055 LUN 06-03-06

4
La bancarotta non è troppo lontana. Ultimi dati sul nostro declino e sulla voglia (persa) di far le cose di cui un tempo eravamo maestri U na bella dama, potenzialmente seducen- te ma terribilmente svogliata, incapace di attrarre i pretendenti e troppo indulgen- te nei confronti dei propri vizi capitali. Giorgio Ferrari: «È la fotografia dell’Italia come risulta dall’ultima rilevazione Istat, la quale assegna una sostanziale crescita zero per l’anno 2005 (nel 2004 era stata di un mi- sero 1,1%) a fronte di un rapporto deficit-Pil che ha raggiunto il 4,1%. L’occupazione (sce- sa dello 0,4% con un vistoso calo del com- parto agricolo) rimane stabile, mentre cre- scono le esportazioni e diminuisce - se pure di pochissimo - la pressione tributaria. In altre parole quello 0,0 che funge da termo- metro della nostra crescita non cambia granché il quadro di un’Italia galleggiante sulle proprie rendite di posizione e poco propensa a investire, a innovare, soprattut- to a rischiare». [1] Premesso che bisognerebbe cercare di mi- surare lo sviluppo «non più solo col pil, ma con un set di indicatori che ci dicano anche se cresce il benessere sociale e se migliora o peggiora la qualità della vita delle perso- ne» (Aldo Carra) [2], «dai dati di contabilità nazionale emerge purtroppo il ritratto di un’economia in coma, non solo ferma nelle quantità, ma anche in probabile peggiora- mento nella qualità» (Mario Deaglio). [3] Luciano Gallino, autore de L’Italia in frantu- mi (Laterza): «Il nostro apparato industriale è messo male e quindi non c’era da aspet- tarsi altro. L’industria continua ad essere l’asse portante della nostra economia. Molti parlano di servizi ma dimenticano che nel nostro paese i servizi sono prevalentemen- te servizi alle imprese. È inutile vendere il- lusioni, noi non siamo la Gran Bretagna, gi- gante dei servizi finanziari. Da noi anche l’informatica, la logistica e i trasporti sono legati all’andamento dell’industria». [4] Torri gemelle, scoppio della bolla aziona- ria, guerra in Iraq, euro troppo forte, concor- renza cinese: di chi è la colpa della nostra crisi? Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi: «La performance molto migliore di altri Paesi europei alle prese con gli stessi in- ciampi non concede facili alibi. Il severo giudizio è confermato dall’unica consola- zione di questi tempi: la ripresa che ha pre- so corpo nei mesi recenti è soprattutto trai- nata dall’estero, tanto che tutte le previsio- ni danno una crescita dell’Eurozo-na (e an- cor più del resto del mondo) più vivace che in Italia». [5] Deaglio: «In molti altri Paesi europei, a cominciare dalla Francia, si os- serva un certo risveglio della produzione in- dustriale mentre in Germania è avvertibile un miglioramento del clima economico; il contrasto è particolarmente stridente con i “cugini” spagnoli, il cui ritmo di crescita si mantiene vivacissimo». [3] Siamo nel pieno di un declino strutturale. Enrico Cisnetto: «Se è vero che questa legi- slatura ci ha consegnato una crescita di me- no della metà della media europea, e lonta- na astralmente dall’andamento dell’econo- mia americana e di quella cinese (che, non a caso, ci ha superato nella classifica mon- diale), non era andata molto meglio nei cin- que anni precedenti, che pur avendo con- suntivato un +1,9% medio, ci hanno visto ugualmente distanti dai vecchi e dai nuovi competitor dell’era della globalizzazione». [6] Tito Boeri: «La Cina cresce, giusto? Dunque il made in Italy potrebbe esporta- re di più verso questo paese. Invece subia- mo l’arrivo delle merci cinesi e basta. Altri ex malati d´Europa come Francia e Germania no. I problemi della mancata crescita italiana sono di tipo strutturale e nessuno li ha rimossi. Tantomeno questo governo. I servizi costano moltissimo alle imprese e non sono neppure di qualità. Poi non facciamo ricerca e dunque non creia- mo prodotti competitivi. Risulta che dei mi- gliori prodotti in diverse discipline segna- lati dalle università italiane ad un panel di esperti stranieri, solo il 20-30% raggiunge l’eccellenza dei parametri internazionali. È una desolazione». [7] Nel decennio della Seconda Repubblica, l’Italia non è stata caratterizzata solo da una crescita mai così bassa dal dopoguerra in poi (la media dal 1996 al 2005 è dell’1,27%), ma anche da un ridotto incremento della produttività del lavoro, dalla perdita di quote rilevanti di commercio internaziona- le e da una sostanziale stabilità, con ten- denza al reincremento, dello stock del de- bito pubblico, una volta venuto meno l’ef- fetto benefico della riduzione internazio- nale dei tassi d’interesse. Cisnetto: «Nel pe- riodo 1996-2000 l’attività produttiva è cre- sciuta di 0,7 punti percentuali in meno ri- spetto alla media di Eurolandia, mentre in quello 2001-2005 è cresciuta di mezzo pun- to in meno. Così come l’incremento della produttività del lavoro nei settori indu- striali soggetti alla concorrenza è stato dell’1% nel primo quinquennio e pressoché nullo nel secondo (a fronte del +4,3% e 1,9% francese, e del +3,2 e +2,6 tedesco)». [6] La quota italiana del commercio interna- zionale è scesa dal 4,6% al 3,5 e poi al 2,7. Cisnetto: «Infine, i conti pubblici: senza i cinque punti di pil di spesa per interessi in meno - per i quali i nostri governi non pos- sono vantare alcun merito - non solo non saremmo entrati nell’euro, ma avremmo già fatto bancarotta, visto che dalla metà del ’99 in poi il rapporto deficit-pil ha ri- preso a crescere, come pure il il debito ri- spetto al pil negli ultimi due anni. E ora che i tassi hanno ripreso a salire, ecco arri- vare il dato sul fabbisogno del primo bime- stre di quest’anno - 10 miliardi, più che rad- doppiato rispetto allo stesso periodo del 2005 - a dirci che la finanza pubblica andrà ancora peggio». [6] Ristagno? Declino? Trasformazione? E quali sono state le implicazioni dell’unione economica e monetaria europea? Da anni queste sono le domande che vengono poste quando si analizzano i temi e i problemi dell’industria manifatturiera italiana. Un lavoro dell’Istituto di studi e analisi econo- mica (Isae, centro di ricerca autonomo an- che se vigilato dal ministero dell’economia e delle finanze) mostra che dal 2000 al 2005 l’Italia è, con la Gran Bretagna, il paese la cui industria manifatturiera è stata inte- ressata dal cambiamento più intenso. Contrarian (rubrica del quotidiano finan- ziario “MF”): «Dunque, sotto il ristagno c’è la trasformazione strutturale. Non è, però, un cambiamento che fa convergere la no- stra struttura industriale con quella del re- sto d’Europa. Altri dati Isae evidenziano che dal 1995 (quando l’euro stava per esse- re varato) le strutture industriali europee hanno mostrato un processo di graduale di- vergenza reciproca». [8] Dal 2000 la divergenza è aumentata. Contrarian: «Per l’Italia, in particolare, la dif- ferenza del nostro apparato manifatturiero da quello dei partner si è accentuata, con il risultato che nel 2005 la nostra industria ap- pare la più diversa, in termini di mix setto- riale, rispetto a quanto si verifica nel resto d’Europa. Abbiamo perso punti special- mente nei rami ad alto contenuto tecnolo- gico, proprio quelli in cui il resto d’Europa è andato relativamente bene. Siamo andati particolarmente male nel made in Italy co- me il tessile, l’abbigliamento, il mobile. Spiegazioni? Un’analisi della Banca d’Italia si sofferma proprio sul made in Italy e pun- ta il dito sulle politiche di prezzo: con l’o- biettivo di non ridurre i margini unitari di profitto, le imprese italiane non hanno di- feso le proprie quote di mercato». [8] Le opportunità dell’euro sono state spreca- te. Galimberti e Paolazzi: «Uno spreco con due volti. Per l’economia reale, le grucce dei rimedi impropri che l’ingresso nell’eu- ro aveva tolto per sempre (svalutazione, in- flazione, spesa pubblica) non sono state so- stituite dalle cure appropriate: liberalizza- zioni vere, privatizzazioni vere, semplifica- zioni amministrative, difesa della concor- renza in tutti i cantucci più nascosti, taglio dei nodi gordiani che impediscono, con un groviglio di competenze (dunque di irre- sponsabilità) di attaccare il deficit infra- strutturale del Paese. Gli interventi hanno agito invece sui sintomi, con il sostegno dei redditi (riduzioni fiscali, aumenti di pen- sioni, stipendi pubblici). Si è commesso l’er- rore fondamentale di credere che i proble- mi fossero di carenza di domanda e non di mancanza dell’offerta. Le poche risorse di- sponibili dovevano essere rivolte a oliare la ristrutturazione di un apparato produttivo la cui specializzazione era inadeguata alle sfide di una concorrenza globalizzata». [5] La dimensione si sta rivelando un vincolo serio. Contrarian: «Specialmente in un con- testo in cui il marketing e la distribuzione commerciale diventano elemento cruciale (a volte anche più importante delle econo- mie di scala nel processo produttivo) nella competizione internazionale». [8] Pasquale Pistorio, vicepresidente di Confindustria: «Il 97,7% delle imprese ha meno di 50 di- pendenti, quasi il 90% meno di dieci. Per queste imprese è difficile andare all’estero. Bisogna mantenere l’agilità dei piccoli con la forza della dimensione di scala». [9] E la grande industria? Contrarian: «Invece di cogliere l’occasione delle privatizzazioni per ristrutturarsi (come avvenuto in Francia e Germania), la grande industria è corsa alla ricerca della rendita negli ex mo- nopoli pubblici. Ponendosi, con poche ec- cezioni, ai margini del vero cambiamento”. [8] L’innovazione ha due facce. Pistorio: «Una riguarda il prodotto e il processo pro- duttivo, l’altra i processi operativi delle im- prese. I punti principali si possono sintetiz- zare in quattro pilastri: primo, l’informatiz- zazione, che deve essere diffusa in tutti i settori dell’impresa; secondo, la filosofia IL FOGLIO quotidiano Ehi,italiano,ma così finisci male... del quality management: occorre il coinvol- gimento di tutto il management per la lotta agli sprechi, il miglioramento continuo, il focus sul cliente. Terzo, l’ambiente: se si ot- timizza un processo sostenibile si riduce l’impiego di energia e materie prime, con ri- sparmio di costi». [9] È più facile spiegare perché le cose sono andate male che indicare una ricetta per uscire dalla doppia crisi di crescita e di fi- nanza pubblica. Stefano Micossi: «La di- scussione sulla politica economica nella campagna elettorale è piuttosto scoraggian- te. I contendenti si inseguono nel promette- re agli elettori denaro che non hanno, evi- tando accuratamente di parlare dei proble- mi difficili: gli squilibri della finanza pub- blica, dove la spesa corrente è fuori con- trollo e il debito ha ripreso ad aumentare; la rigidità del mercato del lavoro, soprat- tutto nel settore pubblico; l’inefficienza dei grandi sistemi di pubblico servizio, giusti- zia, sanità, scuola e università; la mancanza di concorrenza». [10] Dice Confindustria: le imprese hanno capito e stanno reagendo. Pistorio: «Corrono. Purtroppo è il Paese a essere lento». Micossi: «Entrambi i poli ri- fiutano di riconoscere quello che è invece di macroscopica evidenza: che l’incapacità di crescere dell’economia italiana ha origi- ne nel miserevole stato delle istituzioni pubbliche, nelle colossali distorsioni deter- minate dal dilagare del settore pubblico nell’economia, nelle protezioni accordate a piene mani a una miriade di piccoli inte- ressi organizzati, senza curarsi degli effetti sulla crescita e l’occupazione. Insomma, la causa della stagnazione è nel settore pub- blico, nella presenza abnorme della politi- ca nell’economia; la debolezza del settore privato ne è solo lo specchio, la manifesta- zione degli effetti». [10] L’ultimo report di Global Insight prevede che quest’anno la crescita italiana non supererà l’1%. Giuseppe Turani: «E dall’1%, purtroppo, si fa presto a finire a zero (basta uno sciopero un po’ robusto o un qualunque altro acci- dente). Per il 2007 si annuncia una crescita italiana pari a appena l’1,2%. E nel 2008 si andrà più su di un soffio: 1,3%. Urge una svolta decisa». [11] La prospettiva migliore sarebbe che gli ita- liani (e le forze politiche che li rappresen- tano e competono per il loro voto) si spa- ventassero davvero. Deaglio: «E dessero al- l’economia un ordine di priorità rispetto a quello finora riservato nelle politiche e nei programmi. Nella rimeditazione dei pro- grammi economici occorrerebbe tener con- to di tre principi guida. Il primo è che l'Italia non uscirà dall’imbuto in cui si è cacciata con una “politica delle piccole co- se” e deve dire basta ai provvedimenti-aspi- rina; non bastano ritocchi fiscali e piccoli bonus, occorre pensare in grande. Il secon- do è che va ampliato l’orizzonte temporale dei programmi economici: non si può vive- re alla giornata, occorre immaginare come potrebbe essere questo Paese di qui a dieci o vent’anni e ragionare in quest’ottica tem- porale più lunga. Il terzo è che non si può fare una frittata, come dice un proverbio in- glese, senza rompere le uova mentre le for- ze politiche hanno la tentazione di presen- tare programmi che, forse in virtù di una bacchetta magica, accontentano tutti». [3] Alma Praser, di anni 64, pensionata, cie- ca, sola. Una vicina la aiuta nelle faccende e una domenica mattina, non sentendola da qualche giorno, va a vedere come sta. La trova morta in tinello, sdraiata per terra, la gola tagliata, una larga chiazza di sangue sul pavimento. Si accertò poi che le coltel- late erano state decine e decine. In casa non mancava niente, nessuno aveva forza- to la porta. Trieste, al numero 4 di via Pacenco, non lontano dall’Università. Domenica 29 gennaio. Luis Alberto Muniz Tomala, 44 anni, ecua- doriano, clandestino, barbone famoso col soprannome di “el gato”, per via degli oc- chi chiari e allungati, trovato stecchito in mezzo alla strada con una coltellata in mez- zo al cuore. Dopo qualche ora gli investiga- tori fermavano un Epifanio Lopez, 45 anni, spagnolo, barbone pure lui, che s’aggirava in zona Brignole con un coltello a serrama- nico in tasca. Esclusa la rapina, Muniz Tomala aveva ancora 15 euro nel portafo- glio e l’orologio al polso. Genova, presso l’e- dicola di corso Buenos Aires. Giovedì 16 febbraio. Alba. Severino Pont, 60 anni, ex operaio, ex guardia nel Parco del Gran Paradiso, rotto il vetro del magazzino, mise dentro il braccio e sparò al nipote Felice Cachoz, di 32 anni, che stava rigovernando. C’era una donna nel locale, ed era zia Anita. Severino sparò pure a lei. Tornò quindi all’agriturismo Edelweis, che era suo, e si sparò in fronte. Il nipote Felice è morto sul colpo, la zia Anita resterà viva. Franca Cachoz, sorella di Anita e moglie sua, se n’era andata da poco di casa con le due figlie. A Rhêmes- Saint-Georges (Aosta) non lontano dai sen- tieri percorsi da Benedetto XVI durante le vacanze estive. Giovedì 24 febbraio. Due del pomeriggio Domenico Minutiello, 32 anni, disoccupa- to, ha comprato da tre una giorni una Smith & Wesson, la tiene in mano e a un certo punto la pistola spara e due proiettili si in- filano nella fronte e nel petto di Massimiliano Sabatini, che gli stava di fronte. Vedendolo morto, Minutiello si pun- ta la canna alla tempia e fa fuoco, soppri- mendosi. I due proiettili che hanno ucciso Sabatini potrebbero essere stati esplosi per sbaglio. Chieti Scalo, sotto il porticato di via Ricciardi, altezza del civico 40. Lunedì 27 febbraio, poco prima delle 14. Suicidi Elena Maniero, di anni 29, figlia del boss del Brenta, Felice “Faccia d’angelo”, nella notte tra mercoledì 22 e giovedì 23 febbraio si ferì i polsi con un paio di forbicine, prese dei tranquillanti, si tagliò qualche ciocca di capelli, scrisse un biglietto al fidanzato («Quello che cercavi da me evidentemente lo hai trovato con un’altra»). Alla fine s’affacciò sul terrazzino della mansarda dove viveva e si buttò di sotto. Il padre è sceso a Pescara per riconoscerne il corpo ed è stato due ore a parlare col capo della Mobile, che fu già suo nemico. Piangeva. Gli raccontarono che Elena aveva litigato col suo ragazzo, ristoratore e figlio di un medico, al punto che dopo cena ognuno era andato a dormire a casa sua. Era già stata sposata con un campione di pallanuoto. Il padre le aveva da poco regalato una Porsche. Un paio di anni fa, temendo che qualche nemico del padre potesse farla fuori, aveva lasciato il Veneto per trasferirsi a Pescara e, cambiato il nome in Eva Marini, aveva sposato il pallanuotista Enrico Mammarella, ora nella formazione Artigli Circolo Nautico Salerno, serie A1. Avendo divorziato, frequentava un Lucio D.V., di anni 27, ristoratore, con cui divideva una mansarda in centro di Pescara. Giovedì 23 febbraio, in Pescara. Notte Mariam Tebrz Betaxio Mullunesh, suora etiope di 39 anni, così depressa da non frequentare più neppure il seminario per il quale a ottobre si era trasferita in Italia. Le sorelle del convento francescano, oppresse dalla sua tristezza, non cessavano di sorvegliarla. Maria, tuttavia, mercoledì trovò il modo di restar sola in cucina e di piantarsi in gola il coltello con cui di solito si tagliava la carne. Giugulare recisa, i soccorsi arrivarono che era già dissanguata. Roma, via Terni, quartiere San Giovanni, convento delle suore francescane Missionarie di Cristo. Pomeriggio. Didona Antonio, trentenne, militare dell’Aeronautica a Vigodarzere, Padova. Venerdì era in servizio ma non rispondeva alle telefonate della fidanzata, che preoccupata chiese al ragazzo di guardia d’andarlo a cercare. Lo trovarono morto nel suo alloggio, sulla porta il cartello «Non disturbare». ANNO XI NUMERO 55 - LUNEDÌ 6 MARZO 2006 DIRETTORE GIULIANO FERRARA IL FOGLIO 1 - IL FOGLIO + DVD-ROM (abbinamento facoltativo) 10,90 (1+9,90) Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1 Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO Delitti La figlia del boss Maniero si butta dalla finestra.La suora che riesce a rimaner sola e a tagliarsi la gola Oggi, omaggio a Mina, che lo scorso 10 gen- naio ha sposato a Lugano il cardiologo Eugenio Quaini, suo compagno da 25 anni. Come minu- scolo regalo di nozze, una scelte delle lettere che Mina cura su Vanity Fair. Vanity Fair, date varie Ho 19 anni e vivo con i miei genitori. Ho sem- pre condotto una vita tranquilla e felice. Fino a pochi giorni fa. La mia famiglia ha assunto un ra- gazzo polacco, poco più grande di me, per occu- parsi della casa. Un tipo simpatico e onesto, o al- meno questo credevo fino a quando non l'ho sor- preso mentre baciava mia niadre. È accaduto per caso: io tornavo a casa prima del solito e li ho vi- sti da dietro la porta della cucina. Loro non san- no che io so e io non voglio dirglielo. Ma non so che cosa fare. Mia madre ha 42 anni, un marito e due figli: vuole davvero lasciare tutto per questo ragazzino? Non si rende conto del torto che fa a mio padre? E io dovrei spifferare tutto? Elisa Probabilmente hai visto male. E anche se hai visto bene, hai visto male lo stesso. Cerca di convincerti che non è successo niente. Quindi non c'è niente da dire a nessuno. Dimentica. Non è compito tuo quello di inter- pretare una cosa che, magari, è già stata clas- sificata e cancellata. Ci sono troppe cose im- portanti in gioco e questo tua madre lo sa be- nissimo. Ti sei giustamente offesa quando ho parlato di tue presunte foto sadomaso su Playmen (ricordi? Hai risposto: «Saranno di tua nonna»). Chiedo venia: a volte la memoria inganna. In effetti non si trattava di Playmen, ma del mensile Io del feb- braio 1971. E, rivedendole oggi, mi rendo conto che le immagini non erano piccanti come le ri- cordavo, ma solo molto sexy (per l’epoca). Enrico ’43, Milano P.S. Se tu avessi l’età di mia nonna dovresti avere113 anni. E non i tuoi magnifici 65. Ma guarda che non mi sono offesa per nien- te. Sai che non riesco a ricordare? A che foto ti riferisci, dato che nella mia vita ne avrò fat- te alcuni milioni? A proposito di tua nonna. Pensa, io ho proprio la sua stessa età: 113 an- ni. Però ne dimostro “solo” sessantacinque. Cara Mina,, mi permetto di chiederle un pia- cere personale, se vorrà concedermelo. Confesso di non conoscere la sua musica, ma vorrei tentare di colmare questa mia lacuna. Mi citi tre dischi suoi e io li comprerò e li ascolterò. Così il mio (mo- destissimo) parere sulla sua persona sarà, se pos- sibile, ancora migliore. Se nelle sue canzoni c’è an- che solo un po’ della Mina che risponde sulla rivi- sta saranno sicuramente pezzi bellissimi. Aldo Macciani Sono veramente lusingata, caro Aldo, del tuo parere sulle mie modestissime risposte e ti ringrazio. Ecco qui i titoli di tre miei album, o cd, come si dice adesso, che sono andati ab- bastanza bene: Abbey Road, The Dark Side of the Moon e My Name Is Barbra. Cara Mina, secondo te Celentano è lento op- pure è rock? Paola Nicoletti Celentano è Celentano. Adriano non è com- primibile in una dicotomia un po’ fredda, un po’ strumentale, un po’ imprecisa, troppo ina- datta a definirlo. E poi è un fratello; non si toc- ca e basta. Mi capita, però, di avere un rifiuto convinto per slogan, tormentoni e luoghi co- muni. Riconosco, come aggravante a mio fa- stidio, il tentativo di trasformare un adagio o un proverbio o un jingle in principio filosofi- co. Odio la semplificazione dei problemi com- plessi. Odio i bigini della vita tanto quanto amo la vita vera. Odio la compressione delle categorie etiche ed estetiche in dualismi de- pravati. Ricordo ancora il raccapriccio pro- vato fin da piccola, a scuola, quando la divi- sione nelle aule separava maschi e femmine, buoni e cattivi, alti e bassi per l’assegnazione dei banchi in uno “schierantismo” ante litte- ram. Mi toccava sempre il posto peggiore per- ché femmina, alta e cattiva. Adesso che non vado più a scuola da alcuni secoli assisto alla stessa identica banalizzazione spalmata sul mondo che sembra non potere o non volere ri- conoscere chi non appartenga alla destra o al- la sinistra e neppure al Nord o al Sud. E tan- to meno all’Ovest o all’Est. Limone, fragoloni e uova ma che bella schifez- za. Non so se ti ricordi, ma parecchi anni fa hai dato in tv la ricetta di un dolce che ho provato a fare una marea di volte, ma che non mi è mai riu- scita. Ti ricordo gli ingredienti: poco limone, un chilo di fragole, anzi meglio fragoloni, 2 uova, fa- rina e niente lievito perché se no viene tutto “rot- to”. Pur avendo fatto la scuola alberghiera non sono mai riuscito a capire il procedimento. Me lo puoi ripetere? Così se riesco a farla ti aspetto a Venezia per un tè e una fetta di torta! Fabio Tanto per cambiare, non mi ricordo questo fatto, ma dagli ingredienti che mi descrivi de- ve venir fuori una bella schifezza. Quindi, per il nostro appuntamento a Venezia, sarà me- glio che la torta la inventi tu. MINA Amori Mina si è sposata.Antologia delle lettere con risposta che la nostra collega cura su Vanity Fair C redo di sapere perché è morto Nicola Calipari, un anno fa. Credo lo sappiano tutti, anche coloro che fanno finta di ignorar- lo. Calipari è stato ammazzato a un posto di blocco, in zona di guerra. Sono cose che suc- cedono anche in tempo di pace. Ma Calipari non era un passante distratto, che non si fer- ma all’alt, non era un contrabbandiere che fugge la perquisizione col bottino, non era un ragazzino imprudente che incappa in motori- no con una pattuglia inesperta o nervosa, era un servitore dello stato che riscattava, mo- rendo, la vita di una cittadina italiana rapita dagli aguzzini della “resistenza” irachena e liberata mediante un riscatto. Antonio Martino ha parlato di un’aura di tragedia che fa da sfondo a questa triste sto- ria. Non ha torto. La tragedia non sta nella casualità o fatalità degli eventi, ma nello scambio di una morte in servizio con una vi- ta salvata, nella profonda ingiustizia, e impe- netrabile, di uno scrupoloso funzionario che muore per mano amica, visto che Calipari è stato ammazzato ma nessuno voleva ammaz- zare Nicola Calipari. Gianni Letta non ha torto, nemmeno lui, quando si ribella all’idea del fato e chiede che sia accertata la verità, perché l’uomo è libero e responsabile, le istituzioni devono essere con- trollate e scrutinate severamente, la guerra provoca l’errore umano, e lo moltiplica, ma non lo autorizza. Però bisogna intendersi. Escluso il dolo, che soltanto in un delirio ideo- logico può essere evocato in questo caso, ed è stato sommariamente evocato, resta la colpa: una colpa o un concorso di colpa. Questo va ac- certato, questo si è cercato di accertare, e su questo molto probabilmente non si arriverà mai a una conclusione univoca. Per ragioni tra- gicamente ovvie: perché in guerra ciascuno tende a difendere i suoi, noi Calipari e gli ame- ricani la pattuglia dell’aereoporto di Baghdad. Anche in un banale incidente stradale ciascu- no tira l’acqua al suo mulino, ma in guerra di più, e con conseguenze più drammatiche. C’è poi una questione ulteriore. Il processo al potere è uno sport praticato con superficia- lità e rozzezza in Occidente. La cosa più facile è dire: vogliamo la verità, qualcuno nasconde la verità. A forza di denunciare il potere che uccide, che nasconde la verità perché gravato da interessi inconfessabili, abbiamo educato generazioni di italiani, di europei e di occi- dentali a una visione deformata, grottesca, del potere. Il Pentagono ha scoperto e sanzionato le torture di Abu Ghraib, ma tutti resteranno per sempre convinti che è vero il contrario, che l’esercito americano è stato preso in trap- pola dalla buona coscienza dei popoli e che ha una vocazione criminale. Il mito alimenta al- tri miti: i miti della stampa, il mito dei ribelli, la leggenda nera di una colpa radicale del- l’occidente per essere quel che è. Il potere mente come mentiamo tutti, spes- so per ragioni più onorevoli: di qua, nella so- cietà, per interessi particolari, di là, nel po- tere, per interessi generali. Non sempre è co- sì, ma prevalentemente è così. La finzione che il potere sia un elemento non necessario alla nostra vita non deve essere nutrita di ipocrisie. Noi del potere abbiamo bisogno. Noi siamo il potere, lo legittimiamo in ogni momento della nostra vita sociale, quando paghiamo le tasse, quando votiamo, quando evitiamo di imboccare una direzione vietata, quando chiediamo sicurezza. Letta è un uomo di potere come pochi, co- nosce il segreto, lo gestisce ogni giorno. Deve fare attenzione a non iscriversi anche lui nel- la lista dei semplicisti, dei cercatori di verità che fingono di ignorare la verità. E la verità è che Calipari è morto ammazzato da colpi che non erano diretti a lui, che dipendevano da un protocollo di guerra che qualcuno ha vio- lato, forse i marines di guardia sulla strada, forse i nostri. Ma non è una vittima della fe- rocia dell’Occidente, della ferinità del pote- re in divisa. Il suo eroismo non sta nell’esse- re stato ucciso per errore, ma nell’aver resti- tuito morendo la vita a una citta- dina italiana, per semplice scru- polo e dignità civile. Credo di sapere perché un anno fa è morto Nicola Calipari [1] Giorgio Ferrari, Avvenire 2/3/2006; [2] Aldo Carra, il manifesto 3/3/2006; [3] Mario Deaglio, La Stampa 2/3; [4] Bruno Perini, il manifesto 2/3; [5] Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi, Il Sole-24Ore 2/3; [6] Enrico Cisnetto, Il Messaggero 2/3; [7] Elena Polidori, la Repubblica 3/3; [8] MF 2/3; [9] Nicoletta Picchio, Il Sole-24 Ore 2/3; [10] Stefano Micossi, La Stampa 4/3; [11] Giuseppe Turani, la Repubblica 4/3. NOTE

description

ccc

Transcript of 055 LUN 06-03-06

  • La bancarotta non troppo lontana. Ultimi dati sul nostro declino e sulla voglia (persa) di far le cose di cui un tempo eravamo maestriUna bella dama, potenzialmente seducen-te ma terribilmente svogliata, incapacedi attrarre i pretendenti e troppo indulgen-te nei confronti dei propri vizi capitali.Giorgio Ferrari: la fotografia dellItaliacome risulta dallultima rilevazione Istat, laquale assegna una sostanziale crescita zeroper lanno 2005 (nel 2004 era stata di un mi-sero 1,1%) a fronte di un rapporto deficit-Pilche ha raggiunto il 4,1%. Loccupazione (sce-sa dello 0,4% con un vistoso calo del com-parto agricolo) rimane stabile, mentre cre-scono le esportazioni e diminuisce - se puredi pochissimo - la pressione tributaria. Inaltre parole quello 0,0 che funge da termo-metro della nostra crescita non cambiagranch il quadro di unItalia galleggiantesulle proprie rendite di posizione e pocopropensa a investire, a innovare, soprattut-to a rischiare. [1]

    Premesso che bisognerebbe cercare di mi-surare lo sviluppo non pi solo col pil, macon un set di indicatori che ci dicano anchese cresce il benessere sociale e se migliorao peggiora la qualit della vita delle perso-ne (Aldo Carra) [2], dai dati di contabilitnazionale emerge purtroppo il ritratto diuneconomia in coma, non solo ferma nellequantit, ma anche in probabile peggiora-mento nella qualit (Mario Deaglio). [3]Luciano Gallino, autore de LItalia in frantu-mi (Laterza): Il nostro apparato industriale messo male e quindi non cera da aspet-tarsi altro. Lindustria continua ad esserelasse portante della nostra economia. Moltiparlano di servizi ma dimenticano che nelnostro paese i servizi sono prevalentemen-te servizi alle imprese. inutile vendere il-lusioni, noi non siamo la Gran Bretagna, gi-gante dei servizi finanziari. Da noi anchelinformatica, la logistica e i trasporti sonolegati allandamento dellindustria. [4]

    Torri gemelle, scoppio della bolla aziona-ria, guerra in Iraq, euro troppo forte, concor-renza cinese: di chi la colpa della nostracrisi? Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi:La performance molto migliore di altriPaesi europei alle prese con gli stessi in-ciampi non concede facili alibi. Il severogiudizio confermato dallunica consola-zione di questi tempi: la ripresa che ha pre-so corpo nei mesi recenti soprattutto trai-nata dallestero, tanto che tutte le previsio-ni danno una crescita dellEurozo-na (e an-cor pi del resto del mondo) pi vivace chein Italia. [5] Deaglio: In molti altri Paesieuropei, a cominciare dalla Francia, si os-serva un certo risveglio della produzione in-dustriale mentre in Germania avvertibileun miglioramento del clima economico; ilcontrasto particolarmente stridente con icugini spagnoli, il cui ritmo di crescita simantiene vivacissimo. [3]

    Siamo nel pieno di un declino strutturale.Enrico Cisnetto: Se vero che questa legi-slatura ci ha consegnato una crescita di me-no della met della media europea, e lonta-na astralmente dallandamento dellecono-mia americana e di quella cinese (che, nona caso, ci ha superato nella classifica mon-diale), non era andata molto meglio nei cin-que anni precedenti, che pur avendo con-suntivato un +1,9% medio, ci hanno vistougualmente distanti dai vecchi e dai nuovicompetitor dellera della globalizzazione.

    [6] Tito Boeri: La Cina cresce, giusto?Dunque il made in Italy potrebbe esporta-re di pi verso questo paese. Invece subia-mo larrivo delle merci cinesi e basta. Altriex malati dEuropa come Francia eGermania no. I problemi della mancatacrescita italiana sono di tipo strutturale enessuno li ha rimossi. Tantomeno questogoverno. I servizi costano moltissimo alleimprese e non sono neppure di qualit. Poinon facciamo ricerca e dunque non creia-mo prodotti competitivi. Risulta che dei mi-gliori prodotti in diverse discipline segna-lati dalle universit italiane ad un panel diesperti stranieri, solo il 20-30% raggiungeleccellenza dei parametri internazionali. una desolazione. [7]

    Nel decennio della Seconda Repubblica,lItalia non stata caratterizzata solo da unacrescita mai cos bassa dal dopoguerra inpoi (la media dal 1996 al 2005 dell1,27%),ma anche da un ridotto incremento dellaproduttivit del lavoro, dalla perdita diquote rilevanti di commercio internaziona-le e da una sostanziale stabilit, con ten-denza al reincremento, dello stock del de-bito pubblico, una volta venuto meno lef-fetto benefico della riduzione internazio-nale dei tassi dinteresse. Cisnetto: Nel pe-riodo 1996-2000 lattivit produttiva cre-sciuta di 0,7 punti percentuali in meno ri-spetto alla media di Eurolandia, mentre inquello 2001-2005 cresciuta di mezzo pun-to in meno. Cos come lincremento dellaproduttivit del lavoro nei settori indu-striali soggetti alla concorrenza statodell1% nel primo quinquennio e pressochnullo nel secondo (a fronte del +4,3% e 1,9%francese, e del +3,2 e +2,6 tedesco). [6]

    La quota italiana del commercio interna-zionale scesa dal 4,6% al 3,5 e poi al 2,7.Cisnetto: Infine, i conti pubblici: senza icinque punti di pil di spesa per interessi inmeno - per i quali i nostri governi non pos-sono vantare alcun merito - non solo nonsaremmo entrati nelleuro, ma avremmogi fatto bancarotta, visto che dalla metdel 99 in poi il rapporto deficit-pil ha ri-preso a crescere, come pure il il debito ri-spetto al pil negli ultimi due anni. E orache i tassi hanno ripreso a salire, ecco arri-vare il dato sul fabbisogno del primo bime-stre di questanno - 10 miliardi, pi che rad-doppiato rispetto allo stesso periodo del2005 - a dirci che la finanza pubblica andrancora peggio. [6]

    Ristagno? Declino? Trasformazione? Equali sono state le implicazioni dellunioneeconomica e monetaria europea? Da anniqueste sono le domande che vengono postequando si analizzano i temi e i problemidellindustria manifatturiera italiana. Unlavoro dellIstituto di studi e analisi econo-mica (Isae, centro di ricerca autonomo an-che se vigilato dal ministero delleconomiae delle finanze) mostra che dal 2000 al 2005lItalia , con la Gran Bretagna, il paese lacui industria manifatturiera stata inte-ressata dal cambiamento pi intenso.Contrarian (rubrica del quotidiano finan-ziario MF): Dunque, sotto il ristagno cla trasformazione strutturale. Non , per,un cambiamento che fa convergere la no-stra struttura industriale con quella del re-sto dEuropa. Altri dati Isae evidenziano

    che dal 1995 (quando leuro stava per esse-re varato) le strutture industriali europeehanno mostrato un processo di graduale di-vergenza reciproca. [8]

    Dal 2000 la divergenza aumentata.Contrarian: Per lItalia, in particolare, la dif-ferenza del nostro apparato manifatturieroda quello dei partner si accentuata, con ilrisultato che nel 2005 la nostra industria ap-pare la pi diversa, in termini di mix setto-riale, rispetto a quanto si verifica nel restodEuropa. Abbiamo perso punti special-mente nei rami ad alto contenuto tecnolo-gico, proprio quelli in cui il resto dEuropa andato relativamente bene. Siamo andatiparticolarmente male nel made in Italy co-me il tessile, labbigliamento, il mobile.Spiegazioni? Unanalisi della Banca dItaliasi sofferma proprio sul made in Italy e pun-ta il dito sulle politiche di prezzo: con lo-biettivo di non ridurre i margini unitari diprofitto, le imprese italiane non hanno di-feso le proprie quote di mercato. [8]

    Le opportunit delleuro sono state spreca-te. Galimberti e Paolazzi: Uno spreco condue volti. Per leconomia reale, le gruccedei rimedi impropri che lingresso nelleu-ro aveva tolto per sempre (svalutazione, in-flazione, spesa pubblica) non sono state so-stituite dalle cure appropriate: liberalizza-zioni vere, privatizzazioni vere, semplifica-zioni amministrative, difesa della concor-renza in tutti i cantucci pi nascosti, tagliodei nodi gordiani che impediscono, con ungroviglio di competenze (dunque di irre-sponsabilit) di attaccare il deficit infra-strutturale del Paese. Gli interventi hannoagito invece sui sintomi, con il sostegno deiredditi (riduzioni fiscali, aumenti di pen-sioni, stipendi pubblici). Si commesso ler-rore fondamentale di credere che i proble-mi fossero di carenza di domanda e non dimancanza dellofferta. Le poche risorse di-sponibili dovevano essere rivolte a oliare laristrutturazione di un apparato produttivola cui specializzazione era inadeguata allesfide di una concorrenza globalizzata. [5]

    La dimensione si sta rivelando un vincoloserio. Contrarian: Specialmente in un con-testo in cui il marketing e la distribuzionecommerciale diventano elemento cruciale(a volte anche pi importante delle econo-mie di scala nel processo produttivo) nellacompetizione internazionale. [8] PasqualePistorio, vicepresidente di Confindustria:Il 97,7% delle imprese ha meno di 50 di-pendenti, quasi il 90% meno di dieci. Perqueste imprese difficile andare allestero.Bisogna mantenere lagilit dei piccoli conla forza della dimensione di scala. [9]

    E la grande industria? Contrarian: Invecedi cogliere loccasione delle privatizzazioniper ristrutturarsi (come avvenuto inFrancia e Germania), la grande industria corsa alla ricerca della rendita negli ex mo-nopoli pubblici. Ponendosi, con poche ec-cezioni, ai margini del vero cambiamento.[8] Linnovazione ha due facce. Pistorio:Una riguarda il prodotto e il processo pro-duttivo, laltra i processi operativi delle im-prese. I punti principali si possono sintetiz-zare in quattro pilastri: primo, linformatiz-zazione, che deve essere diffusa in tutti isettori dellimpresa; secondo, la filosofia

    IL FOGLIOquotidiano

    Ehi, italiano, ma cos finisci male...del quality management: occorre il coinvol-gimento di tutto il management per la lottaagli sprechi, il miglioramento continuo, ilfocus sul cliente. Terzo, lambiente: se si ot-timizza un processo sostenibile si riducelimpiego di energia e materie prime, con ri-sparmio di costi. [9]

    pi facile spiegare perch le cose sonoandate male che indicare una ricetta peruscire dalla doppia crisi di crescita e di fi-nanza pubblica. Stefano Micossi: La di-scussione sulla politica economica nellacampagna elettorale piuttosto scoraggian-te. I contendenti si inseguono nel promette-re agli elettori denaro che non hanno, evi-tando accuratamente di parlare dei proble-mi difficili: gli squilibri della finanza pub-blica, dove la spesa corrente fuori con-trollo e il debito ha ripreso ad aumentare;la rigidit del mercato del lavoro, soprat-tutto nel settore pubblico; linefficienza deigrandi sistemi di pubblico servizio, giusti-zia, sanit, scuola e universit; la mancanzadi concorrenza. [10] Dice Confindustria: leimprese hanno capito e stanno reagendo.Pistorio: Corrono. Purtroppo il Paese aessere lento. Micossi: Entrambi i poli ri-fiutano di riconoscere quello che invecedi macroscopica evidenza: che lincapacitdi crescere delleconomia italiana ha origi-ne nel miserevole stato delle istituzionipubbliche, nelle colossali distorsioni deter-minate dal dilagare del settore pubbliconelleconomia, nelle protezioni accordate apiene mani a una miriade di piccoli inte-ressi organizzati, senza curarsi degli effettisulla crescita e loccupazione. Insomma, lacausa della stagnazione nel settore pub-blico, nella presenza abnorme della politi-ca nelleconomia; la debolezza del settoreprivato ne solo lo specchio, la manifesta-zione degli effetti. [10] Lultimo report diGlobal Insight prevede che questanno lacrescita italiana non superer l1%.Giuseppe Turani: E dall1%, purtroppo, sifa presto a finire a zero (basta uno scioperoun po robusto o un qualunque altro acci-dente). Per il 2007 si annuncia una crescitaitaliana pari a appena l1,2%. E nel 2008 siandr pi su di un soffio: 1,3%. Urge unasvolta decisa. [11]

    La prospettiva migliore sarebbe che gli ita-liani (e le forze politiche che li rappresen-tano e competono per il loro voto) si spa-ventassero davvero. Deaglio: E dessero al-leconomia un ordine di priorit rispetto aquello finora riservato nelle politiche e neiprogrammi. Nella rimeditazione dei pro-grammi economici occorrerebbe tener con-to di tre principi guida. Il primo chel'Italia non uscir dallimbuto in cui si cacciata con una politica delle piccole co-se e deve dire basta ai provvedimenti-aspi-rina; non bastano ritocchi fiscali e piccolibonus, occorre pensare in grande. Il secon-do che va ampliato lorizzonte temporaledei programmi economici: non si pu vive-re alla giornata, occorre immaginare comepotrebbe essere questo Paese di qui a diecio ventanni e ragionare in questottica tem-porale pi lunga. Il terzo che non si pufare una frittata, come dice un proverbio in-glese, senza rompere le uova mentre le for-ze politiche hanno la tentazione di presen-tare programmi che, forse in virt di unabacchetta magica, accontentano tutti. [3]

    Alma Praser, di anni 64, pensionata, cie-ca, sola. Una vicina la aiuta nelle faccendee una domenica mattina, non sentendolada qualche giorno, va a vedere come sta. Latrova morta in tinello, sdraiata per terra, lagola tagliata, una larga chiazza di sanguesul pavimento. Si accert poi che le coltel-late erano state decine e decine. In casanon mancava niente, nessuno aveva forza-to la porta. Trieste, al numero 4 di viaPacenco, non lontano dallUniversit.Domenica 29 gennaio.

    Luis Alberto Muniz Tomala, 44 anni, ecua-doriano, clandestino, barbone famoso colsoprannome di el gato, per via degli oc-chi chiari e allungati, trovato stecchito inmezzo alla strada con una coltellata in mez-zo al cuore. Dopo qualche ora gli investiga-tori fermavano un Epifanio Lopez, 45 anni,spagnolo, barbone pure lui, che saggiravain zona Brignole con un coltello a serrama-nico in tasca. Esclusa la rapina, MunizTomala aveva ancora 15 euro nel portafo-glio e lorologio al polso. Genova, presso le-dicola di corso Buenos Aires. Gioved 16febbraio. Alba.

    Severino Pont, 60 anni, ex operaio, exguardia nel Parco del Gran Paradiso, rotto ilvetro del magazzino, mise dentro il braccioe spar al nipote Felice Cachoz, di 32 anni,che stava rigovernando. Cera una donnanel locale, ed era zia Anita. Severino sparpure a lei. Torn quindi allagriturismoEdelweis, che era suo, e si spar in fronte.Il nipote Felice morto sul colpo, la ziaAnita rester viva. Franca Cachoz, sorelladi Anita e moglie sua, se nera andata dapoco di casa con le due figlie. A Rhmes-Saint-Georges (Aosta) non lontano dai sen-tieri percorsi da Benedetto XVI durante levacanze estive. Gioved 24 febbraio. Duedel pomeriggio

    Domenico Minutiello, 32 anni, disoccupa-to, ha comprato da tre una giorni una Smith& Wesson, la tiene in mano e a un certopunto la pistola spara e due proiettili si in-filano nella fronte e nel petto diMassimiliano Sabatini, che gli stava difronte. Vedendolo morto, Minutiello si pun-ta la canna alla tempia e fa fuoco, soppri-mendosi. I due proiettili che hanno uccisoSabatini potrebbero essere stati esplosiper sbaglio. Chieti Scalo, sotto il porticatodi via Ricciardi, altezza del civico 40.Luned 27 febbraio, poco prima delle 14.

    SuicidiElena Maniero, di anni 29, figlia del boss

    del Brenta, Felice Faccia dangelo, nellanotte tra mercoled 22 e gioved 23febbraio si fer i polsi con un paio diforbicine, prese dei tranquillanti, si tagliqualche ciocca di capelli, scrisse unbiglietto al fidanzato (Quello che cercavida me evidentemente lo hai trovato conunaltra). Alla fine saffacci sulterrazzino della mansarda dove viveva e sibutt di sotto. Il padre sceso a Pescaraper riconoscerne il corpo ed stato dueore a parlare col capo della Mobile, che fugi suo nemico. Piangeva. Gliraccontarono che Elena aveva litigato colsuo ragazzo, ristoratore e figlio di unmedico, al punto che dopo cena ognunoera andato a dormire a casa sua. Era gistata sposata con un campione dipallanuoto. Il padre le aveva da pocoregalato una Porsche. Un paio di anni fa,temendo che qualche nemico del padrepotesse farla fuori, aveva lasciato ilVeneto per trasferirsi a Pescara e,cambiato il nome in Eva Marini, avevasposato il pallanuotista EnricoMammarella, ora nella formazione ArtigliCircolo Nautico Salerno, serie A1. Avendodivorziato, frequentava un Lucio D.V., dianni 27, ristoratore, con cui divideva unamansarda in centro di Pescara. Gioved 23febbraio, in Pescara. Notte

    Mariam Tebrz Betaxio Mullunesh, suoraetiope di 39 anni, cos depressa da nonfrequentare pi neppure il seminario peril quale a ottobre si era trasferita in Italia.Le sorelle del convento francescano,oppresse dalla sua tristezza, noncessavano di sorvegliarla. Maria, tuttavia,mercoled trov il modo di restar sola incucina e di piantarsi in gola il coltello concui di solito si tagliava la carne. Giugularerecisa, i soccorsi arrivarono che era gidissanguata. Roma, via Terni, quartiereSan Giovanni, convento delle suorefrancescane Missionarie di Cristo.Pomeriggio.

    Didona Antonio, trentenne, militaredellAeronautica a Vigodarzere, Padova.Venerd era in servizio ma non rispondevaalle telefonate della fidanzata, chepreoccupata chiese al ragazzo di guardiadandarlo a cercare. Lo trovarono mortonel suo alloggio, sulla porta il cartelloNon disturbare.

    ANNO XI NUMERO 55 - LUNED 6 MARZO 2006 DIRETTORE GIULIANO FERRARA IL FOGLIO 1 - IL FOGLIO + DVD-ROM (abbinamento facoltativo) 10,90 (1+9,90)

    Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1 Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO

    Delitti

    La figlia del boss Maniero si butta dallafinestra. La suora che riesce a rimaner

    sola e a tagliarsi la gola

    Oggi, omaggio a Mina, che lo scorso 10 gen-naio ha sposato a Lugano il cardiologo EugenioQuaini, suo compagno da 25 anni. Come minu-scolo regalo di nozze, una scelte delle lettere che

    Mina cura su Vanity Fair.

    Vanity Fair, date varieHo 19 anni e vivo con i miei genitori. Ho sem-

    pre condotto una vita tranquilla e felice. Fino apochi giorni fa. La mia famiglia ha assunto un ra-gazzo polacco, poco pi grande di me, per occu-parsi della casa. Un tipo simpatico e onesto, o al-meno questo credevo fino a quando non l'ho sor-preso mentre baciava mia niadre. accaduto percaso: io tornavo a casa prima del solito e li ho vi-sti da dietro la porta della cucina. Loro non san-no che io so e io non voglio dirglielo. Ma non soche cosa fare. Mia madre ha 42 anni, un marito edue figli: vuole davvero lasciare tutto per questoragazzino? Non si rende conto del torto che fa amio padre? E io dovrei spifferare tutto?

    Elisa

    Probabilmente hai visto male. E anche sehai visto bene, hai visto male lo stesso. Cercadi convincerti che non successo niente.Quindi non c' niente da dire a nessuno.Dimentica. Non compito tuo quello di inter-pretare una cosa che, magari, gi stata clas-sificata e cancellata. Ci sono troppe cose im-portanti in gioco e questo tua madre lo sa be-nissimo.

    Ti sei giustamente offesa quando ho parlato ditue presunte foto sadomaso su Playmen (ricordi?Hai risposto: Saranno di tua nonna). Chiedovenia: a volte la memoria inganna. In effetti nonsi trattava di Playmen, ma del mensile Io del feb-braio 1971. E, rivedendole oggi, mi rendo contoche le immagini non erano piccanti come le ri-cordavo, ma solo molto sexy (per lepoca).

    Enrico 43, MilanoP.S. Se tu avessi let di mia nonna dovresti

    avere113 anni. E non i tuoi magnifici 65.

    Ma guarda che non mi sono offesa per nien-te. Sai che non riesco a ricordare? A che fototi riferisci, dato che nella mia vita ne avr fat-te alcuni milioni? A proposito di tua nonna.Pensa, io ho proprio la sua stessa et: 113 an-ni. Per ne dimostro solo sessantacinque.

    Cara Mina,, mi permetto di chiederle un pia-cere personale, se vorr concedermelo. Confesso dinon conoscere la sua musica, ma vorrei tentaredi colmare questa mia lacuna. Mi citi tre dischisuoi e io li comprer e li ascolter. Cos il mio (mo-destissimo) parere sulla sua persona sar, se pos-sibile, ancora migliore. Se nelle sue canzoni c an-che solo un po della Mina che risponde sulla rivi-sta saranno sicuramente pezzi bellissimi.

    Aldo Macciani

    Sono veramente lusingata, caro Aldo, deltuo parere sulle mie modestissime risposte eti ringrazio. Ecco qui i titoli di tre miei album,o cd, come si dice adesso, che sono andati ab-bastanza bene: Abbey Road, The Dark Side ofthe Moon e My Name Is Barbra.

    Cara Mina, secondo te Celentano lento op-pure rock?

    Paola Nicoletti

    Celentano Celentano. Adriano non com-primibile in una dicotomia un po fredda, unpo strumentale, un po imprecisa, troppo ina-datta a definirlo. E poi un fratello; non si toc-ca e basta. Mi capita, per, di avere un rifiutoconvinto per slogan, tormentoni e luoghi co-muni. Riconosco, come aggravante a mio fa-stidio, il tentativo di trasformare un adagio oun proverbio o un jingle in principio filosofi-co. Odio la semplificazione dei problemi com-plessi. Odio i bigini della vita tanto quantoamo la vita vera. Odio la compressione dellecategorie etiche ed estetiche in dualismi de-pravati. Ricordo ancora il raccapriccio pro-vato fin da piccola, a scuola, quando la divi-sione nelle aule separava maschi e femmine,buoni e cattivi, alti e bassi per lassegnazionedei banchi in uno schierantismo ante litte-ram. Mi toccava sempre il posto peggiore per-ch femmina, alta e cattiva. Adesso che nonvado pi a scuola da alcuni secoli assisto allastessa identica banalizzazione spalmata sulmondo che sembra non potere o non volere ri-conoscere chi non appartenga alla destra o al-la sinistra e neppure al Nord o al Sud. E tan-to meno allOvest o allEst.

    Limone, fragoloni e uova ma che bella schifez-za. Non so se ti ricordi, ma parecchi anni fa haidato in tv la ricetta di un dolce che ho provato afare una marea di volte, ma che non mi mai riu-scita. Ti ricordo gli ingredienti: poco limone, unchilo di fragole, anzi meglio fragoloni, 2 uova, fa-rina e niente lievito perch se no viene tutto rot-to. Pur avendo fatto la scuola alberghiera nonsono mai riuscito a capire il procedimento. Me lopuoi ripetere? Cos se riesco a farla ti aspetto aVenezia per un t e una fetta di torta!

    Fabio

    Tanto per cambiare, non mi ricordo questofatto, ma dagli ingredienti che mi descrivi de-ve venir fuori una bella schifezza. Quindi, peril nostro appuntamento a Venezia, sar me-glio che la torta la inventi tu.

    MINA

    Amori

    Mina si sposata. Antologia dellelettere con risposta che la nostra

    collega cura su Vanity Fair

    Credo di sapere perch morto NicolaCalipari, un anno fa. Credo lo sappianotutti, anche coloro che fanno finta di ignorar-lo. Calipari stato ammazzato a un posto diblocco, in zona di guerra. Sono cose che suc-cedono anche in tempo di pace. Ma Caliparinon era un passante distratto, che non si fer-ma allalt, non era un contrabbandiere chefugge la perquisizione col bottino, non era unragazzino imprudente che incappa in motori-no con una pattuglia inesperta o nervosa, eraun servitore dello stato che riscattava, mo-rendo, la vita di una cittadina italiana rapitadagli aguzzini della resistenza irachena eliberata mediante un riscatto.

    Antonio Martino ha parlato di unaura ditragedia che fa da sfondo a questa triste sto-ria. Non ha torto. La tragedia non sta nellacasualit o fatalit degli eventi, ma nelloscambio di una morte in servizio con una vi-ta salvata, nella profonda ingiustizia, e impe-netrabile, di uno scrupoloso funzionario chemuore per mano amica, visto che Calipari

    stato ammazzato ma nessuno voleva ammaz-zare Nicola Calipari.

    Gianni Letta non ha torto, nemmeno lui,quando si ribella allidea del fato e chiede chesia accertata la verit, perch luomo libero eresponsabile, le istituzioni devono essere con-trollate e scrutinate severamente, la guerraprovoca lerrore umano, e lo moltiplica, manon lo autorizza. Per bisogna intendersi.Escluso il dolo, che soltanto in un delirio ideo-logico pu essere evocato in questo caso, ed stato sommariamente evocato, resta la colpa:una colpa o un concorso di colpa. Questo va ac-certato, questo si cercato di accertare, e suquesto molto probabilmente non si arrivermai a una conclusione univoca. Per ragioni tra-gicamente ovvie: perch in guerra ciascunotende a difendere i suoi, noi Calipari e gli ame-ricani la pattuglia dellaereoporto di Baghdad.Anche in un banale incidente stradale ciascu-no tira lacqua al suo mulino, ma in guerra dipi, e con conseguenze pi drammatiche.

    C poi una questione ulteriore. Il processo

    al potere uno sport praticato con superficia-lit e rozzezza in Occidente. La cosa pi facile dire: vogliamo la verit, qualcuno nascondela verit. A forza di denunciare il potere cheuccide, che nasconde la verit perch gravatoda interessi inconfessabili, abbiamo educatogenerazioni di italiani, di europei e di occi-dentali a una visione deformata, grottesca, delpotere. Il Pentagono ha scoperto e sanzionatole torture di Abu Ghraib, ma tutti resterannoper sempre convinti che vero il contrario,che lesercito americano stato preso in trap-pola dalla buona coscienza dei popoli e che hauna vocazione criminale. Il mito alimenta al-tri miti: i miti della stampa, il mito dei ribelli,la leggenda nera di una colpa radicale del-loccidente per essere quel che .

    Il potere mente come mentiamo tutti, spes-so per ragioni pi onorevoli: di qua, nella so-ciet, per interessi particolari, di l, nel po-tere, per interessi generali. Non sempre co-s, ma prevalentemente cos. La finzioneche il potere sia un elemento non necessario

    alla nostra vita non deve essere nutrita diipocrisie. Noi del potere abbiamo bisogno.Noi siamo il potere, lo legittimiamo in ognimomento della nostra vita sociale, quandopaghiamo le tasse, quando votiamo, quandoevitiamo di imboccare una direzione vietata,quando chiediamo sicurezza.

    Letta un uomo di potere come pochi, co-nosce il segreto, lo gestisce ogni giorno. Devefare attenzione a non iscriversi anche lui nel-la lista dei semplicisti, dei cercatori di veritche fingono di ignorare la verit. E la verit che Calipari morto ammazzato da colpi chenon erano diretti a lui, che dipendevano daun protocollo di guerra che qualcuno ha vio-lato, forse i marines di guardia sulla strada,forse i nostri. Ma non una vittima della fe-rocia dellOccidente, della ferinit del pote-re in divisa. Il suo eroismo non sta nellesse-re stato ucciso per errore, ma nellaver resti-tuito morendo la vita a una citta-dina italiana, per semplice scru-polo e dignit civile.

    Credo di sapere perch un anno fa morto Nicola Calipari

    [1] Giorgio Ferrari, Avvenire 2/3/2006; [2]Aldo Carra, il manifesto 3/3/2006; [3] MarioDeaglio, La Stampa 2/3; [4] Bruno Perini, ilmanifesto 2/3; [5] Fabrizio Galimberti e LucaPaolazzi, Il Sole-24Ore 2/3; [6] Enrico Cisnetto,Il Messaggero 2/3; [7] Elena Polidori, laRepubblica 3/3; [8] MF 2/3; [9] NicolettaPicchio, Il Sole-24 Ore 2/3; [10] StefanoMicossi, La Stampa 4/3; [11] Giuseppe Turani,la Repubblica 4/3.

    NOTE

  • ANNO XI NUMERO 55 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO LUNED 6 MARZO 2006

    La Stampa, venerd 3 marzo

    Aforza di dire che leconomia lessenza stessadellunit europea, che la ragione per cui seipaesi decisero nel 1951 di costruirla, e che ancor og-gi la sua pi vera se non unica finalit, si finisce colnon capire del tutto quel che sta gravemente dan-neggiando lo stare insieme degli stati europei. Ildanno particolarmente visibile in questi giorni, aseguito del muro che il governo francese ha innalza-to contro lintenzione dellEnel di prender possessodella compagnia elettrica Suez, ma sono ormai anniche lUnione minaccia di disfarsi. I suoi ultimi mo-menti di eccellenza sono stati la creazione delleuronel 1999 e il progetto di costituzione approvato daigoverni il 29 ottobre 2004, su proposta di una Con-venzione democraticamente rappresentativa. Ma lacostituzione in alto mare dopo il referendum chelha bocciata in Francia e Olanda, e leuro la mo-neta unica di unEuropa che si sta disunendo.

    La vicenda Enel-Suez-Gaz de France una dellemolte gocce che da anni scavano la roccia di cui fat-to ledificio europeo, e che hanno finito col renderlafriabile, pericolante. Sembra una vicenda tutta eco-nomica (uno scontro fra spiriti animali capitalistici eistinti nazionalisti, scrive John Plender sul FinancialTimes) ma la sua natura pi profonda politica, e po-litica la disputa che essa sta suscitando.

    Ci si domanda se lEuropa sia ancora una priorit,per i politici dellUnione e in particolare per i paesifondatori che ultimamente hanno fatto molto persciuparla. Ci si domanda se surrettiziamente non stiascatenandosi una specie di guerra nella casa euro-pea, che vede oggi contrapporsi Italia e Francia mache pu divenire guerra generalizzata. Il linguaggiomilitaresco diffusissimo, nei commenti di giornalie politici. Proprio perch cos diffuso vale la penarimettere ordine nelle parole, e ricordare quel chein origine convinse gli europei a unirsi e condivide-re parte delle rispettive sovranit.

    Come Heidegger dice che lessenza della tecnicanon qualcosa di tecnico, cos lessenza del Merca-to Comune non era il mercato, nel dopoguerra. LU-nione nacque non per creare un mercato, ma si pro-pose di creare un mercato per metter fine a uno sta-to di guerra che durava da secoli. Economia libera-le e mercato integrato sono mezzi per un fine strate-gico-politico, e non a caso la mossa iniziale fu quel-la di mettere in comune carbone e acciaio: due set-tori strategici, come strategici sono oggi elettricit egas. La finalit dellUnione la pace duratura tra eu-ropei, superamento politico dei nazionalismi. Non lo spirito animale del mercato.

    Quando le cose vanno male in economia dallapolitica che conviene dunque ripartire, visto checon la politica si cominci. Non stupisce che il pri-mo decisivo progresso che gli europei volevano com-piere negli anni Cinquanta, subito dopo la Comunitdel carbone e dellacciaio, fu unEuropa della difesa(la Ced, Comunit europea di difesa). Quel che ven-ne poi (trattati di Roma, Comunit economica,Comunit dellenergia atomica) furono espe-dienti per far fronte al fallimento - causatoancora una volta da Parigi, nel 54 - dellaDifesa comune. Gli espedienti furonograndiosi, ma espedienti rimanevano.

    il motivo per cui il ministro Tre-monti ha un modo di vedere profe-tico, quando descrive il comporta-mento francese con parole non so-lo dure ma volutamente politiche.Quando dice che si rischia una de-riva da agosto 1914: nessuno a queltempo voleva il conflitto ma poi allafine il conflitto ci fu, fa capire che gli stati europeisenza neppure accorgersene rischiano di fare mol-to pi che un errore economico. Rischiano di risve-gliare spettri che distruggono lUnione e la sua ori-ginaria, pi autentica finalit.

    La Francia ha avuto forse le sue ragioni, per di-fendersi dalloffensiva italiana. Secondo moltiesperti ha profittato delloccasione per privatizza-re di fatto Gaz de France, anche se per questa vialo Stato accresce la propria presenza in Suez, ancorieri privata. La Francia un paese immobilizzatodallo statalismo, da potenti forze corporative che ri-tardano la liberalizzazione della sua economia, eha usato lItalia per aggirare ostacoli interni chenon osava aggirare in altro modo. Ma pur sempreda Parigi che parte laggressione contro un merca-to europeo dellenergia. pur sempre Parigi cheeleva muri che impediscono il farsi dellEuropa,non da oggi ma da anni. Questinchiesta sullEuro-pa comincia da qui, dal vero paese malato dellU-nione. Perch non con lInghilterra che si troverunuscita politica dalla crisi, per il semplice fattoche i dirigenti britannici non la vogliono, n a de-stra n a sinistra. Se rinascer, lEuropa sar rifat-ta mantenendo viva la memoria storica e non di-menticando quali sono i paesi che lunione lhannopensata, voluta, costruita in cinquantanni. Tra que-sti paesi, la Francia resta cruciale.

    Un misto di smemoratezza e non conoscenza spin-ge parecchi commentatori, in questi giorni, a criti-care leuropeismo di chi punta ancora su Parigi, e

    non su Londra che dellEuropa avrebbe una visionediversa, pi dinamica, fondata su un grande liberomercato. Lidea che esista unEuropa alternativa aquella attuale basata in realt su un equivoco: daquando esiste lUnione, i responsabili inglesi nonhanno mancato di far capire che lEuropa politicanon la volevano e che avrebbero cercato di disfarlasemmai si fosse fatta. Blair ha dimostrato che il ri-sveglio dellUnione era per lui completamente se-condario, nei mesi della presidenza inglese. Ha par-lato molto bene di un modello sociale europeo menocompiaciuto dei propri insuccessi, ma parallela-mente ha distrutto un po pi lUnione (trasforman-do la pausa di meditazione concordata dopo i noreferendari in pausa abissalmente vuota; negozian-do sul bilancio europeo alla stregua di un meschinomercante egoista). Se ne sono accordi gli europeiorientali, delusi da quello che sembrava un alleatointelligente, solidale. Se n accorta Angela Merkel,che ha finito col prendere le cose in mano e risolve-re un litigio divorato dai nazionalismi.

    Tanto pi importante che le classi dirigenti fran-cesi guariscano dei propri mali, e tornino a lavorareper lEuropa: un lavoro tra laltro che ha dato a Pa-rigi ben pi prestigio e grandezza, in passato, diquando gliene dia oggi la chiusura nazionalista. Imali sono vasti infatti, affliggono destra e sinistra,hanno aspetti sia economici e interni sia europei: ilmuro innalzato per fermare lEnel fatto di ingre-dienti che contraddistinguono non solo le pratichefrancesi in economia, ma il suo modo di essere inEuropa e di minacciarla a intervalli regolari. Gli in-gredienti sono la tendenza nazionalista, la tentazio-ne del protezionismo, il ruolo preponderante delloStato nelleconomia e la retorica molto ampollosa,piena di s, con cui tale ruolo sempre di nuovo sot-tolineato e pubblicamente esibito.

    A queste tentazioni la Francia cede con una spen-sieratezza che non ha eguali in Europa: senza com-plessi, senza senso del limite e del ridicolo, senzamemoria dei guai che nazionalismi e protezionismihanno causato nel continente. Lampollosit partedi questa impressionante spensieratezza: Parigi sipermette quel che generalmente non fa parte del ga-lateo dellUnione, e che lei stessa rifiuta quando so-no gli altri a permetterselo. Che a questo comporta-mento si reagisca con asprezza non male: la Fran-cia deve sapere che non pu continuare a svolgere ilruolo, in Europa, del paese che detta le regole a tut-ti ma senza assoggettarvisi.

    Bisogna infatti vedere perch si arrivati a que-sto punto, di militarizzazione verbale delle dispute.Alcune conversazioni che abbiamo avuto in Euro-pa ci hanno convinti di una cosa: i partner dellaFrancia sono stanchi di vedere Parigi rompere condisinvoltura quasi infantile un giocattolo dopo lal-tro, senza quasi rendersi conto di quello che sta fa-cendo. Sono stanchi soprattutto nei paesi fondatori(Germania e Italia) perch lInghilterra non puche rallegrarsi di queste continue lesioni. A forzadi strappi e muri, lEuropa si allontaner da quel-lunione politica che i fondatori dicono di voleresenza farla, e che Londra - pi coerentemente - nonvuole e non fa .

    il motivo per cui il comportamento parigino fapi danni di un analogo comportamento britannico.Quel che si costruito nellUnione, fin dagli esordi, stato edificato grazie alla Francia, e non solo perimbrigliare la Germania ma per edificare con essauna comunit destinata a diversificare i poteri trop-po assoluti dello stato nazione. Dalla Francia dun-que vengono i principali progressi dellEuropa, com-presi i progressi sulla via della sovranazionalit. Maanche le regressioni e gli stalli son venuti da Parigi,perch la Francia resta nazionalista: non a caso ilpaese pi affezionato al diritto di veto nelle decisio-ni europee. E la permanenza del veto (cio lobbligodi unanimit anche quando c disaccordo) quelche impedisce allEuropa di camminare e divenirepotenza.

    Negli ultimi anni, i governi francesi hanno mo-

    strato, di questi suoi due volti, quello pi regressi-vo, nazionalista e supponente. un arretramentoemerso con la caduta del muro di Berlino e lallar-gamento, quando la verit venuta alla luce: laFrancia non era pi lunico e preminente centro po-litico dEuropa. Cos diventata non la locomotivadel farsi europeo ma la forza di inibizione. Il suo pe-so politico sempre assai forte, ma proprio per que-sto le conseguenze sono temibili. In Germania mi di-cono che ogni regressione francese ha effetti nefastisugli stati membri vecchi e nuovi, disabituandoli al-la disciplina europea e sbrigliando gli impulsi na-zionalisti. Karl Lamers, gi consigliere di Kohl, te-me il decadere dei tab che a partire dalla secondamet del Novecento son serviti a incivilire lagireeuropeo. Se a cominciare loffensiva la Francia,tutti si sentiranno abilitati a rinazionalizzare le lo-ro politiche. Anche nel mercato comune energeticosar cos. Se Madrid aveva qualche remora ad ac-cettare il controllo della compagnia tedesca E.onsul gruppo Endesa, ora si sentir attratta da malcongegnate soluzioni nazionali. Una fonte mi dice inGermania: come per il referendum sulla costitu-zione. Il no francese ha dato le ali a tutti i no che cir-colano nellUnione.

    Gli elettori sono diventati essenziali, ogni politicopensa pi a loro che allEuropa, ha detto il ministrodegli Esteri Fini. In Italia si arriva a rivalutare la re-gressive e falsamente patriottiche visioni di FaziosullItalianit. Berlusconi accusa addirittura i magi-strati di aver sventato le truffe di Fiorani, conse-gnando in tal modo una banca italiana allo stranie-ro. La Francia malata, non ha spazio dentro di sper vedere laltro. Ma ci sono malati che hanno piforza dei sani, e lEuropa intera contagiata da que-sta forza strana e ingannevole.

    Pi volte ho chiesto ai miei interlocutori in Fran-cia come mai questa sfilza di errori isolazionisti, ne-gli ultimi anni. Come mai son cos flebili le voci nonortodosse (sulla vicenda Enel i critici europeisti sonrari: tra essi il socialista Strauss-Kahn, il centristaBayrou, leconomista Fitoussi, il quotidiano Le Mon-de). Ho trovato smarrimento, ho constatato lassen-za di proposte, ma il cruccio di fronte a una lista co-s lunga di passi falsi grande. Rievochiamola bre-vemente.

    C stata in primo luogo la decisione di ignorare ivincoli del Patto di stabilit, in accordo col tedescoSchrder. Era un insieme di regole volute proprio daParigi e Berlino, ma i due stati hanno deciso che peressi non valevano: era il 25 novembre 2003, e leffet-to di quel tradimento perdura ancor oggi. Poi ve-nuta la decisione di indire un referendum sulla co-stituzione europea, sfociata nel No del 29 maggioscorso. Una decisione assurda, un controsenso de-mocratico che solo per finta rispettava gli elettori.

    Perch si poteva prevedere ildisastro, dopo il referen-dum su Maastricht cheMitterrand vinse di poconel 92. Perch il refe-rendum del 2005 non haavuto luogo simultanea-mente nei 25 paesi, co-me sarebbe stato onesto

    e democratico fare. Il no francese ha avuto ef-

    fetti sullOlanda, e ha con-tribuito alleurofobia che sta

    agitando lEuropa orientale. Si consentito a un solo paese di rovina-

    re tutto, e quel paese ancor oggi sem-bra non rendersene conto. Non sono solo i

    No a essere indifferenti. Anche i S sono l tutti mor-tificati, taciturni, e sovranamente disinteressati. Mi capitato di interrogare un noto esponente del S,nelle settimane scorse. Ha rifiutato di parlare dellacrisi europea perch laffare ormai molto, moltolontano dai miei interessi.

    Poi c stata lirresponsabilit di un politico euro-peista come Fabius, che cambiando casacca ha la-cerato la sinistra e fatto vincere il No. E non tutto:nella serie di prevaricazioni francesi ci sono state leoffese di Chirac ai paesi europei orientali, duranteil negoziato dadesione e prima della guerra dellI-raq. Avete perso loccasione di stare zitti, tuon ilPresidente, ingigantendo le loro diffidenze antieu-ropee. La posizione sullIraq stata decisa conSchrder senza alcuna consultazione con gli altri eu-ropei. Anche questo fu fatto per far brillare Parigi,non lEuropa.

    Tutte queste condotte sono avvolte ogni volta daretorica europeista. straordinaria lipocrisia del-la Francia, mi dice Pierre Lellouche, studioso distrategia e deputato gollista, si mescola leuropei-smo con lillusione del fare da s, il modernismoverbale con il pi arcigno conservatorismo econo-mico. Invariabilmente, gli atteggiamenti francesisono impregnati di una gioiosa arroganza, che haradici nel gollismo e nelle politiche della sedia vuo-ta. Anche oggi di fatto c una sedia vuota, solo vir-tualmente occupata da una Francia caoticamentesenza idee.

    Barbara Spinelli

    il Giornale, gioved 2 marzo

    Chi paga lo Stato sociale? Chi ne trae benefici echi ci rimette. Illusioni e inganni delleconomia.Il problema cruciale che i governi danno troppo atroppe persone e non a chi ne ha realmente bisogno.

    Nel Novecento, in molti Paesi europei, Italia in te-sta, si venuto creando un circolo vizioso tra ecces-si del fisco (tasse), spesa pubblica e alcune tendenzedi tipo storico-politico che occorre conoscere perchsono determinanti nella forma che hanno assunto inostri regimi democratici.

    Alla radice delle troppe tasse c unesagerazionenella spesa pubblica, cio nella spesa a opera delloStato. Questa spesa ha avuto unaccelerazione nelNovecento ma almeno dal Cinquecento che tendea dilatarsi. La spesa pubblica, fatta con i soldi pub-blici, quelli versati allo Stato dai cittadini ammini-strati dal medesimo, e divenuta, via via, un ottimo ge-

    neratore di consenso politico. In una situazione do-ve c mano libera sulla spesa pubblica naturaleche ci che non viene concesso dal governante di tur-no sar poi concesso da quello successivo. Ma qui siannida la prima illusione, il primo imbroglio: i soldiche lo Stato d sono gli stessi che lo Stato ha tolto. patologica lapparente, e solo apparente, gratuit deivari servizi offerti. Li fornisce attraverso il welfarestate o attraverso aiuti alle imprese. Li ha tolti a tut-ti, non solo ai pi ricchi, attraverso unimposizionefiscale che ormai arriva vicino alla met della ric-chezza prodotta dal Paese. Quando la tassazione rag-giunge livelli alti, come nel caso dei Paesi europei, ilprelievo deve essere per forza generalizzato, altri-menti troncherebbe letteralmente gruppi di cittadi-ni appartenenti allunica o alle poche fasce di red-dito colpite. Il prelievo deve forzosamente riguarda-re i redditi alti, medi e bassi.

    Laltra illusione che la spesa pubblica produce quella che riguarda lo scarto tra i benefici immedia-ti della spesa pubblica e i danni posposti che essastessa provoca. Il caso delle pensioni il pi chiarodi tutti: benefici alla generazione attuale, danni allegenerazioni successive a causa di un sistema pensio-nistico che, se non riformato radicalmente, non sarin grado di assicurare lerogazione delle pensioni ailavoratori di domani. Questeffetto non riguarda solole pensioni ma in generale tutto il debito pubblicoche lo Stato ha accumulato col passare degli anni. un debito che ha provocato benefici immediati maanche danni posposti: dallammanco di credibilit fi-nanziaria del sistema Paese nel suo complesso, chefa molto male a tutti, allimpossibilit di spenderesoldi per ci che indispensabile che lo Stato facciain alcuni settori importanti della vita del Paese a par-tire dallammodernamento delle infrastrutture.

    Dunque sostanzialmente un welfare spendac-cione allorigine dellaumento sconsiderato dellaspesa pubblica. Un welfare che ha dato troppo ge-nerosamente a troppi e non solo a chi ne aveva real-mente bisogno provocando, tra laltro, una dere-sponsabilizzazione generale sulla spesa pubblica,sulla sua entit, sui suoi danni. Questo aumento an-dava bloccato in tempo ma la politica, e si capiscebene, ha posticipato il pi possibile perch ogni go-vernante ha preferito far compiere questopera a chisarebbe venuto dopo. I cittadini beneficiari di talespesa hanno invocato il perpetuarsi di questo tipo diwelfare o perch ne erano vittime inconsce (vittimedelle tasse attuali e dei danni posposti) o perch, pursapendolo, non potevano fare a meno di quei soldi(imprese che invocavano laiuto dello Stato per co-prire le proprie incapacit e inefficienze).

    C poi da rilevare una questione importante cheriguarda i sistemi economici nazionali. Le economieche sono riuscite e riusciranno a essere favorite nellungo periodo non saranno quelle in grado di soste-nere la spesa pubblica con forte prelievo fiscale, maquelle che sapranno far sviluppare il reddito e quin-di allargare la base imponibile, cio coloro che pa-gano le tasse. fallito il pensiero economico che so-steneva la spesa pubblica come rimedio agli insuc-cessi del mercato. Ora occorre trovare le soluzioni aquesto problema e far convivere, in altro modo, esi-genze del mercato ed esigenze dello Stato.

    Sergio Ricossa

    La via francese alla dissoluzione Gli sbagli, le prevaricazioni e le gioiosa arroganza di un paese senza idee

    Tasse

    La dilatazione storica della spesa pubblica elillusione del Welfare: i soldi che lo Stato d

    sono gli stessi che lo Stato toglie.

    la Repubblica, mercoled 1 marzo

    Lannunciata fusione fra Gaz de France e Suez non priva di merito industriale, uniformandosi adue trend oggi prevalenti nel settore energetico: lacrescita di dimensione (lentit derivante dalla fusio-ne sarebbe per capitalizzazione la seconda in Euro-pa, dopo Electricit de France e sempre che la tede-sca Eon non riesca ad acquisire la spagnola Endesa);e, ancor pi, laccorpamento di gas ed elettricit.

    La possibilit delloperazione, del resto, era gistata considerata in passato, trovando un ostacolonella riduzione della quota pubblica in Gaz de Fran-ce, oggi largamente maggioritaria. Ma la questione,evidentemente, non questa. Quel progetto stato ti-rato fuori dalla naftalina, e lostacolo stato supera-to, non appena Enel ha goffamente (fino a prova con-traria) manifestato lintenzione di fare unofferta perSuez. Ed stato tirato fuori non solo con il gradi-mento, ma per impulso del governo francese, che hascritto una nuova pagina nella storia della corporategovernance di societ quotate, quando ha mandato intelevisione primo ministro e ministro del tesoro adannunciare la fusione, mentre gli amministratori de-legati delle due societ restavano silenti in secondafila; e che gi prima aveva intimato ad altre societfrancesi di ritirare il proprio gradimento allacquisi-zione delle attivit non energetiche di Suez ove que-sta fosse passata in mano di Enel. A questo punto lamossa francese diventata una questione politica,configurandosi come una rinnovata manifestazionedi ostilit del governo francese allingresso di grandiimprese straniere: con laggravante che si trattava inquesto caso di unimpresa dellUnione europea.

    Sulle debolezze endemiche del nostro sistema, checi pongono ancora una volta in condizioni di inferio-rit e che ci hanno fatto cadere fra due sedie - quelladel modello statalista francese e quella del modellomercatista britannico - Alessandro Penati ha detto lu-ned scorso, impeccabilmente, tutto quello che cerada dire. Occorre tuttavia riconoscere che lerezioneoltralpe di una linea Maginot contro i nostri timiditentativi di ingresso richiede una risposta politica.Ma conviene distinguere fra quanto si pu e si devefare subito, quanto non consigliabile fare in frettae quanto n si pu n si deve fare.

    Ovviamente, la Commissione di Bruxelles la pri-ma istanza a cui rivolgersi, anche se non immedia-tamente evidente sotto quali profili, al di l della cen-sura morale di violazione dello spirito del trattato,la Commissione possa intervenire. Si consideri in-tanto che il governo italiano ha sinora mostrato gran-de clemenza nei confronti, guarda caso, di Electricitde France (EdF). Quando lEnel fu obbligato a di-smettere in parte la generazione di corrente, con lavendita delle cosiddette Genco, o compagnie di gene-razione, un decreto del presidente del Consiglio sta-bil che nessuna societ controllata da un soggettopubblico potesse acquisirne pi del 30%. EdF, attra-verso Edison, supera quel limite, che non stato fat-to rispettare. Lo si faccia ora; e si aggiunga che la stes-sa sorte toccher a Electrabel, la societ di elettricitbelga incorporata recentemente in Suez, che an-chessa in una Genco italiana con una quota superio-re al 30%: dopo la fusione con Gaz de France, ancheElectrabel sar sotto controllo pubblico.

    Non sarebbe invece saggio confezionare in fretta efuria una nuova legge sulle Opa come reazione allaguerra gallica. La direttiva europea da recepire (dicui funestamente un nostro ministro fu la levatrice) pessima, consentendo a chiunque di fare quello chevuole. Prima di modificare in radice la nostra buonalegge, quella del testo unico della finanza, modellatasulla disciplina inglese, ci si pensi due volte. La guer-ra gallica temporanea. Le conseguenze sul mercatodel controllo societario, gi ingessato nel nostro Pae-se, sarebbero permanenti.

    E poi le cose da non fare, anche perch non le sipossono fare. Le agenzie attribuiscono al presidenteProdi il suggerimento di bloccare lofferta di Bnp Pa-ribas sulla Banca nazionale del lavoro. Singolare pro-posta. Che facciamo? Vietiamo a Unipol, priva del-lautorizzazione a fare lofferta, di vendere le sueazioni di Bnl a qualsivoglia soggetto francese? Via si-cura non solo per mettere Unipol nei pasticci, ma perprocurarci un procedimento di infrazione da partedella Commissione di Bruxelles. E poi, dove sonoqueste banche italiane pronte a sostituirsi agli stra-nieri? Fazio ne trov una: era la banca di Fiorani.

    Ma qualcosa di altro c da fare. A Bruxelles e aStrasburgo lItalia conta poco o nulla. Alla Commis-sione abbiamo perso un portafoglio di grande rilievo,che poteva toccare solo a Mario Monti; e abbiamoperso tutte le direzioni generali importanti. Al Par-lamento europeo i membri italiani, con qualche ec-cezione, sono presenti, se lo sono, solo al momentodelle votazioni in aula. Alla commissione per gli af-fari economici e monetari, dove si decide la legisla-zione sullindustria finanziaria, gli altri Paesi schie-rano parlamentari ferratissimi, che difendono gli in-teressi nazionali; i nostri parlamentari sono solita-mente assenti. Per difendere i nostri interessi in Eu-ropa bisogna lavorare da europei: ossia, semplice-mente, lavorare.

    Luigi Spaventa

    Il caso Suez

    Conviene distinguere fra quanto si pu faresubito, quanto non consigliabile fare in fretta

    e quanto n si pu n si deve fare

  • ANNO XI NUMERO 55 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO LUNED 6 MARZO 2006

    Corriere della Sera, venerd 17 febbraio

    Che succede lass, nelle segrete stanze diStoccolma dove si decidono i premi No-bel per la letteratura? Molte informazionisui retroscena pu darle Enrico Tiozzo, voceautorevole della cultura italiana in Svezia,ben introdotto nei circoli ristretti dellAcca-demia, tra i pochi ad avere accesso ai suoiarchivi. Tiozzo osserva: Il nostro Paese stasbagliando tutto, sia in campo culturale chepolitico. Limmagine dellItalia a Stoccolma, a dir poco, deformata e paradossale. Unesempio? Lars Forssell, potente membrodella commissione, ma anche figura di asso-luto prestigio come poeta, commediografo euomo di teatro, mi confid nel 91: spero difar assegnare il Nobel a Tot. Forssell, oltreche di Tot, era ammiratore di Dario Fo.

    La decisione di premiare questultimo - se-condo Tiozzo - ha rappresentato anche unmodo, da parte dellAccademia, di mettere atacere la diatriba ormai decennale, molto die-trologica, sui presenti illeciti legati al manca-to riconoscimento a Mario Luzi. In che sen-so? Visto che la polemica si scatenava pun-tualmente ogni anno sui giornali italiani, inconcomitanza con lassegnazione del Nobel,si pensato che lunico modo di uscirne fossepremiare un altro candidato italiano. Unoscandalo, come hanno sostenuto in molti, lascelta di Dario Fo invece di altri candidati?Piuttosto la prova implicita del fatto che laletteratura italiana - intesa come romanzo epoesia - non aveva in realt figure degne delNobel, e che se si voleva onorare la nostracultura era necessario rivolgersi al cinema oal teatro. LItalia come Paese di attori e giul-lari unimmagine che piace ai membri del-lAccademia e agli svedesi in generale.

    Tiozzo, che lavora da quasi quarantanninel mondo universitario svedese (attualmen-

    te ordinario di italiano a Gteborg), amicopersonale di quasi tutti i membri della com-missione ristretta che, anno dopo anno, sele-ziona le candidature al Nobel riducendole datrecento a cinque, vaglia e soppesa le pre-scelte, infine le sottopone al plenum di quin-dici accademici perch si proceda alla vota-zione decisiva. E si assume le sue responsa-bilit nel lanciare lallarme.

    La prima, sconfortante conclusione que-sta: lItalia di solito fuori dai giochi perchnon presenta candidature, salvo poche ecce-zioni. Un po per ignoranza del regolamento(le proposte devono raggiungere lAccademiaentro il 1 febbraio di ogni anno e provenireda rappresentanti di istituzioni culturali au-torevoli sul genere dei Lincei, professori uni-versitari di lingue e letterature, scrittori gipremiati, dirigenti di associazioni tipo i PenClub). Un po per mancanza diniziativa o perfatalismo eccessivo, dovuto alla convinzionesbagliata che in ogni caso le domande nonverrebbero prese in considerazione (mentrela meticolosit scandinava impone di conser-vare sempre tutto, persino le lettere anonimeo illeggibili provenienti da Paesi sconosciuti,per la gioia dei posteri e futuri ricercatori).

    E infine, si direbbe, per miopia o clienteli-smo letterario. I candidati italiani sono statiuna ventina in tutto nellarco dei primi cin-quantaquattro anni, e la maggioranza di que-sti decisamente poco conosciuta (qualche no-me: Angelo de Gubernatis, Salvatore Farina,Dora Melegari, Roberto Bracco), mentre ce-lebrit indiscutibili come dAnnunzio, Pasco-li, Verga, Capuana, De Roberto, Pavese, Vit-torini, Gadda e tantissime altre non hannomai avuto lonore di una segnalazione.

    La denuncia di Enrico Tiozzo riguarda an-che la mancanza di una politica culturale ita-liana a Stoccolma. La cosa pi riprovevole -

    afferma - che in tutta la Svezia non esistauna sola cattedra universitaria di letteraturaitaliana. Su questo punto particolarmentegrave il disinteresse dei nostri ministeri com-petenti, come gli Esteri e lUniversit, che di-rettamente o attraverso lambasciata e lIsti-tuto di cultura potrebbero far pressione sulleautorit svedesi e sulle singole universit af-finch creassero cattedre di letteratura ita-liana. Si sfiora il grottesco, dal momento chelItalia spende pi denaro e appoggia mag-giormente, senza contropartita, linsegna-mento dello svedese nelle universit italianedi quanto faccia con litaliano negli ateneisvedesi.

    I frutti di questa politica autolesionistica sivedono, eccome. Gli accademici del Nobel,nonostante la tradizionale ammirazione per icanali di Venezia e la pizza di Napoli, non co-noscono litaliano e stentano addirittura a tro-vare consulenti in grado di informarli sullaproduzione dei nostri scrittori pi significati-vi. Si rivolgono ai cosiddetti periti occasio-nali - rivela Tiozzo - con una vaga infarinatu-ra sulla nostra letteratura, di fonte per lo pigiornalistica. Non c da meravigliarsi se lecandidature non vengono prese sul serio e,come nel caso di Bacchelli, alla fine abban-donate.

    Come potuto avvenire, allora, che per seivolte durante il secolo scorso i nostri campio-ni letterari siano riusciti ad annullare lhan-dicap, lassenza di sponsor nazionali, e a vin-cere? La spiegazione c, ed sorprendente.Tutto dipeso da una circostanza fortunata- rivela Tiozzo - e cio dalla presenza in com-missione per un periodo eccezionalmentelungo, il sessantennio dal 21 all81, di Anderssterling, grande estimatore della letteraturaitaliana e traduttore in svedese delle lirichedi Quasimodo e Montale. Un classico, italico

    colpo di fortuna, insomma. Fu per sua ini-ziativa che questi ultimi due poeti (altrimen-ti inaccessibili agli accademici svedesi), maanche i due premiati precedenti, la Deleddae Pirandello, riuscirono a spuntarla. Senzasterling, lItalia delle lettere insignita delNobel sarebbe rimasta ferma a Carducci.

    E la politica, quanto conta oggi nella scel-ta? Non sempre pi evidente - lo si vistorecentemente con la Jelinek e Pinter - unospostamento a sinistra dei giurati? In realt- ammette Tiozzo - la politica sempre stataimportante per il Nobel. Oltre al famosoesempio di Borges, mai premiato, c quellodel tedesco Bll che dovette aspettare venti-sette anni dopo la fine della guerra per po-terlo ricevere. Un tempo gli ostacoli erano di-versi: Carducci, ad esempio, dovette superarequello dellanticlericalismo, allora conside-rato una colpa. Oggi lAccademia di Svezia -continua Tiozzo - ha assunto una genericaconnotazione di sinistra, fatta di pacifismo, at-ti umanitari, integrazione razziale, rifiuto diogni forma di violenza, solidariet ad ogni co-sto. E dunque pressoch impossibile oggi,per uno scrittore che nella sua opera sia an-dato in una direzione opposta o sia legatochiaramente alla destra, avere il premio. Uncriterio etico-politico che, nel caso di Fo, haavuto il suo peso.

    I giochi sembrano destinati a complicarsisempre pi nei prossimi anni. Per non di-speriamo - rassicura Tiozzo -. vero che i no-mi dei favoriti sono ufficialmente segreti,per le indiscrezioni non sono vietate. Tra icandidati, da alcuni anni, ci sono Bonaviri,Magris e Tabucchi. Il primo, come mi hannosegnalato alcuni amici di cui non posso fare inomi, si pu dire che arrivato in dirittura fi-nale.

    Dario Fertilio

    La caduta di Jovanka

    A un certo punto Tot stava per vincere il NobelDario Fo stato scelto perch agli intellettuali-giudici svedesi piace molto lidea che lItalia sia solo un paese di attori e giullari

    Che succede a Stoccolma, dove si decide a chi devono andare i premi pi prestigiosi del mondo

    La moglie di Tito, dimenticata da tutti, vive in miseria

    Corriere della Sera, gioved 2 marzo

    Non vero che la peggior stroncatura il silenzio. Ce ne sono anche di pi cat-tive. Come quelle che Alessandro Bariccodenunciava ieri sulla Repubblica; colpevo-le, nel caso specifico, la coppia Citati&Fer-roni, entrambi rei di unaggressione subdo-la nei confronti dellautore di Seta. Il pri-mo, descrivendo lestasi prodotta dal patti-naggio olimpico, diceva che si dimenticavaperfino dellIliade di Baricco; laltro, re-censendo sullUnit un libro di Vassalli,sottolineava in una parentesi la distanzaabissale dalla stucchevole e ammiccanteepica automobilistica dellultimo Baricco,alludendo al romanzo Questa storia (che pe-raltro Ferroni aveva stroncato gi sulla ri-vista Giudizio universale).

    Vittima di questa gomitata assestata atradimento, Baricco richiamava alle lororesponsabilit i Critici: fate il vostro me-stiere, ma non ricorrete a queste battutinetrasversali messe l per raccogliere lap-plauso dei fedelissimi.

    Lappassionato Baricco, per, non tieneconto di un fatto: che cio noi viviamo intempi davvero trasversali. A cui, forse, an-che la critica - se esiste ancora - si sta rapi-damente adeguando. Perci, a uso dei cri-tici vogliosi di essere allaltezza dei tempi,e ad ammaestramento di autori che po-

    trebbero incappare in battutine e battutac-ce, proviamo a fornire un decalogo di go-mitate. Magari ricorrendo a esempi di unpassato che tutti hanno dimenticato e cheperci oggi molto cool.

    1) Non parlare di libro/film/opera musi-cale dicendo che porta male (Oreste delBuono non vide Lili Marleen di Fassbinderper le qualit iettatorie della canzone).

    2) Fare paragoni tremendi, che mentrediscreditano lautore in questione liberanoil recensore dalla necessit di entrare nelmerito dellopera (i neo-avanguardisti delGruppo 63 liquidarono Cassola accostan-dolo a Liala).

    3) Viceversa, rifarsi a una categoria altaper distruggere un onesto produttore dicultura bassa (Enrico Manca accus PippoBaudo chiamando in causa la categoriagramsciana del nazional-popolare).

    4) Adoperare giudizi di valore ideologi-co, dando per scontato tutto il resto (neglianni Cinquanta Pratolini e il suo Metello fu-rono crocifissi dallaccusa di populismo;negli anni Novanta Susanna Tamaro e Ani-ma mundi, con il loro sapore di foiba, fini-rono allindice).

    5) Usare il plurale per lesecuzione som-maria: come quando si dice i Nove, i La-branca, gli Scarpa per far fuori tutti i Can-nibali.

    6) Usare la locuzione dei poveri, fa-cendo attenzione a scegliere un modellopiuttosto basso (Anna Tatangelo la Pausi-ni dei poveri?).

    7) Giudicare libro (o disco) dalla coperti-na, o un film dalle foto pubblicitarie (pre-cedente illustre, ancora Oreste del Buono,che raccont Kramer contro Kramer parlan-do dei manifesti e della gente che, nono-stante quelli, entrava in sala).

    8) Dire che inutile parlare di qualcunoche ha gi vinto la gara a cui sta per parte-cipare (questanno prima si detto cheSandro Veronesi vincer il premio Strega,ma ora rischia di essere scalzato da Rossa-na Rossanda).

    9) Rifarsi al classico Manganelli: Nonlho letto e non mi piace (con la variazionedi Franco Cordelli, che nella sua rubricateatrale di anni fa esercitava la criticapresuppositiva: spettacoli non visti estroncati, come ben sa Mem Perlini).

    10) Aggredire, massacrare, annichilirequalcuno senza nemmeno dirne il nome.(lha fatto ieri Gabriele Ferraris sulla Stam-pa, che scomoda Brecht - beato il paese chenon ha bisogno di eroi - per infierire controPanariello, comico modesto e senza nome).

    Ranieri Polese

    Corriere della Sera, luned 27 febbraio

    Belgrado. Da pochi giorni il riscalda-mento ha ripreso finalmente a funzio-nare in un piccolo appartamento stataledi Dedinje, al 65 di Bulevar Mira, zona re-sidenziale di Belgrado. E un gruppo dioperai sta studiando come bloccare le in-filtrazioni di umidit e di pioggia dal tet-to. una notizia, perch sotto quel tettomalconcio vive la prima vedova di Ju-goslavia: Jovanka Broz, 81 anni, per 28 mo-glie di Tito. Lultima.

    Ma non era morta tanto tempo fa?hanno chiesto, sorpresi, funzionari di go-verno trenta-quarantenni ai giornalistiche chiedevano spiegazioni sullinfelicedeclino della Signora Tito. No, lottan-tenne Jovanka, considerata un tempo unadelle tre donne pi belle nella storia del-lumanit, dopo Nefertiti e Marilyn Mon-roe, non morta. sopravvissuta, senzaclamori e senza denaro, allinsofferenzadei successori del marito che poco dopola morte del presidente, il 4 maggio 1980,lhanno relegata in una cadente casa dipropriet pubblica, attrezzata con il mini-mo indispensabile. Come una qualunquepensionata senza diritti. Proprio lei, cheper oltre un quarto di secolo si era occu-pata, senza risparmio di energie e di sol-di, delle quaranta residenze del consortesparse per la Jugoslavia. Proprio lei che,appena ventottenne, aveva accettato disposare luomo pi potente del Paese,giunto al suo sessantesimo compleanno eal suo terzo o quarto matrimonio.

    Unaltra, al suo posto, avrebbe finito perregolare i conti, in banca e in piazza, ven-dendo a caro prezzo dettagliate memorie.Ma Jovanka, come sanno bene i giornalistie gli editori locali, una vedova di ferro:non parla, non apre la porta e nemmeno laposta. Di giorno pulisce la casa, stira e sicucina il pranzo. protetta da tre guardiedel corpo che, a turno, vanno a farle laspesa e vegliano sulle sue serate solitariee, per anni, anche piuttosto gelide. Ricevesoltanto la sorella e un paio di nipoti.

    Allinizio la signora Broz temeva dimettere in pericolo la sua vita, se avessesvelato segreti e retroscena dei suoi annicon Tito - considera Toma Fila, il suo av-vocato -. Ma adesso tutto ci che vuole ritrovare i suoi ricordi, le foto, le lettere,i cimeli del marito. Non un semplicedesiderio n un desiderio semplice: daoltre ventanni, a differenza dei due figli

    che Tito ha avuto da nozze precedenti, Jo-vanka si batte senza tregua nei tribunaliper quelli che considera beni personali.A complicare la vertenza c una legge,varata poco dopo i funerali solenni delconsorte, in base alla quale tutto quantoappartenuto a Tito spetta allo Stato: lalegge Jovanka, come la definisce il suolegale.

    Di pi, furono stilati quattro inventaridelle propriet del defunto presidente e ilquarto elenco comprendeva il 90 per cen-to degli oggetti, anche di uso comune, pas-sati per le storiche mani, destinati alla na-zionalizzazione ma poi scomparsi. A mo-glie e figli toccavano un po di abiti e alcu-ni fucili da caccia. Jovanka, del resto, nongodeva pi delle simpatie dello staff delmarito gi tre anni prima che lui morisse,quando il vecchio presidente era stato difatto esautorato dei suoi poteri. La volitivaconsorte era stata confinata agli arrestidomiciliari, lontana da lui, con laccusa dicomplottare contro il governo.

    Riapparve in pubblico ai funerali di Ti-to, per evitare interrogativi imbarazzantitra i cento capi di Stato invitati alla ceri-monia. Ma il giorno dopo aveva perso dinuovo tutte le prerogative che il maritoaveva invano cercato di conservarle nellesue ultime, non scritte, volont. I palazzi incui aveva vissuto, con tutti gli arredi, lescuderie, i preziosi doni ricevuti durante iviaggi ufficiali e da ospiti di rango, scom-parvero per sempre dai suoi orizzonti. Erafinita, ma Jovanka non si mai arresa, an-che se il patrimonio personale di Tito haun valore pi storico che finanziario, e lapopolarit dellex capo partigiano era indeclino gi negli anni 80: Devono resti-tuirmi almeno i vestiti, i telegrammi dicondoglianze per la sua morte, le sue let-tere, le nostre foto - reclamava lei allavvo-cato, che riuscito a farle assegnare alme-no una pensione -, si sono presi anche i be-ni provenienti dalla mia famiglia. Unacausa persa, se loblio calato su Jovankanon lavesse spinta quasi allindigenza. Lapratica arrivata sul tavolo del ministrodei diritti umani e delle minoranze, RasimLjajic: La sua situazione era una vergognanazionale - ha riconosciuto Ljajic -, la si-gnora Broz viveva in condizioni catastrofi-che e bisognava correre ai ripari. Il tettosar sistemato, i termosifoni ora funziona-no, ma di eredit non si parla.

    Elisabetta Rosaspina

    Match point al velenoIl pap di una tennista che faceva fuori gli avversari della figlia

    La Stampa, luned 27 febbraio

    Parigi. Maxime Fauviau era un tennistamediocre, non aveva i colpi, dritto appe-na passabile, rovescio didattico e sciatto,uno che la buttava semplicemente di lsanzionavano i pratici con una sola occhiatada bordo campo. Poteva far paura allavver-sario al massimo nei tornei dei dopolavoro edei dilettanti.

    Eppure Maxime vinceva, vinceva sempre.Dallaltra parte della rete gli avversari sem-bravano storditi, non riuscivano a correre, sitrascinavano senza speranza boccheggiando,quasi sempre labulia li spingeva alla resa inanticipo, come se avessero capito di non ave-re possibilit. Da Nantes a Bordeaux, daMontepellier a Dax, il giovane Maxime arri-vava scortato dal padre e scalava i tabellonipi impervi come se fosse mosso da una for-za misteriosa.

    Anche nel luglio del 2003 Alexandre La-gardre, un giovane maestro, era uscito dalcampo a Tartas nelle Landes dopo appenaun set disastroso: stava male, le gambe nonrispondevano agli impulsi del cervello, lepalline giocate in modo squinternato daMaxime gli sembravano missili imprendibi-li. E pensare che erano bastati pochi colpipreliminari per capire che quellavversarioera ben al di sotto del suo livello di gioco,una preda tranquilla. Furioso con se stesso,Alexandre sal subito in auto per tornare acasa: lo trovarono i gendarmi, senza vita, nel-lauto che era uscita di strada dopo pochichilometri. Non cera un giallo evidente, for-se tutto sarebbe finito nei dossier della im-prudenza stradale se i gendarmi non aves-sero, per caso, scoperto che il giovane pocoprima si era sentito male durante il torneodi tennis. Lautopsia accert che aveva nelsangue tracce di Temesta, un ansiolitico cheha pericolosi effetti collaterali come la per-dita di controllo. Nessun medico gli avevamai prescritto quel farmaco: perch lo ave-va utilizzato, per di pi sapendo di dovergiocare un incontro di tennis?

    Valentine Fauviau la sorella minore diMaxime, nel 2003 aveva quindici anni. Lei,s, sapeva giocare a tennis, un folletto delfondo campo con i colpi a due mani che sem-bravano moltiplicare la forza di braccia an-cora esili, da bambina. Valentine era giconsiderata dalla federazione francese co-me la migliore promessa delle categorie gio-vanili. Ma anche i suoi incontri spesso, trop-po spesso, finivano prima del tempo con ilritiro dellavversaria. Le ragazze si sentiva-

    no male, gettavano la spugna contro quellapiccola furia che, certo, alla fine avrebbevinto ma che potevano ancora impegnare.

    Il padre-allenatore dei due tennisti, Chri-stophe, mercoled sieder sul banco degli im-putati in corte di assise a Mont-de- Marsan.Laccusa grave: somministrazione preme-ditata di sostanze nocive che hanno causatoinvolontariamente la morte. Rischia ventianni di prigione. lui, secondo laccusa, cheha riempito di Temesta la bottiglietta di ac-qua minerale dellavversario di suo figlio pri-ma della partita. Lo faceva da tre anni, daquando dopo aver abbandonato lesercito, do-ve era pilota di elicotteri, aveva deciso di tra-sformare i suoi due ragazzi in campioni.

    Una volta che gli investigatori avevano af-ferrato il filo dellinchiesta lo hanno sgomito-lato senza problemi; era un filo interminabi-le, decine e decine di episodi, malesseri, riti-ri, tennisti finiti allospedale, giovani sportiviche sprizzavano salute che di colpo, appenascesi in campo, diventavano automi imbam-bolati, come in preda a una mala. Episodiche nessuno aveva pensato di collegare, tor-nei giocati a centinaia di chilometri di di-stanza nellanonimato, senza riflettori, diven-tavano di colpo uno scenario sconcertante,articolato, un complotto. Emerse dai verbalianche qualche testimone, come un avversariodi Maxime che aveva sorpreso il padre chearmeggiava attorno alle bevande dei giocato-ri. E da nuove analisi sempre il Temesta, lapozione avvelenata dei fratelli Fauviau.

    Eppure questa non la storia, squallida eterribile, dellennesimo padre padrone deltennis, uno di quei despoti psicotici che ro-vesciano sui figli, che siano la scintillanteSharapova o talenti appena sbozzati, le fru-strazioni dei loro insuccessi, che chiedono airagazzi a tutti i costi di incassare lassegnodella fortuna che a loro mancato. Chri-stophe Fauviau era paziente, gentile, nonpretendeva dai suoi due campioncini pi diquanto potessero dare, li voleva felici, si erapersino rassegnato a non immaginare per ilpoco talentoso Maxime nulla di pi che unfuturo di piccoli tornei di provincia. Alloraperch? Il torneo del delitto non proponevapremi sontuosi, era una gara di serie B, an-che vincendo Maxime sarebbe rimasto unincorreggibile mediocre. E lei, Valentine,era in grado di farcela da sola, aveva vintotornei anche quando il padre e i suoi raggi-ri erano assenti. Forse perch un padre puuccidere anche per troppo amore.

    Domenico Quirico

    la Repubblica,marted 13 dicembre 2005

    Marlene Dietrich. La si ri-trovava ogni estate a Co-penhagen, ancora nei pri-mi anni Settanta, ben-

    ch ufficialmente a riposodopo un celebre addio al Caf de Parislondinese, immortalato in un disco livecon presentazioni di Nol Coward e He-mingway. Due spettacoli ogni sera alTivoli, alle 19,30 e alle 21,30, in car-tellone con Birgit Nilsson, i MillsBrothers, il celebre comico Victor Bor-ges. E una estate, aveva come pianistaBurt Bacharach poco pi che bambino,cotonato e da lei vezzeggiato come unimbarazzato amante. Unaltra volta, ap-pariva in un programma darte variaper famiglie turistiche, con orchestrinadi vecchietti briosi e un presentatoregrullo identico a Danny Kaye. Pubblicoda gelateria.

    Sul palchetto azzurro, dopo il gioco-liere cinese con tanti piatti e il vecchiocantante ossigenato poliglotta, una zin-gara argentina tutta in rosso danza Unanotte sul Monte Calvo registrata mentrelorchestrina fa le percussioni. Poi unotzigano in viola e con violino elettrico faun pot-pourri di Cumparsite e Ociciornie.Quindi un ventriloquo identico aKierkegaard fa un inquietante numerodi Paperini drogati di LSD. E dopo unbrevissimo intervallo, e un sommarioaccenno al tema dellAngelo azzurro,semplicemente lei.

    Identica a com sempre apparsa:volpi bianche e permanentina delTrenta. Pacata e diretta, no nonsen-se: il vestito sotto luccica di pailletti-ne argentate, e il sopracciglio si dilatafra il severo e lironico. Voce molto te-desca, mentre rapidamente fra unacanzone e laltra riassume notizie rife-rite in ogni storia del cinema. Con ge-sti molto semplici, quasi elementari,accompagna le canzoni amate in gio-vent forse imbrogliando un po le da-te: Youre the cream in my coffee, Blueheavens. Gran grinta riaffiora in talunicavalli di battaglia pi memorabili:The boys in the backroom, Not because Ishouldnt. Ma tutto liscio e continuo.Tutto molto professionale ma quasimeccanico, quasi minore.

    Poi, impeccabilmente, via le volpi, eallora sfolgora labito da concerto cheda tanti anni fa parte della sua perso-nalit. Con una foderina di plastica co-lor pelle sotto le pieghe di chiffon, sidice. E certe canzoni apparentementenuove saranno la manire de, o ri-pescate nelle oubliettes fra le dueguerre, o australiane radiofoniche? In-dubbiamente risulta meno donna dispettacolo che non Wanda Osiris oBarbra Streisand o Edith Piaf. La suaVie en rose tutta sobria continua a rap-presentare unostinazione ultraven-tennale. Ma non si pu dimenticare le-secuzione della Piaf disperata e smar-rita con la sua testona enorme e il ve-stitino nero da orfanella, sul palcoenorme dellOlympia, davanti a unpubblico bramoso di vederla morire inscena come Molire. (Il che pressapo-co avvenne).

    Per Marlene diventa eccellentequando ritorna al tedesco per Johnny,langosciosa telefonata alluomo che hapromesso di venire e poi non viene. Co-me nella Voix humaine di Cocteau. Tut-ti froci?. Qui le grinfie riappaiono, per-ch non pi il richiamo di una ragaz-zina innamorata ma di una nonnaespressionista che la sa fin troppo lun-ga. E Sentimental journey suona improv-visamente rarefatta, in una sconsola-tezza senza fine. Ma non esegue pi Lacanzone finita, non chiedermi dovevado del tenore e compositore Ri-chard Tauber.

    Cos, con economia, con distacco, conNuova Oggettivit, dopo quindici can-zoni impeccabili in fila, arriva a un ve-ro piccolo capolavoro, unesecuzionedisperata di Where have all the flowersgone, lontanissima dalla melodiosit ag-graziata di Joan Baez, e carica invece dieleganti sofferenze berlinesi da piano-bar epico e dry. Cammina un po a fa-tica, ma termina su una gag graziosa.Un vecchio usciere gallonato le portaun mazzo di fiori, e lei gli d un bel ba-cio. Dopo un minuto, altro mazzo e altrobacio. Poi mazzi e baci si moltiplicano,accelerandosi come nei film dei Fratel-li Marx.

    TACCUINOdi ArbasinoBaricco

    Dalla critica presuppositivaallannichilimento. Decalogo (con

    esempi) di come si danno le gomitate

  • Firme

    diletta con la maratona (ne ho fatte pi di30) e con la letteratura latina (soprattuttogli autori della decadenza, quelli che non sistudiano a scuola).

    RICOSSA Sergio. 78 anni, ordinario di Poli-tica Economica a Torino, scrive sul Giornaleda 20 anni. Laureato in Economia, ha debut-tato nel giornalismo nel 1969, collaborandocon La Stampa. Sposato, due figli: Francescoe Luca, di 37. Nel tempo libero dipinge.

    ROSASPINA Elisabetta. 48 anni, milanese,si occupata di cronaca per il Corriere del-la Sera, dove lavora dall89 e ora inviata.Ha cominciato nel 78 con Avvenire, nel 79 passata a La Notte, nell86 al Giornale diMontanelli. Prima di andare al Corriere halavorato per qualche mese a Capital.

    SPAVENTA Luigi. Professore di economiaalla facolt di Scienze Statistiche presso lU-niversit La Sapienza di Roma e membro delCentre for Economic Policy Research di Lon-dra. Ha ricoperto numerosi incarichi istitu-zionali, fra cui la presidenza della Consob.

    SPINELLI Barbara. Romana, editorialistadella Stampa, vive a Parigi dall80. stata ri-cercatrice allIstituto di politica internazio-nale di Roma (IAI), nel 72 ha cominciato lacarriera giornalista al Globo, dopo un bre-ve periodo allEspresso, andata a Repubblica,prima come corrispon-dente da Bruxelles, poicome inviata. passatapoi al Corriere della Se-ra. Da oltre dieci anni alla Stampa.

    Lapertura di prima pagina stata realizzata da Massimo Parrini

    QN, venerd 24 febbraio

    New York. la pi bella storia di questoinverno inverno. Una pulita favolaamericana che fa tornare speranza ebuon umore. Otto operai di una grande in-dustria di macellazione del Nebraska, con5 dollari a testa hanno fatto la pi grandevincita del Lotto nella storia degli StatiUniti: 365 milioni di dollari oltre 310 milio-ni di euro.

    Si tratta di 7 uomini e 1 donna. Quasi tut-ti hanno fatto il turno di notte nel grandemacello di Lincoln che impacchetta bistec-che e prosciutti per il resto dAmerica. I lo-ro orari di lavoro superano le 60 ore a set-timana. I 40 dollari in pi di straordinarioche ricevono sono sempre risultati indi-spensabili per pagare luce affitto gas. Tredei vincitori sono immigranti. Hanno la-sciato il Vietnam e il Congo per trovare for-tuna nella land of opportunity. E la for-tuna arrivata, per tutti , in 8 parti uguali.

    I moschettieri del Nebraska hannochiesto di ricevere la vincita invece che in30 anni, in ununica soluzione. Ciascunoavr circa 13 milioni di euro netti e in con-tanti.

    Giocavano, lavoravano e sognavano in-sieme da 4 o 5 anni. Lultimo si aggiunto

    al gruppo 3 settimane fa. Spesso anche i lo-ro turni di lavoro, allimpacchettamento,nella sezione sanitaria e dellamanutenzione coincideva-no.Venerd pomeriggioDung Tran 34 anni uno deidue immigarti vietnamiti,ha pescato la combinazionegiusta nel supermercato poi andato regolarmente a lavorarecome meccanico al ConAgraFood.

    Quando marted ci siamoaccorti del biglietto vin-cente - ha detto Tran -non siamo pi riusciti adormire. Non sapevamocome e dove conservar-lo. Abbiamo girato 3 o 4motel della zona fa-cendo perdere le no-stre tracce e veglian-dolo come un tesoro.Lo tenevo infilato neijeans, ma avevo paurapersino a tirarlo fuori. So-lo quando abbiamo trovato un avvocato cheha steso un accordo firmato da tutti e 8 nelquale si chiariva la ripartizione della vin-

    cita siamo andati allufficio del Lotto a de-positarlo. Molti di noi sono ancora in stato

    di trans. Non sappiamo cosa vuol direessere miliardari.

    Qualcuno per lo sta imparan-do molto in fretta.Robert Stewart 30 anni si subi-

    to licenziato dicendo: Ho fattocinque lavori nella mia vita e questo stato lultimo.Chasity Rutiens, 29 anni, unica ragazza

    del gruppo mentre cerca di guardar-si allo specchio come miliardaria molto determinata nellindicarecome utilizzer la vincita. Il suofidanzato non contemplato nel-

    le spese: Questi soldi rimar-ranno miei e solo miei. Li vo-glio far bastare per tutta la vitae non intendo correre rischi.

    Eric Zorners 40 anni ha giavuto la nausea da prosciut-

    ti. Mi piace lavorare nelmacello, ma vi comunico che

    sono gi in pensione da 4 giorni e cirimmar.

    Anche la mano fortunata del gruppoDung Tran non andr pi al lavoro per unpo ma rimarr interi pomeriggi a giocare

    coi suoi due bambini che non lo vedevanomai quando faceva i turni.

    Tutti hanno un sogno con una cifra si-mile in mano dice Michael Terpstra 47 an-ni. Potrebbero comprarsi unisola o un ae-reo, ma io devo confessare che non sonoamante del volo e non mi piace nemmenolacqua. Comunque continuer a lavorare ea vivere a Lincoln.

    Ha le lacrime agli occhi Quang Dao il se-condo immigrato vietnamita e riesce solo adire: Sono arrivato in America per esserelibero. Questo un grande paese. Oggi sonolibero e ricco.

    Alin Maboussou, 26 anni, fuggito dal Con-go ha una bambina di tre mesi in braccio edichiara davanti alle telecamere: Prima,ogni mattina, ero preoccupato per comefarla studiare. Adesso sar una bambina fe-lice per il resto dei suoi giorni.

    Otto famiglie, otto vite semplici travolteda un piacevolissimo destino. Il sognoamericano che in un colpo solo si molti-plica e si integra in quello multirazziale.Nessuno poteva immaginare una vincita alLotto pi simbolica. Chi ha sempre pensa-to che la fortuna una dea bendata proba-bilmente deve ricredersi.

    Giampaolo Pioli

    ANNO XI NUMERO 55 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO LUNED 6 MARZO 2006

    GHEDDAFI. Angelo Del Boca, massimostorico dellavventura coloniale italiana, lapidario: Sostanzialmente, Gheddafi ha ra-gione.

    Professore, non crede che il colonnellostia speculando sui disordini di Bengasi?

    Probabilmente s. Ma se fossimo statipi corretti non saremmo a questo punto.

    Gheddafi fa riferimento a promesse reali?Gi negli accordi del 56 con re Idris il

    nostro Paese si obbligava a costruire unospedale a Tripoli. Ho visto personalmentelAllegato B che stabiliva questo impegno.Nell84 anche Andreotti, allora ministro de-gli Esteri, ha rinnovato la promessa. Ma laLibia voleva una struttura con 1200 letti,mentre noi ne offrivamo cento.

    LItalia non ha mantenuto la parola data? Ceravamo impegnati anche a sminare

    la Marmarica, al confine con lEgitto, pienadi ordigni inglesi, tedeschi ma anche italia-ni. Non se ne fatto nulla. Lunica promes-sa mantenuta stata quella di ricostruire lavicenda dei prigionieri libici ai tempi diGiolitti. Ho fatto parte anchio di una com-missione che ha appurato il destino di que-sti 4000, deportati dopo la battaglia di Scia-ra Sciat. Ne sono venuti fuori tre volumi didati: poca cosa, ma con unimportanza mo-rale.

    In tempi pi recenti si riparlato degli im-pegni italiani?

    Anche Berlusconi, quando andato invisita, ha rinnovato la promessa. Si parlavadi un ospedale da 63 mila euro, ma Ghed-dafi ha rilanciato, chiedendo la costruzionedellautostrada litoranea dalla Tunisia al-lEgitto. Sono 1700 chilometri, sulla tracciadella via costruita da Italo Balbo. A questopunto il conto sarebbe arrivato a tre miliar-di di euro, e Berlusconi rimasto gelato.

    E i beni sequestrati agli italiani? vero, nel 1970 il regime ha espulso 20

    mila nostri connazionali e incamerato ter-reni e immobili per duemila miliardi di li-re. Gheddafi sostiene: era roba nostra. Maquesto pu valere per le terre: alberghi, ci-nema, aziende erano invece il frutto del la-voro di persone che hanno trasferito l in-telligenza e capacit italiane. Ma nessunodei nostri politici si mai seduto a un tavo-lo con il colonnello per dire: facciamo unastima, trattiamo. E poi, soprattutto, nessunoha mai chiesto scusa in sede ufficiale.

    Ma questi conti in sospeso giustificano lo-stilit emersa a Bengasi?

    Ricordiamoci che siamo stati protago-nisti di unoccupazione sanguinosa, con 100mila morti. Insomma, un libico su otto haperso la vita per difendere il suo Paese da-

    gli italiani. Solo vedendo queste cifre si puspiegare la rabbia libica (Giampaolo Ca-dalanu, la Repubblica 4/3).

    DEBITI/1 Il governo libico deve ancorapagare 627 milioni di dollari a un centinaiodi aziende italiane. Per esempio il ministerodella Salute deve 10 milioni di dollari allaMonteme, le Forze armate 103 alla Astaldi, ilComitato per linformazione rivoluzionaria 8milioni a Teleradio Sicilia. Tra i creditori an-che Alitalia (7,6 milioni di dollari) e Impre-gilo (39) (Paolo Emilio Russo, Libero 4/3).

    DEBITI/2 Per pagare i debiti, il tennistaBjorn Borg metter allasta il 21 giugno aLondra i cinque trofei vinti a Wimbledon trail 1976 e il 1980 pi le racchette Donnay di le-gno usate in due di quelle finali (contro il ru-meno Nastase nel 1976 e lamericano McEn-roe nel 1980). La casa daste Bonhams d al-le racchette un valore oscillante tra i 15.000e i 20.000 euro. Per le coppe dargento, battu-te in un unico lotto, si spera di ricavare tra i300.000 e i 400.000 euro (F. M. Ricci, Corrieredella Sera 4/3).

    SCI Secondo una ricerca Nielsen-Asso-sport lo sci la disciplina sportiva pi costo-sa, con 249 euro di spesa media annua soloper lattrezzatura (L. Corna, Io Donna 25/2).

    740 Quello di Marcello DellUtri nel 2005 stato di un milione di euro (Claudio Sa-

    belli Fioretti, Magazine 23/2).FIGLI Per il 2005 il presidente del Consi-

    glio Silvio Berlusconi ha dichiarato un red-dito di 3,5 milioni di euro (nel 2004 era di 12milioni). Sono aumentate le tasse che paga(un milione e mezzo di euro contro un mi-lione e 100 mila del 2004). La diminuzione direddito si spiega soprattutto con la cessionedi azioni Fininvest ai figli Eleonora, Luigi eBarbara: adesso ciascuno di loro possiede il7,5 per cento di Fininvest, come i figli pigrandi Piersilvio e Marina. Il presidente delConsiglio rimasto con il 62,5 per cento del-le azioni, contro l87 di prima (Nino Sunse-ri, Libero 3/3).

    PADRE Alla nascita di Modigliani, il pa-dre, finanziariamente in rovina (aveva pos-seduto e prodotto olio, vino, mandorle, oli-vi, era stato proprietario di miniere e di car-bone), ordin di ammassare gli averi di ca-sa sul letto della moglie: la legge vietava in-fatti di sequestrare quanto era sul giacigliodi una partoriente, e proprio quel giornoera atteso lufficiale giudiziario (FabioIsman, Il Messaggero 20/2).

    PARRUCCHIERI In Italia ci sono oltre100 mila negozi di parrucchiere. Ogni annosi spendono per la bellezza circa 7.300 mi-liardi di euro (Lucia Corna, Io Donna8/10/2005).

    La Libia non ha tutti i torti,ma intanto paghi i debitiB U S T E P A G A

    ARBASINO Alberto. 76 anni, di Voghera.Scrive su Repubblica. Autore di fama, haesordito nel 1959 con Lanonimo lombardo. Ul-timo libro: DallEllade a Bisanzio, Adelphi.

    CADALANU Giampaolo. 48 anni, di Nuoro.Ha iniziato a scrivere allUnione Sarda.Nell89 era in Germania, da dove mandavapezzi al Corriere della Sera. Nel 1996 statoassunto da Repubblica. Sposato, ha due bam-bini: Federico (8 anni) ed Elias (2). un bu-limico della lettura e ogni tanto ama rileg-gere Il giorno del giudizio di Salvatore Satta eDedalus di James Joyce. Il poco tempo liberoche ha lo dedica ai figli, ma non gli dispiace-rebbe andare di pi al cinema e riprenderea fare nuoto.

    FERTILIO Dario. 56 anni, famiglia di ori-gine dalmata e matrimonio precocissimo conil Corriere della Sera, cui non ne seguito an-cora uno con una fanciulla in carne ed ossa.Libri: Le notizie del diavolo (Spirali), Arrembag-gi e pensieri (Rizzoli), Teste a pera e teste a mela(Rubettino), La morte rossa (Marsilio). Preferi-sce il rugby al calcio, e niente (a parte la gra-zia femminile) lo emoziona come gli scacchi ela boxe.

    MINA (Anna Mina Mazzini). 66 anni, daBusto Arsizio, ma cresciuta a Cremona. lapi grande cantante italiana del dopoguer-ra: debutto nel 1958 alla Bussola di Marinadi Pietrasanta, esordio in tv lanno dopo alMusichiere con Nessuno. Lattivit giornalisti-ca ha inizio dopo il ritiro nel 1978 (ultimoconcerto alla Bussola di Viareggio, ultimaapparizione tv Ancora ancora ancora). Pezzisettimanali su La Stampa e su Vanity Fair.Ultimo disco: Allieva, in cui interpreta quat-tordici brani a suo tempo cantati da FrankSinatra.

    PIOLI Giampaolo. Inviato speciale per gliStati Uniti di Quotidiano Nazionale (Il Restodel Carlino - La Nazione - Il Giorno) dal 1986.Vive e lavora a New York.

    POLESE Ranieri. Nato a Cascina (Pisa) nel1946. Dopo la laurea in Filosofia ha collabo-rato con la Nazione come critico cinemato-grafico. Dal 1987 a LEuropeo, due anni dopo passato al Corriere della Sera per lavorareallinserto culturale del luned prima di di-ventare caporedattore e inviato (1995). Passio-ni: cinema, musica pop anni Sessanta e libri.Ne ha anche scritto uno: Il film della mia vita,Rizzoli 1995. Ha curato nel 2005 lalmanaccoGuanda La musica che abbiamo attraversato.

    QUIRICO Domenico. 55 anni, di Asti, lau-reato in Giurisprudenza. Sposato con Giu-lietta, ha due figlie: Metella (ho una fissaper lantichit classica) e Eleonora. Ha ini-ziato a scrivere nell80 per La Stampa. sta-to caposervizio degli Esteri, ora corrispon-dente da Parigi. Libri: Lo squadrone bianco(Mondadori, 2002) e Adua (Mondadori, 2004). un grande appassionato della storia edella societ africana. Nel tempo libero si

    Gli otto operai che hanno vinto al lotto 310 milioni di euroImpacchettavano bistecche nel Nebraska con in testa il sogno americano. Sbancando la lotteria hanno dimostrato che la fortuna non (sempre) cieca

    IL FOGLIO quotidianoORGANO DELLA CONVENZIONE PER LA GIUSTIZIADirettore Responsabile: Giuliano FerraraVicedirettore Esecutivo: Ubaldo Casotto

    Vicedirettore: Daniele BellasioRedazione: Annalena Benini, Maurizio Crippa

    Stefano Di Michele, Marco Ferrante, Alessandro GiuliPaola Peduzzi, Marianna Rizzini, Christian Rocca

    Guia Soncini, Nicoletta Tiliacos, Vincino.Giuseppe Sottile (responsabile dellinserto del sabato)

    Editore: Il Foglio Quotidiano societ cooperativaLargo Corsia dei Servi 3 - 20122 Milano

    Tel. 02.771295.1 - Fax 02.781378Presidente: Giuseppe Spinelli

    Consigliere Delegato: Denis VerdiniConsigliere: Luca Colasanto

    Direttore Generale: Michele BuracchioRedazione Roma: Lungotevere Raffaello Sanzio 8/c

    00153 Roma - Tel. 06.589090.1 - Fax 06.58335499Registrazione Tribunale di Milano n. 611 del 7/12/1995

    Telestampa Centro Italia srl - Loc. Colle Marcangeli - Oricola (Aq)STEM Editoriale spa - Via Brescia, 22 - Cernusco sul Naviglio (Mi)