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10 ICTUS ACUTO: FASE DI OSPEDALIZZAZIONE (TERAPIA) 10.1 TERAPIA ACUTA DELLICTUS ISCHEMICO 10.1.1 Terapia medica specifica 10.1.1.1 Trombolisi intravenosa Gli studi clinici di trombolisi realizzati nella seconda metà degli anni ‘90 hanno portato ad accumulare dati su oltre 5·000 pazienti, così da consentire una valutazione delle possibilità offerte da tale trattamento. 10.1.1.1.1 Trombolisi con streptokinasi Per quanto concerne la trombolisi intravenosa, i tre studi con streptokinasi (SK) 1-3 sono stati interrotti prima del termine previsto dal protocollo, a causa di un eccesso di trasformazioni emorragiche sintomatiche (OR 8,26; IC<0 0,48-142,44) e di mortalità sia precoce (OR 1,90; IC 95 1,37-2,63) che tardiva (OR 1,43; IC 95 1,10-1,88); l’endpoint combinato morte/dipenden- za al termine del follow-up era ridotto ma non in maniera significativa nei pazienti trattati (OR 0,94; IC 95 0,72-1,24). 4 Le cause di questo sostanziale fallimento della SK vanno verosimil- mente ricercate, più che nella molecola in sé, nei disegni degli studi e segnatamente nell’aver questi previsto il trattamento anche di pazienti gravi. Tutti e tre gli studi, infatti, hanno esclu- so dal trattamento pazienti molto lievi o con sintomi in rapido miglioramento, mentre hanno arruolato pazienti anche gravi, cioè in stupor o coma; solo nel MAST-I viene riportata l’esclu- sione di pazienti in “coma grave”, termine non ulteriormente specificato ma che sottintende che pazienti in stupor o coma iniziale siano stati randomizzati. 2 Altro elemento chiamato in causa per rendere ragione dell’elevato rischio di danno iatrogeno correlato con la SK è l’uso concomitante di ASA. 2 Infatti, il confronto separato post-hoc del sottogruppo trattato con sola SK con quello trattato con SK ed ASA ha evidenziato che l’associazione comportava un aumento significativo dei decessi totali e di quelli da morte cerebrale conseguente a trasfor- mazione emorragica grave. 5 Attualmente, quindi, non sussistono indicazioni all’uso di SK nel- l’ictus ischemico acuto. 10.1.1.1.2 Trombolisi con rt-PA I principali studi con r-tPA 6-9 hanno invece conseguito risultati più interessanti. Vanno ricor- date alcune sostanziali differenze fra i protocolli di studio e segnatamente l’intervallo di tempo massimo consentito fra esordio dei sintomi e trattamento, posto a 3 ore nello studio NINDS, 6 a 6 ore negli studi ECASS I e II, 7,8 e fra 3 e 5 ore nello studio ATLANTIS; 9 la dose di farma- co somministrata, che è stata di 0,9 mg/kg fino ad un massimo di 90 mg (10% infuso in bolo, il rimanente in 60 minuti) in tutti i casi 6,8,9 tranne che nello studio ECASS I, 7 nel quale sono stati somministrati 1,1 mg/kg fino ad un massimo di 100 mg; l’esclusione di pazienti con sin- tomi lievi o in rapido miglioramento, prevista in tutti gli studi, 6-9 mentre pazienti gravi (in stu- por o coma) sono stati dichiaratamente esclusi solo negli studi ECASS I e II; 7,8 infine i segni precoci dell’infarto in più di 1/3 del territorio dell’arteria cerebrale media (ACM) alla tomo- grafia computerizzata (TC) cerebrale erano criterio di esclusione negli studi ECASS I e II e ATLANTIS, 7-9 ma non nel NINDS. 8 Due metanalisi dei risultati dei quattro studi 4,10 dimostrano che, malgrado una maggiore inci- denza di trasformazione emorragica sintomatica (OR 3,22; IC 95 2,40-4,31), l’r-tPA ha ridotto in modo significativo l’incidenza dell’endpoint combinato morte/dipendenza e non solo nei pazienti trattati entro 3 ore (OR 0,55; IC 95 0,42-0,72) ma anche in quelli trattati fra 3 e 6 ore e, quindi, in tutti i pazienti trattati entro le 6 ore (OR 0,79; IC 95 0,68-0,92). Questo significa che per ogni 1·000 pazienti trattati con r-tPA, 57 (IC 95 da 20 a 93) di quelli trattati entro 6 ore e 140 (IC 95 da 77 a 203) di quelli trattati entro 3 ore evitano morte o dipendenza a 3 mesi, mal- grado la comparsa di emorragia secondaria sintomatica in 77 (IC 95 da 55 a 99) pazienti in più (non fatale in 48 casi, fatale in 29 casi) quando trattati entro 6 ore. Infatti, tenendo in consi- derazione che le trasformazioni emorragiche sintomatiche comprendono anche quelle fatali che, a loro volta, sono già comprese nell’endpoint aggregato morte/dipendenza a 3 mesi, ne consegue che, malgrado l’r-tPA abbia un indice terapeutico relativamente ridotto, il rapporto rischi/benefici è a favore di questi ultimi. Raccomandazione 10.1 Grado A La somministrazione di strepto- chinasi e.v. non è indicata. Raccomandazione 10.2 Grado A Il trattamento con r-tPA e.v. (0,9 mg/kg, dose massima 90 mg, il 10% della dose in bolo, il rima- nente in infusione di 60 minuti) è indicato entro tre ore dall’esordio di un ictus ischemico. Sintesi 10-1 Permangono alcune note di dis- senso relative all’interpretazione ed alla conduzione dello studio NINDS. Inoltre la metanalisi Cochrane evidenzia una notevole eterogeneità statistica per l’effet- to del tPA, che rende il risultato della stessa, favorevole al farma- co, non del tutto affidabile (I 2 =62%). Alla data di emissione di questa versione, Clinical Evidence pone la trombolisi nel gruppo “trade-off between bene- fit and harm”, precisando che il trattamento riduce la dipendenza nei sopravvissuti ma aumenta la mortalità totale e le emorragie fatali. Per queste ragioni esiste nel gruppo SPREAD una posizio- ne di parziale dissenso sulla clas- sificazione come “A” del grado della raccomandazione 10.2. Sintesi 10-2 L’efficacia del trattamento con r- tPA e.v. diminuisce ma è ancora presente quando la somministra- zione è effettuata dopo le 3 ore e fino a 4,5 ore dall’esordio dei sin- tomi, mentre il trattamento fra le 4,5 e le 6 ore presenta ancora una efficacia tendenziale non più statisticamente significativa. È in corso uno studio randomiz- zato e controllato, chiamato IST 3, che mira a rivalutare su una casistica molto ampia, il rap- porto rischio/beneficio del tratta- mento somministrato fino a 6 ore dall’esordio dei sintomi. Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 205 stesura 15 marzo 2005

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10 ICTUS ACUTO: FASE DI OSPEDALIZZAZIONE (TERAPIA)

10.1 TERAPIA ACUTA DELL’ICTUS ISCHEMICO

10.1.1 Terapia medica specifica

10.1.1.1 Trombolisi intravenosa

Gli studi clinici di trombolisi realizzati nella seconda metà degli anni ‘90 hanno portato adaccumulare dati su oltre 5·000 pazienti, così da consentire una valutazione delle possibilitàofferte da tale trattamento.10.1.1.1.1 Trombolisi con streptokinasi

Per quanto concerne la trombolisi intravenosa, i tre studi con streptokinasi (SK)1-3 sono statiinterrotti prima del termine previsto dal protocollo, a causa di un eccesso di trasformazioniemorragiche sintomatiche (OR 8,26; IC<0 0,48-142,44) e di mortalità sia precoce (OR 1,90;IC95 1,37-2,63) che tardiva (OR 1,43; IC95 1,10-1,88); l’endpoint combinato morte/dipenden-za al termine del follow-up era ridotto ma non in maniera significativa nei pazienti trattati (OR0,94; IC95 0,72-1,24).4 Le cause di questo sostanziale fallimento della SK vanno verosimil-mente ricercate, più che nella molecola in sé, nei disegni degli studi e segnatamente nell’averquesti previsto il trattamento anche di pazienti gravi. Tutti e tre gli studi, infatti, hanno esclu-so dal trattamento pazienti molto lievi o con sintomi in rapido miglioramento, mentre hannoarruolato pazienti anche gravi, cioè in stupor o coma; solo nel MAST-I viene riportata l’esclu-sione di pazienti in “coma grave”, termine non ulteriormente specificato ma che sottintendeche pazienti in stupor o coma iniziale siano stati randomizzati.2 Altro elemento chiamato incausa per rendere ragione dell’elevato rischio di danno iatrogeno correlato con la SK è l’usoconcomitante di ASA.2 Infatti, il confronto separato post-hoc del sottogruppo trattato con solaSK con quello trattato con SK ed ASA ha evidenziato che l’associazione comportava unaumento significativo dei decessi totali e di quelli da morte cerebrale conseguente a trasfor-mazione emorragica grave.5 Attualmente, quindi, non sussistono indicazioni all’uso di SK nel-l’ictus ischemico acuto.10.1.1.1.2 Trombolisi con rt-PA

I principali studi con r-tPA 6-9 hanno invece conseguito risultati più interessanti. Vanno ricor-date alcune sostanziali differenze fra i protocolli di studio e segnatamente l’intervallo di tempomassimo consentito fra esordio dei sintomi e trattamento, posto a 3 ore nello studio NINDS,6a 6 ore negli studi ECASS I e II,7,8 e fra 3 e 5 ore nello studio ATLANTIS;9 la dose di farma-co somministrata, che è stata di 0,9 mg/kg fino ad un massimo di 90 mg (10% infuso in bolo,il rimanente in 60 minuti) in tutti i casi 6,8,9 tranne che nello studio ECASS I,7 nel quale sonostati somministrati 1,1 mg/kg fino ad un massimo di 100 mg; l’esclusione di pazienti con sin-tomi lievi o in rapido miglioramento, prevista in tutti gli studi,6-9 mentre pazienti gravi (in stu-por o coma) sono stati dichiaratamente esclusi solo negli studi ECASS I e II;7,8 infine i segniprecoci dell’infarto in più di 1/3 del territorio dell’arteria cerebrale media (ACM) alla tomo-grafia computerizzata (TC) cerebrale erano criterio di esclusione negli studi ECASS I e II eATLANTIS,7-9 ma non nel NINDS.8

Due metanalisi dei risultati dei quattro studi 4,10 dimostrano che, malgrado una maggiore inci-denza di trasformazione emorragica sintomatica (OR 3,22; IC95 2,40-4,31), l’r-tPA ha ridottoin modo significativo l’incidenza dell’endpoint combinato morte/dipendenza e non solo neipazienti trattati entro 3 ore (OR 0,55; IC95 0,42-0,72) ma anche in quelli trattati fra 3 e 6 oree, quindi, in tutti i pazienti trattati entro le 6 ore (OR 0,79; IC95 0,68-0,92). Questo significache per ogni 1·000 pazienti trattati con r-tPA, 57 (IC95 da 20 a 93) di quelli trattati entro 6 oree 140 (IC95 da 77 a 203) di quelli trattati entro 3 ore evitano morte o dipendenza a 3 mesi, mal-grado la comparsa di emorragia secondaria sintomatica in 77 (IC95 da 55 a 99) pazienti in più(non fatale in 48 casi, fatale in 29 casi) quando trattati entro 6 ore. Infatti, tenendo in consi-derazione che le trasformazioni emorragiche sintomatiche comprendono anche quelle fataliche, a loro volta, sono già comprese nell’endpoint aggregato morte/dipendenza a 3 mesi, neconsegue che, malgrado l’r-tPA abbia un indice terapeutico relativamente ridotto, il rapportorischi/benefici è a favore di questi ultimi.

Raccomandazione 10.1Grado A

La somministrazione di strepto-chinasi e.v. non è indicata.

Raccomandazione 10.2Grado A

Il trattamento con r-tPA e.v. (0,9mg/kg, dose massima 90 mg, il10% della dose in bolo, il rima-nente in infusione di 60 minuti) èindicato entro tre ore dall’esordiodi un ictus ischemico.

Sintesi 10-1

Permangono alcune note di dis-senso relative all’interpretazioneed alla conduzione dello studioNINDS. Inoltre la metanalisiCochrane evidenzia una notevoleeterogeneità statistica per l’effet-to del tPA, che rende il risultatodella stessa, favorevole al farma-co, non del tutto affidabile(I2=62%). Alla data di emissionedi questa versione, ClinicalEvidence pone la trombolisi nelgruppo “trade-off between bene-fit and harm”, precisando che iltrattamento riduce la dipendenzanei sopravvissuti ma aumenta lamortalità totale e le emorragiefatali. Per queste ragioni esistenel gruppo SPREAD una posizio-ne di parziale dissenso sulla clas-sificazione come “A” del gradodella raccomandazione 10.2.

Sintesi 10-2

L’efficacia del trattamento con r-tPA e.v. diminuisce ma è ancorapresente quando la somministra-zione è effettuata dopo le 3 ore efino a 4,5 ore dall’esordio dei sin-tomi, mentre il trattamento fra le4,5 e le 6 ore presenta ancorauna efficacia tendenziale non piùstatisticamente significativa.È in corso uno studio randomiz-zato e controllato, chiamatoIST 3, che mira a rivalutare suuna casistica molto ampia, il rap-porto rischio/beneficio del tratta-mento somministrato fino a 6 oredall’esordio dei sintomi.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 205

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Tale dato è ulteriormente rafforzato dalla metanalisi dei dati individuali dei pazienti arruolatinegli studi NINDS, ATLANTIS ed ECASS I e II.11 Questa ha il vantaggio di aver inserito nel-l’analisi statistica una serie di parametri individuali (p.es. pressione arteriosa, valori glicemiciecc.) non disponibili nelle precedenti metanalisi, così da consentire una più accurata analisidelle variabili correlate con l’esito clinico. La metanalisi evidenzia che la maggior incidenza ditrasformazioni emorragiche tipo PH2 fra i pazienti trattati (5,8% t-PA vs. 1,1% placebo) ècorrelata con l’età e, appunto, col trattamento ma non con l’intervallo fra inizio sintomi e tera-pia. Inoltre evidenzia che l’OR per il raggiungimento di un punteggio Rankin 0-1 a favore delt-PA è 2,8 (IC95 1,7-4,5) quando i pazienti sono trattati entro 90 minuti, ma diminuisce a 1,5(IC95 1,1-2,1) nei pazienti trattati fra 91 e 180 minuti, a 1,4 (IC95 1,1-1,8) in quelli trattati fra i181 ed i 270 minuti e, infine, a 1,16 (IC95 0,91-1,49) in quelli trattati fra i 271 ed i 360 minuti.Questo significa che il trattamento è efficace fino a 270 minuti dall’esordio dei sintomi, men-tre la somministrazione successiva presenta una efficacia tendenziale che sfiora la significati-vità statistica. Peraltro i dati sottolineano che quanto più precocemente il t-PA viene sommi-nistrato, tanto maggiori sono le probabilità di guarigione del paziente.Alcune riserve metodologiche sulla principale fonte di evidenza (studio NINDS), apparsenella letteratura internazionale, hanno indotto alcuni componenti del gruppo di lavoro e delgruppo di metodologia ad una posizione di parziale dissenso sul grado della raccomandazio-ne 10.1 che, in accordo con i nuovi criteri adottati, sarebbe di grado B anziché A. Tali riservepossono essere riassunte come segue:1. la pubblicazione del 1995 non era, come inizialmente affermato, una analisi intention to

treat (presumibilmente meno soggetta a bias), ma un’analisi on treatment (potenzialmentepiù soggetta a bias);

2) esisteva un notevole sbilanciamento per gravità dell’ictus all’ingresso tra i due gruppi, essen-do complessivamente più grave (ma non in maniera statisticamente significativa) il gruppotrattato con il placebo. L’analisi del NINDS non ha adeguatamente tenuto conto di questosbilanciamento, anche se un’analisi post hoc recentemente pubblicata da un gruppo indi-pendente incaricato dal NINDS, ha evidenziato come lo sbilanciamento fosse presente solotra i pazienti con punteggio NIHSS all’ingresso fra 0 e 5 (78% dei quali nel gruppo rt-PA,22% nel gruppo placebo). Peraltro questi erano complessivamente solo 58 (9%) dei 620pazienti arruolati nello studio, e l’analisi ha dimostrato che lo sbilanciamento non influiscein alcun modo sul risultato a favore del rt-PA;12

3. ciascun centro aveva accesso alle buste di randomizzazione in aperto, e questa è una impor-tante fonte potenziale di bias;

4. alcuni centri hanno usato il trattamento sbagliato per errori di fornitura delle fiale (almeno13 pazienti);

5. la distribuzione temporale della randomizzazione mostra un inatteso e inspiegato addensa-mento a 90 minuti che rende alquanto instabile l’analisi di relazione efficacia-tempo per leprime 3 ore. Secondo il dissenso manifestato, questi elementi (leggibili anche nel sito dellaFDA) non permetterebbero di attribuire il grado A di evidenza.

Una convincente conferma nel “mondo reale” dei risultati conseguiti negli studi randomizza-ti è quella che viene dagli studi con t-PA somministrato in aperto, secondo quanto pubblica-to in una recente revisione sistematica.13 Secondo questa metanalisi, i dati dimostrano che lasomministrazione del t-PA entro 3 ore dall’esordio dei sintomi comporta un’incidenza di mor-talità, di trasformazione emorragica sintomatica (fatale e non fatale) e di esito clinico positivosovrapponibili a quelle conseguite negli studi randomizzati. In particolare, due degli studipresi in esame nella revisione sistematica sono studi multicentrici di fase IV realizzati proprioallo scopo di valutare efficacia e sicurezza del trattamento con r-TPA nella pratica clinica. LoStandard Treatment with Activase Reverse Stroke (STARS)14 ha trattato complessivamente 389pazienti con gli stessi criteri dello studio NINDS con esito clinico eccellente (Rankin 0-1) nel35% dei casi (contro il 39% dello studio NINDS), indipendenza funzionale (Rankin 0-2) nel43% dei casi, mortalità nel 13% (contro il 17% dello studio NINDS) e trasformazione emor-ragica sintomatica nel 3% dei casi (contro il 6,4% dello studio NINDS). Il Canadian Activasefor Stroke Effectiveness Study (CASES)15 ha trattato 1·099 pazienti, sempre secondo i criteriNINDS, con indipendenza funzionale (Rankin 0-2) nel 46% dei casi, e trasformazione emor-ragica sintomatica nel 4,6% dei casi.La citata revisione sistematica 13 ha riportato anche dati sulle possibili violazioni di protocolloe sull’influenza di queste sull’esito clinico. Dall’analisi combinata dei dati dei singoli studi

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risulta evidente come le violazioni di protocollo – quali: trattamento oltre le 3 ore, sommini-strazione di farmaci antitrombotici entro 24 ore dalla trombolisi, pressione arteriosa elevata otempi di coagulazione anomali al momento del trattamento – siano significativamente corre-late con la trasformazione emorragica sintomatica. Questo dato sottolinea l’estrema impor-tanza di attenersi anche nella pratica clinica di routine alle regole, in tema di selezione e gestio-ne generale dei pazienti, codificate dagli studi farmacologici.Per questo le linee guida canadesi 16 e quelle europee 17 raccomandano che la trombolisi e.v.sia utilizzata esclusivamente da medici con documentata esperienza nella diagnosi e nellagestione dell’ictus, che operano all’interno di strutture dove siano stati approvati specifici pro-tocolli di trattamento. In base a quanto fin qui esposto, l’utilizzo della terapia trombolitica conrt-PA i.v. entro 3 ore dall’esordio dei sintomi di un ictus ischemico è stato approvato in manie-ra condizionale dalla European Agency for the Evaluation of Medicinal Products (EMEA) nelsettembre 2002 e dal Ministero della Salute in Italia nel luglio 2003 (G.U. N° 190, 18 agosto2003). L’approvazione è per ora solo condizionale e non definitiva perché gli espertidell’EMEA hanno espresso il rilievo critico che dati veramente convincenti a favore del trat-tamento derivano solo dallo studio NINDS, mentre gli studi ECASS I e II non hanno datorisultati altrettanto definitivi, così da far temere che soprattutto la sicurezza della terapiapotesse non essere assicurata. Quindi la condizione posta dall’EMEA è che il trattamentovenga effettuato solo nel contesto di uno studio osservazionale post-marketing, denominatoSafe Implementation of Thrombolysis in Stroke – Monitoring Study (SITS-MOST) e che conte-stualmente venga realizzato, in centri selezionati, anche un nuovo studio randomizzato con-trollato contro placebo nella finestra terapeutica 3-4,5 ore, denominato ECASS III. In base aquanto detto sopra, la misura primaria di esito dello studio SITS-MOST è la sicurezza del trat-tamento, definita dall’incidenza di trasformazioni emorragiche sintomatiche nelle prime 36ore successive al trattamento e dalla mortalità al termine del follow-up di 3 mesi.Il Ministero della Salute, ponendo l’accento proprio sulla sicurezza del trattamento, ha pub-blicato in dettaglio le caratteristiche organizzative che i centri clinici debbono possedere perpoter essere autorizzato ad effettuare la terapia trombolitica (Tabella 10:I). Si tratta di carat-teristiche che possono consentire di minimizzare l’intervallo di tempo fra arrivo del pazientee inizio trattamento, di assicurare una monitorizzazione accurata della pressione arteriosa edello stato neurologico durante il trattamento e per le 24-48 ore successive a questo e di inter-venire tempestivamente in caso di complicanze (Tabella 10:II). I criteri esposti in questa tabel-la non sono comunque derivati da evidenza esterna: p.es., la monitorizzazione e il trattamen-to della pressione arteriosa sono state gestite differentemente nel NINDS, che raccomandauna gestione stretta non necessariamente rispettata poi nello studio 12 e nello IST 3, che lasciaal singolo medico la decisione sul singolo paziente.La somministrazione sicura del trattamento richiede, inoltre, che la selezione dei pazienti siaaccurata, secondo criteri di esclusione atti ad ottimizzare il rapporto rischi/benefici del tratta-mento (Tabella 10:III). Va qui notato che per alcuni criteri di esclusione come, ad esempiol’età superiore ad 80 anni, non ci sono dati di evidenza. Infatti, l’età è stata considerata a prio-ri un criterio di esclusione in quasi tutti gli studi randomizzati controllati sulla trombolisi siste-mica, con la sola eccezione dello studio NINDS nel quale, però, il numero dei pazienti ultraot-tantenni era troppo esiguo per consentire conclusioni definitive. Pertanto sussiste incertezzain merito al trattamento di pazienti così anziani, nei quali l’incidenza di ictus è molto elevata,le conseguenze disabilitanti molto gravi e, di conseguenza, potenzialmente grande – ma nondimostrato – il beneficio della terapia. Questo ed altri motivi di incertezza (importanza deisegni precoci di lesione alla TC cerebrale, possibilità che la finestra terapeutica sia più ampia)espressi dal gruppo Cochrane 4 sono il presupposto dello studio randomizzato controllato IST3, finalizzato a rivalutare su una casistica molto ampia il rapporto rischio/benefico del tratta-mento somministrato fino a 6 ore dall’esordio dei sintomi.

10.1.1.2 Trombolisi intrarteriosa

Per quanto concerne la trombolisi intrarteriosa in caso di occlusione dell’arteria cerebralemedia, i dati disponibili provengono dagli studi con pro-urokinasi ricombinante (rpro-UK). IlPROACT I 18 era uno studio dose-finding eseguito su 40 pazienti, mentre il PROACT II 19 harandomizzato 180 pazienti con occlusione angiograficamente dimostrata del tronco principa-le dell’arteria cerebrale media a ricevere o 9 mg di rpro-UK seguiti da eparina 2·000 IU in boloe quindi 500 IU/ora per 4 ore oppure solo eparina, in rapporto di 2:1. I pazienti sono stati trat-tati entro 6 ore dall’esordio dei sintomi e la loro gravità media era maggiore rispetto a quella

Sintesi 10-3La trombolisi va effettuata in cen-tri esperti, dotati di caratteristicheorganizzative che consentano diminimizzare l’intervallo di tempofra arrivo del paziente e inizio deltrattamento, e che assicurino unamonitorizzazione accurata dellostato neurologico e della pressio-ne arteriosa per le 24 ore suc-cessive al trattamento.

Sintesi 10-4La trombolisi e.v. con t-PA entro3 ore è approvata come tratta-mento negli Stati Uniti, inCanada, in Sud America e inmaniera condizionale in Europa.La condizione per l’approvazioneè che il farmaco venga sommini-strato entro 3 ore dall’esordio deisintomi solo nel contesto di unostudio di fase IV denominato SafeImplementation of Thrombolysisin Stroke-Monitoring Study (SITS-MOST), e nella finestra 3-4,5 oresolo nel contesto di un nuovostudio randomizzato verso place-bo denominato ECASS III.

Sintesi 10-5La selezione dei pazienti candi-dati alla trombolisi deve essereaccurata, secondo criteri diesclusione atti ad ottimizzare ilrapporto rischi/benefici del tratta-mento.

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

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Tabella 10:I – Struttura organizzativa necessaria per effettuare trombolisi

• solida esperienza nel trattamento dell’ictus acuto;

• accesso diretto alle unità di emergenza in cui il centro è inserito:• il medico in servizio presso l’unità di emergenza deve avere l’autorità di iniziare la trombolisi o deve

poter interpellare immediatamente il medico dotato di tale autorità;• servizi diagnostici (TC e/o RM e laboratorio analisi) ed eventuali consulenze (cardiologica, rianimatoria,

neurochirurgica) disponibili 24/24 ore;

• struttura dedicata ad hoc ovvero reparto specializzato nella gestione dell’ictus acuto sotto la responsabilitàdi un neurologo o, in alternativa, di un medico:• esperto nella gestione in emergenza del paziente con ictus acuto;• in grado di riconoscere e gestire le complicanze del trattamento con alteplase;• a capo di team multidisciplinare comprendente équipe infermieristica specializzata ed almeno un fisiote-

rapista ed un logopedista;

• reparto di terapia intensiva o semintensiva:• dove ricoverare il paziente durante la terapia trombolitica ed il primo giorno di degenza;• che garantisca assistenza costante e qualificata nel monitorare livello di coscienza e stato neurologico

generale;• che sia fornito di apparecchiature per il monitoraggio di PA, ritmo cardiaco, ECG, SaO2 e temperatura

corporea;

• medici, neuroradiologi e radiologi (valutazione TAC) con:• esperienza di terapia trombolitica;• partecipazione a programmi di formazione clinica sulla terapia trombolitica nell’ictus;• partecipazione a programmi di formazione dedicati allo studio SITS-MOST.

Controindicazioni generali • diatesi emorragica nota• pazienti in terapia anticoagulante orale, p.es. con warfarin• sanguinamento in atto o recente grave• storia o sospetto di emorragia intracranica in atto• ESA sospetta• storia di patologie del SNC

(neoplasia, aneurisma, intervento chirurgico cerebrale o midollare)• retinopatia emorragica• recenti (<10 giorni) massaggio cardiaco esterno traumatico, parto,

puntura di vaso sanguigno non comprimibile (p.es. vena succlavia o giugulare)• ipertensione arteriosa grave non controllata• endocardite batterica, pericardite• pancreatite acuta• malattia ulcerosa del tratto gastroenterico (<3 mesi)• aneurisma arterioso, malformazione artero-venosa• neoplasia con aumentato rischio emorragico• grave epatopatia, compresa insufficienza epatica, cirrosi, ipertensione portale

(varici esofagee), epatite attiva• intervento chirurgico maggiore o grave trauma (<3 mesi)

Ulteriori controindicazioninell’ictus ischemico acuto

• insorgenza dell’ictus >3 ore o ora di insorgenza non nota• deficit lieve o rapido miglioramento dei sintomi• ictus grave clinicamente (p.es. NIHSS >25) e/o sulla base di adeguate tecniche di

neuroimmagini• crisi convulsiva all’esordio dell’ictus• emorragia intracranica alla TC cerebrale• sospetto clinico di ESA, anche se TC normale• somministrazione di eparina nelle precedenti 48 ore• aPTT eccedente il limite normale superiore del laboratorio• paziente con storia di ictus e diabete concomitante• ictus negli ultimi 3 mesi• conta piastrinica <100·000/mm3

• ipertensione arteriosa grave non controllata: PAS >185 mm Hg, o PAD >110 mm Hgo terapia aggressiva necessaria per riportare la PA entro questi limiti

• glicemia <50 o >400 mg/dL

Tabella 10:III – Controindicazioni al t-PA(la presenza anche di una sola delle condizioni indicate esclude la trombolisi)

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Tabella 10:II – Selezione dei pazienti, modalità di somministrazione di r-tPA e monitoraggio dei pazienti trattati(NOTA: questa tabella riporta indicazioni non basate su evidenza ma derivanti da consenso fra esperti)

sìad uno o più quesiti

no

noa tutti i quesiti

* evitare labetalolo in pazienti con asma, scompenso cardiaco o gravi alterazioni della conduzione cardiaca;per i pazienti con ipertensione refrattaria pensare alternativamente a sodio nitroprussiato

consultare neurochirurgo

• terapia standard• considerare altre condizioni

che richiedano trattamento

sospetto ictus

la TC mostra emorragiaparenchimale o subaracnoidea?

Valutazione generale immediata: <10 min• ABC e segni vitali• somministrare O2 con cannula nasale• accesso venoso; campione di sangue

per conta cellule, elettroliti, coagulazione• glucostix: trattare ipoglicemia• ECG, valutando eventuale aritmia• chiamare il neurologo (a meno che sia già

previsto nell’organico del DEA)

Valutazione neurologica immediata: <25 min• storia clinica• valutare ora inizio sintomi (<3 ore per fibrinolisi)• EOG• EN: livello di coscienza (eventuale GCS)

livello di gravità (NIHSS o scala Hunt Hess)• richiedere TC urgente senza contrasto• leggere TC (∆T max arrivo/lettura TC <45 min)

Probabile ictus ischemico acuto

• rivedere TC: eventuali segni precoci >1/3 ACM?• EN: deficit variabile o in rapido miglioramento?• ci sono criteri di esclusione per trombolisi?

(vedere tabella 10:III)• rivedere i dati: siamo >3 ore dall’esordio

dei sintomi?

Il paziente rimane candidato per la trombolisi• rivedere rischi/benefici col paziente e/o la famiglia e ottenere il consenso informato scrittoIniziare trattamento (∆T ottimale arrivo/trattamento <60 min)• r-tPA 0.9 mg/kg (max 90 mg), il 10% in bolo di 1 min, il resto infusione di 60 min• monitorare stato neurologico: infusione: ogni 15 min

per 6 ore: ogni 30 minper 16 ore: ogni 60 min

In caso di peggioramento neurologico, grave cefalea, ipertensione acuta, nausea o vomito, interrompere infusione se ancora in corso; eseguire TC d'urgenza in qualunque momento si manifestino i sintomi descritti.In caso di emorragia valutazione neurochirurgica e, se indicato, svuotamento chirurgico dopo normalizzazione dei parametri coagulativi (vedi § 10.2).

• monitorare quadro clinico: in caso di emorragia sistemica grave, tecniche di immagini richieste dal caso,quindi terapia medica o chirurgica.

• monitorare PA: per 2 ore: ogni 15 minper 6 ore: ogni 30 minper 16 ore: ogni 60 min

misurazioni più frequenti in caso di PAS >180 mmHg o PAD >105 mmHg1. PAD >140 mmHg nitroprussiato di sodio (0.5 mcg/kg/min)2. PAS > 230 o PAD 121-140 mmHg (1) labetalolo* 10-20 mg in bolo lento e.v., ripetibile ogni 20 min fino a

massimo 150 mg, oppure bolo iniziale e poi infusione a 2-8 mg/min(2) se la PA non è ben controllata con labetalolo*, considerare

sodio nitroprussiato3. PAS 180-230 o PAD 105-120 labetalolo* 10 mg in bolo lento e.v., ripetibile ogni 20 min

fino a max 150 mg, oppure bolo iniziale e poi infusione a 2-8 mg/min• non anticoagulanti né antiaggreganti per 24 ore

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Sintesi 10-6

Le evidenze su cui si basa il trat-tamento endovascolare sono limi-tate e comprendono i risultatidegli studi PROACT I e II ed alcu-ne serie cliniche poco numerosein parte non controllate. La rapidaevoluzione tecnologica per quan-to riguarda le tecniche ed i devi-ce e l’abilità variabile degli ope-ratori hanno precluso l’effettua-zione di ulteriori ampie sperimen-tazioni controllate. Dall’evidenzadisponibile risulta che queste tec-niche sono probabilmente piùefficaci nel caso di occlusioni ditronchi arteriosi maggiori ma aspese di maggiori difficoltà ecosti organizzativi e con unrischio non precisamente quanti-ficabile nel singolo caso.

Raccomandazione 10.3Grado D

Le tecniche endovascolari conl’uso di farmaci trombolitici,associate o meno a manovremeccaniche (angioplastica, trom-boaspirazioni, recupero del trom-bo), sono indicate nei centri conprovata esperienza di neuroradio-logia interventistica, nel caso diocclusione dei tronchi arteriosimaggiori (carotide interna, troncoprincipale dell’arteria cerebralemedia, arteria basilare) con qua-dro clinico predittivo elevatorischio di morte o gravi esiti fun-zionali.

Raccomandazione 10.4Grado D

In caso di documentata occlusio-ne dell’arteria basilare è indicata,nei centri con provata esperienzadi neuroradiologia interventistica,la trombolisi intrarteriosa con unafinestra terapeutica anche oltre le6 ore dall’esordio dell’evento.

Sintesi 10-7

Nei pazienti con trombosi dei senivenosi, la trombolisi selettiva èun trattamento opzionale da con-siderarsi in caso di inefficaciadella terapia anticoagulante coneparina e.v.

dei pazienti trattati con r-tPA e.v. (NIHSS media di 17 contro 14 nei pazienti r-tPA e 15 neiplacebo dello studio NINDS).6 La metanalisi dei due studi dimostra che, malgrado un aumen-tato rischio di trasformazione emorragica nei pazienti trombolisati (OR 2,39; IC95 0,88-6,47),peraltro comparabile a quello conseguente a trombolisi e.v., il trattamento consente una ridu-zione assoluta del 15% (OR 0,55; IC95 0,31-1,00) dell’incidenza dell’endpoint combinatomorte/dipendenza a 90 giorni,4 il che significa che per ogni 1·000 pazienti trattati se ne salva-no 150. Quindi, in centri che dispongono di un team esperto di radiologia interventista, l’op-zione trombolisi i.a. si prospetta soprattutto per i pazienti con ictus emisferico che arrivinooltre le 3 ma entro 6 ore dall’esordio dei sintomi e che siano mediamente più gravi.

I dati di letteratura relativi alla trombolisi in caso di ictus vertebrobasilare, sebbene siano dive-nuti più numerosi negli ultimi anni,20-23 non consentono tuttora di porre conclusioni univochecirca le indicazioni e le modalità di trattamento. Infatti, malgrado l’occlusione dell’arteria basi-lare sia gravata da una mortalità variabile dall’86% al 91%,24 studi controllati con trombolisiin questa patologia sono ancora mancanti. I dati disponibili provengono da piccoli studi non-randomizzati con urokinasi i.a. o con r-tPA e.v, per un totale di circa 170 pazienti trattati.21,25-31

Questi studi riportano un esito favorevole (non ulteriormente precisato) nel 20%-60% deicasi, contro il 5%-14% ottenibile con terapie antitrombotiche. La trasformazione emorragicaè riportata nello 0%-14% dei casi ed in genere non è responsabile di peggioramento signifi-cativo o di morte. I dati disponibili non consentono di stabilire quale fra trombolisi e.v. ed i.a.sia l’approccio preferibile in termini di sicurezza ed efficacia, per cui la scelta può essere deter-minata, ancora una volta, dalla presenza o meno di un team di neuroradiologia interventista.In caso di documentata occlusione dell’arteria basilare, l’atteggiamento prevalente, che emer-ge attualmente da quanto riportato in letteratura, è a favore dell’estensione della finestra tera-peutica anche oltre le 6 ore dall’esordio dell’evento.20,23

Circa la trombolisi in corso di trombosi dei seni venosi, infine, i dati disponibili sono moltolimitati, riferendosi complessivamente a circa 70 pazienti trattati in aperto.32-40 Nel complessoviene segnalata l’efficacia del trattamento nel 70%-80% dei casi, sia in termini di ricanalizza-zione dei seni venosi che sul piano clinico, con trasformazione emorragica sintomatica nello0%-17% dei casi. Anche in questo caso, comunque, il principale elemento limitante taleapproccio è la presenza di un team esperto di neuroradiologi interventisti, per cui la terapia diprima scelta resta quella anticoagulante discussa più avanti.

10.1.1.3 Il consenso alla terapia trombolitica

L’acquisizione del consenso informato è un momento cruciale del processo decisionale tera-peutico poiché attraverso di esso il paziente viene informato sul rapporto rischio-beneficiodella terapia che viene proposta e viene messo in luce il valore che il paziente attribuisce all’ef-fetto della terapia e ai diversi esiti della malattia.

Il Gruppo di studio di Bioetica e Cure Palliative della Società Italiana di Neurologia (SIN) siè occupato negli anni scorsi di questo problema in due modi diversi. Esso ha promosso unsondaggio multicentrico tra pazienti ricoverati per ictus e i loro familiari allo scopo di valuta-re il loro orientamento sulle diverse opzioni divenute possibili dopo l’introduzione della tera-pia trombolitica e sui problemi legati al consenso informato 41 e successivamente ha prodottoun documento sul consenso alla trombolisi onde fornire al medico gli strumenti necessari peraffrontare il problema dell’informazione al paziente e/o ai familiari e sulle circostanze in cui sideve richiedere il consenso o in cui questo può eventualmente essere evitato.42 Vengono rias-sunti qui di seguito i punti fondamentali del documento.

In primo luogo esso afferma che, nel caso della trombolisi per l’ictus, è necessario ricercaresempre il consenso del paziente, dato che si tratta di una terapia rischiosa per il pericolo diemorragia cerebrale sintomatica che comporta la possibilità del peggioramento del deficit neu-rologico o addirittura della morte. Inoltre, sebbene non vi sia l’evidenza che l’informazione alpaziente con ictus modifichi il suo esito,43 è stato dimostrato che il coinvolgimento del pazien-te e dei familiari nel processo di cura è uno degli elementi fondamentali che giustificano il suc-cesso delle stroke unit rispetto ai reparti di cura non dedicati all’ictus.44 Il consenso alla trom-bolisi può rappresentare quindi l’inizio del coinvolgimento del paziente e dei familiari nel pro-cesso di cura. Tuttavia la necessità del consenso si scontra con quello che accade nella realtà,dove il consenso del paziente spesso non può essere ottenuto, sia per le circostanze dell’e-mergenza, per l’angoscia e lo stress sperimentati da un paziente che da pochi attimi sta verifi-

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cando su di sé che cosa significhi avere un ictus, sia per il deficit cognitivo o del linguaggio chepuò conseguire all’ictus stesso, sia infine per il poco tempo disponibile per maturare un con-senso davvero informato.

Spesso ci si trova quindi a dover ricorrere a modelli di consenso alternativi a quello diretto delmalato. È frequente in simili circostanze, nel nostro e in altri paesi dell’Unione Europea,richiedere il consenso ad una persona vicina al paziente, di solito un familiare (modello del con-senso sostitutivo), per analogia con le procedure usate nella sperimentazione clinica. Anchequesto modello però è soggetto a limiti pesanti. Da un lato il familiare, come il malato, si trovanella condizione difficile di dover recepire ed elaborare delle informazioni nel contesto diun’emergenza medica e, come è stato dimostrato empiricamente, non sempre è in grado diinterpretare le volontà del proprio congiunto;45 dall’altro non vi è chiarezza sul piano legale.Infatti la legge italiana in tema di sperimentazioni cliniche,46 in accordo con la Dichiarazionedi Helsinki, prevede, nel contesto dell’emergenza, la possibilità di ottenere il consenso da un“rappresentante legalmente riconosciuto” nel caso in cui il paziente sia incompetente, ma nondefinisce poi che cosa s’intenda con questa figura che nell’ordinamento italiano è prevista sol-tanto per i minori, per gli interdetti e per gli inabilitati riconosciuti giuridicamente come tali.Nonostante queste difficoltà, questo gruppo di lavoro di Bioetica e diritti del cittadino diSPREAD pensa che la prassi di ricorrere frequentemente ai familiari in queste circostanze nelnostro paese sia giustificata se questo è l’unico modo di cercare di capire le volontà del pazien-te e di ottenere il consenso alla terapia. Il consenso, infatti, non va inteso come una delega diresponsabilità riguardo ad una situazione sulla quale il medico non ha le idee chiare, ma comeil modo di considerare – nella misura del possibile – nel processo decisionale anche il puntodi vista del paziente. Dal sondaggio effettuato dal Gruppo di studio della SIN su menzionatomediante oltre 600 interviste a pazienti e familiari si evince che vi è una certa indecisione daparte del familiare a farsi carico delle problematiche del paziente (il 41% non si ritiene ingrado di prendere una decisione riguardante la trombolisi di un parente, mentre invece il 78%si sente in grado di decidere per sé); al tempo stesso dal sondaggio emerge il desiderio, espres-so dall’84% degli intervistati, che nel caso un paziente sia incompetente vi sia la possibilità diinformare e richiedere il consenso ad un familiare.

Un problema ulteriore è sorto in Italia da quando è stata autorizzata la terapia tromboliticanell’ambito dello studio SITS-MOST. In effetti condizione dell’adesione a detto studio è l’au-torizzazione (data dal paziente o in alternativa dal familiare) al trattamento dei dati sensibili.

Un dibattito si è aperto in proposito in seno al gruppo degli aderenti allo studio: se il consen-so all’adesione al SITS-MOST sia da intendere unicamente come consenso al trattamento deidati sensibili o anche consenso al trattamento. Questo gruppo di lavoro di SPREAD pensa cheil fatto che la trombolisi endovenosa sia oggi autorizzata in Italia non costituisce superamentodella necessità di acquisire il consenso informato e che quindi tale consenso sia da intenderecome un duplice consenso: alla terapia e al trattamento dei dati sensibili.

Può essere interessante citare un recente studio sulla pratica clinica corrente condotto negliUSA, dove la terapia non è vincolata all’adesione ad alcuno studio del tipo del SITS-MOST,nel quale è stato dimostrato che, su 63 pazienti sottoposti a trombolisi endovenosa, solonell’84% era stato acquisito il consenso informato scritto (fornito rispettivamente dal malatonel 30% dei casi e dal decisore sostitutivo nel 70%) e che, fra i pazienti con documentato con-senso, vi erano marcate discrepanze tra la capacità di decidere del paziente e la fonte del con-senso: da un lato il consenso era stato dato dal sostituto in 5/8 casi in cui il paziente era com-petente, dall’altro era stato dato dal paziente stesso in 7/38 casi con riduzione della compe-tenza.47 Ciò significa che la dottrina del consenso informato non sempre viene correttamenteintesa ed applicata e che probabilmente, come sostengono gli autori, sono necessari protocol-li più stringenti sia per la valutazione della competenza che per la procedura di consenso.

Si può verificare, infine, la circostanza in cui il paziente non sia in grado di fornire il consen-so e sia solo, senza familiari. Per far fronte a queste situazioni difficili, negli Stati Uniti la Foodand Drug Administration 48 – mossa dalla preoccupazione che l’impossibilità di condurre ricer-che appropriate lasci prive di valide terapie molte situazioni acute – ha proposto una serie diregole che consentano il reclutamento dei malati negli studi clinici in situazioni di emergenzaanche quando non sia possibile acquisire il consenso degli stessi o dei decisori sostitutivi.Queste proposte sono state accolte con qualche riserva, ma costituiscono senza dubbio un

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 211

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

contributo apprezzabile alla soluzione del problema. Vediamo in breve in che cosa esse consi-stono.

La FDA ritiene che si possa arruolare un malato in uno studio terapeutico se:a. il soggetto versa in pericolo di vita;b. non si conoscono trattamenti di provata efficacia o essi sono insoddisfacenti;c. è indispensabile ricorrere alla ricerca clinica per individuare quale sia il trattamento mag-

giormente benefico.

Altre due condizioni devono essere soddisfatte:a. non è possibile ottenere il consenso informato del paziente sia perché la sua condizione cli-

nica lo impedisce, sia perché non c’è tempo di acquisire il consenso di un fiduciario ecomunque non è possibile individuare preventivamente i soggetti che saranno colpiti inmodo da acquisire il loro consenso preventivo;

b. la ricerca è nell’interesse del paziente in quanto la condizione di emergenza richiede unintervento e il rischio legato alla ricerca è ragionevole se paragonato alle terapie esistenti (oall’assenza di terapie).

A queste condizioni di base la FDA aggiunge altre due raccomandazioni:a. la consultazione della comunità dalla quale verranno selezionati i soggetti dello studio, volta

a far sì che la comunità sia coinvolta nel processo decisionale del Comitato Etico;b. la comunicazione al pubblico più largo dello studio e dei suoi scop prima dell’inizio dello

stesso, e dei risultati a studio compiuto.

Entrambe le raccomandazioni appaiono ragionevoli, ma di assai difficile implementazione, sianegli Stati Uniti, sia nel nostro paese, ove non sono note iniziative di questo genere. In Italiamanca un pronunciamento autorevole in questo senso. Il decreto ministeriale del 1998 cherecepisce le Linee guida europee di GCP,46 ammette che il consenso possa essere evitato(modello del consenso evitabile), ma solo in condizioni di emergenza e limitatamente all’ambi-to sperimentale.49

L’esito del sondaggio del Gruppo di studio della SIN 41 può essere di qualche aiuto. Ai pazien-ti colpiti da ictus (poco prima della loro dimissione) e ai familiari che li assistevano è statarivolta la domanda: “Per coloro che sono stati colpiti da ictus esiste oggi una terapia in fase distudio (la terapia trombolitica) che, se somministrata entro poche ore dall’esordio dei sintomi,è in grado di ridurre l’invalidità ma aumenta il rischio di morte nei primi giorni. Se Lei fosseil paziente in questione, accetterebbe di sottoporsi a questa terapia, pur conoscendone irischi?”. Il 59% ha risposto di sì, il 19% no e il 22% non ha saputo prendere una decisione.Questo consenso relativamente ampio alla terapia trombolitica da parte di persone che dapoco avevano avuto l’esperienza di un ictus è risultato simile a quello a favore della terapiaanticoagulante orale – sicuramente più consolidata e diffusa di quella trombolitica – ottenutodalle interviste su tale terapia nella prevenzione secondaria per l’ictus in pazienti con fibrilla-zione atriale cronica.50 Gli intervistati sono stati favorevoli alla terapia trombolitica probabil-mente anche perché ben l’81% di loro considerava la grave disabilità conseguente all’ictusparagonabile se non peggiore della morte, analogamente a quanto riscontrato da altri autori iquali, tuttavia, hanno intervistato soggetti a rischio di ictus ma senza l’esperienza diretta del-l’evento.51,52 Sebbene l’esito di un sondaggio non possa certo sostituire il parere di un singoloindividuo, nei casi in cui il consenso è impossibile da ottenere esso può contribuire a giustifi-care la scelta del medico.

Un ulteriore modello di consenso che il Gruppo di studio della SIN considera a proposito dellatrombolisi è quello delle direttive anticipate. Questo modello consiste nella possibilità di espri-mere anticipatamente, prima che il paziente non sia più in grado di farlo, il proprio atteggia-mento verso il consenso a terapie ad alto rischio. Esso si applica per lo più, come è ovvio, nellemalattie croniche, ma potrebbe essere applicato anche nel caso delle malattie acute in certamisura prevedibili, come l’ictus, anche se è difficile immaginare una vera formalizzazione diuna direttiva anticipata in merito, se non nella forma di un rifiuto o un’accettazione generica.

Si potrebbe pensare ad una campagna informativa diretta principalmente ai soggetti con fat-tori di rischio in modo che le persone raggiunte dalla campagna abbiano l’opportunità dimaturare una maggiore consapevolezza circa tali problemi e siano in grado di decidere piùrazionalmente al momento di un ictus.

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Un ultimo aspetto affrontato dal documento del Gruppo di studio della SIN è il problema dicome fornire l’informazione. A questo proposito non si può proporre un modello rigido poi-ché il medico deve essere in grado di adattare il messaggio al livello culturale e alla situazioneemotiva della persona che ha di fronte. È noto che il modo in cui si fornisce l’informazione esi esprimono i rischi ed i benefici di un’opzione terapeutica può modificare significativamen-te la scelta del soggetto,53 ragion per cui il medico deve essere il più chiaro ed esplicito possi-bile nell’esporre il rapporto rischio-beneficio della terapia trombolitica per l’ictus specifican-do che la terapia trombolitica con rt-PA endovena entro 3 ore dall’esordio di un ictus ische-mico non è salva-vita, poiché non riduce la mortalità, ma è salva-disabilità in quanto riducel’invalidità post-ictus in maniera statisticamente e clinicamente significativa.4 A questo propo-sito una recente esperienza dell’Università di Edimburgo, che sta coordinando uno studiointernazionale randomizzato e controllato sull’rt-PA e.v. contro placebo entro 6 ore dall’esor-dio dei sintomi,54 ha documentato come il coinvolgimento dei consumers nel redigere opusco-li informativi possa avere un ruolo fondamentale nel rendere più comprensibile e indipen-dente l’informazione.55 La realizzazione di una campagna informativa non potrà quindi pre-scindere dal coinvolgimento dei rappresentanti di coloro ai quali l’informazione è indirizzata.

Quanto sopra si applica comunque al trattamento dell’ictus con t-PA per via e.v.. Altre vie disomministrazione rimangono per ora sperimentali; per esse il gruppo di lavoro su Bioetica eDiritti del Cittadino di SPREAD ha indicato una serie di criteri per la valutazione etica dei pro-tocolli di ricerca nell’ictus acuto in emergenza, reperibile nell’Appendice II a questo volume.

10.1.1.4 Terapia con ancrod

Un cenno finale va fatto all’ancrod, una serina proteasi estratta dal veleno di vipera che agiscecome agente defibrinogenante. Lo studio Stroke Treatment with Ancrod Trial (STAT)56 ha ran-domizzato 500 pazienti a ricevere entro 3 ore dall’esordio dei sintomi e per 72 ore ancrod oplacebo. Un esito clinico favorevole a 90 giorni (Barthel Index ≥95) è stato riportato nel 42,2%dei trattati contro il 34,4% dei placebo (P=0,04), con una mortalità rispettivamente del 25,4%e 23% (P=0,62) e con trasformazione emorragica sintomatica nel 5,2% e 2% (P=0,06) deicasi. Uno studio europeo con ancrod somministrato entro 6 ore dall’esordio dei sintomi(ESTAT)57,58 è stato interrotto prematuramente dopo che un’analisi ad interim ha evidenziatouna mortalità a 90 giorni più elevata nei pazienti trattati con ancrod.

10.1.1.5 Terapia antitrombotica come terapia specifica

L’uso di anticoagulanti e di ASA come terapia dell’infarto cerebrale è stato ampiamente speri-mentato negli ultimi anni.

Lo studio Fraxiparine in Stroke Study (FISS)59 ha randomizzato pazienti con ictus ischemicoad essere trattati, entro 48 ore dall’esordio dei sintomi e per 10 giorni, con nadroparina s.c.4·000 UI/die o 4·000 UI × 2 o con placebo. Lo studio ha evidenziato l’efficacia di entrambe ledosi di farmaco nel migliorare l’endpoint combinato morte/dipendenza al termine del follow-up, cioè a 6 mesi dall’esordio dei sintomi, ma non in fase acuta. Tuttavia i risultati del FISS nonsono stati replicati dal FISS-bis, studio multicentrico europeo su una casistica di 767 pazientitrattati entro 24 ore e per 10 giorni con 86 UI/kg o con 86 UI/kg × 2.60 L’analisi combinatadei due studi nel complesso non evidenzia l’efficacia della nadroparina nel migliorare l’end-point morte/dipendenza (OR 0,99; IC95 0,94-1,05).61

Lo International Stroke Trial (IST)62 ha messo a confronto eparina non frazionata s.c. conASA. In totale, 19·435 pazienti con sospetto ictus ischemico sono stati randomizzati in apertoa ricevere entro 48 ore dall’esordio dei sintomi e per 14 giorni per metà eparina non fraziona-ta s.c. (il 25% 12·500 unità due volte al giorno ed il 25% 5·000 unità per due) o non-eparinae per metà ASA (300 mg al giorno) o non-ASA. Per il disegno fattoriale dello studio, comun-que, metà dei pazienti randomizzati ad ASA ricevevano anche eparina e metà di quelli rando-mizzati ad eparina ricevevano anche ASA. Al termine del follow-up a sei mesi, l’endpointmorte/dipendenza non era migliorato nei pazienti trattati con eparina mentre nei pazienti trat-tati con ASA si riscontrava un modesto effetto positivo che, correggendo l’esito clinico in fun-zione della gravità all’ingresso, diveniva significativo con 14 eventi evitati per ogni 1·000pazienti trattati.62 La combinazione dei dati IST con quelli del Chinese Acute Stroke Trial(CAST),63 che ha randomizzato 20·000 pazienti con ictus ischemico a ricevere ASA 160 mg oplacebo entro 48 ore dall’esordio dei sintomi e per 4 settimane, conferma sostanzialmente ildato, con 12 pazienti salvati da morte/dipendenza ogni 1·000 trattati.61,64

Sintesi 10-8

Al momento attuale le evidenzedisponibili controindicano l’uso diancrod nel paziente con ictusischemico acuto. Tuttavia unrecente aggiornamento della revi-sione Cochrane indica la neces-sità di rendere utilizzabili i risul-tati dello studio ESTAT prima ditrarre conclusioni definitive.

Raccomandazione 10.5Grado AL’ASA (160-300 mg/die)❊ è indi-cato in fase acuta per tutti ipazienti ad esclusione di quellicandidati al trattamento tromboli-tico (nei quali può essere iniziatodopo 24 ore) o con indicazione altrattamento anticoagulante.

❊ GPP

Il gruppo SPREAD ritiene più ade-guato il dosaggio di 300 mg.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 213

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Raccomandazione 10.6Grado AL’uso sistematico di eparina nonfrazionata, eparina a basso pesomolecolare, eparinoidi, non èindicato come terapia specificadell’ictus ischemico.

Raccomandazione 10.7Grado DIl trattamento anticoagulante coneparina e.v. è indicato in pazienticon dissecazione dei grossi tron-chi arteriosi ed in quelli con ste-nosi subocclusiva in attesa ditrattamento chirurgico.

Il Trial of Org 10172 in Acute Stroke (TOAST)65 ha randomizzato 1·281 pazienti con ictusischemico a ricevere, entro 24 ore e per i primi 7 giorni dall’esordio dei sintomi, l’eparinoidedanaparoide e.v. 1·500 U anti-Xa o placebo. Malgrado una risposta apparentemente positivaal trattamento entro la prima settimana, l’esito clinico a 3 mesi dei pazienti trattati è risultatosovrapponibile a quello dei pazienti non trattati (esito favorevole, indicato da un punteggio alBarthel Index da 12 a 20, rispettivamente nel 75,2% e 73,7% dei casi, OR 0,92; IC95 0,72-1,19)con in più una maggior frequenza di infarcimenti emorragici gravi nei pazienti trattati (1,7%vs. 0,6%).

Lo studio Heparin in Acute Embolic Stroke Trial (HAEST)66 ha confrontato l’eparina a bassopeso molecolare dalteparina 100 UI/kg × 2 con l’ASA 160 mg in 449 pazienti con ictus e fibril-lazione atriale trattati entro 30 ore e per 14 giorni dall’esordio dei sintomi. L’esito clinico a 3mesi dei pazienti trattati con dalteparina non è risultato significativamente migliore rispetto aipazienti trattati con ASA (morte/dipendenza nel 48,2% e 48,4% dei casi rispettivamente).

Lo studio Therapy of Patients with Acute Stroke (TOPAS)67 ha confrontato quattro dosi diver-se dell’eparina a basso peso molecolare certoparina, 3·000 U anti-Xa, 3·000 U × 2, 5·000 U × 2e 8·000 U × 2, in pazienti trattati entro 12 ore dall’esordio dei sintomi e per 14 giorni. Lo stu-dio non è contro placebo ed i dati suggeriscono solamente che per quanto concerne l’esito cli-nico positivo a 3 mesi, inteso come Barthel Index ≥90, non c’è differenza fra le diverse dosi difarmaco. Peraltro l’alta incidenza di esito clinico favorevole (dal 56% al 63% nei quattro sot-togruppi) e la bassa mortalità complessiva del 7,5% derivano dall’essere stati randomizzatinello studio anche pazienti con ictus lieve.

Infine, lo studio Tinzaparin in Acute Ischemic Stroke Trial (TAIST) ha randomizzato 1·484pazienti al trattamento con tinzaparina 175 UI anti-Xa/kg, o con 100 UI anti-Xa/kg o con ASA300 mg p.o entro 48 ore dall’esordio dell’ictus e per 10 giorni. L’esito clinico a 6 mesi è risul-tato sovrapponibile nei tre gruppi con rispettivamente il 3,9%, il 5,5% ed il 3,7% di morta-lità e con esito clinico favorevole (Rankin ≤2) nel 41,5%, nel 42,4% e nel 42,5% di pazienti.68

Quindi, il trattamento con ASA 160-300 mg/die (preferenzialmente 300 mg/die secondo ilgruppo SPREAD) è indicato in tutti i pazienti con ictus ischemico acuto, tranne quelli candi-dati al trattamento trombolitico (nei quali può essere iniziato dopo 24 ore) o con indicazioneal trattamento anticoagulante. Al momento attuale non sussistono indicazioni all’uso di epari-na non frazionata o a basso peso molecolare, o di eparinoidi come terapia specifica dell’ictusischemico, cioè finalizzata a limitare il danno cerebrale. Tuttavia va sottolineato come in tuttigli studi citati il trattamento è stato iniziato fino a 24-48 ore dopo l’inizio dei sintomi, cioè benoltre i più ottimistici limiti di sopravvivenza della penombra ischemica,69,70 anche se il sotto-gruppo dei pazienti trattati entro le 12 ore nello studio IST non ha tratto alcun giovamentodalla terapia eparinica.62

Le stenosi subocclusive carotidee o vertebrobasilari, le dissecazioni carotidee o vertebrali e letrombosi dei seni venosi cerebrali rappresentano un capitolo a parte della terapia anticoagu-lante d’emergenza. Si tratta di evenienze riportate in letteratura come eventi di frequenza rela-tivamente bassa, così che i dati a disposizione provengono da casistiche numericamente limi-tate quando non da serie aneddotiche.

È pratica frequente ricorrere alla terapia anticoagulante con eparina e.v. in pazienti con stenosiserrata dei grossi tronchi arteriosi extracranici, nell’attesa di un eventuale intervento di rica-nalizzazione, chirurgica o per via endovascolare, o in alternativa a questi quando controindi-cati.71 L’analisi del sottogruppo dei pazienti dello studio TOAST con ictus secondario a ste-nosi marcata o ad occlusione della carotide interna, che rappresentano il 22% di quelli sotto-posti a studio con ultrasuoni ma costituisce comunque un sottogruppo non pianificato, quin-di con scarsa potenza statistica i cui risultati presentano una elevata probabilità di bias, ha evi-denziato un esito clinico favorevole a 7 giorni nel 53,8% dei pazienti trattati e nel 38% dei pla-cebo (P=0,023) e a 3 mesi rispettivamente nel 68,3% e nel 53,2% dei casi (P=0,021),72 sugge-rendo l’utilità del trattamento anticoagulante d’emergenza in questi pazienti. Tuttavia uno stu-dio più recente (FISS-tris), peraltro non ancora pubblicato in extenso, di confronto tra nadro-parina 3·800 IU a-Xa × 2/die vs. ASA 160 mg/die per 10 giorni specificamente nella patologiadei grossi vasi indica che i risultati ottenuti con ASA e con eparina sono sovrapponibili.73

La dissecazione arteriosa, spontanea o post-traumatica, è un’evenienza rara con un’incidenzadi 2,5-3,5 casi per 100·000 ogni anno,74,75 anche se oggi più facilmente diagnosticata grazie agli

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studi con ultrasuoni e all’angiografia in RM o in TC. La patogenesi dell’ictus è per lo più trom-boembolica, cioè consegue alla formazione di trombi nella sacca subintimale che poi possonorientrare nel circolo e quindi embolizzare attraverso una seconda breccia intimale a valle.76

Questo è dunque il razionale fisiopatologico della terapia anticoagulante anche se a tutt’ogginon esistono studi randomizzati che dimostrino il rapporto rischio/beneficio di tale tratta-mento. In base ai risultati di serie retrospettive e di case report è indicato il ricorso ad eparinanon frazionata e.v. o ad eparine a basso peso molecolare, seguite poi da anticoagulanti orali.L’indicazione è inoltre quella di proseguire il trattamento anticoagulante fino a riparazione deldanno che in genere avviene entro 3-6 mesi; oltre questo limite una riparazione è estrema-mente improbabile ma se a 6 mesi persistono la dissecazione o irregolarità del lume vasale laterapia anticoagulante va proseguita così come il monitoraggio dello stato del vaso. Gli antiag-greganti vanno somministrati sin dall’inizio in pazienti con controindicazioni agli anticoagu-lanti.77-79

Le trombosi dei seni venosi sono un’evenienza clinica di diagnosi oggi più facile, per quantorelativamente infrequente, grazie alle neuroimmagini e segnatamente alla RM. L’evoluzionenaturale è piuttosto imprevedibile, essendo possibile anche un recupero neurologico comple-to senza alcun trattamento. La terapia anticoagulante, il cui razionale è quello di prevenire l’e-stensione del trombo, è stata dimostrata come efficace in due studi 80,81 che hanno complessi-vamente randomizzato 80 pazienti ad eparina non frazionata e.v. o ad eparina a basso pesomolecolare s.c. contro placebo. L’analisi combinata dei dati dei due studi evidenzia una ridu-zione del 15% dell’incidenza dell’endpoint combinato morte/dipendenza nei pazienti trattati,ma con IC95 fra –36% e +6% e, quindi, senza significatività statistica. Tuttavia, in attesa del-l’identificazione di variabili che consentano di differenziare sottogruppi di pazienti con trom-bosi venose cerebrali a diverso rischio evolutivo, i dati di questi studi e quelli di casistiche nonrandomizzate 82,83 indicano che l’approccio terapeutico più appropriato è attualmente quellocon eparina, riservando la trombolisi locale (vedi § 10.1.1.2) ai casi che presentino un anda-mento peggiorativo malgrado una scoagulazione ottimale ed un adeguato trattamento dellepossibili cause sottostanti.84

10.1.1.6 Neuroprotezione

Malgrado il notevole interesse derivante dal forte razionale fisiopatologico, i farmaci neuro-protettori che hanno dato risultati positivi nell’ischemia sperimentale (come gli antagonisti delrecettore N-metil-D-aspartato, i farmaci anti-radicali liberi, gli anticorpi anti-molecole di ade-sione, solo per citare i più interessanti), non hanno poi confermato la loro efficacia in studi cli-nici di fase III. Tutte le revisioni sistematiche fino ad oggi pubblicate non mostrano alcun van-taggio clinico dell’uso di calcio antagonisti, gangliosidi, lubeluzolo, GABA agonisti, tirilazad,antagonisti della glicina o dei recettori NMDA, rispetto al placebo.85-91

Potrebbero essere molte le possibili spiegazioni, fra cui il ritardo nell’inizio del trattamento (inalcuni studi fino a 24-48 ore), dosi inadeguate, un meccanismo d’azione non appropriato pertutti i tipi di ictus. Ad esempio, è improbabile che un antagonista del recettore N-metil-D-aspartato, che agisce a livello sinaptico, possa essere efficace nel proteggere la sostanza biancaischemica dove non ci sono sinapsi.92 Altra possibile spiegazione è che se non si ristabiliscetempestivamente un adeguato flusso ematico nel tessuto ischemico, questo non può tornare acondizioni di normale funzionalità ed al massimo resterà “congelato” nella condizione deter-minata dal neuroprotettore fin quando questo sarà somministrato. Quindi, è verosimile chesolo la sperimentazione combinata di un farmaco neuroprotettore con la rivascolarizzazionefarmacologica potrà consentire di dimostrare l’efficacia clinica della neuroprotezione.93 Sonocomunque in corso ricerche cliniche su nuovi neuroprotettori, i cui risultati – principalemntefocalizzati su disabilità e recupero neurologico (studi SAINT-I e SAINT-II)94 – sono attesi nelcorso del 2007.

La revisione sistematica effettuata nell’ambito della Cochrane Collaboration e recentementeaggiornata conclude per una mancanza di dati circa l’efficacia dell’uso dei corticosteroidi neltrattamento dell’ictus ischemico acuto.95

Conclusioni analoghe emergono dalle revisioni circa l’uso dei diuretici osmotici (mannitolo,glicerolo)96,97 che pertanto non sono indicati nel trattamento sistematico dell’ictus ischemicoacuto, mentre si rimanda alla raccomandazione 11.31 b per quanto concerne il trattamentodell’edema cerebrale.

Raccomandazione 10.8Grado DIl trattamento anticoagulante coneparina e.v. è indicato in pazienticon trombosi dei seni venosi.

Raccomandazione 10.9 aGrado AL’uso di farmaci neuroprotettorinon è indicato nel trattamentodell’ictus ischemico acuto.

Raccomandazione 10.9 bGrado AI corticosteroidi non sono indicatinel trattamento dell’ictus ische-mico acuto.

Raccomandazione 10.9 cGrado AI diuretici osmotici (mannitolo,glicerolo) non sono indicati neltrattamento sistematico dell’ictusischemico acuto, ma si rimandaalla raccomandazione 11.31 bper quanto concerne il trattamen-to dell’edema cerebrale.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 215

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Sintesi 10-9La terapia antitrombotica di pre-venzione secondaria in pazienticon ictus acuto va scelta alla lucedell’inquadramento patogeneticodel caso, che va fatto al più pre-sto possibile (preferibilmenteentro 48 ore al massimo), conl’eventuale ricorso, ove possibile,alle più appropriate indagini stru-mentali. Comunque la sceltaterapeutica deve tener contodella gravità clinica del pazientee della sua aderenza al tratta-mento, e della possibilità di effet-tuare un monitoraggio accurato,qualora necessario, come nelcaso della terapia anticoagulanteorale.

Raccomandazione 10.10 aGrado BIn pazienti con fibrillazione atrialenon valvolare è indicata la terapiaanticoagulante orale (TAO) mante-nendo i valori di INR tra 2 e 3.

Raccomandazione 10.10 bGrado DIn pazienti con altra eziologia car-dioembolica che hanno un eleva-to rischio di recidiva precoce, èindicata la terapia con eparinae.v. (PTT 1,5-2,5 il valore basale)seguita da terapia anticoagulanteorale da embricare con l’eparina,con obiettivo INR fra 2 e 3 (valvu-lopatie con o senza FA), o fra 2,5e 3,5 (protesi valvolari meccani-che).

10.1.2 Terapia antitrombotica come terapia di prevenzione secondaria

Un’adeguata terapia di prevenzione secondaria deve essere mirata in funzione del sottostantemeccanismo patogenetico cardioembolico, aterotrombotico o da patologia di piccole arterie.Questo va definito con le più appropriate indagini strumentali da eseguire entro un limite mas-simo di 48 ore dal ricovero.

10.1.2.1 Ictus cardioembolico

Che la terapia anticoagulante sia quella più efficace nella prevenzione dell’ictus in pazienti concardiopatie emboligene, è stato chiaramente dimostrato dagli studi di prevenzione primaria 98

(vedi § 7.2.2.2) e da quelli di prevenzione secondaria in pazienti colpiti da TIA o ictus mino-ri (vedi § 12.6.2).99 Questi hanno anche permesso di delineare diversi profili di rischio, chepongono i pazienti con fibrillazione atriale già colpiti da TIA o ictus nel gruppo di quelli adalto rischio di recidiva.100 Ma studi randomizzati controllati con terapia anticoagulante in faseacuta non esistono, per cui il dilemma che si pone al clinico di fronte al paziente con ictus ecardiopatia emboligena è se iniziare una terapia anticoagulante d’emergenza e con che cosa,sapendo che questa comporta un rischio di trasformazione emorragica dell’infarto, che è tantopiù elevato quanto più estesa è la lesione.101 Studi con TC seriata hanno dimostrato una tra-sformazione emorragica spontanea fino al 40% dei casi di presumibile ictus cardioembolico,in particolare per gli infarti più estesi che, inoltre, si è visto essere prevedibile già ad una TCeseguita entro 6 ore dall’esordio dei sintomi grazie alla presenza di segni precoci estesi e dieffetto massa.102 Peraltro, la trasformazione emorragica più frequente è sotto forma di petec-chie più o meno confluenti, tende a manifestarsi entro 5-7 giorni dall’esordio dei sintomi, perlo più consegue al ritorno di sangue nell’area infartuale attraverso i vasi collaterali piali ini-zialmente compressi dall’edema perilesionale,102,103 non ha alcuna conseguenza sul piano cli-nico 101,102 e verosimilmente non è influenzata dall’uso di anticoagulanti.102 Invece l’infarci-mento secondario in forma di ematoma, più importante clinicamente, è meno frequente mapuò verificarsi spontaneamente fino al 2% dei casi,102 è più precoce verificandosi entro 48ore 104 e consegue in genere alla riapertura del vaso occluso per lisi dell’embolo, pur essendostato descritto anche in assenza di una tale ricanalizzazione.105 Comunque il rischio potenzia-le che un trattamento anticoagulante precoce possa favorire questa seconda evenienza, va valu-tato alla luce del rischio di ricorrenza precoce (entro due settimane) ed ultraprecoce (nelleprime 48 ore). Una non recente revisione della letteratura da parte della Cerebral EmbolismTask Force 106 stima il rischio di recidiva precoce intorno al 12% (dal 2% al 22%), mentre inuna serie prospettica di 227 ictus cardioembolici la recidiva precoce è stata stimata pari al13,7% e quella ultraprecoce al 4,8%.107

I già citati studi con terapia anticoagulante a base di eparina non frazionata o a basso pesomolecolare o di eparinoidi somministrati entro 24-48 ore dall’esordio dell’ictus, forniscono datidi non univoca interpretazione. Nello studio FISS 59 la nadroparina ha consentito una riduzio-ne del 39% del rischio relativo di recidiva durante il ricovero (2,9% con entrambi i dosaggi dinadroparina contro 4,8% dei pazienti placebo), non significativa per l’esiguità del campionestudiato, e persino con una minore incidenza di trasformazioni emorragiche (48% in meno conla dose alta, e 27% in meno con quella bassa, cioè rispettivamente 4,9% e 6,9% contro 9,5%nei placebo). Non viene fornito il dato separato relativo agli ictus cardioembolici.

L’analisi del sottogruppo dei pazienti con fibrillazione atriale dello studio IST 62 (3·169 pazien-ti, cioè il 16% del totale) evidenzia una riduzione a 14 giorni di 21±7 eventi ogni 1·000 pazien-ti trattati (2,8% contro 4,9%), a fronte, però, di 16±4 infarcimenti emorragici in più (2,1%contro 0,4%). C’è da dire che nello studio non viene specificata la gravità di questi infarci-menti, per cui considerando la mortalità a 14 giorni come indice indiretto di complicanzeemorragiche fatali, il trattamento anticoagulante previene 16±14 eventi di decesso/ictus nonfatale (19,2% contro 20,7%). Per contro, il trattamento con ASA previene 13±7 recidive(3,3% contro 4,5%), provoca 3±4 infarcimenti emorragici in più (1,4% contro 1,1%) e com-plessivamente 2±3 eventi di decesso/ictus non fatale in più (19,8% contro 19,9%) per ogni1·000 pazienti trattati.62

Nello studio TOAST 65 i pazienti con ictus cardioembolico trattati con danaparoide non pre-sentavano recidive nei primi 7 giorni, contro l’1,6% di recidive nei placebo, ma a fronte di tra-sformazione emorragica grave nell’1,7% dei trattati contro lo 0,4% dei placebo (indipenden-temente dal sottotipo patogenetico di ictus). Lo studio HAEST 66 riporta l’8,5% di recidive di

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ictus a 14 giorni nei pazienti trattati contro il 7,5% del placebo e, rispettivamente, il 2,7% el’1,8% di trasformazioni emorragiche sintomatiche. Infine, lo studio TAIST 68 riporta il 3,3%di recidive nel braccio ad alta dose di tinzaparina, il 4,7% in quello a dose media ed il 3,1%in quello con ASA con, rispettivamente, il 2,2%, l’1,0% e lo 0,6% di complicanze emorragi-che intra- o extra-craniche.

Dall’analisi comparata di questi studi risulta evidente la non immediata confrontabilità deirisultati, vista la variabilità di recidiva precoce nei pazienti non trattati dall’1,6% 65 al 7,5%.66

Questo si può spiegare ipotizzando diverse definizioni di recidiva adottate nei diversi studi,tenendo conto, peraltro, che tali definizioni non vengono mai fornite tranne che nello studioHAEST 66 che, però, ha considerato recidive anche il peggioramento dei sintomi verificatosidopo 48 ore dall’esordio dell’ictus e, quindi, ha computato come recidive un buon numero diprogressing stroke.108

Un elemento critico comune a questi studi è, comunque, il mancato monitoraggio dei livelli discoagulazione, il che non è un dato di secondo piano considerando che, ad esempio, dai datisu tutta la popolazione studiata nello studio IST risulta che il sottogruppo trattato con la dosepiù elevata di eparina è quello che ha presentato il tasso più elevato di complicanze emorragi-che,62 mentre il sottogruppo trattato con la dose più bassa di eparina è quello che ha presen-tato il miglior rapporto rischio/beneficio, anche in confronto con l’ASA.109,110 Solo lo studioTOAST ha previsto un aggiustamento del dosaggio del farmaco in funzione dei livelli di scoa-gulazione raggiunti, ma gli autori non riportano il valore medio di attività anti-Xa effettiva-mente conseguito, né presentano il livello di anticoagulazione raggiunto nei pazienti con esenza complicanze emorragiche,65 per cui non si può escludere che nei primi i valori conse-guiti possano aver superato il range terapeutico. Infine, un limite specifico dello studio IST èche il 33% dei pazienti è stato sottoposto a TC cerebrale solo dopo la randomizzazione,62 conil probabile arruolamento di almeno 600 pazienti con emorragia cerebrale, il che può averecomportato uno sbilanciamento delle complicanze emorragiche a sfavore dei gruppi sottopo-sti a terapia con eparina.109 Tuttavia, nella successiva metanalisi dei dati combinati CAST eIST, si è rilevato che nei 9·000 pazienti (22%) randomizzati senza TC prima di iniziare il trat-tamento – ivi inclusi circa 800 soggetti poi identificati come colpiti da ictus emorragico – nonsi è osservato un particolare eccesso di trasformazioni emorragiche.64

Uno dei problemi originati da questi studi è la variabilità delle stime di trasformazione emor-ragica e quindi del potenziale rapporto tra benefici e rischi. Secondo una recente metanalisi 111

basata su 28 studi osservazionali e 19 RCT, purtroppo di valore limitato a causa di definizioninon omogenee degli eventi e di popolazioni piccole o affette da bias, il rischio spontaneo ditrasformazione emorragica è 8,5% (IC95 7%-10%), incluso lo 1,5% (IC95 0,8%-2,2%) diemorragie gravi (accompagnate da deterioramento neurologico o ematoma parenchimale). Lafrequenza spontanea di trasformazione emorragica è quindi relativamente bassa, ma aumentain maniera marcata con l’impiego di antitrombotici o trombolitici. I principali fattori dirischio, desumibili però da soli 8 studi, includono: infarti di grandi dimensioni, effetto dimassa, ipodensità precoce, età >70 anni. Ipertensione o ictus cardioembolico non risultanoessere, in questa analisi, fattori di rischio indipendenti per trasformazione emorragica.

Va inoltre sottolineato come il ricorso ad ecocardiografia transesofagea nei pazienti con fibril-lazione atriale non valvolare arruolati nello studio SPAF-III abbia permesso di evidenziare chela presenza di trombi 112 e/o di ridotta velocità di flusso 112,113 in auricola sinistra, di ecocon-trasto spontaneo denso 112,114 e di placche aortiche complicate 112 sono tutti fattori correlaticon elevato rischio tromboembolico. Inoltre, ove possibile è utile prendere in considerazioneanche la presenza ed estensione dei segni precoci dell’infarto alla TC cerebrale. Naturalmentecriteri cardine nella scelta terapeutica restano la gravità clinica del paziente e la sua aderenzaal trattamento, intendendo quest’ultima anche in relazione alla realtà territoriale nella quale ilpaziente vive e, quindi, alla presenza o meno di centri per il monitoraggio della terapia anti-coagulante.

In conclusione, quindi, in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare è indicata la terapiaanticoagulante orale (TAO) con INR da mantenere fra 2 e 3, mentre in pazienti con altra ezio-logia cardioembolica (valvulopatie con o senza FA, protesi valvolari) che hanno un elevatorischio di recidiva precoce, è indicata la terapia con eparina e.v. (PTT 1,5-2,5 volte il valorebasale) seguita da TAO da embricare con l’eparina, con obiettivo INR fra 2 e 3 (valvulopatiecon o senza FA), o fra 2,5 e 3,5 (protesi valvolari meccaniche). In pazienti con qualunque ezio-

Sintesi 10-10L’esecuzione di ecocardiografiatransesofagea in pazienti confibrillazione atriale non valvolarepuò permettere di evidenziarecondizioni ecografiche di elevatorischio cardioembolico cometrombi in auricola sinistra, eco-contrasto spontaneo denso, ridot-ta velocità di flusso in auricolasinistra, placche aortiche compli-cate, isolatamente o in associa-zione. Fisiopatologicamente que-sti pazienti andrebbero conside-rati come ad elevato rischio direcidiva precoce, ma al momentoattuale non si hanno indicazionida studi randomizzati sul piùappropriato trattamento anticoa-gulante (tipo di farmaco etiming).

Raccomandazione 10.11Grado DIn pazienti con qualunque eziolo-gia cardioembolica, in assenzadelle controindicazioni elencatenel Capitolo 5, è indicato iniziareil trattamento anticoagulanteorale tra 48 ore e 14 giornitenendo conto di:• gravità clinica;• estensione della lesione alle

neuroimmagini;• comorbosità cardiologica

(definita anche con ecocardio-grafia).

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 217

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Raccomandazione 10.12Grado BL’ASA alla dose di 325 mg/die èindicato come terapia di preven-zione secondaria precoce dopoun ictus cardioembolico in tutti icasi nei quali la terapia anticoa-gulante è controindicata o nonpossa essere adeguatamentemonitorata al momento delladimissione.

Raccomandazione 10.13Grado DIn pazienti con FA che già assu-mevano terapia anticoagulanteorale e che presentino un INR aldi sotto del range terapeutico, èindicata la terapia anticoagulante,con la scelta del tipo di anticoa-gulante e del timing definitecome nella raccomandazione10.11.

Raccomandazione 10.14Grado DIn pazienti con protesi valvolarigià in terapia anticoagulanteorale ben condotta, è indicatal’associazione agli anticoagulantiorali di antiaggreganti piastrinici.

Sintesi 10-11In pazienti con ictus e forameovale pervio le scelte terapeuti-che di prevenzione secondariasono le stesse proposte in ambitonon d’emergenza (vedi racco-mandazioni 12.14 a, b, c), mentreil timing è quello indicato nellaraccomandazione 10.11.

logia cardioembolica, in assenza delle controindicazioni elencate nel Capitolo 5, il trattamen-to anticoagulante orale va iniziato tra 48 ore e 14 giorni successivi all’evento tenendo conto di:• gravità clinica;• estensione della lesione alle neuroimmagini;• comorbosità cardiologica (definita anche con ecocardiografia).

Comunque, i ricercatori dello studio IST concludono sostenendo che il ricorso ad ASA 300mg al giorno entro 48 ore dall’esordio dei sintomi in pazienti con qualunque tipo patogeneti-co di ictus ischemico consente di ridurre del 30% il rischio relativo di recidiva precoce di ictuse che tale trattamento ha il miglior profilo rischio/beneficio.62 Questa conclusione è rafforza-ta anche dalla già citata metanalisi degli studi CAST ed IST che evidenzia l’efficacia dell’ASAnel prevenire recidive di ictus, anche indipendentemente dal tipo patogenetico, con 7±1 reci-dive prevenute, a fronte di un aumento di 2±1 trasformazioni emorragiche, ogni 1·000 pazien-ti trattati 64 ed indipendentemente dall’esecuzione di TC prima di iniziare il trattamento.Quindi, dove è disponibile una CT sufficientemente precoce e regolare monitoraggio deitempi di coagulazione o iter diagnostico strumentale necessario per distinguere sottogruppi adiverso rischio di recidiva, la scelta terapeutica fra anticoagulante e ASA ed il timing della tera-pia saranno definiti in funzione del quoziente di rischio per ictus correlato alla sottostante car-diopatia, eventualmente ulteriormente quantizzato in base alle indagini strumentali eseguite inregime d’urgenza. Dove ciò non è disponibile, non vi sono ragioni sostanziali per ritardare oevitare il trattamento almeno con ASA nel sospetto di ictus ischemico di qualsiasi tipo.64

Nel caso specifico dell’ictus cardioembolico, viene raccomandato l’ASA come terapia di pre-venzione secondaria precoce in tutti i casi nei quali la terapia anticoagulante è controindicatao non possa essere adeguatamente monitorata al momento della dimissione.110 In analogia conquanto raccomandato in prevenzione primaria 115 (vedi anche raccomandazione 7.7 d) esisteun consenso generalizzato ad indicare l’impiego della dose di 325 mg/die. Per la prevenzionesecondaria a lungo termine si veda il Capitolo 12.

Un discorso a parte meritano i pazienti con cardiopatie emboligene che vanno incontro adictus malgrado terapia anticoagulante. Nel caso della fibrillazione atriale questo avviene il piùspesso perché i livelli di INR non sono nel range terapeutico,116 ma comunque in emergenzala scelta ed il timing della terapia anticoagulante debbono seguire i criteri su riportati.

Nel caso dei pazienti portatori di protesi valvolari, invece, una volta escluso con TC cerebra-le trattarsi di emorragia cerebrale, i provvedimenti da prendere sono i seguenti:a. nei pazienti con protesi valvolari biologiche, che al momento dell’ictus sono in trattamento

con ASA dopo i tre mesi iniziali con TAO, è indicata una TAO a lungo termine;b. nei pazienti con protesi valvolari meccaniche in cui l’ictus si sia verificato in corso di TAO

ad intensità inadeguata è opportuno riprendere la TAO ad intensità ottimale (INR 2,5-3,5per le protesi a disco singolo o doppio emidisco e INR 3-4,5 per le protesi a palla e le pro-tesi multiple);

c. nei pazienti con protesi meccaniche che hanno embolizzato malgrado una TAO adeguata èconsigliabile l’associazione alla TAO di ASA 100 mg o in alternativa dipiridamolo 400 mgdie. Queste raccomandazioni sono basate sulla estrapolazione di risultati ottenuti in pre-venzione primaria in pazienti con protesi valvolari meccaniche ad elevato rischio car-dioembolico;117-119

d. in tutti i pazienti con protesi in cui si è verificato un ictus è raccomandabile l’esecuzione del-l’ecocardiografia transesofagea per la ricerca di un’eventuale trombosi valvolare protesica.

Nei pazienti con trombosi valvolare protesica e ictus deve essere attuata una terapia anticoa-gulante.120 Nei pazienti in cui persista una trombosi protesica e vi sia una ricorrenza di eventinonostante il trattamento anticoagulante deve essere preso in considerazione un approcciocardiochirurgico

Infine, per quanto riguarda i pazienti con ictus e forame ovale pervio le scelte terapeutiche diprevenzione secondaria sono le stesse proposte in ambito non d’emergenza (vedi § 12.6.2.4).

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10.1.2.2 Ictus da patologia aterosclerotica dei tronchi arteriosi extra-cranici

L’ictus ischemico da patologia dell’asse carotideo o vertebrale extracranico è nella maggiorparte dei casi artero-embolico, piuttosto che trombotico. Anche in caso di occlusione acutadella carotide interna al collo, infatti, in oltre la metà dei casi l’ictus è causato dalla concomi-tante occlusione artero-embolica dell’arteria cerebrale media omolaterale.121 Pertanto la tera-pia di prevenzione secondaria in caso di ictus o TIA da patologia arteriosa, si può a pieno tito-lo considerare indirizzata al controllo di potenziali fonti emboligene. Un’ulteriore conferma ditale assunto è data dall’identificazione del ruolo di fattore di rischio per ictus giocato dalleplacche aterosclerotiche in aorta ascendente ed arco aortico.122-127 Queste si riscontrano finnel 60% di pazienti con ictus di età superiore ai 60 anni, come verosimile indice di una pato-logia aterosclerotica diffusa. Assumono un ruolo da protagoniste in casi di ictus criptogeneti-co, cioè quando mancano lesioni aterotrombotiche nelle sedi classiche,122,123,125 e soprattuttoquando sono protrudenti,122,124,126 ed hanno un aspetto complicato.123,125,127

Le indicazioni di terapia di prevenzione secondaria nei pazienti con ictus artero-embolico adorigine carotidea sono ampiamente codificate, in particolare per quanto riguarda il tratta-mento di tromboendoarteriectomia (TEA) in caso di stenosi carotidee ≥70% e, tenendo contodi eventuali altri fattori di rischio per ictus e dei rischi operatori, anche per quelle fra il 50%ed il 69% (vedi Capitolo 13).128,129 Sono in via di studio approcci alternativi come angiopla-stica e stent carotidei. Tuttavia, va sottolineato che si tratta di trattamenti elettivi e che atutt’oggi mancano stime del rischio di recidiva precoce in tali pazienti e, quindi, dell’oppor-tunità di eseguire una TEA d’emergenza.

Nel caso di placche carotidee responsabili di stenosi <50% non c’è indicazione chirurgica edil trattamento è farmacologico. Nel caso di pazienti che non assumevano terapia antitrombo-tica prima dell’ictus, la scelta terapeutica cade sugli antiaggreganti (Capitolo 12). L’unicoantiaggregante studiato in fase acuta è l’ASA, nei già citati studi IST 62 e CAST 63, in base aiquali l’indicazione primaria è quella di somministrare ASA 160-300 mg/die. Il problema sorgequando i pazienti già prima dell’ictus assumevano antiaggreganti, in genere ASA. In questocaso non ci sono indicazioni che aumentare il dosaggio dell’ASA apporti qualche beneficio.129

Quindi, il dilemma che si pone è se mantenere il trattamento in atto (che comunque potrebbeaver ridotto la gravità di un evento inevitabile), cambiare farmaco antiaggregante (ipotizzandoche l’evento sia secondario a un suo fallimento) o iniziare terapia anticoagulante. Per la sosti-tuzione, l’indicazione attuale è quella di ricorrere all’associazione dipiridamolo a lento rilascio200 mg e ASA 25 mg ogni 12 ore (non ancora disponibile in Italia) 110,130 o a ticlopidina 250mg × 2/die (eseguendo due controlli dell’emocromo al mese per i primi tre mesi)110 o a clopi-dogrel 75 mg/die, quest’ultimo preferibile a ticlopidina per il miglior profilo di sicurezza.128,129

Per quanto concerne la terapia anticoagulante in caso di ictus non cardioembolico, invece, lostudio Stroke Prevention in Reversible Ischemia Trial (SPIRIT)131 ha confrontato ASA 30 mgcon warfarina in 1·316 pazienti con TIA o ictus minore di presunta genesi arteriosa (non car-diaca). Il trattamento ha comportato una crescita del rischio emorragico di un fattore 1,43(IC95 0,96-2,13) per ogni aumento di 0,5 unità INR. Ma l’obiettivo di INR previsto nello stu-dio era 3,0-4,5, cioè un livello di scoagulazione che non ha nessun razionale fisiopatologico inpazienti con ictus non cardioembolico. Il Warfarin-Aspirin Recurrent Stroke Study(WARSS),132 ha messo a confronto warfarina (obiettivo INR 1,4-2,8) ed ASA 325 mg sommi-nistrate entro 30 giorni dall’ictus e per due anni in pazienti con ictus non cardioembolico. Lostudio non ha evidenziato differenze fra warfarina ed ASA nella prevenzione di recidive diictus o di morte da qualunque causa, né nell’incidenza di emorragie maggiori. Gli autori con-cludono affermando che warfarina ed ASA sono ragionevoli alternative terapeutiche. Almomento attuale, quindi, gli anticoagulanti andrebbero riservati ai casi di recidive plurimemalgrado terapia antiaggregante.128,129 Lo studio European and Australasian Stroke Preventionin Reversible Ischemia Trial (ESPRIT)133 prevede la randomizzazione a warfarina (INR 2-3),dipiridamolo (400 mg) più ASA (30-325 mg) o ASA (30-325 mg) da sola di 4·500 pazienti conTIA o ictus minore di origine arteriosa. Iniziato nel 1997, ad aprile 2005 lo studio aveva ran-domizzato 3·240 pazienti in 81 centri.

Per quanto concerne i pazienti con placche nell’arco aortico, infine, ancora non c’è un’indi-cazione evidente sulla migliore terapia di prevenzione secondaria. Finora sono disponibili solodati su piccole serie che indicano tanto una superiorità degli anticoagulanti,134 quanto lasovrapponibile efficacia di antiaggreganti ed anticoagulanti.124 Nel sottogruppo di pazienti

Raccomandazione 10.15Grado AIn pazienti con ictus conseguentea patologia aterotrombotica deivasi arteriosi extracranici che nonassumevano terapia antitromboti-ca prima dell’evento, è indicatosomministrare ASA 160-300mg/die.

Raccomandazione 10.16Grado DIn pazienti con ictus conseguentea patologia aterotrombotica deivasi arteriosi extracranici che giàassumevano ASA prima dell’e-vento, è indicato somministrareticlopidina 250 mg×2/die (ese-guendo almeno due controlli del-l’emocromo al mese per i primitre mesi) o clopidogrel 75 mg/die,o dipiridamolo a lento rilascio200 mg e ASA 25 mg×2/die.

Raccomandazione 10.17Grado DIn pazienti con ictus conseguentea patologia aterotrombotica deivasi arteriosi extracranici chemalgrado adeguata terapiaantiaggregante presentino ripetu-te recidive, è indicata la terapiaanticoagulante orale (INR 2-3).

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 219

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Sintesi 10-12Non ci sono al momento attualedati sufficienti per raccomandareterapia antiaggregante ovveroanticoagulante in pazienti conplacche dell’arco aortico, anchese sul piano strettamente fisiopa-tologico queste dovrebbero esse-re trattate analogamente alleplacche dei tronchi arteriosiextracranici. Tuttavia, le indicazio-ni prevalenti in letteratura sono afavore degli anticoagulanti.

Sintesi 10-13In pazienti con ictus lacunare laterapia di prevenzione secondariava definita alla luce di indaginidiagnostiche le più complete pos-sibili, atte ad evidenziare poten-ziali condizioni di rischio per ictusaterotrombotico o cardioembolico.

Raccomandazione 10.18Grado BPer la prevenzione delle trombosivenose profonde in pazienti arischio elevato (pazienti plegici,con alterazione dello stato dicoscienza, obesi, con pregressapatologia venosa agli arti inferio-ri) è indicato l’uso di eparina adosi profilattiche (eparina calcicanon frazionata 5·000 UI × 2 oeparine a basso peso molecolarenel dosaggio suggerito come pro-filattico per le singole molecole)da iniziare al momento dell’ospe-dalizzazione.

dello studio SPAF III con fibrillazione atriale e placche in arco aortico, quelli trattati con war-farina con INR 2-3 hanno avuto il 5,9% di recidive per anno, contro il 17,3% di quelli tratta-ti con ASA 325 mg più bassa dose di warfarina con INR <1,5.135 In attesa di risultati più certida studi randomizzati, la scelta attualmente prevalente è il trattamento anticoagulante,136 men-tre efficacia e sicurezza di un approccio chirurgico di TEA 137 sono tutte da definire.

10.1.2.3 Ictus lacunare

Una revisione della letteratura sugli ictus lacunari 138 ha posto in evidenza come, pur rima-nendo l’ipertensione il più frequente fattore di rischio – anche se non in maniera significati-vamente diversa dai non lacunari 139 - e la patologia intrinseca delle piccole arterie il principa-le meccanismo patogenetico, tuttavia la fibrillazione atriale e altre cardiopatie ad elevatorischio emboligeno possono essere presenti fino al 18% dei casi, mentre stenosi carotidee>50% congrue con l’emisfero sintomatico si riscontrano fino al 20% dei casi. La tematica ècerto complessa, poiché va chiarito se la presenza di potenziali fonti cardioemboliche o dipatologia dei grossi vasi in pazienti con infarto lacunare sia semplicemente concomitante opossa avere importanza patogenetica. È stato comunque dimostrato che la recidiva di ictus inpazienti con iniziale ictus lacunare è un nuovo ictus lacunare solo nel 48% dei casi, mentre èun’emorragia nel 3,5% dei casi ed un ictus cardioembolico o aterotrombotico nel rimanente48% dei casi.140 Inoltre, un’analisi post-hoc della casistica arruolata nello studio NASCET haevidenziato che su 1·158 pazienti con ictus emisferico, 210 (18%) avevano un infarto lacuna-re alla TC e, quando trattati con terapia medica, questi avevano un rischio di recidiva a 3 annidel 15,8% per ictus aterotrombotico, del 9,2% per ictus lacunare e dello 0,8% per ictus car-dioembolico, contro rispettivamente il 17,1%, 2,9% e 2,3% per i pazienti con primo ictusnon-lacunare.141

In base a tali considerazioni, anche in caso di ictus lacunare la terapia di prevenzione secon-daria va definita solo a seguito di indagini diagnostiche sullo stato dei grossi tronchi arteriosie del cuore.

10.1.3 Terapia antitrombotica come terapia di prevenzione delle complicanze

10.1.3.1 Trombosi venose profonde ed embolia polmonare

La trombosi venosa profonda (TVP) è descritta clinicamente nel 5% dei pazienti con ictus,142

mentre ricorrendo a tecniche diagnostiche come la scintigrafia con fibrinogeno marcato laprevalenza sale al 53% dei pazienti emiplegici non sottoposti a trattamento profilattico.143-145

Il rischio di embolia polmonare in questi pazienti è del 10%-20%, con una mortalità globaledi circa il 10%.144,145 Elemento di interesse è che il picco di esordio di TVP è fra il secondoed il settimo giorno dopo l’ictus,145 con un plateau intorno alla terza settimana, mentre ilrischio di embolia polmonare cresce linearmente nello stesso periodo.142

Fra gli studi con anticoagulanti a dosi terapeutiche,59,62,65,66,68 gli studi FISS 59 e TOAST 65

riportano un’incidenza di TVP diagnosticate clinicamente dello 0,48% 59 e dell’1% 65 neipazienti non trattati, contro lo 0% 59,65 nei pazienti trattati. Lo studio TOAST riporta anchelo 0,16% di embolie polmonari sintomatiche nei pazienti trattati contro lo 0,32% nei non trat-tati.65 Negli studi HAEST 66 e TAIST 68 i pazienti trattati con ASA hanno presentato TVPrispettivamente nel 2,2% e nell’1,8% dei casi contro lo 0,4% di quelli trattati con daltepari-na 66 e lo 0% e lo 0,6% di quelli trattati con tinzaparina, rispettivamente ad alta o a mediadose.68 Nello studio TAIST vengono riportate anche le embolie polmonari sintomatiche che sisono verificate nello 0,8% dei pazienti trattati con ASA a nello 0,4% e 0,8% dei pazienti trat-tati con le due dosi di tinzaparina. Lo studio IST,62 infine, non riporta dati sulle TVP ma solosull’incidenza di embolie polmonari sintomatiche (fatali e non), che va dallo 0,9% nei pazien-ti placebo, allo 0,8% nei pazienti trattati con sola eparina a bassa dose, allo 0,7% in quelli trat-tati solo con ASA, allo 0,5% nei pazienti trattati con sola eparina ad alta dose. Tutto questo,però, al prezzo di un rischio di emorragie intra- ed extra-cerebrali più elevato nel gruppo epa-rina ad alta dose (ma valgono qui di nuovo le critiche già riportate alla mancata monitorizza-zione della terapia anticoagulante nello studio IST).

Peraltro, va sottolineato che limitandosi alle sole emorragie fatali, paradossalmente il tratta-mento col miglior rapporto rischio beneficio nello studio IST è quello con eparina ad alta doseassociata ad ASA, con lo 0,3% di embolie polmonari e lo 0,41% di emorragie fatali, seguito

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dall’associazione eparina a bassa dose più ASA, con lo 0,5% di embolie polmonari e lo 0,37%di emorragie fatali contro lo 0,7% di embolie polmonari e lo 0,27% di emorragie fatali con lasola ASA.

Sette studi randomizzati hanno valutato efficacia e sicurezza di eparina non frazionata s.c.(5·000 UI × 3),146-148 danaparoide,148-150 dalteparina,151,152 in dosi profilattiche e non terapeu-tiche, cioè non attivamente scoagulanti, nella prevenzione delle TVP. In tutti gli studi il trat-tamento è stato mantenuto per i primi 14 giorni successivi all’esordio dell’ictus e la TVP è statadiagnosticata in maniera strumentale, con scintigrafia con fibrinogeno marcato, e non clinica.Nel complesso sono stati randomizzati oltre 600 pazienti ed in media l’incidenza di TVP èscesa dal 63% (IC95 57%-69%) nei pazienti non trattati, al 23% (IC95 17%-29%) nei pazien-ti trattati con eparina s.c. a bassa dose e al 16% (IC95 10%-22%) nei pazienti trattati con epa-rine a basso peso molecolare, mentre il confronto diretto fra eparina non frazionata e dana-paroide è risultato a favore della maggior efficacia di quest’ultimo.149 Il rischio di trasforma-zione emorragica, non ulteriormente specificato se fatale, va dal 2,0% 151 al 2,8%.147

La metanalisi Cochrane 61 ha messo insieme gli studi sopra citati con anticoagulanti a dosi pro-filattiche,146,147,149,151,152 con i dati di due studi non pubblicati e con quelli di uno studio com-parativo di eparina standard e.v. con mezzi fisici di prevenzione,153 per un totale di 916 pazien-ti. Il risultato è una netta efficacia della terapia anticoagulante con 281 (IC95 230-332) TVPprevenute ogni 1·000 pazienti trattati. Per quanto concerne la prevenzione dell’embolia pol-monare, poi, la metanalisi mette insieme tredici studi fra i quali anche l’IST che, quindi, dasolo rappresenta più dell’80% dei pazienti studiati. Il risultato è che la terapia anticoagulante(a qualunque dose) previene 4 embolie polmonari per ogni 1·000 pazienti trattati al prezzo di9 emorragie sistemiche gravi in eccesso.

Infine una metanalisi più recente,154 mettendo assieme tre degli studi con anticoagulanti a dosiprofilattiche precedentemente considerati 149,151,152 e i sottogruppi “bassa dose” degli studiFISS 59 e FISS-bis,60 evidenzia una riduzione non significativa di incidenza di TVP (OR 0,52;IC95 0,23-1,16) ed un aumento non significativo di trasformazioni emorragiche sintomatiche(OR 1,36; IC95 0,56-3,33). Incidentalmente, questo evidenzia come i risultati delle metanalisied il messaggio che se ne fa derivare, molto dipendono dalla scelta degli studi da includere inqueste fatta dagli autori.

Quindi, si può concludere che i dati sopra riportati dimostrano che il trattamento con epari-na non frazionata s.c. a bassa dose (5·000 UI × 2) o con eparine a basso peso molecolare indose profilattica è indicato nella prevenzione delle TVP nei pazienti a rischio elevato (pazien-ti plegici, con alterazione dello stato di coscienza, obesi, con pregressa patologia venosa degliarti inferiori). Per quanto riguarda, invece, la prevenzione dell’embolia polmonare i dati adisposizione non sono conclusivi e solo uno studio randomizzato che ricerchi sistematicamen-te gli emboli polmonari potrebbe dirimere il dubbio di quale trattamento, fra anticoagulantied ASA, abbia il miglior rapporto rischio/beneficio. Per il momento, quindi, dobbiamo limi-tarci all’evidenza che il trattamento più efficace nel prevenire il formarsi di fonti di emboli peril circolo polmonare sia il più indicato a prevenire l’embolia polmonare. D’altra parte l’ASAnon si è dimostrato efficace nel ridurre il rischio di embolia polmonare negli studi CAST 63

(0,1% con ASA vs. 0,2% con placebo) ed IST 62 (0,6% con ASA vs. 0,8% senza ASA).

Infine, va ricordato che delle misure fisiche alternative di prevenzione solo la compressionepneumatica intermittente (CPI) e la stimolazione muscolare elettrica si sono dimostrate effi-caci nel prevenire TVP tanto quanto l’eparina standard e.v. in uno studio su 360 pazienti conictus.153 Invece le calze elastiche sono state studiate soprattutto in ambiente neurochirurgico,ed i due studi più ampi hanno dimostrato un’efficacia preventiva significativamente maggioredella combinazione delle calze elastiche con eparine a basso peso molecolare rispetto ai duetrattamenti separati.155,156 È attualmente in corso la famiglia di studi CLOTS (Clots in Legs OrTeds after Stroke) che dovrebbe rispondere a due domande: 1) L’ utilizzo precoce e routinariodelle calze a compressione graduate riduce il rischio delle TVP prossimali nelle settimane suc-cessive all’ ictus? 2) Tra le calze a compressione graduate sono più efficaci e più pratiche quel-le lunghe o quelle corte? I risultati sono attesi intorno al 2009 (http://www.dcn.ed.ac.uk/clots/).

Sintesi 10-14In pazienti non a rischio elevatodi trombosi venose profonde, ilricorso sistematico all’eparinacomporta un bilanciobeneficio/rischio di complicanzeemorragiche intracerebrali e/osistemiche inaccettabile.

Raccomandazione 10.19Grado DLa mobilizzazione precoce, lecalze elastiche e la compressionepneumatica intermittente sonoindicate come misure aggiuntiveo come alternative agli anticoa-gulanti quando questi siano con-troindicati.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 221

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Raccomandazione 10.20Grado DNon ci sono indicazioni all’usodegli anticoagulanti nel progres-sing stroke, tranne che nei casidi stenosi subocclusiva carotideao basilare o di occlusione di basi-lare.

Sintesi 10-15Il controllo e l’adeguato tratta-mento di ipertermia ed iperglice-mia ed il trattamento dell’edemacerebrale sono comunque consi-gliati nella prevenzione e nel trat-tamento del progressing stroke.

10.1.3.2 Progressing stroke

Per progressing stroke si intende un peggioramento sensibile e misurabile di una o più funzio-ni neurologiche nei giorni successivi al ricovero ospedaliero.

Il razionale dell’uso dei farmaci anticoagulanti nei progressing stroke è basato sull’ipotesi chetale evenienza consegua alla progressione di una trombosi subocclusiva od occlusiva in untronco arterioso extracranico.157 Di fatto, questo meccanismo si può verificare in caso di ste-nosi subocclusiva della carotide interna o, soprattutto, della basilare, quando una progressio-ne del trombo può determinare la progressiva occlusione dei rami arteriosi che dal troncodella basilare si dipartono.158 In questi casi, dunque, come già detto in precedenza è indicatoil ricorso a terapia anticoagulante o in alternativa, nel caso dell’occlusione della basilare, ha unsenso la trombolisi. Ma si tratta di eventi poco frequenti, mentre studi condotti negli ultimidieci anni hanno dimostrato che fino al 20%-40% dei pazienti con ictus ischemico possonopresentare un peggioramento spontaneo nelle ore successive e fino ad una settimana dall’e-sordio dei sintomi.159 Nel caso di pazienti con ictus in territorio carotideo, di gran lunga i piùstudiati, si è visto che il 90% di quelli che peggiorano spontaneamente hanno un’occlusionearteriosa completa già poche ore dopo l’esordio dei sintomi e prima che il peggioramentoabbia luogo, e questa coinvolge il tratto intracranico della carotide interna o l’arteria cerebra-le media nel 75% dei casi.160 Inoltre, è stato evidenziato che questi pazienti presentano segniprecoci estesi alla TC dell’infarto in atto nel 70% dei casi e, quindi, sviluppano lesioni estesecon notevole edema perilesionale che esercita effetto massa.160-162 Altri studi hanno poi evi-denziato altre condizioni correlabili con il peggioramento spontaneo, come una storia clinicadi diabete,162,163 elevati valori glicemici all’ingresso,164 temperatura corporea elevata,165 eleva-ti livelli sierici di glutammato.166 Una possibile ipotesi unificante vede nell’edema cerebrale,che viene accentuato dall’iperglicemia 149,167 e dall’ipertermia,147 il responsabile del guadagnodi nuovo tessuto cerebrale all’ischemia, attraverso la compressione sui vasi collaterali. Questoporta nuovo tessuto cerebrale a non funzionare, con il conseguente peggioramento clinico, edè solo su questo tessuto ischemico che le ondate di depolarizzazione generate dal glutammatoliberato a livello del core ischemico possono agire con effetto necrotizzante.69

Alla luce di quanto detto, è facile comprendere il fallimento degli unici due studi randomiz-zati atti a valutare efficacia e sicurezza dei farmaci anticoagulanti nella prevenzione dell’ictusprogressivo.66,168 In particolare lo studio HAEST ha evidenziato una progressione dei sintominel 10,7% dei pazienti trattati con dalteparina, contro il 7,6% di quelli trattati con ASA,66 cherappresentano una prevalenza straordinariamente bassa di progressione rispetto alla letteratu-ra se non si tiene in considerazione il fatto che, come già detto, una buona parte delle recidi-ve di ictus in questo studio erano in realtà progressing stroke.102

Al momento attuale, quindi, non ci sono evidenze a favore dell’uso degli anticoagulanti nei pro-gressing stroke, tranne che nei casi di stenosi subocclusiva carotidea o basilare o di occlusionedi basilare. Per contro, non esiste una terapia dei progressing stroke a parte il controllo dei fat-tori che sembrano giocare un ruolo come l’edema cerebrale, l’iperglicemia e l’ipertermia.

10.1.3.3 La trombocitopenia da eparina 169

La piastrinopenia da eparina (Heparin-Induced Thrombocytopenia, HIT) è un evento avversopotenzialmente grave legato alla somministrazione di questo farmaco. Si tratta di una piastri-nopenia immunologica, che compare durante o subito dopo il trattamento eparinico, in gene-re dal 5° al 15° giorno dopo l’inizio della terapia, ma che può insorgere anche in 2ª giornatase il paziente è stato già trattato con eparina negli ultimi 3 mesi, ed è causata da immunoglo-buline IgG che attivano le piastrine attraverso i loro recettori Fc(RII). La sua incidenza variatra lo 0,3% e il 4%, a seconda dei vari report, e non vi sono sostanziali differenze nel rischiodi indurre HIT tra la somministrazione di eparina a dose terapeutica o profilattica.L’origine immunologica della HIT è stata riconosciuta già 25 anni fa e recenti studi hannodimostrato che l’antigene target è rappresentato dal complesso eparina-fattore piastrinico 4(PF4). Il paradosso rappresentato da una piastrinopenia che si associa a complicanze trombo-tiche e non emorragiche è stato spiegato dalla scoperta che nella HIT le immunoglobulineinteragiscono tramite il loro frammento Fc con il recettore piastrinico Fc (RII) (CD32).Questo diverso tipo di legame è in grado di attivare le piastrine in modo esplosivo, con gene-razione di microparticelle piastriniche ricche in fosfolipidi carichi negativamente e dotate diattività procoagulante. Questi anticorpi reagiscono anche con cellule endoteliali ricoperte daPF4, per la presenza di eparansolfato sulla superficie endoteliale ed è probabile che un danno

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endoteliale immuno-mediato contribuisca alla patogenesi delle trombosi associate a piastrino-penia da eparina.La comparsa di piastrinopenia in corso di terapia eparinica deve far sospettare una piastrino-penia da eparina, specie se si tratta di un calo del 50% o più rispetto ai valori basali, interve-nuto dopo almeno 5 giorni di terapia. Di fronte al sospetto clinico occorrerà da una parteescludere altre possibili cause, dall’altra confermare se possibile la diagnosi mediante test dilaboratorio atti ad evidenziare nel siero del paziente la presenza di un fattore aggregante pia-strinico eparina-dipendente. Il test più usato è l’immunoaggregometria piastrinica. Più sensi-bili, ma più complesse e meno utilizzate, altre metodiche quali il test del rilascio della seroto-nina marcata o test citofluorimetrici. Recentemente è stato messo a punto un test ELISA uti-lizzante come antigene target il complesso eparina-PF4. La difficoltà di avere in tempi rapidiuna conferma laboratoristica fa sì che nella pratica clinica sia spesso necessario prendere deci-sioni terapeutiche prima che (o senza che) sia dimostrata la presenza di anticorpi anti-piastri-ne eparina-dipendenti.La HIT si associa frequentemente con trombosi arteriose o venose, con una incidenza com-presa tra il 25% e l’89% dei casi di piastrinopenia. Recentemente è stata meglio caratterizza-ta la sindrome denominata gangrena venosa associata con la HIT, riconoscendo il ruolo pato-genetico in questi pazienti della somministrazione di warfarina e della conseguente riduzionedei livelli plasmatici di proteina C. La gravità di questa pur rara sindrome, che sovente con-duce all’amputazione dell’arto, ha portato a valutare con circospezione la somministrazione dianticoagulanti orali in alternativa all’eparina nei pazienti con HIT associata a trombosi.La gravità degli eventi trombotici che si possono associare alla piastrinopenia da eparina rendenecessario un monitoraggio della conta piastrinica in tutti i pazienti che ricevono eparina sia adosaggio terapeutico che profilattico. Per i pazienti ospedalizzati, è consigliabile un controllobasale e una successiva conta piastrinica ogni 3 giorni dal 5° al 15° giorno; per i pazienti trat-tati a domicilio, oltre al controllo basale sarà opportuno effettuare almeno un controllo in 7ª-8ª giornata. In caso di riduzione della conta piastrinica al 50% o più – in assenza di una pro-bante causa alternativa – la somministrazione di eparina deve essere immediatamente sospesa.Il comportamento clinico sarà diverso innanzitutto a seconda che si tratti di una semplice pia-strinopenia (non accompagnata da alcun segno clinico o strumentale di trombosi) oppure diuna HIT associata a trombosi, sia precedente che conseguente alla somministrazione di epari-na. Nel primo caso la profilassi potrà essere proseguita con gli eparinoidi (dermatansolfato odanaparoid fiale) o con irudina. Tuttavia soltanto il dermatansolfato è oggi in commercio inItalia. Dovrà essere monitorata la conta piastrinica e la coagulazione del sangue per poter rile-vare in tempo eventuali segni laboratoristici preoccupanti (ulteriore calo delle piastrine, atti-vazione della coagulazione). Le eparine a basso peso molecolare non sono raccomandabili inquanto può esservi immunizzazione crociata.Il trattamento dei pazienti con piastrinopenia da eparina e trombosi è problematico. L’eparinadeve essere immediatamente sospesa – evitando anche l’eparinizzazione dei cateteri venosi – ele opzioni terapeutiche alternative dipendono dalla gravità e dalla sede dell’occlusione. Leeparine a basso peso molecolare oggi si considerano controindicate in quanto hanno un’altaprobabilità di indurre reazioni crociate (probabilità di reazioni crociate >90% in vitro, con unrischio di fallimento terapeutico clinico stimato tra il 25% e il 50%). Il trattamento di elezio-ne è rappresentato oggi dall’irudina ricombinante, che è stata impiegata con successo in nume-rosi casi, è completamente priva di reattività crociata, ed è già stata approvata per questa indi-cazione in vari paesi d’Europa e in USA. Lo schema posologico più usato prevede una dosed’attacco di 0,4 mg/kg in bolo endovenoso, seguito da una dose di mantenimento di 0,15mg/kg/ora, con monitoraggio laboratoristico in modo da mantenere il PTT a livello di 1,5~3volte il PTT normale. L’irudina può essere associata con i trombolitici. Tra gli eparinoidi, lamaggiore esperienza è stata accumulata con il danaparoide, impiegato ad oggi in più di 700casi, con un successo superiore al 90%. Anche il danaparoide non è scevro da reazioni cro-ciate, che raggiungono il 10%-40% in vitro, ma che raramente si accompagnano ad evidenzaclinica di immunità crociata. La dose d’attacco è di 2·250 U in bolo, seguita da 400 U/ora per4 ore, poi 300 U/ora per 4 ore iniziando poi una dose di mantenimento di 150-200 U/ora.Questo schema posologico raggiunge di solito un livello di anticoagulazione terapeutico(0,5~0,8 U anti-Xa/mL) per cui non è necessario un monitoraggio laboratoristico. Il derma-tansolfato va utilizzato per via endovenosa ad una dose iniziale di 0,6 mg/kg da monitorizza-re con l’APTT in maniera analoga all’eparina standard e studi recenti dimostrano la sua effi-cacia. Ha comunque anch’esso una percentuale significativa di reattività crociata con gli anti-corpi anti-eparina-PF4.

Raccomandazione 10.21Grado C

La conta piastrinica periodica èindicata nei primi 15 giorni diterapia (o di profilassi) con epari-na.

Raccomandazione 10.22Grado D

La sospensione immediata deltrattamento eparinico è indicatase viene posta diagnosi (o fonda-to sospetto) di piastrinopenia daeparina.In caso di piastrinopenia da epa-rina gli anticoagulanti orali nonsono indicati come terapia sosti-tutiva.

Raccomandazione 10.23Grado D

In pazienti in cui era già stato ini-ziato il trattamento anticoagulan-te orale e l’INR era in range tera-peutico è indicato continuare,dopo sospensione dell’eparina,con gli anticoagulanti orali.

Raccomandazione 10.24Grado D

In caso di piastrinopenia da epa-rina in pazienti in cui deve essereproseguita una terapia antitrom-botica, sono indicate le seguentiopzioni terapeutiche: irudina, der-matan solfato, danaparoid, trom-bolitici; gli anticoagulanti oralipossono essere iniziati una voltarisolta la piastrinopenia da epari-na.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 223

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Raccomandazione 10.25Grado DLa TC cranio è indicata comeesame di prima scelta per la dia-gnosi in acuto di emorragia cere-brale.

10.2 TERAPIA DELL’ICTUS EMORRAGICO

10.2.1 Emorragia intracerebrale spontanea

10.2.1.1 Presentazione clinica

La classica presentazione consiste in un deficit neurologico focale, che progredisce in minutiod ore e si accompagna a cefalea, nausea, vomito, elevazione della pressione arteriosa e crisiepilettiche. Una riduzione più o meno grave dello stato di coscienza è in rapporto alle dimen-sioni ed alla localizzazione dell’ematoma. Circa il 51%-63% dei pazienti ha una lieve pro-gressione dei deficit, mentre il 34%-38% ha un massimo di sintomi all’esordio, e solo il 5%-20% degli ictus mostrano sintomi progressivi.170 La progressione clinica è dovuta al persiste-re del sanguinamento con allargamento dell’ematoma. All’esordio circa il 50% dei pazienti hadisturbi della vigilanza ed il 30% è in coma.

10.2.1.2 Fisiopatologia

Il tipo più comune di emorragia intracerebrale è dovuto alla rottura di una arteriola perforan-te che causa, con la fuoriuscita di sangue, un immediato danno del parenchima cerebrale cir-costante. Le emorragie che originano da putamen, globo pallido, talamo, capsula interna,sostanza bianca periventricolare, ponte e cervelletto sono tipiche dei pazienti ipertesi ed attri-buite a patologia dei piccoli vasi. In contrasto le emorragie lobari dei pazienti anziani sonospesso dovute ad angiopatia amiloide.171 La angiopatia amiloide è responsabile del 15%-20%di emorragie dell’anziano.172 Si stima che la presenza di angiopatia cerebrale amiloidea siaapprossimativamente del 5%-8% nelle emorragie dei pazienti di più di 70 anni di età e del55%-60% in quelle dei pazienti di più di 90 anni.173

L’emorragia determina un aumento di volume intracranico. Questo crea un’ipertensioneparenchimale, a bersaglio, con un massimo di Pressione IntraCranica regionale (PICr) nellasede dell’ematoma, decrescente con la distanza dell’epicentro emorragico. Questo provocheràuna diminuzione del flusso cerebrale regionale (rCBF) tanto maggiore quanto più alta sarà laPICr. Quindi potremo avere da minima diminuzione di rCBF in piccoli ematomi in encefaliatrofici, fino ad arresti circolatori regionali quando la PPCr (Pressione di Perfusione Cerebraleregionale) sarà uguale a 0. Ciò accade quando la PAr (Pressione Arteriosa regionale) è egualealla PICr. Ovviamente nei casi gravissimi il fenomeno sarà diffuso con compromissione dellacoscienza sino alla morte cerebrale per arresto di circolo (PPC=0).174,175

Vi può essere, specialmente nel caso di ematomi cerebellari, lo sviluppo di un idrocefalo perla compressione del terzo ventricolo e dell’acquedotto di Silvio. A volte anche gli ematomi chesi aprono all’interno del terzo ventricolo possono dare dilatazione dei ventricoli laterali perocclusione dei forami di Monro.176 L’ischemia peri-ematoma sviluppa un edema, dapprimacitotossico poi vasogenico, che è aggravato dall’ipotensione e dall’ipossia.177

La sede degli ematomi ha la seguente frequenza secondo Kase CS:178

1. striato (putamen, il più frequente) ................................................34%2. lobare (più frequente la zona temporo-parieto-occipitale) ..........24%3. talamica ..........................................................................................20%4. cerebellare ........................................................................................7%5. pontina..............................................................................................6%6. caudato ............................................................................................5%7. putamino-talamica............................................................................4%

10.2.1.3 Diagnostica

Nessun aspetto clinico è in grado di differenziare con sicurezza un’emorragia da una ischemiacerebrale. Prima dell’avvento della TC erano stati effettuati dei tentativi di identificare conpunteggi di tipo clinico l’ictus ischemico e quello emorragico, sulla base del fatto che l’ictusemorragico, causato da emorragie intracerebrali, emorragie endoventricolari ed emorragiesubaracnoidee, era più frequentemente associato ad obnubilamento del sensorio e cefalea.Con l’utilizzo della TC nella pratica clinica ci si rese poi conto che soprattutto le piccole emor-ragie sfuggivano a questi criteri e che la clinica non è sufficientemente accurata per distingue-re un ictus ischemico da un’emorragia intracerebrale primaria.179,180 Al fine di porre questadiagnosi differenziale, e ciò deve essere effettuato nel più breve tempo possibile per i risvoltiterapeutici che ne conseguono, occorre una TC o una RM dell’encefalo. La TC e la RM del-

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l’encefalo, oltre a differenziare con sicurezza gli ictus ischemici da quelli emorragici, permet-tono la localizzazione dell’ematoma e possono documentare la presenza di aneurismi, malfor-mazioni artero-venose, tumori, o complicanze come l’emorragia endoventricolare, l’erniacerebrale, l’idrocefalo. In urgenza la TC del cranio è un esame più veloce e più semplice dainterpretare rispetto alla RM. L’utilizzo del contrasto per la TC favorisce l’individuazione dineoplasie e malformazioni vascolari. Alcuni aspetti evidenziati da questo esame, come la pre-senza di emorragia subaracnoidea o endoventricolare, calcificazioni endocraniche anomale,strutture vascolari prominenti l’emorragia, o la localizzazione dell’emorragia stessa (sede peri-silviana), suggeriscono la possibile origine da alterazioni strutturali del sanguinamento stes-so.181 Vi è un metodo rapido e validato per misurare il volume degli ematomi, proposto daKothari, che consiste nel moltiplicare il diametro maggiore della lesione per il diametro adesso perpendicolare per il numero di immagini nelle quali è visibile l’ematoma per lo spesso-re dei tagli TC stessi.182

L’angiografia si impone nel caso di ematomi in sede atipica, nel sospetto di una malformazio-ne vascolare (aneurismi, malformazioni artero-venose, fistole durali), in questi casi, se esegui-ta a distanza è positiva in circa il 20% dei casi che erano risultati negativi alla TC in urgen-za.183

L’angiografia è di poco rilievo nell’identificare anomalie vascolari nei pazienti di età superioreai 55 anni, ipertesi, con emorragie in sede tipica.184 I tempi di esecuzione dell’angiografiadipendono dallo stato clinico del paziente e dalla decisione del neurochirurgo di operare omeno.

Le immagini in risonanza magnetica possono non dimostrare piccoli aneurismi o malforma-zioni vascolari, ma sono superiori alla TC nel diagnosticare malformazioni cavernomatose,specialmente se l’esame viene eseguito a distanza di settimane o mesi dall’emorragia, e posso-no rivelare la presenza di residui emosiderinici intracerebrali, segno di sanguinamenti pre-gressi come si verifica nell’amiloidosi cerebrale primaria (in T2 gradient-echo).185

È indicata la ripetizione di una TC cranio se le condizioni cliniche peggiorano, per accertareuna progressione del sanguinamento, eventuale nuovo sanguinamento in altra sede o la for-mazione di un idrocefalo.

Ci sono 10 lavori in letteratura riguardanti la prognosi dell’emorragia cerebrale, la maggio-ranza dei quali individuano fattori prognostici negativi: l’età, lo stato di coscienza, la pressio-ne arteriosa, il diabete e l’estensione intraventricolare dell’emorragia, il volume dell’ematoma,la formazione di idrocefalo.171,186,187 Sono fattori prognostici negativi un volume dell’ematomasopratentoriale >50 mL ed una estensione del sanguinamento intraventricolare >20 mL.

10.2.1.4 Trattamento medico

Trattamento antipertensivo

La pressione sanguigna è inizialmente sempre elevata, sia perché solitamente si tratta dipazienti ipertesi, sia perché l’aumento della pressione intracranica comporta un incrementodella pressione sistemica. Teoricamente ha un fondamento razionale la proposta di ridurre lapressione di questi pazienti in fase acuta, nel tentativo di favorire la fine del sanguinamento inatto, è però altrettanto ragionevole pensare che la pressione sistemica elevata possa migliora-re la perfusione delle zone peri-ematoma compresse ed ischemiche. Un recente studio con RMha dimostrato solo una modesta riduzione della perfusione nella zona periematoma nelleemorragie di grosso volume e l’origine prevalentemente vasogenica dell’edema cerebrale,188

mentre per le emorragie di piccolo o medio volume uno studio PET ha dimostrato la conser-vazione della vasoregolazione e della perfusione per riduzione dei valori pressori del 15%.189

In uno studio non è stata osservata una relazione tra livelli pressori ed espansione dell’emato-ma, ma l’uso di farmaci antipertensivi ha probabilmente reso difficile l’interpretazione deirisultati.184

In mancanza di dati, è raccomandazione degli esperti il mantenimento della pressione media<130 mm Hg nei pazienti con storia di ipertensione e >90 mm Hg per assicurare una adegua-ta perfusione cerebrale,190 e valori di pressione di perfusione cerebrali >70 mm Hg di medianei pazienti con ipertensione endocranica.185 È ipotizzabile che i valori pressori vadano mag-giormente contenuti nella fase iniziale del sanguinamento, in acuto, e che possano essere piùelevati nella fase di edema cerebrale ed ipertensione endocranica. Il farmaco più usato per cor-

Raccomandazione 10.26Grado DL’angiografia è indicata nei pa-zienti con emorragia intraparen-chimale senza una chiara causadell’emorragia che sono candidatial trattamento chirurgico, partico-larmente nei pazienti con emor-ragia in sede atipica, giovani,normotesi, e clinicamente stabili.

Raccomandazione 10.27Grado DL’angiografia non è indicata neipazienti anziani ed ipertesi, cheabbiano una emorragia nei ganglidella base e talamo, nei quali laTC non suggerisca la presenza diuna lesione strutturale.

Raccomandazione 10.28Grado DNell’emorragia intraparenchima-le, RM ed angio-RM sono utili inpazienti selezionati, e sono indi-cate nei pazienti con lesioni loba-ri ed angiografia negativa candi-dati alla chirurgia, per la diagno-stica degli angiomi cavernosi onei pazienti in cui si sospetti unaangiopatia amiloide.

Raccomandazione 10.29Grado DNei pazienti con emorragia endo-cranica è indicata la correzionedell’ipertensione arteriosa:• se la pressione sistolica è

>230 mm Hg o la diastolica è>140 mm Hg in due misura-zioni a distanza di 5 minuti,iniziare la terapia con nitro-prussiato o urapidil;

• se la pressione sistolica ècompresa tra 180 mm Hg e230 mm Hg, la diastolica tra105 mm Hg e 140 mm Hg ola pressione media è >130mm Hg in due misurazioni adistanza di 20 minuti, iniziareuna terapia endovenosa conlabetalolo, enalapril o altri far-maci a basse dosi sommini-strabili e.v. come diltiazem,lisinopril, o verapamil;

• se la pressione sistolica è<180 mm Hg e la diastolica<105 mm Hg, rimandare laterapia anti-ipertensiva.

La scelta dell’eventuale ipotensi-vo dipende da valutazioni clinichegenerali (p.es. il labetalolo è con-troindicato in pazienti con asma).

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 225

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Raccomandazione 10.30Grado D

Nei pazienti con emorragia cere-brale intraparenchimale non è in-dicata la profilassi antiepilettica.

Raccomandazione 10.31Grado D

I cateteri esterni di derivazioneventricolare non vanno mantenu-ti oltre i 7 giorni.

Raccomandazione 10.32Grado D

Per il trattamento dell’ipertensio-ne endocranica sono indicate leseguenti opzioni:agenti osmotici:sono le prime sostanze da utiliz-zare, ma non sono da usarecome profilassi. Il mannitolo al20% (0,25-0,5 g/kg per 4 ore) èda riservare ai pazienti con iper-tensione endocranica di livelloelevato e clinica in rapido dete-rioramento. Per i noti fenomeni direbound è da utilizzare per tempiinferiori ai 5 giorni. Il gliceroloviene generalmente somministra-to per via parenterale (250 mL diglicerolo al 10% in 30-60 minuti,ogni 6 ore), in alternativa è possi-bile la somministrazione orale (50mL al 10% ogni 6 ore). Anche inquesto caso l’uso non è ancorasostenuto da solide evidenzeesterne. Da ricordare la necessitàdi controllo dell’emocromodurante la terapia con glicerolo inquanto il farmaco può indurreemolisi.

reggere i valori pressori elevati è il nitroprussiato, che ha però l’inconveniente di essere unvasodilatatore potenzialmente capace di incrementare l’edema cerebrale. Nella Tabella 10:IVsono illustrati gli interventi farmacologici raccomandati. È invece dimostrata l’importanza delcontrollo della pressione, sia per gli eventi cardiovascolari in genere, che per il rischio di risan-guinamento, nella fase post-acuta e in prevenzione secondaria.

Uno studio randomizzato, controllato con placebo e in doppio cieco su 399 pazienti che uti-lizzava tre dosi di fattore VII ricombinante attivato (rFVIIa; 40, 80 e 160 mcg/kg), sommini-strato entro 4 ore dall’esordio dell’emorragia cerebrale, ha mostrato una significativa efficaciacomplessiva nel limitare la progressione di volume degli ematomi intracerebrali, nel ridurre lamortalità e migliorare gli esiti. Apparentemente, gli effetti sono proporzionali alla dose som-ministrata, così come la frequenza di eventi avversi tromboembolici arteriosi (infarti miocar-dici e cerebrali) che, tuttavia, non hanno subito un aumento significativo.191 Si attendono orastudi indipendenti di conferma di questo risultato, tali da rendere possibile l’identificazionedella dose più adeguata, della finestra terapeutica utile e della procedura più efficiente per l’u-tilizzo del farmaco.Fluidi ed equilibrio elettrolitico

Lo scopo di questo tipo di trattamento è l’euvolemia. Il bilancio va calcolato monitorando laproduzione giornaliera di urine ed aggiungendo 500 mL per le perdite insensibili e 300 mLper i pazienti febbrili. Gli elettroliti sodio, potassio, calcio e magnesio, vanno controllati assi-duamente e mantenuti entro i limiti di normalità. L’acidosi e l’alcalosi vanno corrette in baseai dati dell’emogasanalisi.184

Terapia antiepilettica

Le crisi epilettiche si hanno nel 15% dei pazienti con emorragia cerebrale e di solito insorgo-no nelle prime 24 ore. Non vi sono evidenze sull’utilità di adottare una terapia antiepiletticaprofilattica in questi pazienti. Se intervengono crisi epilettiche, queste vanno trattate imme-diatamente, in quanto possono destabilizzare i pazienti in situazione critica. In questi pazien-ti può essere eseguita una terapia e.v. con fenitoina a 15-18 mg/kg con infusione a 50mg/minuto, da passare appena possibile per os, e da interrompersi a distanza di circa 1 mesedalla crisi epilettica, in caso di silenzio clinico e dopo controllo EEG.192

Trattamento dell’ipertermia

È opportuno mantenere i livelli di temperatura entro valori normali utilizzando, se necessario,preferibilmente il paracetamolo. In caso di febbre è appropriato eseguire esami colturali suurine, escreato bronchiale e sangue, ed iniziare in tempi rapidi una adeguata terapia antibioti-ca in caso di infezione. I cateteri esterni di derivazione ventricolare non vanno mantenuti oltrei 7 giorni, per pericolo di infezioni.184

Gestione dell’ ipertensione endocranica

L’aumento della pressione endocranica è sicuramente rilevante in questi pazienti ed almenoteoricamente potrebbe essere importante monitorizzarne i valori, ma le metodiche per farlosono invasive e non prive di possibili complicazioni. Al momento non vi sono studi clinici con-trollati che abbiamo dimostrato l’utilità del monitoraggio invasivo di questo parametro, nem-meno nei pazienti con riduzione del livello di coscienza, anche se il rischio di lesione emorra-gica da monitoraggio della Pressione IntraCranica (PIC) è inferiore all’1%, ed il rischio infet-

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stesura 15 marzo 2005

Tabella 10:IV – Gestione dell’ipertensione nei pazienti con emorragia endocranica

Farmaci per il trattamento dell’ipertensione:Labetalolo 5-100 mg/h con dosi in bolo intermittenti di 10-40 mg o somministrazione continua

di 2-8 mg/min Nitroprussiato 0,5-10 mcg/kg/minuto Urapidil cloridrato iniezione endovenosa in bolo di 25 mg (=5 mL di soluzione iniettabile), da ripetere dopo

2 minuti in caso di mancata risposta. In caso di risposta positiva dopo la prima o secondasomministrazione, infusione continua a 0,15-0,5 mg/min, da regolare in base alla rispo-sta pressoria.

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tivo non arriva al 5%.193,194 L’opportunità di questo intervento deve essere valutata in base allasituazione clinica e strumentale dei singoli pazienti.

Gli agenti osmotici (mannitolo,96 glicerolo 97) possono ridurre l’edema circostante l’emorragiae ridurre l’ipertensione endocranica, hanno però effetti collaterali in quanto possono indurreipotensione, ipokaliemia, insufficienza renale da iperosmolarità, emolisi, scompenso cardiaco.Studi clinici controllati su un piccolo numero di pazienti sembrano averne evidenziato l’effi-cacia nell’ictus acuto, ma questa non risultava nell’unico studio su 100 pazienti che includevaanche emorragie cerebrali.195 Tuttavia, questo tipo di trattamento è generalmente utilizzato,eventualmente con aggiunta di furosemide 10 mg ogni 2-8 ore, nei pazienti con emorragiacerebrale che abbiano un deterioramento della coscienza.

Vi sono dati certi che dimostrano come l’iperventilazione sia in grado di ridurre la pressioneintracranica. Uno studio con iperventilazione prolungata in pazienti con traumi cranici hamostrato un esito peggiore nei trattati a 3 ed a 6 mesi, ma non ad 1 anno. Per i pazienti conemorragia cerebrale non vi sono evidenze in proposito. Può essere ragionevole riservare que-sto trattamento per breve periodo di tempo (<6 ore) nei pazienti più gravi ed in quelli che ver-ranno sottoposti ad intervento di evacuazione.196

Non ci sono evidenze sul beneficio dell’uso dei corticosteroidi nell’emorragia cerebrale. Visono al riguardo solo due studi, uno eseguito in era pre-TC ed uno tailandese più recente, cheriportano una OR=1, quindi inefficacia del trattamento.197,198

Nei pazienti monitorizzati per ipertensione endocranica, valori di pressione intracranica ≥20mm Hg per oltre 5 minuti ed una pressione di perfusione cerebrale >70 mm Hg sono consi-derati alterati.193

Alcuni pazienti richiedono sedazione con propofol, benzodiazepine o morfina. Se questo nonbasta si può ricorrere al coma barbiturico: il tiopental riduce rapidamente i valori di pressio-ne endocranica, probabilmente riducendo il flusso ed il volume cerebrale. La complicazionedelle alte dosi di barbiturico (massima dose 10 mg/kg al giorno) è l’ ipotensione sistemica. Perle dosi di mantenimento si consigliano 0,3-0,6 mg/kg/giorno.194

Efficacia delle stroke unit

Anche per i pazienti con emorragia cerebrale è stata dimostrata l’efficacia del ricovero instroke unit rispetto al ricovero in medicina generale, con riduzione significativa della mortalitàa 30 giorni (dal 39% al 63%; P=0,007), che si manteneva ad un anno (P=0,013).199

Prevenzione delle complicanze

I pazienti con emorragia cerebrale hanno un rischio di trombosi venosa tra il 30% ed il 70%,con rischio elevato di embolia polmonare. Ciò nonostante, si preferisce usare cautela nell’im-piego di terapie anticoagulanti anche se a basse dosi che tuttavia, alle dosi raccomandate(5·000 UI di calciparina × 2 al giorno), sembrerebbe non aumentare il rischio di recidiva delsanguinamento arterioso cerebrale. Non vi sono dati da studi randomizzati dirimenti il com-portamento da tenersi. In un lavoro che ha visto trattare 46 pazienti dopo 4 giorni o dopo 10giorni dal sanguinamento, si sono verificate meno embolie polmonari nei trattati dopo 4 gior-ni, ma non era possibile una valutazione delle differenze di mortalità.200 In un altro lavoro inaperto su 68 pazienti l’esito sembrava più favorevole nei pazienti trattati dopo 2 giorni rispet-to a quelli trattati dopo 4 e 10 giorni, ma la randomizzazione non era stata casuale.201 L’ASAè nota ridurre del 39% il rischio di trombosi venosa nei pazienti con patologia diversa dallacerebrovascolare, ma la sua efficacia nei pazienti con emorragia cerebrale non è dimostrata, néè dimostrata una sua ipotetica maggiore sicurezza rispetto all’eparina non frazionata o alle epa-rine a basso peso molecolare. Rimane raccomandato l’uso di mezzi profilattici meccanici comele calze elastiche a compressione graduale. In caso di trombosi venosa profonda ed emboliapolmonare è indicato il posizionamento di un filtro cavale a permanenza o temporaneo.202

Come già indicato nel § 10.13.1, gli studi CLOTS dovrebbero identificare – anche nei pazien-ti con ictus emorragico – se l’ utilizzo precoce e routinario delle calze a compressione gradua-te riduce il rischio delle TVP prossimali nelle settimane successive all’ictus e se, tra le calze acompressione graduate, sono più efficaci e più pratiche quelle lunghe o quelle corte. I risulta-ti sono attesi intorno al 2009. (http://www.dcn.ed.ac.uk/clots/]).

furosemide:alla dose di 10 mg ogni 2-8 hpuò essere somministrata con-temporaneamente alla terapiaosmotica. L’osmolarità plasmaticava valutata due volte al giorno neipazienti in terapia osmotica ecome obiettivo vanno mantenutilivelli <310 mOsm/L.iperventilazione:l’ipocapnia causa vasocostrizionecerebrale, la riduzione del flussocerebrale è praticamente imme-diata con riduzione dei valori dipressione endocranica dopo 30minuti. Una riduzione di pCO2 a30-35 mm Hg si ottiene medianteventilazione costante con volumidi 12-14 mL/kg e riduce la pres-sione endocranica del 25-30%.farmaci sedativi:la paralisi neuromuscolare incombinazione con una adeguatasedazione con tiopentale previe-ne le elevazioni di pressioneintratoracica da vomito, tosse,resistenza al respiratore. In que-ste situazioni sono da preferirsifarmaci non depolarizzanti comeil vecuronio o il pancuronio.

Raccomandazione 10.33Grado D

Per il trattamento dell’ipertensio-ne endocranica non è indicatol’uso degli steroidi.

Raccomandazione 10.34Grado D

Nei pazienti con emorragia intra-parenchimale a rischio di trom-bosi venosa profonda, è indicatala prevenzione delle trombosivenose con l’uso di calze elasti-che o di mezzi meccanici.

Sintesi 10-16

Non vi sono dati sufficienti sullasicurezza, in fase post acuta,della terapia con eparina a bassedosi o dell’ASA per la prevenzionedella trombosi venosa profondanei pazienti con emorragia intra-parenchimale.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 227

stesura 15 marzo 2005

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Sintesi 10-17L’evidenza sulle indicazioni chi-rurgiche in caso di emorragiaintracerebrale spontanea si èarricchita recentemente a seguitodei risultati dello studio STICH; inun ampio numero di pazienti ran-domizzati a trattamento neuro-chirurgico precoce o trattamentoinizialmente conservativo (fino adeventuale deterioramento clinico)non è stata dimostrata alcunasuperiorità in termini di beneficiodi un tipo di approccio rispettoall’altro.

Sintesi 10-18Non è possibile formulare racco-mandazioni relative al trattamen-to chirurgico dell’emorragia cere-brale a sede ganglio-basale subase ipertensiva, in assenza dievidenze o consenso.

Raccomandazione 10.35Il trattamento chirurgico dell’e-morragia cerebrale è indicato in:

a (grado D)emorragie cerebellari di diametro>3 cm con quadro di deteriora-mento neurologico o con segni dicompressione del tronco e idro-cefalo secondario a ostruzioneventricolare;

b (grado D)emorragie lobari di grandi omedie dimensioni (≥50 cm3), inrapido deterioramento per com-pressione delle strutture vitaliintracraniche o erniazione;

c (grado D)emorragie intracerebrali associa-te ad aneurismi o a malformazio-ni artero-venose, nel caso in cuila lesione strutturale associatasia accessibile chirurgicamente.

10.2.1.5 Trattamento chirurgico

Il razionale per proporre questo trattamento risiede nel concetto generale che la rimozionechirurgica dell’ematoma possa ridurre il danno sul parenchima cerebrale in quanto diminui-sce l’effetto massa, blocca la cascata dei prodotti tossici derivanti dall’emorragia, previene ilpossibile ingrandimento dell’ematoma che può avvenire nelle prime ore dell’emorragia. Lapercentuale di emorragie cerebrali trattata chirurgicamente è molto variabile nei vari paesi, siva dal 2% dell’Ungheria al 30%~40% di UK, Spagna e Giappone, al 70% ed oltre di Sveziae Lituania, a testimonianza di una incertezza sul da farsi.203

Ci sono 10 studi controllati e randomizzati (RCT) ed una revisione Cochrane del 2000 sul trat-tamento chirurgico dell’emorragia intracerebrale.195,204-213 L’intervento di craniotomia tradi-zionale è stato valutato in 5 studi, uno di questi condotto in era pre-TC. Il risultato della meta-nalisi 213 mostra un incremento di morte e dipendenza nei trattati mediante craniotomia (OR1,20; IC95 0,83-1,74); un risultato con tendenza negativa permane anche escludendo lo RCTdi McKissock,195 eseguito in era pre-TC; si osserva invece una tendenza verso la positività sesi esclude anche lo RCT di Chen et al.,207 comprendente pazienti trattati in tempi diversi e conmetodiche diverse. Non significativo il piccolo studio di Tan sia per mortalità che per disabi-lità.212 Nello studio di Kanaya e Kuroda che metteva a confronto i risultati della evacuazionechirurgica, con tecniche diverse, in 3·638 pazienti rispetto al trattamento medico utilizzato in3·372 pazienti con emorragia putaminale, la conclusione è che il trattamento chirurgico è rac-comandato per ematomi di dimensioni superiori ai 30 mL ed in presenza di alterazioni lievidello stato di coscienza; risultò anche che l’aspirazione stereotassica assicurava migliori risul-tati funzionali rispetto alla craniotomia, ma questo studio ha avuto numerose critiche meto-dologiche.214 Risultati in tal senso si sono avuti anche da alcune casistiche in aperto.215-217 Unlavoro multicentrico e randomizzato (SICHPA) su soli 71 pazienti, riguardante il trattamentostereotassico, entro 48 ore, previa infusione di urochinasi al centro della lesione emorragica,ha dimostrato una riduzione significativa delle dimensioni degli ematomi trattati rispetto aicontrolli (dal 10% al 20% P<0,05), ma non è stato in grado di dimostrare una riduzione signi-ficativa della mortalità a 180 giorni (OR 0,23; IC95 0,02-1,20; P=0,08) né di mortalità e disa-bilità combinate.211 Esiste un solo studio randomizzato sulla evacuazione endoscopica delleemorragie cerebrali, su 100 pazienti, che ha fornito risultati al limite della significatività stati-stica (RR 0,76; IC95 0,56-1,02) in termini di riduzione della mortalità e dei deficit permanen-ti. Il risultato è migliore nei pazienti di età inferiore ai 60 anni, con ematoma >50 mL ed ini-ziale riduzione della vigilanza.205

Recentemente sono stati pubblicati i dati dello studio International Surgical Trial in Intracere-bral Haemorrhage (STICH),218 uno studio randomizzato per confrontare l’approccio chirurgi-co precoce di evacuazione dell’ematoma in pazienti con emorragia intracranica sopratentorialespontanea, rispetto al trattamento inizialmente conservativo (fino ad eventuale deterioramentoclinico). I risultati di questo studio, che ha arruolato 1·033 pazienti da 87 centri in 27 paesidiversi, non hanno mostrato un beneficio, in termini di mortalità e disabilità, del trattamentochirurgico precoce rispetto ad un approccio iniziale di tipo conservativo con qualsiasi tecnicachirurgica utilizzata. In questo studio i pazienti sottoposti a craniotomia erano 324, mentre altretecniche d’intervento erano state usate in 144 pazienti; in 34 casi si trattava di tecnica stereo-tassica ed in 31 endoscopica, anche in questi gruppi senza beneficio dal trattamento.

Sulla base dei dati disponibili solo in alcuni sottogruppi di pazienti vi è generale accordo sullaindicazione o meno all’approccio chirurgico. In particolare vengono considerati candidatiall’intervento i pazienti con ematoma cerebellare di dimensioni superiori ai 3 cm, ed i pazien-ti giovani, con ematoma lobare e deterioramento progressivo delle condizioni neurologiche.219

Al contrario i pazienti con piccoli ematomi e quelli con stato di coma profondo non vengonoconsiderati candidati all’intervento. I possibili metodi d’intervento sono la semplice aspirazio-ne, la chirurgia tradizionale a cielo aperto, l’evacuazione endoscopica e stereotassica; la sem-plice aspirazione è comunque una pratica abbandonata, in quanto provocava risanguinamen-ti.204,205,220

Per quanto riguarda le emorragie sottotentoriali cerebellari il trattamento chirurgico vieneaccettato da tutti come intervento salvavita, ma è certo che non tutti i pazienti debbono neces-sariamente essere trattati. Le controversie riguardano quali pazienti trattare e se provvederesolo ad un intervento di derivazione ventricolare in caso di idrocefalo, od ad un intervento sul-l’ematoma stesso. Buoni criteri per la decisione di intervenire chirurgicamente possono essere

228

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un deterioramento del livello di coscienza, dimensioni dell’ematoma maggiori di 3 o 4 cm didiametro, anche con coscienza conservata, per la possibilità di un rapido instaurarsi di unostato di coma.221 L’assenza dei riflessi troncoencefalici fa ritenere inutile l’intervento. In casodi idrocefalo, qualora non vi sia compressione sul tronco encefalico, si considera come primascelta l’intervento di derivazione ventricolare, se invece vi è compressione viene privilegiatal’evacuazione dell’ematoma. Anche per queste situazioni vi sono dati preliminari, da confer-mare, in favore dell’aspirazione stereotassica.222

Due metanalisi di tutti gli studi osservazionali riguardanti il trattamento delle emorragie endo-ventricolari con trombolitici concludono sulla possibilità che il trattamento sia efficace sullamortalità nei casi di grave emorragia, ma che non vi è chiarezza sulla dose ottimale, tempi disomministrazione, metodi e durata della somministrazione. Non essendovi studi randomizza-ti in merito, sarebbe opportuno valutarne la fattibilità.223,224

10.2.1.6 Emorragie cerebrali nei pazienti in trattamento anticoagulante

La terapia anticoagulante è associata ad un rischio d’emorragia cerebrale pari a 0,3-2,5 per1·000 pazienti per anno.225 con aumento del rischio relativo di 15,3 volte rispetto a pazientinon in trattamento anticoagulante.226 Non esiste una chiara correlazione con i livelli di anti-coagulazione (almeno nei centri anticoagulati in cui la terapia viene gestita con sistemi com-puterizzati e con adesione alle linee guida internazionali) e con la durata della terapia. Inoltre,limitatamente alle emorragie cerebrali spontanee, non sempre è confermato un effetto pro-gnostico sfavorevole della terapia anticoagulante in termini di mortalità. Anche in assenza dichiare linee guida è considerato critico normalizzare le alterazioni dell’emostasi nel più brevetempo possibile per ridurre la progressione del volume dell’emorragia nelle prime ore. Comeprimo provvedimento è preferibile l’impiego di concentrati protrombinici alla dose di 35-50U/kg. Tali concentrati hanno una efficacia immediata.227 Più difficile è la normalizzazione del-l’emostasi con plasma fresco congelato a causa dei tempi di preparazione e dei volumi richie-sti (dose richiesta di 10-20 mL/kg di peso corporeo). Deve seguire la somministrazione di 10-20 mg di vitamina K con infusione lenta endovenosa (in 5 minuti) che può essere ripetutadopo 12 ore. La vitamina K richiede circa 6 ore di latenza per divenire efficace e non può esse-re considerata la terapia adeguata, da sola, nelle emorragie cerebrali. In caso di terapia anti-coagulante con eparina non frazionata l’antidoto è rappresentato dal solfato di protamina alladose di 1 mg per 100 U di eparina somministrata. Se i pazienti avevano una chiara indicazio-ne alla terapia antitrombotica, il problema immediato, in caso di evoluzione clinica favorevo-le, è la sua ripresa. In assenza di dati certi in letteratura, è ragionevole attendere una o due set-timane, non essendo considerata mandatoria la completa scomparsa del sanguinamento allaTC, che abbisogna di molte settimane.228

Vi sono rari sanguinamenti intracerebrali anche da trattamento trombolitico per infarto delmiocardio o embolia polmonare e più numerosi per trattamento trombolitico nell’ictus ische-mico acuto. In questi casi sono da adottare i trattamenti generali suggeriti per la patologia epuò essere utile la somministrazione di plasma fresco congelato o concentrati di complessoprotrombinico 6-10 U.229,230

Agli antiaggregganti piastrinici classici (ASA, ticlopidina e clopidogrel) si sono andati affian-cando gli inibitori GP IIb/IIIa. Tutti questi farmaci aumentano potenzialmente il rischio diemorragia cerebrale. In particolare la terapia con antiaggreganti aumenta il rischio relativo diemorragia cerebrale spontanea di 11,5 volte.231 Negli studi condotti con associazione GPIIb/IIIa ed eparina sono state descritte complicanze emorragiche cerebrali nell’1,1%-1,4%dei casi, mentre negli studi con sola eparina sono state descritte complicanze nello 0,9% deipazienti trattati.232 Non ci sono trattamenti farmacologici specifici per le complicanze emor-ragiche che avvengono con questa terapia. L’unico provvedimento utile può essere la trasfu-sione di concentrati piastrinici.

10.2.2 Emorragia subaracnoidea da aneurisma

10.2.2.1 Elementi di epidemiologia

Nonostante gli indubbi miglioramenti nella gestione della patologia, questa rimane gravata dauna mortalità di circa il 25%, e da una disabilità in circa il 50% dei pazienti sopravvissuti, peruna incidenza tra 6 e 16 per 100·000 per anno nei paesi occidentali, con frequenza di malattiache aumenta con l’età ed è maggiore nel sesso femminile.236 In Italia sono state stimate le inci-

Raccomandazione 10.36Il trattamento chirurgico dell’e-morragia cerebrale non èindicato:

a (grado C)come trattamento precoce siste-matico delle emorragie cerebrali,mediante qualsiasi tecnica chi-rurgica, se non vi è un deteriora-mento neurologico;

b (grado D)in piccole emorragie intracere-brali (<10 cm3) o deficit minimi[è indicata la sola terapia medi-ca];

c (grado D)in emorragie intracerebrali conGCS≤4 (non vanno trattate chi-rurgicamente, per l’esito neurolo-gico estremamente povero, e perl’elevata mortalità);

d (grado D)in emorragie intracerebrali asso-ciate ad aneurismi o a malforma-zioni artero-venose, nel caso incui la lesione strutturale associa-ta non sia accessibile chirurgica-mente.

Raccomandazione 10.37Grado DNei pazienti con emorragia cere-brale durante trattamento anti-coagulante è indicata la correzio-ne dell’emostasi, che si ottienepiù rapidamente con i concentratiprotrombinici rispetto al plasmafresco.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 229

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Sintesi 10-19Gli elementi a favore del tratta-mento chirurgico di un aneurismanon rotto sono: la giovane età(lunga aspettativa di vita conaumento del rischio cumulativo dirottura), pregressa ESA da altroaneurisma, familiarità per ESAe/o aneurismi, diametro superioreai 7 mm, sintomi compressivi oevidenza di ingrandimento pro-gressivo della sacca, localizzazio-ne sulla linea mediana (aneuri-sma dell’arteria comunicanteanteriore o della basilare).

Sintesi 10-20Gli aneurismi del tratto intraca-vernoso vanno considerati sepa-ratamente, in quanto hanno unbasso rischio di sanguinamentoanche se sintomatici. L’interventopuò rendersi necessario per lapresenza di sintomi da compres-sione più che per il rischio disanguinamento.

Raccomandazione 10.38Grado DIn un paziente che ha avutoun’ESA da altro aneurisma, iltrattamento chirurgico deglianeurismi intatti è indicato datoil loro rischio di rottura indipen-dentemente dalle dimensioni.

denze di 10 per 100·000 nel distretto umbro del Trasimeno e di 8 per 100·000 a L’Aquila.237,238

La frequenza di emorragia subaracnoidea al di sotto di 20 anni di età è rara; viene riportataintorno al 3% ed ha una prognosi nettamente migliore.236

Circa il 25% dei pazienti ai quali viene diagnosticata un’emorragia subaracnoidea (ESA) risul-ta aver sofferto di un precedente sanguinamento rimasto misconosciuto. In questi casi si è veri-ficato un sanguinamento molto modesto per cui la cefalea ha rappresentato il solo sintomonon adeguatamente valorizzato dal paziente o dal medico curante e quindi genericamente clas-sificata come emicrania o artrosi cervicale. In mancanza di una corretta diagnosi, nell’arco digiorni o settimane è estremamente frequente un risanguinamento “maggiore” con esiti moltospesso drammatici. Per questo è indicato effettuare una valutazione neurologica ed eventualiesami strumentali in tutti i pazienti con cefalea inabituale ad esordio acuto e/o con tipo edintensità di dolore non comune per il paziente, in quanto una diagnosi precoce ed un corret-to trattamento sono fondamentali per migliorarne la prognosi.239-241

10.2.2.2 Fattori di rischio

Vi sono dati ottenuti da buoni studi di coorte. La familiarità, il fumo di sigaretta attivo o pas-sivo, l’ipertensione e l’abuso di alcol sono risultati fattori di rischio per emorragia subaracnoi-dea (ESA).242,243 L’ipertensione è stata dimostrata correlata alla ESA dagli studi di coorte edin un recente studio caso-controllo riguardante casi giovanili.242 In studi degli anni ‘60, l’usodei contraccettivi orali era risultato aumentare il rischio di ESA. Tale associazione non è statariconfermata in studi recenti, probabilmente a causa della diversa composizione delle attuali“pillole” rispetto alle prime utilizzate. Ulteriori fattori di rischio riportati sono l’indice dimassa corporea superiore alla norma e l’uso di droghe e di stimolanti a breve termine. In unostudio è stata riscontrata una significativa relazione con i farmaci contenenti caffeina e nicoti-na. Non è stato dimostrato come fattore di rischio il diabete.244 Per una discussione piùapprofondita si veda il § 6.5.3.Ipertensione

L’ipertensione è un sicuro e frequente fattore di rischio per emorragia cerebrale. Da una revi-sione di numerosi studi si è dimostrata una riduzione del 42% degli ictus ischemici ed emor-ragici per riduzione di 5~6 mm Hg di pressione diastolica e di 10~12 mm Hg di pressionesistolica, ma ci sono scarse informazioni sull’influenza della terapia antipertensiva nella ridu-zione dell’incidenza di emorragia subaracnoidea (ESA), anche in studi recenti.245-247

Fumo

In studi caso-controllo si è dimostrata riduzione del rischio di ESA tanto più rilevante, quan-to più tempo è trascorso dalla cessazione del fumo, e minor rischio per chi ha smesso di fuma-re rispetto ai fumatori correnti.248

Aneurismi non rotti

Da studi angiografici ed angio-RM sembra realistico ritenere che gli aneurismi non rotti pos-sano avere una prevalenza nella popolazione del 2%-3%, il che significa che in Italia ci sono1,5-2 milioni di persone in questa condizione.249,250 Si riscontra più frequentemente in perso-ne giovani (massima incidenza fra 40 e 60 anni) in attività e senza altre patologie di rilievo.

Grazie ad uno studio internazionale, l’ISUIA (International Study Unruptured IntracranialAneurysms) che ha coinvolto 60 centri in Nord America ed Europa e che rappresenta lo stu-dio sistematico più importante, ora si hanno conoscenze molto più precise sia sulla storia natu-rale degli aneurismi, sia sul rischio di rottura, sia sui parametri più importanti da considerareper decidere in ogni singolo caso il trattamento più adeguato (semplice osservazione con con-trollo dei fattori di rischio, trattamento chirurgico o endovascolare).251 Su 5·662 pazienti si èvisto che il loro riscontro è molto più frequente nelle donne (3 ad 1 rispetto ai maschi) ed ingiovane età (età media 51,4 anni). Molto alta la percentuale di fumatrici o ex fumatrici (79%).Una familiarità per questa patologia è stata riscontrata nel 20% dei casi, con maggiore inci-denza di aneurismi multipli e maggiore tendenza alla rottura.

Per quanto riguarda la sede, infrequente il riscontro di aneurismi intatti a livello della comu-nicante anteriore (15%), rispetto al riscontro di oltre il 30% di aneurismi rotti in questa sedein caso di ESA, ed al contrario il riscontro del 33% di aneurismi intatti a livello della arteriacerebrale media, rispetto al 13% di aneurismi rotti in questa localizzazione in caso di ESA. Nel75% dei casi gli aneurismi intatti avevano un diametro inferiore ad 1 cm. Per quanto riguar-

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da il rischio di una futura rottura esso è risultato strettamente correlato alle dimensioni dell’a-neurisma, alla localizzazione e alla presenza o meno di una pregressa ESA da altro aneurisma.

Il rischio di rottura è risultato molto basso (circa 0,1% per anno) per aneurismi di dimensio-ne inferiori a 7 mm, e aumenta progressivamente con l’aumentare delle dimensioni. Maggiorrischio di rottura si ha anche per gli aneurismi della linea mediana (arteria comunicante ante-riore ed apice della basilare). Inoltre la probabilità di rottura risulta 11 volte superiore neipazienti con pregressa ESA da rottura di altro aneurisma.

Per quanto riguarda le complicanze chirurgiche, queste sono risultate più elevate di quanto sipensasse in passato, specie se vengono valutati anche i deficit cognitivi. L’età è emersa come ilfattore più importante: la percentuale di complicanze chirurgiche aumenta nettamente dopo i60-70 anni. Altri fattori predittivi di risultati chirurgici negativi sono la localizzazione dell’a-neurisma in fossa cranica posteriore, le ampie dimensioni dell’aneurisma, la presenza di sinto-mi compressivi, una storia di malattia cerebro-vascolare ischemica.152-154

10.2.2.3 Presentazione clinica

La presentazione tipica dell’ESA consiste in una cefalea ad esordio improvviso, solo a volte vipuò essere un disturbo della coscienza e/o segni neurologici focali e/o vomito. Le emorragiepiù importanti determinano uno stato di sopore o coma. In alcuni casi si ha il deficit di unnervo cranico (più spesso del 3° nervo cranico) per sanguinamento in prossimità dello stessoo per compressione da parte della sacca aneurismatica. Il rigor nucale è incostante e quandopresente compare dopo alcune ore. Poiché, come detto, è ancora oggi comune che ESA lievinon vengano diagnosticate, è importante mantenere un alto grado di sospetto clinico per que-sta patologia, che va in tutti i casi esclusa con diagnostica appropriata e non trascurata. La cor-retta diagnosi di piccoli sanguinamenti ed un opportuno trattamento sono in grado di evitareuna recidiva dell’ESA, spesso mortale. La gravità dell’ESA viene espressa attraverso la scala diHunt ed Hess oppure la scala della federazione mondiale dei Neurochirurghi WFNS (Tabella10:V).245,246

10.2.2.4 Diagnosi

L’ESA è una emergenza e come tale deve essere gestita presso un centro che abbia i mezzi ido-nei per farlo. Nel sospetto clinico il primo esame da eseguirsi è una TC senza contrasto che, seeseguita entro 24 ore dall’esordio, evidenzia l’emorragia subaracnoidea nel 92% dei casi.257 Lasensibilità dell’esame declina nei giorni successivi; in tale fase la diagnosi di ESA si può otte-nere eseguendo in contemporanea una rachicentesi, che è indicata anche in fase acuta nel casodi TC negativa e ragionevole sospetto clinico.258,259 Sono disponibili linee guida tecniche perl’analisi del liquor nel sospetto di emorragia cerebrale,260 che possono essere così sintetizzate:261

• il metodo di analisi raccomandato è la spettrofotometria che includa l’analisi quantitativadella bilirubina, da eseguirsi sull’ultimo campione raccolto;

• l’aumento di bilirubina, generalmente accompagnata dall’ossiemoglobina, nel liquor è ilriscontro chiave per procedere con ulteriori approfondimenti diagnostici; la presenza diossiemoglobina da sola è quasi sempre un artefatto, anche se occasionalmente può verifi-carsi nell’ESA;

• l’assenza di ossiemoglobina e di bilirubina all’esame spettrofotometrico non supporta un’e-morragia subaracnoidea.

La rottura di un aneurisma cerebrale può determinare, oltre all’ESA, la formazione di un ema-toma. In un paziente che alla TC presenta un ematoma intracranico, la possibilità che tale ema-

Raccomandazione 10.39Grado DIl trattamento chirurgico deglianeurismi sintomatici è indicatodata la loro elevata probabilità diandare incontro a rottura o diprovocare sintomi progressivi odembolie.

Raccomandazione 10.40Grado DIl trattamento chirurgico deglianeurismi asintomatici di dimen-sioni superiori a 7 mm è indicatosolo se non coesistono particolaricondizioni di rischio (età avanza-ta, condizioni mediche o neurolo-giche gravi).

Raccomandazione 10.41Grado DGli aneurismi piccoli (<7 mm)senza pregressa storia di ESA efamiliarità possono essere trattaticon approccio conservativo, ma èindicato monitorare nel tempo sevi è un aumento o modificazionedella conformazione della sacca.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 231

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Tabella 10:V – Scale di gravità dell’ESA

scala di Hunt ed Hess

grado stato neurologico1 asintomatico2 grave cefalea, meningismo, senza deficit

neurologici (eccetto paralisi di nervi cranici)3 rallentato, deficit neurologici minimi4 stuporoso, moderata o grave emiparesi5 coma, postura decerebrata

Scala WFNS (World Federation of Neurological Surgeons)

grado Glasgow coma scale deficit focali

I 15 assenti

II 14-13 assenti

III 14-13 presenti

IV 12-7 presenti o assenti

V 6-3 presenti o assenti

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Raccomandazione 10.42Grado DLa TC cranio senza contrasto èindicata per la diagnosi in emer-genza di ESA.

Raccomandazione 10.43Grado DLa rachicentesi è indicata, qualo-ra la TC sia negativa, in presenzadi sospetto clinico di ESA, anchesolo per esclusione di tale patolo-gia.

Raccomandazione 10.44Grado DNei pazienti con ESA, l’angiogra-fia digitale è indicata in quantotuttora rappresenta lo standardmigliore per la descrizione morfo-logica della formazione aneuri-smatica.

Raccomandazione 10.45Grado DAngio-RM ed angio-TC sonosempre indicate nei pazienti conESA quando l’angiografia digitalenon può essere eseguita.

toma derivi dalla rottura di un aneurisma cerebrale varia dal 4% al 35%. L’ematoma può esse-re, oltre che intracerebrale, anche intraventricolare, sottodurale od una combinazione dei pre-cedenti, spesso associati all’emorragia subaracnoidea, e la prognosi in questi casi risulta netta-mente peggiore. In circa 1/3 dei casi l’ematoma ha dimensioni tali da costituire un rischio perla vita del paziente, per cui è necessario un intervento chirurgico immediato.220,262

La localizzazione e le caratteristiche morfologiche dell’emorragia variano a seconda della sededell’aneurisma che ha sanguinato: ematomi frontali o fronto-basali negli aneurismi dell’arteriacomunicante anteriore; ematomi temporali in caso di aneurisma dell’arteria cerebrale media.

La RM ha poca sensibilità per la diagnostica dell’ESA e non vi sono studi clinici controllati diraffronto tra TC e RM.263,264 L’angio-RM e l’angio-TC sono state proposte come alternativeall’angiografia digitale, ma non forniscono ancora sufficienti dettagli e non hanno sufficientesensibilità per le decisioni chirurgiche. Possono essere utilizzate nell’emergenza clinica, ed èpossibile, che in futuro l’angio-RM possa sostituire l’angiografia tradizionale.265-267

Dopo aver rilevato la presenza di ESA e/o di ematoma di probabile origine aneurismatica allaTC, è indicato eseguire uno studio angiografico per evidenziare o escludere la presenza di talemalformazione vascolare causa dell’emorragia. Se presente, il successivo trattamento (chirur-gico o endovascolare) verrà deciso in base alla sede, dimensione e morfologia della malforma-zione stessa. Rimane in discussione l’utilità dell’angiografia in caso di quadro di emorragiaperimesencefalica alla TC. Anche se occasionalmente (2,5%-5% dei casi) questo quadro èconseguente alla rottura di un aneurisma in fossa posteriore, va pesata la probabilità di riscon-trare un aneurisma nel 5% dei pazienti, contro il rischio imposto dall’angiografia (con un tassodi complicanze transitorie o permanenti intorno all’1,8%) nel restante 95% dei pazienti. Unastrategia in cui si esegua in questi soggetti un’angio-CT ma senza successiva angiografia se l’an-gio-CT risulta negativa, sembra massimizzare il rapporto tra benefici e rischi.243

L’angiografia è tuttora l’esame di riferimento per studiare gli aneurismi. Lo studio angiografi-co può risultare negativo e si parla allora di emorragia subaracnoidea sine materia, sebbene inquesti casi sarebbe più corretto parlare di ESA con angiografia negativa. L’incidenza di talecondizione è stata riportata dal 7% al 33% ma è andata progressivamente diminuendo conl’affinamento delle tecniche diagnostiche fino a diventare molto rara.

Sono state avanzate varie teorie per spiegare la presenza di una emorragia subaracnoidea conangiografia negativa:1. si tratterebbe di emorragie venose perimesencefaliche;2. l’emorragia sarebbe dovuta ad un aneurisma che va incontro a trombosi immediata;3. l’emorragia sarebbe dovuta a piccoli aneurismi che si distruggono al momento dell’emor-

ragia (inferiori a 2 mm di diametro);4. gli aneurismi sarebbero di dimensioni così piccole da non essere evidenziati allo studio

angiografico;5. la mancata evidenziazione dell’aneurisma sarebbe dovuta a vasospasmo generale o locale.268

Naturalmente per parlare di ESA con angiografia negativa è necessario aver eseguito uno stu-dio angiografico completo (del circolo carotideo e vertebro-basilare) e con tecnica adeguata.In caso di ESA con angiografia negativa deve essere eseguita una angiografia di controllo dopouna settimana dall’esordio (evidenzia aneurismi nell’1%-2% dei casi)269 e, se ancora negativaper aneurismi, bisogna eseguire una nuova angiografia dopo 1-3 mesi.270 In fase acuta, in casodi angiografia negativa, può essere utile eseguire una RM cervicale per escludere patologie intale sede, responsabili dell’ESA.272,272 Di recente è stata sottolineata l’importanza della pre-senza alla TC di sangue nelle cisterne perimesencefaliche, rilievo di frequente riscontro nelleESA con angiografia negativa. Questi pazienti giungono al ricovero in migliori condizioni cli-niche ed hanno una prognosi nettamente più favorevole rispetto a quelli con ESA ed angio-grafia positiva: sia la recidiva dell’emorragia che lo sviluppo di vasospasmo e di idrocefaloacuto e cronico sono molto minori.273-275

Per la diagnosi ed il monitoraggio del vasospasmo (vedi § 10.2.2.8) è raccomandato l’uso delDoppler transcranico che ha il vantaggio di essere una tecnica non invasiva, sebbene una pos-sibile limitazione consista nella presenza di scarsa finestra acustica nel 10% dei pazienti.276

L’angiografia può essere utilizzata per la diagnosi di vasospasmo qualora si utilizzino metodi-che endovascolari di trattamento.

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10.2.2.5 Trattamento chirurgico ed endovascolare

Dopo rottura di un aneurisma cerebrale, se non vi è un trattamento (chirurgico o endovasco-lare) con esclusione dell’aneurisma, la probabilità di un nuovo sanguinamento è estremamen-te elevata: 20% entro 14 giorni, 30% entro 30 giorni, 40% entro 180 giorni ed in seguito laprobabilità di recidiva di rottura è del 3% per anno. L’incidenza di recidiva di rottura è net-tamente più elevata nei primi 2 giorni ed in particolare nelle prime 24 ore. Il risanguinamen-to è un’evenienza estremamente grave: lo studio cooperativo internazionale sull’ESA ha dimo-strato che il risanguinamento è responsabile di circa il 30% delle prognosi sfavorevoli per mor-talità e morbosità.268,277

Risulta quindi necessario procedere all’esclusione di queste malformazioni con un adeguatotrattamento (chirurgico o endovascolare).

L’efficacia del trattamento chirurgico degli aneurismi cerebrali è nettamente migliorata negliultimi anni grazie alla utilizzazione del microscopio operatorio, di una strumentazione micro-chirurgica sempre più sofisticata e degli avanzamenti delle tecniche anestesiologiche.

I risultati chirurgici sono strettamente correlati alle condizioni neurologiche, alla localizzazio-ne e dimensioni della sacca aneurismatica, all’età del paziente, alle condizioni cliniche genera-li. La prognosi risulta migliore nel caso di aneurismi non rotti.277,278

La chirurgia costituisce il trattamento di prima scelta nei pazienti giovani, portatori di aneuri-smi del circolo anteriore, non giganti, ed in generale in tutti i pazienti a basso rischio chirur-gico. In questi casi il trattamento chirurgico è da preferire in quanto assicura, come detto,basse complicanze e consente, in circa l’85%~90% dei casi, di escludere con clip l’aneurismain maniera completa e definitiva.235

Dati recenti indicano però che anche un aneurisma “clippato” completamente con interventochirurgico ha una possibilità di circa l’1,5% di riapertura al follow-up di 4,4 anni, per cuianche la chirurgia non dà una protezione assoluta. Nell’1%-2% dei casi è stata anche ripor-tata la formazione di nuovi aneurismi. Il fattore che più di ogni altro condiziona l’esito finaleè costituito dalla gravità clinica del paziente al momento del ricovero e quindi dal danno diret-to provocato dall’ESA. Ancora oggi troppi pazienti arrivano al ricovero in stato soporoso ocomatoso al 2° o 3° risanguinamento, non essendo stata diagnosticata correttamente la primaESA “minore”.239-241 Per questo, essendo la TC divenuta un esame di facile utilizzo, se ne rac-comanda l’uso urgente in pronto soccorso nei pazienti con cefalea inusuale.

Interessante a questo proposito lo studio cooperativo internazionale sul timing chirurgico diKassell,276 che dimostra un buon risultato, valutato mediante la Scala di esito di Glasgow(Tabella 10:VI), solo nel 58% dei casi. Le principali cause degli scarsi risultati (mortalità emorbosità) furono, in ordine decrescente, l’effetto diretto dell’emorragia, il vasospasmo, larecidiva dell’emorragia in attesa dell’intervento, le complicanze strettamente collegate all’attochirurgico. Per quanto riguarda i tempi del trattamento, i risultati ottenuti con la chirurgiaprecoce (entro 3 giorni dall’ESA) o con la chirurgia dilazionata (dopo 7 giorni) furono similianche se con una prevalenza di migliori risultati con la chirurgia precoce, soprattutto per lariduzione della recidiva dell’emorragia, con un minimo effetto negativo sui deficit neurologi-ci ischemici. Nonostante questo fondamentale studio cooperativo non abbia evidenziatodiversità significative nei risultati fra operati precocemente o tardivamente, la chirurgia pre-coce ha avuto sempre più diffusione tanto che oggi è utilizzata dalla maggior parte dei centriNeurochirurgici.

Una recente metanalisi ha osservato, su 1·814 pazienti descritti in 268 studi osservazionali, unmiglior esito nei pazienti operati precocemente (0-3 giorni) ed in tempi intermedi (4-7 giorni),rispetto a quelli operati tardivamente, soprattutto per interventi in pazienti in buone condi-

Raccomandazione 10.46Grado DIl trattamento chirurgico dell’ESAè indicato quale approccio diprima scelta nei pazienti giovani,portatori di aneurismi del circoloanteriore, non giganti, ed ingenerale in tutti i pazienti a bassorischio chirurgico.

Sintesi 10-21Nell’ESA non vi sono al momentoevidenze a favore degli interventieseguiti precocemente, entro 3giorni dall’esordio dei sintomi,anche se attualmente è la prassipiù utilizzata. Non sono stateriscontrate differenze di esitorispetto agli interventi eseguitientro 7 giorni dall’esordio.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 233

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Tabella 10:VI – Scala di esito di Glasgow

Grado Esito1 Buon recupero, vita indipendente2 Moderata disabilità, vita indipendente3 Severa disabilità, vigile ma non indipendente4 Stato vegetativo5 Morte

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Raccomandazione 10.47Grado DNei pazienti con ESA è indicatoprivilegiare l’intervento endova-scolare rispetto alla chirurgia nelcaso in cui il paziente non possaessere sottoposto ad interventochirurgico per problemi internisti-ci, quando l’aneurisma risulti didifficile accesso chirurgico o l’in-tervento si accompagni ad altorischio operatorio. L’interventoendovascolare è indicato anchein caso di aneurismi non rottimedio-piccoli.

Sintesi 10-22L’età superiore a 60 anni, i gradiclinici intermedi ed alti (HH=3-4)dopo emorragia subaracnoidea,ed in particolare gli aneurismi delcircolo posteriore, di difficile ac-cesso chirurgico indipendente-mente se rotti o non rotti, sono aparità di indicazioni fattori cheorientano la scelta terapeuticaverso un intervento endovascola-re.

Raccomandazione 10.48Grado DIn caso di aneurismi dell’arteriacerebrale media, età inferiore a60 anni, grading clinico basso(HH=1~2), presenza di un emato-ma cerebrale è indicato il tratta-mento chirurgico.

zioni cliniche (precoce: OR 0,41; IC95 0,34-0,51; intermedia: OR 0,47: IC95 0,32-0,69), anchese gli autori concludono per la necessità di un nuovo studio osservazionale con metodologiaappropriata.268

Un trattamento chirurgico in emergenza può essere indicato in presenza di un idrocefalo acutocon ipertensione endocranica (inserimento di un drenaggio ventricolare esterno) oppurequando la TC evidenzia un ematoma intracerebrale di dimensioni tali da mettere a rischio lavita del paziente. In questi casi si impone una craniotomia con evacuazione dell’ematoma.Nella stragrande maggioranza dei casi nello stesso intervento si provvede anche al clippaggiodell’aneurisma.

La chirurgia precoce viene preferita nei pazienti in buone condizioni cliniche in quanto ha ilvantaggio di ridurre nettamente il rischio di un risanguinamento, assicurare una minore inci-denza ed un miglior trattamento del vasospasmo, consentire una mobilizzazione più precocedel paziente con quindi minore incidenza di complicanze mediche.

Oltre che per via chirurgica, un aneurisma cerebrale può essere trattato anche per via endo-vascolare, utilizzando le spirali di Guglielmi. Il trattamento endovascolare degli aneurismi èvolto ad escludere l’aneurisma dal circolo cerebrale attraverso un riempimento dello stessomediante spirali (coil) o mediante la chiusura del vaso afferente effettuata tramite palloncinistaccabili (DB) o spirali. Le spirali (introdotte nella pratica clinica da G. Guglielmi nel 1991)sono state utilizzate per chiudere sia aneurismi rotti che aneurismi non rotti. Con l’aumentodell’esperienza tecnica e con il miglioramento delle microspirali, il trattamento endovascolareè stato utilizzato con frequenza crescente anche in aneurismi che avrebbero potuto essere trat-tati chirurgicamente.

Le indicazioni al trattamento endovascolare o chirurgico variano in rapporto alla presentazio-ne clinica (aneurisma non sanguinante, emorragia subaracnoidea, effetto compressivo), età delpaziente e caratteristiche dell’aneurisma (sue dimensioni, localizzazione, aspetto morfologico).Questo trattamento è oggi utilizzato prevalentemente nei casi ritenuti ad alto rischio operato-rio dai neurochirurghi, negli aneurismi del circolo posteriore, nei pazienti anziani ed in gene-rale in tutti i pazienti con importanti fattori di rischio.269

Esistono studi comparativi tra terapia chirurgica ed endovascolare – che hanno randomizzatoal trattamento solo i soggetti senza chiara indicazione all’uno o all’altro trattamento – neglianeurismi con emorragia subaracnoidea.279 Uno studio randomizzato su 109 pazienti che haconfrontato la chirurgia con la terapia endovascolare, con trattamento entro 72 ore dall’esor-dio, ha dimostrato risultati comparabili nei due gruppi di pazienti.280 In questo studio la mor-talità correlata alla tecnica è stata del 4% nel gruppo chirurgico contro il 2% del gruppoendovascolare. Recentemente sono stati pubblicati i risultati dello studio multicentrico ran-domizzato (sempre secondo i criteri precedenti) e controllato ISAT.281,282 Questo studio haconfrontato il trattamento chirurgico con il trattamento endovascolare con coil in 2·143pazienti con aneurismi rotti considerati sia operabili chirurgicamente che embolizzabili, valu-tando morbosità e mortalità, prevenzione del risanguinamento e qualità della vita dei pazien-ti ad un anno dall’intervento. Lo studio evidenzia che il trattamento endovascolare è risultato,in termini di sopravvivenza libera da morbosità ad un anno, significativamente migliore rispet-to all’intervento chirurgico con riduzione del rischio assoluto per morte e dipendenza pari a6,9% (IC95 2,5-11,3). Da considerare che i pazienti arruolati nello studio erano solo il 22,4%degli osservati; per i non arruolati i due tipi di trattamento non erano stati giudicati equiva-lenti: il 39% è stato trattato chirurgicamente, il 29% per via endovascolare.283 A lungo termi-ne l’esito dipende soprattutto dal rischio di risanguinamento. Il periodo di osservazione dellostudio ISAT era troppo breve per essere conclusivo in tal senso (recidiva di sanguinamento ad1 anno dell’1% nei trattati chirurgicamente e del 2,6% nei trattati per via endovascolare).Questo rischio si presenta basso negli aneurismi trattati con entrambi gli approcci, anche selievemente maggiore per quelli trattati per via endovascolare per recidiva dell’aneurisma (com-pattamento delle spirali, ricrescita della sacca). Una serie non randomizzata e retrospettiva di2·069 pazienti statunitensi con aneurismi non rotti – di cui solo 255 trattati per via endova-scolare – ha mostrato esiti disabilitanti o morte nel 10% dei trattati per via endovascolare enel 25% di quelli sottoposti a chirurgia (P=0,001); anche la mortalità era dello 0,5% nei trat-tati con spirali rispetto al 3,5% di quelli trattati chirurgicamente (P=0,001).284 Questi risulta-ti vanno interpretati con cautela anche perché non vi era stato alcun criterio di selezione dei

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pazienti per la scelta delle due tecniche di trattamento. Una relazione precedente su un sot-toinsieme degli stessi casi, che comunque presentava in modo ancora più evidente le stessecarenze metodologiche, ha confermato una minore mortalità nei trattati per via endovascola-re, ed un minor ricorso alla fisioterapia, ma non significativi.285 Una recente metanalisi ripor-ta complicanze nel 3,7% dei casi trattati per via endovascolare, ma anche chiusura completadell’aneurisma in solo il 54% dei casi, nel trattamento iniziale.286 Nei casi di occlusione noncompleta vi sono alte percentuali di progressione delle dimensioni al follow-up angiografico,anche se non sono ben noti i rischi di emorragia in questi pazienti. La percentuale di risan-guinamento sembra essere di circa il 4%.

Quindi il trattamento degli aneurismi intatti senza chiara indicazione chirurgica, attraversoembolizzazione o coils sembra avere un più basso tasso di complicanze rispetto ad un clip-paggio chirurgico, sono invece necessari ulteriori lavori per dimostrarne l’efficacia nel preve-nire emorragie. I pazienti trattati per via endovascolare vanno seguiti nel tempo medianteesami angiografici e necessitano frequentemente – nel 10% circa dei casi per gli aneurismimedio-piccoli (piccoli sino a 0,5 cm diametro massimo, medi sino a 1,5 cm, grandi sino a 2,5cm, giganti oltre 2,5 cm), e fino al 40% negli aneurismi giganti, specie se parzialmente trom-bizzati – di nuovi trattamenti di occlusione della sacca aneurismatica, che può riaprirsi odallargarsi anche nei casi di lesioni trattate con iniziale occlusione completa.286,287

Non ci sono dati precisi che indichino una specifica tempistica per il follow up. Se con la pro-cedura endovascolare viene raggiunta una apparente occlusione completa della sacca, l’indi-cazione è di eseguire una angiografia di controllo dopo 6 mesi; i successivi controlli sarannoprogrammati sulla base della stabilità del risultato raggiunto. Naturalmente se l’occlusionecompleta non può essere raggiunta i controlli saranno più frequenti. La possibilità che unaneurisma clippato completamente con tecnica chirurgica possa ricanalizzarsi e dare un risan-guinamento è molto bassa per cui non sono necessari controlli angiografici seriati se non incasi particolari.

Attualmente la decisione sul tipo di intervento da adottare, chirurgico o endovascolare, vaattuata nell’ambito di un team specialistico multidisciplinare.

10.2.2.6 Indicazioni alla chiusura del vaso afferente

La chiusura dell’arteria dalla quale l’aneurisma origina può rappresentare una opzione tera-peutica. Naturalmente l’occlusione di un’arteria intracranica può portare all’ischemia del ter-ritorio a valle. Le conseguenze ischemiche dell’occlusione di un’arteria possono essere previ-ste effettuando un test di occlusione attraverso l’occlusione temporanea del vaso mediante unpalloncino e valutandone gli effetti sulla funzione cerebrale ed emodinamici sia dal punto divista clinico che strumentale. Bisogna comunque tenere presente che conseguenze ischemichesi possono verificare anche se il paziente ha tollerato il test di occlusione.288,289 Il vaso viene dipreferenza occluso per via endovascolare e tale procedura può essere eseguita subito dopoavere effettuato il test di occlusione. I sintomi compressivi dovuti all’aneurisma possono risol-versi dopo tale procedura presumibilmente riducendo la pressione nella sacca per retrazionedel trombo. Tale procedura viene riservata ai casi nei quali non sia possibile un trattamentoelettivo endovascolare o chirurgico e che presentino un alto rischio di rottura.235,269

10.2.2.7 La prevenzione dei risanguinamenti

Trattamento medico

Negli anni ’80 vi era l’abitudine di tenere i pazienti a letto per 6 settimane dopo la rottura diun aneurisma. Negli studi randomizzati questo trattamento è risultato inferiore alla chirurgiaprecoce ed al trattamento antipertensivo.253

Sulla terapia antipertensiva vi sono dati diversi: in alcuni studi sembra favorire il risanguina-mento, ma forse solo in quanto somministrata ai pazienti già ipertesi; in altri sembra ridurre ilsanguinamento, che pare legato più agli sbalzi di pressione che a valori elevati ma stabili.290,291

L’utilizzo degli agenti fibrinolitici appare efficace nel prevenire il risanguinamento nel 40%circa dei casi, tuttavia sembra anche indurre ischemie cerebrali nel 43% dei pazienti.292

Raccomandazione 10.49Grado DLa chiusura del vaso afferente inpazienti con ESA è indicataquando non sia possibile la chiu-sura diretta dell’aneurisma pervia chirurgica o per via endova-scolare ed esista un rischio ele-vato di rottura o siano presentisintomi progressivi.

Sintesi 10-23Non vi sono evidenze a favoredell’efficacia della permanenza aletto dei pazienti con ESA e dellaterapia anti-ipertensiva in acutonel prevenire il risanguinamentodell’aneurisma, tuttavia la som-ministrazione di antipertensiviviene ampiamente praticata.

Sintesi 10-24La terapia antifibrinolitica perprevenire il risanguinamento neipazienti con ESA può essereusata in particolari condizioni,p.es. pazienti con scarsa possibi-lità di vasospasmo candidati aterapia chirurgica dilazionata, manon è un trattamento di routine inquanto provoca ischemie cere-brali in proporzione analoga aquella degli episodi di risanguina-mento evitati dalla stessa terapia.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 235

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Raccomandazione 10.50Grado CIl clippaggio chirurgico è indicatoper ridurre la percentuale di rin-saguinamento dopo ESA.

Raccomandazione 10.51Grado DLa legatura di carotide per aneu-rismi non trattabili con approcciodiretto può essere indicata perprevenire il risanguinamentodopo ESA.

Sintesi 10-25Nell’ESA, l’uso di spirali intralu-minali sembra avere un rischiolievemente maggiore di risangui-namenti rispetto alla chirurgiatradizionale.

Sintesi 10-26Il trattamento con palloncini epolimeri ha una casistica troppolimitata per essere valutato ai finidella prevenzione del risanguina-mento dopo ESA.

Trattamento chirurgico

Il trattamento chirurgico è il modo più efficace per prevenire il risanguinamento. La legaturadell’arteria carotide in aneurismi anteriori per i quali non è stato possibile un trattamento chi-rurgico diretto, si è dimostrata efficace nel prevenire risanguinamenti.288

Il trattamento degli aneurismi con spirali presenta, come già indicato, un rischio di sanguina-mento lievemente maggiore rispetto alla chirurgia tradizionale, per la possibilità di riaperturadell’aneurisma ed espansione delle sue dimensioni. Molti studi su serie neuroradiologiche echirurgiche presentano errori sistematici che non permettono una adeguata generalizzazionedei risultati. Le critiche principali si concentrano su follow-up non adeguato e mancata dia-gnosi dei casi di morte improvvisa, il che porta a sottostimare la reale prevalenza di rotturadopo trattamento. Nella storia naturale degli aneurismi il rischio di rottura di un aneurismache ha sanguinato è del 20%-30% nel primo mese e del 3% per anno. Sicuramente il tratta-mento endovascolare o chirurgico, specie se effettuati entro 72 ore dalla rottura, riducono talerischio anche se l’evidenza, al momento, non si basa su studi randomizzati e controllati. Anchela chirurgia tradizionale, tuttavia, non è completamente esente da questo rischio.276,280 Lo stu-dio cooperativo sui tempi del trattamento chirurgico del 1974 ha valutato 979 pazienti tratta-ti con chirurgia invasiva intracranica; 9 dei 453 pazienti (2%) hanno risanguinato dopo l’in-tervento, ma 4 di queste emorragie sono avvenute in pazienti con aneurismi multipli.276 Nellostudio di Johnston 284 si è dimostrata una maggiore efficacia della chirurgia tradizionale suirisanguinamenti a 3 mesi, rispetto alla permanenza a letto o al trattamento dell’ipertensione.Nella serie retrospettiva di Sundt del 1982, l’11% dei pazienti di grado 1-2 hanno risanguina-to dopo la chirurgia, il 12,4% ha avuto un sanguinamento intraoperatorio e l’1,2% post-ope-ratorio.293 Queste percentuali sono comparabili a quelle di altre serie pubblicate. Maggiore èil rischio per gli aneurismi clippati in modo incompleto: Fuerberg in 715 aneurismi trattati haosservato 26 aneurismi incompletamente chiusi (3,8%), un paziente di questi ha avuto unrisanguinamento in 266 anni-paziente di follow-up.294

Una stima precisa del rischio di risanguinamento post-embolizzazione è difficile da ottenerein quanto molti studi non riportano un adeguato follow-up e non distinguono fra trattamentodi aneurismi rotti e non rotti. In uno di tali studi la percentuale di rottura post-embolizzazio-ne è 1,8%.235

Non è possibile per questo fornire dati di un’analisi cumulativa su studi tutti di aneurismi rotti(con differenti localizzazioni e dimensioni) nei quali si era verificata una nuova emorragiasubaracnoidea dopo il trattamento. Si stima che la percentuale di risanguinamenti per aneuri-smi rotti e non rotti sia dello 0,9%-1,8% per anno.255,284,294-296 Il rischio di risanguinamentodi un aneurisma trattato è risultato dipendere da diversi fattori quali la sede e le dimensionidell’aneurisma, il grado di obliterazione della sacca a fine procedura e le sue variazioni duran-te il follow-up. Combinando diversi studi per aneurismi localizzati in fossa cranica posterioreil tasso annuale di risanguinamento dopo embolizzazione può essere stimato pari a 1,4% spe-cie per le localizzazioni distali dell’arteria basilare.295-297 Molte serie hanno evidenziato che,più grande è l’aneurisma, maggiore è il rischio emorragico dopo trattamento.297,298 In uno stu-dio di coorte di aneurismi precedentemente rotti di più di 2 cm di diametro, si verifica unarottura ogni 36,6 anni-paziente, con un tasso annuale di risanguinamento pari al 2,7%.297 Ledimensioni dell’aneurisma sono di grande importanza per la stima del rischio di rottura post-embolizzazione, in quanto il rischio per aneurismi giganti è ritenuto essere del 33%, 4% peri “large” e 0,4% per aneurismi “small” a 3,5 anni di follow up.279,297,298

Un altro predittore importante del rischio di risanguinamento dopo intervento endovascolareè la non completa chiusura della sacca.299 Anche se alcuni case report mostrano come ancheaneurismi completamente esclusi, sia per via endovascolare che per via chirurgica, possanorompersi,293-295 il rischio di rottura è molto più alto se la sacca non è completamente occlusa,con un rischio di rottura stimato pari al 49% in una serie di 178 aneurismi non chiusi com-pletamente.299

L’efficacia del trattamento con palloncini o polimeri ha una casistica troppo limitata e solo inaperto così da non poter permettere una stima affidabile. Sembra vi possa essere una occlu-sione completa nel 77% dei casi, con risanguinamenti nel 12%.300

Per gli aneurismi trattati con fasciatura esterna la percentuale di risanguinamenti non è diver-sa rispetto a quelli sottoposti a terapia medica conservativa, anche se i dati sono insufficientiper conclusioni definitive.301

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10.2.2.8 Vasospasmo

Il vasospasmo si manifesta con stenosi delle arterie cerebrali e riduzione del flusso, documen-tata mediante esami angiografici o Doppler transcranico. Il fenomeno ha un esordio dopo 3-5 giorni dal sanguinamento, raggiunge il massimo fra il 5°-14° giorno ed ha una risoluzionegraduale in 2-4 settimane. Nella metà dei casi si rende manifesto con la comparsa di deficitneurologici focali, che possono risolversi od esitare in ischemie cerebrali. Il 15%-20% di que-sti pazienti, nonostante l’attuazione di idonee terapie, muore per il vasospasmo ed il 50% deicasi sintomatici sviluppa ischemie cerebrali.302 Il vasospasmo rappresenta quindi la secondapiù grave complicanza della emorragia subaracnoidea da rottura di un aneurisma cerebrale.303

La patogenesi del vasospasmo è complessa ma i disturbi clinici hanno caratteristiche peculia-ri per cui non è difficile una diagnosi precisa nella maggior parte dei casi. I coaguli ematicinegli spazi subaracnoidei possono indurre e mantenere il restringimento dei vasi cerebrali cau-sando una ischemia. Il vasospasmo può colpire le grosse arterie cerebrali ma è più frequenteun interessamento delle piccole arterie e delle arteriole.304 Vi è una significativa relazione frala quantità di sangue depositatosi negli spazi subaracnoidei e lo sviluppo successivo di vaso-spasmo, sia clinico che strumentale, ed il risultato clinico finale. La TC in fase acuta dopo unaemorragia subaracnoidea ha pertanto un enorme significato in quanto dà la possibilità di pre-dire il vasospasmo e, nei pazienti a rischio, consente di instaurare un trattamento preventivoed evitare lo studio angiografico nonché l’intervento chirurgico in tale fase, per non peggiora-re le condizioni cliniche. Utizzando la scala di Fisher (Tabella 10:VII)305 è possibile classifica-re alla TC la deposizione di sangue nelle cisterne in quattro categorie che indicano la gravitàdell’ESA. Un altro studio propone l’utilizzo di un punteggio composito per il calcolo delrischio di vasospasmo (Tabella 10:VIII), più sensibile (AUC della receiver operating characte-ristic: 68%±8%) rispetto ai criteri dello spessore del sanguinamento (62%±8% P=0,08) o del-l’accelerazione del flusso in cerebrale media entro la quinta giornata (45%±7% P<0,05).306,307

Se il vasospasmo si prolunga nel tempo con importante riduzione del flusso, la TC potrà evi-denziare aree ischemiche singole o multiple.

Nei pazienti di età inferiore ai 20 anni vi è bassa frequenza e minore gravità del vasospasmo equesto spiega i risultati nettamente migliori nel trattamento degli aneurismi in età pediatri-ca.307,308

Trattamento del vasospasmo

Serie non controllate di casi hanno dimostrato la risoluzione del vasospasmo mediante l’ele-vazione della pressione, l’espansione del volume ematico e l’emodiluizione, ma nessuno diquesti trattamenti è stato dimostrato efficace da studi adeguatamente condotti. Questi inter-venti, inoltre, sono potenzialmente pericolosi per scompenso cardiaco, disordini elettrolitici,sanguinamento di aneurismi non trattati.308,309

Raccomandazione 10.52Grado DPer la diagnosi ed il monitoraggiodel vasospasmo è indicato l’usodel Doppler transcranico.

Raccomandazione 10.53Grado DL’ipertensione, l’ipervolemia e l’e-modiluizione sono indicate per laprevenzione ed il trattamento delvasospasmo, ma la loro efficacianon è stata univocamente dimo-strata.

Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 237

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Tabella 10:VII – Scala di Fisher

punteggio di gravità dell’ESA deposizione di sangue nelle cisterne1 assente2 diffusa,sottile3 diffusa, spessa 4 sangue anche nei ventricoli laterali

Tabella 10:VIII – Indice di rischio per vasospasmo

Fattore ScoreSpessore del coagulo spesso diffuso 4

diffuso spesso/localizzato 2localizzato o assente 1

Scala di Glasgow, punteggio iniziale <14 2≥14 1

Sede della rottura dell’aneurisma ACA o ICA 2altri 1

Accelerazione del flusso alla cerebrale media presente 2(>110 cm/sec in 5° giornata) assente 1

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness DiffusionIctus cerebrale: Linee guida italiane

Raccomandazione 10.54Grado CLa somministrazione di nimodipi-na per via orale o e.v. è indicatanel trattamento del vasospasmodopo ESA.

Sintesi 10-27La rimozione dei coaguli vasalidurante l’intervento, la sommini-strazione di fibrinolitici cisternalio la somministrazione di agentianti-infiammatori o antiossidantisono di incerta efficacia nellaprevenzione del vasospasmodopo ESA.

Raccomandazione 10.55Grado DIl trattamento angioplastico intra-vascolare è indicato nei pazienticon vasospasmo dopo ESA, per iquali i restanti trattamenti sisiano dimostrati inefficaci.

Raccomandazione 10.56❊ GPP

In caso di idrocefalo acuto dopoESA con riduzione del livello dicoscienza è indicato il trattamen-to con derivazione ventricolare,anche se aumenta il rischio dirisanguinamento e possono veri-ficarsi complicanze infettive.

Sintesi 10-28La comparsa di idrocefalo cronicoè frequente dopo ESA ed è tratta-bile con derivazione ventricolo-peritoneale o ventricolo-cardiacanei pazienti sintomatici.

Allen fu il primo a proporre il trattamento con nimodipina per via endovenosa in quanto erastato dimostrato sperimentalmente che determinava una dilatazione delle arterie piali.310 Daallora è emersa con sempre maggiore evidenza la possibile efficacia dei calcio-antagonisti dii-dropiridinici, quali nifedipina e nimodipina, sul fenomeno della vasocostrizione cerebrale inpazienti con ESA, con beneficio clinico riducendo la frequenza delle ischemie cerebrali, percui vengono comunemente utilizzati per via endovenosa o per via orale.310,311 La nimodipinaper via orale riduce gli esiti da vasospasmo in pazienti di ogni grado nei vari studi condotti, manon ne previene l’insorgenza e non ne riduce l’entità negli esami angiografici. Il dosaggio con-sigliato è di 60 mg ogni 4 ore.311 Vi sono serie non controllate di trattamento con nimodipinae.v. al dosaggio di 1-2 mg/ora che riportano basse percentuali di mortalità o di esiti permanentinei trattati.312 Anche uno studio con nicardipina ha mostrato una riduzione del vasospasmoall’angiografia nei trattati.313 Una recente metanalisi conferma che i calcio antagonisti riduco-no il rischio di esito sfavorevole dopo ESA aneurismatica indipendentemente da considera-zioni sul vasospasmo (RR 0,82; IC95 0,72-0,93) con riduzione assoluta del rischio pari a 5,17%e NNT=20. L’entità dell’effetto su questo endpoint calcolato per la sola nimodipina orale risul-ta RR 0,70; IC95 0,58-0,84. Diminuisce anche il rischio di ischemia secondaria sintomatica (RR0,67; IC95 0,60-0,76), ma viene sottolineato anche che le definizioni di esito sono eterogenee eche le evidenze a favore di nimodipina non sono completamente al di là di ogni dubbio.314

Evidenze cliniche e sperimentali supportano l’opportunità di rimuovere i coaguli perivasalidurante il trattamento chirurgico per prevenire il vasospasmo. Non vi sono però studi ade-guatamente condotti a sostegno di questi dati.315

Non vi sono dati provenienti da studi adeguatamente condotti sugli effetti dell’angioplasticaintravasale. Le serie di casi riferiscono miglioramenti importanti (normalizzazione del calibrovasale e del flusso) nel 60%-80% dei pazienti, con il 5% di complicanze per rottura del vasoo di aneurismi non chiusi. Vi è l’indicazione a trattare vasi che risultino all’angiografia di cali-bro ≥1,5 mm. La somministrazione contemporanea di papaverina è efficace nell’aumentare ledimensioni del vaso ed il flusso, ma non è indicata nell’arteria cerebellare posteriore inferiore,poiché può causare depressione respiratoria, a meno che i pazienti siano in terapia intensiva.Si può avere anche un aumento della pressione endocranica, che andrebbe monitorata in que-sti pazienti. Il trattamento non è indicato nei pazienti nei quali non sia già stato trattato l’a-neurisma rotto, per il rischio di sanguinamento, né nei pazienti con evidenti lesioni ischemi-che alla TC, per il rischio di infarcimento emorragico delle lesioni.316

10.2.2.9 Altre complicanze dell’ESA

Idrocefalo

L’idrocefalo è un’altra possibile grave complicanza della emorragia subaracnoidea. Un allar-gamento acuto del volume dei ventricoli è comune nella fase acuta dopo l’ESA, per ostruzio-ne meccanica da parte del sangue del flusso liquorale a livello delle cisterne o a livello ventri-colare, si riscontra nel 20%-27% dei casi, specie in presenza di un sanguinamento endoven-tricolare. Il trattamento chirurgico di derivazione ventricolare nell’idrocefalo acuto è racco-mandato se vi è una riduzione del livello di coscienza. In questi casi l’intervento è in grado dimigliorare il quadro clinico nel 50%-80% dei casi, ma la procedura aumenta il rischio di risan-guinamento e comporta complicanze infettive nel 5%-10% dei casi.317-319

Se non vi è la necessità di un trattamento chirurgico urgente, la permanenza alla TC della dila-tazione ventricolare si osserva nel 14%-23% dei casi ed ha significato clinico incerto, in quan-to dipende dai criteri di valutazione della dilatazione stessa alla TC. Una regressione sponta-nea della dilatazione ventricolare si verifica in circa il 20% dei casi. La necessità di una deri-vazione ventricolo-cardiaca o ventricolo-peritoneale si ha in circa il 10% dei pazienti conESA.320-322 L’idrocefalo cronico è dovuto ad aderenze aracnoidali con progressiva dilatazioneventricolare ed è caratterizzato clinicamente da disorientamento spazio-temporale, inconti-nenza urinaria, atassia e paraparesi spastica. Questi disturbi si verificano spesso dopo una fasedi ripresa neurologica post-ictale. Si sviluppa più frequentemente nei pazienti che hanno avutoun’alterazione della coscienza in fase acuta, negli aneurismi dell’arteria comunicante anterio-re o del circolo posteriore, nei pazienti più anziani. La sua frequenza raddoppia nei pazienticon spessa e consistente deposizione ematica cisternale alla TC e/o in presenza di sangue nelsistema ventricolare, rispetto a quelli che hanno un modesto sanguinamento. Anche il tratta-

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mento di derivazione ventricolare nei casi di idrocefalo cronico non è suffragato da evidenzeda studi prospettici, ma può migliorare lo stato clinico di questi pazienti.322

In conclusione, i pazienti a maggior rischio di idrocefalo sono i pazienti anziani in cattive con-dizioni cliniche all’ingresso, portatori di aneurisma della comunicante anteriore o del circoloposteriore con una consistente deposizione ematica cisternale e/o ventricolare alla TC.L’intervento chirurgico precoce di clippaggio dell’aneurisma con asportazione di sangue dallecisterne e apertura della lamina terminale del 3° ventricolo sembra ridurre il rischio di idro-cefalo.317

Iponatriemia

Iponatriemia si osserva nel 10%-34% dei pazienti con ESA, soprattutto se in condizioni cri-tiche, con vasospasmo o idrocefalo. Può essere dovuta a sindrome da deplezione di sali o adinappropriata secrezione di ormone antidiuretico (SIADH). L’iponatriemia in queste condi-zioni non va trattata con restrizione del volume ematico, che aggrava il vasospasmo, quantopiuttosto con terapia sostitutiva di soluzioni saline ipertoniche e.v. Si deve intervenire per valo-ri di sodio <125 mEq/L.323

Diabete insipido

Dopo ESA e dopo trattamento chirurgico si può osservare diabete insipido. Si pone questadiagnosi per diuresi >300 mL/ora. La terapia consiste in una idratazione che compensi le per-dite e terapia con desmopressina (DDAVP) sottocute.324

Crisi epilettiche

Crisi epilettiche sembra si presentino nel 25% dei pazienti, ma non è chiaro se si tratti di crisiepilettiche vere e proprie o di manifestazioni legate al brusco aumento della pressione intra-cranica. Si è osservato un aumentato rischio di risanguinamenti dovuto alle crisi. È stata pro-posta una terapia preventiva delle crisi in alcuni studi, ma in valutazioni retrospettive di casi-stiche non ne è stata dimostrata l’efficacia.325

10.3 LA CHIRURGIA CAROTIDEA IN URGENZA O EMERGENZA

La chirurgia carotidea in urgenza o in emergenza trova il suo razionale solo in pazienti che sipossiono definire instabili e ad alto rischio da entrambi i punti di vista sia anatomo patologi-co carotideo e cerebrale sia clinico neurologico.

Dal punto di vista anatomo patologico carotideo si può rendere necessaria l’immediata riva-scolarizzazione del territorio quando questo, indagato angiograficamente o ultrasonografica-mente, è compromesso:a. da una stenosi critica, specie se subocclusiva;b. da una trombosi acuta;c. da un trombo o ateroma flottante nel lume vasale.

Dal punto di vista anatomo patologico cerebrale la condizione alla rivascolarizzazione del ter-ritorio carotideo è che non vi sia già un vasto edema e/o un vasto territorio infartuale ische-mico o emorragico cerebrale, e che non vi sia inoltre una seria compromissione dello stato dicoscienza o delle funzioni vitali.

Viceversa non ci sono indicazioni per un trattamento di rivascolarizzazione chirurgica inurgenza o emergenza in pazienti con una rapida risoluzione di un deficit neurologico dovutoad una trombosi acuta della carotide interna.

Dal punto di vista clinico neurologico le condizioni giudicate di emergenza possono essere:a. il crescendo TIA;b. l’ictus in evoluzione;c. il deficit neurologico acuto (entro le sei ore) associato ad una occlusione acuta della caroti-

de.

Non ci sono in letteratura studi controllati randomizzati sulla base dei quali stabilire le indi-cazioni e fornire raccomandazioni di un certo livello per un intervento chirurgico di rivasco-larizzazione carotidea in urgenza o emergenza durante la fase iperacuta dell’ictus, diversa-mente dagli interventi su ictus stabilizzati (>24 h) discussi nel § 13.4.2.

Raccomandazione 10.57Grado DLa tromboendoarteriectomiacarotidea in fase acuta è indicatapresso un centro con certificataesperienza di interventi su questotipo di pazienti, con bassa mor-bosità e mortalità (<3%), in pre-senza di stenosi di grado elevatoo trombosi acuta congrua con isintomi, in caso di TIA subentran-te o recidivante o in caso di ictusminore stabilizzato.

Sintesi 10-29a. Per quanto riguarda la TEA in

urgenza è auspicabile utilizza-re i modelli di rischio perquanto riguarda la selezionedei pazienti.

b. Non esistono a tutt’oggi evi-denze sul rapportorischio/beneficio della TEA inemergenza nei casi di ictus inevoluzione o di ictus acuto(entro le 6 ore), anche seassociati a stenosi critica o atrombosi acuta della carotide.

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Diverse però sono le pubblicazioni di esperienze importanti e significative di centri qualifica-ti, che hanno indubbiamente migliorato il tasso di mortalità perioperatorio rispetto al passato,proponendo quindi un intervento chirurgico in una situazione di emergenza già di per se conalto tasso di mortalità e morbosità, ed hanno consentito in diversi casi un recupero dell’inte-grità vascolare ed un miglioramento clinico apprezzabile e in altri casi hanno senz’altro evita-to un ulteriore peggioramento clinico del paziente.

Schneider 326 ha pubblicato 43 casi di endoarteriectomia carotidea in emergenza per crescen-do TIA o ictus in evoluzione senza gravi compromissioni anatomo funzionali cerebrali, ripor-tando un tasso di mortalità e morbosità perioperatorio dello 0%. Eckstein 327 riferisce 71 casidi endoarteriectomia carotidea in emergenza per ictus grave (16 casi), ictus in evoluzione (34casi) o crescendo TIA (21 casi), in 5 dei quali è stata associata l’applicazione locale di trombo-litici, confermando l’utilità dell’intervento chirurgico, considerato l’esito clinico dei pazienti,e ritenendo necessaria un’angiografia intraoperatoria. Lo stesso Eckstein 328 riporta un’altraesperienza di 14 casi di associazione tra endoarteriectomia carotidea in emergenza e trombo-lisi intrarteriosa, in 3 casi dei quali la trombolisi ha preceduto l’endoarteriectomia. I risultatisono stati 13/14 casi di ricanalizzazione di occlusioni emboliche intracraniche e 10/11 casi diricanalizzazione di trombosi della carotide interna. In 4 pazienti il recupero neurologico èstato totale (Rankin 0), in 6 pazienti è residuato un deficit minore (Rankin 2~3), in 2 pazientiè residuato un deficit grave (Rankin 4~5), e in 2 pazienti si è verificato l’exitus.

Va peraltro considerato il possibile vizio da pubblicazione, per cui è verosimile che serie concomplicanze ben maggiori non siano state pubblicate e neanche presentate a Congressi.

Vi sono poi altre situazioni cliniche in cui un intervento immediato di rivascolarizzazione delterritorio carotideo si potrebbe rendere necessario:• trombosi carotidea perioperatoria post endoarteriectomia eseguita in elezione;• trombosi carotidea post angiografia, post PTA o posizionamento di stent endoluminale.

Pertanto possiamo oggi affermare che certamente è ipotizzabile un ruolo più importante dellachirurgia carotidea in emergenza o in urgenza,329 e che comunque sono necessari maggioriesperienze e casistiche, ma soprattutto studi clinici randomizzati e controllati per fornire indi-cazioni più precise e raccomandazioni, che per ora sono ancora basate sul buon senso e l’e-sperienza del Centro di Cura, dell’équipe della stroke unit e di ogni singolo operatore.

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Capitolo 10 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (terapia) 243

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