle case disabi-tate. E quando si giungeva in cima, sotto i muri di unconvento povero e chiuso o presso alle pietraie dei ca-stellacci in rovina, si cantava la marsigliese nel gelidosilenzio di febbraio dinanzi alle valli deserte e sconso-late, alle montagne lontane, nere di povert lungo lecoste, bianche di luce e di neve verso il cielo arruffatodi nuvolaglia e il nostro petto s'allargava sotto l'an-sito dei polmoni e il battito del cuore. Quanto s'eralontani dalla citt stretta e strepitosa e da tutte le

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    sante leg^i dell'uniiiazione quotidiana! Ci pareva d'es-

    ser soli nel mondo ; padroni del mondo : gli unici uo-mini degni e nobili nel mondo. Soffiava il vento spiuz-zandoci in viso qualche goccia rimasta sulle foglie in-grinzite ; viaggiavano le rigide nuvole bianche nel cielogrande senza colore ; si rammaricavano gli alberi per-cossi senza grazia da un'ondata di tramontana e l'erbebruciate e impallidite dal gelo aspettavano pazienti

    la primavera e l'odoroso :iegreto delle mammole.Caro Giuliano : noi siamo oggi due uomini e non

    pi due ragazzi. Abbiamo moglie e figlioli ; abbiamoparecchi doveri ; abbiamo, in un certo senso, curad'anime. Eppuie io credo che se qualcosa di menofalso uscito mai dall'anime nostre ; se qualcosa dinoi rester; dopo la morte, nelle anime altrui, lo do-vemmo e io dovremo a quelle fredde feste d' inverno,a quelle fughe in due verso la terra ignuda e l'al-tezza pura.

    Ricordati delle nostre serate, quand' io venivo acasa tua, nell'altra casa, dove stavi solo a scrivere ead aspettarmi. Dinanzi aHe tue finestre c'era un ci-presso, e accanto al cipresso ima salita. Si voleva benea quel cipresso ch'era un po' scompigliato e polveroso

    ma tutto nero e tutto solo su quella pimta di giardinoantico. E si guardava spesso la salita. La nostra vitaera e voleva essere una salita Tutti i nostri sogni li

    abbiamo sognati in alto, coi piedi nell'erba fradicia eil profumo delle ginestre nell'aria. Tutti i nostri pro-getti di libri, i nostri programmi di giornali, i nostripiani di azione li abbiamo concepiti e sviluppati lass,a qualche centinaio di metri sopra il mare e sopra la

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    gente. E qualunque cosa io pensassi e proponessi c'eridentro anche tu ; e nelle cose proposte da te dovevoaver parte io e l'universo era diviso nettamente, cos :

    noi due da una parte e tutto il resto dall'altra.Lass, vicino allo sbocco di via San Leonardo,

    c'erano due cipressi grossi e maestosi e quasi egualid'altezza. Stavano appiccicati assieme e non avevan

    compagni intorno. S disse una volta che queicipressi s'era roi due e che come quelli avevan com-fuso le radici sotto terra e le rame nel cielo cos noi

    volevamo esser congiunti nella vita e nell'avvenire. E sidisse pure che la sorte di quei cipressi sarebbe stata la

    nostra e che se uno di loro fosse tagliato o fulminato

    lo stesso accadrebbe ad uno di nbi.... Ti ricordi ? Mai cipressi ci son ancora tutti e due n il temporaler ha schiantati ne l'accetta 1' ha sbarbati e ci vannoancora sulla sera i passerotti a pispolar d'amore. E cisiamo anche noi due e siamo vivi tutti e due e semprevicini ma i pazzi orgogli non ci frulan pi per la testae quando passo dinanzi a' due neri fratelli abbasso ilcapo e non so perch mi si stringe il cuore.

    Non senti che fatto grave, che fatto bello statala nostra amicizia d'allora ? Io non so pi se nella tuamemoria io sia vivo e presente come tu sei nella mia.Non so fino a qual punto tu sappia che il meglio dellanostra vita comincia U e non prima e che proprio inquegli anni l'anima nostra ha scolpito per sempre isuoi lineamenti e misurata la lunghezza delle sue