1. Un anno di transizione - Unindustria Calabria · L’economia italiana attraversa nel corso del...
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1. Un anno di transizione
Il 1999 è un anno di transizione per l’economia italiana, non già perché segna
cronologicamente un passaggio di secolo e di millennio, ma perché apre le porte all’impianto di
un nuovo programma di politiche economiche.
Così come ribadito nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria deliberato dal
Consiglio dei Ministri nel giugno scorso, le politiche di sviluppo per il Mezzogiorno e le misure
per la crescita produttiva e per l’occupazione costituiscono, ora, una volta oltrepassato il
traguardo dell’ingresso dell’Italia nell’area della moneta unica europea, gli obiettivi centrali
della politica economica nazionale. La naturale lentezza, tuttavia, con cui i progetti di
cambiamento si traducono in provvedimenti concreti, consolida un’atmosfera d’incertezza e
una sensazione di precarietà e transitorietà degli equilibri di mercato che si riflettono nel segno
incerto della congiuntura di fine anno.
L’economia italiana attraversa nel corso del 1999 fasi alterne di crescita: da un iniziale
rallentamento complessivo dell’attività economica, si passa a un leggero recupero nei primi
mesi estivi, e, infine, a un’accelerazione nei mesi autunnali. L’incremento del Pil su base annua
è stimato intorno all’1,3%, lo stesso di quello registrato alla fine del 1998, rivelatosi, tuttavia,
tra i più bassi dell’Unione Europea. In buona parte, la stagnazione d’inizio anno sembra essere
dovuta alle cattive performance del settore manifatturiero, che ha esercitato pressioni al
ribasso anche sulle esportazioni (-4,9% nei primi nove mesi rispetto allo stesso periodo
dell’anno precedente). Un segnale positivo di tendenziale ripresa dell’economia nazionale
proviene, invece, dalla domanda interna, che cresce del 2,2% nei primi sei mesi dell’anno, non
molto lontano dal 2,4% fatto registrare dall’intera area dell’euro. Ciò nonostante, è bene
considerare che il maggiore aumento della domanda interna rispetto al PIL può fare riorientare
la domanda interna verso le importazioni, che in effetti sono cresciute in misura pari allo 0,5%
per quanto riguarda le produzioni provenienti dai paesi extra UE, e allo 0,8% per quanto
concerne quelle provenienti dalle regioni dell’Unione Europea. Altri aspetti positivi contrastano,
tuttavia, l’esito incerto dell’espansione della domanda interna: l’andamento del mercato del
lavoro, che registra un incremento della base occupazionale dell’1,2% nei primi sei mesi
dell’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e il buon andamento del rapporto
tra deficit e PIL, in linea con i dettami del Patto di stabilità e di crescita.
La “crescita lenta” dell’economia italiana nel corso del 1999 ha avuto un impatto differenziato a
livello territoriale. Nel Mezzogiorno, dopo i buoni risultati conseguiti verso la fine del 1998, con
un tasso di crescita del prodotto interno lordo pari all’1,1% e un leggero aumento
dell’occupazione (+0,8%), il primo semestre del 1999 imprime una brusca frenata ai ritmi
espansivi della produzione, anche in ragione della maggiore concorrenza venutasi a creare sia
sui mercati interni che su quelli internazionali: Il PIL meridionale è cresciuto solo dello 0,9%
nel Mezzogiorno, contro l’1,5% nel Centro-Nord. In generale, tuttavia, gli anni novanta non
hanno sicuramente costituito un decennio facile per le regioni del Mezzogiorno e il solo dato del
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1998 non è sufficiente a ribaltare il quadro complessivo di medio periodo dell’economia
meridionale, che rimane marcatamente negativo. Dal 1992, quando è iniziata la politica del
rigore contrassegnata da un’intensa stretta fiscale, l’economia meridionale ha risentito della
brusca frenata della spesa pubblica e della caduta degli investimenti. Da allora la crescita
cumulata del PIL è stata di 2,9 punti percentuali contro i 9,8 di quella del Centro-Nord. Di
conseguenza, il PIL procapite della popolazione meridionale si è ridotto dal 58,6% di quello del
Centro Nord registrato nel al 54,6% del 1998. Dal lato degli impieghi, si accresce il divario
degli investimenti procapite e i consumi finali interni passano, nell’arco di tempo considerato,
dal 77% al 75% di quelli registrati nel Centro e nel Nord del Paese. Il mercato del lavoro
risente in modo particolare di questi andamenti: l’occupazione diminuisce a un tasso pari
all’1,3% all’anno, contro una riduzione media annua dello 0,5% al Centro Nord, mentre il tasso
di disoccupazione si accresce di 7 punti percentuali contro un aumento inferiore a un punto nel
Centro-Nord. Gli anni novanta, dunque, si chiudono senza lasciare testimonianza di sostanziali
modifiche dei divari Nord-Sud.
Il pessimismo potrebbe prendere il sopravvento se non pensassimo che insieme all’inizio di una
politica di rigore finanziario e della fine dell’intervento straordinario a favore delle regioni
meridionali, il 1999 segna anche l’avvio di una rivisitazione di gran parte delle forme di
intervento pubblico, che risponde pure a un’esigenza ormai maturata in larga parte della
società civile, di una maggiore efficienza ed efficacia della spesa pubblica. Siamo dunque di
fronte a un’epoca di transizione con un bagaglio nuovo di vincoli e di incentivi rispetto a quello
esistente all’inizio degli anni novanta: ai minori flussi di risorse statali verso le aree depresse
del Paese si affiancano gli aiuti finanziari dei fondi strutturali europei; all’intervento
straordinario subentra la programmazione negoziata (patti territoriali, contratti d’area,
contratti di programma) e la nuova legge di incentivazione degli investimenti; minori sgravi
contributivi si associano misure di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e l’introduzione
di forme di occupazione sussidiata destinate ai disoccupati di lungo termine.
A giugno 1999, infine, con il documento di programmazione economica e finanziaria per gli
anni 2000 – 2003 viene delineata la “politica nazionale per il Mezzogiorno”, ovvero lo sviluppo
delle aree meridionali del Paese diventa “la grande priorità della politica economica italiana”.
La strategia per lo sviluppo del Mezzogiorno include cinque politiche settoriali, delle quali due
riguardano il rilancio e la riqualificazione degli investimenti pubblici, ricorrendo allo strumento
del Programma di Sviluppo del Mezzogiorno (PSM) per l’utilizzo dei fondi comunitari 2000 –
2006; e le altre tre, rispettivamente, il rafforzamento della concorrenza, il miglioramento e la
maggiore efficacia dei meccanismi allocativi del mercato del lavoro, il miglioramento di
efficienza dell’Amministrazione Pubblica.
Tutti questi processi sono, nella gran parte dei casi, in itinere, talvolta solo appena avviati. Essi
non sono stati, pertanto, ancora in grado di produrre grandi “svolte” per le economie locali, ma
non vi è dubbio che è dall’impegno e dalla continuità con cui sarà guidato l’espletamento di tali
processi che dipende lo sviluppo di un’economia meridionale competitiva, non solo sui mercati
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di scambio delle merci, ma anche sul piano dell’attrattività dei luoghi al fine di incentivare e
promuovere la localizzazione di attività produttive nel Mezzogiorno.
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2. L’economia calabrese negli anni novanta
2.1 I divari interregionali
Alla fine degli anni novanta la Calabria presenta ancora rilevanti deficit strutturali rispetto alle
aree più dinamiche del Paese: dal divario in termini di reddito prodotto alla polverizzazione
industriale, dall'arretratezza delle forme organizzative della produzione agricola
all'inconsistenza del terziario innovativo, dalla dipendenza dalle risorse monetarie esterne alla
povertà delle infrastrutture sociali.
Pochi dati sono in realtà sufficienti per tracciare un quadro esauriente dei divari attuali con le
regioni italiane economicamente più progredite1. Facendo i confronti con il Centro - Nord, salta
immediatamente agli occhi la forte differenza che esiste tra il peso della popolazione calabrese
e l'incidenza in termini di produzione di reddito: a fronte di una popolazione che raggiunge la
quota del 5,6% dell'insieme delle regioni del Centro e del Nord, la produzione di reddito incide
soltanto per il 2,6%. Il dato trova conferma nel valore assunto dall'indicatore del reddito
procapite, pari al 46,8% di quello delle aree più ricche del Paese, due punti percentuali in
meno di quello registrato nel 1980 (cfr. Tab. 2.1).
Tabella 2.1 – Calabria: indicatori macroeconomici (Centro – Nord =100)
Indicatori Calabria Mezzogiorno
Popolazione (’98) 5,6 57
Pil (’98) 2.6 31.5
Pil pro capite (98) 46.8 54.6
Tasso di disoccupazione (’98) 3.62 3.0
Tasso di attività (’98) 87.3 88.5
Occupazione nell’industria (’98) 2.2 28.0
Occupazione manifatturiera (’98) 1.1 21.2
Esportazioni (‘98) 0.1 11.3
Importazioni (’98) 0.2 13.2
Fonte: Svimez
Questi tre parametri racchiudono il drammatico sottosviluppo della Calabria in termini di
ricchezza prodotta.
Anche sotto il profilo del mercato del lavoro le elaborazioni statistiche non necessitano
approfondite disaggregazioni per evidenziare tutta la gravità di una situazione divenuta la
“priorità di intervento” della politica economica nazionale. L'acuto e strutturale deficit di
1Questo paragrafo sviluppa e aggiorna alcune considerazioni sulle caratteristiche strutturali del sistema produttivo calabrese in parte già contenute nel primo
e nel secondo numero di "studi e documenti" dell’Associazione degli industriali di Cosenza, cfr. Nisticò (1988a, b).
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occasioni di lavoro è sintetizzato da un valore del tasso di disoccupazione che risulta oltre il
triplo di quello del Centro-Nord.
Particolarmente contenuta è l'occupazione industriale, che raggiunge appena il 2% di quella del
Centro Nord e riflette un connotato essenziale dell'apparato produttivo calabrese, quello della
scarsa diffusione sul territorio regionale di presenze industriali significative e dell'accentuato
atomismo dimensionale del comparto manifatturiero, costituito per la quasi totalità da micro
imprese che non riescono a superare la soglia dei 10 addetti fissi2. Perdipiù, in base al recente
“censimento intermedio” dell'Istat, la Calabria ha continuato a perdere, nell'arco di 5 anni, dal
1991 al 1996, ben il 13,5% degli addetti alle unità locali dell'industria manifatturiera. Sebbene
la tendenza alla riduzione di addetti risulti comune a quasi tutte le regioni italiane, l'intensità
della variazione risulta in Calabria tra le più elevate - superata soltanto dalla Liguria (-19,6%),
Valle d'Aosta (-17%) e la Sardegna (-16,4%) - e tra le più significative, se si tiene conto
dell'esiguo dato di partenza (cfr.tab.2.2).
Tab. 2.2. Addetti alle unità locali dell'industria manifatturiera (variazione % 1996/1991)
Regione Classe di addetti
1 - 49 50 - 250 251 e più Totale
Piemonte -6 -1,8 -24,8 -11,7
Valle d'Aosta -7,6 5,9 -46,6 -17
Lombardia -6,7 -7,4 -9,1 -7,3
Liguria -3,8 -27,4 -39,7 -19,6
Trentino A. A. -1,2 -5,3 10,2 -0,8
Veneto -0,9 2,5 -3,3 -0,4
Friuli V. G. 0,2 8,3 -23 -2,4
Emilia Romagna -5,5 2 -4,4 -3,5
Toscana -3,3 -6,8 -21,6 -6,1
Umbria -1,2 -15,5 -36,9 -11,6
Marche -3 5,8 8,2 -0,1
Lazio -6,8 -18 -10,6 -10,2
Abruzzo -6,1 4,1 -15,4 -5,8
Molise -0,4 40,2 -1,2 5,5
Campania 2,1 -13,7 -27,4 -8,9
Puglia -4,5 -23 -23,1 -11,7
Basilicata -1,2 -7,4 80,5 11,1
Calabria -7,8 -16 -50,2 -13,5
Sicilia -9,9 0,1 -30 -12,1
Sardegna -11,6 -10,9 -38,2 -16,4
Italia -4,5 -4,4 -16 -6,8
2 Sui vincoli economici e ambientali alla crescita delle piccole imprese in Calabria si rinvia a Nisticò (1988b)
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Anche sotto il profilo della dinamica settoriale, l’industria manifatturiera regionale presenta
andamenti differenti da quelli registrati nel resto del Paese. La Fig. 2.1 mostra le variazioni
intervenute nell’arco di un decennio, dal 1985 al 1995 in termini di occupazione e di valore
aggiunto in ciascun settore. In particolare, riportando sull’asse delle ascisse il rapporto tra il
valore aggiunto registrato nel 1995 e quello relativo al 1985 e sull’asse delle ordinate il
rapporto tra l’occupazione nei due periodi, il grafico risulta diviso in quattro quadranti.
Il quadrante in alto a destra contiene i settori che nei dieci anni considerati sperimentano sia
una crescita di addetti che di valore aggiunto: essi rappresentano, cioè, i settori manifatturieri
in espansione. Come illustra la figura 2.1, la Calabria annovera in questo insieme quattro
settori in tutto: il comparto del legno e gomma, il comparto della carta, quello della produzione
di macchine e, infine, quello del tessile-abbigliamento-calzature.
Fonte: Elaborazioni su dati Istat
All’estremo opposto, il quadrante in basso a sinistra descrive andamenti settoriali in netto
arretramento, caratterizzati da processi di ridimensionamento, sia in termini di addetti che di
valore aggiunto. Fanno parte di questo insieme tre settori: minerali e metalli, il comparto della
produzione di minerali non metalliferi e quello dei mezzi di trasporto. Una situazione
intermedia, caratterizzata da contrazione della base occupazionale, accompagnata tuttavia da
una netta crescita in termini di produzione, interessa i settori compresi nel quadrante in basso
a destra: in Calabria solo due settori, quello alimentare e quello della chimica e farmaceutica,
sembrano essere attraversati da tale dinamica.
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A livello nazionale, invece, i sentieri di sviluppo dei singoli comparti manifatturieri relativi alla
media nazionale si collocano tutti su una traiettoria che associa al ridimensionamento
occupazionale una sostenuta espansione del valore aggiunto. Lo stesso grafico, tracciato
questa volta tenendo conto delle dinamiche occupazionali e produttive registrate dai singoli
settori a livello nazionale, raggruppa, infatti, tutti i settori nel quadrante in basso a destra,
tranne uno, quello dei minerali non metalliferi, che risulta in espansione sia dal punto di vista
occupazionale che produttivo, cfr. fig. 2.2.
Fonte: Elaborazioni su dati Istat
I settori più forti sembrano essere dunque quelli della manifattura leggera, tra i quali spiccano
il tessile-abbigliamento-calzature e il settore del legno.
Asfissia dimensionale, polverizzazione territoriale e mercati di sbocco a circuito
prevalentemente locale costituiscono aspetti salienti del contesto economico calabrese. Il
carattere puntiforme del capitalismo regionale implica che siano assenti, da un lato, economie
di scala, date le ridotte dimensioni aziendali, e, dall’altro, economie di agglomerazione, ovvero
quei vantaggi della concentrazione spaziale delle attività produttive derivanti dalle opportunità
di decentramento e specializzazione, diffusione delle informazioni e condivisione di servizi alle
imprese, condizioni tipiche dei distretti e delle aree di specializzazione produttiva.
Un’ulteriore peculiarità del sistema produttivo regionale è la scarsa apertura dell’economia
locale ai mercati internazionali: la differenza è sotto questo profilo molto accentuata rispetto ai
sistemi produttivi più dinamici. Le esportazioni calabresi rappresentano solo lo 0,1% di quelle
che si registrano al Centro-Nord.
Il ritardo economico sintetizzato dai pochi indicatori fin qui utilizzati può risultare in qualche
modo accentuato dal fatto che il confronto è stato condotto rispetto a un’area particolarmlente
ricca e dinamica. Tuttavia, è possibile notare che i parametri presi in considerazione sono tutti
sistematicamente più bassi di quelli relativi alla media delle regioni meridionali.
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2.2 Divari di reddito e divari di consumo
E’ errato pensare alla Calabria come a una regione povera e refrattaria allo sviluppo
economico. Guardando al trend di lungo periodo del prodotto interno lordo procapite, è
possibile notare come durante gli anni ottanta i tassi di crescita del reddito prodotto siano stati
addirittura più elevati di quelli registrati dalle altre macroaree (cfr. fig. 2.3).
Fonte: Elaborazioni su dati Istat
La situazione peggiora visibilmente, con ritmi di crescita del PIL procapite nettamente al di
sotto di quelli dell’Italia e del Centro Nord per tutti gli anni novanta, in coincidenza del
verificarsi di una serie di cambiamenti istituzionali e politici nazionali che esercitano forti
ripercussioni sull’economia di tutte le regioni meridionali (la fine dell’intervento straordinario
nel Mezzogiorno, la forte manovra restrittiva del Governo finalizzata alla riduzione del
disavanzo pubblico) e specifiche congiunture regionali segnate, all'inizio del decennio, da
pesanti processi di ristrutturazione e ridimensionamento degli sparuti poli industriali calabresi.
Da molti anni ormai non esiste più una correlazione stretta tra le caratteristiche della struttura
produttiva regionale e il benessere della popolazione.
Se consideriamo, infatti, il consumo privato pro capite, notiamo che in Calabria esso assume
livelli solo un terzo più bassi di quelli del Centro Nord, che rappresenta una delle aree
industrializzate attualmente più opulente, e inferiori di meno di un quarto rispetto a quelli
dell’Italia e solo di 5 punti percentuali rispetto alla media meridionale (cfr. fig. 2.4).
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Fonte: Elaborazioni su dati Istat
Se la capacità di produzione calabrese, in termini di prodotto interno lordo si colloca, dunque,
al di sotto del 50% di quella del Centro Nord, il gap in termini di consumi privati procapite è
soltanto un terzo. A tutt’oggi, dunque, il carattere più evidente dell’assetto socioeconomico
calabrese sembra essere la stridente contraddizione tra il debole apparato produttivo e le
capacità di consumo dei residenti, tra la ridotta produzione di reddito e il livello di benessere
materiale, tra l’elevatissima disoccupazione e gli apprezzabili standard di vita della popolazione
locale.
La fig. 2.5 evidenzia la progressiva riduzione negli ultimi quindici anni del rapporto tra il PIL
procapite della Calabria e quello del Centro Nord, con una netta accentuazione a partire dalla
fine degli anni ottanta. D’altra parte, se guardiamo al trend del consumo procapite, è
immediatamente evidente che il rapporto di questo indicatore rispetto al Centro-Nord rimane
pressoché stabile intorno al 70% nell’intero quindicennio 1980-95, cfr.Fig. 2.4.
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Fonte: Elaborazioni su dati Istat
Possiamo scomporre il divario di prodotto nelle sue tre componenti: popolazione, forza lavoro
occupata, produttività media del lavoro3. Riguardo a ciascuna di queste componenti l’economia
calabrese ha conseguito, negli ultimi anni, risultati opposti a quelli registrati nel Centro Nord,
con un allontanamento delle posizioni relative.
2.3 Le dinamiche demografiche e occupazionali
Per quanto riguarda le dinamiche demografiche, la Calabria è ancora oggi un’area in forte
sviluppo demografico. Nel 1998 la Calabria vanta un quoziente di natalità pari a 10,07 nati vivi
per ogni mille abitanti contro 8,84 morti ogni mille abitanti, con un conseguente saldo naturale
positivo di 1,23. All’opposto, nel Centro Nord si verifica nello stesso periodo una natalità pari a
8,49 nati vivi ogni mille abitanti a fronte di 10,71 morti ogni mille abitanti con un saldo
naturale negativo di -2,22. Questa divergenza tra le due aree nell’andamento del saldo
naturale persiste almeno per tutti gli anni novanta (cfr. Svimez, vari anni).
Nell’intero periodo che va dal 1989 al 1995, la produttività per addetto calabrese, misurata in
termini di valore aggiunto per unità di lavoro rispetto al Centro Nord peggiora in tutti i settori
produttivi, tranne che nel terziario (cfr. fig. 2.6)4.
3 Indichiamo il divario di Pil come:D=(Yc/Pc)/(Ycn/Pcn), dove:
D=divario di Pil Yc=prodotto interno lordo calabrese Pc=popolazione residente in Calabria Ycn=prodotto interno lordo del Centro Nord Pcn=popolazione residente nel Centro Nord. La stessa espressione può essere riscritta come: D=(Rc/Rcn).(Oc/Ocn).(Pcn/Pc), dove: Rc=produttività media del lavoro in Calabria Rcn=produttività media del lavoro nel Centro Nord 4 La figura 2.6 è stata tracciata considerando le medie biennali in modo da smorzare gli effetti della ciclicità di alcune produzioni
regionali e, in particolare, di alcune specializzazioni agricole .
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Fonte: Elaborazioni su dati Istat
Sul piano della disaggregazione settoriale della produzione di reddito, dunque, la struttura
economica calabrese mostra bassa densità industriale e sottodimensionamento delle unità
produttive esistenti, ipertrofia del settore terziario, con peso accentuato del comparto pubblico,
e un settore primario che, seppure negli ultimi quarant’anni ha sperimentato una accentuata
riduzione del suo peso relativo sulla formazione di reddito regionale, si rivela
sovradimensionato rispetto al peso che esso assume in media nella struttura produttiva
meridionale e nazionale.
Sotto il profilo occupazionale la disaggregazione settoriale degli andamenti mostra per tutti gli
anni novanta un drastico ridimensionamento, che soltanto all’inizio del 1998, come evidenziato
nel rapporto congiunturale, ha lievemente invertito la sua rotta. Dal 1993 al 1998, infatti, si
contano ben 27 mila occupati industriali in meno (-22,3%). Come dire che la Calabria sta
sperimenatndo un processo di deindustrializzazione senza essere mai stata dotata di un vero e
proprio apparato industriale: nessuna impresa supera in Calabria le 500 unità lavorative,
mentre quelle che oltrepassano la soglia dei 100 dipendenti si contano sulle dita di una mano
soltanto. Le donne addette ai processi di trasformazione industriale stanno diventando una
presenza rara: solo 6 mila unità nel 1997.
In netta flessione anche l’occupazione agricola: 36 mila addetti in meno nell’ultimo quadriennio
(-33%), (cfr. Fig. 2.7).
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Fonte: Elaborazioni su dati Istat
Nonostante la sostenuta intensità con cui si manifesta questo processo di ridimensionamento
occupazionale, esso si rivela meno preoccupante di quello industriale. La deagrarizzazione
calabrese segue infatti un processo di restringimento fisiologico del ruolo occupazionale e
produttivo del settore primario comune a tutti i Paesi sviluppati. I confronti con la media
nazionale danno conto tuttavia di un attuale tasso di agrarizzazione dell’economia regionale
(3,7 addetti ogni 100 abitanti) di gran lunga più pronunciato di quello italiano (2,4 addetti ogni
100 abitanti), a conferma dell’importanza che il settore riveste a tutt’oggi nel contesto
economico e produttivo regionale, sebbene più in termini di percentuale della popolazione
coinvolta che in termini di contributo alla produzione di reddito (Anania e Pupo D’andrea,
1996).
Tendenzialmente stabile è, infine, il settore terziario: gli occupati nel comparto dei servizi si
sono ridotti di mille mila unità negli ultimi cinque anni (-0,2%). Nonostante il forte peso che il
terziario ha ancora oggi in termini di percentuale di forza lavoro occupata, sembrerebbe che il
ruolo del terziario come “settore spugna” dell’economia, capace di assorbire la forza lavoro in
eccesso nei mercati del lavoro agricolo e industriale, si stia progressivamente smorzando. Fino
ai primi anni novanta il terziario e, in misura maggiormente significativa, la Pubblica
Amministrazione e la distribuzione al dettaglio hanno rappresentato vere e proprie valvole di
sfogo per i disoccupati regionali. Da qualche anno, tuttavia, non è più così. Da un lato, la
Pubblica Amministrazione, dato il blocco del turnover, tende a espellere lavoratori anziché
assorbirne; dall’altro, il ridimensionamento dei consumi privati legati alla contrazione dei
redditi reali connessa alle politiche di contenimento dei trasferimenti pubblici e della spesa
statale, e la radicale ristrutturazione del settore distributivo conseguente alla pervasiva
penetrazione della grande distribuzione nel settore, hanno significativamente ridotto le
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possibilità di “inventarsi” un lavoro diventando piccoli imprenditori commerciali.
Nel complesso, la Calabria ha perduto dal 1993 al 1998 ben 64 mila occupati, una riduzione
relativa (-13%) doppia rispetto a quella, gia imponente, del Mezzogiorno e circa sette volte più
ampia di quella media nazionale.
I dati confermano, dunque, la specificità meridionale del problema della disoccupazione: il
sistema produttivo non riesce ad attivare una domanda di lavoro adeguata ad assorbire la
forza lavoro in cerca di occupazione. Al contrario, il Centro Nord ha mantenuto livelli della
domanda molto vicini a quelli di equilibrio e con tassi di disoccupazione che in alcune subaree
territoriali raggiungono soglie tipicamente frizionali, mediamente pari al 2 o al 3% delle forze
di lavoro. La fig. 2.8 illustra chiaramente le divergenze sia in termini di livelli di occupazione,
sia in termini di dinamiche relative delle due aree.
Fonte: Istat
In Calabria il conteggio anno per anno dei lavoratori occupati segue un ordine decrescente:
erano 582 mila nel 1993, e sono passati a 562 mila nel 1994, per affievolirsi nuovamente nel
1995 a livello di 549 mila, poi 530 mila nel 1996, 520 mila nel 1997 e 518 mila nel 1998. Il
lavoro sembra dunque essere un privilegio di pochi: solo un quarto dei calabresi ha
attualmente un’occupazione stabile. Nei primi due trimestri del 1998 questo trend sembrava
essersi smorzato, ma si è ristabilito nel corso del 1998.
2.4 La persistenza della disoccupazione
Nell'ultimo decennio l'economia regionale è stata significativamente segnata dal
raggiungimento dei picchi di disoccupazione più elevati tra quelli delle regioni italiane e da una
continua e persistente perdita di posti di lavoro.
Il tasso di disoccupazione si è ripetutamente accresciuto, toccando nell'ultimo anno il suo
massimo storico: 28%. A dispetto dell'ampio portafoglio degli strumenti di intervento che
hanno esordito di recente nel panorama delle politiche del lavoro e dell'occupazione a favore
delle aree depresse, a tutt'oggi in Calabria più di un lavoratore su quattro è disoccupato.
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Dal 1993 il tasso di disoccupazione regionale, come evidenziato nel rapporto congiunturale, si
è accresciuto di sette punti percentuali. Oggi, nonostante un'economia nazionale in ripresa,
una nuova legge di incentivazione degli investimenti, l'insieme degli strumenti di
programmazione negoziata a favore dello sviluppo locale, la Calabria si trova di fronte allo
scoglio della debilitante persistenza di ampie sacche di disoccupazione.
La durata e l'intensità del fenomeno sottolineano la specificità regionale del malessere della
disoccupazione e segnano le differenze con le altre aree del Paese.
Questa esasperante persistenza di carenza di posti di lavoro in Calabria disegna una situazione
allarmante che attenua la credibilità degli assetti istituzionali e deprime sempre di più le
potenzialità di crescita endogena, nonché le aspettative di una inversione di tendenza nelle
dinamiche regionali. Il tasso di disoccupazione è in Calabria pari a oltre il doppio di quello
medio italiano (12%) - quest'ultimo in linea con quello comunitario- e ben cinque volte più alto
del tasso di disoccupazione delle regioni italiane del Nord-Est, dove si registra solo una
disoccupazione frizionale, dovuta principalmente agli spostamenti dei lavoratori da
un'occupazione a un'altra e, pertanto, fisiologica anche per i sistemi economici vicini al pieno
impiego delle risorse produttive. Le dimensioni e la struttura della disoccupazione, peraltro,
segnalano l'esistenza di un divario significativo non solo con le aree ricche del Paese, ma anche
in riferimento al complesso delle regioni meridionali, che, pur sperimentando un tasso di
disoccupazione rilevantissimo, si attestano a un livello di inoccupazione di due punti
percentuali più basso.
Nel 1998 le persone in cerca di occupazione hanno raggiunto la soglia delle 190 mila unità, 27
mila in più della media 1997, 34 mila in più del 1994 e ben 42 mila in più rispetto alla media
del 1993.
La disoccupazione calabrese attualmente spiega da sola l’11% della disoccupazione
meridionale e il 7% dell'intera disoccupazione nazionale, sebbene il suo peso demografico sia
rispettivamente il 9,8 e il 3,6% della popolazione meridionale e nazionale.
La gravità della recessione che interessa la Calabria salta agli occhi quando osserviamo il dato
della disoccupazione in senso stretto. Dal 1993 al 1998 le persone precedentemente occupate
che non riescono a reinserirsi nel mondo del lavoro passano da 46 mila a 57 mila,
sperimentando così un incremento di 11 mila unità (+21%). Cosicché, contrariamente a
quanto avveniva nel passato, in questi ultimi anni il disagio della disoccupazione non si
polarizza prevalentemente nelle fasce più deboli della forza lavoro, ovvero i giovani o le donne
prive di una precedente esperienza lavorativa, ma interessa in misura cospicua anche le
componenti “forti”, ovvero la forza lavoro appartenente alle classi centrali di età, con
esperienze lavorative precedenti e in possesso di curricula professionali. Il fenomeno della
disoccupazione in senso stretto è peraltro in forte ascesa, in una escalation che conta 52 mila
lavoratori allontanati in maniera permanente dal precedente posto di lavoro nel corso del 1994,
56 mila nel 1995 (+7,7%), 61 mila nel 1996 (+8,9%), 52 mila nel 1997 (-14,7%), 57 mila nel
1998 (+9,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente).
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La difficoltà di trovare un posto di lavoro sembra essersi accentuata nel corso dell'ultimo anno
anche per le “persone in cerca di prima occupazione” e per le “altre persone in cerca di lavoro”,
come evidenziato nelle pagine precedenti di questo rapporto.
La situazione è ormai tale da non consentire di rimandare oltre l'intervento delle forze
politiche, sociali e istituzionali per invertire in maniera repentina e duratura la rotta delle
dinamiche del mercato del lavoro regionale.
2.5 Il lavoro irregolare
Scarse capacità di produzione, dilagante disoccupazione, ridotti livelli occupazionali, elevati
standard di consumo convivono in un apparentemente contraddittorio equilibrio simbiotico
ormai da qualche decennio. L’individuazione dei fattori che determinano e sorreggono questo
equilibrio è molto difficile da definire, almeno attraverso i tradizionali indicatori statistici.
Bisogna considerare, ad esempio, che se da un lato le statistiche sulla disoccupazione
descrivono ripetutamente da diversi anni l’aggravarsi del fenomeno nella regione, i dati
sull’incidenza dell’occupazione irregolare sul totale degli occupati collocano la Calabria al primo
posto tra le regioni italiane. Le stime Istat sulle unità di lavoro non regolari al netto del
secondo lavoro includono lavoratori non iscritti nei libri paga e occupati non dichiarati che
risultano, di converso, inoccupati nelle statistiche ufficiali5.
Ciò implica che una fetta di persone che attualmente consideriamo disoccupate sta, di fatto,
svolgendo un’attività lavorativa che consente loro di conseguire un livello di reddito, seppure al
di sotto degli standard contrattuali, e di mantenere livelli di consumo altrimenti incompatibili
con la dimensione di disoccupati. Su valutazioni Svimez, nel 1998 in Calabria su un totale di
596 mila unità di lavoro, il 44,2% sarebbe costituito da lavoro irregolare. Nel Mezzogiorno le
unità non regolari risultano un terzo delle unità di lavoro complessive e in Italia meno di un
quarto (22,6%) (cfr. tab. 2.3).
5 “Le unità di lavoro classificate come non regolari nell’indagine Istat di contabilità nazionale comprendono dunque gli irregolari
costituiti da dipendenti non iscritti nei libri paga delle imprese o indipendenti che svolgono la loro attività nei luoghi di lavoro non identificabili come tali; gli occupati non dichiarati che, pur dichiarandosi non occupati nell’indagine sulle forze di lavoro, in altro quesito sullo stesso questionario dichiarano di aver effettuato almeno un’ora di lavoro nel periuodo di riferimento; gli stranieri non residenti come ad esempio lavoratori con permesso di soggiorno scaduto o clandestini; i secondi lavori facenti capo a persone che svolgono un’attività lavorativa, definita principale, che è già stata considerata ai fini della stima delle altre categorie di unità di lavoro” (Svimez, 1998, p.43). Nel commento nel teso, abbiamo considerato la percentuale di unità di lavoro irregholari sul totale delle unità di lavoro al netto della seconda attività lavorativa e ad esclusione dei servizi non vendibili, costituito per il 90% dalla Pubblica Amministrazione e pertanto non interessato dal fenomeno dell’irregolarità.
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Tab. 2.3. Tasso di irregolarità nelle unità di lavoro complessive
(quote percentuali sulle unità regolari)
Regioni Media 1990-1994 1998
Industria Servizi vendibili
Totale Industria Servizi vendibili
Totale
Abruzzo 19 22 22 17.6 18.3 23.0
Molise 34 29 30 24.5 18.2 30.7
Campania 40 32 34 44.8 24.0 35.5
Puglia 30 24 30 34.7 19.1 29.7
Basilicata 32 23 31 30.4 16.7 32.9
Calabria 60 30 45 63.4 21.4 44.2
Sicilia 52 30 36 58.4 22.5 36.9
Sardegna 32 24 28 37.4 19.0 28.3
Mezzogiorno 40 28 33 42.8 21.4 33.9
Centro-Nord 11 18 17 11.7 17.2 18.1
Italia 17 22 22 18.2 18.4 22.6
Il differenziale tra la Calabria e il Centro Nord è particolarmente evidente nel settore
industriale, dove le quote raggiungono, rispettivamente, il 63,4 e l’11,7%. Su questa
differenza naturalmente incide la diversa composizione del settore industriale e, in particolare
la maggiore incidenza ad esempio del settore delle costruzioni nell’industria calabrese rispetto
al peso che esso assume al Centro Nord. E’ noto, infatti, come un’ampia fetta delle opere
minori edilizie effettuate da piccole imprese di costruzioni sia di fatto realizzata “in nero” (cfr.
Svimez, 1999). La Calabria è la regione italiana con il maggiore tasso di irregolarità del lavoro,
seguita dalla Sicilia (36,9%) e dalla Campania (35,5%).
2.6 Ricchezza privata e povertà pubblica
La coesistenza di ridotti livelli di produzione e elevati standard di consumo racchiude in sè due
realtà manifeste: il fatto che la Calabria non possa considerarsi un regione “povera” e quello,
ad esso contrapposto, che non rappresenta neanche un'area economicamente avanzata.
La povertà materiale diffusa che interessava ancora agli inizi degli anni cinquanta ampie fette
della popolazione residente, può considerarsi ormai debellata; contemporaneamente, tuttavia,
il modello di crescita sperimentato nella regione risente a tutt'oggi del mancato decollo
industriale e degli effetti di una politica di intervento che se da un lato ha sostenuto i redditi dei
residenti, dall'altro ha contribuito a “spiazzare” l'iniziativa privata in favore di una più allettante
ricerca della sicurezza offerta dal lavoro alle dipendenze dello Stato o dall'intercettazione di
risorse monetarie di natura assistenziale. La “caccia all'incentivo” e alle risorse pubbliche
rappresenta la distorta specializzazione tipica delle economie sussidiate.
Questa canalizzazione delle risorse statali verso la Calabria se ha storicamente e
significativamente finanziato le “ricchezze private”, ovvero le capacità di spesa dei residenti
nella regione, non ha, paradossalmente, inciso significativamente sulla dotazione delle
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“ricchezze collettive”, ovvero sul patrimonio infrastrutturale e sulla dotazione di capitale sociale
orientato allo sviluppo. Il risultato è che, oltre alle preoccupanti differenze nelle capacità di
produrre reddito, la Calabria si trova a misurare ancora oggi un consistente gap in termini di
strutture formative, ricreative e culturali nei confronti delle altre aree del Paese (Di Palma,
Mazziotta e Rosa, 1998). Oltre al forte ritardo in termini di infrastrutture economiche, risulta
assai avvilente la persistenza di un divario dell'ordine, in media, del 35% rispetto all'Italia e
circa dell'80% rispetto al Centro Nord in termini di infrastrutture sociali (cfr. fig. 2.9).
Fonte: Istat
All'interno di quest'ultima categoria di infrastrutture assumono un carattere particolarmente
deficitario le istituzioni relative all'assistenza all'infanzia: posto pari a 100 la dotazione
nazionale, quella calabrese rappresenta solo il 19% e quella meridionale il 48% a fronte di una
rappresentatività del 129% del Centro Nord. Accentuatamente sottodimensionate risultano,
inoltre, le infrastrutture sociali di base, quali le infrastrutture idriche (17% in Calabria contro
131% nel Centro Nord) e di fornitura del servizio di energia elettrica (31% in Calabria contro
una dotazione superiore del 30% a quella media italiana nelle regioni centrosettentrionali) (cfr.
tab. 2.4)
Tab. 2.4. Indici di dotazione infrastrutturale per categoria, 1995 (Italia=100)
Trasporti Comunicazioni Energia Idriche Istruzione
Sanità Assistenza all'infanzia
Sport Cultura
Calabria 78 80,2 30,9 17,3 84,7 78,3 19 87,9 56,2
Mezzogiorno 85,5 76,5 49,6 46 81,1 85 47,7 63 73,6
Centro-Nord 108,7 113,5 129,9 130,6 115,1 108,4 129,9 121,2 115,1
Italia 100 100 100 100 100 100 100 100 100
Fonte: Di Palma, Mazziotta, Rosa (1998)
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Sarebbe, naturalmente, opportuno corredare queste informazioni di carattere quantitativo con
adeguate informazioni sulla qualità dei servizi e, in misura prioritaria, sulle specifiche esigenze
di aumento delle dotazioni infrastrutturali nelle singole aree. Dal punto di vista delle politiche
per lo sviluppo economico ciò consentirebbe di realizzare nel futuro investimenti in
infrastrutture orientate a colmare deficit realmente esistenti e di contribuire in maniera mirata
a ridurre le specifiche diseconomie ambientali nelle aree in ritardo di sviluppo.
Fonte: Di Palma, Mazziotta, Rosa (1998)
3. Gli andamenti congiunturali nei primi tre trimestri del 1999
3.1 Il mercato del lavoro
Le aspettative di un’imminente ripresa dell’economia regionale sono probabilmente alla base
della più intensa partecipazione attiva della popolazione al mercato del lavoro che si realizza
nei primi tre mesi dell’anno: a fine marzo le forze di lavoro risultano in Calabria 722 mila, ben
46 mila in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, segnando un incremento
relativo del 6,8% (cfr. Tab. 3.1). Il dato è notevole, soprattutto se si considera che gli anni
novanta sono stati caratterizzati da andamenti di breve periodo delle forze di lavoro regionali
in netta e continuata contrazione, come si è verificato ad esempio per tutto il periodo
compreso tra il primo trimestre 1996 e il primo trimestre 1998. Memori di queste fasi
particolarmente buie del mercato del lavoro calabrese, impressiona favorevolmente anche la
maggiore partecipazione femminile, che conta circa 20 mila presenze in più (+8,5%).
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Tab. 3.1 - Calabria- Andamento delle forze di lavoro
(variazioni 1999 rispetto al 1998)
I trimestre II trimestre III trimestre
Var. Ass Var. % Var. Ass Var. % Var. Ass Var. %
Maschi 26 5,9 -11 -2,3 0 0,0
Femmine 20 8,5 6 2,4 -4 -1,5
Totale 46 6,8 -5 -0,7 -4 -0,5
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT
Il maggiore slancio nella partecipazione attiva al mercato del lavoro con cui aveva esordito il
1999, si smorza, tuttavia, nel corso dei due trimestri successivi: la dotazione di forza lavoro se
confrontata con le medie dell’anno precedente, tende nuovamente verso una contrazione,
anche se, fortunatamente, il fenomeno si manifesta con un’intensità contenuta. A fine giugno,
pertanto, 736 mila forze di lavoro segnalano la presenza di 5 mila persone in meno alla ricerca
attiva di un’occupazione rispetto al secondo trimestre 1998 (-0,7). La partecipazione della
popolazione al mercato del lavoro raggiunge, infine, nel terzo trimestre dell’anno, le 750 mila
unità, 4 mila in meno rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente (-0,5%). Tale minore
presenza di risorse umane è interamente dovuta all’attenuarsi della partecipazione femminile
(-1,5%), mentre la forza lavoro maschile rimane stabile rispetto ai livelli del 1998.
Le differenze tra i sessi nell’intensità di partecipazione al mercato del lavoro si riflettono negli
andamenti del tasso di attività, che indicano appunto la quota di popolazione che entra a far
parte della forza lavoro. Sebbene il trend di lungo periodo del tasso di attività sia molto simile
tra i sessi, è possibile notare come nelle fasi recessive, in cui i movimenti osservabili sul
mercato del lavoro regionale portano al restringimento dell’universo delle forze di lavoro, i
picchi negativi siano sistematicamente più accentuati per la componente femminile mentre il
recupero di posizioni nelle fasi espansive si rivela generalmente più lenta (cfr. Fig. 3.1).
Fonte: Istat
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Oltre alla differenza tra i livelli del tasso di attività, che per le donne in Calabria a fine
settembre 1999 raggiunge appena il 25,3% a fronte del 48,3% per la forza lavoro maschile,
sono percepibili differenze nei tassi di crescita per sesso dell’indicatore: mentre il tasso di
attività maschile recupera due punti percentuali rispetto al terzo trimestre del 1998, quello
femminile rimane sostanzialmente stabile.
La fiducia in un’imminente ripresa economica ha probabilmente influenzato anche la domanda
di lavoro all’inizio dell’anno che ha mostrato un timido segnale di crescita, successivamente
smorzato, tuttavia, da una nuova fase di caduta dei livelli occupazionali registratasi nel
secondo e nel terzo trimestre.
Tab. 3.2 - Calabria- Andamento dell'occupazione complessiva
(variazioni 1999 rispetto al 1998)
I trimestre II trimestre III trimestre
Var. Ass Var. % Var. Ass Var. %
Var. Ass Var. %
Maschi 8 2,2 -6 -1,6 -2 -0,5
Femmine -2 -1,3 -2 -1,3 -14 -8,4
Totale 6 1,2 -8 -1,5 -16 -2,9
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT
La tendenza al declino dei livelli occupazionali, che ha rappresentato un elemento costante
degli andamenti congiunturali trimestrali dal 1994, si è interrotta, dunque, nei primi tre mesi
del 1999, quando l’occupazione complessiva è cresciuta di 6 mila unità (+1,2%), pur
interessando soltanto la componente maschile. Nei trimestri successivi, le variazioni relative
dei livelli occupazionali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente danno conto della
perdita di circa 8 mila posti di lavoro tra aprile e giugno (-1,5%), e di 16 mila unità lavorative
occupate tra luglio e settembre (-2,9%). Alla fine del terzo trimestre risultano occupati in
Calabria 538 mila lavoratori, contro i 554 mila dello stesso periodo del 1998. Le forze
produttive endogene non sono, dunque, ancora in grado di esprimere né significativi
miglioramenti né stabilità degli assetti occupazionali, nonostante qualche sparuto segnale di
controtendenza.
Particolarmente acuta si è rivelata nel terzo trimestre la recessione nella domanda di lavoro
femminile, che spiega da sola l’87% della caduta complessiva dei livelli occupazionali (-14 mila
unità, apri al –8,4% rispetto al terzo trimestre del 1998). Sensibilmente più contenuta si è
rivelata, invece, la perdita di occasioni di lavoro per l’universo maschile: 2 mila unità in meno
rispetto a settembre 1998, ovvero una variazione relativa pari a –0,5%.
Per l’effetto congiunto degli andamenti della forza lavoro e della domanda di lavoro, il tasso di
occupazione si mantiene nel complesso sostanzialmente stabile tra il terzo trimestre 1998 e il
terzo trimestre 1999: il 26,3% della forza lavoro in Calabria ha un’occupazione ufficiale, una
percentuale ben 10 punti più bassa di quella media italiana (36,6%) e al di sotto anche di
quella meridionale (28,1%). La disaggregazione per sesso mostra, inoltre, come la stabilità del
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tasso di occupazione regionale sia la risultante di un recupero, pari a oltre un punto
percentuale, del tasso di occupazione maschile, che passa dal 37,2% nel terzo trimestre 1998
al 38,3% nel terzo trimestre 1999, e di una corrispondente riduzione della percentuale di forza
lavoro femminile occupata di pari entità, riportando il tasso di occupazione femminile nel terzo
trimestre 1999 al 14,7%, (cfr. Fig. 3.2).
3.2 Gli andamenti settoriali dell’occupazione
La disaggregazione per settori evidenzia un andamento molto eterogeneo delle dinamiche
occupazionali nel corso dell’anno. Nel primo trimestre la caduta della domanda di lavoro si
concentra pesantemente nel settore primario, come conseguenza di nuovi fattori istituzionali,
quali i nuovi provvedimenti amministrativi riguardo la determinazione dei margini di
contribuzione e l’intensificazione dei controlli da parte delle autorità competenti e che hanno
provocato una scrematura della manodopera occupata in agricoltura. Una certa importanza nel
condizionare i livelli occupazionali hanno rivestito anche le avverse condizioni atmosferiche
dell’ultimo anno che, danneggiando la produzione, hanno ridotto la manodopera addetta al
raccolto.
La più evidente contrazione occupazionale si verifica, peraltro, nei primi tre mesi del 1999,
quando le attività legate alla coltura dell’olivo avrebbero dovuto determinare, invece, se non
un’impennata, almeno una tenuta dell’occupazione agricola regionale. E’ palese, dunque, che
la congiuntura occupazionale nel settore primario sta subendo l’influenza anche di fattori non
strettamente legati alla produzione, quali la più precisa regolamentazione del reclutamento
della manodopera.
Tra gennaio e marzo 1999, l’indebolimento della base occupazionale agricola porta le unità
occupate complessivamente in agricoltura a 51 mila, ovvero 17 mila in meno rispetto allo
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stesso periodo dell’anno precedente, pari a una contrazione relativa del 25%, (cfr. tab. 3.3).
Tab. 3.3 - Calabria- Andamento dell'occupazione in agricoltura
(variazioni 1999 rispetto al 1998)
I trimestre II trimestre III trimestre
Var. Ass Var. % Var. Ass Var. % Var. Ass Var. %
Maschi -7 -16,3 3 7,9 0 0,0
Femmine -10 -40,0 2 9,5 -3 -10,0
Totale -17 -25,0 5 8,5 -3 -4,1
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT
Tale processo di ridimensionamento occupazionale interessa entrambi i sessi, ma assume
proporzioni particolarmente elevate per la componente femminile la cui domanda di lavoro si
riduce di 10 mila unità (-40%).
La situazione occupazionale migliora nei mesi primaverili: a fine giugno gli addetti al settore
primario risultano 64 mila, 5 mila in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente
(+8,5%). Questa ripresa di primavera non ha tuttavia riscontro negli andamenti del trimestre
successivo, quando si assiste nuovamente a un restringimento della base occupazionale, che,
seppure notevolmente più contenuto di quello realizzatosi all’inizio dell’anno, è questa volta
interamente imputabile alla minore domanda di forza lavoro femminile: a fine settembre gli
addetti in agricoltura nella regione assommano a 71 mila, con 3 mila donne in meno rispetto al
terzo trimestre del 1998 (-4,1% nel complesso e –10% per la componente femminile).
Durante il primo trimestre, l’agricoltura è l’unico comparto in cui si realizza una contrazione
della base occupazionale, mentre l’industria e il terziario segnalano una vivace espansione
della domanda di lavoro. In corso d’anno, tuttavia, le dinamiche nel mercato del lavoro
diventano più articolate e assumono andamenti divergenti tra i singoli comparti.
Particolarmente importante si rivela la performance del settore industriale, soprattutto
relativamente agli andamenti degli ultimi tre mesi, quando si registra un incremento
dell’occupazione pari al 12,8%, (cfr. tab. 3.4). Il settore ha mostrato andamenti altalenanti nel
corso dell’anno. Il 1999 inizia, infatti, con a una leggera espansione nel primo trimestre che
consente di assorbire 2 mila unità lavorative in più nei primi tre mesi del 1999 a confronto con
l’analogo periodo del 1998 (+2%) e che interessa in misura particolarmente favorevole la
componente femminile della forza lavoro, con un aumento di 3 mila addette alla
trasformazione industriale, una variazione relativa del 42,9%.
Tab. 3.4 - Calabria- Andamento dell'occupazione nell'industria
(variazioni 1999 rispetto al 1998)
I trimestre II trimestre III trimestre
Var. Ass Var. % Var. Ass Var. % Var. Ass Var. %
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Maschi -1 -1,1 -5 -5,3 11 12,6
Femmine 3 42,9 0 0,0 1 14,3
Totale 2 2,0 -5 -4,8 12 12,8
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT
Nel secondo trimestre, invece, il settore industriale riduce la sua base occupazionale rispetto
allo stesso periodo del 1998, domandando 5 mila lavoratori maschi in meno (-5,3%) e
mantenendo stabile, di contro, l’occupazione femminile.
La fase di netta ripresa dell’industria regionale, almeno sotto il profilo della forza lavoro
occupata, inizia a giugno, portando a fine settembre l’occupazione industriale a 106 mila unità,
12 mila in più rispetto al dato registrato nel terzo trimestre 1998.
L’espansione della domanda di lavoro ha riguardato sia la componente maschile (11 mila
lavoratori in più, pari a una variazione relativa del 12,6%) che quella femminile (un migliaio di
nuove addette al settore, ovvero +14,3%).
In linea con gli andamenti complessivi della congiuntura di questo anno di fine secolo, il
terziario regionale ha mostrato un’iniziale fase di vivace ripresa occupazionale, contrastata
dalla caduta della domanda di lavoro verificatasi nei due trimestri successivi. Gli addetti ai
servizi crescono, nel primo trimestre, di 21 mila unità rispetto al livello registrato nello stesso
periodo dell’anno precedente (+6,2%), confermando la forte capacità di assorbimento di forza
lavoro del settore (cfr. tab. 3.5).
Tab. 3.5 - Calabria- Andamento dell'occupazione nel terziario
(variazioni 1999 rispetto al 1998)
I trimestre II trimestre III trimestre
Var. Ass Var. % Var. Ass Var. % Var. Ass Var. %
Maschi 16 7,1 -4 -1,6 -13 -5,1
Femmine 5 4,3 -4 -3,1 -12 -9,2
Totale 21 6,2 -8 -2,1 -25 -6,5
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT
Nel secondo trimestre, il confronto con il 1998 rende conto di una caduta dei livelli
occupazionali nel terziario, con 8 mila lavoratori addetti in meno (-2,1%). Nel terzo trimestre,
infine, la crisi occupazionale si acutizza, determinando una riduzione della forza lavoro addetta
al settore pari a 25 mila unità (-6,5%). La caduta dei livelli di occupazione nel terziario nel
terzo trimestre dell’anno si distribuisce in misura pressoché paritaria tra i sessi.
Nonostante il trend regressivo recente, il settore dei servizi, che conta a fine settembre ben
361 mila occupati, spiega il 67% dell’occupazione complessiva nella regione, una
rappresentatività 2 punti percentuali più alta di quella dell’insieme delle regioni meridionali e 5
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punti percentuali più alta della media italiana. Il peso predominante dell’occupazione nei servizi
è naturalmente una condizione strutturale tipica delle economie avanzate, ma la sua
particolare rilevanza in Calabria tradisce la particolare asfissia dell’occupazione produttiva e,
soprattutto, nonostante i recenti, incoraggianti trend di breve periodo, l’inconsistenza
dell’apparato industriale.
3.3 La disoccupazione
Non accenna a segnali di tregua il crescente incalzare della disoccupazione che caratterizza
l’andamento congiunturale dell’economia calabrese da sette anni. Anche nel corso del 1999, i
dati ufficiali testimoniano l’incessante aumento delle persone in cerca di occupazione che fa da
contraltare al progressivo indebolimento dell’apparato imprenditoriale e produttivo.
La fase recessiva più intensa sembra essersi consumata proprio nell’arco del primo trimestre,
quando le persone in cerca di occupazione si rivelano 41 mila in più (+24%) rispetto
all’analogo periodo dell’anno precedente (cfr. tab. 3.6). La disoccupazione in Calabria
raggiunge così la soglia delle 209 mila unità a fine marzo, per oltrepassarla poi in settembre,
quando la mancanza di un’occupazione stabile accomuna ben 212 mila persone e il tasso di
disoccupazione balza al 28,3% della forza lavoro (cfr. Fig. 3.3).
Tab. 3.6 - Calabria- Dinamiche della disoccupazione complessiva
(variazioni 1999 rispetto al 1998)
I trimestre II trimestre III trimestre
Var. Ass Var. % Var. Ass Var. % Var. Ass Var. %
Maschi 18 22,0 -4 -3,8 2 2,0
Femmine 22 25,3 8 8,2 10 9,9
Totale 41 24,4 4 2,0 12 6,0
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT
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Quest’ultimo segna un punto percentuale in più di quello, pure elevatissimo, registrato a fine
settembre 1998, con ben 5 punti percentuali di distanza rispetto al terzo trimestre del 1997 e
8 rispetto al 1993, che indicava già una dimensione preoccupante della mancanza di lavoro
nella regione.
Questa esplosione del tasso di disoccupazione segna un divario notevole con il resto del Paese:
in Italia la quota di forza lavoro non occupata è ben 17 punti percentuali più bassa di quella
calabrese e anche in riferimento al complesso delle regioni meridionali, alle prese anch’esse
con un deficit di occupazione rilevantissimo, la Calabria mostra una differenza di ben 6 punti
percentuali (il tasso di disoccupazione in Italia e nel Mezzogiorno è pari, rispettivamente,
all’11% e al 22%).
La gravità della situazione occupazionale, certamente più accentuata per la componente
femminile, colpisce pesantemente anche l’universo maschile: se le donne in cerca di
occupazione si accrescono di 22 mila unità nel primo trimestre (+25%) e di 10 mila unità nel
periodo luglio-settembre (+9,9%), passando da 101 mila a fine settembre 1998 a 111 mila a
fine settembre 1999, i lavoratori maschi senza occupazione raggiungono il livello dei 101 mila
nel terzo trimestre 1999, circa 2 mila in più rispetto all’anno precedente. Il tasso di
disoccupazione femminile (42%) continua ad essere, tuttavia, più che doppio rispetto a quello
maschile (20,8%).
La crisi recessiva attraversata dal mercato del lavoro regionale determina l’acuirsi di tutte le
forme di disoccupazione. Particolarmente preoccupante è la ripresa della disoccupazione in
senso stretto, dopo un periodo di parziale attenuazione del fenomeno tra il 1997 e il 1998.
La disoccupazione, dunque, non colpisce più soltanto la forza lavoro “despecializzata” o priva di
esperienze lavorative, ma anche le persone precedentemente occupate. Così come la difficoltà
per i giovani di inserirsi nel mercato del lavoro ufficiale, il crescere delle difficoltà di trovare
una nuova occupazione in seguito alla fine di un rapporto di lavoro alimenta sfiducia nelle
istituzioni e impoverisce il capitale umano, quell’insieme di competenze e di abilità tecniche
.
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acquisite nel corso di anni di attività lavorativa o di formazione scolastica; finisce per sostenere
il mercato del lavoro sommerso e depotenzia la capacità endogena di produzione di reddito.
L’inizio del 1999 porta al raddoppio i disoccupati in senso stretto presenti nella regione: essi
passano da 46 mila nel primo trimestre del 1998 a 87 mila nel primo trimestre 1999,
interessando in misura non molto dissimile sia i lavoratori maschi (+82%) che le donne
(100%), (cfr. tab. 3.7).
Tab. 3.7 - Calabria- Dinamiche della disoccupazione in senso stretto
(variazioni 1999 rispetto al 1998)
I trimestre II trimestre III trimestre
Var. Ass Var. % Var. Ass Var. % Var. Ass Var. %
Maschi 22 81,5 8 20,0 3 7,9
Femmine 19 100,0 9 34,6 7 28,0
Totale 41 89,1 17 25,8 10 15,9
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT
Nei trimestri successivi i dati confermano la presenza di un forte disagio dei lavoratori calabresi
nel reinserimento lavorativo dopo l’interruzione di un rapporto di lavoro, ma con intensità
fortunatamente più contenuta: a fine giugno sono 83 mila in totale i disoccupati in senso
stretto, 17 mila in più rispetto a quelli presenti nello stesso periodo dell’anno precedente
(25,8%).
Nel terzo trimestre dell’anno, infine, la disoccupazione in senso stretto risulta ancora in
aumento di 10 mila unità (+16%) rispetto al terzo trimestre 1998 e segna la soglia dei 73 mila
ex-lavoratori in cerca di nuova occupazione, di cui 32 mila donne (7 mila in più rispetto al terzo
trimestre 1998, ovvero una variazione relativa del 28%) e 41 mila maschi (3 mila in più, pari a
+7,9%).
La disoccupazione giovanile, in leggero aumento all’inizio dell’anno, segnala complessivamente
una leggera attenuazione: se nel primo trimestre mille lavoratori in più (+1,2%) rispetto allo
stesso periodo del 1998 erano alla ricerca del loro primo impiego, nel secondo trimestre essi
risultano 2 mila in meno, pari a una variazione relativa di –2,1% (cfr. tab. 3.8). A fine
settembre la disoccupazione giovanile investe complessivamente100 mila lavoratori, mille in
meno (-1%) di quelli registrati nello stesso mese del 1998. Ancora una volta, tuttavia,
scopriamo andamenti contrastanti nella disaggregazione per sesso del fenomeno.
Relativamente al solo universo femminile è possibile notare, infatti, un aumento di questa
forma di disoccupazione in misura pari al 2%, corrispondente a circa mille donne in più rispetto
al 1998 che soffrono il disagio di non riuscire a inserirsi nel mondo lavorativo.
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Tab. 3.8 - Calabria- Dinamiche della disoccupazione "giovanile"
(variazioni 1999 rispetto al 1998)
I trimestre II trimestre III trimestre
Var. Ass Var. % Var. Ass Var. % Var. Ass Var. %
Maschi -2 -4,3 -10 -18,2 -2 -3,8
Femmine 3 8,3 8 20,5 1 2,1
Totale 1 1,2 -2 -2,1 -1 -1,0
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT
Lo scarso dinamismo del mercato del lavoro dal lato della domanda e il congelamento delle
spinte espansive dell’occupazione accentuano le difficoltà di intraprendere con successo la
ricerca di un’occupazione per i segmenti più deboli, come quelli che chiedono di lavorare a
condizioni particolari (per esempio part–time o non nuovi nella ricerca di una professione).
Anche le “altre persone in cerca di occupazione” sono, infatti, in aumento nell’ultimo anno: a
fine settembre 39 mila lavoratori cercano un’occupazione a condizioni d’impiego particolari, 2
mila in più rispetto al 1998 (+5,4%). E’ in particolare la componente maschile a rinsaldare le
fila delle “altre persone in cerca di occupazione” (+2,9%), a fronte della piena stabilità della
componente femminile.
3.4 La cassa integrazione guadagni
Nei primi nove mesi del 1999 l’economia regionale ha fatto minore ricorso alla Cassa
integrazione guadagni, sia nella forma degli interventi straordinari, generalmente finalizzati ad
“ammortizzare” le conseguenze sociali di crisi strutturali e irreversibili dei settori produttivi
interessati, che degli interventi ordinari, volti a sanare alterazioni temporanee dei livelli di
produzione e ad evitare l’espulsione del surplus congiunturale di forza lavoro.
Nel complesso, sono state concesse, da gennaio a settembre 1999, circa 921 mila ore di Cig
straordinaria (-28% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), (cfr. tab. 3.9).
.
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Tab. 3.9 – Calabria, Cassa integrazione guadagni straordinaria per settore
(numero di ore concesse)
Settori Gennaio-Settembre
1998 1999 Var.Ass. Var.%
Agricoltura 0 0 0 0,00
Attiv. Estrattive 0 0 0 0,00
Legno 0 65880 65880
Alimentari 0 0 0 0,00
Metalli 0 0 0 0,00
Meccanica 192522 261465 68943 35,81
Tessile 62128 579959 517831 833,49
Abbigliamento 155736 58328 -97408 -62,55
Chimiche 310539 184354 -126185 -40,63
Pelli e cuoio 0 0 0 0,00
Trasfor.minerali 8616 18486 9870 114,55
Carta e poligraf. 47237 0 -47237 -100,00
Edilizia 342201 68104 -274097 -80,10
Energia 0 0 0 0,00
Trasporti e
comununic.
129224 148408 19184 14,85
Altre 0 10897 10897
Tabacchi 0 0 0 0,00
Commercio 30375 33302 2927 9,64
TOTALE 1278578 920904 -357674 -27,97
Sotto il profilo settoriale, il minore ricorso al provvedimento straordinario ha interessato solo 4
settori, sebbene in misura ragguardevole: il settore delle costruzioni, in cui si registrano 274
mila ore in meno di Cig straordinaria (-80%), a testimoniare la ripresa, o comunque il
tamponamento delle crisi attraversate nel passato dal comparto; il settore dell’abbigliamento,
che conta a fine settembre 58 mila ore di Cig straordinaria, ovvero 97 mila in meno rispetto al
1998 (-62,5%); il comparto della chimica, che fino al mese di settembre ha usufruito di 184
mila ore contro le 311 mila del 1998; e, infine, il settore della carta e delle poligrafiche, che
per i primi tre trimestri del 1999 non richiede alcun intervento di cassa integrazione
straordinaria, a differenza dell’esperienza dell’anno precedente.
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A fronte di tali andamenti sono, naturalmente, riscontrabili variazioni in aumento di Cig
straordinaria in altri settori, tra i quali salta agli occhi la dimensione dell’intervento richiesto dal
settore tessile, che a fine settembre cumula ben 580 mila ore di Cig straordinaria, ovvero 518
mila in più dell’anno precedente.
Sul piano degli interventi ordinari, il minore ricorso alla Cassa integrazione è comune al 60%
dei settori produttivi, mentre un ulteriore 22% non ha ancora fatto richiesta a fine settembre
di questo tipo di provvedimento, (cfr. Tab. 3.10). Fanno eccezione: il comparto dell’alimentare,
che registra l’incremento più significativo in valore assoluto (+18 mila ore), con una richiesta
quasi doppia degli interventi rispetto a quelli utilizzati nell’anno precedente, e quello
dell’abbigliamento, con 11 mila ore in più, pari a una variazione relativa dell’8,94%.
.
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30
Tab. 3.10 – Calabria, Cassa integrazione guadagni ordinaria per settore
(numero di ore concesse)
Settori Gennaio-Settembre
1998 1999 Var.Ass. Var.%
Agricoltura 11736 0 -11736 -100,00
Attiv. Estrattive 846 403 -443 -52,36
Legno 4648 560 -4088 -87,95
Alimentari 18998 37175 18177 95,68
Metalli 0 0 0 0,00
Meccanica 131737 55839 -75898 -57,61
Tessile 14040 154 -13886 -98,90
Abbigliamento 118658 129261 10603 8,94
Chimiche 16525 11456 -5069 -30,67
Pelli e cuoio 8018 0 -8018 -100,00
Trasfor.minerali 59278 44767 -14511 -24,48
Carta e poligraf. 108653 175 -108478 -99,84
Edilizia 156301 75369 -80932 -51,78
Energia 0 0 0 0,00
Trasporti e
comunicaz.
30156 19272 -10884 -36,09
Altre 541 1920 1379 254,90
Tabacchi 0 0 0 0,00
Commercio 0 0 0 0,00
TOTALE 680135 376351 -303784 -44,67
3.5 La produzione agricola
L’analisi degli andamenti settoriali del mercato del lavoro ha messo in evidenza le notevoli
oscillazioni della domanda di lavoro in agricoltura. Tali oscillazioni sono dovute all’interagire di
fattori congiunturali espansivi dell’attività agricola, quali l’annata di carica dell’olivo, che
determinano un naturale effetto indotto incrementale della forza lavoro occupata, e di vincoli
ambientali e di mercato, che riducono la capacità di produzione di reddito del settore.
L’incremento dei livelli occupazionali che si registra nel secondo trimestre dell’anno sono da
ricondurre, con molta probabilità, all’incremento delle attività di trasformazione delle olive che
segue la fase della raccolta. Questa variazione in aumento della forza lavoro occupata in
agricoltura, si innesca, tuttavia, su un trend di continuo ridimensionamento del settore:
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considerando solo gli anni in cui si intensifica la produzione olivicola, si passa da 109 mila
lavoratori addetti al primario nel 1993 a 93 mila nel 1995, a 89 mila nel 1997 e a 71 mila a
fine settembre 1999. E’ evidente, dunque, che la ciclicità biennale della produzione olivicola,
che certamente rimane una caratteristica importante dell’intera produzione agricola calabrese,
non è sufficiente da sola a spiegare le dinamiche attraversate dal settore primario regionale.
Alcuni fattori istituzionali, piuttosto, continuano ad esercitare un forte potere condizionante,
rispetto alle prassi prevalenti fino a qualche anno addietro, dal lato della domanda: l’aumento
dei margini di contribuzione per lavoratore, accompagnato da un’ampia intensificazione dei
controlli hanno progressivamente spostato le convenienze verso l’impiego di tecnologie
produttive a più basso contenuto di lavoro e verso il definitivo allontanamento degli addetti in
esubero. Di qualche effetto sulla produzione di reddito sono risultati anche i tagli sugli aiuti alla
trasformazione degli agrumi, la cui erogazione ha anche riportato penalizzanti ritardi.
Sul fronte dei vincoli di mercato, il rafforzarsi della concorrenza dei paesi del mediterraneo e,
in particolare della Spagna e del Marocco, riguardo alcune specializzazioni regionali, quali gli
agrumi e la stessa produzione di olio, minaccia uno spiazzamento delle produzioni regionali e
l’erosione di quote di mercato sui segmenti di bassa qualità. In risposta a tali minacce solo una
élite di imprenditori locali riesce a giocare la carta vincente della specializzazione di nicchia sui
mercati di alta qualità. Sul mercato di bassa qualità, accessibile a un’offerta più ampia, invece,
i produttori devono confrontarsi con un costante aumento delle importazioni e scarsi controlli
sulle frodi e sulle sofisticazioni.
Diversi sono, infine, i fattori di avversità climatica: dalle gelate che tra gennaio e marzo
colpiscono orami da diversi anni le colture erbacee e alcune produzioni di alto fusto, alle
temperature troppo elevate che si protraggono fino a metà novembre.
Nonostante i vincoli istituzionali e ambientali e le dinamiche occupazionali, la produzione
agricola nel 1999 ha registrato alcuni risultati positivi: la produzione lorda vendibile regionale
si è accresciuta del 7% a valori costanti, pur registrando una diminuzione di circa il 4% a valori
correnti (cfr. tab. 3.11).
Tab.3.11 - Calabria, Andamento delle produzioni agricole, 1999
(Variazioni % '99/'98)
Quantità Valore a prezzi
costanti
Valore a prezzi
correnti
Frumento tenero -3,00 -3,00 -1,06
Frumento duro -5,00 -5,00 -7,65
Orzo -3,00 -3,00 -7,85
Granoturco 7,00 7,00 4,86
Fave secche 3,00 3,00 6,09
Fagioli secchi 5,00 5,00 2,90
Patate 12,00 12,00 20,96
.
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Fagioli freschi 9,00 9,00 23,17
Pomodori 9,00 9,00 6,82
Finocchi 6,00 6,00 0,70
Cipolle 12,00 12,00 23,20
Cavolfiori 11,00 11,00 8,76
Melanzane 7,00 7,00 10,21
Peperoni 9,00 9,00 15,54
Zucchine -7,00 -7,00 -5,14
Rape 5,00 5,00 10,25
Lattuga 12,00 12,00 17,80
Barbabietola da zucchero 5,00 5,00 -2,35
Foraggi -12,00 -12,00 -6,72
Arance 12,00 12,00 -10,40
Mandarini 5,00 5,00 -7,60
Limoni 4,00 4,00 7,12
Clementine 15,00 15,00 -19,50
Pesche -4,00 -4,00 -2,08
Olio 62,00 62,00 13,40
Vino -7,00 -7,00 -1,42
Bovini 1,00 1,00 4,03
Suini -3,00 -3,00 -9,79
Pollame e conigli 3,00 3,00 5,06
Latte di pecora e capra 3,00 3,00 0,94
Latte di vacca 3,00 3,00 0,94
Uova (000000 pezzi) 2,00 2,00 7,10
Totale allevamenti 1,05 1,07
Produzione vendibile regionale 7,13 -4,32
Fonte: Stime Ufficio di contabilità agraria per la Calabria
Incrementi produttivi sono riscontrabili in quasi tutti i comparti del primario: ne fanno
eccezione, tuttavia, alcuni settori importanti nel panorama delle specializzazioni regionali, quali
la produzione di pesche, che registra un calo del 4% a prezzi costanti rispetto all’anno
precedente, e di vino (-7%), a causa della forte siccità e alle alte temperature che hanno
danneggiato i vigneti, in particolare nel mese di agosto. Esperti del settore testimoniano,
tuttavia, la tendenza a un miglioramento nella qualità del vino prodotto nella regione rispetto a
quella prevalente nel 1998, facendo sperare in un futuro recupero in valore della produzione.
In generale, l’annata trascorsa non è stata favorevole per la produzione di cereali con la sola
eccezione della coltura del mais. Oltre alle avverse condizioni climatiche il calo delle produzioni
.
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33
cerealicole è dovuto principalmente ai minori ettari investiti nella coltivazione di cereali, ma
anche a una flessione delle rese per ettaro.
I settori trainanti dell’agricoltura regionale sono le specializzazioni tipiche: oltre alla produzione
di olio, che registra un aumento del 62% a prezzi costanti, buone performance vengono
perseguite dal settore agrumicolo e, in particolare, dalla produzione di clementine (+15%) e di
arance (+12%). In sostenuto aumento anche le coltivazioni di cipolle (+12%), patate (+12%),
lattuga (+12%) e cavolfiori (+11%).
In lieve espansione risultano, inoltre, i prodotti degli allevamenti e, in particolare, i bovini
(+1%), il pollame e conigli (+3%), e l’ovicaprino (+3%).
Fanno eccezione gli allevamenti suini, che registrano una flessione della produzione lorda
vendibile a prezzi costanti pari al 3% rispetto al 1998.
3.6 La demografia imprenditoriale
La demografia imprenditoriale calabrese mostra una vivace evoluzione positiva nel corso del
terzo trimestre 1999. La banca dati Cerved, che raccoglie le iscrizioni e le cancellazioni
effettuate presso le Camere di Commercio della regione, registra in Calabria un tasso medio di
crescita delle iniziative imprenditoriali pari allo 0,8%, contro una media nazionale di poco
inferiore (0,65%), (cfr. tab. 3.12).
Tab. 3.12 - Calabria, Tassi di crescita del numero di imprese - valori percentuali al netto
dell'agricoltura, caccia e silvicoltura
(III trimestre 1999)
Regioni e province Totale
imprese
Società di
capitale
Società di
persone
Ditte
individuali
Altre forme
Cosenza 0,81% 1,01% 0,56% 0,80% 1,70%
Catanzaro 0,34% 1,77% 0,34% 0,06% 1,51%
Reggio Calabria 0,74% 1,56% 0,59% 0,61% 2,62%
Vibo Valentia 1,14% 0,99% 0,64% 1,30% 0,58%
Crotone 1,30% 1,85% 0,29% 1,37% 2,89%
Calabria 0,77% 1,36% 0,51% 0,70% 1,90%
Italia 0,65% 1,19% 0,62% 0,45% 1,14%
Fonte: Cerved
Sotto il profilo delle forme giuridiche, le società di capitale sono le tipologie che registrano il
tasso di crescita più elevato (+1,36%), seguite dalle “altre forme” (+1,90%), dalle ditte
individuali (+0,70%) e, con un ritmo di espansione poco distante da queste ultime, dalle
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.
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società di persona (0,51). Queste dinamiche sono in linea con gli andamenti a livello nazionale,
dove si riscontrano, tuttavia, tassi di crescita lievemente più contenuti per le società di capitale
e riconducibili, probabilmente, alla più robusta base di partenza rispetto ai livelli regionali, e
per le ditte individuali (+0,45%9, mentre mostrano un maggiore dinamismo le società di
persona (+0,62%).
A livello provinciale, la crescita del tessuto imprenditoriale sembra essere più veloce per le
province di recente formazione, ovvero per Crotone, che registra un tasso di crescita del
numero di imprese pari a +1,30%, seguita da Vibo Valentia (+1,14%), mentre tra le province
“storiche” ritmi più veloci di crescita nel numero delle imprese sono osservabili per la provincia
di Cosenza (+0,81%) e Reggio Calabria (+0,74%).
3.7 Gli scambi con l’estero
Un leggero miglioramento è percepibile nell’andamento della bilancia commerciale regionale
nei primi sei mesi dell’anno. Le esportazioni calabresi sono cresciute, infatti, da gennaio a
giugno 1999, del 2,6%, a fronte di un calo delle importazioni del 9,6%.
Ciò nonostante, la bilancia commerciale regionale mostra ancora un rilevante deficit: mentre il
valore complessivo delle esportazioni ammonta nel primo semestre 1999 a 217 miliardi di lire,
le importazioni raggiungono nello stesso periodo i 326 miliardi, determinando una differenza
tra importazioni ed esportazioni pari a 109 miliardi di lire. Tale differenza risulta 38 miliardi più
piccola del deficit registrato nel periodo gennaio-giugno 1998, grazie alla crescita più veloce
delle esportazioni regionali rispetto alle importazioni.
L’incremento delle esportazioni si è rivelato molto sostenuto per il settore dei prodotti tessili,
cuoio e abbigliamento, relativamente al quale la vendita all’estero dei prodotti calabrese si è
raddoppiata, passando da 11 miliardi a giugno 1998 a 22 miliardi di lire a giugno 1999 (cfr.
Fig.3.4). Notevole è risultato, inoltre l’incremento della collocazione sui mercati esteri delle
produzioni metalmeccaniche (+14%), e del legno (+11%). Fanno da contrappeso a questi
andamenti le performance negative delle esportazioni registrate dal settore dei mezzi di
trasporto (-66%), dei minerali ferrosi e non ferrosi (-63%), dei prodotti energetici (-21%) e
dei prodotti del primario (-17%).
.
.
35
Il settore che registra nei primi sei mesi dell’anno un valore delle esportazioni più alto è quello
metalmeccanico (55 miliardi di lire), seguito dalla chimica (53 miliardi) e dai settori “leggeri”
dell’alimentare (26 miliardi), dei prodotti agricoli (27 miliardi), tessile e abbigliamento (22
miliardi) e legno (23 miliardi) .
Le importazioni cresco in quasi tutti i settori produttivi, a eccezione del comparto dei minerali
ferrosi e non ferrosi (-85%), dei prodotti chimici (-19%), dei prodotti agricoli (-9%) e dei
prodotti tessili (-6%). Particolarmente rilevante è l’incremento della domanda di prodotti esteri
nel settore dei mezzi di trasporto che triplica il valore delle importazioni, passando da 5,6
miliardi di lire nel giugno 1998 a 14 miliardi nel giugno 1999 e quello dei prodotti energetici,
che raddoppia il valore delle importazioni (da 33 miliardi nel primo semestre ’98 a 68 nel
secondo semestre ’99).
Il valore più elevato delle importazioni calabresi è in assoluto quello relativo ai prodotti agricoli
(99 miliardi di lire di beni importati fino a giugno 1999), seguito dai prodotti alimentari (72
miliardi) e da quelli metalmeccanici (52 miliardi).
.
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36
Conclusioni
Le caratteristiche distintive della congiuntura economica calabrese dell’ultimo anno sono state
ancora una volta la disoccupazione e la penuria persistente di occasioni di lavoro. Gli anni
sembrano, dunque, passare invano. Nonostante alcuni cambiamenti interessino la situazione
economica regionale, la disoccupazione mostra sempre un trend crescente, mentre la domanda
di lavoro si indebolisce.
Il persistente deficit di posti di lavoro in Calabria ha ragioni e spiegazioni differenti, molte delle
quali tipicamente strutturali, come l’assenza storica di processi di sviluppo produttivo diffusi e
radicati nel territorio regionale. Il sottosviluppo e l’asfissia della base occupazionale locale
sono, tuttavia, alimentati anche dall’instabilità istituzionale, ossia dalla precarietà e
vulnerabilità degli assetti di governo, che determina incertezza sociale ed economica,
aspettative negative, sfiducia, cioè un clima e un contesto sfavorevole alla crescita economica.
La lunga crisi di governo che ha interessato la Calabria per buona parte del 1998 e il cambio di
maggioranza politica avvenuto nei primi mesi del 1999, hanno nuovamente sottolineato la
precarietà degli assetti istituzionali regionali e compresso l’attività di governo, la produzione
legislativa e l’assunzione di scelte decisive per lo sviluppo. Durante le crisi istituzionali la
capacità progettuale delle classi dirigenti viene inevitabilmente rimossa, le strategie diventano
di corto respiro, mentre prende il sopravvento il tatticismo politico, il piccolo cabotaggio. Ciò è
tanto più preoccupante e penalizzante per regioni, come la Calabria, così segnate dalla
mancanza di dinamismo economico autonomo e dalla dipendenza nei confronti della
congiuntura politico-parlamentare nazionale. Per di più, l’instabilità istituzionale fa sì che la
regione sia scarsamente appetibile a gruppi imprenditoriali esterni in vista di possibili
decentramenti di attività produttive. L’assenza di interlocutori istituzionali stabili, credibili e
affidabili sembra essere la diseconomia esterna più evidente della Calabria contemporanea, il
fattore disincentivante dell’attrazione di investimenti produttivi esterni.
Ripartire dalla riorganizzazione istituzionale e da un “patto” di stabilità tra le forze politiche e
sociali sembrerebbe una priorità per qualsiasi azione di promozione dello sviluppo regionale.
L’instabilità e l’incertezza istituzionale hanno ripercussioni negative anche sugli atteggiamenti
microeconomici degli operatori, che, in assenza di quadri di riferimento precisi e di lungo
periodo, finiscono per adottare strategie di mera “sopravvivenza” e, comunque, di attesa di
“tempi migliori” per realizzare progetti di investimento significativi.
Più in generale, l’instabilità istituzionale finisce per rafforzare il circolo vizioso della bassa
produttività elettorale delle politiche per lo sviluppo, che presuppongono progetti e scelte di
lungo periodo. Se la prospettiva è la crisi continua e, dunque, l’orizzonte temporale di
riferimento si contrae è evidente che gli interventi rivolti a potenziare le capacità endogene di
sviluppo verranno trascurati - dal momento che queste ultime determinano risultati tangibili
soltanto nel periodo medio-lungo - e prenderanno il sopravvento quelle politiche di intervento
che producono risultati più immediati, almeno in termini di corrispettivo elettorale.
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37
Agenda 2000 rappresenta forse un’occasione per spezzare questo circolo vizioso e conferire
continuità e credibilità ai progetti di sviluppo regionale. Presupponendo un periodo temporale
di sette anni, agenda 2000 si annuncia in maggiore sintonia con i bisogni della crescita
produttiva ed occupazionale, rispetto ai programmi di intervento precedenti: nei sette anni
2000-2006 è possibile configurare una strategia di potenziamento dei fattori strutturali
indispensabili allo sviluppo. Vengono, inoltre fissati parametri e criteri di riferimento certi e
valutabili. La concentrazione e l’integrazione delle risorse finanziarie, il partenariato e la
concertazione socio-istituzionale, la cooperazione interrregionale e le “reti lunghe”
infrastrutturali, sono le coordinate che possono determinare un cambio di rotta. Nuove norme,
regole stabili, criteri di selezione certi, tempi predefiniti, attribuzioni specifiche di
responsabilità, valutazione (ex ante, in itinere ed ex post), se correttamente applicate possono
aiutare la Calabria risolvere i nodi strutturali più problematici del suo mancato decollo
produttivo.
Costruire una nuova “tavola” delle regole sembra, dunque, un passaggio obbligato, quasi un
antidoto contro l’instabilità istituzionale della Calabria e una buona strada per avviare
programmi di sviluppo duraturo.
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