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1 L’INDUSTRIA DI PROCESSO L’industria di processo opera sui materiali trasformazioni di tipo chimico e chimico-fisico. Si distinguono i processi unitari, che rappresentano gli stadi di conversione, in cui i materiali sono trasformati in altri per effetto di reazioni chimiche e le operazioni unitarie, che rappresentano gli stadi di separazione, in cui i materiali vengono separati tra loro sulla base delle loro proprietà fisiche (es. densità) o chimico-fisiche (es. volatilità). CICLO DI LAVORAZIONE Il ciclo di lavorazione comprende l’insieme delle lavorazioni subite dai materiali: uno schema generico potrebbe essere quello riportato in figura 1. Nell’impianto entrano materie prime che dopo avere subito dei trattamenti preliminari, atti a portarle nelle condizioni (pressione, temperatura, stato fisico, granulometria,ecc.) necessarie alla reazione. Dalla conversione si ottengono i prodotti, ma possono essere ancora presenti parte delle materie prime, che vanno separate dai prodotti e ricircolate allo stadio di conversione. Pretrattamenti Conversione Separazione Materie prime Prodotti Ricircolo Figura 1 Uno schema più completo tiene conto, oltre alle materie prime ed ai prodotti, anche di sottoprodotti, impurezze, scarti e perdite, definiti come appresso indicato. Materie prime : costituiscono i materiali da cui si parte per effettuare le lavorazioni: sono le materie che partecipano direttamente al processo di trasformazione. Esse possono essere ottenute tal quali in natura (ad esempio, l’aria) oppure prodotte in lavorazioni precedenti (ad esempio, l’ammoniaca). Prodotti : costituiscono l’obiettivo per cui è stato realizzato l’impianto e sono quindi solo quelli il cui ottenimento è il fine della lavorazione. Esistono impianti che producono un solo tipo di prodotto (ad esempio, urea) ed altri che ne producono una certa gamma (ad esempio, le raffinerie, che producono GPL, benzina, gasoli, oli combustibili, ecc.). Il valore commerciale dei prodotti è sempre e necessariamente

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L’INDUSTRIA DI PROCESSO L’industria di processo opera sui materiali trasformazioni di tipo chimico e chimico-fisico. Si distinguono i processi unitari, che rappresentano gli stadi di conversione, in cui i materiali sono trasformati in altri per effetto di reazioni chimiche e le operazioni unitarie, che rappresentano gli stadi di separazione, in cui i materiali vengono separati tra loro sulla base delle loro proprietà fisiche (es. densità) o chimico-fisiche (es. volatilità). CICLO DI LAVORAZIONE Il ciclo di lavorazione comprende l’insieme delle lavorazioni subite dai materiali: uno schema generico potrebbe essere quello riportato in figura 1. Nell’impianto entrano materie prime che dopo avere subito dei trattamenti preliminari, atti a portarle nelle condizioni (pressione, temperatura, stato fisico, granulometria,ecc.) necessarie alla reazione. Dalla conversione si ottengono i prodotti, ma possono essere ancora presenti parte delle materie prime, che vanno separate dai prodotti e ricircolate allo stadio di conversione.

Pretrattamenti

Conversione

Separazione

Materie prime

Prodotti

Ricircolo

Figura 1

Uno schema più completo tiene conto, oltre alle materie prime ed ai prodotti, anche di sottoprodotti, impurezze, scarti e perdite, definiti come appresso indicato. • Materie prime: costituiscono i materiali da cui si parte per effettuare le lavorazioni:

sono le materie che partecipano direttamente al processo di trasformazione. Esse possono essere ottenute tal quali in natura (ad esempio, l’aria) oppure prodotte in lavorazioni precedenti (ad esempio, l’ammoniaca).

• Prodotti: costituiscono l’obiettivo per cui è stato realizzato l’impianto e sono quindi solo quelli il cui ottenimento è il fine della lavorazione. Esistono impianti che producono un solo tipo di prodotto (ad esempio, urea) ed altri che ne producono una certa gamma (ad esempio, le raffinerie, che producono GPL, benzina, gasoli, oli combustibili, ecc.). Il valore commerciale dei prodotti è sempre e necessariamente

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superiore a quello delle materie prime, altrimenti vengono meno i presupposti per la realizzazione dell’impianto. Come prodotti si possono avere prodotti finiti, che costituiscono direttamente ciò che viene commercializzato all’utilizzatore finale, e semilavorati che, pur costituendo il prodotto finale di un impianto, non sono commercializzati in quella forma e necessitano di ulteriori lavorazioni, per cui costituiscono la materia prima per altri impianti. Come esempio di semilavorato si può citare la frazione C4, ossia costituita da molecole con 4 atomi di carbonio (n-butano, i-butano, ecc.) del petrolio: essa costituisce un prodotto finito della raffineria, se utilizzata come GPL (gas di petrolio liquefatto), ma pure la materia prima per l’industria della gomma (butadiene). Il prodotto di quest’ultima è ancora un semilavorato in balle che viene infine utilizzato dall’industria chimico-manufatturiera per produrre pneumatici o altro.

• Sottoprodotti: sono materie utili in altri processi o comunque commercializzabili, il cui ottenimento non costituisce tuttavia l’obiettivo dell’impianto. I prodotti si distinguono dai sottoprodotti poiché l’impianto è finalizzato alla produzione dei primi e non dei secondi. I sottoprodotti non sono quindi generalmente desiderabili ma accompagnano necessariamente i prodotti e non si può evitare che si formino. Il loro valore commerciale può essere inferiore a quello delle materie prime e di norma esistono altre vie per ottenere queste sostanze in modo più economico, utilizzando impianti finalizzati alla loro produzione, ossia in cui esse costituiscano il prodotto desiderato.

• Impurezze: sono sostanze presenti in quantità molto piccole e che non risulta conveniente recuperare.

• Scarti: sono prodotti non conformi alle specifiche di commercializzazione (per purezza, dimensioni, colore, ecc.)

• Perdite: sono determinate dal mancato recupero di materiale dovuto a fuoriuscita di sostanze, imperfezioni nelle apparecchiature, ecc.

Come esempio di impianto dell’industria di processo si può considerare una raffineria. La materia prima è un prodotto naturale, cioè il petrolio, da cui possono essere stati eliminati l’acqua ed i gas più leggeri direttamente sul luogo di estrazione. Le raffinerie con ciclo più semplice (a raffinazione) hanno come prodotti le frazioni leggere del petrolio, quali il GPL, la benzina ed i gasoli e come sottoprodotto il residuo da vuoto (olio combustibile). Le raffinerie petrolchimiche hanno come prodotto principale la “virgin nafta”, che costituisce un intermedio per la produzione di etilene. Le impurezze sono rappresentate da composti solforati (a meno che lo zolfo non superi il 4% poiché in tal caso conviene recuperarlo: esso, in questo caso, diventa un sottoprodotto), composti metallorganici, sali, ecc. Gli scarti sono dati, per esempio, dal gas di raffineria (fuel gas) che non è economicamente conveniente separare nei singoli componenti né trasportare per l’utilizzo in altro luogo e che viene semplicemente eliminato bruciandolo in torcia. Come altro esempio si può considerare la produzione del fenolo a partire da cumene (ossia isopropilbenzene) per ossidazione e successiva idrolizzazione, da cui si ottiene fenolo e acetone. L’acetone costituisce un sottoprodotto che si può produrre, e in modo assai più economico, in un certo numero di altre vie. Le impurezze sono costituite dai prodotti più leggeri (ossia più volatili) del fenolo, come l’α-stirene, e quelli più pesanti (ossia meno volatili) come il 2,3 isometilbenzene. In ingresso, oltre alle materie prime, viste in precedenza, sono indicate le materie ausiliarie ed i servizi di stabilimento. Le materie ausiliarie sono materie utili alla realizzazione del processo, ma che non subiscono trasformazioni nel processo stesso,

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come catalizzatori, solventi, ecc. I servizi possono comprendere energia elettrica, vapore, acqua industriale, azoto (o altro gas inerte), aria compressa e altro. L’energia elettrica viene utilizzata per azionare macchine, il vapore d’acqua come fluido riscaldante ed eventualmente per azionare turbine, l’acqua industriale come fluido refrigerante, l’azoto come gas inerte, l’aria compressa per la pulizia e linee di controllo pneumatico; si possono poi utilizzare combustibili, fluidi frigoriferi, ecc. Analogamente, in uscita, oltre a prodotti, sottoprodotti, scarti e perdite, di cui si è già detto, sono presenti i reflui (solidi, liquidi e gassosi), nonché altri sottoprodotti, quali vapore o aria compressa, utilizzabili come fluidi di servizio altrove. Va infine ricordato come in un impianto dell’industria di processo si possano svolgere più lavorazioni, tra loro concatenate: soprattutto nella chimica primaria c’è la tendenza all’aggregazione in impianti integrati (ad esempio Gela, Porto Torres, ecc.). ESEMPI DI CICLI DI LAVORAZIONE DI IMPIANTI DELL’INDUSTRIA DI PROCESSO Come esempio di cicli di lavorazione dell’industria di processo si possono considerare quelli relativi all’industria della raffinazione del petrolio ed a quella petrolchimica [1]. La gamma di prodotti ottenuti dalla raffinazione del greggio di petrolio va da quelli gassosi, quali gas combustibile (fuel gas) e GPL, a quelli liquidi, quali benzina, petroli, gasoli, oli combustibili e lubrificanti, a quelli solidi, quali bitume e zolfo. Esistono due vaste categorie di cicli di lavorazione per le raffinerie, quella a ciclo semplice (o “hydroskimming”) e quella di conversione.

Figura 2 [1] Nello schema di raffineria a ciclo semplice, rappresentata in figura 2, le lavorazioni non variano in modo sostanziale la resa del grezzo nelle varie frazioni, e le principali operazioni sono quelle di distillazione atmosferica del greggio (topping), di

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desolforazione, e di “reforming” ed isomerizzazione; quest’ultima ha il fine di aumentare il numero di ottano della benzina. In alcune raffinerie a ciclo semplice è pure presente uno stadio di “visbreaking”, che ha lo scopo di aumentare la resa in gasolio, diminuendo quella di olio combustibile, meno pregiato e meno richiesto.

Figura 3 [1]

Nello schema di raffineria di conversione, rappresentata in figura 3, le rese del greggio vengono sostanzialmente modificate al fine di massimizzare la produzione di benzina e sono quindi presenti, in aggiunta alle altre lavorazioni, degli stadi di “cracking” e, in alcuni casi, di alchilazione. L’industria petrolchimica utilizza il petrolio, frazioni del petrolio o gas naturale come materie prime per ottenere un gran numero di prodotti finiti o intermedi, quali, ad esempio, ammoniaca, metanolo, olefine (come l’etilene ed il propilene), aromatici (come il benzene ed il p-xilene), materie plastiche, gomme, ecc. La tipica frazione petrolifera utilizzata per la produzione di olefine (etilene, propilene e butadiene) è la “virgin nafta”, che è una benzina grezza leggera: essa è costituita da una miscela di idrocarburi a partire da quelli con 5 atomi di carbonio (detti C5) fino a quelli più pesanti, con maggior numero di atomi di carbonio e punto di ebollizione finale intorno a 180°C.

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Figura 4 [2] I principali processi e prodotti dell’industria petrolchimica sono mostrati in figura 4, relativamente alle due alimentazioni principali, costituite da gas naturale e petrolio. Gli stadi più importanti sono quelli di “steam reforming” che porta alla produzione del gas di sintesi, di “steam cracking” per la produzione delle olefine e di “reforming” catalitico per la produzione di idrocarburi aromatici. La figura 5 mostra come i 7 prodotti petrolchimici tradizionali, definiti “building blocks” costituiscano le materie prime per numerosissimi altri prodotti finiti.

Figura 5 [2]

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LAYOUT DEGLI IMPIANTI DELL’INDUSTRIA DI PROCESSO Per layout di uno stabilimento si intende la disposizione in pianta delle varie zone, lavorazioni e apparecchiature nell’ambito dell’impianto. Ciò in generale dipende da varie considerazioni, per cui l’area fisicamente occupata dall’impianto è suddivisa in più zone che hanno scopi ed estensioni diverse, come mostra la figura 6.

Figura 6 • Stoccaggi: è l’area riservata a scopi di immagazzinamento dei materiali. Essa è

quella più grande di tutto lo stabilimento e varia generalmente tra il 30 e il 60% del totale. L’area stoccaggi può essere fisicamente divisa in più parti: da un lato gli stoccaggi delle materie prime e in una zona diversa quelli dei prodotti. Gli stoccaggi devono essere localizzati in un’area che tenga conto sia delle esigenze dei trasporti interni allo stabilimento (stoccaggi – unità operative) che di quelli da e per l’esterno (vie di approvvigionamento e smaltimento). Gli stoccaggi sono di solito posti in zone laterali, raggruppati o distribuiti dipendentemente dalle esigenze.

• Unità operative: è l’area destinata agli impianti di trasformazione. Essa varia di solito tra il 15 e il 30% del totale: per ragioni di sicurezza e di protezione essa è posta generalmente al centro dello stabilimento. Inoltre, in questo modo essa è meglio collegata al resto dell’impianto. Particolarmente importante è la sala controllo, che costituisce il centro nevralgico attraverso cui si ha la possibilità di rendersi conto di variazioni nelle condizioni operative e intraprendere tutte le azioni (come intercettare correnti fluide, aprire valvole, ecc.) necessarie ad un corretto funzionamento dell’impianto sia in condizioni normali, sia, soprattutto, in caso di emergenza. Tradizionalmente la sala controllo era posta al centro della zona riservata alle unità operative, in modo da minimizzare la lunghezza dei cavi di collegamento, e aveva grosse superfici vetrate in modo da consentire agli operatori la visuale diretta degli impianti e minimizzare la sensazione di fastidio dovuta al fatto di trovarsi in un luogo chiuso. Tuttavia, tale collocazione espone al sala controllo a seri danni nel caso in cui si verifichi un incidente (soprattutto un’esplosione) in una qualsiasi delle unità delle impianto. Ove si tema questa eventualità, è bene trovare un’altra collocazione per la sala controllo, spostandola lontano dagli impianti, in un luogo sicuro (delocalizzazione), oppure si provvede alla cosidetta “bunkerizzazione”, rendendo la sala controllo resistente alle esplosioni. A tal fine si eliminano quasi completamente le superfici vetrate (i vetri sono fragili e si rompono facilmente in caso di esplosione) e si utilizzano materiali da costruzione duttili (acciaio, cemento armato) in grado di deformarsi considerevolmente prima di cedere. Il criterio di progettazione utilizzato, infatti, non sfrutta, come di solito, il campo di sollecitazioni in cui i materiali si

SS

UO

CD

FA

SPF

SE

CD caricamento/distribuzione FA futuri ampliamenti SE servizi di stabilimento SMP stoccaggio materie prime SPF stoccaggio prodotti finiti SS servizi sociali UO unità operative

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deformano elasticamente, bensì, accetta che in caso di esplosione si verifichino deformazioni permanenti, purché la sala controllo non crolli. Ciò consente di contenere i costi garantendo al tempo stesso la sicurezza degli operatori e dei macchinari. Ovviamente, nel caso in cui si verifichi l’esplosione, la sala controllo si danneggerà e andrà comunque ricostruita. Sia in caso di delocalizzazione che di bunkerizzazione viene a mancare il contatto “visivo” tra l’operatore e l’impianto, a cui si può ovviare utilizzando telecamere e monitor. La maggiore distanza dagli impianti, in caso di delocalizzazione, costituisce tuttavia un disincentivo nei confronti dell’effettuazione di controlli diretti sull’impianto da parte degli operatori, mentre l’assenza di finestre, in caso di bunkerizzazione, contribuisce a creare un ambiente di lavoro completamente artificiale che può risultare poco gradevole.

• Servizi di stabilimento: è l’area destinata alle cosiddette “utilities” (servizi). Essa occupa il 20-30% del totale e comprende vari servizi, quali la centrale termica, i trattamenti acque, i trattamenti dei combustibili, gli impianti frigoriferi, la produzione di aria compressa e di gas inerte, i magazzini ricambi e l’officina meccanica. La centrale termica produce vapore d’acqua in pressione che viene utilizzato come fonte di calore nell’impianto: può essere presente anche la centrale elettrica, che è quasi sempre termoelettrica. In questo caso, anziché fare due centrali separate, si realizza una centrale termica di dimensioni maggiori e si invia parte del vapore prodotto all’espansione in una turbina, azionando un alternatore con produzione di energia elettrica. I trattamenti acque riguardano l’acqua in ingresso allo stabilimento e variano con gli usi per i quali essa viene utilizzata. Per quanto riguarda l’acqua di raffreddamento, se essa è largamente disponibile è un fluido a perdere che lavora in ciclo aperto ed è sottoposta a trattamenti minimi. Ad esempio, l’acqua di mare viene semplicemente dissabbiata e ossidata per eliminare i composti organici. Se l’acqua invece non è largamente disponibile, si lavora in ciclo chiuso, refrigerandola dopo l’uso in torri di raffreddamento a contatto con aria (acqua industriale), e la depurazione viene spinta maggiormente: si effettua una sedimentazione e trattamenti dolcificanti, ma il trattamento riguarda solo l’acqua di reintegro (5-8%). L’acqua di alimentazione in caldaia va invece come minimo deionizzata, o demineralizzata, se la caldaia lavora a pressione elevata. Può essere necessaria acqua anche nel processo e allora i trattamenti di depurazione potranno essere più spinti ma anche più selettivi. Nello stabilimento serve poi acqua potabile, e una riserva di acqua antincendio. Ci può essere anche una zona dedicata ai trattamenti delle acque reflue, se necessari, prima della loro reimmissione nell’ambiente. I trattamenti possono essere chimico-fisici e/o biologici e le vasche relative possono occupare un’area rilevante. Tra i servizi di stabilimento trovano posto i trattamenti sui combustibili, e gli impianti per fluidi frigoriferi, ossia che lavorano a temperatura inferiore a quella raggiungibile con l’acqua (0°C). Tra essi si ricordano le salamoie, soluzioni di sali di calcio, e le soluzioni di glicoli che consentono di arrivare fino a –10°C circa. Al di sotto di questa temperatura si usano circuiti frigoriferi ad ammoniaca o con altri fluidi che, a pressione atmosferica, bollono a bassa temperatura. In questa zona c’è anche la produzione di aria compressa, utilizzata negli attuatori delle valvole di regolazione automatica (a perdere) per pulizia o nel processo (ad esempio nelle ossidazioni). In alcuni casi ci può essere presente un impianto di produzione di gas inerti, come azoto (N2) o anidride carbonica (CO2): la CO2 si utilizza solo se disponibile a basso prezzo e sufficientemente pura. Per la produzione di azoto si può effettuare la distillazione (frazionamento) dell’aria: da tale operazione si ottiene anche ossigeno

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(sottoprodotto) che può essere utilizzato, se serve come reagente nel processo, o semplicemente reimmesso in atmosfera. Il magazzino dei pezzi di ricambio contiene tutte quelle parti soggette ad usura (ad esempio le guarnizioni) che potrebbe essere necessario sostituire più spesso rispetto agli intervalli di tempo previsti per la manutenzione ordinaria dell’impianto (di norma effettuata su base annuale) e le scorte dei componenti degli apparecchi (ad esempio, valvole, tubi di scambiatori, ecc.). Le apparecchiature dal cui funzionamento dipende quello dell’impianto e che possono essere soggette a guasti (ad esempio le pompe) sono di norma “raddoppiate”, ossia si installano due apparecchi identici, collegati tra loro in parallelo: un apparecchio è in funzione e l’altro di riserva (in “stand-by”). In caso di guasto di quello che sta funzionando si aziona immediatamente l’altro e, comunque, a intervalli di tempo regolari, viene posto in funzione quello di riserva e portato in posizione di stand-by l’altro, in modo da realizzare una usura uniforme per entrambi. Nell’area servizi di stabilimento c’è anche un’officina meccanica con le attrezzature per effettuare riparazioni più o meno impegnative. Tutte le lavorazioni che comportano saldature in aree dove possono essere presenti prodotti infiammabili sono soggette alla richiesta preventiva di un permesso di effettuare la lavorazione che va firmato dal capo reparto.

• Area servizi sociali: copre una superficie molto limitata (2-3%) e comprende gli uffici, i laboratori di analisi, la direzione, gli spogliatoi, la mensa.

• Zona caricamento e distribuzione: può arrivare a coprire fino al 10% dell’area dello stabilimento e serve soprattutto se si producono prodotti finiti da commercializzare direttamente.

• Area per futuri ampliamenti: viene spesso lasciata un’area in previsione di modifiche di impianto o maggiore richiesta di prodotto.

Esempio di layout Come esempio di impianto dell’industria di processo si considererà una raffineria costiera reale di media grandezza, con capacità di lavorazione di 3 900 000 t/anno di greggio di petrolio [3]. La raffineria presenta uno schema di lavorazione che garantisce flessibilità alle operazioni in base al greggio impiegato e la massima resa in distillati Lo schema ha una configurazione di tipo "Hydroskimming", associata ad un sistema di conversione "Thermal Cracking/Visbreaking"; il ciclo di raffineria si completa con un impianto di gassificazione dei residui idrocarburici per la produzione di energia elettrica a ciclo combinato (IGCC). Complessivamente, nella raffineria sono presenti: • impianti produttivi per la distillazione del greggio, la idrodesoforazione e la

conversione dei semilavorati, e l’impianto di gassificazione degli idrocarburi pesanti provenienti dal ciclo di lavorazione della raffineria, che permette di ottenere un gas di sintesi utilizzato per la produzione di energia elettrica e vapore in cogenerazione;

• impianti ausiliari, che forniscono i fluidi di servizio (energia elettrica, vapore, acqua, aria) necessari al funzionamento degli impianti produttivi;

• il parco serbatoi di stoccaggio del greggio, dei prodotti petroliferi semilavorati e finiti, del GPL. In particolare, sono presenti: − 35 serbatoi per 1 020 000 m3 totali per liquidi infiammabili di Categoria A (petrolio

greggio per raffinazione, benzine); − 12 serbatoi per 56 600 m3 totali per liquidi infiammabili di Categoria B (kerosene);

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− 67 serbatoi per 446 100 m3 totali per liquidi infiammabili di Categoria C (gasolio, lubrificanti, bitume).

− 8 serbatoi interrati per 12 000 m3 totali per gas combustibili liquefatti (GPL). • il complesso di spedizione prodotti e ricezione via terra (autobotti) che comprende,

oltre ai piazzali di sosta, le attrezzature per le operazioni di pesatura: 5 aree di carico con operazioni completamente automatizzate e gestite on-line;

• impianti per il carico e lo scarico di materie prime e prodotti via mare, costituiti da: piattaforma fissa, posta a 16 km dalla costa per accogliere petroliere di stazza fino a 400.000 tonnellate; isola con doppio attracco, a 4 km dalla terraferma, per navi fino a 90.000 tonnellate; pontile, connesso direttamente alla raffineria e dotato di tre punti di attracco per motocisterne di piccolo cabotaggio.

• fabbricati, quali gli uffici, la sala controllo, le sale operatori, magazzini, officina, ecc. Lo stabilimento si estende su di un’area di circa 700 000 m2

di forma rettangolare, con lati rispettivamente lunghi circa 1300 m, lungo la costa, e 600 m, in direzione perpendicolare alla costa, come mostra la figura 7. Esso confina su un lato con il mare, sul lato opposto con una strada statale e, lungo i due lati più corti, con un arenile e con un centro abitato; inoltre, è attraversato da una linea ferroviaria. La parte dello stabilimento tra la linea ferroviaria ed il mare ospita unità produttive, serbatoi di stoccaggio, zone di carico dei prodotti ed alcuni edifici (uffici, sala controllo, officine, ecc.); la parte dello stabilimento tra la linea ferroviaria e la strada statale ospita principalmente serbatoi di stoccaggio.

Figura 7 [3]

STOCCAGGI

STOCCAGGI

STOCCAGGI

GPL

LINEA FS

STOCCAGGI

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PERICOLOSITÀ DEGLI IMPIANTI DELL’INDUSTRIA DI PROCESSO La pericolosità degli impianti dell’industria di processo può derivare dalle caratteristiche di pericolosità delle sostanze immagazzinate, utilizzate, o prodotte nell’impianto, come pure dalle condizioni operative di recipienti ed apparecchi, che possono rilasciare energia nell’ambiente. Saranno dapprima presa in esame le proprietà di pericolosità intrinseca delle sostanze, legate alle loro caratteristiche di tossicità e/o di reattività e quindi le condizioni operative pericolose. TOSSICITÀ Molte sostanze tossiche possono essere prodotte o utilizzate deliberatamente nello stabilimento, ma altre si possono generare, in condizioni particolari, come sottoprodotti indesiderati in conseguenza di incidenti. Ad esempio: ossido di carbonio e anidride carbonica sono gas tossici e asfissianti prodotti dalla combustione; ossidi di azoto possono svilupparsi durante le saldature; prodotti tossici (es. diossina) possono derivare da reazioni indesiderate. In generale, il pericolo causato da una sostanza tossica dipende dalla natura della sostanza e dalle modalità di esposizione. Si può infatti passare da un'esposizione molto breve ad alte concentrazioni ad una di durata assai lunga (al limite tutta la vita lavorativa) a bassa concentrazione: in entrambi i casi possono sorgere gravi conseguenze. Inoltre, ci sono varie modalità con cui una sostanza tossica può venire a contatto con il corpo: inalazione, ingestione e contatto esterno. Generalmente si ha inalazione di gas e vapori e ingestione o contatto esterno con liquidi e solidi. Ai fini della loro nocività nei riguardi dell'organismo umano si distinguono [4]: • asfissianti semplici; • ustionanti (o corrosive); • allergiche; • genericamente nocive; • genericamente tossiche; • mutagene; • teratogene; • cancerogene. Sostanze asfissianti semplici sono gas, quali l'azoto, l'anidride carbonica, l'idrogeno, i gas rari, gli idrocarburi leggeri, ecc. che, se presenti in concentrazione eccessiva nell'aria provocano asfissia. In particolare, alcuni gas (ad esempio l'azoto) sono asfissianti perché riducono la concentrazione di ossigeno nell'aria, altri (ad esempio l'ossido di carbonio) perché impediscono l'assimilazione dell'ossigeno da parte dell'organismo. Ustioni (o corrosioni) sono provocate dal semplice contatto con varie sostanze, ad esempio di natura acida o caustica. Altri tipi di alterazioni cutanee, quale la cloracne, sono provocate da sostanze specifiche (diossina ed altri cloroderivati). L'allergia, esagerata reattività dell'organismo verso particolari sostanze (allergeni) che si estrinseca con l'immissione in circolo di determinati anticorpi, riguarda anche l'ipersensibilità dell'organismo a stimoli fisici, chimici o nervosi. La mutagenesi consiste nell'alterazione del DNA delle cellule germinali di un individuo, che porta a delle variazioni ereditarie: si ritiene possa essere provocata da numerose sostanze chimiche e da radiazioni ionizzanti.

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La teratogenesi consiste in un danno all'embrione, che porta a malformazioni nel corso dello sviluppo. Questo danno può avvenire per esposizione, soprattutto nelle prime settimane di gravidanza, a talune sostanze, o a radiazioni. La cancerogenesi trasforma cellule normali in cellule tumorali, generalmente attraverso un meccanismo genotossico (alterazione del DNA, o mutagenesi). Spesso esiste un periodo di latenza molto lungo (anche 10-30 anni) fra l'inizio dell'esposizione a un agente cancerogeno e lo sviluppo del tumore. Valutazione della tossicità e della cancerogenicità delle sostanze chimiche Per utilizzare le sostanze chimiche in condizioni di sicurezza occorrono adeguate conoscenze sulla loro tossicità, acquisibili tramite indagini epidemiologiche o di laboratorio. Nel primo caso, occorre stabilire correlazioni tra i danni subiti da una popolazione e l'esposizione ad una data sostanza: l'analisi deve tener conto di numerosi fattori (ad esempio, i lunghi periodi di latenza dei tumori e l'influenza di concause e delle abitudini di vita sull'insorgere di taluni disturbi) e va effettuata in condizioni statisticamente significative. Le indagini epidemiologiche si possono quindi utilizzare solo in circostanze particolari, sia perché i tempi richiesti per pervenire a conclusioni attendibili sono lunghi, sia perché non si realizzano volontariamente situazioni di rischio. Analisi epidemiologiche sono state condotte su lavoratori addetti per anni o decenni alla produzione di particolari composti (ad esempio, cloruro di vinile). Le indagini di laboratorio si possono invece condurre in modo sistematico, basandosi sull'osservazione degli stati patologici causati da somministrazioni della sostanza da esaminare, in modi e dosi determinate, su animali da laboratorio (topi, ratti, criceti, pesci, ecc.), lieviti, batteri ed altri microorganismi. Le modalità di svolgimento delle prove dipendono dalla natura dell'effetto tossico: una sostanza genericamente tossica può provocare un effetto immediato, mentre gli effetti di una sostanza cancerogena dipendono dal tempo di latenza e dall'eventuale intervento di co-fattori, e quelli di una sostanza mutagena richiedono come minimo una generazione per manifestarsi. Le indagini forniscono informazioni sulle dosi letali per le diverse specie animali da laboratorio sottoposte ai test: i dati, espressi in mg/kg di peso corporeo, indicano la quantità che, in condizioni sperimentali ben definite, provoca la morte del 50% degli animali sotto esame. Tale valore, indicato con DL50 (Dose Letale) o LD50, viene riportato nelle schede di caratterizzazione tossicologica dei prodotti. CL50 (Concentrazione Letale) o LC50, indica invece la concentrazione in aria dei vapori di una sostanza che provoca la morte del 50% degli animali che l’abbiano inalata. Va tuttavia rimarcato che non tutte le informazioni acquisite da sperimentazioni su animali (ed a maggior ragione su microrganismi) sono estrapolabili all'uomo e che, tra gli stessi animali si possono verificare reazioni assai diverse, come indicato nella tabella seguente [4], che riporta la dose letale per la diossina (2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina: 2,3,7,8-TCDD).

Animale DL50 (µg/kg peso corporeo) Cavia 1 Ratto 22 - 45 Scimmia 200 Topo 114 -120 Coniglio 115 Criceto 5000

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La possibile non omogeneità delle procedure sperimentali seguite aumenta l'incertezza dei dati: è evidente la complessità delle ricerche tossicologiche e la difficoltà di acquisire dati sulla nocività di tutte le sostanze in commercio, tenuto anche conto del costo e dei mezzi (laboratori e personale specializzato) necessari per eseguirle. Le indagini tendenti a stabilire la cancerogenicità delle sostanze si suddividono in test a lungo e a breve termine: questi ultimi hanno lo scopo di verificare l'attività mutagena su microorganismi o su altre specie. Anche se la presenza di una mutazione non prova la cancerogenicità, è tuttavia utile ai fini di una preselezione delle sostanze su cui eseguire i test a lungo termine. I test a lungo termine più attendibili sono quelli condotti su mammiferi (topi, ratti, criceti, ecc.), in base ai quali viene definito il TD50, che rappresenta la dose giornaliera (in mg/kg di peso corporeo) che provoca tumore nel 50% degli animali esaminati, al termine di un periodo standard di vita. Sostanze cancerogene I tumori che colpiscono l’uomo sono attribuiti prevalentemente a fattori ambientali, quali alimentazione, fumo di sigaretta, alcool, inquinanti contenuti nell'atmosfera e negli ambienti di lavoro e radiazioni (sia solari che dovute ad elementi radioattivi). Può essere inoltre presente una predisposizione genetica, come pure fattori coadiuvanti: stress, le abitudini alimentari, ecc. Nei paesi industrializzati la frequenza dei decessi per tumore va aumentando, anche se, con l’eccezione dei tumori dovuti al fumo, tale incremento è attribuibile essenzialmente all'aumento della vita media: infatti, i decessi per tumore aumentano con la quarta potenza dell'età. Le sostanze cancerogene o sospette cancerogene per l’uomo sono oltre 1500, ma solo per poco più di 30 sussiste certezza epidemiologica [4]. In generale, solo l'assimilazione ripetuta nel tempo di una sostanza cancerogena può condurre, dopo diversi anni, ad un tumore; ad esempio, non tutti i fumatori, anche accaniti, sono colpiti da tumore. I principali agenti cancerogeni organici sia naturali che sintetici appartengono alle seguenti classi di composti: • agenti alchilanti; • allumine aromatiche; • idrocarburi aromatici, per lo più policiclici; • N-nitrosocomposti; • idrazine alifatiche, azo- e azossicomposti e arildialchiltriazine. Sostanze mutagene e/o cancerogene (alchilnitrosoammine e, soprattutto, aflatossine) si trovano anche in alimenti naturali, quali mele, cavoli, carote, ciliege e funghi, alimenti che, però, possono presentare contemporaneamente anche agenti anticancerogeni. Anche i cibi arrostiti ed affumicati (carne alla griglia, pane abbrustolito, bacon, caramello), contengono sostanze mutagene e/o cancerogene e diverse sostanze cancerogene si possono trovare, in piccole concentrazioni, anche in acque potabili. Alcuni composti di per sé non cancerogeni danno origine a prodotti cancerogeni: - oli e grassi insaturi irrancidiscono con formazione di derivati idroperossidici; - i nitrati, contenuti in diversi legumi, e gli ossidi di azoto, che si formano nei processi di

combustione, possono trasformarsi in nitrosocomposti; - la reazione tra ossidi di azoto ed idrocarburi policiclici nell’atmosfera forma nitropireni

cancerogeni. I principali tipi di tumore indotti sull'uomo da agenti cancerogeni sono elencati in tabella.

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Agente cancerogeno Tipo di tumore Alcool Laringe, bocca, esofago 4-amminodifenile Vescica Arsenico Pelle, polmone Asbesto (amianto) Polmone, mesotelioma, gastro-intestinale,

laringe Benzene Leucemia Benzidina Vescica Bisclorometilene Polmone Cadmio Rene, prostata Catrame di carbone Pelle Ciclofosfammide Leucemia Cloruro di vinile Angiosarcoma, polmone, cervello Cromati Polmone Dietilstilbestrolo Vagina Estrogeni Endometrio Fenossiacidi Sarcomi Fuliggine Testicoli Fumi di catrame di carbone Polmone Iprite Respiratorio Melfolan Leucemia 2-naftilammina Vescica Nichel (composti) Polmone, seni nasali Oli minerali Testicoli, pelle, respiratorio Polvere di legno Seni nasali Radio Sarcoma osteogenico Radon (prodotti decadimento) Polmone Raggi UV Pelle Raggi X Pelle, leucemia Tabacco Bocca, polmone, laringe, vescica, pancreas Virus epatite B Linfoma di Burkitt, fegato

Soglie di tossicità Generalmente si distingue tra le problematiche legate alla tossicità acuta, tipiche di situazioni incidentali, e quelle di tossicità semiacuta o cronica, che riguardano la protezione della salute dei lavoratori attraverso l’adozione di misure di igiene industriale. Le più importanti sostanze tossiche con effetto immediato sono: cloro, ammoniaca, anidride carbonica, ossido di carbonio, fosgene, idrogeno solforato; quelle le cui conseguenze sulla salute sono ad effetto ritardato, le più importanti sono: benzene, toluene diisocianato, cloruro di vinile, polveri fini, amianto, metalli, piombo e mercurio. Tossicità acuta Nella tossicità acuta rientrano gli effetti riconducibili ad un’unica esposizione alla sostanza tossica. Tali effetti possono essere caratterizzati mediante le grandezze DL50, dose letale mediana, e CL50, concentrazione letale mediana, a seconda del tipo di esposizione.

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• Dose letale mediana DL50: la quantità di sostanza che, somministrata per bocca o per contatto cutaneo, provoca, entro i 14 giorni successivi, la morte nel 50% della popolazione di animali da esperimento sottoposti al test. La dose letale mediana è espressa in mg/kg (peso della sostanza per unità di peso dell’animale da esperimento).

• Concentrazione letale mediana CL50: è la concentrazione della sostanza dispersa in aria, per cui si ha la morte del 50% della popolazione di animali da esperimento sottoposti al test, che ha tipicamente una durata di 4 ore. La concentrazione letale mediana è espressa in mg/l (peso della sostanza per volume standard di aria) ovvero in ppm (parti di sostanza per milioni di parti di aria, espresse in volume). Si ricorda che, per le concentrazioni di sostanze gassose, le frazioni volumetriche coincidono con quelle molari.

Le sostanze tossiche sono classificate in base ai valori di DL50 o CL50.

CL50 inalatoria (4 ore) mg/l Categoria DL50 orale mg/kg

DL50 cutanea mg/kg aerosol o particelle gas e vapori

Molto tossico ≤ 25 ≤ 50 ≤ 0.25 ≤ 0.5 Tossico 25 - 200 50 – 400 0.25 – 1 0.5 – 2 Nocivo 200 – 2 000 400 – 2 000 1 – 5 2 – 20

Il valore di tossicità acuta utilizzato come riferimento nelle situazioni di esposizione accidentale ad una sostanza tossica è spesso quello IDLH (Immediately Dangerous to Life and Health) ossia il valore immediatamente pericoloso per la vita e la salute. Questo valore è stato definito dall’ente statunitense NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) e rappresenta la massima concentrazione in aria di una sostanza pericolosa in presenza della quale un lavoratore sano, non protetto da autorespiratori, disponga di un tempo di 30 minuti per fuggire senza che si abbiano sintomi di inabilità o effetti irreversibili a carico della salute, tali da pregiudicare la fuga. È evidente che il rischio aumenta al diminuire dell'IDLH. Tale indice può essere valutato dal rapporto tra la concentrazione pericolosa per esposizioni brevi (CP) e la capacità della sostanza a diffondersi nell'ambiente (V):

VCPIDLH =

dove: CP = CL50/10 in mg/l oppure DL50/100, in mg/kg; V = 1 per gas e polveri V = G/Q per liquidi, con G tasso di evaporazione (kg/m2s) e Q quantità fuoriuscita (kg). Per la popolazione in generale, lo stesso ente fa riferimento al parametro LOC (Level Of Concern) ossia livello di attenzione, che rappresenta la massima concentrazione in aria di una sostanza pericolosa in presenza della quale un generico individuo disponga di un tempo di 30 minuti per fuggire senza che si producano effetti gravi per la salute o il decesso. Il valore del LOC è spesso assunto pari a 1/10 dell’IDLH. Tossicità subacuta Per quanto riguarda gli effetti subacuti si può fare riferimento alla tabella seguente, in cui si considerano esposizioni che si protraggono per uno o tre mesi.

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Livelli di somministrazione

Orale (mg/kg/giorno)

Cutanea (mg/kg/giorno)

Inalatoria (mg/l/6ore/giorno)

Categoria

28 giorni 90 giorni 28 giorni 90 giorni 28 giorni 90 giorniTossico 15 5 30 10 0.075 0.025 Nocivo 150 50 300 100 0.75 0.25

TLV Altre grandezze utilizzate per caratterizzare la tossicità delle sostanze sono i valori limiti di soglia TLV (Treshold Limit Value), che rappresentano le concentrazioni di sostanza tossica dispersa in aria a cui si può essere esposti senza subire conseguenze. Questi limiti sono pubblicati da una fonte di dati diffusa e recepita anche in Italia è pubblicata ed aggiornata annualmente dalla American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH). Tali limiti vengono stabiliti in base all'esperienza in campo industriale e ai risultati di ricerche sperimentali sull'uomo e sugli animali. Sono previste tre categorie di limiti, di particolare interesse per i lavoratori: • TLV-TWA (Time Weight Average = Media Ponderata nel Tempo): rappresenta la

concentrazione media ponderata nel tempo per una giornata lavorativa di 8 ore e per 40 ore settimanali a cui quasi tutti i soggetti possono essere esposti ripetutamente, giorno dopo giorno, per l’intera vita lavorativa (40 anni) senza effetti negativi. In alcuni casi il dato fa riferimento alla concentrazione media per settimana lavorativa anziché‚ per giorno lavorativo.

• TLV-STEL (Short Time Exposure Limit = Breve Tempo di Esposizione): è la concentrazione a cui quasi tutti i soggetti possono essere esposti continuativamente per un breve periodo di tempo senza che insorgano irritazioni, alterazione cronica o irreversibile dei tessuti, narcosi di intensità sufficiente ad accrescere la probabilità di infortuni o di menomare le capacità dell'individuo.

• TLV-C (Ceiling = Tetto): concentrazione che non deve essere superata neppure istantaneamente. Per alcune sostanze, ad esempio i gas irritanti, la categoria dei TLV-C è l'unica che riveste importanza.

Occorre comunque tenere presente che alcuni individui possono presentare fenomeni di suscettibilità personale a determinate sostanze, presentando disturbi più o meno gravi anche a concentrazioni minori o uguali al TLV. Per gli effetti cronici si fa generalmente riferimento al TLV-TWA, mentre i valori limiti di soglia TLV-STEL e TLV-C sono cautelativi nei confronti di effetti subacuti e acuti. Il TLV-STEL integra il TLV-TWA, se esistono effetti acuti riconosciuti di una sostanza la cui azione tossica è principalmente cronica. Un TLV-STEL viene definito come una esposizione media ponderata nel tempo misurata su un periodo di 15 minuti, che non deve essere superata nella giornata, anche se la media ponderata su 8 ore è entro il TLV-TWA. Inoltre, esposizioni al valore TLV-STEL non devono protrarsi oltre i 15 minuti e non devono ripetersi per più di quattro volte al giorno. Fra due esposizioni successive al valore TLV-STEL devono intercorrere almeno 60 minuti. Quando è riportato il solo TLV-TWA, sono consentite escursioni al disopra del suo valore, purché vengano compensate da escursioni equivalenti al di sotto del limite durante la giornata lavorativa. La proposta più recente fatta dall'ACGIH precisa che le esposizioni di breve durata possono superare un valore pari a 3 volte il TLV-TWA per non più di 30 minuti complessivi durante la giornata lavorativa e, in nessun caso, un

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valore pari a 5 volte il TLV-TWA, sempre nel presupposto che il TLV-TWA non venga superato. I valori di TLV-TWA sono pubblicati per oltre 650 sostanze: per alcune di esse sono riportati a titolo esemplificativo nella tabella seguente [4].

Sostanza TLV-TWA (ppm) TLV-TWA (mg/m3) Acetone 750 1780 Acido nitrico 2 5.2 Acido solfidrico 10 14 Acido solforico 1 Alcool etilico 1000 1800 Ammoniaca 25 17 Anidride carbonica 5000 9000 Anidride solforosa 2 5.2 Benzina 300 890 Cloro 0.5 1.5 Fenolo (per via cutanea) 5 19 Mercurio (per via cutanea) 0.01 Olio minerale (nebbie) 5 Ossido di carbonio 50 57 Ozono 0.1 0.02 Polvere di carbone 2 Polvere di cereali 4 Vetro (polvere fibrosa) 10

Per quanto riguarda le miscele di sostanze tossiche la determinazione di soglie di tossicità per la miscela basandosi sulla tossicità dei singoli componenti può portare ad errori anche considerevoli. Ciononostante, un’indicazione approssimativa della tossicità di miscele formate da j sostanze con caratteristiche di tossicità simili, si può ottenere dalla:

∑∑

=

jj

j

j jmiscela

TLVcc

TLV

dove TLVmiscela = TLV della miscela (ppm) cj = concentrazione del componente j della miscela (ppm) TLVj = TLV del componente j della miscela (ppm) Esempio 1 Valutare il TLV di una miscela in aria di 8 ppm di tetracloruro di carbonio e 25 ppm di dicloroetano. Il TLV del tetracloruro di carbonio è pari a 10 ppm e quello del dicloroetano a 50 ppm.

25

5025

108

258=

+

+=miscelaTLV

La concentrazione della miscela, pari a 8 + 25 = 33 ppm supera il valore del TLV, anche se i singoli componenti sono presenti in concentrazioni inferiori ai rispettivi TLV.

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Valutazione dei danni da tossicità acuta Una fuoriuscita di sostanze tossiche nell’ambiente può causare agli individui esposti danni che vanno dall’irritazione, a lesioni non mortali, e alla morte. Per valutare correttamente gli effetti dell’esposizione ad una sostanza tossica occorre tuttavia conoscere una relazione che leghi il profilo di concentrazione della sostanza nel tempo con l'entità del danno subito dall’individuo esposto [5]. A titolo di esempio, si riporta nella tabella seguente la relazione dose/effetto per esposizione inalatoria acuta a cloro.

Concentrazione in aria (ppm) Effetto sugli individui esposti 0.2 - 0.5 Soglia di percezione olfattiva

0.5 TLV-TWA 1 TLV-STEL

1.3 Grave insufficienza respiratoria dopo 30 min 3.5 Avvertibile in aria > 5 Grave irritazione di cute e mucose in pochi minuti

14 – 21 Pericolo dopo 30-60 minuti 25 IDLH

40 – 60 Polmonite tossica ed edema polmonare 430 Letale per esposizioni superiori a 30 minuti

1 000 Letale entro pochi minuti Equazioni di Probit per l’esposizione a sostanze tossiche Il metodo generale per legare l'intensità di un fenomeno al livello di danno che questo fenomeno provoca utilizza una grandezza che va sotto il nome di "probit" (probability unit). Essa è una variabile arbitraria [5] che presenta una distribuzione “normale” con media 5 e varianza 1 ed è correlata alla probabilità di subire un danno mediante una relazione analitica piuttosto complessa, che viene spesso riportata in forma grafica o tabellare, come mostrano la figura 8 e la tabella seguente.

Figura 8 [5]

0

5

10

0 50 100

%

Y

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Tabella di corrispondenza tra valori del probit e percentuali % 0 2 4 6 8 0 - 2.95 3.25 3.45 3.59 10 3.72 3.82 3.92 4.01 4.08 20 4.16 4.23 4.29 4.36 4.42 30 4.48 4.53 4.59 4.64 4.69 40 4.75 4.80 4.85 4.90 4.95 50 5.00 5.05 5.10 5.15 5.20 60 5.25 5.31 5.36 5.41 5.47 70 5.52 5.58 5.64 5.71 5.77 80 5.84 5.92 5.99 6.08 6.18 90 6.28 6.41 6.55 6.75 7.05 99 7.33 7.41 7.46 7.65 7.88

Data la forma della funzione, ad un valore di probit pari a 5 corrisponde una probabilità del 50% di subire il danno; inoltre, la probabilità di subire il danno diviene trascurabile per valore del probit inferiori a 3 ed elevatissima per valori del probit superiori a 7. Il probit viene messo in relazione con l’intensità del fenomeno che provoca il danno considerato (ad esempio la morte degli individui esposti) mediante una funzione del tipo:

VlnkkY 21 ⋅+= dove Y = probit, V = intensità del fattore causa del danno k1 e k2 = parametri caratteristici della sostanza, riportati nella letteratura scientifica. Equazioni di probit possono essere utilizzate per stimare i danni provocati dall’esposizione a sostanze tossiche, ma anche per stimare la probabilità di subire la morte, o danni, in conseguenza ad altri fenomeni (ad esempio, radiazione termica, onda d’urto, ecc.). Per quanto riguarda l’esposizione a sostanze tossiche, il fattore che causa il danno è rappresentato dal prodotto cn t tra la concentrazione di sostanza tossica, c, elevata ed un esponente n, ed il tempo t, e quindi la corrispondente equazione di probit è la seguente:

( )∑ ⋅⋅+= j jnj21 tclnkkY

La concentrazione cj è generalmente espressa in ppm ed il tempo t in minuti. Molto spesso il valore dell’esponente n è superiore ad 1: quindi, una concentrazione elevata rappresenta un pericolo maggiore rispetto ad una esposizione di lunga durata. I valori dei parametri k1, k2 ed n per la letalità dovuta all’esposizione ad alcune sostanze tossiche sono riportate nella tabella seguente.

Sostanza k1 (ppm) k2 (ppm) n (t in min) Acido cianidrico -29.42 3.008 1.43 Ammoniaca -35.9 1.85 2 Cloro -8.29 0.92 2 Fosgene -19.27 3.686 1 Metil isocianato -5.642 1.637 0.653 Ossido di propilene -7.415 0.509 2

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Esempio 2 Calcolare la percentuale di decessi attesi per un’esposizione: a) di 20 min ad una concentrazione di 400 ppm di cloro; b) di 40 min ad una concentrazione di 200 ppm di cloro.

L’equazione di probit per il cloro (vedi tabella) è: ( )tcln92.029.8Y 2 ⋅⋅+−=

a) ( ) 49.520400ln92.029.8Y 2 =⋅⋅+−= b) ( ) 85.440200ln92.029.8Y 2 =⋅⋅+−= Dalla tabella di corrispondenza tra valori di probit e percentuali, si ottiene: a) una percentuale di decessi attesi del 69%; una percentuale di decessi attesi del 44%. REATTIVITÀ Ogni sistema chimico interessato da fenomeni esotermici (ossia accompagnati da sviluppo di calore) e/o che portino allo sviluppo di gas/vapori o alla dilatazione di un fluido, presenta un pericolo potenziale di esplosione. I sistemi e le situazioni che possono portare a tali eventi sono svariati ed interessano sia composti singoli sia miscele. Le sostanze reattive comprendono sia quelle termodinamicamente instabili, ossia che tendono spontaneamente, o in presenza di fattori iniziatori, a reagire con reazioni di decomposizione, isomerizzazione o polimerizzazione senza coinvolgere altre sostanze, sia quelle che invece tendono a reagire facilmente e velocemente con altre sostanze con cui vengano in contatto. Sostanze termodinamicamente instabili La stabilità termodinamica delle sostanze dipende dalla loro composizione e, più precisamente, dalla presenza nella loro molecola di taluni gruppi funzionali, i più importanti dei quali sono riportati nella tabella seguente [4]. Gruppo Composti Gruppo Composti -C≡C- Acetilenici ≡C-N-N-C≡ Azocomposti -O-O- Perossodici ≡C-N-N- Arene diazo composti -O-O-O- Ozonuri -N=N-N=N- Tetrazoli =C-C= I I O

Epossidi ≡C-N=N-N-C≡ I R

Triazeni

≡C-NO Nitrosocomposti -N3 Azidi ≡C-NO2 Nitroalcani

Polinitroarilcomposti =N-Metallo N-metallo composti

≡C-O-NO2 Nitrati di composti ossidrilici Polinitrati di composti poliossidrilici

Ar-Metallo-X X-AR-Metallo

Complessi alo-aril e aloaren-metallo

≡C-O-NO Nitriti =C=N-O-Metallo Fulminati ≡N+-H Z- Ossosali di basi azotate, sali di

idrazinio [Hg=N+=HgX-] Composti poli (di

mercurio-imminici) ≡N+-OH Z- Sali di idrossilammonio [≡N→Metallo]+ Z- Ossosali metallo ammina =N-NO2 N-nitrocomposti =N-X N-alo composti =N-NO N-nitrisocomposti =N-O- N-O composti =C=N2 Diazocomposti __________ I I

=C-N=N Diazirine

≡C-N2+ Z- Sali di diazonio

-O-X Perclorati organici e di basi azotate, cloriti, clorati,ipoaliti, composti perclorilici, aloossidi

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In questa sede non si analizzeranno tuttavia le sostanze interessate da decomposizione esplosiva, quali gli esplosivi secondari costituiti da nitroderivati e nitrati (nitroglicerina, nitrocellulosa, trinitrotoluolo, nitrato ammonico, ecc.) e gli agenti di detonazione iniziale (fulminato di mercurio, azoturo di piombo, ecc.). Il fatto che una sostanza sia termodinamicamente instabile non significa che la sua trasformazione sia spontanea: potrebbe infatti essere necessario un innesco, come un urto, una scintilla, la presenza di un iniziatore chimico, ecc. Come esempio di sostanze termodinamicamente instabili si considereranno l’ossido di etilene e l’acqua ossigenata. Ossido di etilene L'ossido di etilene, C2H4O, presenta una struttura che contiene un anello a tre atomi, i cui legami possono “aprirsi” con relativa facilità. Questo composto, che bolle a 10.7°C a pressione atmosferica, può quindi decomporsi, isomerizzare, o polimerizzare (in particolare se allo stato liquido), come mostra la tabella seguente, che riporta, per ogni reazione, la corrispondente variazione di entalpia, ∆H. Questa grandezza rappresenta il calore associato alla reazione ed ha segno negativo quando la reazione è esotermica, ossia quando comporta uno sviluppo di calore, che viene ceduto all’ambiente esterno.

Reazioni ∆H (kJ/mol) 1) decomposizione C2H4O = CO + CH4 -134.3 2) decomposizione C2H4O = CO + H2 + 0.5C2H4 -33.5 3) decomposizione C2H4O = CO + 0.5 H2 + 0.5 C2H6 -101.7 4) decomposizione C2H4O = CO + 2 H2 + C -59.4 5) isomerizzazione C2H4O = CH3-CHO -115.5 6) polimerizzazione n C2H4O = (CH2-CH2-O)n -106.8

L’ossido di etilene forma miscele infiammabili con l’aria: inoltre, i vapori di ossido di etilene possono esplodere anche allo stato puro, ossia senza combinarsi con l’ossigeno dell’aria, seppure solo in presenza di inneschi molto potenti. L’ossido di etilene liquido, a temperatura e pressione maggiori di quelle normalmente utilizzate per la sua manipolazione, può decomporsi in modo esplosivo. Infine esso reagisce con diverse sostanze (ammoniaca, ammine, alcooli, acqua, ecc.). Tutte queste trasformazioni sono accompagnate da sviluppo di calore e possono essere provocate dalla presenza di impurezze, da inneschi di varia natura o dall’innalzamento della temperatura. Il decorso delle reazioni può essere lento, ma non per questo è meno pericoloso: ad esempio, nello stoccaggio di ossido di etilene liquido, in tempi relativamente lunghi, possono verificarsi violente esplosioni. Altre situazioni di rischio si possono presentarsi in un reattore se, a seguito di un malfunzionamenti (ad esempio, se si blocca l’agitazione, e quindi la reazione rallenta) si accumula una massa di ossido di etilene: alla ripresa dell’agitazione questa reagisce con violenza, liberando una quantità elevata di energia. Acqua ossigenata Un’altra sostanza termodinamicamente instabile è l'acqua ossigenata (H2O2), che è

O H – C C – H I I H H

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commercializzata in forma di soluzione acquosa, a concentrazione maggiore del 35% in peso. L’acqua ossigenata si decompone secondo la reazione esotermica:

H2O2 = H2O + 0,5 O2 ∆H25°C = -98.15 kJ/mole

La decomposizione è trascurabile in presenza di agenti stabilizzanti (ad esempio: stannato sodico), ma può essere invece accelerata da vari fattori quali: un aumento del pH delle soluzioni (per pH >7); la presenza, anche in tracce, di ioni metallici (Fe, Cu, Cr, Ni, Co, Mn, Zn, Ag, ecc.), di batteri o di enzimi, di alcune sostanze organiche; il contatto con superfici metalliche (acciaio al carbonio, rame e sue leghe, magnesio e sue leghe) non perfettamente lisce. Per tale ragione, le apparecchiature utilizzate per le soluzioni di acqua ossigenata, specie se concentrate, sono di acciaio inossidabile o di alluminio. La decomposizione dell'acqua ossigenata è accompagnata da sviluppo di ossigeno: in recipienti chiusi si origina un aumento di pressione e in presenza di vapori organici si possono formare miscele infiammabili. Se la concentrazione di acqua ossigenata in fase vapore supera il 26% in moli, i vapori si decompongono in modo esplosivo. Reazioni esplosive si possono verificare anche in miscele formate da soluzioni acquose di acqua ossigenata e diverse sostanze organiche: in linea di principio soluzioni contenenti oltre 30% in peso di acqua ossigenata sono da ritenersi potenzialmente pericolose. Versare una sostanza organica in una soluzione di acqua ossigenata concentrata può innescare una violenta decomposizione esotermica, mentre non si verificano inconvenienti se si aggiunge una soluzione di acqua ossigenata ad un liquido organico, operando lentamente ed in presenza di agitazione. Infine, il contatto di soluzioni acquose di acqua ossigenata, anche a concentrazioni inferiori al 50% in peso, con materiali solidi combustibili può dar luogo ad incendi. Esistono dei metodi di calcolo che forniscono indicazioni di prima approssimazione sul rischio potenziale di instabilità presentato da sostanze chimiche pure: se il rischio risulta basso non sono necessarie altre indagini, ma se invece risulta medio o alto è necessario procedere ad ulteriori valutazioni, di tipo sperimentale. A tale scopo sono utilizzate tecniche per lo studio della stabilità termica che consentono di esaminare, in tempi ragionevoli, gli effetti di condizioni operative (ad esempio, temperatura, pressione e rapporti tra i reagenti) e di impurezze che potrebbero accelerare la reazione o catalizzarne altre non desiderate. Incompatibilità tra sostanze Il semplice contatto tra alcune sostanze può dar luogo a reazioni spontanee altamente esotermiche, allo sviluppo di gas tossici o infiammabili, o alla formazione di prodotti termodinamicamente instabili. In molti casi l'evento dannoso è prevedibile in base a nozioni elementari di chimica: alcuni esempi di sostanze incompatibili sono riportati nella tabella seguente [4]. Classi di sostanze incompatibili Evento dannoso Acidi Basi Acidi forti Acqua Anidridi (SO3, P2O5, anidride acetica, ecc.), PCl3, PCl5, POCl3

Acqua

Reazioni fortemente esotermiche con proiezione e sviluppo di sostanze aggressive e scoppio di apparecchi

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Classi di sostanze incompatibili Evento dannoso Ossidanti energici (H2O2, perossidi, O3, O2 liquido, permanganati, acido ipocloroso e suoi sali, cloriti alcalini, ClO2, clorati, acido nitrico, N2O4)

Sostanze facilmente ossidabili, quali vari composti organici

Reazioni fortemente esotermiche: esplosione o incendio

Acido nitrico o ossido di azoto Ammoniaca, fosforo o talune sostanze organiche (alcoli, cellulosa, glicoli, composti insaturi, aromatici, grassi vegetali o animali)

Reazioni fortemente esotermiche, formazione di prodotti (nitroderivati) termicamente instabili: esplosione e incendio

Composti metallorganici e idruri (alluminio alchili, litio alluminio idruro, ecc.)

Aria, acqua e alcoli Reazioni fortemente esotermiche: esplosione o incendio

Metalli, solfuri metallici e altre sostanze piroforiche in polvere o come particelle con elevata area superficiale

Aria, alogeni o solventi alogenati

Reazioni fortemente esotermiche: esplosione o incendio

Alluminio Taluni composti organici florurati o clorurati

Titanio Cloro anidro

Reazioni fortemente esotermiche: esplosione o incendio

Solventi alogenati Ammine, chetoni Reazioni fortemente esotermiche: esplosione o incendio

Acidi forti Polveri metalliche Sviluppo istantaneo di idrogeno e formazione con l'aria di miscela tonante, esplosione

Metalli alcalini e alcalino-terrosi Acqua Alluminio Soda caustica

Decomposizione, anche esplosiva

Acqua ossigenata, perossidi, ozonuri

Ioni metallici, batteri, enzimi, diverse sostanze organiche

Decomposizione anche esplosiva, sviluppo di O2 e possibilità di formazione di miscele esplodibili con sostanze organiche, incendio

Acidi forti Sali di acidi deboli volatili e tossici (cianuri, solfuri, solfiti, ecc.)

Sviluppo di gas tossici

Zolfo Acqua a 100-600°C Sviluppo di H2S e SO2 Metalli fusi o sali fusi Acqua Ebollizione istantanea, esplosione

fisica Le conseguenze dell’incompatibilità possono manifestarsi all'atto stesso del contatto tra le sostanze, oppure essere differite. Infiammabilità Una particolare classe di sostanze reattive è rappresentata da quelle infiammabili, in grado di reagire con l’ossigeno secondo una reazione di combustione dando luogo a sviluppo di calore, generalmente accompagnato dalla presenza di una fiamma visibile.

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Nella maggior parte dei casi l’ossigeno occorrente alla reazione di combustione viene fornito dall’aria, in cui tale gas è presente in una percentuale all’incirca pari al 21% in volume (la restante parte dell’aria è costituita quasi esclusivamente da azoto). Per comprendere il comportamento delle sostanze infiammabili è quindi necessario esaminare preliminarmente le caratteristiche delle reazioni di combustione [6]. Reazioni di combustione Una combustione è la reazione chimica di una sostanza infiammabile con l'ossigeno, come, ad esempio: C + O2 → CO2 combustione del carbonio H2 + 0.5 O2 → H2O combustione dell’idrogeno CO + 0.5 O2 → CO2 combustione dell’ossido di carbonio CH4 + 2 O2 → CO2 + 2 H2O combustione del metano Le reazioni di combustione avvengono attraverso un meccanismo a catena, che prevede: • reazione di iniziazione: questa è una reazione molto endotermica (ossia che richiede energia dall’esterno) in cui si ha la formazione di specie chimiche estremamente reattive (radicali liberi). La presenza dell’innesco, ossia di una fonte di energia esterna, è quindi richiesta per far si che avvenga questa reazione di inizio della catena. Una volta che la reazione ha avuto inizio è lo stesso calore sviluppato dalla combustione a fornire l’energia richiesta all’innesco di ulteriore materiale infiammabile. • reazioni di propagazione e/o ramificazione: la reazione a catena prosegue secondo questi due meccanismi, entrambi fortemente esotermici, che possono aver luogo anche contemporaneamente. Nel meccanismo di propagazione il numero di specie attive (radicali liberi) rimane costante, mentre nel meccanismo di ramificazione, il loro numero aumenta: in quest’ultimo caso è possibile che la reazione di combustione assuma un decorso esplosivo. • reazioni di terminazione: esse portano all’arresto della reazione a catena. La terminazione può verificarsi per una reazione dei radicali liberi con altre specie chimiche, a dare composti inerti (terminazione lineare) oppure per la reazione di radicali liberi tra loro (terminazione mutua). Un fattore che porta alla terminazione lineare è la presenza di pareti di contenimento, per una combustione in un ambiente chiuso. A titolo di esempio si riportano le reazioni di iniziazione, propagazione e ramificazione per la combustione di idrogeno (con l’asterisco si indicano i radicali liberi): H2 ─> 2 H* reazione di iniziazione H* + O2 + H2 ─> H2O + OH* reazioni di propagazione OH* + H2 ─> H2O + H* H* + O2 ─> OH* + O* O* + H2 ─> OH* + H* reazioni di ramificazione H* + O2 + H2 ─> H* + OH* + OH* Nel loro complesso, le reazioni di combustione sono esotermiche: i valori del calore di combustione per le reazioni viste in precedenza sono i seguenti:

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C + O2 → CO2 ∆H0 = -94.052 kcal/mol = -7 837 kcal/kg

H2 + 0.5 O2 → H2O ∆H0 = -57.797 kcal/mol = - 28 899 kcal/kg

CO + 0.5 O2 → CO2 ∆H0 = -67.636 kcal/mol = -2 416 kcal/kg

CH4 + 2 O2 → CO2 + 2 H2O ∆H0 = -191.756 kcal/mol = -11 985 kcal/kg

Per ogni prodotto combustibile si può determinare un potere calorifico, che è la quantità di calore che si sviluppa dalla combustione completa, riferita all’unità di massa (o di volume) del prodotto stesso. È possibile definire due valori del potere calorifico, dipendentemente dal fatto che si conteggi o meno, nel calore prodotto, anche quello che si otterrebbe per effetto della condensazione del vapore d’acqua sviluppato nella combustione: • potere calorifico superiore: tiene conto anche del calore di condensazione del vapor

d’acqua che si genera nella combustione; • potere calorifico inferiore: non tiene conto del calore di condensazione del vapor

d’acqua. Il valore del potere calorifico che viene più comunemente utilizzato è quello del potere calorifico inferiore (p.c.i.). La tabella seguente riporta i valori del potere calorifico inferiore per alcune sostanze [7]. Sostanza p.c.i. (MJ/kg) p.c.i. (kcal/kg) Sostanza p.c.i. (MJ/kg) p.c.i. (kcal/kg) Alcool etilico 25 5970 Legno 17 4061 Benzina 42 10067 Polietilene 35-45 8361-10750 Carbone 30-34 7167-8123 Propano 46 10989 Idrogeno 120 28667 Limiti di infiammabilità Anche se le condizioni ottimali per una combustione sono rappresentate dalla presenza di miscele stechiometriche combustibile-comburente, la combustione può aver luogo anche per miscele che presentino rapporti combustibile-comburente inferiori (o superiori) a quelli stechiometrici, purché compresi all’interno di un certo campo. Le concentrazioni limite a cui si ha ancora la presenza di miscele infiammabili, ossia in grado di sostenere la combustione, una volta innescate, sono dette limiti di infiammabilità, rispettivamente superiore ed inferiore. In alcuni casi sono pure riportati dei limiti di esplodibilità, rispettivamente come minima e la massima concentrazione a cui la miscela infiammabile può ancora esplodere. L’esistenza di limiti di esplodibilità distinti dai limiti di infiammabilità è però opinabile [5] ed il fatto che le esplosioni coinvolgano generalmente miscele che si trovano ben all’interno della zona di infiammabilità si spiega con la constatazione che in tali condizioni è più facile che si verifichi un’esplosione, che diviene meno probabile man mano che ci si avvicina alle concentrazioni dei limiti di infiammabilità. Generalmente i limiti di inferiori e superiori di infiammabilità, indicati con le sigle LFL (Lower Flammability Limit) e UFL (Upper Flammability Limit) sono all’incirca pari rispettivamente a 0.5 e 2 volte la concentrazione stechiometrica [5]. In alcuni casi, uno dei due limiti di infiammabilità può addirittura non esistere, ossia la sostanza può reagire anche in assenza di ossigeno, come avviene per gas o vapori che subiscono una decomposizione esplosiva (ad esempio, idrazina e ossido di etilene). I valori dei limiti di infiammabilità di gas e vapori sono generalmente espressi come percentuale in volume del combustibile nella miscela aria-combustibile (la frazione in

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volume coincide in tale caso con quella molare), mentre nel caso di polveri sono espressi come peso di polvere per unità di volume di aria (tipicamente mg/litro). I valori dei limiti di infiammabilità di alcuni gas e vapori, a temperatura e pressione ambiente, sono riportati nella tabella seguente [6].

Gas e vapori LFL (% volume)

UFL (% volume)

Gas e vapori LFL (% volume)

UFL (% volume)

Acetilene 2.5 100 Gasolio 0.6 6.5 Acetone 2.5 13 Idrogeno 4.0 75 Alcool etilico 3.3 19 Metano 5.0 15 Ammoniaca 15.0 28 Ossido di etilene 3.0 100 Benzene 1.3 7.9 Propilene 2.4 11 Benzina 1.0 6.5 Propano 2.1 9.5 Etilene 2.7 37

Negli idrocarburi lineari il valore di LFL diminuisce generalmente all’aumentare della lunghezza delle catena. Nel caso di miscele di gas o vapori, in prima approssimazione, le concentrazioni limite di infiammabilità si possono calcolare come:

∑=

jj

jmiscela

Lv

100L

dove Lmiscela = limite inferiore (o superiore) di infiammabilità della miscela (%) Lj = limite inferiore (o superiore) di infiammabilità del componente j (%) vj = percentuale in volume del componente j nella miscela

Esempio 3 Calcolare il limite inferiore di infiammabilità di un gas naturale la cui composizione e valori dei limiti inferiori di infiammabilità dei singoli componenti sono appresso riportati. metano 80 % volume LFL = 5.0 % etano 15 % LFL = 2.9 % propano 4 % LFL = 2.1 % butano 1 % LFL = 1.8 %

%.

...

LFLmiscela 24

811

124

9215

580

100=

+++=

Per quanto riguarda le polveri viene generalmente fornito solo il valore del limite inferiore di infiammabilità, poiché è assai difficile misurare quello superiore, in quanto la polvere deve essere uniformemente dispersa nell'aria e non devono essere presenti zone a bassa concentrazione. Occorre poi prestare grande cautela nell’utilizzare i valori riportati nella letteratura scientifica, dato che l’infiammabilità dipende anche da fattori, come la granulometria, l’umidità, la porosità, ecc.: in particolare, l’infiammabilità aumenta al diminuire delle dimensioni della polvere ed al diminuire dell’umidità. Nella tabella seguente sono riportati i valori dei limiti inferiori di infiammabilità per alcune polveri a temperature e pressione ambiente [6].

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Polveri LFL (mg/litro) Polveri LFL (mg/litro) Caffè 85 Metilcellulosa 30 Carbone 55 Polipropilene 20 Carbone attivo 100 Zolfo 35 Legno 20

Quando si esamina l’infiammabilità delle polveri, occorre prestare la massima attenzione a riportare le concentrazioni del processo di interesse alle condizioni di temperatura e pressione ambiente prima di confrontarli con i valori tabellati: infatti, molti processi con polveri (ad esempio l’essiccamento) hanno luogo a temperatura elevata e la densità dell’aria diminuisce con la temperatura. I limiti di infiammabilità sono influenzati dalla temperatura e dalla pressione. Aumentando la temperatura la zona di infiammabilità si allarga, attraverso la diminuzione del limite inferiore e, soprattutto, l'aumento del limite superiore. A titolo di esempio, per l'etilene in aria il limite inferiore di infiammabilità passa da 2.7% a 25°C al 2.2% a 250°C, mentre quello superiore varia corrispondentemente dal 37 al 58%. Per quanto riguarda le polveri, l'effetto della temperatura è marcato, ed è legato soprattutto alla riduzione dell'umidità della polvere di cui aumenta quindi la disperdibilità nell'aria. Occorre poi prestare molta attenzione nel valutare le concentrazioni limite di infiammabilità a condizioni diverse da quelle ambiente, principalmente in quanto varia la densità del gas. Anche all'aumentare della pressione la zona di infiammabilità si allarga, soprattutto per l'aumento del limite superiore, come osservato per la temperatura. Per l'etilene, a temperatura ambiente, il limite inferiore varia da 2.6% al 2.3% innalzando la pressione da 5 a 20 atmosfere, mentre il limite superiore varia corrispondentemente dal 37% al 69%. Per quanto riguarda le polveri, l'effetto della pressione sui limiti di infiammabilità non è molto marcato ma occorre tenere conto, anche in questo caso, dell'effetto della pressione sulla densità dell'aria. Combustibili solidi La combustione richiede che combustibile e comburente siamo miscelati tra loro, ossia si trovino entrambi in fase gassosa. Nel caso di combustibili solidi, occorre che essi sviluppino quantità sufficienti di sostanze volatili, che normalmente derivano da reazioni di decomposizione ad alta temperatura (pirolisi), a seguito delle quali si formano sostanze a basso peso molecolare che volatilizzano dalla superficie del solido. La combustione di sostanze solide è influenzata da parametri quali: la composizione chimica, la pezzatura e la forma del materiale, il suo grado di porosità ed il tenore di umidità, e le condizioni di ventilazione. La combustione di sostanze solide porta alla formazione di braci, costituite dai residui carboniosi. Combustibili liquidi Nei combustibili liquidi, la frazione che partecipa alla combustione è costituita dai vapori infiammabili che si sviluppano dalla superficie del liquido. Il calore generato dalla combustione provoca un’ulteriore evaporazione del liquido che sostiene la combustione stessa, fino al completo consumo della massa liquida. La tendenza di un liquido ad evaporare è espressa mediante la tensione di vapore, che è

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funzione della temperatura assoluta secondo l’espressione di Antoine:

TBApln s −=

dove ps = tensione di vapore del liquido, espressa in unità di pressione (ad esempio atm) T = temperatura assoluta (K) A e B = parametri caratteristici della sostanza Se si ipotizza che sulla superficie del liquido, ossia all’interfaccia tra il liquido ed il vapore, si stabiliscano condizioni di equilibrio termodinamico, la pressione parziale del vapore sviluppato dal liquido, pvap sarà esattamente pari alla sua tensione di vapore ps. D’altra parte, la pressione parziale del vapore è legata alla frazione molare di questo componente in fase gassosa, yvap, ed alla pressione totale del sistema, P, secondo la relazione: pvap = yvap⋅P dove pvap = pressione parziale dei vapori del liquido nella miscela gassosa (atm) yvap = frazione molare dei vapori del liquido nella miscela gassosa P = pressione del sistema (atm) Poiché frazione molare e frazione volumetrica dei gas coincidono, noto il valore della concentrazione limite di infiammabilità, Lvap, espresso come percentuale in volume, si può risalire immediatamente alla frazione molare

100L

y vapvap =

e quindi alla pressione parziale del vapore con l’equazione precedente. Nell’ipotesi fatta di equilibrio sul pelo libero del liquido, sarà pvap = ps e dall’equazione della tensione di vapore si potrà risalire alla temperatura T a cui si deve trovare il liquido per sviluppare vapori infiammabili. Esiste quindi una corrispondenza biunivoca tra il valore del limite di infiammabilità e tale temperatura. Esempio 4 Valutare le temperature corrispondenti ai limiti inferiori e superiori di infiammabilità per l'alcool etilico: LFL= 3.3 %, UFL = 19 %. A pressione atmosferica i corrispondenti valori di pvap sono:

atm.patm..pPLimitep sup,vapinf,vapvap 190100

1190330100

133100

=⋅

==⋅

=⋅

=

L’espressione della tensione di vapore dell’alcool etilico, nel campo di pressioni di interesse, è:

T..pln s255139577014 −=

da cui, ponendo ps = pvap, si ricava: vaps pln.

.pln.

.T−

=−

=577014

255139577014

255139

C.K..ln.

.Tinf °==−

= 71272850330577014

255139 C.K..ln.

.Tsup °==−

= 3435316190577014

255139

Si definisce punto di infiammabilità (flash point) o temperatura di infiammabilità la temperatura più bassa a cui un vapore sviluppato dal liquido forma con l'aria una miscela

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che si infiamma sotto l'azione di una sorgente di accensione. La temperatura del punto di infiammabilità è all’incirca pari a quella corrispondente al limite inferiore di infiammabilità. Il punto di combustione (fire point) o temperatura di combustione è invece definito come la temperatura più bassa a cui il combustibile brucia con continuità per almeno 5 secondi a seguito di accensione. I liquidi infiammabili sono classificati come segue in base alla temperatura di infiammabilità [7]: Categoria A liquidi con punto di infiammabilità inferiore a 21°C Categoria B liquidi con punto di infiammabilità compreso tra 21 e 65°C Categoria C liquidi con punto di infiammabilità superiore a 65°C La pericolosità del liquido nei confronti di un incendio diminuisce passando dalla categoria A alla C. Alcuni esempi di classificazione di liquidi infiammabili sono dati nella tabella seguente.

Sostanza Temperatura infiammabilità

(°C)

Categoria Sostanza Temperatura infiammabilità

(°C)

Categoria

Acetone -18 A Gasolio 65 C Alcool etilico 13 A Olio lubrificante 149 C Alcool metilico 11 A Toluene 4 A Benzina -20 A

La manipolazione dei prodotti con punto di infiammabilità relativamente basso (<40°C) richiede precauzioni particolari, che non sono generalmente più necessarie per prodotti con punti di infiammabilità più alti (>65°C). La diminuzione della pressione abbassa anche il punto di infiammabilità: liquidi che a pressione atmosferica hanno un punto di infiammabilità ben al di sopra della temperatura ambiente, possono dar luogo a miscele infiammabili a temperatura ambiente per pressioni inferiori a 1 atm. Combustibili gassosi I gas possono essere classificati in base a vari criteri, tra cui quelli legati alle modalità di dispersione in aria. In particolare, si definiscono [8]: • gas leggeri: quelli con densità inferiore o comunque confrontabile con quella dell’aria; • gas pesanti o gas densi: quelli con densità superiore a quella dell’aria. Considerato che le modalità di dispersione riguardano la miscelazione del gas con aria atmosferica, che si trova a temperatura ambiente e pressione atmosferica, posto che anche il gas sia rilasciato nell’ambiente, ossia si trovi a pressione atmosferica, per valutare le rispettive densità si può utilizzare la legge dei gas perfetti, da cui si ricava:

TRMP

G ⋅⋅

dove ρG = densità del gas (kg/m3) P = pressione (atm) M = peso molecolare del gas (kg/kmol)

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R = 0.0821 costante dei gas T = temperatura assoluta (K) Il peso molecolare dell’aria, miscela di azoto e ossigeno, è pari a 29; i gas infiammabili possono avere peso molecolare inferiore (PM idrogeno = 2; PM metano = 16) o superiore (PM propano = 44; PM butano = 56) a quello dell’aria. A pressione e temperatura ambiente un gas con peso molecolare inferiore a quello dell’aria si disperderà come gas leggero, mentre un gas con peso molecolare superiore si disperderà come gas pesante. I gas leggeri tendono ad accumularsi nella parte superiore di recipienti o ambienti chiusi e si disperdono verso l’alto all’aperto, mentre i gas pesanti tendono a stratificare verso il basso e possono penetrare in cunicoli. PERICOLOSITÀ DELLE SOSTANZE REATTIVE E INFIAMMABILI I principali pericoli associati alle sostanze reattive sono legati alla possibilità che si formino sostanze tossiche, o che il calore sviluppato da una reazione esotermica porti a danni diretti (per irraggiamento termico) o allo sviluppo di gas o vapori, con aumento di pressione, all’interno di ambienti o recipienti chiusi, e rischio di esplosione. Incendi Va ricordato che vari prodotti tossici possono formarsi nella combustione. Gran parte dei prodotti infiammabili presenti negli impianti di processo sono costituiti da idrocarburi, in cui sono presenti carbonio e idrogeno, e nei prodotti di combustione sono quindi presenti CO2 (anidride carbonica) e H2O (vapor d’acqua). Possono poi essere presenti ossidi di azoto (NOx), dovuti alla reazione tra azoto e ossigeno dell’aria e, se nel combustibile è presente zolfo, SO2 (anidride solforosa). In caso di combustione incompleta, o in difetto di ossigeno, come accade in ambienti chiusi se il ricambio d’aria è insufficiente, può formarsi CO (ossido di carbonio) che è un prodotto molto tossico. Nel caso di combustibili solidi, possono essere presente anche altri composti pericolosi, che derivano dalle reazioni di pirolisi, quali: • idrogeno solforato (H2S) • ammoniaca (NH3) • acido cianidrico (HCN) • acido cloridrico (HCl) • aldeide acrilica (CH2CHCHO) • fosgene (COCl2) Il maggior rischio degli incendi è rappresentato dall’irraggiamento termico. I fumi che si formano sono a temperature mediamente comprese tra 800 e 1200°C, e quindi presentano una densità sensibilmente inferiore a quella dell’aria. Il calore sviluppato dalla reazione di combustione viene ceduto all'ambiente secondo i meccanismi di conduzione (tipico dei solidi), convezione (tipico dei fluidi) e irraggiamento. Il contributo della conduzione allo smaltimento del calore sviluppato in una combustione è generalmente scarso (< 5%). Esso ha maggiore importanza in ambienti chiusi, poiché in tale caso, attraverso il riscaldamento di una parete dovuto alla conduzione, è possibile l'innesco di una combustione anche al di là della parete stessa. La convezione contribuisce invece per circa il 70-75 % allo smaltimento del calore di combustione. I fumi, data la loro densità che è mediamente ¼ di quella dell’aria, tendono ad andare verso l’alto: ciò è fonte di problemi in ambienti chiusi (propagazione di un incendio ai piani superiori di un edificio), mentre crea minori preoccupazioni all’aperto, poiché la maggior parte del calore viene disperso in una direzione in cui è meno probabile

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si trovino persone o cose. L'irraggiamento contribuisce per circa il 15-35 % allo smaltimento del calore sviluppato da un incendio: i valori più elevati si hanno generalmente per combustibili gassosi o per combustibili liquidi che vaporizzano facilmente (come i gas liquefatti). In incendi all’aperto il meccanismo di irraggiamento risulta spesso quello più importante, poiché non agisce secondo direzioni preferenziali e colpisce tutto ciò che si trova nel suo raggio di azione. Gli incendi di interesse negli impianti di processo si possono suddividere nelle seguenti tipologie [8]: • Jet fire: getto incendiato (detto anche dardo di fuoco) di gas infiammabile. Si può

verificare in caso di fuoriuscita di gas pressurizzato (ad esempio da un piccolo foro o da una valvola di sicurezza), ma anche in caso di incendio di una miscela gassosa all’interno di una tubazione.

• Pool fire: incendio di una pozza di liquido infiammabile. Si può verificare in caso di una perdita di liquido da un serbatoio o da una tubazione, se la pozza di liquido trova un innesco. Casi tipici sono gli incendi di liquidi infiammabili all’interno dei bacini di contenimento di serbatoi o l’incendio di liquidi all’interno dei serbatoi stessi.

• Flash fire: incendio di una nube di gas o vapori infiammabili. Si può verificare in caso di fuoriuscita di un prodotto infiammabile gassoso o allo stato vapore da un serbatoio o da una tubazione. Si può anche verificare in caso di formazione di una pozza di liquido infiammabile che non trovi un innesco: il liquido vaporizza dalla pozza e forma una nube infiammabile.

• Fireball: palla di fuoco, dovuta all’innesco di una massa di vapori infiammabili rilasciata in modo pressoché istantaneo a causa dell’espansione di gas liquefatti. Essa è dovuta tipicamente al cedimento del recipiente, con rapido flash del liquido che vaporizza e trascina gran parte del liquido rimanente come aerosol.

• Incendio da polveri: coinvolge prodotti infiammabili solidi. La radiazione termica associata agli incendi ha effetti sia sulle strutture che sulle persone esposte. Le strutture i vanno incontro a cedimento strutturale dovuto alla riduzione della resistenza meccanica con la temperatura: si ha un rapido collasso delle strutture in acciaio a 500-600°C, mentre quelle in cemento resistono più a lungo. La normativa (G.U. 9.7.1996) relativa agli stoccaggi di GPL, indica come valore limite superato il quale si possono verificare danni alle strutture quello di 12.5 kW/m2, nel caso di radiazione termica stazionaria, come quella di un incendio da pozza. Gli effetti della radiazione termica sulle persone sono ustioni, classificabili come: • di I grado: superficiali; sono facilmente guaribili • di II grado: si ha formazione di bolle e vesciche; va consultata una struttura sanitaria • di III grado: profonde; richiedono immediata ospedalizzazione I valori di riferimento previsti dalla per varie tipologie di incendio di serbatoi di stoccaggio GPL (G.U. del 9.7.1996) sono riportati nella tabella seguente.

Scenario incidentale Elevata letalità

Inizio letalità

Lesioni irreversibili

Lesioni reversibili

Incendio (radiazione termica stazionaria) 12.5 kW/m2 7 kW/m2 5 kW/m2 3 kW/m2 Fireball (radiazione termica variabile) Raggio fireball 350 kJ/m2 200 kJ/m2 125 kJ/m2 Flash fire (radiazione termica istantanea) LFL ½ LFL - -

Per gli incendi di nubi di vapori (flash fire) si considerano soglie di danno in funzione dell’area coperta dalla nube, intendendo per nube infiammabile quella parte della miscela

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aria-combustibile che è a concentrazione al di sopra del limite inferiore di infiammabilità (o a metà di tale valore). Per i fireball, in cui l'esposizione è di breve durata, si utilizza invece un criterio basato sull'energia termica assorbita dalla pelle. Approcci più precisi tengono conto, oltre che dell’intensità della radiazione, anche della durata dell’esposizione, ed esprimono i risultati in termini di probabilità di subire un danno, quale un’ustione grave o la morte. Anche in questo caso, come già visto per l’esposizione alle sostanze tossiche, si possono utilizzare equazioni di probit. Gli effetti termici in termini di ustioni dipendono dal "dosaggio" di radiazione termica, V funzione dell'intensità della radiazione termica, I, e della durata dell’esposizione, t:

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ItV ⋅= L'intensità della radiazione ha quindi maggiore effetto rispetto al tempo di esposizione. L'equazione di "probit" relativa alla mortalità per radiazione termica per individui protetti da abiti è [5]:

)I t ( ln 2.56 + 23.37- =Y 4/3

Y = probit t = durata dell'esposizione (s) I = intensità della radiazione termica (W/m2) Esempio 5 Valutare la probabilità di morte di un individuo esposto ad una radiazione di 10 kW/m2 per un tempo di 60 secondi.

( ) 69.410000 60ln 2.56 + 23.37- I tln 2.56 + 23.37- =Y 34

4/3 =⎟⎠⎞⎜

⎝⎛ ⋅=

Confrontando questo risultato con la figura 8 e con la tabella di corrispondenza tra valori del probit e probabilità di danno, si nota come a questo valore corrisponda una probabilità di morte del 38%. Esplosioni L’esplosione è il fenomeno per cui un onda di scoppio (onda di pressione od onda d’urto) si genera in aria a causa di un rapido rilascio di energia, immagazzinata nel sistema come energia chimica, energia di pressione, ecc. Le esplosioni possono essere non confinate, come quelle che si verificano all’aperto, o confinate, come quelle che si verificano all’interno di tubazioni, apparecchi, edifici, ecc. Nelle esplosioni di interesse negli impianti industriali l’energia in gioco deriva dalla combustione di una miscela infiammabile o dal rilascio di un fluido in pressione e le tipologie di esplosioni sono [8]: • UVCE (Unconfined Vapor Cloud Explosion): combustione di vapori/gas infiammabili; • Esplosione fisica: scoppio di un recipiente che contiene un fluido in pressione; • BLEVE (Boiling Liquid Expanding Vapor Explosion): scoppio di un recipiente che

contiene un gas liquefatto o liquido surriscaldato in pressione; • Esplosione confinata: combustione di miscele infiammabili all’interno di un sistema

chiuso (recipiente, apparecchio, edificio). Le esplosioni in cui sono coinvolte miscele infiammabili possono essere: • deflagrazione: la velocità di riscaldamento della miscela è inferiore a quella del

suono nel materiale incombusto (in miscele aria-idrocarburi circa 1 m/s).

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Senza valvola di isolamento

Con valvola di isolamento

• detonazione: la velocità di propagazione è maggiore di quella del suono nel materiale incombusto

Una detonazione genera pressioni maggiori (picco di pressione fino a 20 bar) che non una deflagrazione (picco di pressione fino a 8 bar). Una deflagrazione si può trasformare in una detonazione, ad esempio, in una tubazione. Una detonazione è inoltre più probabile nel caso di esplosioni confinate, ad esempio quelle che si verificano in serbatoi, tubazioni, edifici. Ci sono poi altri elementi che indicano una maggiore tendenza del sistema a detonare, quali ampi limiti di infiammabilità, tripli legami C≡C e una fonte di innesco potente. Infine, alcune sostanze sono note per la loro tendenza a dar luogo a detonazioni: acetilene, acetone, benzene, cicloesano, n-decano, etilene, idrogeno, metano, metanolo, naftalene, tricloroetilene. Nel caso di esplosioni confinate, causate da reazioni di combustione che si innescano all’interno di recipienti, l’aumento di pressione di un fattore superiore ad 8 causa generalmente lo scoppio del recipiente con proiezione di frammenti all’intorno. In sistemi interconnessi si può verificare il fenomeno del "pressure piling” (figura 9): quando, per effetto di un’esplosione la pressione sale nel recipiente A, la temperatura e la pressione aumentano anche nel recipiente B, ad esso collegato. Tenuto conto che, in caso di deflagrazione il picco di pressione è circa 8 volte superiore alla pressione che si stabilisce nel recipiente, ciò significa che la pressione nel recipiente B aumenterebbe di 64 volte rispetto al valore originario, generando un’onda d’urto particolarmente potente.

c

Figura 9 Per evitare che si inneschi il fenomeno del “pressure piling” occorre frapporre tra i recipienti una valvola di “isolamento” ad azione rapida, in grado di chiudersi non appena un sensore percepisce un aumento significativo di pressione in uno dei due recipienti. Il cedimento, per esplosione fisica, di un recipiente che contenga un fluido in pressione può originare da: • valore della pressione superiore a quello di progetto, ad esempio a causa di un

guasto del sistema di regolazione e/o di sfiato della pressione; • riduzione dello spessore del recipiente, che non è quindi in grado di resistere alla

sollecitazione indotta dalla pressione di progetto. Tale riduzione di spessore può essere dovuta a corrosione, erosione, attacco chimico, ecc.;

• riduzione della resistenza del recipiente a causa di danneggiamento del materiale o variazione delle sue condizioni operative: ad esempio, surriscaldamento dovuto ad esposizione al fuoco, sviluppo di cricche, attacco chimico, ecc.

L’energia accumulata viene per lo più rilasciata come energia cinetica dei frammenti ed onda di pressione: quest’ultima sfrutta il 40-80% dell’energia disponibile, ma spesso, per un’esplosione fisica il maggior pericolo è costituito dal lancio di frammenti. In caso di esplosione le conseguenze sono dovute all’onda d’urto, sempre presente, e, dipendentemente dal tipo di esplosione, al lancio di frammenti o allo sviluppo di calore e

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prodotti di combustione. La tabella seguente riporta i tipici effetti dell’onda d’urto in funzione del valore di picco.

P (atm) Effetto 0.001 rumore fastidioso (137 dB) 0.01 rottura dei vetri 0.03 lievi danni alle strutture 0.1 parziale demolizione delle abitazioni 0.2 collasso di strutture metalliche e in cemento 0.3 strutture di acciaio divelte dalle fondazioni 0.5 distruzione completa delle abitazioni 1.0 danni diretti alle persone (emorragia polmonare)

L’entità dei danni sulle strutture dipende dalla rapidità con cui esse rispondono al carico e dalla duttilità del materiale da costruzione impiegato: si danneggiano meno le strutture piccole e leggere, specie se costruite in materiali duttili (come l’acciaio e il cemento armato). Questi possono assorbire in parte l’onda d’urto deformandosi, senza collassare immediatamente come i materiali fragili (come vetro e muratura). In caso di esplosioni si possono verificare effetti domino, rappresentati dai danni causati dall’onda d’urto o dal lancio di frammenti, in altra parte dell’impianto o di impianti limitrofi, con ulteriore fuoriuscita di sostanze pericolose. La normativa già citata in precedenza (G.U. del 9.7.1996), indica 0.3 bar come soglia per i danni alle strutture, nel caso di una UVCE. Per l’esplosione BLEVE, per la quale gli effetti più distruttivi sono dovuti al lancio dei frammenti, fornisce invece una distanza di danno tra 100 a 800 m (tutto ciò che si trova entro tale distanza subisce danni). Riguardo alle conseguenze per le persone, l’onda d’urto può causare direttamente danni fisici permanenti, quali la rottura del timpano e la morte per emorragia polmonare, e effetti indiretti, come lo spostamento del corpo, che può pure avere esiti letali. Se si ha lo scoppio di un recipiente o la rottura di vetri, ci potrebbero essere anche danni dovuti alla proiezione di schegge. Le seguenti equazioni di probit forniscono la probabilità di subire emorragia polmonare e rottura del timpano in funzione della sovrapressione di picco [5]: Emorragia polmonare: p ln 6.91 + 77.1- =Y 0

Rottura del timpano: p ln 1.93 + 15.6- =Y 0 dove Y = probit (per Y= 5 la probabilità che si abbia il danno è del 50%, vedi figura 8) p0 = sovrapressione (Pa). Molto spesso, tuttavia, la prima causa di morte in caso di esplosione è costituita dai crolli, poiché per causare il collasso strutturale di un edificio è sufficiente un picco di pressione (0.3 bar) inferiore a quello richiesto per causare emorragia polmonare (1 bar). I valori di riferimento per danni da onda d’urto sono i seguenti (G.U. del 9.7.1996:

Scenario incidentale Elevata letalità

Inizio letalità

Lesioni irreversibili

Lesioni reversibili

UVCE (sovrapressione di picco) 0.6 bar (0.3 bar)* 0.14 bar 0.07 bar 0.03 bar

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* in presenza di edifici o altre strutture il cui collasso possa determinare letalità indiretta. CLASSIFICAZIONE DELLE SOSTANZE PERICOLOSE Il Decreto Legislativo 3.2.1997 n.52, in attuazione della direttiva comunitaria 93/32/CEE, norma classificazione, imballaggio e etichettatura delle sostanze pericolose. Gli elenchi di sostanze riportati nel decreto vengono periodicamente rivisti ed adeguati al progresso tecnico, inserendo nuovi prodotti, o aggiornando la classificazione di sostanze per cui siano disponibili nuove informazione riguardo alla pericolosità. La classificazione individua le seguenti tipologie di sostanze pericolose. Tipologia di sostanza Simbolo Sigla a) esplosivi sostanze solide, liquide, pastose o gelatinose che, anche senza l'azione dell'ossigeno atmosferico, possono provocare una reazione esotermica con rapida formazione di gas e che, in determinate condizioni di prova, detonano, deflagrano rapidamente o esplodono in seguito a riscaldamento in condizione di parziale contenimento.

E

b) comburenti sostanze che a contatto con altre sostanze, soprattutto se infiammabili, provocano una forte reazione esotermica.

O

c) estremamente infiammabili sostanze liquide con punto di infiammabilità estremamente basso e punto di ebollizione basso e sostanze gassose che a temperatura e pressione ambiente si infiammano a contatto con l'aria.

F+

d) facilmente infiammabili • sostanze che, a contatto con l'aria, a temperatura ambiente e

senza apporto di energia, possono subire innalzamenti termici e da ultimo infiammarsi;

• sostanze che possono facilmente infiammarsi dopo un breve contatto con una sorgente di accensione e che continuano a bruciare anche dopo il distacco della sorgente di accensione.

• sostanze liquide il cui punto d'infiammabilità è molto basso; • sostanze che, a contatto con l'acqua o l'aria umida, sprigionano

gas estremamente infiammabili in quantità pericolose.

F

e) infiammabili sostanze liquide il cui punto di infiammabilità è basso. - - f) molto tossici sostanze che, in caso di inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, in piccolissime quantità, possono essere letali oppure provocare lesioni acute o croniche

T+

g) tossici sostanze che, in caso di inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, in piccole quantità, possono essere letali oppure provocare lesioni acute o croniche.

T

h) nocivi sostanze che, in caso di inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono essere letali oppure provocare lesioni acute o croniche.

Xn

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Tipologia di sostanza Simbolo Sigla i) corrosivi sostanze che, a contatto con i tessuti vivi, possono esercitare su di essi un'azione distruttiva.

C

l) irritanti sostanze non corrosive, il cui contatto diretto, prolungato o ripetuto con pelle e mucose può provocare una reazione infiammatoria.

Xi

m) sensibilizzanti sostanze che, per inalazione o assorbimento cutaneo, possono dar luogo ad una reazione di ipersensibilizzazione per cui una successiva esposizione produce reazioni avverse.

Xi

n) cancerogeni sostanze che, per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono provocare il cancro o aumentarne la frequenza.

T, Xn

o) mutageni sostanze che, per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono produrre difetti genetici ereditari o aumentarne la frequenza.

T, Xn

p) tossici per il ciclo riproduttivo le sostanze che, per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, possono provocare o rendere più frequenti effetti nocivi non ereditari nella prole o danni a carico della funzione o delle capacità riproduttive.

T, Xn

q) pericolosi per l'ambiente sostanze che, diffuse nell'ambiente, presentano o possono presentare rischi immediati differiti per una o più delle componenti ambientali.

N

Ogni sostanza è caratterizzata da una o più “frasi di rischio” che indicano come si estrinseca la sua pericolosità e da “consigli di prudenza”, che consigliano le precauzioni da utilizzare nella loro manipolazione. Le frasi di rischio sono identificate da una sigla, costituita dalla lettera R seguita da una o più cifre; analogamente, i consigli di prudenza sono identificati dalla lettera S seguita da una o più cifre. Sia le frasi di rischio che i consigli di prudenza sono anche utilizzabili in combinazione tra loro. Elenco delle frasi di rischio R1 Esplosivo allo stato secco. R2 Rischio di esplosione per urto, sfregamento, fuoco o altre sorgenti d'innesco. R3 Elevato rischio di esplosione per urto, sfregamento, fuoco o altre sorgenti d'innesco. R4 Forma composti metallici esplosivi molto sensibili. R5 Pericolo di esplosione per riscaldamento. R6 Esplosivo a contatto o senza contatto con l'aria. R7 Può provocare un incendio. R8 Può provocare l'accensione di materie combustibili. R9 Esplosivo in miscela con materie combustibili.

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R10 Infiammabile. R11 Facilmente infiammabile. R12 Estremamente infiammabile. R14 Reagisce violentemente con l'acqua. R15 A contatto con l'acqua libera gas estremamente infiammabili. R16 Pericolo di esplosione se mescolato con sostanze comburenti. R17 Spontaneamente infiammabile all'aria. R18 Durante l'uso può formare con aria miscele esplosive/infiammabili. R19 Può formare perossidi esplosivi. R20 Nocivo per inalazione. R21 Nocivo a contatto con la pelle. R22 Nocivo per ingestione. R23 Tossico per inalazione. R24 Tossico a contatto con la pelle. R25 Tossico per ingestione. R26 Molto tossico per inalazione. R27 Molto tossico a contatto con la pelle. R28 Molto tossico per ingestione. R29 A contatto con l'acqua libera gas tossici. R30 Può divenire facilmente infiammabile durante l'uso. R31 A contatto con acidi libera gas tossico. R32 A contatto con acidi libera gas altamente tossico. R33 Pericolo di effetti cumulativi. R34 Provoca ustioni. R35 Provoca gravi ustioni. R36 Irritante per gli occhi. R37 Irritante per le vie respiratorie. R38 Irritante per la pelle. R39 Pericolo di effetti irreversibili molto gravi. R40 Possibilità di effetti cancerogeni - Prove insufficienti. R41 Rischio di gravi lesioni oculari. R42 Può provocare sensibilizzazione per inalazione. R43 Può provocare sensibilizzazione per contatto con la pelle. R44 Rischio di esplosione per riscaldamento in ambiente confinato. R45 Può provocare il cancro. R46 Può provocare alterazioni genetiche ereditarie. R48 Pericolo di gravi danni per la salute in caso di esposizione prolungata. R49 Può provocare il cancro per inalazione. R50 Altamente tossico per gli organismi acquatici. R51 Tossico per gli organismi acquatici. R52 Nocivo per gli organismi acquatici. R53 Può provocare a lungo termine effettivi negativi per l'ambiente acquatico. R54 Tossico per la flora. R55 Tossico per la fauna. R56 Tossico per gli organismi del terreno.

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R57 Tossico per le api. R58 Può provocare a lungo termine effetti negativi per l'ambiente. R59 Pericoloso per lo strato di ozono. R60 Può ridurre la fertilità. R61 Può danneggiare i bambini non ancora nati. R62 Possibile rischio di ridotta fertilità. R63 Possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati. R64 Possibile rischio per i bambini allattati al seno. R65 Può causare danni polmonari se ingerito. R66 L’esposizione ripetuta può provocare secchezza e screpolatura della pelle. R67 L’inalazione dei vapori può provocare sonnolenza e vertigini. R68 Possibilità di effetti irreversibili. Elenco dei consigli di prudenza S1 Conservare sotto chiave. S2 Conservare fuori della portata dei bambini. S3 Conservare in luogo fresco. S4 Conservare lontano da locali di abitazione. S5 Conservare sotto (liquido appropriato da indicarsi da parte del fabbricante). S6 Conservare sotto (gas inerte da indicarsi da parte del fabbricante). S7 Conservare il recipiente ben chiuso. S8 Conservare al riparo dall'umidità. S9 Conservare il recipiente in luogo ben ventilato. S12 Non chiudere ermeticamente il recipiente. S13 Conservare lontano da alimenti o mangimi e da bevande. S14 Conservare lontano da (sostanze incompatibili da precisare da parte del produttore). S15 Conservare lontano dal calore. S16 Conservare lontano da fiamme e scintille - Non fumare. S17 Tenere lontano da sostanze combustibili. S18 Manipolare ed aprire il recipiente con cautela. S20 Non mangiare né bere durante l'impiego. S21 Non fumare durante l'impiego. S22 Non respirare le polveri. S23 Non respirare i gas/fumi/vapori/aerosol (termine appropriato da precisare da parte del produttore). S24 Evitare il contatto con la pelle. S25 Evitare il contatto con gli occhi. S26 In caso di contatto con gli occhi, lavare immediatamente e abbondantemente con acqua e consultare il medico. S27 Togliersi di dosso immediatamente gli indumenti contaminati. S28 In caso di contatto con la pelle lavarsi immediatamente ed abbondantemente (con prodotti idonei da indicarsi da parte del fabbricante). S29 Non gettare i residui nelle fognature. S30 Non versare acqua sul prodotto. S33 Evitare l'accumulo di cariche elettrostatiche. S35 Non disfarsi del prodotto e del recipiente se non con le dovute precauzioni.

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S36 Usare indumenti protettivi adatti. S37 Usare guanti adatti. S38 In caso di ventilazione insufficiente, usare un apparecchio respiratorio adatto. S39 Proteggersi gli occhi/la faccia. S40 Per pulire il pavimento e gli oggetti contaminati da questo prodotto, usare... (da precisare da parte del produttore). S41 In caso di incendio e/o esplosione non respirare i fumi. S42 Durante le fumigazioni/polimerizzazioni (termine appropriato da precisare da parte del produttore) usare un apparecchio respiratorio adatto. S43 In caso di incendio usare... (mezzi estinguenti idonei da indicarsi da parte del fabbricante. Se l'acqua aumenta il rischio precisare "Non usare acqua"). S45 In caso di incidente o di malessere consultare immediatamente il medico (se possibile, mostrargli l'etichetta). S46 In caso d'ingestione consultare immediatamente il medico e mostrargli il contenitore o l'etichetta. S47 Conservare a temperatura non superiore a... °C (da precisare da parte del fabbricante). S48 Mantenere umido con... (mezzo appropriato da precisare da parte del fabbricante). S49 Conservare soltanto nel recipiente originale. S50 Non mescolare con... (da specificare da parte del fabbricante). S51 Usare soltanto in luogo ben ventilato. S52 Non utilizzare su grandi superfici in locali abitati. S53 Evitare l'esposizione - procurarsi speciali istruzioni prima dell'uso. S56 Smaltire questo materiale e relativi contenitori in un punto di raccolta rifiuti pericolosi o speciali autorizzato. S57 Usare contenitori adeguati per evitare l'inquinamento ambientale. S59 Richiedere informazioni al produttore/fornitore per il recupero/riciclaggio. S60 Questo materiale e il suo contenitore devono essere smaltiti come rifiuti pericolosi. S61 Non disperdere nell'ambiente. Riferirsi alle istruzioni speciali schede informative in materia di sicurezza. S62 Non provocare il vomito: consultare immediatamente il medico e mostrargli il contenitore o l'etichetta. S63 In caso di incidente per inalazione, allontanare l’infortunato dalla zona contaminata e mantenerlo a riposo S64 In caso di ingestione sciacquare la bocca con acqua (solamente se l’infortunato è cosciente).

IMPIANTI A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE La normativa attualmente in vigore riguardo il controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose deriva dal recepimento con il D.L. 21.9.2005 n.238 della direttiva europea “Seveso III” che ha leggermente modificato alcuni punti del precedente D.L. 17.8.1999, n.334 (“Seveso II”). Scopo della normativa, è quello riportato all’art.1 al punto 1 della Seveso II: ”Il presente decreto detta disposizioni finalizzate a prevenire incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose e a limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente”. L’ambito di applicazione riguarda (art.2.1) gli “stabilimenti in cui sono presenti sostanze pericolose in quantità uguali o superiori a quelle indicate nell’allegato I” con la precisazione (art.2.2) che “si intende per presenza di sostanze pericolose la presenza di queste, reale o prevista, nello stabilimento, ovvero quelle che si reputa

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possano essere generate, in caso di perdita di controllo di un processo industriale, in quantità uguale o superiore a quelle indicate nell’allegato I”. Occorre quindi considerare non solo le sostanze effettivamente presenti, ma anche quelle che possono liberarsi in caso di incidente (ad esempio, i prodotti di combustione di alcune sostanze sono altamente tossici). Anche per gli stabilimenti industriali che non rientrano tra quelli di cui sopra, si applicano comunque (art.2.3) le disposizioni previste all’art.5 (obblighi generali del gestore), che prevedono, al punto 1: “Il gestore è tenuto a prendere tutte le misure idonee a prevenire gli incidenti rilevanti e a limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente...”. L’allegato I riporta l’elenco delle sostanze, miscele e preparati pericolosi: la parte 1 comprende un elenco di sostanze specificate, mentre la parte 2, riportata nella tabella seguente, comprende categorie più vaste di sostanze e preparati non indicati in modo specifico nella parte 1, ma caratterizzati in base alla loro pericolosità.

Quantità limite (t) Sostanze pericolose classificate come Art. 6 e 7 Art. 8

1. Molto tossiche 5 20 2. Tossiche 50 200 3. Comburenti 50 200 4. Esplosive (nota 2a: sostanze che creano pericolo di esplosione) 50 200 5. Esplosive (nota 2b: sostanze che creano grave pericolo di esplosione) 10 50 6. Infiammabili (nota 3a) 5000 50000 7a. Facilmente infiammabili (nota 3b1) 50 200 7.b Liquidi facilmente infiammabili (nota 3b2) 5000 50000 8. Estremamente infiammabili (nota 3c) 10 50 9. Sostanze pericolose per l’ambiente: molto tossiche per gli organismi acquatici, tossiche per gli organismi acquatici e che possono causare effetti negativi a lungo termine nell’ambiente acquatico

100 200

200 500

10. Altre categorie, che non rientrano nelle precedenti: sostanze che reagiscono violentemente con l’acqua sostanze che liberano gas tossici a contatto con l’acqua.

100 50

500 200

Per ogni categoria di sostanza è riportata, eventualmente in apposite note, cosa si intenda effettivamente con la denominazione utilizzata. Per le sostanze elencate singolarmente o per categoria, l’allegato I fornisce, in due distinte colonne, le quantità limite di sostanza pericolosa, in tonnellate, da considerare ai fini dell’applicazione degli art. 6 e 7 e dell’art.8: minore è il quantitativo riportato e più “pericolosa” è la sostanza. Da questo punto di vista, le categorie di sostanze maggiormente pericolose sono quelle molto tossiche (soglia a 5 t in colonna 2), seguite da quelle esplosive e da quelle estremamente infiammabili (soglia a 10 t in colonna 2), mentre quelle meno pericolose sono le sostanze infiammabili ed i liquidi facilmente infiammabili (soglia a 5 000 t in colonna 2). Gli articoli 6 e 7 riguardano, rispettivamente, la necessità che il gestore notifichi alle autorità competenti l’attività svolta nello stabilimento e che predisponga un documento che definisca la propria politica di prevenzione degli incidenti rilevanti, allegando il programma adottato per il sistema di gestione della sicurezza, mentre l’art.8 richiede che il gestore rediga un rapporto di sicurezza.

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Il rapporto di sicurezza deve evidenziare che • è stato adottato il sistema di gestione della sicurezza; • sono stati individuati i pericoli di incidente rilevante, adottando le misure necessarie

a prevenirli e per limitarne le conseguenze per uomo e ambiente; • la progettazione, la costruzione, l’esercizio e la manutenzione di quanto nell’impianto

sia in rapporto con i pericoli di incidente rilevante sono sufficientemente sicuri e affidabili;

• sono stati predisposti i piani di emergenza interni e sono stati fornite alle autorità competenti le informazioni per l’elaborazione del piano di emergenza esterno al fine di prendere le misure necessarie in caso di incidente rilevante.

La definizione di “incidente rilevante” è fornita dall’art.3.1 “un evento quale un’emissione, un incendio o un’esplosione di grande entità, dovuto a sviluppi incontrollati che si verificano durante l’attività di uno stabilimento, di cui art.2 comma 1, e che dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l’ambiente, all’interno o all’esterno dello stabilimento, e in cui intervengano una o più sostanze pericolose”. Altri punti interessanti della normativa sono riportati nell’art.12, 13 e 14. L’art.12 riguarda i cosiddetti “effetti domino” ossia l’innesco di effetti concatenati che portano ad un aumento della scala di un incidente (ad esempio, la perdita di fluido infiammabile da una tubazione, con formazione di un getto incendiato che causa il cedimento di un grosso serbatoio che esplode). L’art.12 prevede che il Ministero dell’Ambiente, sulla base delle informazioni ricevute dai gestori (art.6 e 8) individui gli stabilimenti “per i quali la probabilità o la possibilità o le conseguenze di un incidente rilevante possono essere maggiori a causa del luogo, della vicinanza degli stabilimenti stessi e dell’inventario delle sostanze pericolose presenti in essi”, dove per “inventario” si intende il quantitativo di sostanza presente nello stabilimento. L’autorità si accerta anche che avvenga tra i gestori lo scambio delle informazioni necessarie a riesaminare ed eventualmente modificare i rispettivi sistemi di gestione della sicurezza e piani di emergenza interni. L’art.13 riguarda le aree ad elevata concentrazione di stabilimenti, che il Ministero dell’Ambiente deve individuare, coordinando lo scambio di informazioni necessarie ad accertare natura ed entità del pericolo globale di incidenti rilevanti, e la predisposizione di uno studio di sicurezza integrato dell’area. L’art.14 riguarda il controllo dell’urbanizzazione, a cura del Ministero dei Lavori Pubblici, che deve stabilire, per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante, requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, con riferimento alla destinazione e utilizzazione dei suoli, che tengano conto della necessità di mantenere opportune distanze tra gli stabilimenti e zone residenziali nonché degli obiettivi di prevenire incidenti rilevanti o di limitarne le conseguenze. Va ricordato che la normativa Seveso II non si applica (art.4.1) ad alcune tipologie di insediamenti industriali, tra cui gli stabilimenti, impianti e depositi militari, al trasporto di sostanze pericolose (compresi i depositi temporanei intermedi), alle industrie estrattive ed alle discariche di rifiuti. SOSTANZE PERICOLOSE NELL’INDUSTRIA DI PROCESSO Saranno ora esaminate le caratteristiche di alcuni prodotti pericolosi, spesso presenti negli impianti dell’industria di processo, che costituiscono esempi importanti di per sé oppure in quanto mostrano quali fattori vadano presi in esame [5]:

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• Idrocarburi, GPL e gas naturale liquefatto (GNL) • acetilene • idrogeno • ossido di etilene • dicloroetilene • cloro • ammoniaca • ossigeno Idrocarburi, GPL e gas naturale liquefatto (GNL) Questi prodotti si ottengono dal petrolio o da giacimenti di gas naturale. Molti idrocarburi, normalmente gassosi, (metano, etano, propano, butano, etilene, propilene) possono essere liquefatti a bassa temperatura, ad alta pressione o combinando entrambe queste condizioni: in questo caso, se c'è perdita di contenimento i liquidi vaporizzano rapidamente. Inoltre, se ci sono ingressi di calore nell'impianto (ad esempio per perdita di isolamento o interruzione della refrigerazione) il liquido tende a vaporizzare. Gli idrocarburi sono assai diffusi, poiché molti di essi sono largamente utilizzati come combustibili e trasportati in vario modo (anche attraverso gasdotti): possono causare incendi ed esplosioni. Acetilene L'acetilene (C2H2) viene prodotto dal cracking di idrocarburi: è molto reattivo per la presenza del triplo legame (H-C≡C-H), per cui risulta infiammabile, esplosivo e instabile. Infatti esso va incontro a decomposizione esplosiva (anche in assenza di ossigeno): fattori scatenanti sono temperatura, shock meccanici o sostanze reattive. L'esplosione causata da acetilene è particolarmente pericolosa se si verifica in tubazioni, poiché la deflagrazione può trasformarsi in una detonazione, con un notevole aumento dell’onda di pressione. Nel materiale a contatto con l'acetilene non devono essere presenti rame e ottone che possono formare composti molto esplosivi. L'acetilene reagisce violentemente con il cloro: ciò porta problemi, ad esempio nel processo di produzione del cloruro di vinile per reazione con HCl (prodotto da H2 e Cl2) L'acetilene viene stoccato come gas (fino a 1000 m3) o in cilindri insieme ad acetone (es. per la saldatura ossiacetilenica). Idrogeno Viene prodotto dal reforming di idrocarburi, da celle per la produzione di cloro, ecc. È un prodotto altamente infiammabile e può esplodere, ma fortunatamente è molto più leggero dell'aria e tende a salire e a disperdersi facilmente. Inoltre, le fiamme di idrogeno hanno bassa emissività e irradiano meno calore (1/10) degli idrocarburi. Ciò è dovuto al fatto che le fiamme di idrogeno non sono luminose: se è vero che la pericolosità si riduce per effetto del minore irraggiamento, è anche vero che una piccola perdita incendiata potrebbe non essere rilevata dagli operatori. L'idrogeno a pressione e temperatura elevata causa la decarburazione e l'infragilimento dell'acciaio al carbonio. Infine l'idrogeno presenta un effetto Joule-Thompson inverso (ossia

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si riscalda quando viene espanso) per cui, in caso di depressurizzazione, può riscaldarsi fino all'autoignizione Ossido di etilene Viene prodotto per ossidazione dell'etilene in fase vapore; si utilizza per produrre etilenglicol: è tossico, infiammabile, esplosivo e instabile. A pressione ambiente bolle a 10°C; il TLV è 50 ppm, ma l'odore non si sente fino a 700 ppm; il liquido è caustico. I vapori di ossido di etilene si decompongono in modo esplosivo anche in assenza di aria. L'ossido di etilene liquido non si decompone ma polimerizza, a 100°C o in presenza di composti iniziatori (anche ruggine), con una reazione di polimerizzazione molto esotermica. Se il prodotto viene trasferito mediante pompe occorre evitare che si surriscaldi: si utilizza un grosso riciclo e la pompa va arrestata se la tubazione a valle è chiusa. L’ossido di etilene è completamente miscibile con l'acqua: ciò significa che si possono diluire le perdite. Dicloroetilene È prodotto in fase liquida per clorurazione dell'etilene e si utilizza per la produzione di cloruro di vinile: è tossico e infiammabile. A pressione atmosferica bolle a 84°C ed è poco solubile in acqua. A temperature superiori a 80°C il dicloroetilene, se umido (ossia contenente tracce di acqua), subisce idrolisi, forma HCl e corrode rapidamente l'acciaio al carbonio. In caso di incendio, tra i prodotti di combustione c'è HCl, molto tossico Cloro È prodotto per elettrolisi: è tossico e presenta un TLV di 1 ppm, ma non è infiammabile, dato che è un ossidante. Infatti, il cloro forma miscele infiammabili con composti organici e con l'idrogeno. A pressione atmosferica il cloro bolle a -34°C. Un rilascio di cloro è potenzialmente uno dei peggiori incidenti nell'industria chimica. Data la pericolosità del cloro esso non va sfiatato all'atmosfera, ma va inviato ad un impianto di assorbimento. Il cloro umido, ossia contenente tracce di acqua, è molto corrosivo nei confronti dell'acciaio al carbonio: in caso di cloro umido si usa acciaio rivestito di ebanite. Inoltre, il cloro caldo (T>200°C) o a bassa temperatura causa l'infragilimento dell'acciaio al carbonio. Ammoniaca Si produce per reazione di idrogeno e azoto ad alta pressione. Si utilizza nella produzione di acido nitrico e fertilizzanti ammonici. L'ammoniaca è tossica (TLV 25 ppm) e infiammabile ma ha una energia di ignizione abbastanza alta. A pressione atmosferica bolle a -33°C. L'ammoniaca è miscibile con l'acqua e corrode rame, zinco e molte leghe metalliche. La presenza di impurezze (aria, CO2) rende corrosiva l'ammoniaca anidra liquida, ma basta un tenore di 0.2% d'acqua per evitare questo problema. Ossigeno L'ossigeno viene prodotto per liquefazione e frazionamento dell'aria. Viene utilizzato nella fabbricazione di acciai ed in processi chimici.

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L'ossigeno sostiene la combustione e tutti i combustibili bruciano più facilmente in ossigeno che in aria. CONDIZIONI OPERATIVE PERICOLOSE Le condizioni operative pericolose sono rappresentate da [5]: • pressione alta

- alta: fino a 250 atm; - molto alta: 250-8 000 atm; - estremamente alta: > 8000 atm (limite per il dimensionamento dei recipienti in

pressione mediante la teoria del cilindro elastico); • pressione bassa

- vuoto medio: fino a 1 mm Hg (131 Pa); - vuoto elevato: 1-0.001 mm Hg (131-0.12 Pa);

• temperatura alta - alta: fino a 500°C - molto alta: > 500°C;

• temperatura bassa - bassa : < 0°C; - molto bassa: <-50°C; - estremamente bassa < -250°C

Pressione alta Spesso alte pressione sono associate a temperature alte o basse. Ad alta pressione l'energia disponibile nell'impianto aumenta, poiché a quella chimica si somma quella dei gas compressi e/o liquefatti. Un altro elemento di pericolosità è rappresentato dal fatto che, per ridurre i costi (tenuto conto dei fattori di scala) il numero di compressori è ridotto al minimo: le dimensioni aumentano e la tecnologia è più complicata. Il problema delle perdite è molto serio: • le quantità rilasciate sono elevate, dato il salto di pressione • i prodotti liquidi possono vaporizzare (flash) per la riduzione di pressione Pressione bassa È meno pericolosa rispetto alla pressione alta. Il pericolo principale è rappresentato dall'ingresso di aria da perdite di tenuta in impianti che trattano miscele infiammabili Temperatura alta Per portare i fluidi ad alta temperatura sono necessari forni (potenzialmente pericolosi). Ci sono inoltre problemi legati ad una riduzione della resistenza meccanica quando i materiali da costruzione sono portati ad alta temperatura (scorrimento viscoso, infragilimento da idrogeno). I materiali possono anche subire stress termici durante avviamenti e fermate.

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Temperatura bassa I fluidi mantenuti liquidi per effetto della temperatura possono vaporizzare se non si riesce a mantenere il freddo. Inoltre, le impurezze presenti nei fluidi possono solidificare a bassa temperatura. Sono pure presenti problemi di infragilimento a bassa temperatura per molti materiali da costruzione, e sono possibili stress termici in avviamento e fermata. Infine, la necessità di isolamento termico (coibentazione) limita l'accesso agli apparecchi. IMPIANTI PERICOLOSI Alcuni processi e impianti sono esemplificativi dei rischi che possono presentarsi nell’industria di processo, per le caratteristiche dei prodotti coinvolti o per le condizioni operative gravose [5]. Impianti di frazionamento dell'aria Vengono utilizzati per produrre ossigeno ed azoto (in fase liquida o gassosa). Il frazionamento viene realizzato per compressione, liquefazione e distillazione dell'aria. La refrigerazione richiesta è molto maggiore se i componenti sono desiderati allo stato liquido e si può ottenere comprimendo ed espandendo l'aria in una valvola (effetto Joule-Thompson). L’impianto è quindi racchiuso in una “scatola fredda” (cold box) isolata termicamente. Gli impianti possono lavorare a bassa pressione (5-10 atm) o media pressione (10-45 atm): l’azoto si separa a bassa temperatura (circa –190°C). I pericoli principali sono rappresentati dal fatto che l'ossigeno liquido reagisce violentemente con qualunque combustibile e che nell'ossigeno liquido si possono accumulare idrocarburi causando reazioni esplosive. Le impurezze presenti e che possono accumularsi nel ribollitore dell’ossigeno liquido al fondo della colonna di distillazione sono metano, etano, etilene ed acetilene: data la loro bassa solubilità (qualche ppm) nell'ossigeno liquido precipitano come solidi e possono quindi reagire in modo esplosivo. Per evitare problemi occorre sgrassare accuratamente tutti i componenti dell'impianto, utilizzare aria pulita, e pulire periodicamente l'impianto L'impianto frigorifero è racchiuso in un "contenitore freddo" mantenuto in pressione per evitare l'ingresso di aria, in quanto l'umidità può ghiacciarsi sulla coibentazione. I materiali utilizzati sono rame, alluminio e acciaio inossidabile. L'acciaio al carbonio si utilizza per i supporti che non raggiungono temperature tali da causarne l'infragilimento Impianti di produzione di ammoniaca L’ammoniaca si ottiene da idrogeno e azoto. Il gas di sintesi viene compresso a 200-1000 atm ed è alimentato a reattori che lavorano a 430-540°C. La reazione (esotermica) con conversione intorno al 25% avviene su un catalizzatore a base di ferro. L'ammoniaca viene recuperata per condensazione dai gas uscenti, che sono ricircolati al convertitore. I rischi di un impianto ammoniaca sono quelli dovuti a: • presenza di ammoniaca (tossica e infiammabile); • presenza di idrogeno (infiammabile) • apparecchi che lavorano ad alta pressione ed alta temperatura (reattori) • apparecchi che lavorano ad alta pressione e bassa temperatura (condensatori,

frazionamento aria) • presenza di forni (per riscaldamento e per produrre l’idrogeno mediante reazione di

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steam reforming) • presenza di compressori (per portare la miscela alla pressione di reazione). Impianti di produzione di nitrato di ammonio Il nitrato di ammonio è un fertilizzante usato in agricoltura ma anche un esplosivo. Esso si produce neutralizzando acido nitrico con ammoniaca: la reazione è esotermica. Il nitrato di ammonio è molto igroscopico e tende ad impaccarsi: esso inoltre tende a decomporsi per cui la temperatura va mantenuta bassa (< 135°C). In caso di incidente, gli incendi che coinvolgono nitrato di ammonio vanno combattuti con acqua, poiché il nitrato stesso è in grado di fornire l'ossigeno necessario alla combustione e quindi non serve tentare di "soffocare" il fuoco (schiume). Impianti olefine In questi impianti si producono etilene, propilene, butadiene, ecc., ed il pericolo principale è la presenza di idrocarburi infiammabili, in pressione, ed a temperatura alta oppure bassa. Gli aspetti più rilevanti per la sicurezza di questi impianti riguardano: • il layout dell'impianto • le apparecchiature • i sistemi di sfiato della pressione • il controllo delle perdite Le unità vanno distanziate in modo che le perdite non trovino una fonte di innesco, ed i cavi elettrici e strumenti vanno protetti. Tutti i drenaggi devono passare per separatori olio-acqua per evitare la presenza di vapori combustibili. Per evitare le perdite occorre curare le tenute delle macchine, soprattutto per le pompe, e diminuire il numero dei compressori. Il quantitativo di materiale da sfiatare per ridurre la pressione va tenuto il più basso possibile e tutti gli sfiati vanno inviati in torcia. Occorre prevedere la presenza di cortine di vapore per diluire le nubi di vapore che possono essere rilasciate in caso di incidente. Impianti per produzione di gas di petrolio e gas naturale liquefatti (GPL e GNL) Propano, butano e loro miscele, come il GPL sono stoccati in forma liquida: l’utilizzo principale del GPL è come combustibile. Il gas naturale, costituito principalmente da metano, viene anch’esso stoccato come liquido, prevedendo un numero minore di serbatoi ma di dimensioni maggiori. I pericoli principali presentati da questi impianti sono associati a: • elevata infiammabilità dei composti • alta pressione delle apparecchiature e degli stoccaggi (GPL in pressione) • bassa temperatura di apparecchiature e stoccaggi (GPL e GNL refrigerati) Occorre anche ricordare che, nel caso del GPL in pressione, qualunque perdita di prodotto liquido, subisce un flash quando si porta a pressione atmosferica e vaporizza rapidamente formando una nube di vapori che si disperdono con difficoltà. Nel caso del GNL, date le basse temperature, il prodotto vaporizza pure rapidamente per il calore che riceve dall’ambiente, ma la nube che si forma è più leggera dell’aria e si disperde più facilmente.

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CRITERI GENERALI DI PREVENZIONE DEL RISCHIO PRINCIPI DI SICUREZZA INTRINSECA La migliore maniera di trattare con un pericolo è quella di eliminarlo completamente; il fatto di provvedere mezzi per controllare il pericolo rappresenta quindi sempre una soluzione di ripiego. L’obiettivo principale deve perciò essere quello di progettare impianti in modo tale che essi siano intrinsecamente più sicuri. Principi base I principi fondamentali di un progetto intrinsecamente più sicuro sono [5]: • Intensificazione • Sostituzione • Attenuazione • Semplicità • Operabilità • Progetto a prova di guasto • Progetto che lascia una seconda possibilità. Un impianto che rispetta questi principi viene definito da Kletz un “friendly plant” e rispetta i principi di “friendliness”, contrapposti a quelli di “hostility” come mostrano alcuni esempi riportati nella tabella seguente [5]. Caratteristica Processo Friendliness Hostility 1. Intensificazione Stoccaggio intermedio Piccolo o assente Grande 2. Sostituzione Fluido termico Non infiammabile Infiammabile 3. Attenuazione Gas liquefatti

Polveri esplosive Refrigerati In soluzione

Pressurizzati Secche

4. Semplicità di progetto Evitare il pericolo Controllare il pericolo aggiungendo apparecchi

5. Evitare effetti domino Serbatoio cilindrico orizzontale

Non diretto verso altri apparecchi

Diretto verso altri apparecchi

6. Evitare errori di montaggio

Valvole per compressori Intercambiabili Non intercambiabili

7. Evidenza dello stato Valvola Senza indicatore di posizione Con indicatore di posizione 8. Tolleranza in caso di errori/scarsa manutenzione

Impianto continuo Tubazione rigida

Impianto discontinuo Manichetta flessibile

9. Basso tasso di perdita Reattore in fase vapore Reattore in fase liquida 10. Controllo agevole Risposta alle variazioni Piatta Ripida 11. Software Istruzioni operative

Guarnizioni, bulloni, dadiAlcune Pochi tipi in magazzino

Troppe Molti tipi in magazzino

12. Altre industrie Elicotteri con due rotori I rotori non possono toccarsi I rotori possono toccarsi 13. Analogie Triciclo Bicicletta

Limitazione dei quantitativi di sostanze pericolose Limitare i quantitativi di sostanze pericolose presenti nei depositi e nelle lavorazioni costituisce una delle maniere principali per rendere intrinsecamente più sicuro un impianto. Ad esempio, il disastro di Flixborough (28 morti) è stato causato dalla presenza di un grosso quantitativo di materiale infiammabile ad alta pressione e ad alta

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temperatura nei cinque reattori e nel post-reattore (120 t). Mentre è normale minimizzare i volumi delle apparecchiature di processo, per risparmiare sui costi degli apparecchi e dei supporti, la riduzione del materiale contenuto all’interno degli apparecchi (detto “holdup” dell’apparecchio) non viene spesso considerata con la dovuta attenzione. È meglio avere solo un piccolo quantitativo di materiale pericoloso, piuttosto che averne molto e introdurre sistemi di sicurezza sofisticati. Per dirla con Lees [5] "è comunque meno pericoloso un agnello che un leone, anche se quest’ultimo è tenuto in gabbia”. Intensificazione La prima via per limitare i quantitativi di sostanze in gioco è l’intensificazione del processo, il che significa portare a termine la reazione o l’operazione unitaria utilizzando volumi più piccoli. Ad esempio, si può realizzare lo scambio termico in uno scambiatore a piastre anziché in uno a fascio tubiero: esso assicura un migliore coefficiente di scambio termico ed è molto più compatto, con minore accumulo di materia al suo interno. Un’altra possibilità è quella di eseguire più operazioni contemporaneamente in un medesimo apparecchio, ad esempio riunendo essiccamento, scambio termico e granulazione. Un metodo semplice per ridurre i quantitativi fuoriusciti da apparecchi in caso di incidente è di predisporre bocchelli di piccolo diametro per la giunzione tra tubazioni al recipiente. Le operazioni di distillazione presentano grossi valori di holdup, ossia di accumulo di liquido, sia nel fondo della colonna, per garantire il battente sulla pompa, che nel ribollitore di fondo colonna e sui piatti dove ha luogo il trasferimento liquido-vapore. Per limitare il quantitativo di materiale accumulato si può adottare un fondo colonna di diametro inferiore rispetto a quello della colonna; allo stesso modo si può preferire un ribollitore a termosifone verticale che presenta holdup più modesti rispetto ad un ribollitore kettle, o sostituire i piatti all’interno della colonna con un riempimento, che presenta un holdup inferiore. Un altro esempio di intensificazione è l’eliminazione degli stoccaggi intermedi di un processo e la riduzione dei quantitativi accumulati. Una possibilità di eliminazione dei quantitativi accumulati è la produzione in loco del prodotto. Anche i sovradimensionamenti possono rappresentare un problema di per sé: ad esempio, una pompa sovradimensionata può pressurizzare eccessivamente le apparecchiature a valle. Sostituzione Un altro principio largamente applicabile è quello della sostituzione, in cui una caratteristica pericolosa viene sostituita da una caratteristica meno pericolosa. Ad esempio, l’acrilonitrile, originariamente ottenuto da acetilene e acido cianidrico, viene ora ottenuto da propilene, ammoniaca e aria, materiali meno pericolosi. Un altro esempio è la produzione di glicol etilenico da etilene anziché da ossido di etilene. Grossi quantitativi di materiali infiammabili possono essere presenti nei sistemi di scambio termico: ciò accade, ad esempio, in impianti per produrre l’ossido di etilene che utilizzano kerosene bollente in pressione come fluido termico. In questo caso, la sostituzione del kerosene con vapor d’acqua rende il processo intrinsecamente più sicuro.

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Attenuazione L’attenuazione comporta l’utilizzo di condizioni di processo meno pericolose. Ad esempio, nella fabbricazione del nylon si utilizza una miscela di cicloesanone e cicloesanolo, che si può ottenere per due vie. La prima è l’ossidazione del cicloesano con aria (processo utilizzato a Flixborough), la seconda è l’idrogenazione del fenolo: quest’ultima ha luogo in fase gassosa ed è meno pericolosa. Tuttavia questo aspetto non può essere considerato da solo, poiché la produzione del fenolo comporta l’ossidazione del cumene, che è altrettanto pericolosa dell’ossidazione del cicloesano. Occorre pure fare attenzione al fatto che soluzioni di compromesso possono risultare più rischiose di quelle estreme. Ad esempio, si ha rischio relativamente basso in un processo che utilizza grossi quantitativi di sostanze pericolose ma condizioni operative prossime a quelle ambiente, come pure in un processo che utilizza piccoli quantitativi di sostanze pericolose in condizioni di temperatura e pressione alta, mentre può essere più pericoloso un processo che utilizza quantitativi e condizioni operative intermedie. L’efficienza della reazione determina i processi di separazione necessari a valle. Se la conversione è bassa ci saranno grossi ricicli e se ci sono reazioni collaterali ci vorranno stadi di separazione aggiuntivi. Ad esempio, a Flixborough il prodotto in uscita dai reattori conteneva circa il 94% di cicloesano non reagito che andava ricircolato al reattore. Il principio di attenuazione vale anche negli stoccaggi, ad esempio immagazzinando acetilene disciolto in acetone, o perossidi organici come soluzioni. Per quanto riguarda gli stoccaggi di gas liquefatti in serbatoi a pressione o refrigerati, considerando il solo stoccaggio, la modalità refrigerata è più sicura. Tuttavia, se il fluido va utilizzato allo stato gassoso e viene quindi vaporizzato in un’altra apparecchiature, va considerato il sistema complessivo, e in questo caso diviene più sicuro lo stoccaggio a pressione. Semplicità progettuale Questo aspetto può comportare, ad esempio, il progetto per la sovrapressione massima, modifiche che portano all’eliminazione della strumentazione, utilizzo di materiali da costruzione più resistenti e l’uso di semplici alternative alla strumentazione. Se un recipiente può essere soggetto a sovrapressione, la soluzione più semplice è progettarlo in modo che resista a questa sovrapressione: questa alternativa, tuttavia, è di solito molto più costosa che non l’installazione di una valvola di sicurezza. Talvolta viene installata una strumentazione per superare un problema a cui si poteva ovviare con scelte progettuali diverse. Ad esempio, in un impianto di ossidazione in fase liquida viene inviata aria miscelata con un riciclo di idrocarburi ed è prevista una strumentazione per mantenere la miscela al di fuori del campo di infiammabilità. Una scelta progettuale diversa poteva esser quella di inviare l’aria direttamente al liquido in modo che la miscela infiammabile non si formasse affatto. In alcuni casi viene prevista una strumentazione per prevenire attacchi sui materiali da costruzione: la strumentazione potrebbe essere evitata utilizzando materiali più resistenti. Dove sia necessaria una funzione di controllo vanno considerate anche le alternative semplici alla strumentazione: un controllore di livello può, ad esempio, essere sostituito da uno scarico sifonato. La flessibilità operativa è importante in un impianto, ma talvolta le interconnessioni necessarie, oltre ad essere complesse e costose, possono introdurre altre fonti potenziali di perdite e di errori umani. Un altra fonte di complessità è rappresentata dalle modifiche: una modifica iniziale ne comporta spesso molte altre in cascata.

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Operabilità del processo Alcuni processi sono intrinsecamente più facili da operare di altri: ciò accade, ad esempio, in quelli in cui l’opzione estrema tra continuare ad operare in presenza di certe condizioni operative o arrestare completamente la marcia dell’impianto si presenta solo raramente. Progetto a prova di guasto Questo concetto è saldamente stabilito nell’industria di processo e si riferisce al progetto di un apparecchio, come un sistema di controllo o una valvola di regolazione, in modo che in assenza di comando (ad esempio, mancanza di elettricità o di aria compressa per gli strumenti) si porti nella posizione più sicura. La decisione se una valvola debba restare chiusa o aperta in caso di guasto va presa alla luce delle conseguenze per il processo, predeterminando la posizione che essa deve assumere in caso di guasto. Ad esempio, le valvole di regolazione possono essere del tipo “aria apre” o “aria chiude”: in caso di guasto del sistema aria strumenti, le prime resteranno chiuse, le seconde aperte. Progetto che lascia una seconda possibilità Questo significa provvedere una seconda linea di difesa nel caso in cui la prima dovesse cedere. Le caratteristiche più importanti da questo punto di vista riguardano: • layout dell’impianto: ad esempio la predisposizione di bacini di contenimento e di

sistemi di convogliamento dei drenaggi; • progetto dei sistemi a pressione: ad esempio la predisposizione di valvole di

sicurezza e di un sistema di convogliamento degli sfiati sui recipienti in pressione, la predisposizione di un sistema a doppia tenuta meccanica con monitoraggio della pressione del sistema di tenuta sulle pompe, ecc.;

• materiali da costruzione: ad esempio utilizzando materiali che resistano a deviazioni dalle normali condizioni operative, come l’arrivo di un pistone di liquido a bassa temperatura;

• isolamento: ad esempio provvedendo valvole di blocco da azionare se c’è la fuoriuscita di prodotto;

• allarmi e sistemi di blocco: per ricevere un allarme ed intervenire in caso di situazioni pericolose;

• procedure operative e di manutenzione: rispettare le procedure operative aiuta a prevenire situazioni pericolose.

Alternativa tra un grosso sistema singolo e più sistemi di piccole dimensioni Un problema che sorge spesso considerando la sicurezza intrinseca è se sia preferibile avere una sola unità, impianto o stoccaggio o un sistema multiplo più piccolo. Dal punto di vista economico è preferibile avere una unità singola più grande e molti considerano che questa scelta sia anche la migliore dal punto di vista delle sicurezza. Infatti, se si predispongono più unità più piccole il numero di punti deboli, come pompe, flange, ecc., aumenta in modo all’incirca proporzionale al numero delle unità e la gestione si complica anch’essa. La frequenza incidentale attesa per una unità singola deve quindi essere minore di quella di più unità più piccole, poiché dovendo prevedere i sistemi di protezione per un solo apparecchio si potrà spendere un po’ di più su di essi. Tuttavia, va ricordato che se accade un incidente su una unità più grande, la scala dell’incidente

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sarà inevitabilmente maggiore, come pure le sue conseguenze. Quindi non esiste una soluzione generale a questo problema, che va affrontato caso per caso. CONSIDERAZIONI DI SICUREZZA RELATIVE AL LAYOUT DELL’IMPIANTO La scelta del sito dove realizzare lo stabilimento e la disposizione in pianta delle varie zone, lavorazioni e apparecchiature nell’ambito dell’impianto, ossia il cosiddetto layout dello stabilimento dipendono da varie considerazioni, quali: • accesso alle materie prime, al mercato per i prodotti, e possibili interconnessioni con

altri impianti; • disponibilità di terreno, forza lavoro, acqua per il raffreddamento e mezzi per trattare

gli effluenti; • politiche governative, compresi i permessi per la costruzione dell’impianto e possibili

incentivi all’investimento; • considerazioni relative alla sicurezza. Limitando l’analisi ai soli aspetti relativi alla sicurezza per la popolazione, la caratteristica più importante della scelta del sito in cui realizzare l’impianto è la distanza tra il sito ed aree residenziali. Maggiore è la distanza tra l’impianto ed aree edificate e minori saranno gli impatti su queste ultime in caso di incidente. Dal punto di vista del layout dell’impianto, gli aspetti relativi alla sicurezza riguardano: • tenere separati i diversi tipi di rischi; • minimizzare le tubazioni vulnerabili; • contenere gli effetti degli incidenti; • limitare il numero delle persone a rischio; • costruire un impianto efficiente e sicuro: • operare l’impianto in modo efficiente e sicuro; • effettuare una manutenzione efficiente e sicura dell’impianto; • progettare una sala controllo sicura; • predisporre l’occorrente per la gestione dell’emergenza; • predisporre l’occorrente per l’antincendio; • consentire l’accesso in caso di emergenza; • garantire la sorveglianza dell’impianto. Servizi di stabilimento I servizi centralizzati dell’impianto, come le caldaie per produzione di vapore, la centrale elettrica, le stazioni di pompaggio, ecc., devono essere localizzati al di fuori del raggio di azione di eventi incidentali, quali incendi o allagamenti, e, inoltre, si deve evitare che questi servizi possano costituire fonti di innesco in caso di perdite di prodotti infiammabili. Edifici L’utilizzo di edifici nell’area unità operative deve essere giustificato da esigenze di processo, poiché essi sono costosi e costituiscono fonte di pericoli. Tuttavia il processo potrebbe richiedere un ambiente a temperatura pressoché costante, o sterile; allo stesso modo le lavorazioni potrebbero richiedere macchinari delicati, o di precisione,

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che ugualmente necessitano di un ambiente protetto dalle intemperie. In tal caso la lavorazione va effettuata in un edificio. Altri casi sono quelli in cui si temano contaminazioni o danni ai prodotti, o in cui gli operatori siano chiamati a svolgere compiti particolarmente impegnativi o frequenti. Ad esempio si utilizzano edifici per alloggiare reattori a funzionamento discontinuo, centrifughe, strumenti di analisi, ecc. Tenendo conto che la ventilazione all’interno di un edificio è generalmente inferiore rispetto a quella che si ha all’aperto, è più facile che, in caso di perdita di prodotto infiammabile o tossico all’interno, la dispersione avvenga più lentamente, e quindi si abbiano concentrazioni più alte che non in campo aperto. Ciò può comportare l’utilizzo di un sistema di ventilazione (forzata) nell’edificio, con eventuale convogliamento degli scarichi ad un sistema di trattamento prima che siano inviati nell’atmosfera. Gli edifici che costituiscono il posto di lavoro di un elevato numero di persone devono essere situati in modo da minimizzarne la esposizione a pericoli. I laboratori di analisi devono trovarsi in un’area sicura, ma comunque il più vicino possibile agli impianti che essi servono. Gli uffici amministrativi devono essere in un’area sicura dal lato aperto al pubblico, vicino al posto in cui sono effettuati i controlli di sicurezza sui visitatori. L’edificio uffici deve essere posto vicino all’ingresso principale. Altri edifici, come l’infermeria, la mensa, ecc. devono essere in un’area sicura e di facile accesso per i fornitori, nel caso della mensa. Tutti gli edifici dovrebbero essere posti sopravvento agli impianti da cui si teme possano originare i rischi: a tal fine va considerata la direzione del vento prevalente nella località. In ogni caso va limitato il numero delle persone esposte a rischio. Ciò si realizza riducendo il numero delle persone presenti nelle aree a maggior rischio a quelle assolutamente indispensabili, facendo in modo che il posto di lavoro principale di ognuno sia al di fuori delle aree più pericolose e controllando l’accesso a queste zone. Segregazione Il layout dell’impianto deve garantire, per quanto possibile, il contenimento dell’evento incidentale in prossimità del punto in cui esso si verifica, prevenendo l’escalation dell’incidente ed evitando di mettere in pericolo gli obiettivi più vulnerabili. Come esempio si possono considerare i due layout di impianto rappresentati nella figura 10. La figura 10a mostra un layout compatto di una parte di un impianto petrolchimico in cui è stata minimizzata l’area occupata e la lunghezza delle tubazioni. Ci sono due aree di processo principali e, ad angolo retto rispetto a queste, un’area con una fila riscaldatori a fuoco diretto, reattori, caldaie per produzione di vapor d’acqua e un camino. Questa disposizione presenta numerosi difetti: le unità di processo occupano un’area piuttosto grande priva di barriere rompifuoco e l’accesso a queste unità è possibile solo attraverso strade interne larghe 4.5 m in cui è difficile manovrare i mezzi antincendio. Inoltre, c’è una distanza di circa 10 m tra gli apparecchi posti ai due lati della strada, distanza che potrebbe non essere sufficiente ad evitare il propagarsi di un incendio da una parte all’altra della strada. Infine, c’è un’unica via di accesso principale, larga 6 m. Un layout alternativo e che fornisce garanzie di migliore sicurezza è mostrato in figura 10b. Le aree di processo sono suddivise da strade interne larghe 6 m in cui i mezzi transitano facilmente, e viene garantita una distanza di 15 m tra le apparecchiature che affacciano sulla strada, in modo da limitare il propagarsi di incendi. Ci sono più punti di accesso e si eliminano i punti morti difficili da raggiungere: è pure previsto un accesso per una gru (crane) il che assicura ancora più spazio in prossimità dei riscaldatori a fuoco diretto. Ovviamente, però, questa disposizione alternativa richiede l’utilizzo di un’area maggiore e comporta l’uso di tubazioni più lunghe.

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Figura 10 [5] Trasporti Il layout dell’impianto deve essere tale da minimizzare le distanze percorse dai materiali per passare da una lavorazione ad un’altra. Tale criterio va però armonizzato con quello di minimizzare il rischio. Ogni blocco dell’impianto deve essere accessibile per trasportarvi materiali e apparecchiature, ed effettuare interventi in fase di esercizio, di manutenzione o di emergenza. Le strade interne devono, se possibile, garantire l’accesso ad ogni blocco da tutti e 4 i lati ed essere larghe a sufficienza da consentire il transito ai veicoli più grandi che le debbano utilizzare. Ove possibile si suggerisce di realizzare strade larghe 7.5 m, che garantiscano una distanza tra le unità separate dalla strada di circa 15 m. Il normale traffico stradale e ferroviario non deve attraversare aree di processo, a meno che un’area di processo rappresenti la destinazione per tale traffico. Emergenze Deve essere predisposto un piano di emergenza per l’impianto. Tale piano deve prevedere l’esistenza di un centro di emergenza e di uno o più punti di raccolta. Il centro

(b)

(a)

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di emergenza deve essere localizzato in una stanza a ciò destinata posta in un’area sicura, accessibile dalle strade pubbliche di accesso allo stabilimento ed intorno alla quale ci sia spazio sufficiente per i veicoli in servizio di emergenza (autopompe, autoambulanze, ecc.). I punti di raccolta devono essere stabiliti in aree sicure, poste ad almeno 100 m dagli impianti. In alcuni casi si possono predisporre dei “luoghi sicuri” che costituiranno punti di raccolta. La sala controllo non deve mai costituire il centro di emergenza e tanto meno un luogo sicuro da utilizzare come punto di raccolta. Sorveglianza Il sito deve essere provvisto di una recinzione e di accessi mediante cancelli sorvegliati con una guardiola di controllo, mantenendo comunque al minimo il numero degli ingressi previsti. Disposizione di alcune apparecchiature Dal punto di vista della sicurezza sono molto importanti i forni ed i riscaldatori a fuoco diretto: la loro localizzazione dipende dall’utilizzo di accessori comuni, come il camino, la minimizzazione della lunghezza delle linee di trasferimento dei fluidi, la possibilità che questi apparecchi costituiscano fonti di innesco di perdite infiammabili, ecc. Di norma forni e riscaldatori a fuoco diretto vanno distanziati almeno 15 m dagli impianti in cui potrebbero verificarsi perdite di sostanze infiammabili. Anche gli inceneritori e le aree in cui sono bruciati materiali di scarto vanno considerate alla stregua di apparecchi a fuoco diretto. I reattori chimici in cui possano avvenire reazioni violente devono essere segregati utilizzando barriere rompifuoco o possono essere perfino posti al di là di pareti a prova di esplosione. Le apparecchiature che vanno aperte per pulizia, per riempirle, caricarle, ecc., necessitano spesso di una ventilazione. Le pompe che trattano liquidi caldi (T > 60°C) devono essere tenute separate da quelle che trattano liquidi infiammabili o volatili (punto di ebollizione < 40°C) e dai compressori che trattano gas infiammabili. Prodotti corrosivi Ci sono varie parti dell’impianto che sono particolarmente sensibili a perdite di prodotti corrosivi. Le fondazioni di edifici e di macchinari, specialmente se in cemento, possono essere attaccate da questi prodotti. I pavimenti devono presentare una pendenza in modo che gli scoli siano indirizzati lontano da apparecchi vulnerabili e dalle aree di passaggio. Le giunzioni di tubazioni da cui possa fuoriuscire un liquido corrosivo non devono essere poste al di sopra di aree di passaggio. Le scale e i mancorrenti vanno protetti dalla corrosione o realizzati in metalli non soggetti a questo problema (ad esempio alluminio). Dove ci possano essere perdite di materiali corrosivi va assicurata e mantenuta una ventilazione adatta. Layout delle tubazioni In generale, per motivi sia economici che di sicurezza è desiderabile minimizzare la lunghezza delle tubazioni. Tuttavia va rispettato anche un principio di segregazione che talvolta porta inevitabilmente ad un allungamento del percorso delle tubazioni. Le tubazioni di servizi, come vapore ed acqua, ed i cavi di elettricità e telefono corrono generalmente lungo le strade interne e non devono attraversare le aree in cui sono

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presenti unità operative o servizi. Le tubazioni possono essere raggruppate formando fino a due livelli sovrapposti sui medesimi portali di sostegno, ma non si devono utilizzare tre livelli: se ci sono tubazioni di processo e di servizio insieme, le prime si dispongono sul livello inferiore e le seconde su quello superiore. In alcuni casi va assicurata una pendenza (minima) alle tubazioni in modo da permettere un drenaggio completo delle stesse, per ragioni di processo, di corrosione o di sicurezza. Le tubazioni devono essere situate ad altezza tale da non interferire con il passaggio di veicoli e persone nelle aree in cui ciò è previsto, né con le apparecchiature di processo. Normalmente si considera che le tubazioni debbano, come minimo, essere poste ad un altezza di: • 7 m al di sopra di strade ed aree a cui possano accedere delle gru; • 4 m al di sopra di aree di impianto a cui accedano autocarri; • 3 m al di sopra di aree di impianto in generale; • 2.25 m al di sopra di pavimenti ed aree di passaggio all’interno di edifici; • 4.6 m al di sopra di linee ferroviarie. Le giunzioni delle tubazioni devono essere poste in modo da minimizzare il pericolo causato da piccole perdite e gocciolamenti. Si deve fare attenzione alla compatibilità di tubazioni adiacenti, tenendo presente come criterio quello di evitare ogni perdita di prodotti pericolosi. Si devono usare valvole di blocco di emergenza per bloccare il flusso di prodotti infiammabili: se a tale scopo si usano valvole azionate manualmente esse devono essere montate in posizioni facilmente accessibili in sicurezza. Gli scarichi da valvole di sicurezza e dischi di scoppio vengono normalmente convogliati in un sistema chiuso. Anche i drenaggi di liquidi devono essere portati in un punto sicuro. I punti di campionamento devono essere all’altezza di 1 m rispetto al pavimento e non a livello degli occhi. Si deve minimizzare l’utilizzo di tubazioni flessibili: queste sono utilizzate soprattutto in fase di carico e scarico di autocisterne. Stoccaggi I quantitativi di prodotto accumulati negli stoccaggi sono praticamente sempre molto più grandi di quelli presenti nel processo: ciò rappresenta un pericolo potenziale, in quanto un incidente può causare conseguenze più gravi. Gli stoccaggi sono normalmente realizzati all’aperto, poiché ciò è più economico, e le perdite si disperdono facilmente. L’area stoccaggi deve essere realizzata in modo da evitare la presenza di zone in cui si possano raccogliere perdite di liquidi o vapori infiammabili o da cui essi possano fluire verso fonti di innesco. L’area stoccaggi va tenuta segregata rispetto a quella delle unità operative. Infatti, un incendio o un’esplosione in una unità operativa può mettere a rischio un grosso quantitativo di prodotto nell’area stoccaggi: come minimo ci deve essere una distanza di 15 m tra queste aree. I terminali di carico/scarico dei prodotti devono essere distanti dalla zona processo perché queste operazioni sono spesso fonte di incidenti. I serbatoi di stoccaggio per prodotti simili devono essere raggruppati. In alcuni casi si può dotare ogni gruppo di serbatoi di un unico bacino di contenimento e di un sistema antincendio in comune; i serbatoi più grandi sono dotati di bacini e di protezione antincendio individuale. Ogni bacino di contenimento deve essere accessibile, se

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possibile, da tutti e quattro i lati, e la rete stradale deve essere predisposta in modo da consentire l’accesso all’area anche se una strada fosse impraticabile, ad esempio in caso di incendio. Distanze di separazione Le distanze di separazione minime costituiscono un importante vincolo al layout dello stabilimento. Vengono suggeriti valori di distanze minime tra le varie zone dell’impianto, in funzione delle attività che vi vengono svolte: a titolo di esempio si possono considerare i valori riportati nella figura 11, in cui le distanze sono espresse in metri.

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Figura 11 [5]

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Classificazione delle zone pericolose Il layout dell’impianto gioca un ruolo importante nella prevenzione degli inneschi di eventuali perdite di sostanze infiammabili. Questo aspetto va sotto il nome di classificazione delle aree: dal momento che la principale fonte di innesco è costituita dai motori elettrici, si parla spesso di classificazione della aree dal punto di vista della protezione che va assicurata ai motori elettrici che vi operano. Un esempio di classificazione delle aree è: • zona 0: in cui è un’atmosfera infiammabile è presente continuamente o per un lungo

periodo; • zona 1: in cui un’atmosfera infiammabile può essere presente per un breve periodo

durante il normale funzionamento dell’impianto; • zona 2: in cui è improbabile che sia presente un’atmosfera infiammabile durante il

normale funzionamento dell’impianto e, ove ciò dovesse accadere, sarebbe solo per un breve tempo.

Protezione antincendio Alcuni aspetti relativi al layout dell’impianto dal punto di vista della protezione antincendio si possono classificare come misure attive e passive. Le prime comprendono la separazione dei pericoli e dei possibili bersagli, le misure per prevenire il propagarsi degli incendi e la predisposizione di accessi per le attività antincendio; le seconde la predisposizione di riserve di acqua antincendio ed i sistemi di protezione antincendio. È essenziale garantire la possibilità di un idoneo accesso che consenta di portare le apparecchiature antincendio da più di un lato e sufficientemente vicine da potere essere utilizzate con efficacia. Il sito deve essere provvisto di strade periferiche connesse come minimo in due punti diversi al sistema viario pubblico. L’accesso viene facilitato se l’impianto è suddiviso in blocchi di dimensioni 100 x 200 m, con possibilità di accesso dai quattro lati e con distanze tra i blocchi e gli edifici di 15 m. Può essere necessario prevedere un’area di attesa per i mezzi antincendio vicino ad ogni cancello di ingresso principale. Sale controllo Fino a metà degli anni settanta le sale controllo erano poste in prossimità degli impianti, e costruite in mattoni e con ampie superfici vetrate, risultando in tal modo molto vulnerabili. Tale criterio di progettazione è stato profondamente rivisto a seguito dell’incidente verificatosi a Flixborough nel 1974, in cui 18 delle 28 vittime erano nella sala controllo. Essa era stata costruita in muratura, con solo il solo telaio in cemento amato, e con grandi finestre: l’edificio era di due piani e mezzo: al di sopra della sala controllo era situata una sala di quadri elettrici ed una zona per il passaggio dei cavi, alta quanto un mezzo piano. La sala controllo era situata in un edificio, lungo complessivamente 160 m, in cui erano alloggiati anche degli uffici, un laboratorio di analisi, ed una unità operativa. Questo edificio era posto a circa 100 m dal punto in cui si è verificata l’esplosione, con l’asse principale ortogonale alla direzione dell’onda di pressione. Si stima che l’onda di pressione abbia investito l’edificio con un picco di 0.7 atm (circa 70 000 Pa) distruggendolo completamente. La gran parte dei morti in sala controllo sono stati dovuti al collasso del tetto, ma alcuni lavoratori furono feriti gravemente dai vetri delle finestre e delle porte: la distruzione fu tale che ci vollero 19

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giorni per recuperare i corpi dalle rovine della sala controllo. La sala controllo deve proteggere i suoi occupanti dai pericoli di incendio, esplosione e rilascio di sostanze tossiche. È necessario che la sala controllo sia sicura in modo da minimizzare il rischio per gli operatori, ma anche per mantenere il controllo sull’impianto nei primi stadi di un incidente, riducendo così la probabilità di avere un’escalation dell’incidente fino ad un vero e proprio disastro. Ciò è anche opportuno per proteggere le registrazioni dell’impianto, comprese quelle del periodo immediatamente prima dell’incidente. Anche se c’è la tendenza di accorpare nelle sala controllo altre funzioni, come una sala computer, quadri elettrici, laboratori analitici, officina strumenti, ecc., la scelta migliore è quella di costruire una sala controllo sicura in cui le funzioni svolte siano limitate a quelle essenziali per il controllo dell’impianto, spostando tutte le altre funzioni ad una distanza che renda possibile la costruzione di un edificio con minori esigenze di resistenza strutturale. La localizzazione della sala controllo è altrettanto importante dei criteri costruttivi adottati. La sala controllo deve essere posta su un angolo dell’impianto in modo da lasciare una via di fuga: la distanza minima suggerita tra l’impianto e la sala controllo è di circa 20-30 m. I principi costruttivi fondamentali da adottare nella progettazione di una sala controllo sono: • la sala controllo deve contenere solo le funzioni essenziali al controllo del processo; • l’edificio deve avere solo un piano fuori terra; • sopra alla testa degli operatori ci deve essere solo il tetto. Non ci devono essere

macchinari o cavi sul tetto; • l’edificio deve essere provvisto di ventilazione con punto di presa dell’aria in una

zona non contaminata; • l’edificio deve essere orientato in modo da esporre l’area minore nella direzione da

cui più probabilmente può provenire l’esplosione; • non ci devono essere strutture che possano crollare sulla sala controllo; • il numero di finestre deve essere tenuto al minimo o queste devono essere

completamente assenti; si deve inoltre evitare che ci siano vetri nelle porte interne; • la costruzione deve essere sufficientemente resistente da evitarne il cedimento, ma

si considera accettabile che, se necessario, l’edificio debba essere raso al suolo e ricostruito completamente a seguito di una grave esplosione;

• La sala controllo deve essere costruita con materiali duttili, come acciaio e cemento armato; mattoni, muratura e vetro sono materiali non duttili (fragili) e non vanno quindi utilizzati.