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Dante rosa donatacci 2 N 2011-2012 1. A seconda del punto di vista: Dante autore o personaggio? Quando ci apprestiamo a leggere un’opera narrativa dobbiamo sempre chiederci due cose: a chi appartiene la voce che sta narrando i fatti? a chi appartengono gli occhi che stanno osservando lo svolgersi dei fatti? 1.1.La voce (il narratore interno) La Divina Commedia inizia, come tutti sanno, così: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura…”. “Mi ritrovai” c’è scritto. Ma chi sta parlando? Di chi è la voce che racconta? È di Dante stesso, che narra dall’interno, in prima persona il suo viaggio. Schematizzando, potremmo dire che in un’opera narrativa possono esserci due diverse tipologie di narratore: narratore interno Un narratore che racconta fatti che sono capitati a lui personalmente e di cui è stato egli stesso spettatore o protagonista. narratore esterno Un narratore che racconta fatti appresi o inventati, senza assistere o partecipare personalmente alle vicende narrate Incominciamo ad esercitarci distinguendo le due tipologie: Narrato re interno Narrato re esterno Mi chiamo Michele, ho trentacinque anni e non saprei dire esattamente che lavoro faccio. Ho scrittto un libro circa un anno fa e anche se non è stato un successo non è andata male, e comunque mi ha permesso di firmare un contratto per un secondo… (Fabio Volo, Un posto nel mondo, 2006) Una mattina Gregorio Samsa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato in un insetto mostruoso. Era disteso sul dorso, duro come una corazza, e alzando un poco il capo poteva vedere il suo ventre bruno convesso… (Franz Kafka, La metamorfosi, 1935) A lungo mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: «Mi addormento». (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, 1913)

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Dante rosa donatacci 2 N 2011-2012

1. A seconda del punto di vista: Dante autore o personaggio?

Quando ci apprestiamo a leggere un’opera narrativa dobbiamo sempre chiederci due

cose:

a chi appartiene la voce che sta narrando i fatti?

a chi appartengono gli occhi che stanno osservando lo svolgersi dei fatti?

1.1.La voce (il narratore interno) La Divina Commedia inizia, come tutti sanno, così: “Nel mezzo del cammin di nostra

vita mi ritrovai per una selva oscura…”. “Mi ritrovai” c’è scritto. Ma chi sta parlando?

Di chi è la voce che racconta? È di Dante stesso, che narra dall’interno, in prima

persona il suo viaggio.

Schematizzando, potremmo dire che in un’opera narrativa possono esserci due diverse tipologie di narratore:

narratore interno

Un narratore che racconta fatti che sono capitati a lui personalmente e di cui è

stato egli stesso spettatore o protagonista.

narratore esterno

Un narratore che racconta fatti appresi o inventati, senza assistere o partecipare

personalmente alle vicende narrate

Incominciamo ad esercitarci distinguendo le due tipologie: Narrato

re

interno

Narrato

re

esterno

Mi chiamo Michele, ho trentacinque anni e non saprei dire esattamente che lavoro faccio.

Ho scrittto un libro circa un anno fa e anche se non è stato un successo

non è andata male, e

comunque mi ha permesso di firmare un contratto per un secondo…

(Fabio Volo, Un posto nel mondo, 2006)

Una mattina Gregorio Samsa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato in un insetto

mostruoso. Era disteso sul dorso, duro come una corazza, e alzando un

poco il capo poteva

vedere il suo ventre bruno convesso… (Franz Kafka, La metamorfosi, 1935)

A lungo mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la

candela, gli occhi mi

si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso:

«Mi addormento».

(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, 1913)

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Una burrascosa mattina d’ottobre, prima dell’alba, in una città di mare

del Devon meridionale da cui sembrava che tutti fossero fuggiti, Magnus Pym scese

da un vecchio

tassì di provincia e, avendo pagato l’autista ed atteso finché non fu

ripartito, attraversò la piazza della chiesa.

(John Le Carré, La spia perfetta, 1986)

Fresco, sorridente, giacchetta e cravatta, avvolto in una nube di sciàuro

di colonia,

Montalbano, alle sette del mattino, s’apprisentò a casa del signor Francesco Lacommare,

direttore del supermercato, che l’accolse, oltre che con legittimo stupore,

in mutande e con

un bicchiere di latte in mano. «Che fu?» spiò il direttore riconoscendolo e

sbiancando… (Andrea Camilleri, Il cane di terracotta, 1996)

Harry Potter was a highly unusual boy in many ways. For one thing, he

hated the summer

holidays more than any other time of year. For another, he really wanted

to do his homework, but was forced to do it in secret, in the dead of night. And he

also happened to

be a wizard…

(J. K. Rowling, Harry Potter and the Prisoner of Azkaban, 1999)

Entrambe queste scelte hanno dei vantaggi dal punto di vista narrativo e dei pregi di

natura stilistica: narratore

interno

Narratore esterno

C’è immediatezza comunicativa, come nel discorso diretto.

È frequente nei romanzi di intrattenimento (gialli, avventura…) .

L’autore è libero di esprimere opinioni, giudizi, commenti sui fatti

che si stanno svolgendo.

L’autore filtra la storia attraverso le percezioni di un personaggio.

È tipico della letteratura di viaggio, del genere autobiografico e

dei diari.

Il narratore in prima persona può essere un personaggio della

storia.

Il lettore può vedere attraverso gli occhi del personaggio e

immedesimarsi in lui.

L’autore presenta solo ciò che il personaggio percepisce.

L’autore può rivolgersi direttamente al lettore.

Ora prova a fare questo esercizio: prendi la prima decina di righe del I

capitolo e trascrivile usando la III persona singolare, cioè come se i fatti

fossero raccontati da un narratore esterno:

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È scritto nella Bibbia che la vita di un uomo

dura più o meno settant’anni, e ai miei tempi nessuno

osava mettere

in dubbio l’autorità della Bibbia. Io sono nato

nel 1265 e mi cacciai nei guai la notte tra il 7 e l’8 aprile

del 1300,

dunque a trentacinque anni, l’esatta metà di

settanta. Nel mezzo del cammin di nostra vita – allora – mi

ritrovai per

una selva oscura chè la diritta via era

smarrita. Sarà stato il sonno a farmi deviare dalla strada giusta,

tant’è che

ancora oggi non so ben ridir come feci a

cacciarmi in quel

bosco intricato e nero ma il ricordo è così vivo che tremo

ancora di paura. Vagai tutta notte a tentoni,

cercando una

via d’uscita. Solo al mattino i primi raggi del sole

rivelarono una collina. Salirvi in cima sarebbe

stata la

cosa migliore per riuscire a orientarmi ma ecco che,

subito all’inizio del pendio, comparve una

lonza agile e

svelta, dal manto maculato. Mi si piantò

davanti per impedirmi di salire, mi piantò gli occhi

addosso e non si

mosse, tanto che incominciai a voltarmi per

cercare di tornare indietro.

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Quale delle due ti piace di più? Perché?

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1. Gli occhi (la focalizzazione) La seconda cosa da valutare è da quale punto di vista sceglie di mettersi l’autore. In

termini tecnici questo processo si chiama focalizzazione e può articolarsi, molto

schematicamente, in tre diversi livelli:

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Focalizzazione zero Il narratore sa più di tutti i suoi personaggi (si parla,

in questo caso, di narratore onnisciente)

Focalizzazione interna Il narratore sa quello che sanno i suoi personaggi

Focalizzazione esterna Il narratore sa meno di tutti i personaggi

Il fatto è che la scelta dello schema del viaggio ha permesso a Dante di far narrare

direttamente al proprio personaggio la propria avventura man mano che gli si

dipanava davanti agli occhi e dunque, nella Commedia, autore e personaggio

narrante coincidono, per cui coincidono anche i loro punti di vista e ciò che

entrambi sanno.

Da una parte, infatti, c’è il poeta Dante (l’auctor) che nei 100 canti della Commedia narra l’avventura, gli incontri, le paure e le gioie del personaggio Dante (l’agens) nel

corso del viaggio che, in sette giorni (dalla notte del 7 aprile al mezzogiorno del 14

aprile 1300), lo porterà attraverso i tre regni ultraterreni.

Per questo il punto di vista è molto particolare (si parla, in questo caso, di

focalizzazione interna fissa, perché la vicenda è vista sempre con gli occhi dello

stesso personaggio) ed è, insieme allo stile innovativo e agli artifici poetici, uno dei punti di forza della Commedia.

Ora prova a fare questo esercizio: prendi queste righe del I canto e trascrivile

cambiando il punto di vista, immaginando che sia Virgilio a narrare. Mentre scivolavo rovinosamente giù dal

pendio mi apparve una figura evanescente:

«Miserere di me», gridai a lui, «qual che tu

sii, od ombra od omo certo!». Mi rispose: «Non sono un uomo, ma lo fui. I

miei genitori furono lombardi, di Mantova.

Nacqui al tempo di Giulio Cesare e vissi a

Roma, al tempo di Ottaviano Augusto. Fui poeta e cantai le imprese del pio Enea,

figlio di Anchise, che fuggì da Troia dopo che

la città fu distrutta.

Ma tu, perché torni indietro nel bosco? Perché

non sali in cima alla collina?» «Ma, ma… tu sei il famoso Virgilio?». Tenevo

gli occhi bassi per la vergogna mentre gli

facevo questa domanda:

Virgilio, il mio scrittore preferito, il mio maestro, quello da cui avevo sempre tentato

di imparare l’eleganza dello stile. «Guarda

quella bestiaccia, – gli dissi – aiutami tu,

perché a me tremano le gambe dalla paura!». E mentre imploravo aiuto, piangevo.

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Quale delle due ti piace di più? la vicenda vista con gli occhi di Dante? O

quella vista con gli occhi di Virgilio. Perché?

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Secondo te, perché Dante ha scelto questo particolare punto di vista?

perché era stilisticamente più efficace e rendeva meglio il senso dell’avventura;

perché la Divina Commedia è una specie di “diario” personale, in cui Dante voleva essere libero di sfogare tutti i suoi sentimenti;

perché è il modo più facile di raccontare;

perché il poema non racconta solo un viaggio avventuroso ma è anche una

specie di diario spirituale interiore;

perché Dante era un uomo orgoglioso e non voleva assegnare a nessun altro il

ruolo di protagonista eroico di un viaggio così straordinario;

perché voleva che il protagonista fosse un personaggio reale, vero, con vizi e virtù concrete, con parenti e amici, e non un personaggio di fantasia;

perché egli ha davvero compiuto questo viaggio ed ora lo sta raccontando;

perché ha avuto una sorta di “visione”, di “rivelazione” divina che lo ha ispirato

altro (scrivi tu una motivazione): …………………………………………………………………………

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2. Un debito da assolvere prima di ogni viaggio: il proemio

La Divina Commedia è già iniziata, siamo già al II canto dell’Inferno, eppure Dante

sceglie di scrivere solo adesso una specie di “proemio”, di introduzione. Perché?

1. Cento canti per sette giorni: la struttura della Divina Commedia

Per comprendere le ragioni di questa apparente assurdità occorre capire la struttura

generale del poema: la Divina Commedia è un poema suddiviso in 3 cantiche

(Inferno, Purgatorio e Paradiso) di 33 canti ciascuna + 1 canto proemiale (il canto I

dell’Inferno, che dunque risulta composto da 34 canti) che funge da proemio a tutte e

tre le cantiche, per un totale di 100 canti.

2. Un’opera, quattro proemi Stando così le cose, potremmo dire che la Divina Commedia ha quattro proemi:

un primo, atipico, costituito dal canto I dell’Inferno che acquista il valore di

proemio all’intera opera;

il breve e vero e proprio proemio alla prima cantica (O muse, o alto ingegno…),

che occupa tre versi del secondo canto (If II, 7-9);

il più ampio proemio al Purgatorio (Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno…), che occupa quattro terzine del I canto (Pg I, 1-

12);

il lungo e complesso proemio al Paradiso (La gloria di colui che tutto move…,Pd

1-36).

3. Un assaggio e una preghiera La parola “proemio” viene dal greco ed è composta dal prefisso pro = “prima” e da

ôimos = via, strada e indica il preambolo introduttivo che i poeti solitamente

scrivevano all’inizio delle loro opere o che, per tornare all’epoca della civiltà achea e

dei poemi omerici, gli aedi declamavano prima di iniziare il lungo racconto della storia

che proponevano al loro pubblico.

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Il proemio nasce proprio in questo contesto e risponde ad esigenze molto concrete. I

cantori, infatti, dovevano:

incuriosire il loro pubblico, fornendo da subito un assaggio della loro abilità e

delle avventure mirabolanti che avrebbero raccontato (è la protasi, cioè l’anticipazione del contenuto);

“invitare” accanto a sé le divinità protettrici della loro arte poetica, in modo da

ottenerne l’aiuto e poter apparire, agli occhi degli spettatori, come “ispirati”

direttamente dagli dèi (è l’invocazione alle Muse).

3. Il dono della poesia: sinossi tra i proemi dell’epica classica e della

Commedia Questa struttura, codificata nei poemi omerici e in parte rielaborata da Virgilio, viene ripresa direttamente anche da Dante e più avanti nel Cinque-Seicento, da Boiardo

nell’Orlando innamorato, da Ariosto e Tasso, rispettivamente nell’Orlando furioso e

nella Gerusalemme liberata, con, in più, l’aggiunta della dedica dell’opera ad un

personaggio importante.

Nella tabella seguente trovi riportati i passaggi più significativi dei proemi citati, da

Omero fino ai tre proemi della Divina Commedia: Iliade

Canta, o dea, l’ira d’Achille Pelide rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,

gettò in preda all’Ade molte vite gagliarde

d’eroi, ne fece il bottino dei cani,

di tutti gli uccelli – consiglio di Zeus si

compiva – da quando prima si divisero contendendo

l’Atride signore d’eroi e Achille glorioso

(Iliade, libro I, trad. di R. Calzecchi Onesti)

Odissea

L’uomo ricco d’astuzie raccontami, o Musa, che a lungo

errò dopo ch’ebbe distrutto la rocca sacra di

Troia;

di molti uomini le città vide e conobbe la

mente, molti dolori patì in cuore sul mare,

lottando per la vita e per il ritorno dei suoi.

Ma non li salvò, benchè tanto volesse,

per loro propria follia si perdettero, pazzi! Che mangiarono i bovi del sole Iperione,

e il sole distrusse il giorno del loro ritorno.

Anche a noi di’ qualcosa di queste avventure,

o dea figlia di Zeus. (Odissea, libro I, trad. di R. Calzecchi Onesti)

Eneide

Armi canto e l’uomo che per primo dai lidi di

Troia

venne in Italia fuggiasco per fato e alle spiagge

lavinie, e molto in terra e sul mare fu preda

di forze divine, per l’ira ostinata della crudele

Giunone, molto sofferse anche in guerra, finch’ebbe

fondato

la sua città, portato nel Lazio i suo dèi, donde

il sangue latino e i padri Albani e le mura dell’alta

Roma.

Musa, tu dimmi le cause, per quale offesa

divina, per qual dolore la regina dei numi a soffrir

tante pene,

a incontrar tante angosce condannò l’uomo

Divina Commedia

proemio all’Inferno

Io sol uno

m’apparecchiava a sostenere la guerra

sì del cammino e sì de la pietate, che ritrarrà la mente che non erra.

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;

o mente, che scrivesti ciò ch’io vidi,

qui si parrà la tua nobilitate (If II, 7-9)

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pio.

(Virgilio, Eneide, libro I, trad. di R. Calzecchi Onesti)

Divina Commedia

proemio al Purgatorio

Per correr miglior acque alza le vele

omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele;

e canterò di quel secondo regno

dove l’umano spirito si purga

e di salire al ciel diventa degno. Ma qui la morta poesì resurga,

o sante Muse, poi che vostro sono

e qui Caliopè1 alquanto surga…

[…]

(Pg I, 1-9)

Divina Commedia

proemio al Paradiso

La gloria di colui che tutto move

per l’universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove.

[…]

Veramente quant’io del regno santo

ne la mia mente potei far tesoro, sarà ora materia del mio canto.

O buono Appollo1, a l’ultimo lavoro

fammi del tuo valor sì fatto vaso

come dimandi a dar l’amato alloro

[…] (Pd I, 1-15carptim) 1O buono Appollo: iniziando il Paradiso, la cantica più

importante e più difficile per l’importanza e la grandezza della materia trattata e dell’ambiente in cui essa si

svolge, Dante non si accontenta più dell’aiuto delle

semplici Muse, ma chiede la collaborazione diretta del sommo Apollo, il dio della poesia.

Confrontiamoli tra loro. Prendi due evidenziatori e sottolinea in ciascuno di

essi, con due colori diversi la protasi e l’invocazione alle divinità protettrici

della poesia.

Segna inoltre in quali dei proemi sotto riportati ritrovi le caratteristiche

elencate:

Divina

Comme

dia

Iliade Odissea Eneide Inferno Purgatori

o Paradi

so

Viene dato molto

spazio all’anticipazione del contenuto

dell’opera

Il poeta sembra uno

strumento nelle mani

delle divinità

ispiratrici

Le divinità comandano

la creazione poetica

Le divinità collaborano

alla creazione poetica

Vengono invocate delle

divinità specifiche

Il poeta crede davvero

che ciò che scrive

derivi da un’ispirazione divina

Il poeta ha la consapevolezza che

l’opera è frutto del

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proprio autonomo

ingegno

Il poeta nutre delle

ambizioni stilistiche circa la qualità

del proprio lavoro

Il contenuto dell’opera

è solamente accennato

In conclusione, con quali di queste affermazioni ti trovi d’accordo?

La poesia è comunque un dono divino L’invocazione alle divinità è solo un dazio formale da pagare, una buona

abitudine, che non cancella il fatto che, alla fine, i meriti sono comunque

sempre e solo del poeta

Il poeta deve comunque essere umile e sapere che, se anche gli uomini

dovessero tributare successo alla sua opera (applausi, corone d’alloro,

onorificenze), il merito non è comunque solo suo

Non c’è nulla di misterioso o ispirato nella poesia. È solo questione di abilità tecnica nel padroneggiare le mille sfumature che può offrire il linguaggio

La poesia e la preghiera possono essere due facce della stessa medaglia

Leggi l’opinione del famoso poeta italiano Eugenio Montale:

“Che la vera poesia abbia sempre il carattere di un dono e che pertanto essa

presupponga la dignità di chi lo riceve, questo è forse il maggior insegnamento che

Dante ci abbia lasciato. Egli non è il solo che ci abbia dato questa lezione, ma fra tutti è certo il maggiore”.

5. Rime che si rincorrono

La Divina Commedia è scritta in terzine, cioè strofe di tre versi endecasillabi ciascuna, collegate tra loro da uno schema di rime particolari.

1. La terzina dantesca

La rima è l’identità di suono alle fine di più versi a partire dall’ultima sillaba accentata

e si segna assegnando

convenzionalmente una lettera dell’alfabeto ad ogni verso. Ai versi che terminano allo stesso modo si assegnerà la medesima lettera.

Prova tu, con l’attacco del famoso episodio dell’incontro con Ulisse al canto

XXVI dell’Inferno (l’esercizio è già avviato).

Lo maggior corno de la fiamma antica A cominciò a crollarsi mormorando, B

pur come quella cui vento affatica; …

indi la cima qua e là menando, …

come fosse la lingua che parlasse C

gittò voce di fuori e disse:«Quando …

mi diparti' da Circe, che sottrasse C me più d'un anno là presso a Gaeta, …

prima che sì Enea la nomasse, …

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Dovrebbe esserti uscito uno schema particolare, in cui le rime si rincorrono,

ripresentandosi uguali per alcuni versi (tre, in particolare) e poi sparendo. Questo

schema si chiama rima incatenata e può essere rappresentato in questo modo:

A B A B C B C D C …

Esistono altri schemi possibili di rima, la rima baciata (AA,BB, CC, …), la rima

alternata (ABABAB…) o la rima incrociata (ABBA…), ma rispetto a questi lo schema

utilizzato da Dante risulta il migliore per il tipo di opera che egli aveva intenzione di scrivere, proprio perché il concatenamento dei suoni e delle rime favorisce lo sviluppo

del racconto che risulta orecchiabile e di facile memorizzazione.

Nello stesso tempo, tuttavia, la necessità di concatenare efficacemente le rime porta

talvolta a perifrasi, a giri di parole lunghi o complicati per riuscire a “incastrare” quel

determinato suono, a tal punto che alcuni versi sembrano quasi costruiti a ritroso,

a partire dalla parola finale in rima.

2. Giocare con Dante In Italia centrale e soprattutto in Toscana è ancora viva la tradizione del “certame in

terzine”, cioè dell’arte di recitare versi “all’impronta”, improvvisando rime e

ingaggiando vere e proprie sfide tra “poeti” spesso su argomenti estemporanei. Il

famoso attore e regista Roberto Benigni, che in questi anni si è dedicato ad un’opera

di drammatizzazione e divulgazione dell’opera di Dante, ha raccontato di quando lui stesso, da ragazzo, assisteva o partecipava a queste “sfide” organizzate tra artigiani,

contadini, uomini semplici del paese che in queste “gare” trovavano un’occasione di

divertimento all’osteria, alla casa del popolo, alle feste paesane.

La forma metrica dell’endecasillabo in terza rima infatti si adatta molto bene

all’improvvisazione poiché corrisponde al metro stesso del nostro linguaggio parlato, al

ritmo del nostro respiro e della nostra prosa. Per questo è così facile comporre

(magari senza neanche accorgersene) degli endecasillabi o giocare con essi.

La storpiatura parodistica

Magari avrai sentito anche tu qualche storpiatura più o meno spiritosa dell’incipit della

Divina Commedia e, se ti ci metti, riuscirai tu stesso a sfornarne dei migliori. Basta

tener ferme due cose:

la misura del verso

il suono della rima finale

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita.

Ah quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinova la paura! …

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

io, mio cugino Antonio e mia zia Rita.

…………………………………………………………...ura …………………………………………………..……….orte

…………………………………………………..………..ura

Per me si va nella città dolente, per me si va ne l’etterno dolore

per me si va dove si toglie il dente.

(Targa sopra la porta d’ingresso di uno

studio dentistico)

Ma ora puoi proseguire tu, con questo passaggio della Commedia o con un altro

altrettanto conosciuto. Basta prendere i primi due versi, che tutti conoscono, e

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Dante rosa donatacci 2 N 2011-2012

attaccare versi insoliti e inaspettati. Così, mentre tutti attendono la consueta

declamazione dei versi danteschi, la tua “creazione” otterrà un effetto comico di

straniamento.