10 - Il cucciolino Doki a lezione di parole

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La storia di DOKI, il cagnolino parlante

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La storia di DOKI, il cagnolino parlante

Sapete come quando qualcuno dice una semplice parolina, fa un commento strano, butta lì un giudizio e poi se ne va tranquillo come se nulla fosse suc-cesso? E quella parolina, quel commen-to, quel giudizio ti rimangono attaccati alle orecchie, ti entrano in testa e non se ne vanno più, continuano a ronzare all’infinito come una musichetta d’altri tempi dalla quale non sei più capace di staccarti e continui a cantarla fra te e te?

Accadde la stessa cosa anche a Dindondolo, quel giorno che, portando a spasso il suo piccolo Doki, incrociò lo spauracchio Passion di Fiaba che si chinò sul cagnolino, gli diede una grattatina sul collo e… – Sei così bello, Doki, che ti manca solo la parola!

È un modo di dire, d’accordo: lo si dice anche a una stupenda pianta di rose oppure a una statua o a un quadro particolarmente belli, ma Dindondolo non riuscì più a togliersi dalla testa quella frase: «Ti manca solo la parola!»

«Già – pensò continuando la passeg-giata, – Doki è un cucciolo intelligente e obbediente, corre subito quando lo si chiama e ti guarda con quegli occhioni dolci che sembrano dirti: Ma perché non posso parlare anch’io? Lo fanno tutti, nella Valle di Risparmiolandia: parlano gli spaventapasseri, parlano gli scoiattoli e pure le civette, perché non possono parlare anche i cuccioli di cane?»

Dindondolo si mise sulle spalle quest’angosciosa domanda e la portò di peso su, al Bosco delle Venti Querce,

scaricandola direttamente davanti allo scoiattolo Gellindo Ghiandedoro, che cento ne sapeva e altre mille riusciva a scoprirne!

– La tua osservazione non fa una grinza! – commentò lo scoiattolo risparmioso, dopo aver ascoltato con attenzione quel che il sacrestano spau-racchio aveva da dirgli. – Qui parlano tutti, anche le marmotte e le aquile, le oche migranti e le pantegane della discarica: perché non può farlo pure il nostro cucciolo di cane? Sai chi può risponderci?

– Chi?– Maestro Abbecedario, lo spaven-

tapasseri che insegna a scrivere e far di conto a tutti gli spaventapulcini del Villaggio, forse ci dirà se è possibile far parlare il piccolo Doki!

– Mi state domandando una cosa prati-camente impossibile! – esclamò Abbe-cedario, che aveva ascoltato con molta attenzione la richiesta di Gellindo e di Dindondolo.

– Ma se tutti gli animali sanno par-lare, nella Valle di Risparmiolandia – disse il sacrestano spauracchio, che non voleva darsi per vinto così pre-sto. – Perfino Passero Pistacchio parla come uno di noi e anche Gabbiano Capobianco!

Il vecchio maestro si tormentò le mani, sospirò più volte e scrollò la testa sconsolato – Sì, è vero, hai per-fettamente ragione, Dindondolo, ma loro sono arrivati qui che sapevano già parlare! Nessuno di noi gliel’ha inse-

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gnato!Fu Gellindo questa volta a interve-

nire: – E che vuoi che sia, per un bravo maestro come sei tu, che sa insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto!

– D’accordo, ma so farlo solo con spaventapulcini oppure con cucciolotti che già sanno spiccicar parole, perché spetta alle loro mamme e ai loro papà insegnargli a parlare: un maestro di scuola non può farci niente!

Adesso il problema era finalmente chiaro, pensò Gellindo: non bisognava rivolgersi a un maestro, per far parlare il piccolo Doki. Bastava trovare una mamma o un papà… – Ma allora tocca a te, Dindondolo! – strillò lo scoiattolo girandosi di scatto verso lo spaventa-passeri campanaro.

– Tocca a me... che cosa?– Se proprio tu quello che deve in-

segnare al piccolo Doki ad aprir bocca per parlare, e non solo per uggiolare, latrare e abbaiare!

Dindondolo ci pensò su per qualche secondo e poi: – Mi stai dicendo che dopo esser venuto da te per chiederti consiglio, e dopo essere andati en-trambi da Abbecedario per avere l’idea giusta, adesso devo tornarmene a casa mia, mettermi davanti a uno specchio e chiedere a me stesso quel che devo fare?

– Press’a poco così! – confermò Gellindo.

– Ed io aggiungo – disse Abbece-dario con un sorriso bonario, – che se veramente vuoi bene al tuo cucciolo, se sul serio vuoi il suo bene come fossi

un padre, troverai in te stesso la rispo-sta a tutti i tuoi “che devo fare?”…

Si mise a lavorare seriamente, Din-dondolo. Ogni mattina prendeva Doki accanto a sé e cominciava lunghe, este-nuanti e faticose lezioni di dizione.

– Questa è una sedia. La vedi? Su forza, ripeti con me: sedia! Se-dia!

Uiiiuuuh!... fu la sola risposta che ebbe

– E questa è una farfalla… la vedi, com’è bella, la tua amica farfalla? Dai, ripeti anche tu: Far-fal-la!

Uiiiuuuh!...E via così: – Fi-ne-stra! – Por-ta! – Cuc-cia! – Cam-pa-nel-la…Doki ascoltava curioso, piegava la

testolina da un lato, socchiudeva gli occhi e… Uiiiuuuh!... non sapeva dire altro!

Ci lavorò sopra tre settimane intere, Dindondolo, chiamando in aiuto anche i suoi amici più cari: Casoletta, Bellon-dina, Tisana la Dolce, RossoVerdeGial-lo, Pasticcia e Fra’ Vesuvio.

– Prova a ripetere con me questa parolina breve breve e assai buona – aveva provato lo spauracchio napo-letano Fra’ Vesuvio: – Pizza! Senti che facile, senti che profumata, senti che bbbuona questa Piz-za! Piz-za… Piz-za Mar-ghe-ri-ta! È un fiorellino, sì: la margherita nasce nei prati e lungo le strade, ma basta metterci un poco di mozzarella, un cucchiaiata di salsa di

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pomodoro e una spolverata di basilico, ed ecco un’ottima Pizza Margherita per tutti quanti! Che ne dici, Dindon-dolo, se stasera prepariamo una bella teglia di Piz-za Mar-ghe-ri-ta?

Quella sera a cena prepararono due teglie di Pizza Margherita, che Doki gradì moltissimo, ma quanto a pronunciare quel nome così dolce e profumato, niente da fare! Sembrava che Doki non capisse, che non sapesse come usare la gola e le corde vocali per dire anche la parola più semplice: – Mamma! – lo invitò a ripetere Pastic-cia. – Per tutti i cuccioli è la parola più semplice da dire, la prima che impa-rano. Forza, Doki: Mamma! Mam-ma! Mam-ma!

Uiiiuuuh! fu l’unica risposta del

piccolino.E se RossoVerdeGiallo provò a farlo

parlare suonando il fischietto da vigile urbano… – Fischietto! Fi-schiet-to, dai che è facile!... Friiiuuu! Friiiuuu!! Friiiuuu!!! – Tisana la Dolce tentò con gli argomenti che le erano più familia-ri: – Ecco la parola più breve che ci sia, ed anche la più dolce quando la prendi con due cucchiaini di zucchero: Tè! Ripeti, dai: Tè! Tè! Tè…

Dindondolo però non si arrese. Più Doki s’incaponiva a non rispondere e a lamentarsi con i suoi uggiolii, più il sa-crestano ci dava dentro proponendogli le parole più semplici.

– Facciamo ancora una prova assie-me, noi due da soli, piccolo mio. Forza, dai – lo incoraggiò lo spauracchio, una sera dopo cena e prima di andare a nanna.

Doki s’accucciò accanto al suo “papà” adottivo e rimase in attesa.

– Fiaba… Fia-ba! Uiiiuuuh!– Favola… Fa-vo-la! Uiiiuuuh!– Regina… Re-gi-na!Uiiiuuuh!– Buonanotte… Buo-na-not-te!Uiiiuuuh! All’ennesimo lamento, il cucciolo

chiuse gli occhi, s’accoccolò nella cuc-cia e s’addormentò all’istante, comin-ciando subito a russare sottovoce.

Poco dopo la mezzanotte Dindondolo si svegliò e rimase con gli occhi sbar-rati a guardare nel buio: l’aveva distur-

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bato un rumore, anzi, un sussurro. Una voce sottile sottile riempiva il buio della stanza con paroline mormorate nel sonno: – Buonanotte… Regina… Regina Margherita… Pizza da favola… fiaba finestra porta… So parlare, Uh come so parlare bene! Sono proprio un cucciolo fortunato, un cucciolo di cane parlante… Eh! eh! Eh!...

Il cuore di Dindondolo gli scoppiò in petto per la gioia, quasi: ce l’aveva fatta! C’era riuscito… Aveva insegnato al cucciolino a parlare e adesso le cose sarebbero andate senz’altro meglio, per tutti!

Il sacrestano balzò dal letto, andò nella stanza al piano terra del campa-nile, s’attaccò alla fune della campana Tonda e… Dinnn Donnn Dannn!... Dinnn Donnn Dannn!... cominciò a suonare a distesa e smise solo quando tutti gli spaventapasseri giunsero alla chiesa mezzo addormentati, ma anche curiosi di sapere quel che era successo.

– Scusate la levataccia – disse Din-dondolo, che aveva Doki stretto in braccio, – ma devo farvi un annuncio straordinario!

– Dev’essere proprio una cosa ve-ramente importante, se ci hai deciso di tirarci tutti giù dal letto in piena notte! – disse sbadigliando maestro Abbece-dario.

– Giudicherete da soli dopo che vi avrò detto che il mio Doki… sa parlare!

Un mormorio di stupore percorse il gruppo di spauracchi radunato nella piazzetta davanti alla chiesa. – Sei fi-nalmente riuscito a insegnargli qualche

parola? – chiese Gellindo sbadigliando a più non posso.

– Se è per quello, penso che il picco-lino ci sia arrivato da solo. È successo questa notte a mezzanotte in punto, quando sono stato svegliato da Doki che pronunciava nel sonno le parole che abbiamo cercato in molti di inse-gnargli: Fiaba, porta, finestra, Buona-notte…

– Anche Pizza? Ha detto pure Pizza Margherita? – s’informò Fra’ Vesuvio.

– Certo, ha pronunciato anche il nome della tua buona e dolce Pizza Margherita… State a sentire… Forza, Doki, dì qualcosa!

…– Sei timido, piccolo mio? Ti spaven-

tano tutti questi occhi che ti stanno a guardare? Amici, volete girarvi dall’al-tra parte, per favore? Ecco così, gra-zie… Adesso puoi parlare, Doki…

…– Dai, una parolina soltanto… picco-

la piccola! Prima, nella cuccia mentre dormivi, hai parlato a lungo, hai detto molte parole, anche quelle che noi non ti avevamo insegnato… Guarda, ripeti con me: Do-ki! Do-ki…

…Imbarazzato come non mai… in fin

dei conti aveva appena svegliato l’in-tero Villaggio suonando la campana Tonda a distesa… il sacrestano s’inner-vosì: – Se prima hai parlato nel sonno, puoi farlo anche adesso da sveglio! Coraggio, cominciamo con una parola semplice: Pa-pà! Come si chiama il tuo Pa-pà? Che nome ha, il tuo Pa-pà?

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Nel silenzio totale di quella notte strana e interrotta a metà, si udì una vocina sottile sottile, una voce da cuc-cioletto insomma, ma che asso-migliava al suono di una campanella d’argento e che disse:

– Din-don-do-lo!Doki sorrise dopo essersi ascoltato,

allungò il collo e diede una leccatina leggera sulla guancia del suo “papà adottivo” e ripeté: – Din-don-do-lo!

Un grosso applauso accolse la paro-lina pronunciata dal cucciolo e un se-condo applauso sottolineò il bacio dolce e leggero con cui Dindondolo era stato premiato dal suo “figliolo adottivo”.

Da quel giorno il Villaggio degli Spa-ventapasseri ebbe un cagnolino par-lante, anzi: un vero e proprio cucciolet-to chiacchierone, che parlava, parlava e poi continuava a parlare, saltando di palo in frasca, inventandosi le parole più astruse e ripetendo tutto quel che sentiva dai grandi.

Nessuno però si lamentò mai di quel fracasso di parole, paroline e paroloni, anche perché era un vero piacere star a vedere come andavano d’accordo il sacrestano Dindondolo e il suo piccolo, adorabile, allegro e simpatico… cagno-lino Doki!

FINE

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