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Dal Progetto alla costruzione alla città 1 Simona Bertorotta, Dario Cottone idee per una nuova città moderna concorsi di architettura a Palermo

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Dal Progetto alla costruzione alla città

1Simona Bertorotta, Dario Cottone

idee per una nuova città modernaconcorsi di architettura a Palermo

Della stessa collana

2Dario cottoneTradizione e Modernità. Le architetture di Pietro Ajroldi

3tiziana Basiricò, simona BertorottaL'industrializzazione nei quartieri di edilizia resi-denziale pubblica

4rossella corraoArchitettura e Costruzione nella Palermo tra le dueGuerre. Tre edifici pubblici emblematici

Direttori

antonio cottone università degli studi di enna “Kore”

cesare ajroldiuniversità degli studi di Palermo

Comitato scientifico

riccardo nelvaPolitecnico di torino

Franco nutiuniversità degli studi di Firenze

angelo torricelliPolitecnico di Milano

Daniele VitalePolitecnico di Milano

Comitato di redazione

Dario cottoneuniversità degli studi di Palermo

tiziana Basiricòuniversità degli studi di enna “Kore”

simona Bertorottauniversità degli studi di Palermo

giuseppe Borzellieriuniversità degli studi di Palermo

Fosca Miceliuniversità degli studi di Palermo

Dal Progetto alla costruzionealla città

la collana intende incentrare la sua attenzionesui processi legati al progetto ed alla costru-zione dell'architettura moderna nella città aifini anche della conservazione e recupero degliepisodi più si gnificativi.al suo interno sono pubblicati volumi svilup-pati e curati all’interno di gruppi di ricerca ap-partenenti al mondo universitario.la collana vuole essere il luogo della multidi-sciplinarietà ma avendo come fermo e precisopunto di riferimento il progetto (in tutte le suedeclinazioni) in quanto strumento di analisi emodificazione delle nostre città.Particolare attenzione sarà riservata alla conoscenza di protagonisti ed opere spessonoti solo agli studiosi locali.

Copyright © MMXIIARACNE editrice S.r.l.

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via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma

(06) 93781065

isbn 978–88–548–5523–6

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: ottobre 2012

Simona Bertorotta, Dario Cottone

Idee per una nuova città modernaConcorsi di architettura a Palermo

università degli studi di PalermoDipartimento di architetturaPubblicazione effettuata con fondidi ricerca Miur Prin 2008 resp. Professoressa silvia Pennisi

si ringraziano:il Prof. antonio cottone, l’ arch. aurora argiroffi per avere fornito gli elaborati sull’istitutonautico, il Dipl. ing. carolin clauss per aver fornito le ricostruzioni del grattacielo ina a Palermo,il Presidente dell’associazione salvare Palermo e al suo comitato scientifico, il Prof. arch. cesareajroldi e l’arch. la Padula per il materiale sul concorso per il Palazzo della regione siciliana, ilProf. nino Vicari per le preziose testimonianze nonché per avere concesso di riportare in questovolume alcune fotografie esposte alla mostra “Memoria del 9 maggio ‘43”, l’ing. Maria Pia accardo,l’ing. giovanna Vella ed elsa Marchello per il supporto informatico ed archivistico fornito dal-l’associazione archxarch, gli archh. Valentina Favaloro, Marzia casamento, alessandro Fonte el’ing. tiziana Basiricò con i quali condividiamo la passione per l’architettura, Francesco Pusateriper aver concesso la riproduzione di materiale fotografico dalla sua collezione, Bubù, alessandro,caterina, Marta per il loro supporto quotidiano. si ringrazia inoltre la Prof. ing. silvia Pennisi re-sponsabile dell’unità locale della ricerca Prin.un affettuoso pensiero va ai Proff. Benedetto colajanni e rosario la Duca per avere concessomateriali tratti dai loro archivi.

Dario cottone desidera ringraziare l’ing. simona Bertorotta, splendida e generosa compagna diquesto viaggio professionale.simona Bertorotta desidera ringraziare l’arch. Dario cottone, splendido e generoso compagnodi questo viaggio professionale. un ringraziamento inoltre ai nostri amati alessandro, caterina, Marta, elsa e Bubù.

in copertina:schizzi e vista prospetti del progetto vincitore del concorso per il Palazzo della regione siciliana

Alle nostre mamme

Dilegua, o notte! tramontate, stelle!tramontate, stelle!

all'alba vincerò!Vincerò! Vincerò!

g.Puccini. Turandotatto iii, scena i

Indice

i concorsi a Palermo ed il rapporto col moderno 11Cesare Ajroldi

la città delle idee. Simona Bertorotta 21

il concorso nazionale per la sistemazione urbanistico-edilizia 37del rione Villarosa. Simona Bertorottail progetto per il rione Villarosa tra rivestimento ed edificio alto. Dario Cottone 59

il concorso per l’istituto tecnico nautico 107e la scuola Professionale Marittima. Simona Bertorottal’istituto nautico ed il rapporto tra monumento e progetto. Dario Cottone 131

concorso nazionale per la “via del Porto”. Simona Bertorotta 149il fronte del porto. Dario Cottone 165

concorsi nazionali per la sistemazione urbanistico-ediliza del quartiere Monte di Pietà 173e per la sistemazione urbanistica del rione olivella. Simona Bertorottai concorsi per il Monte di Pietà e l’olivella e la passione per la tabula rasa. Dario Cottone 193

il concorso per il Palazzo della regione siciliana. Simona Bertorotta 209il concorso per il Palazzo della regione: dalle premesse sbagliate all’occasione mancata. Dario Cottone 227

l’architettura invisibile (o la Palermo che non c’è). Dario Cottone 249

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tuale e per la capacità di leggere e giudicarele architetture, e i progetti urbani, frutto diquei concorsi.

Mi sembrava interessante studiare un pe-riodo in cui una città, sconvolta dai bom-bardamenti, decide di usare lo strumentodel concorso per intervenire in alcune areein cui vi era più bisogno di ricostruire. inrealtà, a studio effettuato, ci si può rendereconto che, a parte una o due eccezioni, ilricorrere al concorso non aveva (non po-teva avere?) un effetto taumaturgico, equindi i risultati sono per lo più di un’ar-chitettura non esaltante, oppure di opera-zioni sostanzialmente poco condivisibilidal punto di vista del rapporto con il tes-suto urbano interessato.

credo ci sia da fare una premessa, che inqualche modo chiarisce quello che ho ap-pena detto, e si riferisce allo stato di avan-zamento della cultura architettonicapalermitana di quel periodo: anche se tuttociò vale fino a un certo punto, perchémolti sono i concorrenti e i vincitori nonpalermitani. sono convinto che, conpoche eccezioni, l’architettura a Palermonon avesse compiuto ancora del tutto una

I concorsi a Palermo e il rapporto col modernoCesare Ajroldi

l’idea di questo libro nasce da una riu-nione del comitato editoriale dell’ associa-zione salvare Palermo, che voleva trovaredei titoli per la sua collana. io proposi untesto sui concorsi a Palermo dell’imme-diato dopoguerra e di affidarne l’incaricoa Dario cottone, mediante una borsa distudio di non grande entità; ma poi la pos-sibilità di farlo entrare nella collana si èarenato per cause economiche, per cui illibro ha trovato, per fortuna, una strada di-versa.

Dario ha scelto sin da subito di coinvol-gere nella stesura del libro simona Berto-rotta, sensibile studiosa che già avevaintrapreso diverse ricerche concentratesulle architetture del dopoguerra, divi-dendo con lei i compiti, l’una interessan-dosi soprattutto dei fatti storici, l’altrodella lettura architettonica dei progetti. neè nato un libro molto interessante per laraccolta di materiale sparso o inedito e perla ricostruzione particolarmente attenta epuntigliosa degli avvenimenti che hannocondotto ai vari concorsi e quindi peresteso all’intero periodo interessato, da unlato; e dall’altro per una altrettanto attentae puntigliosa raccolta di materiale proget-

scelta chiara sulla modernità, e che ciòfosse il frutto del protrarsi a lungo del-l’imitazione dell’architettura di Basile, chedominò la scuola di architettura per unlungo periodo. Vedi per questo, anche seè di molti anni prima, l’articolo di enricocalandra sulla prima Mostra di architetturasiciliana del 1927, in cui accomuna quasitutti alla scuola di Basile, accusandoli dinon aver saputo continuare le qualità delmaestro (d’altra parte, la testimonianza diuno dei discepoli, giuseppe Vittorio ugo,che l’insegnamento di Basile consistesse inqualche maniera nell’ignorare il lavorodell’allievo, elaborando invece sulle tavoleche gli venivano presentate disegni che do-vevano costituire la traccia non modifica-bile del progetto didattico, dimostra che sitrattava quindi della imposizione di unprogetto in stile, lo stile del maestro).

Di tutto questo è in qualche modo con-ferma, anche se si tratta di lavori iniziatiprima della guerra e ripresi dopo le ostilità,la costruzione dei palazzi di giustizia diPalermo, di ernesto e gaetano rapisardi(1938-1953), e di catania, di Francesco Fi-chera (1937-1953)1. si tratta di architetturetipiche dell’epoca fascista, ed evidente-mente non dovette suscitare scandalo ilfatto che furono riprese in perfetta conti-nuità con le costruzioni iniziate.

così, il concorso del rione Villarosa, vintoe realizzato da un gruppo di scuola ro-mana, è composto di un’edilizia di media

qualità, anche se disposta con un certo or-dine; il fatto poi che la grande piazza anti-stante il grattacielo sia stata utilizzata comeparcheggio, mentre il progetto prevedevaun posteggio sotterraneo, certamente nonmigliora la situazione. Ma questo è pur-troppo uno dei caratteri costanti delle am-ministrazioni palermitane, in parteinterrotto solo negli ultimi tempi, incapacidi affrontare questo problema e cieche difronte al fatto che gli spazi sotterraneidegli edifici, destinati per regolamento aparcheggio, siano stati utilizzati per tutt’al-tro scopo. non può sorprendere quindi lanotizia di questi ultimi giorni che Palermosia una delle quattro città del mondo con il trafficopiù caotico.

così il concorso della sede della regionenasce da un presupposto assai poco con-divisibile, quello di concentrare un grandecomplesso in un nodo urbano centralis-simo e molto delicato per la presenza delteatro Politeama (ancora il problema deiparcheggi!) e per il fatto di ignorare com-pletamente la presenza di architetture chedovevano essere distrutte, come l’ospiziodi Beneficenza di carlo giachery, che,anche se mutilato ancora oggi, potrebbe edovrebbe essere restaurato: è di pochi annifa un concorso, anche se privato e quindisenza pretese di realizzazione, che ha peròdimostrato questa possibilità. inoltre lapresenza di una torre molto alta destinataagli uffici ha posto per quasi tutti i progettiil problema non risolto del rapporto con

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il teatro. solo pochi gruppi, come si leggenel testo, sono riusciti ad affrontare questoproblema in modo “non violento”, po-nendo ad esempio la torre in senso orto-gonale e non parallelo al teatro, e nonponendosi così come presenza incom-bente e fuori scala.

invece, un concorso che ebbe un esito po-sitivo, anche se non fu colto come tale al-l’epoca della sua realizzazione, è quellodell’istituto nautico, vinto dal gruppo gui-dato da giuseppe spatrisano, ma il cui ri-sultato architettonico, a mia conoscenza,è soprattutto frutto dell’opera di antonioBonafede. il libro ricostruisce con la solitaprecisione e abbondanza di particolari lacomplessa storia del concorso, con le mo-difiche intervenute tra il progetto vincitoree la sua realizzazione; e ricostruisce anchela poca fortuna che ebbe l’edificio, ancheda parte dei più significativi commenta-tori.

oltre ai giudizi sostanzialmente negativi,temperati soltanto in parte dalla parzialecorrispondenza tra il progetto originario ela costruzione realizzata, di caracciolo, in-zerillo e Pirrone riportati nel testo, si puòaggiungere una valutazione abbastanza si-mile data da giuseppe samonà e il suogruppo (nel caso Francesco De simone,estensore della scheda del contesto 6) nelPiano Programma del centro storico diPalermo. la scheda descrive la strutturametallica a forma di arco di cerchio, che

riprende quello della cala ed è posta a ri-dosso del mare, per riportare in forma em-blematica la geometria del vecchio porto,ricostituendo un’unità perduta con il crollodi un edificio quasi al centro della coronadi costruzioni che circondava la cala, da-vanti il palazzo delle Finanze di Palazzotto.Poi continua così:

«Un tratto di questa nuova struttura architetto-nica, che si prolunga anche con un nuovo serviziofino a escludere dalla visione diretta gli edifici del-l’Istituto Nautico, sarà interrotta in corrispon-denza del fianco della chiesa di S. Maria dellaCatena per formare uno spazio dignitoso a questogioiello quattrocentesco».

« Il Piano prevede inoltre che l’Istituto «nel latoEst e Sud-Est deve essere rifatto nei paramentiesterni mediante un intonaco bianco liscio che ri-porti sulla superficie dei reperti architettonici dellazona (...) »2 .

l’atteggiamento di samonà, evidente-mente non positivo nei confronti dell’isti-tuto, può essere compreso, riportando inpoche parole l’interpretazione che ne hodato3 , da un costante rifiuto, in pratica intutta la sua opera e nei suoi scritti, del pu-rismo, che lo ha portato a criticare conforza il notissimo saggio di loos Orna-mento e delitto. Questo avviene in favore del-l’uso della decorazione, secondo luicomplemento indispensabile dell’architet-tura di tutti i tempi (vedi anche la distin-zione operata da antonio Monestiroli neLa metopa e il triglifo 4 tra ornamento e de-

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corazione, quest’ultima considerata com-ponente essenziale dell’architettura).

Questi giudizi vengono sostanzialmenteribaltati, pochi anni dopo, da claudia con-forti, che ne fa anzi un esempio di inseri-mento positivo nel centro storico(ricordiamo, tra l’altro, anche se esula dallanostra trattazione, che nella stessa piazza,e sempre a causa dei bombardamenti del1943, è stato realizzato in pannelli di ce-mento armato a vista, nel 1967-74, un si-gnificativo edificio dei BBPr, il palazzoamoroso, che viene configurato seguendola sinuosità della curva della piazza):

[…]« il quasi sconosciuto istituto nautico di Pa-lermo (1948-1960) di un gruppo di progettistipalermitani dimostra con un nitore cristallino, chericorda le opere dei milanesi Mario Asnago eClaudio Vender, la feconda compatibilità tra edi-lizia nuova e città antica»5.

espressioni altrettanto positive sono ri-portate nella recente guida di Matteo ian-nello e glenda scolaro, a testimonianza

che i giudizi su un’opera possono sostan-zialmente mutare in pochi anni6.

si tratta quindi di uno dei pochi edifici pa-lermitani, forse l’unico, presente nei testia diffusione nazionale. su questo edificio,consci della sua qualità, è stata svolta unatesi, comprendente un progetto, da auroraargiroffi (citata nella bibliografia del capi-tolo e alcune tavole della quale sono com-prese nel testo) nel Dottorato diProgettazione architettonica con sede aPalermo, di cui sono stato da alcuni anni,fino a questo, coordinatore. Per illustrarnele caratteristiche, mi interessa partire dalruolo della teoria nel progetto, dalla scien-tificità della progettazione, ritenendo chequesto sia un campo che contraddistinguel’architettura italiana, e quindi il suo ruolonel contesto internazionale.

il dottorato di Palermo infatti, da oltredieci anni, ha posto al centro del suo inte-resse una elaborazione sulla scienza del pro-getto, proponendo la stesura di un progetto,e la sua scrittura, come tema per i dotto-

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L’Istituto Nautico dal testo di Claudia Conforti Roma, Napoli,la Sicilia, cit.

Aurora Argiroffi, prospettiva del progetto dell’ingresso con infondo la scultura di piazza del Cavalluccio marino.

randi. in questo modo ha operato unascelta esplicita nel senso di individuare ilprogetto non solo come oggetto, ma comestrumento di ricerca: si tratta di una que-stione centrale per i Dottorati in Proget-tazione o composizione architettonica.l’operazione che abbiamo compiuto per-mette di individuare la peculiarità di unDottorato in Progettazione (o composi-zione) architettonica, tuttavia comportanaturalmente dei problemi, riassumibilinella possibilità di considerare il progettoun’operazione scientifica.

su questo tema emergono posizioni di-verse, ma ci interessano quelle che ammet-tono la necessità del riconoscimento dellaesistenza di uno statuto disciplinare dell’ar-chitettura7 . Questo mi sembra sia, e debbaessere, un punto necessario di riferimento,in quanto la scuola, e la scuola italiana inparticolare, anche attraverso i dottorati,può in questo modo esprimere una sceltadi fondo, quasi come un momento rico-noscibile di resistenza contro una deriva

della nostra disciplina, tendente a divenireun puro atto artistico.

nel caso del nostro Dottorato, da circa

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Aurora Argiroffi, prospetto del loggiato con l’inizio del percorsoche lo collega all’edificio.t.

Aurora Argiroffi (dalla tesi di dottorato in Progettazione Archi-tettonica, tutor C. Ajroldi, co-tutor X. Monteys, 2008), spaccato

prospettico della sistemazione del loggiato e del nuovo corpo terraz-zato sul mare

otto anni ci occupiamo di progetti di re-stauro del moderno, tema attraverso il qualeritengo possa darsi una risposta alle posi-zioni prima citate, e dare anche una rispo-sta alla necessità che il prodotto deldottorato abbia una connotazione scienti-fica.

nel caso del restauro del moderno, infatti,il riferirsi a casi conclamati, a veri e proprimonumenti della contemporaneità, consentedi porsi in relazione con un sistema di regole:diviene esplicito come lo studio di questiedifici non possa prescindere da una ana-lisi delle fasi di formazione del progetto,da una indagine che assume con nettezzai caratteri della obiettività e della trasmis-sibilità. il progetto di architettura si configura intal modo come risultato scientifico, analiz-zabile in termini scientifici, dando con-creta risposta alla definizione di progettocome strumento di conoscenza, emersa nella fe-conda fase dell’elaborazione, soprattuttoitaliana, che ha condotto alla profonda tra-sformazione delle Facoltà da scuola a ca-rattere professionale a luogo di riflessioneculturale sulla disciplina e i suoi fonda-menti.

Fatte queste premesse, la tesi di auroraargiroffi ha affrontato il tema riferendosiad alcune regole di tipo urbano, ripristi-nando il rapporto, presente nel progettooriginario e poi perduto con l’intrusionedi pilastri e altri impedimenti nel percorso

centrale dell’edificio, tra il cassaro e lacala; e ripristinando, sia pure con formediverse, la pensilina che circondava l’edifi-cio all’altezza circa del primo piano, chepermetteva un percorso dai resti del log-giato alla conclusione dell’istituto verso lachiesa della catena, per costituire un col-legamento e permettere la vista del mare.Dal punto di vista architettonico, in parti-colare, oltre ad alcune scelte che riguar-dano posizione e forma delle scale, hamodificato il fronte sul mare, il punto piùdebole del progetto allo stato attuale, conuna serie di terrazze digradanti verso laquota dell’acqua, ha sostituito il recentecorpo di fabbrica, di qualità discutibile,contenente le scale che collega il corpo delloggiato, ha riprogettato la parte bassa (ri-fatta) del loggiato e ha ridisegnato gli in-fissi di questo, realizzati in metallo consezioni molto pesanti, adottando una so-luzione leggera ed elegante (non ha toltola brutta pensilina sul cassaro perché nonera stata ancora realizzata).

È questo un esempio di come dovrebbeessere riconosciuta importanza all’archi-tettura moderna e contemporanea, oggiassolutamente sconosciuta, e anzi vista inblocco come un fatto negativo, usando aproposito di ogni intervento lo stupidotermine “cementificazione” che tende aomologare interventi completamente di-versi tra loro.

Per quanto riguarda gli interventi di di-

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mensioni maggiori, e quindi provvisti diun carattere più specificamente urbano(anche se gli altri già trattati lo sono, siapure in maniera diversa tra essi per la gran-dezza e il luogo interessato), io sono piut-tosto interessato dal risultato del concorsodel fronte a mare, per il tentativo, riuscito,di dare un ordine a un tema architettonicocosì complesso, come si legge nel frontepresentato nel libro, attraverso l’uso di unporticato uguale per tutti gli edifici e l’ipo-tesi di un collegamento a una certa quotatra le varie costruzioni. certo, come è inparte riportato nel testo, il porticato nonfa parte della tradizione palermitana, ed èforse troppo alto; la via crispi diviene unulteriore elemento di divisione tra la città

e il porto; la realizzazione degli edifici èstata assolutamente frammentaria e quindiil porticato rappresenta l’unico elementounificante; il porticato stesso non è riu-scito a diventare un punto di aggrega-zione. tuttavia, il risultato del concorsoforniva spunti interessanti che si sono ingran parte perduti (tra l’altro esiste un pro-getto di giuseppe samonà, secondo la te-stimonianza di alberto, che è di altaqualità, per le due torri su via emericoamari, che dovevano costituire secondo ilprogetto di concorso la porta della città, eche sono collegate da un corpo posto alterzo livello; il progetto è riportato erro-neamente come palazzo a genova-sam-pierdarena)8.

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Giuseppe Samonà, progetto dei due edifici alti su via EmericoAmari, nel fronte del porto (1949?)

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in verticale, e visivi attraverso vuoti in oriz-zontale, con la via crispi e il resto dellacittà, per assicurare finalmente un verorapporto con il mare che, come è scrittonel libro, è sempre mancato (l’immaginepresentata è frutto della capacità di Dariocottone).

sui due concorsi all’interno del centro sto-rico, olivella e Monte di Pietà, non in-tendo entrare nel dettaglio dei vari progettiné degli edifici previsti. Va detto, come neltesto, che si tratta di operazioni che simuovono nel solco di una tradizione con-solidata nella storia urbanistica palermi-tana, dal Piano giarrusso (1885) in poi,per giungere all’infausto Piano del 1962:piani sostanzialmente di sventramento,con la salvaguardia di alcuni monumentifondamentali e la sostituzione dell’ediliziaminore con un’edilizia moderna.

il progetto vincitore del concorso delMonte di Pietà riprende l’idea del Pianogiarrusso di tagliare in quattro il quartiereattraverso due larghe vie, idea respinta net-tamente da zevi; quello vincitore dell’oli-vella propone due grattacieli che simettano in confronto con quello del-l’ina, al rione Villarosa.

i due concorsi non furono realizzati, peruna serie di opposizioni prestigiose e permotivi economici.

ci vorrà una svolta radicale nella conce-zione dell’inserimento del moderno nei

anche io mi sono misurato in qualchemodo con questo tema, come capogruppo(del gruppo faceva parte anche Dario cot-tone) in un concorso sul waterfront di Pa-lermo. abbiamo progettato unacostruzione unica, con l’obiettivo, ugualea quello del concorso del porto, di dare unordine a un grande edificio che si presentacome l’affaccio sul mare della città, ilprimo che si vede venendo dal mare. È unedificio molto semplice con un’alta strut-tura trilitica che fuoriesce lievemente dalfronte, e che ingloba i non pochi, piccolie disordinati edifici che ci sono attual-mente; la struttura copre anche gli edificipiù grandi, con l’ipotesi che siano in fu-turo demoliti e ricostruiti secondo l’ordinedato dal progetto. Quest’ordine unico siinterrompe soltanto davanti ai due edificialti su via emerico amari, per confermareil ruolo di porta della città.

a differenza del concorso del porto, però,il progetto si propone di trovare una seriedi collegamenti, reali attraverso aperture

Cesare Ajroldi con Gianluca Burgio, Dario Cottone, StefaniaFilì, Giuseppe Rotolo, concorso per il waterfront di palermo(2004), prospettiva dell’edificio principale

centri storici, che avverrà molti anni dopo,con il Piano Programma: che metterà alprimo posto la conservazione dell’ediliziaminuta (l’edilizia elencale) in quanto carat-teristica unica del centro antico, interve-nendo con interventi contemporanei solonei vuoti. Purtroppo il Piano è stato sosti-tuito dal Piano Particolareggiato, che vietaogni intervento contemporaneo all’in-terno del centro. ancora una volta, Pa-lermo resta in grave ritardo conl’appuntamento col moderno; accade an-cora una volta, come questo libro dimo-stra con grande ricchezza di particolari,con intelligenza, sensibilità e competenzanon comuni.

Note

1 c. conforti, Roma, Napoli, la Sicilia, in Storia dell’ar-chitettura italiana – Il secondo Novecento (a cura di Fran-cesco Dal co), Milano 1997.2scheda del contesto 6 (a cura di F. De simone) delPiano Programma, in «Progettare», supplemento aln.1, 1985.3c. ajroldi, La Sicilia i sogni le città. Giuseppe Samonà ela ricerca dell’architettura, Padova 2012.4a. Monestiroli, La metopa e il triglifo, roma-Bari2002.5c. conforti, Roma, Napoli, la Sicilia,6cit. M. iannello, g. scolaro, Palermo. Guida all’ar-chitettura del ‘900, Palermo 2009.7 Vedi la posizione di giorgio grassi, secondo cui ilcorpus della disciplina è rappresentato dalle archi-tetture, costruite o progettate.8 in giuseppe samonà 1923-1975 cinquant’anni diarchitetture), roma 1975.

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della città di Palermo, assume un aspettosorprendente, legato ad una sorta di para-dosso spazio-temporale: dove in diversicentri storici di città italiane i disastri dellaguerra possono essere solo immaginati ericordati, mediante l’ausilio di racconti,vecchie immagini o studi specifici, mentrei nefasti effetti della ricostruzione fannomostra di sé nei terribilmente uniformi e- troppo - facilmente identificabili inter-venti del dopoguerra, a Palermo le rovinedella guerra, gli squarci, le macerie, sonoancora in vista all’interno del centro sto-rico3, mentre i “nuovi” edifici nati a sanarei vuoti lasciati dalla guerra possono soloessere immaginati per raffronto con le po-chissime realizzazioni effettuate nel suocentro ed in misura massiccia al di fuori diesso, o mediante l’osservazione dei nume-rosissimi progetti per esso redatti e rimastiinattuati a questa inerzia operativa, che porta consé l’aspetto assolutamente positivo diavere impedito che l’architettura “mo-derna”, ancora acerba in molte parti d’ita-lia e nell’isola in modo più rilevante, sisostituisse allo stratificato tessuto storicodella città di Palermo, non corrispose, in-fatti, affatto un’inerzia programmatica,come dimostra un’intensa attività incenti-

La città delle idee

È stato detto, da più parti ed in diversitempi, come i danni causati dai bombar-damenti della seconda guerra mondialealle città italiane, siano un’inezia se para-gonati a quelli attribuibili agli “…scompigliaccademici perpetrati in questi ultimi anni nel cen-tro di tante nostre pazienti città, duramente pro-vate dalla speciosa mania degli sventramentiedilizi, dei rifacimenti urbanistici e delle famige-rate zone monumentali…”1. la frase, pronunciata nell’immediato do-poguerra, porta con sè una penetrante ve-rità, pienamente cosciente nei confrontidegli avvenimenti passati, quasi premoni-trice nei confronti di quelli futuri. glisventramenti portati avanti in molti centristorici delle città italiane nei primi decennidel novecento, in nome di una malintesalogica del risanamento o, peggio, di mo-numentalità, non sarebbero, infatti, statinulla se paragonati agli enormi squarci evuoti lasciati dalla guerra, ma ancora menosarebbero se paragonati alle selvagge rico-struzioni, spesso avvenute sotto la spintadi una nascente “imprenditoria” lasciata li-bera di proliferare senza alcun freno, chefosse esso burocratico, legislativo o, ancormeno, etico.Quest’ultimo paragone tra distruzioni e ri-costruzioni2, riportato alla specifica realtà

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scere i contenuti vivificanti dell’architet-tura razionalista che in altre parti d’italiasi era invece già sviluppata prima dellaguerra, venendo poi bruscamente inter-rotta. a Palermo, infatti, conclusasi non damolto la stagione della “belle èpoque”, carat-terizzata dalle architetture liberty di ernestoBasile e dei suoi allievi, dura a morire e chesi andava sempre più involvendo negli“…ultimi contorcimenti del declinante periodo flo-reale…”4, portati a compendio dei già tarditentativi a sfondo eclettico apparsi nelloscorcio ultimo dell’ottocento e nel primodecennio del novecento, si cominciava asentire il bisogno di un ritorno a forme piùsobrie, orientate verso manifestazioni clas-sicheggianti che trovarono piena attua-zione nelle realizzazioni del regime.sebbene con differenti intenti, più legatiall’esigenza rappresentativa di una ritro-vata “romanità imperiale” infatti, l’archi-tettura di regime si impose, sia da unpunto di vista architettonico che urbani-stico, aspetti profondamente interrelati.così, il punto di vista architettonico si ma-nifestò con il massiccio impiego di rivesti-menti marmorei, pilastrate, portici, adissimulare in tutto la concezione struttu-rale degli edifici, letteralmente “masche-rata”, sovrastando quei, seppur timidi esparuti, nascenti esperimenti sull’abbina-mento di cemento armato e pietra di rive-stimento concretizzatisi intorno agli annitrenta, e che sarebbero stati ripresi neltentativo di recuperare i caratteri dell’ar-

vata dalla redazione, nell’immediato dopo-guerra, di numerosi concorsi di architet-tura-urbanistica, giustificare in alcuni casidal risanamento delle distruzioni di interitessuti urbani da parte delle bombe.gli anni che vanno dal 1947 al 1953, ve-dono, dunque, un momento di fruttuosostudio, legato al dibattito sulle ricostru-zioni delle città devastate dalla guerra. sitrattò, al di là degli esiti, di una ventata ri-generatrice, responsabile e ad un temposintomatica del rinnovarsi delle coscienzeurbanistiche e che l’impiego dell’istitutodel concorso aprì al benefico effetto diuna “coralità”, che non poteva che essereauspicabile e promotrice di un tentativo disprovincializzazione. letteralmente entusiastico fu infatti l’at-teggiamento davanti a tutti i propositi car-tacei che riempirono pagine e pagine dellastampa dell’epoca. un simile atteggia-mento andava ricercato probabilmentenella fiducia che i cittadini e soprattutto laclasse dei tecnici, nutrivano nei confrontidella nuova architettura, vista come mezzoper una rinascita sociale oltre che econo-mica, tutta proiettata verso nuove costru-zioni piuttosto che sul recupero dellepreesistenti, quasi sempre luoghi di po-vertà e degrado dai quali solo in questomodo si aveva una prospettiva di uscire.D’altra parte le massicce distruzioni belli-che in città, non vengono ad interromperequasi alcun dibattito culturale in merito adun’architettura, connotata ancora da un’ar-retratezza che non le aveva fatto cono-

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fine, quello per la costruzione del Palazzodella regione siciliana del 1954 (fig.1).l’istituto del concorso, rientrò trasversal-mente anche nello stesso Piano di rico-struzione, per la cui redazione, sirecuperarono le carenze in esso indottedalla limitatezza di tempo, sfruttando glistudi urbanistici effettuati sulla città, chedi pochi anni lo precedettero e che permi-sero una pianificazione inserita in unoschema organico generale. nel 1939venne, infatti, bandito un concorso per ilpiano regolatore della città di Palermo,che, sebbene non ebbe alcuna influenzadiretta sulla vita urbanistica della città,diede il via alla redazione del P.r.g. del1944, che si era realizzato riunendo “…lemigliori soluzioni dei gruppi vincitori…da fon-dere…in un unico progetto attraverso un unicoconcetto informatore in una collaborazione fra idetti gruppi e l’Ufficio Tecnico del Comune…”7,ma i cui propositi la guerra aveva brusca-mente interrotto.Dunque il piano generale, di cui il Pianodi ricostruzione doveva costituire lo stru-mento attuativo, avendo validità di PianoParticolareggiato, che secondo la legge diriferimento doveva essere “…anche se nondisegnato intravisto e, almeno nelle sue linee fon-damentali, concepito e brevemente illustrato nellarelazione…”8 era a Palermo effettivamentestato già studiato dagli uffici tecnici, daiconcorrenti, quasi tutti locali, che parteci-parono al concorso nazionale del 1939,dalla commissione esaminatrice e dalla cit-tadinanza stessa, che attraverso la stampa

chitettura vernacolare locale nei primi in-terventi dell’ina-casa e di edilizia pub-blica (Facoltà di agraria, primi blocchidella Facoltà di ingegneria).il punto di vista urbanistico risentì pari-menti delle influenze del regime, nellostravolgimento del tessuto edilizio preesi-stente, col risultato della demolizioni di in-teri rioni, che distrussero secoli distratificazioni storiche di irripetibile signi-ficato, che si andavano ad aggiungere aglisventramenti già attuati dal comune5, sug-gellando in tal modo uno sviluppo dellacittà verso nord, in zone ritenute più salu-bri, che andavano oltre le scacchiere dimatrice ottocentesca che avevano già tra-valicato da tempo la cinta muraria cinque-centesca.È questo, in estrema sintesi, il quadro cul-turale da cui prende le mosse la ricostru-zione post-bellica, il cui punto di partenzaè, inevitabilmente, la redazione del Pianodi ricostruzione, approvato nel 19476 .alla sua redazione seguirono, nel brevis-simo arco temporale di sei anni, a testimo-niare il momento di fermento architettonicoche vide nella ricostruzione edilizia le pos-sibilità per una rinascita in senso ben piùampio, il concorso per la realizzazione delrione Villarosa (1947), quello per la rea-lizzazione dell’istituto tecnico nautico ela scuola Professionale Marittima (1948),per la cosiddetta Via del Porto (1949) e,dopo una brevissima battuta d’arresto, iconcorsi per la sistemazione dei rioni oli-vella e Monte di Pietà (1953), nonché, in-

correva “…ridurre…al minimo i divieti di ri-costruzione ed eliminare al massimo le necessitàdi demolizioni che verrebbero ad aggiungersi alledistruzioni prodotte dalla guerra…”9. in altreparole l’entità delle distruzioni avrebbedovuto indurre alla determinazione del-l’indirizzo fondamentale per l’imposta-zione del progetto che doveva scegliere trale tre soluzioni previste dalla circolarestessa, che vedevano una ricostruzionedell’abitato entro il perimetro esistente, in

e le opposizioni presentate, aveva larga-mente discusso le soluzioni adottate. ciò di cui evidentemente gli studi ad essoprecedenti non poterono tenere contoerano le mutate situazioni venutesi a crearea seguito dei danni provocati dai bombar-damenti, ovvero l’alterazione della consi-stenza demografica dell’abitato urbano ele distruzioni causate ad interi brani dicittà. l’esame di questi ultimi dati avrebbedovuto orientare le nuove previsioni. oc-

Cartografia OMIRA (1939) con indicazione delle aree oggetto diconcorso

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sarebbero impadronite delle strade, to-gliendo ai pedoni il diritto di una città piùa misura d’uomo. al di là della grande viabilità12, delle viecentripete esterne radiali dal centro storicoverso altre direzioni13, quello che si ritienepiù opportuno mettere in evidenza ai finidello studio è la previsione della viabilitàinterna al centro storico cittadino ed allesue immediate adiacenze, in quanto inparte interessanti le zone di lì a poco fatteoggetto di concorso e, soprattutto, inquanto rispondenti all’unica logica dellosmaltimento del traffico veicolare senzaalcun rispetto dello stratificato tessuto sto-rico. non si pensò mai (come d’altra partenon lo si pensa oggi!) di chiudere anche separzialmente il centro storico all’accessodei mezzi, ma lo si “affettò” con regolariincisioni, per consentire ed agevolare lapenetrazione in tutti i luoghi. si trattava di strade che avrebbero dovutointersecare il centro, in tutto cinque, duedelle quali aventi la direzione monte-maredell’antico cassaro e le restanti tre dellequali, di ausilio all’attraversamento nordsud della città, ovvero, grossomodo, aventila direzione della via Maqueda. si voleva,in altre parole, potenziare il sistema deicollegamenti nella direzione ortogonale aquella monte-mare, meno naturale per lacittà nata sul cassaro, antica strada di at-traversamento che dal Palazzo reale con-duceva alla insenatura naturale della cala,fiancheggiata dai due torrenti, poi interrati,del Kemonia e del Papireto. la nuova di-

parte entro il preesistente e in parte al difuori di esso, o interamente al di fuori. era inoltre raccomandato che nel primodei casi soprattutto, l’individuazione delcarattere del centro urbano dovesse costi-tuire “…norma per la ricostruzione…”10. sipuò affermare senza dubbio che per Pa-lermo la ricostruzione, programmata inbuona parte entro il perimetro abitato edin parte al di fuori, venne poi effettiva-mente condotta tutta al di fuori di esso,determinando l’avvio di quel processo disvuotamento del centro storico, che appa-riva, paradossalmente, abbandonato ma adun tempo sovraffollato, del quale la cittàha pagato e paga tutt’ora le conseguenze.si può con la stessa certezza affermare chele caratteristiche dell’abitato, nei pochi casidi ricostruzioni intra-moenia, non venneroaffatto rispettate, nè in merito alle volume-trie, raddoppiate, nella migliore delle ipo-tesi, nè agli allineamenti, né, ancora, alprecipuo carattere dell’architettura locale. Delle cinque necessità essenziali indivi-duate dal Piano, “…traffico, risanamento, am-pliamento, valorizzazione delle bellezze artistiche,storiche, naturali e delle esigenze del turismo,verde…”11 quella maggiormente sviluppata,almeno in linea teorica fu quella relativa alsistema viario (fig. 2). D’altra parte la que-stione del traffico, nonostante la quasinulla diffusione delle automobili al tempo,sembrava preoccupare, tanto da divenireuno dei maggiori problemi che opprimevala popolazione, ancora impreparata alla in-vasione delle automobili che di lì a poco si

tagliando quattro “mandamenti” nella cittàbastionata14; ed ancora l’ottocentesco ta-glio “risanatorio” della via roma, con an-damento pressoché parallelo alla predettastorica seicentesca strada, di matrice haus-smaniana, che doveva collegare la stazioneferroviaria al porto ed al nuovo centrodella città rappresentato dalla settecente-sca via regalmici e dai due teatri, Massimo

rezione di attraversamento, contrariaanche ai benefici effetti climatici, aveva già“violentato” l’antico sistema viario ed edi-lizio cittadino, in ben due occasioni: il sei-centesco taglio della via Maqueda,rispondente all’esigenza della rappresenta-tività, all’incrocio della quale, con il cas-saro venne realizzata la scenograficapiazza Villena (detta il teatro del sole), ri-

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Cartografia dei primi anni ‘50 con indicazione delle principalilinee di penetrazione definite dal Piano di Ricostruzione per il centro antico

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sicce, ed interessavano anche edifici mo-numentali, tanto da poterla paragonare aun vero e proprio sventramento. accantoa questa, ultima delle tre strade con anda-mento nord-sud, era la “piccola sussidia-ria”, che avrebbe dovuto attraversare imandamenti Monte di Pietà e Palazzoreale, nella porzione a monte della viaMaqueda ed a valle della “grande sussidia-ria”. le due strade che dovevano servire di au-silio all’attraversamento del centro storicodella città nella direzione monte-mare,erano invece il prolungamento della vianapoli, che si voleva riallacciare al prece-dente intervento di risanamento del rioneconceria, ad essa prospiciente, e la nuovavia attraverso i mandamenti tribunali ePalazzo reale. Quest’ultima, partendo dapiazza Kalsa, proseguendo per la Magionefino al palazzo ajutamicristo, attraversava“…a baionetta…”16 la via Maqueda fino asboccare nel corso tukory in corrispon-denza di Porta di castro. il risultato sa-rebbe stato un’ulteriore suddivisione deiquattro mandamenti della città ora in quat-tro, ora in sei, ora in otto parti.Per la previsione di tutte queste strade,aventi come già detto il carattere di veri epropri sventramenti, non seguì un’inte-grale realizzazione, risparmiando la distru-zione di secoli di storia e di arte, in nomedi un’inerzia operativa e dell’individua-zione di interessi più forti nell’espansioneverso nord che si sarebbe realizzata neglianni successivi, più che del rispetto per i

e Politeama, che dopo l’unità d’italia vi sierano collocati alle estremità.Delle tre strade previste dal piano nellasuddetta direzione, la più importante, inparte attuata, era un tratto dell’attraversa-mento di grande viabilità della via delPorto, la cui necessità era talmente evi-dente da essere indistintamente prevista datutti i gruppi partecipanti al concorso del1939, con tracciato quasi identico. la suarealizzazione nel tratto che sta all’internodel centro storico e della prima espansionenord venne enormemente facilitata dallemassicce demolizioni che la guerra avevaperpetrato in quei luoghi limitrofi al ber-sagliato porto della città, ed avvenne perlo più come si dirà in seguito col sistemadel “comparto edilizio”. il tratto cheavrebbe dovuto tagliare il mandamentotribunali, lambendo Piazza Marina, finoad arrivare alla piazza sant’euno per il vi-colo del Pappagallo, ne vide un’interru-zione, corrispondente ad un cospicuorestringimento, che fortunatamente, penala perdita di importanti testimonianze ar-chitettoniche, rimase tale. un ulteriore au-silio allo smaltimento del traffico in questosenso, venne dato dalla previsione della“grande sussidiaria”, la cosiddetta “terzavia” (la prima era, per l’appunto, la via Ma-queda, seicentesca e la seconda, la viaroma realizzata a cavallo tra i due secoli)strada avente “…andamento pressochè simme-trico a via Roma rispetto all’asse della via Ma-queda…”15, per la realizzazione della qualele demolizioni da effettuare erano mas-

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dosi si ripetevano, tutti con caratteri fon-diari di alta intensività, tutti proiettati versouna modernità intesa unicamente come ilsoddisfacimento di una maggiore praticità.ancora tutti frutto di progetti nei quali unconsistente arco temporale intercorre trala realizzazione e la progettazione, il checontribuisce a rendere “vecchi” progetti,probabilmente già di per sé non troppoavanguardistici. D’altra parte, i parteci-panti, molti dei quali accostavano alla pro-fessione di ingegnere o architettol’aspirazione ad una carriera universitaria,ciò che probabilmente consentiva loro diimpegnarsi intellettualmente in una formadi lavoro, il concorso di idee, che per suanatura ha esito incerto, prospettiva di nonampi guadagni, spesso non molto lontanida un più o meno generoso “rimborsospese”, mostrarono quasi tutti singolari ca-pacità nella curata ed abile rappresenta-zione dei progetti, con l’occhio attuale,viziato da avvenieristiche - fredde - visualicomputerizzate, ancor maggiormente ap-prezzabile; in tal modo, e si comprendemaggiormente l’entusiasmo della stampa,soprattutto locale, molti architetti ebberomodo di rivelarsi grandi disegnatori, pa-droni di ogni buona tecnica e capaci dicreare delle tavole che, in non pochi casi,costituivano di per sé stesse delle opered’arte. Fu, infatti, in buona parte questofelice aspetto rappresentativo dei concorsiche fece incontrare il consenso generaledistraendo l’attenzione dai reali esiti che inalcuni casi erano lo specchio di espressioni

monumenti del centro storico. in effettisolo le previsioni del piano che riguarda-vano le realizzazioni fuori del centro, ven-nero quasi tutte attuate. il piano, sebbenesi connotasse per un prevalente tratta-mento dell’assetto viario, aveva con séun’idea certamente positiva, poi larga-mente disattesa, che consisteva nella sceltadi “…vincolare a verde alcuni dei maggiori parchiprivati che circondavano le ville della nobiltà pa-lermitana, già inglobati o tangenti all’espansioneurbana e di prevederne di nuovi di nuovi desti-nando a verde notevoli porzioni di fondi agri-coli...”17. i concorsi che andremo ad esaminare,quasi sempre dal respiro urbanistico, inquanto interessanti interi contesti urbani,si intrecciano indissolubilmente con leprevisioni degli squarci viari previsti dalpiano. gli stessi, inoltre, redatti in tempi di pocosuccessivi gli uni agli altri, sebbene nonfrutto di un disegno unitario, si influenza-rono tra di loro, in quanto ricadenti inzone spesso limitrofe, segnate dalle stessedirettrici e tutte collocate nei due Manda-menti Monte di Pietà e castellammare, anord rispetto allo spartiacque del cassaroe ancora più alla loro destra, tutti proiettativerso la prima espansione ottocentescadella città. Ma oltre all’aspetto della vici-nanza geografica, altri tratti accomunanoi concorsi: tutti figli della politica dellosventramento, tutti contenenti all’interodei gruppi partecipanti gli stessi nomi, diprogettisti per lo più locali, che permutan-

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dere a nuove realizzazioni già comunquepensate e programmate, meno impegna-tive e costose delle singole, pazienti, ope-razioni di ricucitura che si sarebberopotute operare a sanare i vuoti bellici.l’area dell’ospizio di Beneficenza, sololievemente danneggiato dalle bombe eperfettamente recuperabile, dà il via adun’ampia operazione di esproprio perpubblica utilità, che non solo non sanavaalcun danno bellico, ma non sanava nem-meno situazioni di inabitabilità e degrado,essendo collocata nella ariosa e razionalemaglia viaria dell’espansione regalmicea.ed ancora il rione Villarosa, la cui realiz-zazione si connotò come un’operazionedal carattere altamente speculativo chenon consentì altro se non l’arricchimentodei vari soggetti pubblici e privati coinvoltinella sua costruzione. unici concorsi a ri-spondere al reale intento di riparare aidanni della guerra, sono quelli per la rea-lizzazione dell’istituto nautico ed, inparte, per la realizzazione della via delporto, entrambi conclusisi però col falli-mento dell’obbiettivo per i quali eranopensati: l’inserimento di un organismo an-tico in una nuova costruzione, fallita com-pletamente nella separazione dei due corpiche avrebbero dovuto costituire un unicocomplesso a carattere rappresentativo, perquanto riguarda la scuola marittima; lacreazione di una “palazzata” che potessedegnamente rappresentare il nuovo teatroMarittimo e di un degno ingresso alla cittàper chi proveniva dal porto, da confron-

di superficiale monumentalità. a quantodetto si aggiungevano ancora le difficoltàburocratiche, legate ai processi spesso in-voluti degli organi di controllo, costituitida professionisti che avevano molto ope-rato nel periodo precedente, in massimaparte incapaci di comprendere nuovi lin-guaggi e nuove tendenze dell’architetturae dell’urbanistica, che con il loro inter-vento, a concorso esitato, contribuivanospesso all’impoverimento dei contenuti deiprogetti riportandoli tenacemente al supe-rato linguaggio di eredità fascista. l’esamesincronico dei concorsi analizzati, effet-tuato oggi alla distanza di oltre mezzo se-colo, mostra una serie di caratteri comuniche portano a trarre delle considerazioniancora aperte. anche quando demagogi-camente vestiti da questo ruolo, sono inrealtà quasi tutti concorsi nati con l’intentodi risanare o ricostruire, ma non ai dannidella guerra. il rione olivella e Monte diPietà erano infatti certamente stati colpitiduramente, come tutto il centro storico,dalle bombe, ma la logica in essi proposta,esula dalla volontà di riparare ai danni bel-lici. ne è la riprova l’esame dei progettipresentati al concorso del 1939 per la re-dazione del P.r.g. di Palermo e del suc-cessivo piano di ricostruzione, cheripropongono gli stessi concetti riassumi-bili nel termine “sventramento”, pur es-sendo stati programmati in tempi econdizioni storiche del tutto diversi. ledemolizioni perpetrate dalla guerra costi-tuiscono, dunque, uno spunto per proce-

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tare con l’esistente cortina posta oltre laPorta Felice, risoltosi nella realizzazione diuno schema architettonico ripetuto, nem-meno in maniera compatta, ed interrottosoltanto da due edifici a torre vestiti dipomposa monumentalità. certamenteoggi differenti sono le coscienze, sensibi-lizzate dai vari dettami delle teorie del re-stauro espresse sui singoli edificimonumentali e dagli studi sui centri storicivisti come insiemi da tutelare nel loro in-tero; differente è inoltre l’atteggiamentonei confronti dei vuoti da risanare, es-sendo le amarezze causate dalle distruzionidella guerra ben lontane da ogni forma didesiderio di rivalsa o di risarcimento emo-tivo. le motivazioni che spinsero nel do-poguerra ad una pianificazione cosìirrispettosa e violenta vanno viste con unocchio maggiormente benevolo, quandonon mosse unicamente da fini di lucro.Probabilmente la realizzazione dei propo-siti dei concorsi, se fosse avvenuta, nonavrebbe determinato né lo svuotamentodel centro storico, né lo sviluppo selvaggioavvenuto al di fuori di esso, che portò aquello che fu definito il “sacco di Pa-lermo”. Parecchie e controverse possonoessere le argomentazioni in questione, maoggi, osservando il centro storico, sebbeneancora lacerato in molte sue parti, pos-siamo, forse, essere grati di avere scongiu-rato la peggiore delle sorti che una cittàpossa augurarsi.