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FRA DOMANDA E OFFERTA: ELITE SPONSORSHIP, CONCORRENZA, E
COSTRUZIONE DELLA QUALITÀ NELL’INDUSTRIA VINICOLA ITALIANA
Raffaele CorradoFacoltà di Economia
Università di BolognaPiazza Scaravilli, 1
40126 BolognaTel 051 2098062Fax: 051 2098074
Vincenza OdoriciFacoltà di Economia
Università di BolognaPiazza Scaravilli, 1
40126 BolognaTel 051 2098062Fax: 051 2098074
Alessandro LomiFacoltà di Economia
Università di BolognaPiazza Scaravilli, 1
40126 BolognaTel 051 2098066Fax: 051 2098074
ABSTRACT
In questo studio analizziamo dati relativi alle valutazioni della qualità di 967 vini
italiani, come riportate nelle due più importanti guide italiane nel periodo 1996-2000.
Sulla base di un campione pooled cross-sectional time series costituito da 2265
osservazioni, cerchiamo evidenze a sostegno della congettura che le politiche di
valutazione dei prodotti da parte delle guide siano sistematicamente influenzate dalla
loro differenziazione strategica in quanto elite sponsor in competizione, piuttosto che
riflettere proprietà intrinseche dei prodotti. Il punto di partenza di questo lavoro è
l’osservazione che l’effettivo funzionamento dei mercati è spesso reso possibile dalla
presenza di attori che non sono – né possono essere – direttamente coinvolti nelle
decisioni di produzione e consumo, ma competono per il diritto di stabilire il quadro dei
criteri di confronto e di valutazione nel cui contesto tali decisioni possono essere
compiute. La principale implicazione teorica del nostro studio è che la competizione a
livello istituzionale per stabilire schemi di confronto e valutazione introduce ambiguità
fondamentali nei processi di adattamento e selezione all’interno delle comunità
organizzative.
1. INTRODUZIONE
Gli intermediari che si trovano nella posizione di poter influenzare la classificazione e
l’ordinamento dei prodotti (e organizzazioni) in categorie svolgono un ruolo chiave nel
funzionamento e dei mercati. L’assegnazione di singoli prodotti a categorie aggregate
stimola la formazione di quadri generali di confrontabilità all’interno dei quali i
produttori modellano la loro strategia competitiva, e i consumatori esprimono le proprie
preferenze. I produttori comunicano le proprie strategie attraverso scelte osservabili di
produzione. I consumatori comunicano le loro preferenze almeno in parte attraverso
decisioni di consumo. Un “mercato” è il risultato dell’interazione fra questi due
meccanismi di espressione. Se guardiamo al lato dell’offerta, l’esistenza di categorie
condivise riduce grandemente l’incertezza che i singoli produttori devono fronteggiare
nel decidere come posizionarsi sul mercato rispetto ad imprese rivali. Guardando invece
al lato della domanda, l’esistenza di chiare categorie di prodotto riduce i fabbisogni
informativi dei consumatori, la cui comprensione dei singoli prodotti può basarsi su un
sistema di convenzioni piuttosto che su preferenze incerte e problematiche
Ma come avviene questo ordinamento di prodotti in categorie? Cosa favorisce
l’accettazione da parte degli individui di vincoli alle loro decisioni di produzione e di
consumo, e la ridefinizione delle loro stesse preferenze in termini di tali vincoli?
Tipicamente la classificazione è considerata il risultato di complessi processi cognitivi
individuali (Odorici e Lomi, 2000). Nei mercati tuttavia la classificazione è anche il
risultato aggregato delle strategie attuate da attori che agiscono come intermediari fra
domanda e offerta. Il punto di partenza di questo lavoro è l’osservazione che il
funzionamento dei mercati è influenzato da questa categoria di attori che non sono
direttamente coinvolti in decisioni di produzione o di consumo, ma competono per il
diritto di stabilire le condizioni strutturali che sono date per scontate da produttori e
consumatori.
In questo lavoro ci concentriamo sulle conseguenze dell’interazione strategica fra questi
attori intermediari, dalla quale emerge l’interfaccia di mercato fra produzione e
consumo. Un’interfaccia di mercato include l’insieme di meccanismi e attori che
modellano la percezione da parte dei consumatori delle alternative di consumo, e la
percezione da parte dei produttori delle opzioni di posizionamento dei loro prodotti. Ci
discostiamo tuttavia dagli approcci sociologici convenzionali ai mercati perché
rappresentiamo l’interfaccia fra produttori e consumatori non come un insieme dato di
convenzioni o percezioni condivise, ma come risultato dell’interazione strategica fra
organizzazioni che svolgono il ruolo di elite sponsor, che si contendono il diritto di
stabilire gli standard della qualità dei prodotti. In questo studio cerchiamo evidenze
preliminari a sostegno della proposizione generale secondo la quale gli schemi di
classificazione dei prodotti variano sistematicamente con le politiche di valutazione di
influenti attori intermediari. La principale implicazione di questa proposizione è che
importanti caratteristiche economiche e istituzionali dei mercati sono influenzate da
intermediari che non sono – né possono essere – direttamente coinvolti in decisioni di
produzione o di consumo. Questa prospettiva a sua volta apre la porta ad una più
completa comprensione dei mercati in quanto risultato di interazioni multiple che si
dispiegano all’interno di un’ecologia emergente di ruoli e posizioni. In questo lavoro ci
concentriamo sulle determinanti e le implicazioni della classificazione dei prodotti, una
questione di particolare importanza in questa visione dei mercati.
Il contesto empirico del nostro lavoro è l’industria vinicola italiana, caratterizzata
dall’importanza crescente di pubblicazioni che (i) valutano la qualità dei vini, (ii)
influenzano la distribuzione di prestigio fra i produttori e (iii) influenzano le percezioni
e i comportamenti dei potenziali consumatori. La nostra ipotesi fondamentale è che le
politiche di valutazione dei prodotti di differenti guide dei vini riflettono più la
differenziazione strategica fra elite sponsor in concorrenza che non effettive differenze
nella qualità dei prodotti. Di conseguenza ci aspettiamo che queste pubblicazioni
esibiscano divergenze sistematiche, a dispetto del loro manifesto e condiviso impegno
alla valutazione obiettiva della qualità.
La parte empirica di questo studio è basata su informazioni relative alle cantine italiane
citate in due guide: “I vini di Veronelli” e “Vini d’Italia” pubblicate rispettivamente da
Veronelli Editore e da Gambero Rosso e Associazione Slow Food. Queste due guide
sono molto influenti, lette da un largo pubblico e considerate in diretta concorrenza. Il
campione che analizziamo in questo studio preliminare consiste di tutti i vini valutati da
entrambe le guide nel periodo 1996-2000 e prodotti in tre regioni italiane: Toscana,
Emilia-Romagna e Trentino. Le guide forniscono informazioni sui produttori che
comprendono la localizzazione, la dimensione, misurata dall’estensione dei vigneti, il
nome dell’enologo e dell’agronomo. Le informazioni relative ai prodotti includono la
fascia di prezzo, il numero medio di bottiglie prodotte, le modalità di affinamento e la
valutazione assegnata.
2. QUADRO TEORICO E IPOTESI
Sul lato della domanda come su quello dell’offerta, l’effettivo funzionamento dei
mercati implica decisioni e scelte basate su informazione incompleta. Le preferenze non
sono date a priori e le decisioni sono spesso influenzate da informazioni che non sono
liberamente disponibili e comportano costi di ricerca e di utilizzo.
In contesti simili assumono grande importanza i meccanismi e gli attori attraverso i
quali l’informazione è prodotta, resa disponibile e utilizzata. Gli approcci economici
tradizionali trascurano queste caratteristiche dei mercati, a causa del loro l’assunto
fondamentale che le decisioni di offerta e di domanda siano basate su informazione
completa. Di conseguenza il mercato viene implicitamente trattato come un astratto
meccanismo di fissazione dei prezzi, e privato di qualunque connessione con le sue basi
istituzionali. La New Institutional Economics (Coase, 1937; Williamson, 1975) rimuove
l’assunzione di perfetta informazione e enfatizza alcuni caratteri istituzionali dei
mercati, come l’allocazione dei diritti di proprietà e la predisposizione di contratti
ottimali, ma non riesce a cogliere la complessità sociale e istituzionale dei mercati. Gli
studi di strategia d’impresa, che guardano alla performance organizzativa come risultato
della capacità di prefigurare e implementare strategie superiori, sono stati fortemente
influenzati dagli approcci economici.
La sociologia economica è scarsamente interessata alla performance e si concentra
principalmente sui processi sociali che supportano la creazione e la persistenza dei
mercati (White, 1981, 1988; Burt, 1983, 1992; Baker, 1984). Secondo gli approcci
sociologico-strutturali, gli attori utilizzano informazioni che attingono osservando
comportamenti e risultati altrui all’interno di reti di relazioni. D’importanza centrale
sono in questa prospettiva i modi in cui gli attori valutano le loro somiglianze e
differenze rispetto ad altri. Il mercato stesso può essere interpretato come un insieme di
riferimenti e criteri ai quali gli attori fanno ricorso nel valutare confrontabilità e
somiglianze. Il ruolo ascritto al confronto con altri e all’osservazione diretta dei loro
comportamenti porta i sociologi strutturali a concentrarsi su un solo lato del mercato,
solitamente quello dell’offerta, e su numeri limitati di imprese (White, 1981, 1988;
White and Eccles, 1987).
Altri studi sociologici sono andati oltre queste limitazioni, focalizzandosi sui mercati
come meccanismi di facilitazione degli scambi. Nel far ciò questi studi hanno
enfatizzato diversi elementi cognitivi e/o istituzionali. Zuckerman (1999), in uno studio
del mercato dei titoli americano, rappresenta questo tipo di infrastruttura come costituito
da (a) analisti finanziari e da (b) categorie di azioni e titoli nelle quali gli analisti si
specializzano. Secondo questo studio i titoli valutati da analisti non specializzati nella
loro categoria tendono a scontare questo fatto attraverso una riduzione del prezzo di
mercato. Benjamin e Podolny (1999) indagano l’industria vinicola californiana ed
enfatizzano il ruolo della gerarchia di status nella quale sono ordinati i produttori dei
vini, confrontandolo con le implicazioni della qualità effettiva dei prodotti. Essi
sostengono che i produttori di status elevato ottengono ritorni superiori dai loro
investimenti nella qualità, perché lo status incrementa l’effetto positivo della qualità del
prodotto sul prezzo di mercato. Lo studio di Hirsch (1975) di tre industrie culturali
americane discute il ruolo di insiemi di organizzazioni che filtrano l’offerta di mercato,
determinando quali film, canzoni o libri raggiungeranno effettivamente il lato della
domanda.
In questo lavoro suggeriamo che la qualità del prodotto – allo stesso modo dello status –
riposa sulla condivisione di un insieme di convenzioni e schemi di riferimento per la
classificazione e valutazione. Queste convenzioni e riferimenti emergono non solo come
risultato dell’interazione diretta fra concorrenti, ma anche come risultato delle strategie
di attori che non sono direttamente coinvolti in decisioni di domanda e offerta. Questi
attori stabiliscono criteri di classificazione e di valutazione che influenzano la
percezione delle alternative da parte dei consumatori e dei produttori, fissano gli
standard in base ai quali sono valutati i livelli di performance, influenzano i prezzi ai
quali vengono scambiati beni e servizi. Gli studi sociologici che si basano sulla nozione
di infrastruttura di mercato come prodotto di processi di istituzionalizzazione,
tipicamente caratterizzano i fattori istituzionali come insiemi di regole non ambigui e
internamente coerenti. Il tipico studio ispirato dalle teorie neo-istituzionali
dell’organizzazione documenta una relazione statistica fra dimensioni
dell’istituzionalizzazione e dimensioni della struttura di mercato.
Ci discostiamo da questi approcci in tre modi. In primo luogo, la stessa infrastruttura di
mercato è da noi rappresentata come oggetto di un confronto strategico fra attori che si
contendono reciprocamente il diritto di fissare le regole del gioco. Secondo, il nostro
approccio si basa sia su elementi cognitivi (schemi di classificazione e valutazione) sia
su elementi istituzionali (organizzazioni e attori che cercano di affermare i propri
schemi interpretativi). Terzo, non ci occupiamo delle conseguenze sui comportamenti di
una infrastruttura di mercato, la cui importanza e peso sono ovvie nel contesto empirico
di questo studio. Ci occupiamo invece dei modi in cui l’interfaccia fra produzione e
consumo assume nel tempo una certa configurazione, per effetto del confronto
strategico fra attori che sono attivamente coinvolti nella sua costruzione.
Questa infrastruttura è facilmente identificabile in mercati dove l’incontro fra domanda
e offerta è mediato da attori che influenzano il comportamento dei produttori e dei
consumatori, attraverso valutazioni e raccomandazioni che producono degli standard.
Più in generale ci si può aspettare che meccanismi simili siano all’opera in ogni contesto
di mercato, nella misura in cui le decisioni di offerta e di domanda sono basate su
informazioni incomplete e costose. Il contesto empirico di questo lavoro è il mercato
vinicolo italiano, caratterizzato dalla crescente importanza di pubblicazioni che (i)
valutano la qualità dei vini, (ii) influenzano la distribuzione del prestigio fra i produttori,
e (iii) modellano le percezioni e i comportamenti dei potenziali consumatori. La nostra
ipotesi fondamentale è che le politiche di valutazione dei prodotti attuate da
pubblicazioni diverse riflettano più la differenziazione strategica fra elite sponsor in
concorrenza che non effettive differenze nella qualità dei prodotti. Di conseguenza, ci
aspettiamo che queste pubblicazioni esibiscano divergenze sistematiche, a dispetto del
loro manifesto e condiviso impegno alla valutazione obiettiva della qualità dei prodotti.
3. DATI E METODI
3.1 Campione
In Italia sono attualmente pubblicate quattro guide dei vini con periodicità annuale.
Questo studio si basa sulle informazioni circa le cantine e i vini italiani riportate nelle
due guide più vecchie e influenti: “I vini di Veronelli” e “Vini d’Italia”, pubblicate
rispettivamente da Veronelli Editore, e in collaborazione da Gambero Rosso Editore e
Slow Food Arcigola Editore. “I vini di Veronelli” è stata pubblicata dal 1987 in poi, ma
le attività dell’esperto di vini Luigi Veronelli, fondatore e leader della Veronelli Editore,
risalgono agli anni 50 e hanno avuto grande influenza sulla produzione di vino di qualità
in Italia. La guida “Vini d’Italia” è la seconda in ordine d’età, pubblicata a partire dal
1988. “Vini d’Italia” ha rapidamente acquisto grande prestigio ed è attualmente
considerata la guida italiana più influente.
Queste due guide contengono informazioni relative a centinaia di cantine italiane e
riportano le valutazioni di alcuni dei vini di ciascuna cantina. In “I vini di Veronelli”
l’assaggio e la valutazione dei vini sono svolti principalmente da due esperti, Gigi
Brozzoni e Daniel Thomases, e occasionalmente dallo stesso Luigi Veronelli. La
divisione del lavoro è articolata principalmente, anche se non rigidamente, su base
territoriale. Nella guida Veronelli sono disponibili due tipi di valutazioni: una espressa
in centesimi si riferisce all’assaggio effettivo di un campione di vino, e viene riportata
insieme all’indicazione della vendemmia di provenienza del campione degustato e
dell’identità del degustatore; un secondo tipo di valutazione è espressa da una, due o tre
“stelle” ed è riportata a fianco del nome di ciascun vino. Quest’ultima valutazione
esprime una valutazione generale delle caratteristiche del vino; non si riferisce ad un
campione proveniente da una singola vendemmia ma riassume le caratteristiche
principali del vino nelle annate più recenti. Mentre la valutazione in centesimi è
disponibile solo per un sottoinsieme dei vini citati nella guida, la seconda in “stelle” è
riportata per quasi tutti i vini citati nella guida con la sola esclusione di quelli che vi
sono appena entrati.
Il processo di valutazione dei vini nella guida “Vini d’Italia” è meno centralizzato ma
anche meno trasparente. Qui le valutazioni sono espresse in “bicchieri” (da zero a
quattro). Gli assaggiatori dei vini sono divisi in gruppi regionali, ciascuno responsabile
della degustazione e valutazione dei vini di una regione. I criteri di selezione degli
assaggiatori non sono mai stati codificati o dichiarati. Scarsa trasparenza si riscontra
anche, per entrambe le guide, nel processo di selezione delle cantine e dei vini citati e
valutati. Sebbene le guide dichiarino di valutare tutti i vini a loro inviati molti non
credono che questo sia l’unico meccanismo di selezione.
Fra le due guide, “I vini di Veronelli” è più ricca di informazioni circa vini e cantine. Le
informazioni riportate variano a seconda dell’annata della guida. Le edizioni più recenti
riportano: la/e valutazione/i del singolo vino; l’annata del campione assaggiato; il nome
dell’assaggiatore; le migliori annate recenti del vino; la dimensione della vigna dalla
quale il vino proviene; il numero di bottiglie prodotte nell’anno precedente; il tipo di
contenitori utilizzati per l’affinamento del vino (recipiente d’acciaio, botte grande o
piccola); la categoria di prezzo etc. Per ciascuna cantina la guida riporta i nomi di
proprietario, enologo e agronomo, e l’estensione totale dei vigneti. Occasionalmente
viene anche riportata una descrizione narrativa della cantina e dei prodotti.
Una descrizione analoga è sempre riportata nell’altra guida “Vini d’Italia”, la quale
contiene solo poche altre informazioni. Per ciascun vino la guida riporta colore, annata,
indicazione se la stessa valutazione è stata riportata in edizioni precedenti della guida,
categoria di prezzo, categoria di denominazione del vino e indicazione di un rapporto
qualità-prezzo favorevole. L’informazione riguardante la cantina è limitata a nome,
indirizzo e quanto riportato nella descrizione generale.
Il nostro campione è composto da tutti i vini valutati da entrambe le guide nel periodo
dal 1986 al 2000. Abbiamo preso in considerazione solo vini e cantine di tre regioni: la
Toscana, regione del Chianti, la cui produzione vinicola è la più prestigiosa in Italia per
quanto riguarda i vini rossi (insieme a quella del Piemonte), il Trentino, la cui
produzione è caratterizzata principalmente dai vini bianchi, e l’Emilia-Romagna che
produce sia vini rossi che bianchi. La Toscana, insieme al Piemonte, domina la
produzione di vini italiani di elevata qualità. Questa regione ha grandemente contribuito
al rinnovamento enologico italiano degli ultimi vent’anni e si è guadagnata prestigio a
livello internazionale grazie a produttori ed enologi che fin dagli anni ’60 hanno
sperimentato nuove tecniche e uvaggi. Il risultato di questo sforzi sono vini di prestigio
internazionale quali Tignanello, Sassicaia, Ornellaia, i cosiddetti “Supertuscans”. La
vivacità dell’enologia Toscana è confermata dalle 6 DOCG e 34 DOC guadagnate dai
vini toscani, compresi i “Supertuscans” che erano stati inizialmente classificati come
“vino da tavola”. La Toscana, con 2605 migliaia di ettolitri prodotte nel 1999,
rappresenta solamente il 4.46% della produzione nazionale; tuttavia essa rappresentava
nel 1997 l’11.35% della produzione nazionale di vini DOC e DOCG.
L’Emilia-Romagna – la quale rappresenta l’11.45% della produzione vinicola nazionale
– mostra marcate differenze rispetto alla Toscana. Questa regione italiana è quarta per
produzione vinicola, e rappresenta una quota del 9.59% dei vini DOC and DOCG. Le
cifre della produzione e delle esportazioni mettono in evidenza la grande iniziativa delle
cantine di questa regione sul piano delle politiche di mercato; il Lambrusco è stato il
vino più esportato e quello con la maggiore diffusione negli Stati Uniti. Gli standard
qualitativi di questo vino tuttavia sono stati così bassi da meritargli il soprannome di
“red cola” o “italian cola”. In effetti la somiglianza con la Toscana è solo apparente,
come mostra la presenza di una sola DOCG e 19 DOC. Negli anni più recenti molte
cantine hanno tentato di conferire maggiore prestigio ai vini di questa regione, trovando
ancora ostacolo in pregiudizi consolidati.
Infine abbiamo scelto il Trentino perché mostra una situazione ancora differente. Il
Trentino rappresentava il 2.16% della produzione nazionale nel 1999. Tuttavia la sua
quota nella produzione di vini DOC e DOCG era più elevata, il 7.52% in 1997. A
differenza della Toscana, dove sviluppi e miglioramenti della produzione sono stati
molto lenti, i vini bianchi e gli spumanti trentini hanno conosciuto un rapido successo
anche dovuto alla presenza di un istituto che ha preparato enologi di grande
competenza.
Tavola 1 - Vini Inclusi nel Campione, per Origine Regionale
Regione 1996 1997 1998 1999 2000
Toscana 352 298 353 428 493
Emilia
Romagna 23 25 25 35 45
Trentino 31 16 32 40 60
Totale 406 339 410 503 598
Tavola 2 - Cantine Rappresentate nel Campione, per Origine Regionale
Regione 1996 1997 1998 1999 2000
Toscana 140 134 149 177 186
Emilia
Romagna 11 12 12 17 23
Trentino 12 9 15 19 23
Totale 163 155 176 213 232
Le Tavole 1 e 2 sintetizzano rispettivamente i vini e le cantine rappresentati nel
campione. Relativamente a questi vini e cantine abbiamo codificato tutte le
informazioni disponibili in entrambe le guide. Per ciascun vino e cantina abbiamo
calcolato il numero di altri vini e cantine compresi nel campione che condividevano lo
stesso proprietario, lo stesso enologo o lo stesso agronomo. Abbiamo organizzato queste
informazioni in un dataset pooled cross-sectional time series. Ciascuna osservazione, o
riga della matrice dati, contiene le informazioni relative ad un singolo vino in uno degli
anni del nostro periodo di osservazione. Ciascun vino genera un numero di osservazioni
pari al numero di anni nei quali è stato rappresentato nel nostro campione, per un totale
di 22561 osservazioni di 967 prodotti differenti (singoli vini nel campione). Come
abbiamo illustrato, i vini sono valutati in modo diverso nelle due guide, e noi abbiamo
selezionato solo i vini che appaiono in entrambe le guide. Le Tavole 3 e 4 forniscono
una descrizione della distribuzione dei prodotti per categorie di qualità nella valutazione
delle due guide durante il periodo d’osservazione.
Tavola 3. Distribuzione delle Valutazioni di Prodotto nella Guida “Vini di Veronelli” durante il Periodo di Osservazione.Le Valutazioni di Qualità sono Misurate dal Numero di “Stelle ”
Vini di Veronelli(numero di stelle)
1996 (%) 1997 (%) 1998 (%) 1999 (%) 2000 (%)
1 80 (22%) 39 (13%) 61 (16%) 77 (17%) 104 (20%)
2 215 (58%) 205 (68%) 234 (62%) 271 (60%) 277 (54%)
3 66 (18%) 54 (18%) 75 (20%) 96 (21%) 96 (19%)
4 11 (3%) 5 (2%) 8 (2%) 7 (2%) 32 (6%)
Totale 372 (100%) 303 (100%) 378 (100%) 451 (100%) 509 (100%)
Tavola 4. Distribuzione delle Valutazioni di Prodotto nella Guida “Vini d’Italia” durante il Periodo di Osservazione.Le Valutazioni di Qualità sono Misurate dal Numero di “Bicchieri”
Gambero Rosso(numero di bicchieri)
1996 (%) 1997 (%) 1998 (%) 1999 (%) 2000 (%)
0 10 (2%) 23 (7%) 18 (4%) 1 (0%) 4 (1%)
1 134 (33%) 124 (37%) 140 (34%) 152 (30%) 204 (34%)
2 228 (56%) 165 (49%) 219 (53%) 308 (61%) 344 (58%)
3 34 (8%) 27 (8%) 33 (8%) 42 (8%) 46 (8%)
Totale 406 (100%) 339 (100%) 410 (100%) 503 (100%) 598 (100%)
Le variabili, ossia le diverse informazioni codificate per ciascun vino/anno distribuite
lungo le colonne della matrice dati, possono essere sintetizzate nelle seguenti categorie:
(1) valutazioni dei vini da parte delle guide considerate, e la loro differenza
normalizzata (2) regione d’origine di ciascun vino (3) categoria di prezzo e (4) numero
di vini e cantine che condividono lo stesso proprietario, enologo o agronomo.
3.2 Differenziazione di prodotto e classificazione nell’industria vinicola italiana
Molti ritengono che il crescente interesse per vini e cantine sia stimolato dalla natura
altamente frammentata ed eterogenea dell’industria vinicola. Osservatori e giornalisti
concordano sull’idea che il fascino del vino dipenda dal gran numero delle sue varietà e
dalla loro eterogeneità. “Much of the romance of wine derives from the idea of
individual producers working their own plots of land in their own idiosyncratic way. A
variety of styles determined by country, region of origin, grower and grape variety
keeps consumers interested” (Terroir and technology, The Economist, December 18,
1999). Sembra quindi che le questioni legate all’eterogeneità dei produttori e
all’organizzazione dell’industria siano al cuore del suo sviluppo e della sua struttura
competitiva.
Con il suo milione e oltre di viticoltori, l’Italia suscita ovviamente grande interesse nei
consumatori. L’Italia è il maggiore produttore di vino del mondo (5,6 milioni di
tonnellate nel 1998) e il secondo maggiore esportatore dopo la Francia, rappresentando
il 20% delle esportazioni mondiali di vino. Alla produzione di vino dell’Unione
Europea, la quale rappresenta circa il 62% del vino prodotto nel mondo, l’Italia
contribuisce per più di un terzo. Negli ultimi anni il mercato del vino Italiano ha subito
cambiamenti radicali tanto nel tipo di produzione quanto nei modelli di consumo. La
produzione di vino in Italia ha registrato un declino da 60.360 migliaia di ettolitri nel
1988 a 50117 nel 1998. Rispetto al 1980, la produzione di vino in Italia è declinata di
circa il 40%. Mentre la produzione globale è diminuita, categorie di vino diverse hanno
esibito tendenze differenti. Il peso dei vini da tavola sul totale della produzione è
diminuito dall’86,9% nel 1980 al 72,6% nel 1998. La produzione di vini da tavola si è
dimezzata in termini assoluti in diciotto anni. Diversamente il peso dei vini a
denominazione controllata (VQPRD) è cresciuto dal 10,7% nel 1980 al 14.7% nel 1988,
fino al 24,3% nel 1998.
Analogamente a quanto si osserva nella produzione, il consumo di vino è diminuito
drasticamente, del 35,8% rispetto al 1980. Sebbene l’Italia, insieme ad altri paesi
dell’area mediterranea tradizionalmente consumatori di vino come la Francia e la
Spagna, mostri ancora il maggiore consumo pro-capite, questo dato si è quasi dimezzato
fra il 1985 e il 1996 (-44,3%), diminuendo da oltre 73 a 40 litri. Questa riduzione non è
stata finora compensata dalla rapida crescita dei consumi che non ne sono
tradizionalmente grandi consumatori (per esempio i paesi anglo-sassoni). Bere vino pare
dunque sempre meno un costume quotidiano; la gente tuttavia sembra indirizzare i
propri consumi verso prodotti di migliore qualità. In Italia i vini a denominazione
controllata rappresentavano più del 20,8% dei consumi totali nel 1998. Anche se questo
dato è lontano da quello francese, dove oltre il 50% del vino consumato è a
denominazione controllata, il consumo di questa categoria di vini in Italia ha
raddoppiato la propria incidenza sui consumi totali negli ultimi diciotto anni,
aumentando in termini assoluti del 22,5%. Analogamente a quanto registrato in altri pesi
dell’Unione Europea, il consumo di vini da tavola nello stesso periodo è diminuito del
46.3%, ma rappresenta ancora il 74,1% del totale. Questi cambiamenti aggregati nei
consumi sostengono e - allo stesso tempo - sono indotti da cambiamenti negli schemi di
classificazione dei prodotti.
“For wine producers, the message of this is clear: the best place to be is at the upper
end of the market, where growth is fastest and margins are fattest” (The disappearing
drinker, The Economist, December 18, 1999). In effetti la differenza di prezzo fra i vini
più costosi e quelli più a buon mercato è aumentata, mentre la loro differenza qualitativa
è oggi probabilmente più bassa di quanto sia mai stata in precedenza. In questo
frammentato panorama la strategia più praticabile per i produttori è spingere verso la
differenziazione del prodotto allo scopo di elevarsi al di sopra della massa di produttori
anonimi. In questa strategia gli esperti e le guide dei vini svolgono ovviamente un ruolo
cruciale, mediando il rapporto fra produttori sempre più differenziati e consumatori
sempre più sensibili alla varietà e alla qualità dei prodotti.
L’Unione Europea ha cercato di tutelare la qualità dei vini proteggendo la loro identità
regionale. A partire dal 1963 la legislazione italiana ha accolto quella europea, fondata
sul concetto francese di terroir. Riconoscendo il ruolo nella produzione vinicola del
suolo e del clima, la normativa europea tendeva a sostenere gli interventi governativi
volti alla classificazione dei vini in base alla qualità. Con l’adozione della
Denominazione d’Origine Controllata (DOC) il governo italiano perseguì due scopi
principali: (1) proteggere da frodi l’identità e la qualità dei vini di determinate regioni e
(2) facilitare la commercializzazione attraverso la classificazione dei prodotti e il
riconoscimento della marca. L’Italia classifica i vini in tre ampie categorie: vino da
tavola, Vino di Qualità Prodotto in Regione Determinata, (VQPRD) e vini speciali. Le
prime due categorie sono basate su criteri geografici. La terza categoria invece è basata
sulle caratteristiche del prodotto e comprende spumanti, vini liquorosi (per esempio i
passiti e il porto) e aromatici (per esempio il vermut, ottenuto da vino bianco con
l’aggiunta di alcool e spezie). All’interno della categoria VQPRD troviamo inoltre la
DOC (Denominazione di Origine Controllata) e la DOCG (Denominazione di Origine
Controllata e Garantita). Queste denominazioni codificano i criteri produttivi dei vini.
L’attribuzione di queste denominazioni è regolata da una codificazione precisa che
stabilisce area di produzione, tipi di uve utilizzabili, produttività dei vitigni e rese
uve/vino, tasso alcolico, metodi di vinificazione e di affinamento, e contenuti
dell’etichetta apposta sulle bottiglie. Indicazioni come classico, superiore e riserva,
indicano rispettivamente un’area di produzione ristretta, un contenuto alcolico superiore
ed un più lungo periodo di affinamento. L’idea alla base dell’istituzione della
denominazione controllata è semplice: proteggere il buon nome ed i caratteri distintivi
di regioni di consolidata tradizione vinicola, e assicurare che i consumatori conoscano le
caratteristiche dei prodotti che consumano.
I vini che non si conformano ai criteri specificati non possono valersi della
qualificazione di DOC o DOCG e fino a poco tempo fa dovevano essere etichettati
come vino da tavola. Questo sistema trascurava i produttori che, allo scopo di produrre
vini migliori, scelgono uve e tecniche di vinificazione non specificamente previsti dalle
regolamentazioni DOC and DOCG. A partire dagli anni ’70, con la nascita dei
cosiddetti “Super Tuscans”, alcuni dei vini italiani più famosi – e costosi – dovettero
portare l’umile denominazione di vino da tavola. In questo modo vini di grande
prestigio internazionale come Sassicaia, Ornellaia, Tignanello vennero etichettati come
vino da tavola, allo stesso modo dei vini italiani più economici e dozzinali. Anche in
questo modo dunque la classificazione emerge come processo d’importanza centrale,
attraverso il quale la competizione e la legittimazione determinano nel concreto la
struttura e la profittabilità dell’industria del vino.
La legge Goria promulgata nel 1992 rappresentò un tentativo di cambiare la situazione
attraverso l’introduzione di nuove categorie di denominazione. Oggi ne esiste una
nuova, l’Indicazione Geografica Tipica (IGT), collocata fra vino da tavola e DOC; essa
si ispira a quella francese vins de pays. Si pensava che l’introduzione di questa nuova
flessibile categoria avrebbe permesso ad una maggior quota di vini italiani di essere
ufficialmente classificati, e non solo inquadrati in modo residuale fra i vini da tavola. In
conseguenza a questa legge vennero riconosciuti 114 vini IGT. Sebbene ad alcuni dei
Super Tuscans (fra i quali il Sassicaia) sia stata assegnata una propria DOC, la maggior
parte utilizza la denominazione IGT. Negli ultimi anni I vini DOC sono passati da 259 a
314 e i DOCG da 13 a 21.
In conseguenza delle insufficienze del sistema di codificazione ufficiale nel
rappresentare la qualità dei vini, molti produttori sottopongono i loro prodotti alla
valutazione di critici influenti. Il loro verdetto ha assunto un’importanza cruciale nel
determinare le fortune commeciali di vini e cantine. Spesso la pubblicazione di una
buona valutazione di un vino in una guida specializzata permette alla cantina di
venderne l’intera produzione nel giro di una settimana. Guide e critici dei vini hanno
un’influenza analoga sui prezzi. Molti osservatori suggeriscono che una possible
motivazione della ricerca di una guida alle decisioni d’acquisto sia l’oggettiva difficoltà
di distinguere un grande vino da uno solamente decente (The price puzzle, The
Economist, December 18, 1999). Stando a questo punto di vista, i sempre più elaborati
schemi di classificazione utilizzati per valutare e rappresentare la qualità dei vini,
finiscono per introdurre e raffinare distinzioni che non trovano corrispondenza in
differenze effettive.
3.3 Metodi
In questo studio utilizziamo due tipi di variabili dipendenti. Il primo tipo contiene gli
indicatori grezzi di performance assegnati dalle due guide ai differenti prodotti (vini).
Questi indicatori hanno la forma di categorie ordinate utilizzate dalle guide per
classificare i vini secondo una stima della loro qualità (per esempio, una stella, due
stelle, tre stelle etc.). Il secondo tipo di variabile dipendente ha forma di differenza
standardizzata fra i punteggi assegnati dalle guide. Più in particolare, per costruire
questa variabile dipendente abbiamo prima normalizzato i punteggi ordinali riportati
nelle due guide, poi calcolato la loro differenza. Il risultato è una variabile reale che
contiene informazioni circa le differenze nel giudizio relativo alla qualità del prodotto
espressa dalle due guide. Come abbiamo illustrato, in entrambi i casi i nostri campioni
sono strutturati come pooled cross-sectional time series.
Differenti metodi d’analisi sono appropriati per analizzare i due tipi di variabili
dipendenti del nostro studio. Per la variabile dipendente in forma di categorie ordinate
abbiamo stimato l’estensione agli effetti casuali del modello ordered probit sviluppata
da Zavoina and McKelvey (1975). La formulazione del modello è:
yit* = ’xit + eit + uit
dove i=1,2,3,.., N è l’indice dei prodotti (vini) e t=1,2,3,…,T è l’indice dei tempi e yit* è
una misura non osservabile di qualità del prodotto. In questo modello sono inclusi un
termine d’errore specifico ai singoli prodotti (eit) che segue una distribuzione normale
standardizzata, ed un’altro riferito a gruppi (uit) che si assume segua anch’esso una
distribuzione normale standardizzata con varianza costante. L’assunzione fondamentale
del modello è l’esistenza di una variabile dipendente latente y* (“qualità del prodotto”
nel nostro caso) il cui valore non può essere osservato direttamente. Ciò che viene
osservato è invece l’assegnazione dei prodotti a categorie discrete (yit), le quali sono
ordinate secondo stime soggettive di qualità all’interno delle due guide. Il meccanismo
di generazione delle osservazioni ha la struttura descritta nella tavola 5 qui riportata.
Tavola 5. Meccanismo di Osservazione Postulato dal ModelloOrdered Probit
Non Osservabile(y*)
Osservabile(yit)
Condizioni di Osservabilità
y* = 0 y 0
y* = 1 0 y 1
y* = 2 1 y 2
. . . . . . . . .
y* = J y j-1
Le condizioni di osservabilità sono definite nei termini di un insieme di parametri soglia
non osservabili () che sono stimati empiricamente a partire dai dati. Dato che i
sono parametri liberi, la distanza unitaria fra i valori osservati di y it non ha
un’interpretazione metrica. Essa fornisce soltanto un ordinamento.
Nel nostro caso specifico, la controparte osservabile della “qualità” prende la forma di
stelle in una guida (una stella, due stelle, etc.) e “bicchieri” nella guida concorrente (un
bicchiere, due bicchieri, etc.). Stime dei modelli per queste variabili dipendenti
categoriche possono essere ottenute per massima verosimiglianza. Le probabilità che
determinano la funzione di verosimiglianza sono:
Prob [yit = 1] = Prob[yit* appartenente alla j-esima categoria].
Com’è solitamente accade nei modelli di variabili discrete, gli effetti marginali dei
regressori (x) sulla variabile dipendente non sono uguali ai coefficienti e occorre dunque
calcolare le elasticità. Dettagli addizionali sulla derivazione e interpretazione delle
elasticità, che riportiamo nella parte empirica di questo studio, possono essere trovate in
Greene (2000) la cui notazione abbiamo adottato.
Nel secondo caso che analizziamo, la variabile dipendente prende la forma di un
numero reale derivato dalla differenza fra le valutazioni di qualità standardizzate
riportate nelle due guide per ciascun vino. In questo caso riportiamo le stime di massima
verosimiglianza dei parametri di un modello standard ad effetti casuali su dati panel. Più
specificamente, stimiamo un modello delle componenti della varianza dove:
yit = a + ’xit + eit + ui, and
E[ui]=0, Var[ui]=Su2 , Cov[eit+ui]=0 , Var [eit+ui] = S2 = Se
2+Su2
Questo modello assume che le differenti osservazioni siano correlate nel tempo in modo
che Corr [eit+ui, eis+ui] = r = Su2/S2. Dato che le componenti della varianza non sono note
in anticipo il modello deve essere stimato attraverso feasible generalized least squares
(FGLS) a due stadi. Nella prossima sezione cerchiamo evidenze a conferma della nostra
specificazione del modello ad effetti casuali, testando l’ipotesi nulla H0: Su2 =0 vs. HA:
Su2 . I risultati di questo test sono sintetizzati dal test del moltiplicatore di Lagrange
proposto da Breusch e Pagan (1980).
4. ANALISI
La Tavola 6 riporta le stime del modello ad effetti casuali per le differenze
standardizzate fra i punteggi riportati nelle due guide.
Tavola 6. Stime del Modello ad Effetti Casuali.Variabile Dipendente è la Differenza fra Valutazioni Standardizzate
Variabile Coefficiente Errore Standard
Regione Toscana -0,117* 0,071Regione Emilia-Romagna -0,182* 0,096Prezzo 2 -0,051 0,036Prezzo 3 -0,076*** 0,029Prezzo 4 -0,038 0,030Prezzo 5 0,063** 0,028Prezzo 6 0,103*** 0,039Condivisone del proprietario - cantine 0,130* 0,077Condivisione del proprietario - vini -0,005 0,013Condivisione dell’enologo - vini 0,002 0,016Condivisione dell’enologo - cantine -0,002 0,006Continuità della presenza del vino 0,013 0,042Costante 0,942*** 0,093Numero di osservazioni 1770Var[e] 0,215Var[u] 0,148Corr[v(i,t),v(i,s)] 0,408Test del moltiplicatore di Lagrange 56,090(1 df, probabilità =
0,000)
In generale, il modello ad effetti casuali viene confermato; le differenze fra le due guide
sembrano più pronunciate per i vini in categorie di prezzo più elevate, e per vini prodotti
da cantine che operano sotto la stessa proprietà.
Ci concentriamo poi sulla valutazione di qualità riportata nelle due guide per ciascun
vino e tentiamo di caratterizzare le differenze nei criteri di valutazione adottati da
ciascuna guida. Iniziamo dalle valutazioni di qualità riportate nella guida più anziana,
“Vini di Veronelli”. I risultati sono sintetizzati nella Tavola 7.
In generale il modello Probit ad effetti casuali è significativamente più informativo del
modello corrispondente privo della componente di eterogeneità (pooled model).
Possiamo dire che l’origine regionale ed i prezzi influenzano significativamente la
qualità del prodotto, come valutata da questa guida. Inoltre il numero di altri prodotti e
di altre cantine che condividono lo stesso enologo sembra influenzare
significativamente la valutazione di qualità. Come ci si potrebbe forse aspettare, in
media le valutazioni di qualità delle due guide tendono a muoversi nella stessa
direzione. Un vino riconosciuto come “buono” nella seconda guida (Gambero Rosso)
tenderà ad esser riconosciuto come “buono” anche nella prima guida (I vini di
Veronelli). Se tuttavia vogliamo andare più in profondità, e comprendere cosa
esattamente implicano queste relazioni, dobbiamo andare oltre le stime dei coefficienti e
calcolare gli effetti marginali dei regressori sulle probabilità di appartenenza alle
categorie di valutazione. La Tavola 7a contiene gli effetti marginali stimati di ciascun
regressore (non binario) sulla probabilità che una osservazione (vino contenuto nella
prima guida) ricada all’interno di un certo intervallo di qualità (e sia pertanto assegnata
ad specifica categoria di qualità). La valutazione di qualità della seconda guida ha un
effetto negativo sulla valutazione della prima guida solo per i prodotti di qualità
relativamente bassa. La probabilità che un vino nella prima guida venga incluso nella
categoria “zero stelle” è fortemente e negativamente influenzata dalla valutazione dello
stesso vino riportata nella seconda guida. In altre parole, l’inclusione fra i vini di alta
qualità nella seconda guida diminuisce la probabilità che la prima guida assegni lo
Tavola 7. Modello Ordered Probit ad Effetti Casuali. Stime di Massima Verosimiglianza
Variabile Coefficiente Errore Standard
Funzione indice per la probabilità
Regione Toscana -2,563*** 0,532Regione Emilia-Romagna -3,317*** 0,596Regione Trentino -3,093*** 0,564Prezzo 2 1,572*** 0,464Prezzo 3 2,525*** 0,473Prezzo 4 3,167*** 0,476Prezzo 5 3,798*** 0,482Prezzo 6 4,539*** 0,509Valutazione Gambero Rosso 0,731*** 0,084Condivisone del proprietario – cantine 0,412 0,283Condivisione del proprietario – vini -0,070 0,048Condivisione dell’enologo - vini -0,112** 0,052Condivisione dell’enologo – cantine 0,051*** 0,019Continuità della presenza del Vino nel Tempo 0,197* 0,102Parametri soglia per il
modello indice1 3,9304*** 0,12762 6,4022*** 0,1781
Deviazione standard dell’effetto casuale
Sigma 1,6545*** 0,0894Numero di osservazioni 1769Log verosimiglianza -1321,890Log verosimiglianza ristretta -1533,939Chi-quadro 424,098Gradi di libertà 1Livello di significatività 0,000Numerosità unbalanced panel 800
stesso vino ad una categoria di bassa qualità. Comprensibilmente, l’effetto si inverte per
i vini in categorie di qualità più alte (due e tre stelle). L’inclusione fra i vini di qualità
elevata nella seconda guida aumenta la probabilità che la prima guida assegnerà lo
stesso vino ad una categoria di alta qualità.
Ci concentriamo ora sulle valutazioni di qualità riportate nella più recente delle due
guide (“Il Gambero Rosso”). I risultati delle nostre analisi sono riportate nella tavola 8.
Tavola 7a. Effetti Marginali per il Modello Ordered Probit
Variabile Valutazione Veronelli=0
Valutazione Veronelli=1
Valutazione Veronelli=2
Valutazione Veronelli=3
Valutazione Gambero Rosso -0,039 -0,007 0,046 0,000Condivisone del proprietario - cantine -0,022 -0,004 0,026 0,000Condivisione del proprietario - vini 0,004 0,001 -0,004 -0,001Condivisione dell’enologo - vini 0,006 0,001 -0,007 0,000Condivisione dell’enologo - cantine -0,003 -0,001 0,003 0,001Continuità della presenza del vino -0,010 -0,002 0,012 0,000
Sebbene i risultati complessivi siano analoghi, otteniamo anche importanti differenze
rispetto alla prima guida analizzata. La probabilità che un vino riceva una valutazione
elevata in questa seconda guida è influenzata positivamente dal numero di altri vini
contenuti nel campione associati allo stesso produttore. In questa seconda guida sussiste
una relazione più debole fra origini regionali e valutazione di qualità. Come prima,
occorre andare oltre le stime dei coefficienti e calcolare gli effetti marginali dei
regressori sulle probabilità. La Tavola 8a contiene le stime degli effetti marginali di
ciascun regressore (non binario) sulla probabilità che una osservazione (vino contenuto
nella seconda guida) rientri in un dato intervallo di qualità (e quindi in una data
categoria di qualità).
Tavola 8. Modello Ordered Probit ad Effetti Casuali. Stime di Massima Verosimiglianza
Variabile Coefficiente Errore Standard
Funzione indice per la probabilitàRegione Toscana 0,211 0,286Regione Emilia-Romagna 0,602** 0,306Regione Trentino 0,706** 0,308Prezzo 2 0,861*** 0,246Prezzo 3 1,190*** 0,255Prezzo 4 1,472*** 0,258Prezzo 5 1,881*** 0,265Prezzo 6 1,880*** 0,272Valutazione Veronelli 0,572*** 0,066Condivisone del proprietario - cantine 0,285** 0,141Condivisione del proprietario - vini 0,017 0,031Condivisione dell’enologo - vini -0,022 0,041Condivisione dell’enologo - cantine 0,015 0,016Continuità della presenza del vino -0,143* 0,080
Parametri soglia per il modello indice1 2,164*** 0,0952 4,592*** 0,135
Deviazione standard dell’effetto casualeSigma 0,640*** 0,058Numero di osservazioni 1769Log verosimiglianza -1504,926Log verosimiglianza ristretta -1537,639Chi-quadro 65,425Gradi di libertà 1Livello di significatività 0,000Numerosità unbalanced panel 800
Tavola 8a. Effetti Marginali per il Modello Ordered Probit
VariabileValutazione
Gambero Rosso=0
Valutazione Gambero Rosso=1
Valutazione Gambero Rosso=2
Valutazione Gambero Rosso=3
Valutazione Veronelli -0,005 -0,189 0,154 0,040Condivisone del proprietario – cantine
-0,003 -0,094 0,077 0,020
Condivisione del proprietario - vini
0,000 -0,006 0,005 0,001
Condivisione dell’enologo - vini
0,001 0,007 -0,006 -0,002
Condivisione dell’enologo - cantine
0,000 -0,005 0,004 0,001
Continuità della presenza del vino
0,001 0,047 -0,039 -0,010
Gli effetti marginali delle valutazioni della prima guida su quelle della seconda sono
simmetrici, ma molto più forti. La prima guida sembra pertanto influenzare la
classificazione dei prodotti riportata nella seconda, più intensamente di quanto la
seconda influenzi la prima. Il numero di cantine che condividono lo stesso proprietario
ha un effetto positivo sulla probabilità che un vino venga valutato di elevata qualità (due
o tre bicchieri) nella seconda guida.
4. CONCLUSIONI
La valutazione e l’ordinamento di prodotti in categorie gioca un ruolo fondamentale nel
funzionamento dei mercati. In questo lavoro abbiamo considerato la classificazione
come risultato dell’interazione strategica fra attori intermediari che agiscono come
brokers fra consumatori e produttori. Distaccandoci dalle interpretazioni sociologiche
convenzionali, abbiamo rappresentato l’interfaccia di mercato nella forma di una
competizione fra elite sponsors che si contendono il diritto di stabilire gli standard della
qualità dei prodotti. La competizione fra “regimi di giustificazione” alternativi, che
devono affermarsi prima che la qualità dei prodotti possa essere valutata e possano
essere definite categorie, introduce un’ambiguità fondamentale nel processo di
adattamento e selezione competitiva. Le imprese rispondono a questa ambiguità
cercando di ridurre l’incertezza del “regime” sulla base del quale esse decidono di
essere selezionate (o ricompensate). Osservando l’industria vinicola italiana, abbiamo
confrontato le politiche di valutazione dei prodotti delle due guide dei vini più influenti
e in diretta concorrenza. I nostri risultati mostrano che queste pubblicazioni esibiscono
differenze sistematiche, nonostante il loro esplicito e condiviso indirizzo verso la
valutazione oggettiva della qualità dei prodotti.
La nostra analisi dà forte sostegno alla congettura che le politiche di valutazione dei
prodotti delle due guide siano conseguenza – almeno in parte – della loro interazione
strategica. In primo luogo, l’effetto positivo del prezzo sulle differenze di valutazione
fra le guide contraddice un’aspettativa plausibile: i margini all’interno dei quali le guide
possono dispiegare le loro politiche di valutazione dovrebbero essere relativamente
ristretti in corrispondenza di prodotti già affermati sul mercato. I nostri risultati
mostrano l’opposto, il che è tuttavia coerente con la nostra visione dell’interfaccia fra
produttori e consumatori come risultato di un’interazione strategica fra “elite sponsors”
in concorrenza, o fra “regimi di giustificazione”. L’associazione positiva fra prezzo e
differenze di valutazione può essere interpretata come l’effetto della differenziazione
strategica fra le due guide, che competono per l’attenzione dei consumatori
documentando la qualità dei prodotti più costosi sul mercato. Il verdetto circa questi vini
è cruciale per la fortuna commerciale delle guide. Attraverso questi vini, le guide
definiscono e comunicano ai consumatori le loro politiche di valutazione dei prodotti,
costruendo e segnalando la loro posizione nel mercato. La differenziazione rispetto ai
concorrenti viene costruita scegliendo i vini da includere nel “Gotha” del mercato.
Questa strategia è di successo nella misura in cui le guide mostrano disaccordo, mentre
l’accordo sull’identità dei migliori vini renderebbe le guide equivalenti. In effetti nel
1999 “L’Assaggiatore” ha confrontato i vini ai quali le tre maggiori guide italiane
avevano assegnato le migliori valutazioni. Fra i 154 migliori vini valutati da Gambero
Rosso, i 100 migliori valutati da Veronelli e i 148 migliori valutati da Luca Maroni, non
esisteva alcuna sovrapposizione (L’Assaggiatore, 1999). Nel 2000, il numero di vini che
aveva ricevuto le migliori valutazioni da tutte queste guide era appena tre
(L’Assaggiatore, 2000).
Il modello ad effetti casuali suggerisce inoltre che la proprietà potrebbe essere un
meccanismo che influenza significativamente le differenze di valutazione fra le due
guide che consideriamo. Il numero di cantine che condividono lo stesso proprietario
influenza positivamente le differenze di valutazione. Questo effetto, sebbene sia solo
debolmente significativo, può suggerire che (i) ogni guida tende a valutare in modo
simile le cantine che sono riunite sotto una medesima proprietà, e (ii) che ogni guida
segue e favorisce i prodotti della propria rete di cantine. L’effetto congiunto di questi
meccanismi è l’introduzione di differenze di valutazione legate ai pattern della
proprietà. Coerentemente alle nostre aspettative, questo indica sia l’esistenza di
fenomeni di elite sponsorship, sia differenziazione e conflitto all’interno della elite di
mercato. Questo è anche coerente con il bisogno delle guide di differenziare le proprie
strategie sia rispetto all’audience dei consumatori, sia nel rapporto con i produttori. Le
cantine rappresentano clienti importanti per le guide. Una cantina che riceve una
valutazione brillante da una guida influente è meno interessata a far valutare i propri
vini da un’altra guida. Quest’ultima osservazione può spiegare la tendenza di queste
guide ad ampliare anno dopo anno il numero delle cantine valutate piuttosto che il
numero dei vini degustati.
Alcuni risultati interessanti circa le differenze nelle politiche di valutazione emergono
dalla modellazione delle valutazioni riportate in ciascuna singola guida. La proprietà
condivisa con altre cantine aumenta significativamente le valutazioni del Gambero
Rosso, mentre questo effetto non è significativo per le valutazioni di Veronelli. Questo è
d’aiuto nello spiegare meglio l’effetto positivo della comune proprietà delle cantine
sulle differenze fra le valutazioni delle guide. Ciò sembra essere conseguenza del fatto
che i pattern proprietari hanno un effetto significativo solo sulle valutazioni del
Gambero Rosso, mentre non ne hanno su quelle di Veronelli. Le valutazioni di
quest’ultima guida sembrano essere significativamente influenzate dalla condivisione
degli enologi, sia pure in un modo apparentemente ambiguo e contraddittorio: Mentre il
numero di vini del campione che sono riconducibili allo stesso enologo influenza
negativamente la valutazione, l’opposto vale per il numero di cantine alle quali
l’enologo è affiliato. Questi risultati possono riflettere il contrasto fra due diverse
tendenze. Primo, la presenza di enologi prestigiosi influenza in senso positivo la
valutazione della guida. Ciò può essere interpretato come conseguenza di migliori
capacità tecniche ed esperienza, ma potrebbe anche indicare una differenza
fondamentale nei criteri in base ai quali le due guide garantiscono la propria elite
sponsorship. Mentre il Gambero Rosso sponsorizza reti di cantine definite sulla base
della proprietà, la politica di Veronelli appare centrata sugli enologi e pare premiare reti
di cantine definite intorno ad enologi prestigiosi. In secondo luogo tuttavia, la
condivisione degli enologi tende a favorire una certa standardizzazione nelle
caratteristiche di ciascun vino, ciò che influenza negativamente la valutazione degli
esperti dato che l’aderenza di un vino al proprio “terroir” è un importante criterio di
valutazione. Molte delle nostre fonti in effetti testimoniano il fatto che la
standardizzazione dei vini è percepita come un effetto collaterale negativo della
crescente importanza di un numero relativamente ristretto di enologi.
Questi risultati riflettono il ruolo strategico che enologi e proprietari hanno assunto
negli anni recenti. Il ruolo degli enologi non può essere ridotto alle attività di
vinificazione. Gli enologi sono spesso considerati una specie di esperti di pubbliche
relazioni (Arrigoni, 2000). Migliaia di etichette differenti competono per guadagnarsi
uno spazio nei wine bar e nei ristoranti. Utilizzare un enologo d’alto profilo è spesso la
via più semplice a disposizione delle cantine per far conoscere il proprio prodotto ad
influenti critici del settore. Sebbene i critici debbano valutare il prodotto per le sue
caratteristiche intrinseche, il nome di un enologo apprezzato ha sicuramente del peso
sulla decisione di esprimere una valutazione favorevole per un vino. Il successo e
l’importanza assunti dagli enologi specialisti sono testimoniati dalla crescita dei loro
cachet, per alcuni di loro intorno ai cento milioni di lire per cantina, dall’ampio numero
di cantine alle quali ciascuno di loro presta i propri servizi, più di 30 per alcuni fra i più
famosi, e dalle copertine dalle riviste specializzate ad essi dedicate. Diversamente
l’importanza del proprietario è legata alla crescente personalizzazione del prodotto. Il
prestigio di un vino è spesso strettamente legato alla personalità del produttore, al suo
stile di vita, alle sue origini nobiliari. Il successo dei vini del marchese Antinori è un
buon esempio di questa tendenza.
Per riassumere, i nostri risultati sembrano confermare che le due guide considerate
adottano politiche di valutazione modellate in modo strategico rispetto alla
competizione per una stessa audience e per il diritto di affermare gli standard della
qualità dei prodotti. Questa interazione strategica implica differenze nelle politiche di
valutazione. Riguardo al contenuto di queste differenze, abbiamo prodotto evidenze
dell’impiego di basi differenti di elite sponsorship da parte delle due guide: la proprietà
per il Gambero Rosso, gli enologi per Veronelli.
Questi risultati sono soggetti ad alcune limitazioni, in gran parte dovute al carattere
preliminare di questo lavoro. Abbiamo considerato i singoli vini come nostra unità
d’analisi fondamentale. Tuttavia sia l’importanza della proprietà per la guida del
Gambero Rosso, sia quella degli enologi per Veronelli, indicano la rilevanza delle
cantine, delle imprese. Più in generale, i fenomeni di elite sponsorship, qualunque siano
i loro criteri guida, influenzano la valutazione che le guide esprimono su tutti i vini di
una certa cantina. Di conseguenza, le performance dovrebbero essere osservate
concentrandosi sul livello d’analisi della cantina, piuttosto che su quello del singolo
vino. Questa limitazione spiega il carattere indiretto delle evidenze che abbiamo
prodotto in questo lavoro, e allo stesso tempo suggerisce un’importante direzione di
miglioramento della nostra ricerca futura.
In secondo luogo, il campione che abbiamo analizzato era relativamente piccolo dal
punto di vista cross-sectional, dato che abbiamo limitato l’analisi a tre sole regioni del
centro-nord Italia. Dal punto di vista longitudinale il periodo considerato è invece
limitato a cinque soli anni. Stiamo lavorando verso la rimozione di questi limiti dei dati
a nostra disposizione. Infine uno studio che mira a comprendere l’interazione strategica
fra le due guide non dovrebbe limitare la propria attenzione ai vini citati da entrambe.
Questo esclude dalla considerazione le differenze nella selezione di cantine e vini da
valutare. Crediamo che queste differenze sarebbero altrettanto interessanti di quelle
nelle politiche di valutazione. Ci aspettiamo infatti che i margini di discrezione dei quali
le guide possono godere nel dispiegare in modo strategico le proprie politiche siano più
ampi nella selezione che non nella valutazione. Rimane da documentare il processo
attraverso il quale le guide sfruttano strategicamente questa discrezione, allo scopo di
mantenere elevata l’attenzione dei consumatori e attrarre un numero sempre maggiore
di produttori.
Il nostro prossimo obiettivo sarà analizzare questo processo a partire dall’affermazione
che la valutazione e la classificazione dei prodotti devono essere comprese alla luce
delle interazioni multiple che coinvolgono consumatori, produttori e intermediari, e
dalle quali emergono i ruoli e le posizioni all’interno delle comunità organizzative.
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