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INDUSTRIA DELLA RAFFINAZIONE:

ASPETTI GENERALI

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1.1.1 Scopi della raffinazione

Il complesso delle lavorazioni eseguite sul greggio perottenere la gamma di prodotti desiderati viene definito,genericamente, raffinazione del greggio; le raffinerie sonodi conseguenza gli stabilimenti industriali dove si svol-gono queste lavorazioni. Nella accezione originaria il ter-mine era più rispondente al significato di procedimentoatto a depurare una materia prima (o prodotto grezzo), perrenderla più idonea all’utilizzo. In passato, infatti, dalpetrolio si otteneva, per distillazione ed eventuale tratta-mento chimico, un solo prodotto: il petrolio illuminante(cherosene). Queste operazioni, di impegno tecnologicomodesto, costituivano appunto la raffinazione. Successi-vamente il termine raffinazione è stato usato per definirel’insieme delle attività tecnologiche sempre più comples-se svolte per ottenere dagli oli grezzi minerali una seriedi prodotti intermedi e di prodotti commerciali; per la mag-gior parte degli usi pratici non sono richiesti compostipuri, ma miscele aventi definite caratteristiche merceolo-giche. In altre parole, le caratteristiche di questi prodottivengono definite più dall’idoneità all’impiego pratico chedalla composizione chimica. Ciò conferisce all’industriadella raffinazione un certo margine di elasticità, non per-messo a chi, come l’industria petrolchimica, produce com-posti puri di formula definita.

I prodotti della raffinazione possono essere raggrup-pati in alcune classi principali: a) combustibili industria-li e domestici (gasoli, oli combustibili, Gas di PetrolioLiquefatto o GPL); b) carburanti per autotrazione (benzi-ne, diesel, cherosene, GPL); c) basi per l’industria chimi-ca e petrolchimica (virgin naphtha, GPL, olefine); d) altriprodotti (oli lubrificanti, bitumi, paraffine, solventi, zolfo).

La tendenza all’integrazione con l’industria petrol-chimica a valle ha portato determinati processi tipici diquest’ultima all’interno delle raffinerie, cosicché pos-sono esistere produzioni aggiuntive di idrogeno, MTBE(metil ter-butiletere) e olefine.

1.1.2 Sviluppo storico dell’industriadella raffinazione

Le prime raffinerie e i loro prodotti Tradizionalmente, il 1859 viene indicato come anno

di nascita della moderna industria petrolifera, con rife-rimento alla scoperta del giacimento di Titusville, inPennsylvania, a opera del colonnello Edwin Laurenti-ne Drake. Il punto di partenza può però essere antici-pato al 1855 quando Benjamin Silliman jr., un profes-sore di chimica della Yale University, dopo aver analiz-zato un campione di greggio, scrive una lungimiranterelazione che così si conclude: «Questo materiale puòdar luogo, mediante procedimenti semplici e poco costo-si, a prodotti di grande utilità e valore. I miei esperi-menti hanno provato che può essere lavorato pressochétotalmente senza scarti, tramite uno dei più sempliciprocessi chimici (cioè la distillazione)». Silliman dimo-stra inoltre, sperimentalmente, che una frazione del petro-lio è particolarmente adatta per l’uso nelle lampadeFranklin, in sostituzione dell’olio di balena, il cui prez-zo è divenuto molto elevato. La relazione dà impulso auna serie di iniziative e ricerche, coronate da successoanche grazie alla tenacia del colonnello Drake, che ini-zia a impiegare nella ricerca del petrolio la tecnica dellaperforazione a percussione.

Questo avvenimento non sarebbe stato così decisivoe di importanza storica se non ci fosse stato il contribu-to della qualità del greggio della Pennsylvania: paraffi-nico, leggero, pressoché privo di zolfo, ricco della fra-zione cherosene e capace di dare buoni lubrificanti.

Negli Stati Uniti, dopo la scoperta di Drake, lo svi-luppo dell’attività estrattiva e di raffinazione è rapidis-simo. Verso la fine del 1870 esiste già una fiorente indu-stria petrolifera, con circa 150 raffinerie; la maggiore diesse impiega 200 operai per lavorare circa 12.000 t/a digreggio al fine di produrre, soprattutto, petrolio illumi-nante. L’operazione principale delle prime raffinerie è la

3VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

1.1

Struttura e schemi

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distillazione, realizzata dapprima in caldaie a forma dicaciotta (cheese box) e successivamente in modo semi-continuo mediante batterie di distillatori orizzontali (shellstills; Giavarini, 1989). I distillatori sono collegati inserie, con il residuo che passa dall’uno all’altro, così dapoter separare via via le frazioni più pesanti; nei tipi piùsofisticati si preriscalda il greggio, recuperando caloredai prodotti che escono caldi.

Il petrolio illuminante viene dapprima trattato conacido solforico e poi con soda caustica per rimuoverel’acido stesso; è quindi lavato con acqua. Spesso lo siridistilla con vapore vivo e lo si tratta con terre decolo-ranti, per renderlo bianco e inodore come l’olio di bale-na e di qualità superiore all’olio di carbone o di scisto,che risulta maleodorante e fumoso. I vari tipi di petrolioilluminante vengono denotati in base al colore e all’o-dore (Prime White, Standard White, Straw Color, ecc.).

Si comincia a vendere, come lubrificante, anche ilresiduo della distillazione, senza trattamento o dopo trat-tamento con acido solforico (bright stock). I lubrifican-ti ottenuti dal greggio della Pennsylvania hanno caratte-ristiche abbastanza buone e si affermano nonostante larudimentale tecnica di raffinazione.

Verso la fine del 19° secolo Herman Frash, noto peraver rivoluzionato il mercato dello zolfo con il suo inno-vativo processo di estrazione, ha un’idea che permettedi allargare notevolmente la gamma dei greggi lavora-bili, prima ristretta a quelli con bassissimo contenuto dizolfo: mediante l’impiego di ossido di rame riesce ad‘addolcire’ la frazione impiegata per l’olio illuminantee ottiene un prodotto che non emette odori sgradevolidurante la combustione. Nello stesso periodo si registraanche il timido inizio della combustione dei residui ‘lun-ghi’ di distillazione, in impianti industriali fissi o per lapropulsione navale; la diffusione di questi combustibilisarà comunque molto lenta.

Sempre alla fine del 19° secolo, le due rivoluziona-rie invenzioni di Thomas Edison e di Gottlieb Daimlere Carl Benz cominciano a far sentire la loro influenzaanche nel mondo del petrolio dando l’avvio a una nuovaera. Negli Stati Uniti, Edison ha messo a punto un nuovosistema di illuminazione: la lampadina elettrica. In Ger-mania, Daimler e Benz hanno applicato con successo, avari veicoli, il loro motore a combustione interna.

A cavallo del 20° secolo la richiesta di petrolio illu-minante cala quindi drasticamente e cresce vertiginosa-mente quella di benzina. Vengono intensificate le ricer-che e si perforano nuovi pozzi; contemporaneamenteperò si cerca un sistema per ottenere più benzina dalgreggio. Il concetto è chiaro: è necessario rompere lemolecole dei componenti più pesanti per produrre i costi-tuenti leggeri della benzina.

Ricercatori inglesi hanno osservato che calore e pres-sione influenzano le reazioni di cracking. Compaiono iprimi brevetti, ma le realizzazioni pratiche incontrano

difficoltà: se si surriscalda il residuo della distillazionesi ottiene soprattutto coke. È a questo punto che entra inscena un altro chimico dotato di immaginazione e gran-de costanza, lo statunitense William M. Burton, che nel1911 riesce a mettere a punto il processo di cracking.Non è stato facile: più di due anni di prove, rese com-plicate dalla necessità di lavorare ad alta temperatura ealta pressione, quando la chiodatura è ancora il sistemapiù affidabile per unire le lamiere.

A causa di problemi di finanziamento, Burton vedeinstallati i suoi reattori (alti ben 9 metri) solo nel 1913e dimostra subito che si può raddoppiare la quantità dibenzina ottenibile da un barile di greggio, a spese deidistillati pesanti. È una grande svolta per l’industriapetrolifera. Si comprende subito che le innovazioni tec-nologiche nel settore sono altamente remunerative, ilche porta a sviluppare una ricerca più organizzata esistematica. Giova ricordare che i primi impianti Bur-ton-Clarke utilizzavano, nel forno di processo, carbo-ne su griglia mobile.

Il primo decennio del 20° secolo non porta grandinovità, se si eccettua l’uso dei primi forni a tubi, che faci-litano la diffusione della distillazione continua; tali fornirappresentano un notevole progresso tecnologico in quan-to consentono un controllo del riscaldamento del greg-gio. La tecnica costruttiva deriva da quella delle caldaiea vapore. Per la loro applicazione diffusa occorrerà peròattendere ancora molti anni.

Le basi della moderna industria della raffinazioneIl secondo decennio del Novecento risulta decisivo

per il decollo definitivo della moderna industria dellaraffinazione, soprattutto in Europa. La crescente diffu-sione dell’automobile porta all’installazione sempre piùcapillare dei distributori di carburante. Si diffondonoanche le applicazioni dei motori diesel, comunque limi-tati per il momento agli impianti fissi e ai motori nava-li. La Prima Guerra Mondiale dimostra l’utilità del tra-sporto motorizzato e registra anche il primo vero impie-go bellico dell’aeroplano; già negli anni precedenti erastato facile prevedere un incremento del fabbisogno dicarburanti, accentuato dal fatto che molti nuovi giaci-menti (per esempio, Messico 1907, Iran 1908) non pre-sentavano la stessa qualità e le stesse rese dei primi greg-gi della Pennsylvania.

Un inconveniente del processo Burton è la fortedeposizione di carbone, che costringe a fermare e apulire l’impianto dopo qualche ora di funzionamento;il processo va quindi ulteriormente perfezionato. A ciòsi dedica un altro famoso pioniere della industria petro-lifera: lo statunitense Carbon Petroleum Dubbs, raroesempio di perfetta coerenza tra nome e attività svol-ta. Con il padre James, Dubbs fa parte di un formida-bile gruppo di tecnici che fonderà la prima vera societàdi processo del settore (la attuale UOP, Universal Oil

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Products). Il padre ha messo a punto, e applicato nel1912, un semplice processo per separare il petrolio dal-l’acqua emulsionata che spesso contiene: basta riscal-darlo in serpentini e poi inviarlo alla separazione. Dubbsapplica l’idea al cracking: scalda la carica in un fornoa serpentino e poi la invia in una camera dove si rea-lizza il cracking; il carbone si deposita in tale camera,che può essere by-passata e pulita (fig. 1). Il processoè ora veramente continuo; si possono inoltre riciclarei prodotti non convertiti. L’impianto è pronto nel 1919e diventa subito un gigantesco affare, tanto è vero chele società petrolifere più interessate preferiranno acqui-stare direttamente la società di Dubbs anziché pagarele altissime royalty.

L’idea di preriscaldare il greggio in forni tubolariviene finalmente applicata alla distillazione; la primacolonna di frazionamento di tipo moderno entrerà peròin funzione solo nel 1928. Le innovazioni dei Dubbssegnano probabilmente l’inizio della moderna industriadella raffinazione.

All’introduzione del cracking di Dubbs segue undecennio (1920-30) di continuo sviluppo: vengono per-fezionate le tecnologie di distillazione; compare ladistillazione sotto vuoto per aumentare la resa in distil-lati e per produrre bitume; viene introdotto il proces-so di reforming termico che, alimentato con frazionidi benzina, ne migliora il numero di ottano e quindi laqualità. Anche altri processi termici, come il visbreakinge il coking, possono considerarsi derivati dallo sche-ma base di Dubbs. In questi stessi anni inizia, semprenegli Stati Uniti, anche la produzione del piombo tetrae-tile usato come additivo antidetonante per le benzine(Giavarini, 1990).

L’Europa non è estranea allo sviluppo delle tecno-logie nel campo del petrolio: basti pensare agli impian-ti di distillazione Bormann, al processo di idrogena-zione Bergius, ai processi di raffinazione degli oli mine-rali e così via. Senza poi contare i numerosi tecnicieuropei che lavorano in molte società statunitensi diprocesso e di raffinazione. Dal punto di vista industrialee strategico, però, l’Europa accusa, ancora nella secon-

da decade del Novecento, qualche défaillance. Duran-te la Prima Guerra Mondiale gli Imperi centrali posso-no fare affidamento su una buona struttura di raffina-zione e su sufficienti risorse petrolifere: la Gran Bre-tagna può contare su rifornimenti dall’Oriente e laRussia, pur povera di organizzazione e tecnologia, dispo-ne di vaste risorse. La Francia e l’Italia sono le piùimpreparate e devono essere rifornite, durante la guer-ra, dagli Stati Uniti.

L’avvento dei processi cataliticiÈ noto che i catalizzatori sono sostanze in grado di

accelerare selettivamente le reazioni chimiche e, quin-di, di indirizzare nel senso voluto determinati proces-si chimici.

I primi processi di conversione dell’industria petroli-fera (come visto di tipo termico) erano poco efficienti dalpunto di vista delle rese specifiche e davano notevoli quan-tità di sottoprodotti. Il cracking termico in particolare mani-festa tutti i suoi limiti già agli inizi degli anni Trenta del20° secolo; tali limiti diventano evidenti verso la metà deldecennio, quando si cominciano ad avvertire i segni pre-monitori della guerra: gli squadroni di caccia da combat-timento, con motori sempre più perfezionati, richiedonograndi quantità di benzina ad altissimo numero di ottano;già si intuisce che chi avrà l’aviazione più efficiente si tro-verà avvantaggiato in un eventuale conflitto. I Tedeschi,ricchi di carbone, seguono la via (catalitica) di produrrecarburanti a partire appunto dal carbone.

Nell’industria della raffinazione i tempi sono matu-ri per la nascita del ‘re dei processi’: il cracking catali-tico. Pochi eventi nella storia dell’industria hanno inci-so così profondamente come l’introduzione di questoprocesso, seguita immediatamente dalla trasformazionedi molti altri processi petroliferi in processi catalitici.L’avvento del cracking catalitico, legato al nome di Eugè-ne Houdry, segna la fine della fase dei grandi inventori;in seguito gli sviluppi (molti e importanti) saranno sem-pre meno frutto di iniziative individuali.

Houdry, ingegnere di origine francese, lavora su unprocesso catalitico che permette di produrre più benzi-

5VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

STRUTTURA E SCHEMI

forno

condensatore

alimentazionepompe e valvoledi controllo

deflammatore

estrazione residuo

estrazioneresiduo

linea dei vapori

alimentazione freddaal deflammatore

ritorno al forno

al frazionatoresotto pressione

vapori di olio

accesso peril decoking

cam

era

dire

azio

ne

vapore

fig. 1. Schema della prima unità Dubbs di cracking termico (Aalund, 1977).

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na e di qualità migliore. Per tre anni prova tutti i possi-bili catalizzatori e scopre che i materiali a base di sili-cato di alluminio, come certe argille arrostite, funziona-no. Sul catalizzatore però si deposita uno strato carbo-nioso proveniente dalla pirolisi degli idrocarburi; Houdryrisolve anche questo problema, bruciando il carbone ericiclando il catalizzatore. Non riuscendo però ad attua-re a livello industriale la propria idea in Europa, parteper gli Stati Uniti dove, grazie al finanziamento di unacompagnia petrolifera, crea la Houdry Process Corpo-ration. Nel 1937 viene avviata la prima unità e quando,nel 1939, scoppia la guerra, gli Stati Uniti possiedonogià 12 unità di cracking catalitico.

Anche il processo catalitico di alchilazione vienemesso a punto contemporaneamente in Gran Bretagna enegli Stati Uniti alla fine degli anni Trenta: combinan-do tra loro idrocarburi leggeri, non altrimenti utilizzatinelle benzine, l’alchilazione permette di produrre ben-zina avio con eccezionali caratteristiche.

I primi processi di cracking catalitico sono ciclici, concatalizzatore disposto in reattori a letto fisso, e danno moltiproblemi. È la Houdry stessa a mettere a punto il primoprocesso a letto mobile. Quasi contemporaneamente, nel1942-43, nasce il processo a letto fluido, che costituisceuna ulteriore formidabile innovazione tecnologica.

Le funzioni del cracking sono soprattutto quantita-tive: scopo principale è, come visto, quello di aumen-tare le rese in benzina. Il reforming serve invece a in-nalzare il numero di ottano della benzina o a produr-re aromatici. Il precursore del reforming catalitico èl’hydroforming che usa un catalizzatore a base di molib-deno e che, durante la Seconda Guerra Mondiale, for-nisce agli Stati Uniti il toluene necessario alla produ-zione del trinitrotoluene.

Il primo processo moderno di reforming catalitico perbenzine, con catalizzatore a base di platino, è del 1949 esegna l’immediato abbandono del reforming termico.

Il processo catalitico mette a disposizione, come pre-ziosi sottoprodotti, notevoli quantità di idrogeno; ciò per-mette lo sviluppo di processi catalitici di desolforazio-ne basati sull’impiego dell’idrogeno (idrodesolforazio-ne), consentendo di mettere in commercio prodotti piùrispondenti alla crescente sensibilità ecologica.

Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale la capa-cità mondiale di raffinazione raggiunge i 354 milioni ditonnellate annue, due terzi dei quali negli USA. Nel Due-mila tale capacità è aumentata di dieci volte, ripartita suoltre 700 raffinerie.

Ambiente e risparmio energetico negli sviluppipiù recenti dell’industria della raffinazione

Nella seconda metà del 20° secolo l’industria dellaraffinazione viene interessata da due importanti fasi ditrasformazione che, pur non stravolgendone l’assetto,danno un notevole contributo all’evoluzione dei pro-

cessi e delle tecnologie. La prima di tali fasi interessasoprattutto il decennio 1970-80, a seguito della primacosiddetta crisi petrolifera (1973) che pone fine a unlungo periodo di ‘petrolio facile’ (vale a dire a prezzicontenuti). La risposta dell’industria è quella di razio-nalizzare tutti i processi (soprattutto la distillazione)che comportano un forte consumo di energia, al fine diridurre sostanzialmente i consumi tramite un più accu-rato recupero energetico (ottimizzazione dello scam-bio termico tra correnti effluenti e greggio entrante).La razionalizzazione riguarda anche un miglior sfrut-tamento della capacità dei singoli stabilimenti e la chiu-sura di quelli tecnologicamente ed energeticamentemeno efficienti.

La seconda fase di trasformazione, caratteristicadegli ultimi due decenni del secolo 20° e del primo del-l’attuale millennio, è soprattutto caratterizzata da inter-venti dettati da fattori ambientali (Giavarini, 1993). Essipossono così riassumersi: a) riduzione del residuo, cioèdel ‘fondo del barile’ e quindi dei prodotti neri (oli com-bustibili), con conseguente aumento dei prodotti distil-lati, soprattutto gasolio e diesel; b) riduzione semprepiù spinta dello zolfo nei combustibili da un lato, enecessità di desolforare una maggior quantità di pro-dotti dall’altro, quale conseguenza dell’aumento deidistillati medi; c) eliminazione del piombo nelle ben-zine; d) riduzione dei composti aromatici, soprattuttobenzene, nei carburanti.

Il primo obiettivo viene parzialmente ottenuto nelmedio termine in alcuni paesi rivitalizzando i vecchi pro-cessi di visbreaking, opportunamente adattati alle nuoveesigenze. La soluzione più razionale, anche se non la piùeconomica, passa però attraverso l’installazione di pro-cessi di conversione catalitica con idrogeno (hydro-cracking), serviti da appositi impianti per la produzionedell’idrogeno. In alcuni paesi vengono introdotti pro-cessi di gassificazione dei residui, con cogenerazione dienergia elettrica.

Le concomitanti esigenze di trattare più distillatie di desolforare più a fondo (fino a 10 ppm o meno)taluni prodotti hanno come conseguenza un decisoincremento della unità di desolforazione spinta. L’in-crementata capacità di desolforazione fa aumentare ilfabbisogno di idrogeno, richiesto in quantità superio-re rispetto a quella fornita (come prezioso sottopro-dotto) dalle unità di reforming catalitico. La maggiorquantità di solfuro di idrogeno prodotta dalla desolfo-razione fa altresì aumentare, come conseguenza, ilnumero di impianti per la trasformazione di tale gasin zolfo.

Nascono anche unità di mild hydrocraking, tramiteesasperazione del processo di idrodesolforazione.

L’eliminazione del piombo nelle benzine porta asostanziali modifiche tecniche del processo di reformingcatalitico, che opera ora a pressioni molto basse e con

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catalizzatori più attivi. Viene introdotto, praticamente intutte le raffinerie, il processo di isomerizzazione dellefrazioni C5-C6, nella sua versione ad alta efficienza diconversione.

I processi di cracking catalitico si evolvono anchein senso qualitativo, per produrre benzine con più altonumero di ottano. Il contenuto di benzene viene rego-lato mediante processi di separazione e conversioneidrogenante. La necessità di impiegare, in alcuni cicli,MTBE fa sì che alcune raffinerie si dotino di impiantiper produrlo.

Negli ultimi decenni, l’industria della raffinazioneha beneficiato del forte sviluppo di metodologie quan-titative (modelli delle reazioni, cinetiche, ingegneria dellereazioni, automazione e controllo, ecc.) che hanno per-messo di migliorare decisamente il controllo dei processie la qualità dei prodotti. Grazie alle proprie caratteristi-che di flessibilità e rapido adattamento, l’industria dellaraffinazione è stata sempre in grado di rispondere allenumerose esigenze di qualità e alle variazioni delladomanda.

1.1.3 Schemi di raffinazione

Una raffineria è uno stabilimento complesso costitui-to da varie componenti (v. par. 1.1.4). La parte più impor-tante e caratteristica è costituita dagli impianti, o unitàdi processo, che concorrono alla raffinazione del greg-gio. I vari processi possono essere suddivisi nelle seguen-ti tipologie: a) unità di separazione, che ottengono dalpetrolio greggio le diverse frazioni (intermedi) desti-nate, in genere, a successive lavorazioni; tale separa-zione è ottenuta soprattutto tramite processi di distil-lazione e altri processi di tipo fisico; b) unità di con-versione (cracking) delle frazioni pesanti in frazionipiù leggere, al fine di aumentare la resa in determina-ti prodotti (per esempio, benzina); c) unità per miglio-rare la qualità di alcune frazioni (o ‘tagli’), medianteazioni sulla composizione chimica dei loro costituen-ti; d) unità per la rimozione di componenti indesidera-ti (per esempio, zolfo); e) unità per la produzione deglioli lubrificanti (presenti solo in un numero limitato diraffinerie).

Le unità di miscelazione (blending) dei vari tagli edi additivazione, che concorrono alla definizione dei pro-dotti finiti commerciali, non sono in genere considera-te unità di processo in senso stretto.

Unità di separazioneLe più importanti e diffuse unità di separazione fisi-

ca sono quelle di distillazione. Tutte le raffinerie pos-siedono almeno una unità di distillazione atmosferica(distillazione primaria o topping) che suddivide il greg-gio in varie frazioni con diverso intervallo di ebollizio-

ne. Concettualmente semplice, trattandosi di una sepa-razione fisica elementare, l’unità è complessa dal puntodi vista impiantistico, in quanto comprende tutta unaserie di recuperi termici e ingloba anche la dissalazionedel greggio; essa è l’unica unità che tratta tutto il petro-lio di alimentazione ed è quindi importante anche dalpunto di vista delle dimensioni.

Generalmente, alla distillazione atmosferica fa segui-to la distillazione sotto vuoto (vacuum), al fine di recupe-rare dal residuo del topping (ottenuto a circa 350-380 °C)ulteriori distillati, senza incrementare le temperature;infatti, a più alte temperature, si avrebbe la rottura incon-trollata (cracking) delle molecole degli idrocarburi piùpesanti.

Tra le unità di separazione è possibile annovera-re anche i processi di deasphalting che estraggonomediante solventi (paraffine leggere) gli idrocarburinon asfaltenici dai residui della distillazione sotto vuoto;il residuo non solubile è costituito da un prodotto soli-do o semisolido ricco di asfalteni, metalli, sali e sedi-menti.

Mediante altri processi di separazione (‘lavaggio’con ammine o altri solventi) si estrae solfuro di idro-geno (H2S) dai gas di raffineria per poi inviarlo all’im-pianto per la produzione dello zolfo. Vari processi diseparazione con solventi riguardano anche gli olilubrificanti.

Unità di conversioneNon tutte le raffinerie sono dotate di unità di con-

versione; tradizionalmente, infatti, esse venivano suddi-vise in raffinerie a ciclo semplice e raffinerie di conver-sione, con riferimento soprattutto agli impianti di crackingcatalitico.

La conversione può essere di tipo solo termico eriguardare i residui della distillazione (unità di visbreaking,di coking) o i distillati (thermal cracking). La vera con-versione riguarda però soprattutto gli impianti cataliticidi cracking, tradizionalmente impiegati per trattare le fra-zioni più pesanti ottenute dalla distillazione sotto vuoto(ma in parte anche i residui), e di hydrocracking. Svi-luppati in origine per trattare distillati paraffinici pesan-ti, gli impianti di hydrocracking possono oggi venire ali-mentati con residui (hydroconversion); tali residui pos-sono anche venire usati come oli combustibili o, se adatti,come bitumi. La minor richiesta di olio combustibile hafatto sviluppare speciali processi di deep conversion, basa-ti sul cracking dei residui in presenza di idrogeno, per laproduzione di distillati con ridotto contenuto di zolfo.

In tempi più recenti la drastica conversione in gasdei residui è stata ottenuta anche mediante l’introdu-zione di processi di gassificazione (ossidazione par-ziale) basati su una tecnologia applicata in precedenzaai combustibili solidi: in presenza di vapore e di ossi-geno, gli idrocarburi pesanti vengono trasformati in

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STRUTTURA E SCHEMI

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idrogeno e ossido di carbonio che, opportunamentedepurati, vengono anche impiegati come combustibileper la produzione di energia elettrica, esportabile al difuori della raffineria.

Unità per migliorare la qualità dei distillatiLa prima e più nota unità di questo tipo è quella di

reforming catalitico, nata per migliorare il numero diottano delle frazioni più pesanti della benzina (virginnaphtha pesante) mediante incremento degli idrocarbu-ri aromatici e di tipo isoparaffinico.

L’unità di isomerizzazione, invece, viene alimentatacon le frazioni paraffiniche di virgin naphtha leggera(soprattutto C5 e C6) per trasformarle in isoparaffine. Intaluni casi può essere applicata anche alle frazioni C4,soprattutto per preparare l’alimentazione agli impiantidi alchilazione.

L’unità di alchilazione, al contrario, tratta le frazio-ni olefiniche C3 e C4 provenienti dagli impianti di crackingtrasformandole, per reazione con isobutano, in compo-nenti C7 e C8 ramificati, ad alto numero di ottano.

Possono essere fatte rientrare in questa categoriaanche le unità di polimerizzazione (o meglio di dime-rizzazione od oligomerizzazione), che ricombinano sottoforma di idrocarburi liquidi determinate frazioni gasso-se di minor pregio, e quelle di eterificazione per la pro-duzione di componenti alto-ottanici (per esempio MTBEo ETBE, eteri metil o etil ter-butilici).

Unità per la rimozione dei componenti indesideratiIn genere, tutti i componenti del greggio non idro-

carburici in senso stretto (cioè formati da C e H) dannoproblemi sia di tipo ambientale sia relativi alla qualitàdei prodotti. Tali componenti includono i sali, i compo-sti solforati e azotati, i metalli. I sali sciolti nell’acqua

emulsionata con il petrolio vengono rimossi da una unitàdi dissalazione inserita nell’impianto di topping. Lo zolfo,presente in molecole a vario grado di complessità, vienerimosso mediante apposite unità di idrodesolforazione(HDS), che agiscono anche sulle molecole contenentiazoto, ossigeno e metalli pesanti.

Gli impianti di trattamento idrogenante (HDS) sonoi più diffusi nelle raffinerie: lo zolfo viene trasformatoin solfuro di idrogeno, che a sua volta viene convertitoa zolfo elementare in apposite unità (impianti tipo Claus).Determinate frazioni leggere, invece di essere trattatecon idrogeno, possono essere sottoposte ad altri proces-si per convertire i mercaptani in composti meno corro-sivi e odoriferi (unità tipo Merox); se i composti così for-mati non vengono rimossi, i processi vengono detti di‘addolcimento’ (sweetening).

Impianti per lubrificantiI lubrificanti sono tra i prodotti più sofisticati e ad

alto valore aggiunto della raffinazione. Considerataperò la minore domanda rispetto ad altri prodotti petro-liferi, essi vengono prodotti solo in un limitato nume-ro di raffinerie; per la produzione delle basi lubrifi-canti vengono impiegati alcuni tagli laterali e il resi-duo della distillazione sotto vuoto. Queste frazionivengono poi trattate in una serie di unità apposite alfine di migliorarne l’indice di viscosità, il comporta-mento a basse e ad alte temperature, il colore, la sta-bilità, ecc. La miscelazione e l’additivazione costitui-scono le fasi finali.

Molto spesso le basi per gli oli vengono cedute asocietà specializzate, esterne alla raffineria, che realiz-zano il prodotto finito. Sempre più diffusi sono gli olilubrificanti preparati a partire da basi sintetiche (v. capp.1.2, 8.1 e 8.2).

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ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

greggio

H2

H2

H2S

gas combustibile e GPL

gas combustibile e GPL

benzina leggera

benzina di reforming

zolfo

petrolio (cherosene)

gasoli

bitume/olio combustibile

olio combustibile

fig. 2. Schema di raffineriaa ciclo semplice(hydroskimming).

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Cicli di raffinazioneSe si escludono casi particolari di realtà dedicate, per

esempio, alla sola produzione di bitumi e di oli combu-stibili o di lubrificanti, gli schemi di raffinazione pos-sono essere di tipo semplice (hydroskimming) o di tipopiù complesso; in questa seconda tipologia possiamoincludere sia le raffinerie di conversione (termica e/ocatalitica) sia quelle più complesse di conversione spin-ta (deep conversion).

Pur tenendo presente che difficilmente esistono dueschemi uguali di raffinazione, si può tentare una suddi-visione nei seguenti cicli tipici: a) ciclo semplice (hydro-skimming); b) ciclo di conversione termica: schema convisbreaking (e thermal cracking) e schema con coking;c) ciclo di conversione catalitica: schema con cracking(FCC, Fluid Catalytic Cracking) e schema con hydro-cracking (HDC); d) ciclo di conversione spinta: schemacon idroconversione dei residui e schema con deasphal-

9VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

STRUTTURA E SCHEMI

greggio

H2

H2

H2S

gas combustibile e GPL

gas combustibile e GPL

benzina leggera

benzina di reforming

zolfo

petrolio (cherosene)

gasoli

gas combustibile e GPL

bitume/olio combustibile

olio combustibile

greggio

H2

H2

H2S

gas combustibile e GPL

gas combustibile e GPL

benzina leggera

benzina di reforming

zolfo

petrolio (cherosene)

gasoli

gas combustibile e GPL

bitume/olio combustibile

coke

olio combustibile

fig. 4. Ciclo di conversione termica con coking.

fig. 3. Ciclo di conversione termica con visbreakinge cracking termico.

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10 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

INDUSTRIA DELLA RAFFINAZIONE: ASPETTI GENERALI

greggio

H2

H2

H2S

gas combustibile e GPL

gas combustibile e GPL

benzina di cracking

benzina alchilata

oli ciclici di cracking

gas combustibile e GPL

benzina leggera

benzina di reforming

zolfo

petrolio (cherosene)

gasoli

olio combustibile

bitume

greggio

H2

H2

H2

H2S

gas combustibile e GPL

gas combustibile e GPL

benzina di hydrocracking

olio combustibile

gas combustibile e GPL

benzina leggera

benzina di reforming

zolfo

petrolio (cherosene)

gasoli

bitume

fig. 5. Ciclodi conversione cataliticacon FCCe alchilazione.

fig. 6. Ciclo di conversione cataliticacon hydrocracking.

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ting e gassificazione; e) produzione di lubrificanti. Glischemi di seguito rappresentati sono semplificati, peresigenze di spazio e di chiarezza.

Molte raffinerie ricadono in più di una tipologia; peresempio, possono essere dotate sia di visbreaking o dicoking sia di impianti di conversione catalitica (FCC,HDC).

Le raffinerie a ciclo semplice (fig. 2) sono tradizio-nalmente dotate di impianti di distillazione del greggio,di unità di desolforazione dei distillati e di impianti,soprattutto di reforming, per innalzare il numero di otta-no delle benzine. L’idrogeno per la idrodesolforazioneviene fornito dal reforming. In tempi più recenti, causala riduzione o la eliminazione degli additivi antideto-nanti, all’impianto di reforming è stato affiancato anchequello di isomerizzazione del taglio C5-C6. Nella secon-da metà del 20° secolo sono stati introdotti diffusamen-te anche gli impianti per trasformare in zolfo l’H2S pro-dotto dagli impianti di idrodesolforazione e separato inunità apposite. Una volta relativamente diffuso in Euro-pa e in vari paesi, questo ciclo è oggi raramente pratica-to in un paese industrializzato.

Il ciclo di conversione termica prevede, in aggiuntaagli impianti dello schema hydroskimming, l’inserimen-to di unità di visbreaking (più cracking termico) o di coking(figg. 3 e 4) che hanno costituito la prima generazione deiprocessi di conversione (v. capp. 5.1, 5.2 e 5.3). Ilvisbreaking (VB) e il coking hanno sempre mantenutouna certa importanza, data la loro capacità di trattare inmodo relativamente semplice ed economico i residui delladistillazione (atmosferica e, oggi, sotto vuoto). Il cokingin particolare può costituire il processo base anche per unaraffineria con conversione spinta, se si trova uno sboccoper il coke prodotto (combustione, vendita o gassifica-zione). Le rese, soprattutto nel caso del visbreaking, nonsono elevate, così come la qualità dei prodotti; si realizzacomunque un aumento dei distillati medi (nel caso delVB) o dei leggeri in genere (nel caso del coking) e la fles-sibilità operativa della raffineria ne viene avvantaggiata.Anche questo ciclo, comunque, non riesce, almeno nellaforma più semplice, a far fronte alle esigenze qualitativee ambientali di un moderno paese industrializzato.

Le raffinerie di conversione catalitica sono dotate,in aggiunta alle altre unità, degli impianti più tradizio-nali di conversione (v. capp. 6.1 e 6.2), soprattutto crackingcatalitico e/o hydrocracking (figg. 5 e 6). Il cracking cata-litico, o FCC, è stato fin dall’inizio più diffuso nel siste-ma di raffinazione statunitense rispetto a quello euro-peo. Molto spesso a valle dell’unità di cracking cataliti-co esiste l’impianto di alchilazione che impiega isottoprodotti gassosi dell’FCC. L’hydrocracking, cheimplica necessariamente la presenza di appositi impian-ti per la produzione di idrogeno (steam reforming), si èdiffuso successivamente e costituisce la base di molticicli moderni di raffinazione.

Le raffinerie a conversione spinta possiedonoimpianti di upgrading atti a convertire i residui per ren-derli più ecocompatibili e per massimizzare la produ-zione di distillati e prodotti leggeri. Tradizionalmentei processi di upgrading sono stati classificati nelle tipo-logie di riduzione del contenuto di carbonio (carbonrejecting) e di idrogenazione. Al primo tipo apparten-gono, oltre a coking e visbreaking, i processi di dea-sphalting con solvente. Al secondo tipo appartengonole varie versioni dei processi di idroconversione. In unacategoria a parte si collocano i processi di gassifica-zione tipo IGCC (Integrated Gasification CombinedCycle, v. cap. 7.3). Lo stesso processo di cracking cata-litico (FCC) può essere in parte alimentato con residui(v. cap. 6.1). La scelta del processo dipende dalle carat-teristiche del residuo da trattare: soprattutto viscositàe contenuto di contaminanti, come asfalteni e metalli(v. cap. 7.2).

Tra le varie configurazioni possibili, le figg. 7 e 8mostrano due possibili cicli di deep conversion. Lagassificazione può essere inserita anche a valle delcoking (v. ancora fig. 4) per utilizzare il coke prodot-to, o del visbreaking (v. ancora fig. 3) per gassificareil residuo (tar).

La produzione dei lubrificanti implica la presenza diapposite unità, normalmente in aggiunta a quelle pre-senti nei cicli precedenti. Come alimentazioni vengonoimpiegati distillati selezionati per ottimizzare qualità erese e per minimizzare i sottoprodotti.

Come già detto in precedenza, le basi tradizionali peri lubrificanti sono i prodotti della distillazione sotto vuoto,che vengono preliminarmente sottoposti a un processodi estrazione con solventi per separare gli aromatici e lecere paraffiniche. Anche il residuo può essere utilizza-to, previa separazione dei componenti asfaltenici.

I trattamenti con solvente possono essere sostituitida processi di idroraffinazione (per esempio, HDC, v.cap. 8.2), perfettamente integrati e già presenti in alcu-ni degli schemi di raffinazione considerati. Ciò per-mette di produrre basi per lubrificanti con buone resee di ottima qualità, pur partendo da greggi tradizional-mente non adatti.

La fig. 9 mostra uno schema integrato per la produzio-ne di oli, sia per estrazione con solvente sia mediante HDC.

Rapporto di conversione e indice di complessità di una raffineria

Il rapporto di conversione viene generalmente defi-nito come il rapporto tra la somma delle capacità dellesingole unità di conversione e la capacità dell’impiantodi distillazione atmosferica. Le unità di conversionevengono riferite al cracking catalitico tramite coeffi-cienti (equivalente FCC) che ‘pesano’ la capacità dellesingole unità di convertire prodotti pesanti in frazionipiù leggere e pregiate. Così, per esempio:

11VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

STRUTTURA E SCHEMI

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• FCC 1,00• VB 0,33• coking 1,70• hydroconversion 1,20• deep conversion 2,10

rapporto di conversione�capacità FCC�0,33 capacità VB�1,70 capacità coking� ...

�111111111111111111111144444444444444capacità di distillazione

L’indice o fattore di complessità di una raffineriaserve a dare una idea della struttura e del ‘valore’ di unaraffineria, in quanto tiene conto del costo di ogni impian-to riferito alla sua capacità produttiva unitaria; il tuttoriferito al costo per tonnellate di capacità dell’unità didistillazione. Così se una unità ha richiesto, per unità dicarica, un investimento cinque volte superiore a quellodel topping e però la sua capacità è 1/6 di quella del top-ping, l’indice di complessità parziale riferito a quel-l’unità sarà dato dal prodotto del coefficiente 5 per ilrapporto con la capacità del topping, e cioè:

indice di complessità = 5·1/6=0,84

A titolo di esempio, gli indici di complessità delreforming e del cracking catalitico sono rispettivamente3,4 e 7,2. L’indice globale di complessità di tutta laraffineria sarà la somma di tutti gli indici parziali dicomplessità.

Per dare un’idea dell’ordine di grandezza, una raffi-neria a ciclo semplice potrà avere un indice di comples-sità di 3-5; una di conversione con processi classici avràun indice pari a 7-9; una complessa avrà indice solita-mente superiore a 10.

La lavorazione del greggio comporta un consumo dienergia sotto forma di combustibili di vario tipo (gas diraffineria, metano, olio combustibile, coke); in altre paro-le, la raffineria consuma una certa quantità del greggio ali-mentato. Una percentuale minore è dovuta a perdite di variotipo (vaporizzazioni, perdite accidentali, sfiato di valvoledi sicurezza, ecc.). Ovviamente, più una raffineria è com-plessa e maggiori saranno i consumi e le perdite.

Lo schema della fig. 10, riferito a un ciclo di con-versione dotato di impianti FCC, alchilazione e hydro-cracking, oltre che di reforming e isomerizzazione, ripor-ta un’indicazione quantitativa di rese tipiche e consumidi lavorazione (Iadanza, 2004).

1.1.4 Struttura e complessità delle raffinerie

Le raffinerie, ovvero gli stabilimenti ove vengono rea-lizzate le lavorazioni sul petrolio greggio per ottenere lagamma di prodotti desiderati, sono realtà complesse costi-tuite da: a) una sequenza di unità di processo collegate

12 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

INDUSTRIA DELLA RAFFINAZIONE: ASPETTI GENERALI

greggio

H2

H2

H2

H2S

gas combustibile e GPL

gas combustibile e GPL

benzina di hydrocracking

olio combustibile

gas combustibile e GPL

benzina leggera

benzina di reforming

zolfo

gasoli

bitume

petrolio (cherosene)

fig. 7. Ciclo di deep conversion tramite processi di hydroconversion.

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secondo schemi di tipo diverso, come visto in prece-denza; b) servizi ausiliari, per generare e distribuire ener-gia elettrica, vapore, acqua depurata, aria compressa,azoto, combustibili per uso interno, ecc.; c) serbatoi per

il greggio, gli intermedi e i prodotti finiti; d) sistemi permovimentare il greggio, gli intermedi e i prodotti finiti.

All’inizio del Duemila esistevano globalmente circa730 raffinerie, con una capacità di lavorazione di circa

13VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

STRUTTURA E SCHEMI

greggio

H2

H2

H2

H2S

gas combustibile e GPL

gas combustibile e GPL

benzina di hydrocracking

olio combustibile

gas combustibile e GPL

benzina leggera

benzina di reforming

zolfo

petrolio (cherosene)

gasoli

energia elettrica

syngas

bitume

fig. 8. Ciclo di deep conversion con deasphalting(precipitazione di asfalteni con solvente) e gassificazione (IGCC).

residuo topping

paraffine

estratti aromatici

gas, naphtha, gasoli

asfalto

fig. 9. Ciclo integrato di produzione degli oli lubrificanti in una raffineria dotata di hydrocracking (HDC).

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4 miliardi di tonnellate di greggio. Le raffinerie vengo-no classificate in base alla potenzialità, espressa in t/a oin barili di greggio lavorato per giorno operativo (perpassare dalle prime ai secondi basta dividere per 50), ein base allo schema di lavorazione. Non esistono due raf-finerie che lavorino in modo del tutto identico; le diffe-renze sono determinate dalle condizioni di mercato deiprodotti e dalle caratteristiche della materia prima. Unaparte considerevole dello spazio è occupata dai serbatoidi stoccaggio del greggio (scorte d’obbligo), dei semi-lavorati e dei vari prodotti; l’area occorrente è quindimolto più estesa di quella necessaria per uno stabilimentochimico, anche per esigenze di sicurezza (distanze dirispetto).

Negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale ladisposizione planimetrica delle raffinerie risultava moltodiversa da quella attuale. A partire dalla metà del 20° seco-lo sono sorti stabilimenti caratterizzati da una maggiorefunzionalità, i cui concetti ispiratori sono: a) creazionedi una o più aree per i serbatoi separate dagli impianti;b) concezione unitaria del ciclo di lavorazione e dei suoiprevedibili sviluppi; c) raggruppamento degli impianti inun’unica zona, ma su varie aree, con un’unica sala di con-

trollo; d ) concentrazione della produzione di vapore e dienergia elettrica in un unico impianto; e) centralizzazio-ne dell’organizzazione di manutenzione; f ) concentra-zione dei sistemi di trattamento degli effluenti in siti appo-siti; g) predisposizione di aree di ampliamento e svilup-po, sia per gli impianti sia per i serbatoi.

La fig. 11 (Rumbold, 1971) mostra lo schema plani-metrico di una tipica raffineria della seconda metà delNovecento, per certi versi ancora attuale. Lo stabilimentoè suddiviso in ‘isole’, ognuna delle quali ospita uno opiù impianti; le isole sono separate da zone di rispettoche costituiscono un sistema viario essenziale per l’e-sercizio e la sicurezza degli impianti. I serbatoi sono rag-gruppati in zone separate. Se la raffineria è posta in rivaal mare, si avvantaggia della disponibilità di un pontiledi ormeggio per la ricezione e la spedizione.

Alcuni fondamentali criteri di progettazione deriva-no da normative e imposizioni legali, o da operazioni diunificazione. Così il tipo, la forma e le dimensioni modu-lari dei serbatoi sono normalizzati; le unità di processosono all’aperto, a eccezione di macchine e apparecchia-ture particolari, nonché strumenti di controllo a distan-za, raggruppati in un unico edificio (sala di controllo).

14 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

INDUSTRIA DELLA RAFFINAZIONE: ASPETTI GENERALI

GPL

distillati leggeriatmosferici(30-180 °C)

processisecondari(HDS/dewax)

processisecondari(HDC/FCCalchilazione)

cons. e perd.zolfo

cons. e perd.zolfo

cons. e perd.zolfo

1,22

16,90

miscelazioneGPL

GPL

virgin naphtha

benzinacommerciale

jet fuel

gasoli(di cuidiesel)

oli comb.

bitumi

zolfo

consumi

perdite

2,72

7,50

25,09

3,60

34,89

25,50

15,63

2,50

1,03

6,55

0,50

100,00

2,72

S zolfo 1,03

S consumi,perdite 7,05

miscelazionenaphtha 25,09

miscelazionecherosene egasoli(diesel + risc.)

38,49

miscelazioneoli comb.bitumi 15,63

2,50

33,63

8,194,863,33

3,010,07

1,100,58

1,240,38

distillati mediatmosferici(180-360 °C)

distillati pesantivacuum(360-550 °C)

residuo vacuum(� 550 °C)

consumi int. e perdite

1,5

7,5

21,2

35,3

18,0

14,8

1,7

processisecondari(isomerizzazione/reforming)

greggio(100%)

fig. 10. Rese tipiche di una raffineria di conversione (% di massa sul greggio).

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Gli scambiatori di calore, normalmente del tipo tubola-re a testa flottante, sono di lunghezza generalmente nor-malizzata, come sono unificati anche diametri, spesso-ri e flangiature delle tubazioni. Tutte le apparecchiatureelettriche sono di tipo antideflagrante. Gli scarichi gas-sosi che avvengono tramite le valvole di sicurezza sonoconvogliati alla fiaccola.

I concetti ispiratori precedentemente elencati sonoin linea di massima ancora validi; a essi sono stati aggiun-ti criteri di progettazione e gestione dettati da una mag-gior sensibilità nei confronti della sicurezza e dell’am-biente. Così, per esempio, le vecchie sale di controllo,dotate di vetrate e prima situate spesso al centro dellazona impianti, sono state sostituite da veri e propri bunkerin cemento armato, resistenti a scoppi e incendi, che‘vedono’ gli impianti solo attraverso la strumentazionedi controllo ed eventuali telecamere. I complessi aspet-ti relativi alla sicurezza e alla protezione ambientale sonotrattati nei capp. 9.1, 9.2. La fig. 12 mostra una panora-mica di una moderna raffineria.

L’evoluzione dei processi è dettata dalle esigenzesociali e, oggi soprattutto, ambientali. Come conseguenzala attuale struttura dei cicli, e quindi degli impianti, tieneconto della necessità di convertire i residui per una mag-gior produzione di distillati (soprattutto diesel di miglio-re qualità) e/o idrogeno. L’ossidazione parziale (gassifi-cazione), pur richiedendo elevati investimenti, ha acqui-stato crescente importanza. Come conseguenza sono statirivitalizzati i processi di deasphalting e mantenuti, o addi-rittura potenziati, i processi termici (come il cracking, ilvisbreaking e il coking) che forniscono l’alimentazioneagli impianti IGCC. Gli impianti di desolforazione sonostati potenziati in termini sia qualitativi sia quantitativi.

L’integrazione tra raffinazione e petrolchimica è statarealizzata con due dettami principali: in base al primo,la raffineria deve essere adiacente allo stabilimento petrol-chimico, ma da esso separata; in base al secondo (menopraticato) gli impianti di raffinazione devono trovarsiall’interno del complesso petrolchimico, con servizi uni-ficati e gestione integrata.

15VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

STRUTTURA E SCHEMI

frazionamento gas saturi

distillazione primaria

alchilazione

isomerizzazione n-butano

cracking catalitico efrazionamento gas insaturi

distillazione sotto vuoto

sala controllo

fiaccola

officina e magazzino

separatore API

centrale termoelettrica

ossidazione bitumi

impianto produzione zolfo

fluidi di servizio

carico bitumi

trattamento acque di scarico

torri raffreddamento acqua

reformer catalitici

desolforazione cataliticalaboratorio

rimessa mezzi antincendio

uffici

zona carico autobotti

serbatoi per GPL

stazioni di pompaggio prodotti

raccordo ferroviario ezona carico ferrocisterne

26

26

cabine elettriche27

2727

27 27

25

25

24

24 24

23

23

22

22

21

21

20

20

19

19

18

18

17

17

16

15

14

13

13

12

12

11

11

10

10

9

9 9

8

7

7

6

6

5

5

4

4

3

3

2

2

1

1

88

8 8

14

15 1616

fig. 11. Tipica disposizione planimetrica di una raffineria della seconda metà del Novecento.

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Le moderne raffinerie hanno fatto propri alcuni pro-cessi prima tipici dell’industria petrolchimica; il princi-pale di essi riguarda la produzione dell’idrogeno (steamreforming). Anche la produzione di MTBE, introdotta inalcune raffinerie negli ultimi decenni del secolo scorso,è tipicamente petrolchimica, così come il processo di gas-sificazione (IGCC). Questo tipo di integrazione sta con-tinuando, trasformando sempre più la raffineria in unostabilimento maggiormente chimico e sofisticato.

Alcuni possibili scenari del prossimo futuro potreb-bero avere un impatto non trascurabile sull’evoluzionedella struttura delle raffinerie a partire dalla secondadecade di questo millennio; tra essi figurano, oltre all’e-voluzione del costo del petrolio, gli aspetti legati allariduzione di CO2, all’evoluzione dei carburanti per l’au-totrazione (da benzine a gasolio e a idrogeno), allo svi-luppo delle biotecnologie e altri ancora. Aggiungendogli aspetti evolutivi che interessano tutta l’industria (pro-cess intensification, automazione, risparmi energetici,riduzione delle emissioni, ecc.), i cambiamenti previstiper i primi 20 anni del 21° secolo saranno probabilmentepiù importanti di quelli degli ultimi 60 anni e interesse-ranno tutte le raffinerie esistenti. Le previsioni più accet-tate e autorevoli confermano il ruolo ancora dominantedel petrolio per i primi tre decenni del Duemila.

Per vari motivi, l’aumento dei consumi di prodottipetroliferi nell’Europa occidentale, in Giappone e negli

Stati Uniti è piuttosto contenuto rispetto ad altri paesicon più forti tassi di sviluppo (per esempio, la Cina). Èper questo che difficilmente si assisterà alla costruzio-ne di nuove raffinerie in tali aree dove, fra l’altro, i vin-coli ambientali giocano un ruolo molto importante: nel-l’ultima decade, una sola raffineria è stata costruita nel-l’Europa occidentale. I nuovi progetti riguarderannosoprattutto l’Asia, il Medio Oriente e probabilmentel’America Latina (Swaty, 2005).

1.1.5 Servizi ausiliari

Per poter funzionare, una raffineria necessita di una seriedi altre unità di servizio, oltre a quelle di processo. Taliunità costituiscono i cosiddetti ‘servizi ausiliari’(utilities),che forniscono l’energia elettrica e i fluidi ausiliari neces-sari agli impianti di produzione, provvedendo anche altrattamento degli effluenti. La fig. 13 mostra uno schemagenerale dei principali servizi ausiliari di una raffineria.

Le più importanti utilities necessarie al funziona-mento sono: a) olio combustibile per forni e caldaie; b)gas di raffineria (e/o metano) per forni e caldaie; c) coke(combustibile) se disponibile; d ) acqua di raffredda-mento; e) acqua per altri usi (potabile, di processo, perle caldaie, antincendio); f ) aria compressa per la stru-mentazione di controllo; g) azoto per le bonifiche e altriservizi; h) ossigeno, se necessario (per esempio, perIGCC); i ) vapore di processo, a pressioni diverse; l )vapore come fluido motore per le turbine; m) energiaelettrica.

16 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

INDUSTRIA DELLA RAFFINAZIONE: ASPETTI GENERALI

fig. 12. Veduta panoramica di una moderna raffineria(Eni, raffineria di Sannazzaro de’ Burgondi).

olio combustibile

gas combustibile

coke

vapore

energiaelettrica

acquedepurate

zolfo

fig. 13. Schema generale dei principali servizi ausiliari di una raffineria.

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Gli effluenti da trattare sono sia liquidi (acque reflue),sia solidi (fanghi di varia provenienza), sia gassosi. Que-sti ultimi sono trattati in impianti appositi (per esempio,per l’assorbimento di H2S, per la riduzione degli ossidi dizolfo) che però in genere vengono considerati insieme alleunità di processo. Il sistema che convoglia gli scarichi infiaccola, e la fiaccola stessa, sono invece inclusi nei ser-vizi ausiliari o, in taluni casi, negli off sites (vedi par. 1.1.6).

Centrale termoelettricaLa centrale termoelettrica è la più importante delle

unità di servizio; essa fornisce alla raffineria vapore edenergia elettrica, cioè le due utilities fondamentali per ilfunzionamento dello stabilimento, e necessita a sua voltadi fluidi di servizio sotto forma di combustibili e acquatrattata.

Il sistema centrale è costituito dalle seguenti com-ponenti (fig. 14): a) un sistema di approvvigionamentodell’acqua; b) un impianto di trattamento delle acque(per ottenere le caratteristiche adatte alle caldaie); c) unao più caldaie per la produzione di vapore; d) una o piùturbine a vapore (a condensazione e/o a contropressio-ne) per la produzione di energia elettrica; e) un sistemadi distribuzione del vapore alle unità di raffineria, condiverse pressioni (per esempio, 4 e 14 bar); f ) una o piùturbine a gas che utilizzano gas di raffineria per produr-re energia elettrica.

L’acqua prelevata da pozzi, fiumi, acquedotti o dalmare deve essere sottoposta a una serie di trattamenti (più

complessi nel caso dell’acqua di mare) onde renderlaadatta all’alimentazione delle caldaie. Il contenuto di salidisciolti, silice, ossigeno e ioni metallici deve essere ridot-to a quantità anche inferiori alle ppm, in relazione allecondizioni di esercizio. Nel caso di acqua dolce prove-niente da pozzi o fiumi sono necessari trattamenti di chia-rificazione, filtrazione (sabbia, carboni attivi) e demine-ralizzazione con resine cationiche e anioniche. Per l’ac-qua di mare occorre un impianto di dissalazione.

Il sistema di produzione di energia elettrica tradi-zionalmente impiegato è costituito da una caldaia a fuocodiretto, da una turbina a contropressione (con eventualispillamenti intermedi), da un riduttore e da un alterna-tore. Il combustibile bruciato all’interno della caldaiaproduce energia termica che trasforma l’acqua di pro-cesso in vapore. Quest’ultimo, fortemente surriscalda-to, va ad agire sulle palette di una turbina a vapore; l’e-nergia meccanica così prodotta viene ceduta all’alterna-tore, che provvede a trasformarla in energia elettrica dimedia tensione. Il livello di tensione viene innalzato daitrasformatori elevatori che collegano la centrale alla retedi alta tensione. Il vapore, dopo aver ceduto il suo con-tenuto energetico alla turbina, viene scaricato dalla stes-sa nella rete a bassa pressione (BP) nel caso di turbine acontropressione, o condensato e ricondotto in caldaiasotto forma liquida (turbine a condensazione).

Una raffineria possiede solitamente due reti di vapo-re di servizio: una a media pressione (MP, circa 10-15bar) per le unità di processo e altri servizi, e una a bassa

17VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

STRUTTURA E SCHEMI

olio combustibile

caldaiaa fuocodiretto

caldaia direcupero

camino

generatoredi elettricitg

di elettricitg

àà

generatore dielettricitelettricitàà

turbina avapore

turbina a gascompressore

approvvigionamentoacqua grezza

filtrazione

demineralizzazione

condensatore

chiarificazione

vapore a mediapressioneppressione

gas di raffineriao metano

vapore a bassapressioneppressione

gas di raffineria

(coke)

fig. 14. Schema generale di una centraletermoelettrica dotata di caldaia a fuoco diretto e dicaldaia di recupero.

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pressione (BP, circa 2-5 bar) per il riscaldamento; nor-malmente si pratica uno spillamento a valle del corpo adalta pressione (AP, circa 40-80 bar) delle turbine (evi-tando di condensare il vapore uscente a BP) per alimen-tare la rete a MP della raffineria (fig. 15).

Per motivi di sicurezza, in molte raffinerie anchealcune macchine di speciale importanza (per esempio,compressore di riciclo del reforming, compressore del-l’aria del cracking catalitico) sono comandate da tur-bine a vapore (MP), oltre che da motori elettrici, comele altre macchine.

In un impianto termoelettrico convenzionale solo unaparte (38-40% circa) dell’energia termica liberata dallacombustione nella caldaia viene convertita in energia elet-trica. La porzione restante viene dissipata nelle varie con-versioni dell’energia (da chimica a termica, da termica ameccanica, da meccanica a elettrica) e come calore resi-duo dei fumi e del vapore avviato alla condensazione.

Un altro sistema di generazione di energia elettricae vapore è quello fondato sull’impiego delle turbine agas, che è costituito dalla sequenza: turbina a gas, ridut-tore, alternatore e caldaia di recupero a vapore alimen-tata con i gas di scarico (fumi) della turbina. In questocaso il vapore è disponibile solo alla pressione della cal-daia di recupero. I due sistemi possono essere abbinati,come mostrato nella fig. 14.

La caldaia a fuoco diretto impiega i classici combu-stibili di raffineria (olio combustibile, gas di raffineria,coke se disponibile). La turbina a gas brucia il gas pro-dotto dalle lavorazioni di raffineria o gas metano impor-tato dall’esterno; i gas di scarico della turbina sono suc-

cessivamente impiegati per produrre vapore nella cal-daia a recupero, prima di scaricarli nell’atmosfera. Laturbina è normalmente dotata di bruciatori di postcom-bustione che ne aumentano la potenzialità e miglioranol’efficienza del ciclo di cogenerazione.

Il controllo delle emissioni gassose viene fatto rego-lando l’immissione dei vari combustibili disponibili (peresempio passando, in caso di emergenza ambientale, daolio combustibile a gas di raffineria a gas metano) e mas-simizzando il carico sulla caldaia a più alto rendimento.

Il problema dell’autoproduzione di energia elettricaha avuto soluzioni varie, anche dipendenti dall’affida-bilità offerta dalla rete elettrica esistente nel territorio incui opera la raffineria.

Se si rinuncia all’autoproduzione, può però esserebuona prassi produrre la quantità minima di energiaelettrica che si può ricavare dal vapore a media e bassapressione comunque disponibile per gli impianti di pro-cesso; la differenza di costo tra la produzione di vapo-re ad AP per le turbine (40-80 bar), con spillamentiintermedi a MP per i processi, e la produzione direttadi vapore a MP è compensata largamente dai vantaggiottenuti. Viceversa, se si opta per l’autoproduzione, puòessere necessario mantenere ugualmente un collega-mento contrattuale, pur minimo, con la rete esterna,alla quale si deve poter ricorrere in caso di emergenzadella centrale. Una situazione opposta si verifica nelleraffinerie dotate di importanti impianti di cogenera-zione (per esempio IGCC, v. cap. 7.3) che, invece diacquistare, cedono alla rete esterna parte dell’energiaelettrica prodotta.

Circuito dell’acqua di raffreddamentoI processi di raffineria implicano l’impiego di calo-

re che deve poi essere rimosso tramite scambio termicoe refrigerazione con aria e/o con acqua. Circa il 50% delfabbisogno di acqua di una raffineria è richiesto per ilraffreddamento; i quantitativi dipendono dalla comples-sità della raffineria stessa.

L’acqua impiegata per i refrigeranti e per gli altriusi termici aumenta di temperatura e per essere riuti-lizzata in un circuito chiuso deve essere raffreddatacon aria nelle torri di refrigerazione e ricircolata conreintegro delle quantità perse (essenzialmente per eva-porazione parziale nelle torri e per gli spurghi). L’ac-qua di reintegro subisce un pretrattamento di chiarifi-cazione. È prevista l’aggiunta di inibitori di corrosio-ne, biocidi e altri additivi. L’aggiunta di un filtro asabbia contribuisce a mantenere relativamente pulital’acqua in circolazione.

L’acqua non dovrebbe lasciare incrostazioni né esse-re corrosiva per le pareti metalliche degli scambiatori.Essendo le condizioni di equilibrio dipendenti dallatemperatura, il problema non è però di facile soluzio-ne, a meno di ricorrere ad acqua completamente demi-

18 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

INDUSTRIA DELLA RAFFINAZIONE: ASPETTI GENERALI

vaporea media

pressione(14 bar)

vaporead alta

pressione(40 bar) vapore

a bassapressione

(3 bar)

fig. 15. Schema semplificato di una turbina a contropressione con valori indicativi delle pressioni di estrazione del vapore.

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neralizzata e opportunamente inibita contro la corro-sione. In taluni casi, il sistema di raffreddamento puòessere tutto aperto: l’acqua viene cioè prelevata da unbacino di aspirazione (fiume, lago, mare) e, dopo aversvolto le sue funzioni, vi viene scaricata nuovamente.È questo, per esempio, il caso dell’acqua di mare chepuò essere usata direttamente per la refrigerazione deifluidi di processo. Questa acqua, che contiene notevo-li quantità di sali ed è un buon conduttore, presenta perònotevoli problemi di corrosione.

Un sistema intermedio adotta il circuito misto (o cir-cuito semichiuso) riportato nella fig. 16, in cui il raf-freddamento dell’acqua dopo l’impiego avviene dappri-ma con acqua di mare ed è poi completato nelle torri direfrigerazione; in tal modo si riducono il carico delletorri e le perdite per evaporazione.

Acqua antincendioL’acqua antincendio serve alla formazione delle schiu-

me estinguenti e come mezzo refrigerante preventivocontro l’estensione di un incendio in atto. Il sistema è ingenere costituito da: a) un bacino (naturale o artificia-le) contenente una sufficiente quantità di acqua; b) ungruppo di pompe idoneo a tenere in pressione la reteantincendio, con erogazione nulla o modesta; c) un grup-po di pompe di sufficiente prevalenza e di forte portata,adatte a fornire l’acqua richiesta al manifestarsi dell’in-cendio; d ) una rete di distribuzione interrata; e) idranticon bocche di presa cui vengono collegate le manichet-te di intervento.

Sono collegati alla rete d’acqua antincendio, e nefanno parte integrante, i sistemi di raffreddamento apioggia predisposti per il raffreddamento delle paretiverticali dei serbatoi, con lo scopo di proteggerli da tem-perature eccessive in caso di incendio adiacente. La reteantincendio deve anche poter funzionare in modo com-pletamente autonomo da ogni fonte di energia esternao centralizzata. Una parte del gruppo di pompaggio èquindi comandata da motori diesel con riserva di com-bustibile locale.

Aria compressa e azotoEsistono in genere due sistemi di aria compressa nelle

raffinerie, ciascuno alimentato da propri compressori:quello per l’alimentazione degli strumenti e per il coman-do delle valvole regolatrici (aria strumenti) e quello perservizi vari, tra i quali l’alimentazione della utensileriamobile (aria servizi). L’aria strumenti richiede particola-ri cure, perché non deve contenere polvere, ossidi, olio eumidità. I compressori sono del tipo non lubrificato e l’a-ria, dopo compressione e raffreddamento, viene filtrataed essiccata. La compressione e il convogliamento del-l’aria strumenti sono effettuati alla pressione di 4-8 bar,che è la stessa dell’aria servizi, per ovvie ragioni di inter-cambiabilità e di emergenza. Presso i punti di utilizza-zione esistono stazioni di decompressione (riduzione) chela portano alla pressione normalizzata di utilizzazione.

L’aria servizi è il tradizionale fluido motore per la uten-sileria mobile in ambienti nei quali l’impiego dell’ener-gia elettrica non è permesso per ragioni di sicurezza.

19VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

STRUTTURA E SCHEMI

filtro asabbia

reintegroacqua dolce

spurgo

entrataacqua di

mare

uscitaacqua di

mare

acqua di raffreddamento

fig. 16. Circuito misto delle acque di raffreddamento dotato di scambio termico acqua dolce/acqua di mare (quest’ultima impiegata in circuito aperto). I maggiori utilizzatori del circuito chiuso ad acqua dolce sono i refrigeranti degli impianti di processo.

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Se non impiegato per altri scopi nei processi, l’azo-to serve soprattutto per le bonifiche degli impianti cata-litici, che non vengono fatte con vapore per non dan-neggiare i catalizzatori. L’azoto è anche impiegato nellapressurizzazione di liquidi che possono reagire con l’os-sigeno dell’aria; esso viene rifornito dall’esterno in bom-bole e il sistema di immagazzinamento più usato è tra-dizionalmente quello ad alta pressione e temperaturaatmosferica. Sono diffusi anche il trasporto e lo stoc-caggio di azoto liquido a bassa temperatura. In alcunicasi, ove esiste produzione di azoto per liquefazione del-l’aria, questo può essere usato come gas inerte per lebonifiche e al posto dell’aria nella strumentazione.

Trattamento degli effluenti liquidiLe acque provenienti da vari punti della raffineria ven-

gono convogliate dall’impianto di trattamento degli effluen-ti (v. anche cap. 9.2). Nella fognatura (appositamente pre-disposta per raccogliere i residui oleosi) vengono raccol-te le acque originate da: a) accumulatori di riflusso dellecolonne; b) dissalatore del greggio; c) condense delle appa-recchiature; d) spurghi del circuito di raffreddamento; e)spurghi delle caldaie; f ) circuito antincendio (in inverno,per prevenire il congelamento); g) acque meteoriche dellaraffineria; h) acqua di risulta del trattamento fanghi; i) variutilizzi (lavaggi, flussaggi, ecc.).

La differenza essenziale tra la rete fognaria di raffi-neria e quella urbana consiste nell’inserimento, nellaprima, di pozzetti sifonati che impediscono l’eventualepropagarsi di incendi lungo la fognatura.

La fig. 17 mostra un tipico schema a blocchi del siste-ma di trattamento delle acque reflue di raffineria, dota-to di trattamenti di tipo fisico (API, American PetroleumInstitute; CPI, Corrugated Plate Interceptor; TPI, TiltedPlate Interceptor; o altri, più flottazione) e chimico, oltrea quello biologico.

Le acque oleose fluiscono attraverso un bacino dicalma (separatore API) o in bacini di minori dimensio-ni muniti di sistemi che favoriscono la sedimentazione(CPI, TPI); per differenza di densità, l’olio si separa insuperficie e viene recuperato. L’acqua viene ulterior-mente chiarificata mediante flottazione con aria e invia-ta quindi a un trattamento biologico (per esempio, fan-ghi attivi); in alcuni casi, in presenza di vasti spazi, sipuò impiegare anche un lagunaggio (lagooning). Il trat-tamento chimico (regolazione pH, aggiunta di FeCl2,ecc.) può rendersi necessario per condizionare l’acquada inviare all’impianto biologico.

L’impianto è progettato per portate di punta, che perònon possono tener conto di piogge eccezionali; sono quin-di necessarie grandi vasche e/o serbatoi di accumulo pergraduare, in questi casi, l’alimentazione all’impianto ditrattamento.

Lo schema della fig. 17 non comprende l’unità cosid-detta sour water stripper che è normalmente indipen-

dente; tale unità è costituita da una colonna di stripping,riscaldata con vapore, dove vengono inviate le correntiricche di H2S e NH3, prodotte da unità di distillazione,hydrocracking, idrodesolforazione, trattamento gas, rige-nerazione ammine, zolfo e coking. I vapori che si libe-rano in testa alle colonne di stripping vengono inviatiall’impianto zolfo.

Distribuzione dei combustibiliMediamente il 4-8% del greggio viene impiegato per

il funzionamento della raffineria. I combustibili più impie-gati sono l’olio combustibile e il gas di raffineria; com-bustibili ausiliari possono essere il gas naturale, acqui-stato dall’esterno, e il coke, se la raffineria è dotata diimpianto di coking.

Il gas di raffineria è costituito da tutti i compo-nenti leggeri (H2, CH4, C2H6, H2S, ecc.) separati negli

20 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

INDUSTRIA DELLA RAFFINAZIONE: ASPETTI GENERALI

acqua depurata

fanghi disidratati

acque oleose

al recupero olio

ricircolofanghi

fig. 17. Schema a blocchi di un tipico sistema di trattamento delle acque reflue di raffineria.

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accumulatori di testa di varie colonne; questi compo-nenti sono in parte contenuti nel greggio, ma per lopiù provengono da processi secondari di pirolisi ecracking.

L’olio combustibile è il residuo di vari trattamenti; inraffineria si tende a impiegare quello più viscoso e conminor valore commerciale, dato l’alto contenuto di asfal-teni ed eteroatomi (zolfo).

Normalmente i bruciatori dei forni di raffineria sonoprogettati per bruciare sia il gas sia l’olio. Il gas naturaleviene impiegato in caso di mancanza dei citati combusti-bili o, più frequentemente, per problemi ambientali.

Il circuito per l’alimentazione dell’olio comprendeuno o più serbatoi dedicati, le pompe e i vari sistemi dicontrollo. Il circuito del gas può comprendere anche unostoccaggio di GPL che interviene quando si verificanovariazioni nelle portate e/o nel potere calorifico del gasdi raffineria. Così, per esempio, non è sempre possibilesostituire direttamente e completamente il gas di raffi-neria con il metano (i cui poteri calorifici e la cui den-sità sono assai diversi) senza influire nelle prestazionidei forni. La fig. 18 mostra lo schema della distribuzio-ne del gas combustibile di raffineria dotato di stoccag-gio del GPL.

Fiaccola e sistema blow-downLe apparecchiature delle varie unità, progettate per

resistere a determinate pressioni, vengono protette davalvole di sicurezza contro eventuali sovrapressioni. Gliscarichi di tali valvole sono convogliati verso la fiacco-

la (o torcia), costituita in genere da un tubo verticale disufficiente altezza, munito alla base di una guardia idrau-lica (per impedire rientri di aria) e sulla sommità di unbruciatore pilota sempre acceso, che innesca la combu-stione degli idrocarburi scaricati.

L’invio di una quantità controllata di vapore d’acquacontribuisce a ridurre la fumosità e a migliorare la disper-sione dei prodotti di combustione; il vapore, tuttavia, aumen-ta la rumorosità della fiaccola. La fiaccola rappresenta quin-di un sistema pratico e sicuro per controllare le irregolariimmissioni di vapori di idrocarburi, sia nelle emergenzesia quando si verificano scarichi dalle numerose valvole disicurezza. Bruciando i vapori accidentalmente emessi, sievitano fuoriuscite dirette nell’atmosfera che comporte-rebbero problemi di sicurezza e ambientali. L’accuratagestione dei processi deve comunque evitare l’invio di uneccesso di idrocarburi in fiaccola per limitare i problemidi irradiazione termica, luminanza, fumo e rumore.

Nel collettore di adduzione alla fiaccola è inserito unrecipiente separatore di liquidi per raccogliere le even-tuali (e accidentali) condense liquide, evitando che giun-gano alla guardia idraulica.

Le fiaccole cosiddette smokeless basano il loro fun-zionamento sull’aumento della turbolenza dei gas com-bustibili e dell’aria, con l’eventuale ausilio di vapore,così da migliorare la miscelazione e minimizzare la for-mazione di fuliggine.

Le fiaccole poste a terra (ground flares) sono altepochi metri e hanno grandi diametri; l’assenza di fumo-sità è ottenuta senza l’impiego di vapore, così da ridur-

21VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

STRUTTURA E SCHEMI

propano

butano

stoccaggioGPL

vaporizzatore del GPL

serbatoio dicompensazione

alla fiaccola

alla fiaccola(pilota)

alle unitàdi processo

alle unitàdi servizio

vapore

condensato

gas di raffineria

fig. 18. Sistema per la distribuzione del gas combustibile di raffineria.

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re il rumore. L’ulteriore riduzione di rumorosità è otte-nuta suddividendo la fiamma in tanti piccoli bruciatorie usando sistemi per l’assorbimento acustico. Il costo ditali installazioni è superiore a quello delle fiaccole tra-dizionali, anche per ciò che riguarda l’esercizio. La fiac-cola è in ogni caso situata lontano dalle unità di proces-so, per ragioni di sicurezza.

La fig. 19 mostra un tipico sistema di blow-downdotato di fiaccola sia a terra sia tradizionale; quest’ul-tima entra in funzione se si verificano sovraccarichinella fiaccola a terra.

1.1.6 Off sites

L’espressione off sites definisce tutte le strutture legatealla ricezione, allo stoccaggio e alla spedizione dei pro-dotti di una raffineria. Considerando l’estensione delparco serbatoi, l’off site costituisce, anche logisticamente,una porzione molto importante della raffineria e garan-tisce: a) la ricezione e lo stoccaggio delle materie prime;b) la necessaria alimentazione agli impianti di processo;c) la ricezione dei prodotti provenienti dagli impianti; d)la preparazione, lo stoccaggio e la spedizione dei pro-dotti finiti.

I prodotti che provengono dagli impianti di lavora-zione sono quasi sempre dei semilavorati, che danno

luogo ai prodotti commerciali solo dopo miscelazioneed eventuale additivazione. Essi vengono ricevuti in ser-batoi di ‘colaggio’ e da questi vengono trasferiti in ser-batoi di ‘spedizione’, nei quali si effettuano le miscela-zioni secondo determinate formulazioni.

SerbatoiDal punto di vista costruttivo i serbatoi si classifica-

no in alcuni tipi che citiamo brevemente di seguito.Serbatoi per prodotti a bassa tensione di vapore. Si

impiegano per oli combustibili residui o distillati (finoal gasolio) e per bitumi. Sono serbatoi cilindrici verti-cali, in lamiera di acciaio saldata, con tetto conico fisso,che vengono raggruppati entro bacini di contenimentocollettivi e hanno generalmente serpentini di riscalda-mento sul fondo e, per i prodotti più viscosi (per esem-pio, bitumi), hanno coibentazione completa su tutta lasuperficie esposta. Quelli a parete nuda sono dotati didispositivi di irrorazione d’acqua, per il raffreddamentodi emergenza.

Serbatoi per prodotti a media tensione di vapore.Vengono impiegati per il greggio e per i distillati leg-geri. Sono serbatoi cilindrici a tetto galleggiante cheimpedisce la formazione di cuscini di gas e di aria soprail liquido. Fondo, tetto e mantello cilindrico sono inlamiere di acciaio calandrate e saldate. Il tetto galleg-giante è da tempo il sistema più efficace, pratico ed

22 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

INDUSTRIA DELLA RAFFINAZIONE: ASPETTI GENERALI

collettore del gas

sensore diradiazione

pilotitubi di

ignizione

ariacompressa

gas diignizione

gas peri piloti

controllo ignizionefronte di fiamma

fiaccola a terra

guardiaidraulica

della fiaccolaa terra

guardia idraulicadella fiaccola alta

separatore a cicloneo per gravità

vapore

da scarichi manuali

dalle valvoledi sicurezza

gas di scaricodalle unità

gas di spurgo

fig. 19. Sistema di blow-down dotato di fiaccola alta e di fiaccola a terra (Parkash, 2003).

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economico per il contenimento delle perdite per eva-porazione. I serbatoi per il greggio sono riscaldabiliall’occorrenza mediante serpentino a vapore posto sulfondo. Ogni serbatoio è situato entro un bacino di con-tenimento delimitato da argini di terra o da muri incemento armato. Il volume del bacino deve eguaglia-re quello del serbatoio: l’area del bacino è quindi moltoestesa rispetto a quella del serbatoio e determina ilcaratteristico aspetto planimetrico dei parchi serbatoi(v. ancora fig. 11). I serbatoi del greggio possono rag-giungere dimensioni ragguardevoli (anche 160.000m3).

Serbatoi per prodotti ad alta tensione di vapore.Sono serbatoi destinati a contenere, sotto forma liqui-da, prodotti che sarebbero gassosi alle normali condi-zioni di pressione; in pratica sono gli idrocarburi deltipo propano e butano, che costituiscono i GPL. Tradi-zionalmente i serbatoi sono sferici per il butano e ilGPL e cilindrici per il propano, capaci di resistere allapressione di alcuni bar. Oggi si tende a usare sempre laforma cilindrica, con dimensioni limitate e fondi emi-sferici. Per ragioni di sicurezza, la tendenza attuale èquella di ricoprire questi serbatoi di uno strato di terra(stoccaggio ‘tumulato’).

Preparazione dei prodotti finitiCome già detto, le unità di processo producono varie

frazioni che devono essere opportunamente miscelateper ottenere le caratteristiche richieste dai prodotti com-merciali finiti. Molto spesso vengono anche aggiuntiadditivi di vario tipo per migliorare la qualità e diffe-renziare tra loro i vari prodotti (coloranti, denaturanti).Nel caso dei lubrificanti, l’additivazione riveste un’im-portanza fondamentale

I sistemi di miscelazione possono essere discontinuie continui in linea. Nel sistema discontinuo (batch), icomponenti di un prodotto sono aggiunti e miscelati inun serbatoio. Le moderne raffinerie di maggiori dimen-sioni usano il sistema continuo in linea (continuous in-line blending) che miscela simultaneamente quantitàdosate di tutti i componenti e degli additivi nella tuba-zione; l’accuratezza è tale che in ogni istante il prodot-to formato è conforme alle specifiche e può essere pre-levato direttamente dalla linea.

Movimentazione dei prodottiIl greggio e i prodotti finiti vengono movimentati

mediante oleodotti, navi cisterna, cisterne ferroviarie,autobotti.

Le raffinerie costiere sono dotate di strutture in mare(pontili, isole artificiali) per il caricamento e la ricezio-ne. Gli oleodotti sono mezzi di trasporto potenti ed eco-nomici che trasportano in tubazioni distinte i prodotti‘neri’ (greggio, olio combustibile, bitume) e quelli ‘bian-chi’ (gasoli, benzine, ecc.).

Il trasferimento via terra è realizzato anche median-te autocisterne o/e ferrocisterne che entrano all’internodella raffineria tramite raccordi ferroviari dedicati. Nellemovimentazioni via mare, il collegamento tra i punti diormeggio e le navi è assicurato da appositi bracci idro-pneumatici o con manichette flessibili. Per le grandi navipetroliere l’ormeggio può essere fatto in mare aperto suapposite boe o isole artificiali galleggianti appoggiatesul fondale.

1.1.7 Procedure operative

Il tipo di operazioni e la natura dei materiali trattatifanno classificare le raffinerie di petrolio tra le indu-strie ad alto rischio (per gli aspetti legati alla sicurez-za, v. cap. 9.1). Strettamente legate al tema della sicu-rezza e alla qualità della produzione sono le procedu-re operative, che rivestono un ruolo fondamentale nellaconduzione degli impianti di una raffineria. Il termi-ne procedura significa una serie ordinata di attività perraggiungere uno scopo. La crescente complessità degliimpianti chimici, petroliferi e petrolchimici richiedeagli operatori numerosi e delicati interventi nelle variefasi della vita dell’impianto; questi interventi esigonoprecise sequenze e modalità di esecuzione. Nel casodi impianti petrolchimici e raffinerie, la sequenza e laqualità delle attività sono il risultato della miglioreesperienza operativa e del know-how ingegneristico.Si realizza in questo modo una ottimizzazione delleoperazioni oggetto della procedura, dalla quale risul-tano implementate la sicurezza, la qualità delle opera-zioni e l’economia della gestione aziendale. La sicu-rezza è certamente il prodotto più interessante del-l’applicazione delle procedure operative.

In raffineria vengono elaborate e applicate procedu-re scritte che forniscono istruzioni chiare per l’esecu-zione sicura delle attività richieste dal processo. Tali pro-cedure devono comprendere le principali situazioni ope-rative (avviamento iniziale; esercizio normale; operazionitemporanee; fermate di emergenza, con l’indicazione deltipo di emergenza; operazioni di emergenza; fermata nor-male; avviamento dopo manutenzione e dopo fermata diemergenza) e tener conto sia dei limiti operativi (conse-guenze della deviazione dal normale andamento; inter-venti richiesti per correggere o evitare la deviazione), siadella sicurezza e dell’igiene ambientale (proprietà e peri-coli dei prodotti chimici usati nell’impianto; precauzio-ni necessarie per prevenire l’esposizione; misure da adot-tare nel caso si verifichi contatto o inalazione; control-lo di qualità per le materie prime; controllo dei livelli distoccaggio delle sostanze chimiche pericolose; altri peri-coli speciali o eccezionali).

Le procedure operative devono essere facilmenteaccessibili ai dipendenti che lavorano negli impianti e

23VOLUME II / RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

STRUTTURA E SCHEMI

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nella manutenzione e devono essere riviste con la fre-quenza necessaria per garantire che corrispondano alleoperazioni effettivamente eseguite, tenendo presentimodifiche nel processo, nelle attrezzature e nelle faci-lity dell’impianto. In particolare, nella raffineria devo-no essere elaborate e messe in esecuzione proceduredi sicurezza per lavori pericolosi. Queste proceduredovranno essere applicate dal personale dell’aziendae dai contraenti. L’ingresso nell’impianto di persona-le esterno (addetti alla manutenzione e ai laboratori,rappresentanti della aziende contraenti, ecc.) deve esse-re disciplinato.

Il manuale dell’impianto indica queste attività ma,normalmente, non le spiega in modo analitico; a volte sisuppone che siano note. È quindi necessario che essecostituiscano il primo gradino in un progetto di forma-zione e di addestramento del personale. È anche neces-sario farne un elenco completo, per evitare omissionipericolose.

Le procedure sono riportate in speciali manuali, dettioperativi, emessi dalle società di processo e di ingegne-ria, congiuntamente con la direzione dello stabilimentoche li deve usare. In aggiunta, i fabbricanti e i fornitoridi apparecchiature emettono specifici manuali.

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Carlo GiavariniDipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali,

delle Materie Prime e MetallurgiaUniversità degli Studi di Roma ‘La Sapienza’

Roma, Italia

24 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

INDUSTRIA DELLA RAFFINAZIONE: ASPETTI GENERALI