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Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali (www.storiaglocale.it) Direttore: Gino Massullo ([email protected]) Comitato di redazione: Rossella Andreassi, Antonio Brusa, Oliviero Casacchia, Renato Cavallaro, Raffaele Colapietra, Gabriella Corona, Massimiliano Crisci, Marco De Nicolò, Norberto Lombardi, Sebastiano Martelli, Massimiliano Marzillo, Gino Massullo, Giorgio Palmieri, Roberto Parisi, Rossano Pazzagli, Edilio Petrocelli, Antonio Ruggieri, Saverio Russo, Ilaria Zilli Segreteria di redazione: Marinangela Bellomo, Maddalena Chimisso, Michele Colitti, Antonello Nardelli, Bice Tanno Direttore responsabile: Antonio Ruggieri Progetto grafico e impaginazione: Silvano Geremia Questa rivista è andata in stampa grazie al contributo di:

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Migrazioni

Novembre 2011

Argilli / Casacchia / Chieffo / Chiodi / Colucci / Costa / Crisci / De Clementi / De Luca / De Martino / Di Rocco / Di Stasi / Faonte /

Izzo / N. Lombardi / T. Lombardi / Marinaro / Martelli / Massa / Massullo / Melone / Palmieri / Pazzagli / Pesaresi / Piccoli / Pittau /

Presutti / Ruggieri / Scaroina / Spina / Tarozzi / Verazzo

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In copertina: Berga, Gli emigranti, tecnica mista, tela, 110 x 140 cm, 2012 © 2013 Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali, Edizioni Il Bene Comune Tutti i diritti riservati Registrazione al Tribunale di Campobasso 5/2009 del 30 aprile 2009

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Indice 9 Migrazioni, dal secondo dopoguerra ad oggi

FACCIAMO IL PUNTO 17 L’emigrazione meridionale nel secondo dopoguerra

di Andreina De Clementi

1. I limiti della riforma agraria 2. Forme e tempi dell’esodo 3. Il sorpasso meridionale 4. I quartieri italiani 5. Il polo europeo 6. L’inarrestabile cataclisma 7. Ruoli e percorsi di genere 8. L’impiego dei risparmi e delle rimesse 9. Il futuro nel passato

37 Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione

di Michele Colucci

1. Le posizioni dei partiti e dei sindacati all’indomani della guerra 2. Le sinistre 3. La Democrazia cristiana

IN MOLISE

51 I molisani tra vocazioni transoceaniche e richiami continentali

di Norberto Lombardi

1. Cade lo steccato del Molise «ruralissimo» 2. Esodo e spopolamento 3. Vecchie traiettorie transoceaniche 4. Nuovi approdi transoceanici 5. La scoperta dell’Europa

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6. La svolta europea 7. Molisani nel mondo 8. Le reti associative 9. Le leggi e le Conferenze regionali 10. Studi e rappresentazioni dell’emigrazione dei molisani 11. Conclusioni: quasi un inizio

107 Appendice: Le associazioni di Molisani in Italia e nel mondo

a cura di Costanza Travaglini 117 L’esodo dal Molise tra il 1952 e il 1980. Nuove destinazioni e riflessi

socio-economici di Cristiano Pesaresi

1. Il quadro d’insieme 2. Le principali destinazioni nell’intervallo 1962-68 e le condizioni socio-

economiche del Molise 3. Le tendenze degli anni 1972-80 e le condizioni socio-economiche del Molise

131 La mobilità silente: i molisani nei percorsi globali

di Oliviero Casacchia e Massimiliano Crisci

1. La mobilità residenziale dagli anni novanta ad oggi 2. Concetto e fonti della mobilità temporanea di lavoro 3. I flussi temporanei per lavoro 4. Alcune conclusioni

151 L’immigrazione nel Molise: presenze, aspetti sociali e occupazionali

di Renato Marinaro e Franco Pittau

1. Il Molise nell’attuale quadro nazionale dell’immigrazione 2. I dati principali sulle presenze 3. Gli indicatori sociali 4. Le statistiche occupazionali 5. Immigrazione e integrazione 6. L’emergenza del 2011: l’accoglienza dei flussi in provenienza dal Nord Africa 7. Conclusioni: potenziare le politiche migratorie e la sensibilizzazione

165 Letteratura come autobiografia: la scrittura di Rimanelli tra le due

sponde dell’oceano di Sebastiano Martelli

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Indice

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INTERVISTE 185 Testimonianze d’altrove: domande per alcuni giovani diplomati e

laureati che hanno lasciato il Molise negli ultimi anni a cura di Norberto Lombardi

IERI, OGGI E DOMANI

205 Risorse umane

Tavola rotonda a cura di Antonio Ruggieri

RIFLESSIONI 247 Dal globale al locale. Riflessioni sul progetto territorialista

di Rossano Pazzagli

1. Ritorno al territorio 2. Il territorio come bene comune 3. Urbano e rurale 4. Nuovi sentieri nell’orizzonte della crisi

253 Territorialità, glocalità e storiografia

di Gino Massullo

1. Comparazione e contestualizzazione 2. Territorialità e glocalità

WORK IN PROGRESS

261 Identità, emigrazione e positivismo antropologico

di Paola Melone

1. Introduzione 2. Considerazioni concettuali 3. La corrente del positivismo antropologico 4. L’emigrazione italiana negli Stati Uniti: la classificazione etnica e gli

stereotipi culturali 5. Conclusioni

275 Donne e corporazioni nell’Italia medievale

di Jacopo Maria Argilli

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DIDATTICA 289 Tra “buona pratica” e teoria efficace. Quando la Storia aiuta la persona,

stimola il gruppo, sostiene un popolo di Clara Chiodi e Paola De Luca

1. Primi giorni di scuola 2. Cognizione e metacognizione 3. Dal bisogno educativo all’azione didattica

STORIOGRAFIA

297 Fra storiografia e bibliografia. Note sui “libri dei libri”

di Giorgio Palmieri

1. Un “libro dei libri” 2. Altri “libri dei libri” 3. I “libri dei libri”

MOLISANA

307 Almanacco del Molise 2011

Recensione di Antonella Presutti 313 Salvatore Mantegna, Giacinta Manzo, Bagnoli del Trigno. Ricerche

per la tutela di un centro molisano Recensione di Clara Verazzo

316 I di Capua in Molise e il controllo del territorio. Note a margine della

presentazione del volume curato da Daniele Ferrara, Il castello di Capua e Gambatesa. Mito, Storia e Paesaggio di Gabriella Di Rocco

321 Abstracts 327 Gli autori di questo numero

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IN MOLISE

I molisani tra vocazioni transoceaniche e richiami continentali

di Norberto Lombardi

1. Cade lo steccato del Molise «ruralissimo»

Dopo il passaggio degli eserciti nel Molise e ancora all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, la preoccupazione prevalente dei molisani non è quella di emigrare dalla propria terra e di cercare altrove migliori op-portunità di lavoro e di vita. S’impongono esigenze più immediate, come il ritorno dei prigionieri, il carovita, la ricostruzione dei paesi bombardati, il ripristino delle vie di comunicazione stradali e ferroviarie, la fornitura di ac-qua ed energia elettrica, la disponibilità di materie prime per il funzionamen-to delle attività artigianali. La ripresa è vista, dunque, in un orizzonte abba-stanza ristretto, come risanamento delle ferite che la guerra ha inferto alla compagine sociale e alle strutture produttive, semmai come consolidamento e sviluppo delle attività tradizionali. L’unico settore nel quale la prospettiva s’allarga è quella della viabilità interregionale, alla quale si affida la speran-za di rompere l’isolamento della provincia, in tempi comunque non brevi.

Lo spoglio delle pagine locali dei quotidiani e dei periodici variamente mili-tanti, comparsi con il ritorno della democrazia, e l’esame dell’attività istituzio-nale, in particolare del Consiglio provinciale di Campobasso, sono addirittura sorprendenti per il ritardo e l’episodicità con cui ci si rapporta ad un tema così profondamente radicato nella condizione sociale e nella cultura dei molisani1. Bisognerà attendere, ad esempio, il 1949 perché sulle colonne di «Il Messag-gero», compaia una corrispondenza da Agnone, uno degli epicentri storici

1 Per un inquadramento generale del fenomeno emigratorio nella storia della regione, si ve-dano Ricciarda Simoncelli, Il Molise. Le condizioni geografiche di un’economia regionale, K ed., Roma 1972, pp. 105-127; Francesco Citarella, Le condizioni geografico economiche del Molise e la diffusione territoriale dell’emigrazione transoceanica, in Idem (a cura di), Emi-grazione e presenza italiana in Argentina, CNR, Roma 1992, pp. 319-348; Gino Massullo (a cura di), Storia del Molise, voll. IV e V, Laterza, Roma-Bari 2000; Idem, Grande emigrazione e mobilità territoriale in Molise, «Trimestre», XXVIII, 1994, 3-4, pp. 497-522; Norberto Lombardi, Il Molise fuori dal Molise, in Gino Massullo (a cura di), Storia del Molise in età contemporanea, Donzelli, Roma 2006, pp. 535-640.

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dell’emigrazione molisana2, nella quale si rileva il franamento di popolazione attiva che sta avvenendo e si auspica almeno un freno alla partenza dei lavora-tori di mestiere, che partono, ad opinione dell’articolista, per la moda di partire e per gli ingannevoli richiami che provengono dall’America3.

Eppure la guerra e le vicende dell’immediato dopoguerra, anche se in modo sotterraneo e indiretto, hanno ridestato lontani fermenti, ovattati dalla ruralizza-zione perseguita dal fascismo4, e acceso nuove inquietudini, in particolare nei ceti medio-bassi. Il passaggio degli eserciti alleati, ben dotati di generi di con-forto e prodighi verso la popolazione, ha riportato alla memoria il richiamo di quella “Mereca bona” che aveva attratto centinaia di migliaia di molisani, aiu-tandoli a migliorare la propria condizione, sia di qua che di là dell’Atlantico. Le fugaci e inaspettate visite di soldati, figli e nipoti di vecchi emigrati, hanno rin-saldato l’idea che quei legami non sopravvivano solo nei racconti familiari, ma possano essere recuperati e rafforzati. Tanto più che la pioggia di pacchi prove-nienti da quegli ormai lontani parenti, che nell’immediato dopoguerra inonda i paesi meridionali, sembra confermare una disponibilità al soccorso e all’ac-coglienza che può rimettere in moto collaudati meccanismi di solidarietà paren-tale. Paradossalmente rispetto alle politiche economiche e demografiche del fa-scismo, la stessa domanda di partecipazione da parte di lavoratori molisani alle attività di colonizzazione in Africa Orientale, una domanda accolta solo in par-te5, e le pur sporadiche esperienze compiute nel quadro degli accordi di lavoro tra l’Italia e la Germania hitleriana hanno sedimentato la sensazione che la so-luzione dei problemi occupazionali possa essere ricercata, come per un lungo passato, anche fuori dei confini provinciali.

Inquietudini e primi segnali di insofferenza per una condizione di vita di-sagiata e per gerarchie familiari troppo rigide sono riportate poi dai reduci, che hanno avuto modo di conoscere realtà più aperte e dinamiche. I prigio-nieri di guerra, in particolare, hanno ascoltato i racconti sulla possibilità di rapporti di lavoro più dignitosi e meglio remunerati di quelli praticati nelle campagne molisane. In alcuni casi, anzi, come in Australia, hanno potuto avviare, da prigionieri, esperienze di lavoro che più tardi cercheranno di re-plicare da uomini liberi, questa volta nel quadro di una mobilità internazio-nale regolata da accordi tra gli stati.

2 Sull’andamento dell’emigrazione nel comune di Agnone e sulle direttrici che tale esodo ha avuto nel tempo, cfr. il noto William A. Douglas, L’emigrazione in un paese dell’Italia meri-dionale. Agnone tra storia ed antropologia, Giardini, Pisa 1990.

3 Guido Carlomagno, Emigranti ed emigrazione, “Il Messaggero”, 21-1-1949, pag. 2. 4 Sulla situazione della società e dell’economia molisane durante il fascismo, si veda G.

Massullo, Dalla periferia alla periferia in Idem (a cura di), Storia del Molise in età contem-poranea, cit., pp. 475-486. 5 Cfr. Daniela Serio, Il lavoro italiano nelle colonie. Il Molise e l’Africa Orientale (1936-1940), Iannone, Isernia 2003, pp. 20 ss.; N. Lombardi, Il Molise fuori dal Molise, cit., pp. 584-85.

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Lombardi, I molisani tra vocazioni transoceaniche e richiami continentali

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La guerra, insomma, ha contribuito ad accelerare il processo di scollamento culturale di quei ceti che nelle condizioni di arretratezza della società e dell’economia provinciali non possono trovare una risposta ai loro bisogni primari di lavoro e di miglioramento delle condizioni di vita. Tanto più che l’inaridimento dei flussi in uscita dovuto prima al fascismo e poi alle mutate condizioni internazionali – flussi che erano stati per i cinquant’anni a cavallo del Novecento un fondamentale fattore di regolazione degli equilibri demogra-fici e occupazionali – ha portato la popolazione al suo massimo storico6, de-terminando un rapporto di non sanabile scompenso con le risorse disponibili.

Il disagio sociale, dunque, è destinato a crescere in breve tempo, sia per l’obiettiva difficoltà di trovare risposte alla domanda di lavoro e di reddito in un quadro produttivo arretrato, colpito per altro dalla guerra proprio nei comparti più dinamici, ad iniziare da quelli molitorio e idroelettrico7, sia per l’abbassamento della soglia di assuefazione a condizioni di vita avvertite come sempre meno sopportabili.

Per la verità, non si tratta di sensazioni del tutto nuove, perché già nella se-conda metà degli anni trenta la domanda di lavoro extragricolo, spesso rac-colta e rilanciata dalle organizzazioni locali e provinciale del regime, si in-tensifica e crea delle crepe nel clima di artificiosa pace sociale imposta dal governo. Se ne trova un’esplicita testimonianza nei carteggi che i Prefetti del tempo intrattengono con il governo e con il Commissariato per le Migrazio-ni, nei quali la richiesta di collocazione di lavoratori molisani nelle colonie e nelle grandi opere di regime si fa a volte accorata e insistente8. È sorprenden-te, invece, per non dire sconcertante, il paragone tra questo atteggiamento e quello tenuto dai Prefetti che si susseguono a Campobasso negli anni del do-poguerra, nelle cui relazioni, reiterate burocraticamente mese per mese, il problema del lavoro e del reddito è quasi esclusivamente trattato in termini di ordine pubblico e di risposta d’emergenza a calamità naturali. Non una so-la volta, per altro, si usa il termine «emigrazione», anche quando dal 1947 essa inizia decisamente a svilupparsi9.

6 Al censimento del 1951, la popolazione molisana ammonta a 407.000 residenti, il 115,5% rispetto a quella del 1861, superiore di 30.000 unità rispetto a quella del 1931 e di circa 20.000 rispetto a quella censita nel 1936. Cfr., Luigi Nocera – Fabrizio Plescia, Il Molise tra i censimenti del 1936 e 1951, «Almanacco del Molise 1995», pp. 210-217.

7 Il quadro dettagliato dei danni di guerra alle opere pubbliche e civili, è desumibile da Amministrazione Provinciale di Campobasso, Relazione sull’attività svolta dal 1944 al 1952, Arti Grafiche Di Mauro, Cava dei Tirreni 1953, pp. 210-233, e le notizie riguardanti il com-parto molitorio e pastaio nello stesso volume alle pp. 502-04. Cfr. anche Roberto Colella, I danni di guerra e lo sminamento in Giovanni Cerchia (a cura di), Il Molise e la guerra totale, Iannone, Isernia 2012, pp. 353-368.

8 ASC, Gabinetto di Prefettura, 085-0854 e 115-0799-23-18. 9 ACS, PS 1944-46, b. 29, f. Campobasso; ACS, PS 1948, b. 16, f. Campobasso; ACS, PS

1949, b. B 5, f. Campobasso; ACS, PS 1950 I sez., b. 10, f. Campobasso.

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I vincoli strutturali dell’economia provinciale e l’arretratezza delle condi-zioni di vita in cui versa la grande maggioranza dei molisani sono tuttavia tali da provocare, al di là delle politiche di sostegno e assistenziali rivolte in particolare ai contadini, una spirale espulsiva che coinvolge quote importanti di popolazione in un arco temporale che durerà circa un trentennio. Gli asset-ti produttivi e sociali, infatti, si rivelano sempre meno compatibili con le esi-genze di una popolazione che continua costantemente a svilupparsi, con rit-mi di natalità che inizialmente compensano largamente l’emorragia emigra-toria. È significativo, anzi, come l’allontanamento dalla provincia delle clas-si più giovani non incida in modo considerevole sui tassi di incremento della popolazione. Per il comune capoluogo, ad esempio, il tasso di natalità, fa-cendo 100 quello registrato nel 1901, diventa di 207 nel 1951, a fronte di 195 degli altri comuni capiluoghi e di 135 della media italiana10. Il ristagno dell’emigrazione negli anni trenta e nel corso della guerra determina, quindi una tensione tra popolazione e risorse che si manifesta tangibilmente solo dopo la caduta del fascismo e il ripristino delle condizioni internazionali di mobilità. Nelle dinamiche demografiche dei molisani incidono notevolmente le abitudini riproduttive tipiche del mondo rurale, rafforzate ed esaltate dalla propaganda natalista del fascismo, tenendo presente che la percentuale della popolazione dedita all’agricoltura ancora nel dopoguerra poco si discosta da quell’80% censito un decennio prima11.

Questa tensione solo in parte si manifesta negli indici ufficiali della di-soccupazione, dal momento che nella maggior parte dei casi il bisogno di lavoro e di reddito resta latente nelle ampie fasce di sottoccupazione agri-cola. In realtà, il numero ufficiale dei disoccupati e degli inoccupati negli anni immediatamente successivi alla guerra non si distacca eccessivamente da quello registrato negli anni immediatamente precedenti. Solo quando, a partire dal cinquanta, incominciano a realizzarsi programmi di opere pub-bliche di una qualche consistenza, l’iscrizione alle liste del collocamento si allarga sensibilmente12.

10 Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Campobasso, Caratteri economici e di-soccupazione della Provincia di Campobasso (monografia a cura del dott. Primiano Lasor-sa), Dott. Luigi Macrì edit., 1953, pag. 4.

11 Al censimento del 1936 (i rilevamenti di quello del 1951 non sono facilmente comparabi-li), i molisani addetti all’agricoltura, sui 376.184 presenti e sui 185.319 attivi, sono 148.374, pari all’80,1%. Si consideri che nello stesso comune capoluogo, gli addetti all’agricoltura so-no circa il 50%. Ivi, pag. 5.

12 Nel 1938 e 1939 la disoccupazione ufficiale oscilla tra un massimo di 14.000 iscritti circa e un minimo di 5.000 circa; nel ’48 il numero dei disoccupati, ancora abbastanza approssima-tivo, è compreso in una forbice tra le 9.000 e le 6.000 unità e solo l’anno successivo, quando finalmente entrano in funzione i collocatori comunali, si arriva ad un picco di 12.300 unità, bilanciato da un minimo di 6.000 unità. Dal ’50 in poi, la disoccupazione massima cresce da 14.000 a oltre 16.000 e la minima da 10.000 a 12.000. Ivi, pag. 11.

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Lombardi, I molisani tra vocazioni transoceaniche e richiami continentali

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Dopo la chiusura degli sbocchi americani, le politiche di freno del fascismo e l’esaltazione del ruolo “nazionale” dei produttori agricoli, combinate con la secolare assuefazione a condizioni di vita disagiate e a un regime alimentare ristretto, contribuiscono a perpetuare per alcuni decenni una percezione sta-tica e chiusa della ruralità, con poche alternative praticabili. Nel dopoguerra, però, quel modello di lavoro e di vita diventa sempre meno sostenibile sia per l’arretratezza delle forme di lavoro e dei livelli di retribuzione che per il veloce maturare di orientamenti culturali più aperti ed esigenti. Il mondo contadino molisano, non diversamente da quello meridionale, inizia a scon-gelarsi e l’esodo ne rappresenta una delle espressioni più evidenti e diffuse.

Quando il processo di abbandono ha ormai scavato il suo solco più profondo nella società molisana, la contraddizione tra esigenze della popolazione e orga-nizzazione delle risorse è sottolineata con lucida sintesi da Corrado Barberis:

Nel 1951 la popolazione attiva registrata dal censimento constava di 202 mila unità. Nel 1970 le forze di lavoro occupate sono scese a 121 mila. Anche a cavillare sulla diversa natura delle due rilevazioni, non resta meno indicativo che l’occupazione, nel Molise, è scesa del 40% circa. È vero che questa diminuzione è imputabile esclusivamente all’esodo agrico-lo, perché l’industria e i servizi hanno aumentato i loro addetti da 49 mila a 62 mila; ma l’incremento è troppo tenue per essere considerato soddisfacente. Con la sua esilità esso mette in luce il dramma delle popolazioni molisane che, per cambiare mestiere, hanno anche dovuto cambiare di residenza, uscire dal confine della regione13.

Il nesso tra arretratezza delle campagne ed emigrazione è affermato dun-

que, in modo preciso e fors’anche esclusivo, dal momento che non si fa al-cun cenno a fattori di ordine sociale e culturale, che nella realtà dei fatti sono stati anch’essi penetranti. Attenta, invece, è l’indicazione delle conseguenze che un esodo così torrenziale avrebbe avuto sul piano degli equilibri demo-grafici e degli assetti sociali:

Si spiega così la grande emigrazione, che ha fatto scendere il totale della po-polazione molisana da 407 mila unità nel 1951 a 331 mila nel 1970. E il bi-lancio sarebbe ancora più preoccupante a mettere nel conto l’emigrazione temporanea di persone che pur mantengono la residenza ufficiale a Campo-basso e Isernia, l’invecchiamento della popolazione ecc. Se il Molise perde più occupati che residenti, è chiaro che nella regione si altera profondamente il rapporto tra lavoratori e unità a carico14.

13 Corrado Barberis, Avvio ad un dibattito sul futuro della società molisana in Convegno sui problemi dell’agricoltura molisana, dattiloscritto, [s. d., probabilmente primi anni settanta], p. 2. 14 Ibidem.

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Nei gruppi dirigenti locali, tuttavia, non si manifesta una precisa consapevo-lezza di questa rottura che inizia a consumarsi nella società molisana. La nuova fase che si apre con la caduta del fascismo e il tendenziale superamento dei tra-dizionali assetti sono avvertiti certamente come un passaggio di necessaria mo-dernizzazione della compagine provinciale, ma tutte le energie politiche e istitu-zionali sono rivolte, oltre che alla ricostruzione, alla realizzazione di una viabili-tà interna ed esterna più adeguata e alla dotazione di opere di civiltà: acquedotti, fognature e scuole. Opere quanto mai necessarie e richieste, capaci anche di dare un qualche sollievo al bisogno di lavoro, che tuttavia diventano per qualche de-cennio l’orizzonte quasi esclusivo della dialettica politica e delle scelte di gover-no. Il controllo della spesa pubblica, così, diventa il fattore regolatore degli as-setti di potere e il crisma della cultura politica prevalente.

Le dinamiche sociali, collegate in larga misura ai ceti rurali, la fascia di popolazione del tutto maggioritaria, sono affrontate per diversi decenni con misure di assistenza e di integrazione del reddito, che s’inscrivono in una lo-gica sostanzialmente di sostegno sociale, più che di sviluppo. La spinta alla mobilità che intensamente si manifesta viene percepita non come un fattore strutturale di cambiamento di una società arretrata, ma come un rischio di abbandono e spesso come un motivo di contrasto polemico all’interno di una lotta politica di limitato respiro. I riferimenti all’emigrazione, che intanto ha ripreso a fluire, quando non sono atti d’accusa verso la classe dirigente, compaiono come argomentazioni a contrario per la richiesta di investimenti pubblici o come occasione di partecipazione morale a disgrazie di lavoro in ambito nazionale e internazionale.

Come nel passato, la scelta di emigrare ha dunque un carattere sostanzial-mente individuale e familiare, anche quando si dirige verso i canali istituzio-nali che sono stati predisposti nei primi anni del dopoguerra per assecondarla e indirizzarla. Essa matura, infatti, al di fuori di una riflessione comune sul cambiamento della società provinciale e sul suo possibile destino e assume, comunque, le forme peculiari dei tempi in cui si concretizza.

2. Esodo e spopolamento

La ripresa dei flussi assume forme diverse, che solo in parte corrispondono alle esperienze emigratorie vissute dagli italiani nel primo trentennio del No-vecento. Per coloro che decidono di cercare altrove la risposta alle esigenze primarie di ordine personale e familiare, la gamma delle destinazioni si allarga rispetto al passato e si realizza un diverso equilibrio tra quelle transoceaniche e quelle europee. Le scelte dei molisani sono in linea con questi orientamenti.

Oltre alla diversa distribuzione continentale dei flussi in uscita, un’altra importante differenza si manifesta rispetto al passato: nuove rotte transocea-

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niche si aggiungono a quelle tradizionali, dal momento che nelle Americhe, accanto alle storiche destinazioni, entrano decisamente nelle opzioni migra-torie degli italiani paesi come il Canada e il Venezuela, e lo stesso accade in Oceania con l’Australia. Queste importanti novità, comunque, arricchiscono il quadro dei riferimenti, ma non determinano il superamento delle tradizio-nali polarizzazioni, che sia pure in fasi determinate e in dimensioni più con-tenute continuano ad esercitare la loro forza di attrazione.

Un elemento di discontinuità ancora più importante è l’opzione crescente dei meridionali per i paesi europei, nel passato appena sfiorati dalle loro traiettorie emigratorie. Questa evoluzione è favorita da un triplice fattore: l’orientamento dei governi democratici italiani, che considerano l’emigra-zione come una soluzione necessaria per la grave disoccupazione esistente nel paese negli anni del dopoguerra e come sfogo delle tensioni sociali e po-litiche che si manifestano; la forte richiesta di manodopera proveniente dai paesi nordeuropei per risolvere in tempi rapidi i problemi della ricostruzione e della ripresa della produzione; il consolidamento di un sistema di regola-zione della mobilità internazionale di lavoro realizzata attraverso accordi bi-laterali tra gli stati15.

Che l’espatrio sia considerato un rimedio necessario ai problemi che l’Italia deve affrontare e che sia indispensabile cogliere la particolare congiuntura che il mondo occidentale e l’Europa attraversano è detto in modo del tutto trasparente nei documenti ufficiali che trattano questa eventualità:

dovrebbe trattarsi di contingenti emigratori di portata la più vasta possibile; e perché i loro effetti possano essere veramente apprezzabili il volume dovreb-be essere anche superiore a quello che oggi è possibile prevedere […]. I van-taggi dell’emigrazione per l’Italia non possono essere limitati al solo settore economico; non meno importanti potranno essere i riflessi sociali. Da una e-levazione del tenore di vita e del reddito medio, anche le lotte sociali potran-no essere grandemente attenuate, eliminando il pericolo che un paese di circa 50 milioni venga continuamente turbato e minacciato da disordini e agitazio-ni, in gran parte dovuti al troppo basso tenore di vita e alla disoccupazione16.

Nel quadro nazionale, diventa subito evidente la forte intensità dell’emi-

grazione degli abruzzesi-molisani. Nel periodo ’47-’56 il tasso medio di espa-tri annui su mille abitanti nella comparazione tra le regioni è il più alto d’Italia

15 Per un approfondimento di questi aspetti, si rinvia ai contributi di Andreina De Clementi e di Michele Colucci in questo stesso numero della rivista.

16 Ministero degli Affari Esteri – Direzione Generale dell’Emigrazione, Emigrazione italia-na (Situazione - Prospettive - Problemi) 31 marzo 1949, citato in Giuseppe Lucrezio Monti-celli, Luigi Favero, Un quarto di secolo di emigrazione italiana, «Studi emigrazione», anno IX, 25-26, marzo-giugno 1972, p. 39. La citazione è ripresa anche da Francesco Barbagallo, Lavoro ed esodo nel Sud 1861-1971, Guida, Napoli 1973, p. 259.

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(9,6‰), si conserva tale, sia pure ad un livello più contenuto (6,7‰) nell’arco di tempo tra il ’57 e il ’64, e quando il Molise si è ormai distaccato dal-l’Abruzzo esso balza addirittura al 23,7‰. Negli anni settanta, quando l’emi-grazione rallenta e sembra fermarsi a causa della crisi conseguente allo shock petrolifero, il tasso del Molise resta comunque il più elevato tra le regioni ita-liane (7,7‰)17. Questo andamento conferma, sia pure indirettamente, che nello stesso ambito abruzzese, fino a quando l’autonomia regionale del Molise non si compie, il tasso di emigrazione degli abitanti della provincia di Campobasso è costantemente più elevato di quello delle altre province.

In cifre assolute, nel decennio postbellico gli espatri di cui sono protagoni-sti i molisani sono circa 78.000; a questi se ne aggiungono 60.000 nella se-conda metà dei cinquanta. Negli anni sessanta gli espatri sono circa 90.000 e si riducono, per le ragioni già indicate, a poco più di 17.000 nella prima metà dei settanta. Nel complesso, il movimento registra circa 245.000 espatri, cor-rispondenti al 60% della popolazione residente al 195118.

Una scansione temporale più analitica consente di evidenziare che i flussi di-ventano consistenti a partire dal 1947, sfiorano le 10.000 unità nel ’51 e ’52, crescono ulteriormente negli anni centrali del decennio raggiungendo i 13.500 nel ’56. Nel triennio ’60-’62 conoscono una nuova impennata sfiorando le 13.000 unità, per poi ripiegare più lentamente nella seconda metà dei sessanta e più bruscamente nei primi anni settanta. La media annuale più alta è quella del decennio ’56-’65 con 11.478 espatri, superiore di 3.650 unità a quella del decennio precedente e di 6.173 a quella del decennio successivo19.

Il ’47 è, dunque, l’anno nel quale per i molisani si riaprono le porte del mondo, dopo una quindicina d’anni di forzata clausura entro i confini pro-vinciali. Volendo cogliere sommariamente in questa evoluzione di ordine quantitativo le preferenze territoriali che orientano i flussi in uscita, le scelte per il Belgio e la Francia già dai primi anni si affiancano a quelle per i tradi-zionali paesi transoceanici. A cavallo del ’50 vi è una forte ripresa delle par-tenze per l’Argentina, favorite dalla fase espansiva che vive l’area platense e dalla politica di immigrazione “europeistica” di Juan Domingo Peròn, che anche per questo conserverà una forte presa nell’immaginario dei migranti

17 Vincenzo Rivera, Profilo essenziale dell’emigrazione abruzzese dall’Unità ad oggi, in Studi monografici sulla popolazione abruzzese, Centro regionale di studi e ricerche economi-co sociali (CRESA), L’Aquila 2001, www.cresa.it/pubblicazioni/ popolazione/cap_3.pdf.

18 Gian Fausto Rosoli, Un secolo di emigrazione italiana, CSER, Roma 1978, p. 360. Il numero degli espatri, naturalmente, è più alto di quello delle persone che abbandonano la re-gione sia per il fatto che esso è al lordo dei rientri che per il fatto di assommare l’attraversamento plurimo delle frontiere da parte delle stesse persone. Le cifre, però, non re-gistrano il fenomeno degli espatri clandestini dei molisani che non è meno presente in Molise rispetto ad altre realtà territoriali.

19 Ibidem.

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italiani. Non sono da trascurare, comunque, le prime piste aperte in questi anni verso Canada, Venezuela e Australia.

La svolta della seconda parte dei cinquanta e del primo lustro dei sessanta è legata fondamentalmente alla sostituzione delle precedenti destinazioni in am-bito europeo con quelle per la Svizzera e la Germania, che diventano mete prevalenti, e nella sfera intercontinentale con la forte attrazione del Canada, per il quale le catene familiari restano tese e attive fino ai primi anni settanta.

Il quadro della mobilità dei molisani nella seconda metà del Novecento de-ve tener conto, come si dirà in seguito, degli spostamenti interni alla provin-cia e di quelli, non meno consistenti, verso altre aree del paese, in particolare Roma, le vicine province abruzzesi e le zone industrializzate del nord-ovest e della Lombardia, alle quali più tardi si aggiungono quelle emiliane, verso le quali si dirigono in particolare gli abitanti del Basso Molise.

Con tutta la prudenza derivante dalle imperfezioni e dai ritardi delle registra-zioni anagrafiche20, delle 9.283 cancellazioni annotate nel 1973 circa un 40% avvengono per prevalente reiscrizione nei pochi comuni molisani che hanno manifestato un’espansione urbana, mentre il restante 60% per altre aree del paese. Più precisamente, un 4,5% in Piemonte, circa un 10% in Lombardia, un 10,7% nel Lazio, poco meno in Abruzzo, un 6,8% in Campania, un 7,7% in Puglia. In larga sintesi, la mobilità interna molisana si è diretta per quote quasi equivalenti verso i comuni della stessa provincia e verso il centro-nord (37% circa), per una quota meno importante (23%) verso l’Abruzzo e le altre regioni meridionali21.

Lo spostamento dai paesi rurali ai centri urbani in crescita, che si riducono a Campobasso e Isernia e, quando si avvia un processo di industrializzazione in quelle aree, ai comuni della costa e a quelli del Venafrano, è dovuto prima di tutto alla forza espulsiva della disoccupazione e sottoccupazione agricola da un lato e a quella attrattiva dell’espansione edilizia e della progressiva ar-ticolazione amministrativa. Non minore importanza assume anche la possibi-lità di una più elevata scolarizzazione dei figli e il richiamo di un modello di vita urbano, sia pure a misura provinciale. Pur nella linearità di questi pro-cessi, compaiono, però, motivi di maggiore complessità che non vanno tra-scurati. Prima di tutto, il movimento non è solo unidirezionale campagna-centro urbano perché spesso si traduce nella sostituzione di contadini già e-

20 Ci sono diverse ragioni che rendono parzialmente significativi i dati sulle migrazioni in-terne: il ritardo da parte degli interessati nella regolarizzazione delle annotazioni; la mancan-za, fino al 1955, di serie statistiche dell’ISTAT sul fenomeno; il prolungamento fino al 1961 della legge sulle migrazioni interne del 1939, che per ostacolare l’urbanesimo richiedeva di trasferire la residenza solo dimostrando di avere un contratto di lavoro e, nello stesso tempo, non consentiva agli Uffici del lavoro di concedere il nulla osta senza la residenza.

21 Elaborazioni su dati ISTAT riportati in SVIMEZ, Un quarto di secolo delle statistiche Nord-Sud (1951-1976), cit., pp. 122-23.

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migrati da zone collinari più fertili con contadini di zone montane più disa-giate. Lo stesso spostamento verso la città spesso prelude ad una forma mista di lavoro in agricoltura e in edilizia e, in altri casi, rappresenta solo la prima tappa di un percorso emigratorio che si sviluppa in diverse battute. Vi sono interi quartieri popolari, come il centro storico di Campobasso, che per de-cenni si svuotano di persone dirette all’estero o verso altre regioni italiane e si riempiono di persone che hanno abbandonato il loro paese, conservandovi però piccole proprietà edilizie o rurali.

Dalla combinazione dei flussi di mobilità interna, nazionale e internaziona-le derivano per la società e il territorio molisani, a differenza della prima on-data migratoria, effetti devastanti in termini di spopolamento e di squilibrio di attività produttive di tipo tradizionale. Sui 136 comuni che costituiscono la regione molisana, nel quarto di secolo successivo alla Seconda guerra mondiale 126 comuni manifestano un regresso di popolazione. Nel solo de-cennio che intercorre tra i censimenti ’51-’61, l’alta collina e la montagna perdono il 13% circa della popolazione in esse insediata22. Sul piano interno, lo svuotamento delle attività agricole solo in parte si traduce in spostamento verso le attività industriali e artigianali, queste ultime colpite a loro volta da una forte emigrazione, mentre è più evidente l’espansione delle attività commerciali e di quelle burocratiche.

Gli stessi rientri degli emigrati, soprattutto in età avanzata, dopo che hanno raggiunto l’età della pensione e ottenuto la liquidazione di fine rapporto di lavoro, solo in parte si tramutano in ritorno nei paesi di partenza dal momen-to che in misura non trascurabile diventano occasione per spostarsi nei centri urbani più grandi e nella zona costiera.

3. Vecchie traiettorie transoceaniche

Tra i molisani, riaffiorano prima di tutto le vecchie reti parentali e si risve-gliano richiami transoceanici che si erano sopiti con il trascorrere delle gene-razioni e a volte interrotti per le difficoltà di rapporti con alcuni paesi di sto-rica immigrazione, con i quali le iniziative coloniali e belliche del fascismo avevano determinato profonde rotture. Gli insediamenti più consistenti al di fuori dell’Europa, come è noto, si erano costituiti negli Stati Uniti e in Ar-

22 In particolare: l’Alto Molise il 12%; il Medio Trigno e Biferno il 16,1%; l’Alto Volturno il 12,8%; l’Alto Trigno e il Sannio settentrionale il 19,3%; l’area di Campobasso il 5,2% ma senza il capoluogo il 18,7%; il Matese settentrionale il 22,4%: Camera di Commercio, Indu-stria e Agricoltura di Campobasso, Lineamenti economici della provincia di Campobasso, Giuffré, 1964, pag. 14. Nella monografia vi sono dati anche più analitici relativi alla popola-zione per ciascun comune e all’evoluzione del numero degli addetti per le diverse attività e-conomiche nel decennio intercensuario.

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gentina, ma postazioni di un certo rilievo si erano formate anche in Canada, Brasile e Uruguay23.

Il governo statunitense continua ad applicare nei confronti dell’immi-grazione un filtro molto stretto, non tanto severo, comunque, da impedire che oltre 200.000 italiani, giovandosi del possesso della cittadinanza ameri-cana o dell’inserimento nelle categorie ammesse, riescano a entrare nel pae-se, incrementando e rinsanguando le tradizionali e cospicue comunità esi-stenti. Per gli abitanti dei paesi più danneggiati dalla guerra, viene usata una misura di maggiore larghezza, e di questo si giovano, ad esempio, diverse famiglie dei comuni altomolisani delle zone interessate dalle linee difensive tedesche, che possono raggiungere negli USA parenti e compaesani. Dei primi lustri successivi alla fine del conflitto, mancano dati sicuri relativi al numero dei molisani emigrati negli Stati Uniti. I riferimenti disponibili dagli anni sessanta in poi, a loro volta, sono abbastanza difformi secondo che sia-no collegati alle cancellazioni anagrafiche, notoriamente parziali e ritardate, oppure al numero degli espatri, che non distinguono quelli ripetuti da una stessa persona e non tengono conto dei rimpatri. In base ad una valutazione induttiva24, meritevole per altro di approfondimento, nel quindicennio po-stbellico i molisani che si recano in USA dovrebbero superare di qualche migliaio le 10.000 unità, alle quali nei decenni successivi si aggiungono al-meno altre 5.000. Tracce di questo flusso restano nei dati dell’iscrizione all’AIRE25, relativo ai soli espatriati che hanno conservato la cittadinanza italiana, che nei primi anni di questo secolo danno una presenza di 4.465 mo-lisani, aumentati all’inizio del corrente anno a 5.10126.

23 A questo proposito, si vedano N. Lombardi, “Il Molise fuori dal Molise”, cit., pp. 535-582; Idem, “L’emigrazione dei molisani. Forme ed esiti di una radicata cultura della partenza” in Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel mondo 2010, Idos, Roma 2010, pp. 37-50.

24 Cfr. N. Lombardi, Il Molise fuori dal Molise, cit., pp. 600-01, che configura alcune ipote-si quantitative in base ai dati sulle cancellazioni anagrafiche per il quinquennio ’60-64 propo-sti da R. Simoncelli, Il Molise. Le condizioni geografiche di un’economia regionale, cit., p. 123, e ai dati sugli espatri citati da F. Citarella, Emigrazione e presenza italiana in Argentina, cit., p. 339. Si tenga conto che i restrittivi criteri di ingresso previsti dalla legge McCarran del 1952 vengono modificati nel 1965 dall’Immigration and Nationality Act, che supera le quote nazionali a beneficio dei ricongiungimenti familiari e delle caratteristiche professionali.

25 Con questo acronimo s’intende l’Anagrafe degli italiani residente all’estero, istituita nel 1990, in applicazione della legge n. 470 del 27 ottobre 1988. Ad essa si devono iscrivere i cit-tadini italiani che risiedono all’estero per un periodo superiore a dodici mesi, compresi natu-ralmente quelli che hanno conservato o recuperato la cittadinanza italiana pur risiedendo sta-bilmente all’estero. All’inizio del 2011 gli iscritti all’AIRE risultavano essere 4.208.977, di cui 78.967 molisani, pari al 24,7% della popolazione residente in regione, la percentuale di gran lunga più alta tra le regioni italiane. Ai poco precisi elenchi AIRE compilati sulla base dei dati indicati dai comuni di provenienza, si affiancano i più aggiornati elenchi consolari, che però non hanno valore legale.

26 Cfr. rispettivamente MAE, Direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche mi-gratorie, La rilevazione degli italiani all’estero al 31 marzo 2003: caratteristiche demografi-

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L’insediamento dei nuovi arrivati ricalca in prevalenza la tradizionale mappa comunitaria, ma si allarga a nuove collocazioni indotte dal tipo di la-voro e di attività professionale, che presenta una maggiore articolazione e una più alta qualificazione27.

Più aperta e fluida la direttrice argentina, non solo per un diverso atteggia-mento della autorità locali, che ancora una volta puntano sull’arrivo delle già sperimentate componenti immigratorie europee come volano dello sviluppo interno, ma anche per una maggiore freschezza dei legami di parentela e di conoscenza con gli emigrati che vi si erano diretti dopo la chiusura degli in-gressi nordamericani28. In realtà, all’indomani del secondo conflitto mondia-le, l’immigrazione di italiani, ormai stagnante, riprende con particolare in-tensità, anche se per un ciclo temporale abbastanza breve. Tra il 1947 e il 1951, 330.000 italiani arrivano al Plata, una bella quota del numero com-plessivo degli espatri, anche se meno del mezzo milione che le autorità ar-gentine si attendevano in base agli accordi. Vi si dirige uno su quattro degli italiani che espatriano, addirittura tre su quattro tra coloro che vanno nelle Americhe. Nel quinquennio successivo, però, il numero scende a meno della metà, uno su otto in termini percentuali, e si riduce a circa 40.000 nel primo quinquennio dei sessanta, con un numero di rientri superiore a quello degli espatri29. In un quadro di accentuata meridionalizzazione degli arrivi italiani in Argentina, quella degli abruzzesi-molisani rappresenta, dopo quelle cala-brese e campana, la terza componente regionale di questa nuova immigra-zione. Degli oltre 90.000 abruzzesi e molisani che emigrano nel quinquennio postbellico, circa la metà approda in Argentina; i molisani che espatriano so- che, Rubettino, Catanzaro 2005, p. 155 e Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2012, Idos, Roma 2012, p. 490.

27 Alcuni percorsi personali di integrazione nella società statunitense si possono leggere in Sante Matteo, Radici sporadiche: letteratura, viaggi, migrazioni, Cosmo Iannone, Isernia 2007, e nelle brevi storie di vita in emigrazione raccolte da Norberto Lombardi nella serie “Molisani nel mondo”, pubblicate in “Nuovo Molise Oggi”: Il viaggio nella vita di Tony Vac-caro (19 novembre 1998, p. 19 e 26 novembre 1998, p. 18); Joseph D’Andrea: da Rocca-mandolfi a Pittsburg (3 dicembre 1998, p. 18); Pietro Corsi, cittadino di un mondo plurale (18 aprile 1999, p. 17); Giovanni Cancellieri, tra l’Argentina e Filadelfia (9 dicembre 1999, p. 20); Michele Vena, le radici mai dimenticate (29 dicembre 1999, p. 19); Michele Di Stefa-no: l’emigrazione da scoprire (9 marzo 2000, p. 17); Nancy Fatica, cardiologa al Cornell Medical Center (22 giugno 2000, p. 19 e 29 giugno 2000, p. 19); Luigi Bonaffini: il dialetto come cultura (3 agosto 2000, p. 19). Nella stessa serie anche diversi articoli anche sull’“esi-lio” americano di Giose Rimanelli.

28 Per la polarizzazione argentina dei flussi di emigrati italiani dopo la chiusura degli ingres-si in Nord America, cfr. Fernando J. Devoto, Storia degli italiani in Argentina, Donzelli, Ro-ma 2006, pp. 334 ss.; per i risvolti molisani, si veda N. Lombardi, L’asino di Zi’ ‘Ntonie. Co-me finì la Mereca per gli emigranti molisani, Almanacco del Molise 2011, Habacus Edithore, Campobasso 2010, pp. 111-153, in particolare 114-115.

29 F. J. Devoto, Storia degli italiani in Argentina, cit., pp. 595 ss.

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no un terzo (circa 30.000) e tra di loro l’opzione platense ha grosso modo le stesse proporzioni30.

La presenza dei molisani in Argentina conserva fino ai tempi recenti un e-levato grado di aggregazione, anche per merito di un tessuto associativo, a base prevalentemente comunale, che a partire dai primi anni cinquanta si rinverdisce rispetto a quello più lontano, ormai quasi scomparso. La prima stima che ne viene fatta agli inizi degli anni settanta dalle autorità consolari la fa ascendere a circa 20.000 persone, inferiore di poco solo a quella cana-dese, con una tendenza alla crescita. Una valutazione probabilmente più completa e meno legata ad aspetti formali e amministrativi consente alla fine del decennio di raddoppiarne l’entità, portandola ad oltre 40.000 persone31. Agli inizi di questo secolo, dopo altri decenni di integrazione sociale e civile nella società argentina, il numero dei molisani che hanno conservato la citta-dinanza è di circa 20.000, sceso nel 2012 a circa 18.50032.

Le aree di più ampio insediamento sono quelle della Grande Buenos Aires, dove i molisani trovano lavoro soprattutto nell’edilizia, nei lavori stradali e fer-roviari e nel piccolo commercio, di Rosario, dove la particolare attività delle panetterie create dagli emigrati di Ripalimosani continua a svilupparsi e di Mar del Plata, dove si rinnova e si rafforza la presenza di alcune comunità del Me-dio Molise, come Duronia e Frosolone e del Basso Molise, come Mafalda33.

La comunità molisana in Brasile, in particolare nello Stato di San Paolo, aveva perduto i suoi connotati originari sia per la lontananza temporale con i

30 Combinazione di dati tratti da Gianfausto Rosoli (a cura di), Un secolo di emigrazione i-taliana 1876-1976, Studi Emigrazione, Roma 1978, pag. 361, e da F. Citarella, Emigrazione e presenza italiana in Argentina, cit., pag. 342. 31 Cfr. rispettivamente SVIMEZ, Un quarto di secolo nelle statistiche Nord-Sud. 1951-1976, Giuffré, Milano 1978, p. 133 e MAE, Direzione generale emigrazione e affari sociali, Aspetti e problemi dell’emigrazione italiana all’estero nel 1979, Istituto poligrafico dello Stato, Ro-ma 1980, p. 164.

32 Cfr. MAE, Direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, La rile-vazione degli italiani all’estero al 31 marzo 2003: caratteristiche demografiche, cit., p. 155 e Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2012, cit., p. 490.

33 Per una rappresentazione di tipo qualitativo del processo di integrazione dei molisani in Argentina, si rinvia a Torcuato S. Di Tella, Torquato Di Tella: industria e politica, in In nome del padre, Cosmo Iannone, Isernia 1999, pp. 23-131, e ai numerose brevi racconti di vita regi-strati in loco da N. Lombardi e pubblicati nella serie Molisani nel mondo su “Nuovo Molise Oggi”: Il Monforte a Buenos Aires (19 nov. 1998), Fernando Barbato, Il pane amaro (8 lu-glio 1999), Michelangelo Lanese: la catena del pane (18 marzo 1999), Josè Valiante: la pietà (29 aprile 1999), Torcuato S. Di Tella: un padre importante (16 marzo e 23 marzo), Mario Santillo: emigrazione e risveglio culturale (29 luglio 1999), Lita de Lazzari, la profetessa del-le casalinghe argentine (4 marzo 1999), Claudia e Romina, alla ricerca delle radici (31 di. 1998), Andrea Berardo: l’emigrazione infinita (28 dic. 2000). Vicende di persecuzione e uc-cisione di molisani durante la dittatura militare sono quelle di Padre José Tedeschi (7 gennaio 1999) e Ada Miozzi Borzi: mio marito un desaparecido (30 dic. 1999). Questi materiali sono consultabili presso la Biblioteca P. Albino di Campobasso.

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primitivi insediamenti che per la politica di contrasto verso l’italianità adot-tata dal governo del paese prima e durante il secondo conflitto mondiale. A cavallo del 1950, tuttavia, si ravvivano le partenze, quasi tutte verso la me-tropoli paulista34, soprattutto dai paesi del Boianese, come Macchiagodena35, dove negli anni venti c’erano stati significativi richiami a catena. Il fenome-no si mantiene vivace fino a metà decennio, quando inizia a declinare per spegnersi agli inizi degli anni sessanta. Anche per questa destinazione, so-prattutto relativamente ai primi anni, vi è incertezza sui dati, sicché non è possibile dire quanti siano i comprovinciali tra i 99.554 italiani che vi si re-cano dal 1946 al 1957 né quanti siano tra i circa 26.000 rientrati36 dello stes-so periodo. In base a dati comunque parziali, si può approssimativamente i-potizzare una cifra non lontana dalle 10.000 unità, familiari compresi, molte delle quali si giovano delle facilitazioni messe a disposizione dal CIME37.

Considerando l’incidenza dei rientri e delle naturalizzazioni, la comunità molisana tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta è calcolata dal-le autorità consolari intorno alle 4.500 persone. Quelli che ancora oggi con-servano la cittadinanza sono circa 2.60038. Per quanto di ridotte dimensioni, la comunità molisana in Brasile si caratterizza sotto un duplice aspetto, per il buon livello di integrazione raggiunto, che in diversi casi comprende anche

34 Il più consistente insediamento molisano si è avuto negli ultimi decenni dell’Ottocento nelle aree a ridosso di San Paolo, dove alcuni emigrati boianesi hanno avuto una parte molto attiva nella costituzione della colonia di São Gaetano; nel secondo dopoguerra una parte non piccola dei nuovi emigrati molisani si dirige nelle stesse zone, precisamente nell’area detta ABC Paulista (Santo André, São Bernardo e São Caetano): cfr. Marlene Suano, Italiani del Molise – Italiani del Brasile, Catalogo a cura dell’Archivio di Stato di Campobasso, Campo-basso 1999, p. 52.

35 Archivio di Stato di Campobasso – Soprintendenza Archivistica per il Molise, I “viaggi della speranza”. Aspetti e momenti dell’emigrazione molisana in Brasile (a cura di Renata De Benedittis e Daniela. Di Tommaso), Centro stampa Archivio di Stato, Campobasso 1998, p. 11 ss; Renato Cavallaro, Emigrazione, comunità e cultura in due comuni molisani, «Rivista storica del Sannio», 2-1994, pp. 153-158.

36 Cfr. U. Ascoli, Movimenti migratori in Italia, cit., pag. 43. Nel primo quindicennio re-pubblicano, diventano 111.000 gli espatriati in Brasile: Angelo Trento, In Brasile, in Piero Bevilacqua, Andeina De Clementi, Emilio Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione ita-liana. Arrivi, Donzelli, Roma 2002, p. 5.

37 La vocazione transoceanica dei molisani si riaccende, come si è detto, con riferimento al-la rete di parenti e conoscenti che erano già nelle Americhe e che non tardano a ricomporre la sperimentata rete dei richiami e delle dichiarazioni di garanzia richieste dalle normative locali. Ma, a differenza con le precedenti esperienze di inizio secolo, questa volta intervengono for-me di regolamentazione e controllo derivanti da una serie di accordi bilaterali con i paesi di ingresso, che si susseguono ininterrottamente almeno per un decennio. A questi accordi si af-fiancano anche strumenti operativi nati con il compito di monitorare e sostenere i trasferimen-ti, anche con facilitazioni di viaggio. Il CIME (Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee), istituito nel 1952, è uno dei più impegnati in questo compito.

38 Per le fonti, si vedano le precedenti note 30 e 31.

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casi di affermazione economica e imprenditoriale, e per la disponibilità a stabilire rapporti di scambio con la regione d’origine39.

Di più ridotte dimensioni, ma non ininfluente, è la destinazione uruguaiana di diverse decine di famiglie originarie della fascia di comuni che va da Cer-cemaggiore a Colledanchise, in particolare di Sepino, che si muovono anch’esse lungo un tracciato di richiami familiari e di conoscenze paesane40.

4. Nuovi approdi transoceanici

Lo scenario transoceanico dei molisani, analogamente a quanto accade per gli altri meridionali, si trasforma comunque profondamente a seguito dell’ingresso nella gamma delle possibili destinazioni di nuovi paesi, come il Canada, il Venezuela e l’Australia.

Quando il governo canadese stipula con quello italiano l’accordo di immi-grazione che in un trentennio consentirà a circa mezzo milione di connazio-nali di trasferirsi nel paese nordamericano, si è già consumata la particolare contraddizione che caratterizza la fase bellica. Qualche migliaio di italiani, all’atto dell’entrata in guerra del Canada, subisce la stessa sorte dei giappo-nesi e dei tedeschi e viene internato in due campi di concentramento per en-nemy aliens41. D’altro canto, il passaggio sul suolo italiano dell’esercito ca-nadese, ben dotato di generi di prima necessità e munifico verso le popola-zioni impoverite dalla guerra, stimola un forte interesse verso quel paese, vi-sto sempre di più come una possibile alternativa all’ormai difficile approdo statunitense. Nel Molise, un segnale significativo di questa inaspettata sim-biosi è dato dall’abitudine dei soldati canadesi di ritornarvi dal fronte nei giorni di riposo e dall’elezione di Campobasso come Canada Town, una specie di Little Canada in terra straniera42. Per quanto riguarda i molisani,

39 A questo proposito, si vedano i percorsi di vita di Felice Carmine Perrella, Giovanni Va-lente, Antonio Midea nella serie Molisani nel mondo di Norberto. Lombardi in “Nuovo Moli-se Oggi” (rispettivamente 11 e 18 febbraio 1999, 1 aprile 1999 e 20 maggio 1999).

40 Più ampie notizie e considerazioni sulla presenza molisana in Uruguay in una ricerca commissionata dal Centro Studi sui molisani nel mondo, aggregato alla Biblioteca Provinciale di Campobasso, alla ricercatrice Carolina Bueno. Cfr. anche in Molisani nel mondo, Filomena Narducci, emigrante alla rovescia, “Nuovo Molise Oggi”, 21 gennaio 1999.

41 Si veda la straordinaria testimonianza, pubblicata anche in Italia, di uno dei protagonisti di questa esperienza, scritta subito dopo la liberazione dal campo di internamento: Mario Du-liani, Città senza donne, Cosmo Iannone, Isernia, 2003. Il libro di Duliani è considerato ormai uno dei testi fondativi della letteratura italo-canadese.

42 Sul passaggio della prima divisione canadese sul territorio molisano, cfr. Farley Mowat, Il reggimento, Longanesi, Milano 1976; sulla trasformazione di Campobasso in Canada Town, si vedano: Nicola Felice, Quando Campobasso divenne Canada Town, Arti Grafiche La Re-gione, Ripalimosani 2003; Roberto Colella, Canada Town: i rapporti tra la società civile e i «liberatori, in Giovanni Cerchia (a cura di), Il Molise e la guerra totale, cit., pp. 291-305.

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già intorno al 1950 si avvia un flusso di partenze che si rafforzerà alla fine del decennio e diventerà molto intenso nel corso degli anni sessanta, fino a rendere il paese nordamericano

nel quarto di secolo successivo alla seconda guerra mondiale ciò che gli Stati Uniti erano stati nella fase della Grande emigrazione. Il Canada infatti, dagli anni cinquanta in poi reincarna il mito della “Mereca bbona”, che tanta forza di attrazione esprime non solo per i piccoli contadini e artigiani che lasciano tumultuosamente e irreversibilmente i comuni rurali della regione, ma anche per molti che, dopo avere già compiuto esperienze d’emigrazione in Europa o in America Latina, si orientano verso l’approdo nordamericano43.

Un’ulteriore conferma, quest’ultima, di un fenomeno di circolarità dei mo-

vimenti migratori certamente non insolito, ma che nel secondo dopoguerra è stato più accentuato, anche per la più ampia rete di riferimenti e per la mag-giore facilità degli spostamenti.

La consistenza della presenza dei molisani in Canada, in misura certamente inferiore a quella reale, è valutata da fonti ministeriali in oltre 21.000 perso-ne nel 1973 e sale qualche anno più tardi a 24.000, a conferma che anche dopo la crisi economica globale il paese nordamericano rappresenta un ap-prodo ricercato44. La freschezza dell’insediamento e la persistenza dei lega-mi con l’ambiente di origine è testimoniato anche dall’interessante numero di coloro che conservano la cittadinanza: circa 12.000 persone, nonostante la fluidità dei processi di integrazione e la spinta alla naturalizzazione45.

Dal punto di vista della collocazione geografica nel territorio canadese, i molisani si muovono in controtendenza rispetto alle direttrici del flusso na-zionale, che si dirige prevalentemente nell’Ontario, in particolare nell’area di Toronto. La maggior parte di loro si insedia invece in Québec, specie a Mon-treal, dove operano le catene di richiami di coloro che provengono dai co-muni del Medio e Basso Molise46. A Toronto, invece, si dirigono soprattutto i migranti provenienti dai comuni del Matese e dell’Isernino, mentre sulla costa del Pacifico, a Vancouver, si segnala la presenza di una compatta co-munità di Bagnoli del Trigno.

La netta prevalenza della scelta canadese come nuova meta transoceanica e il dinamismo sociale di cui la nostra comunità dà prova non possono far tra-scurare, comunque, le difficoltà e la durezza anche di questa esperienza mi-gratoria. La selezione iniziale è molto attenta al profilo morale, religioso e

43 N. Lombardi, Il Molise fuori dal Molise, cit., p. 615. 44 Fonti: si veda la nota 30. 45 Fonte: cfr. nota 31. 46 Sul sistema di incentivazione delle partenze per il Canada, si legga il caso particolare di

Montorio nei Frentani riportato da R. Cavallaro, Emigrazione, comunità e cultura in due co-muni molisani, cit., pp. 149-156.

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soprattutto politico dei partenti, lasciato in genere alla valutazione discrezio-nale dei parroci; l’impatto con il clima locale è severo e la trafila per il lavo-ro non è immune da pratiche autoritarie e di sfruttamento. La testimonianza di un molisano che agli inizi dei sessanta svolge per alcuni anni un ruolo sindacale a Toronto nel campo dell’edilizia, Frank Colantonio47, delinea un quadro sorprendente di sfruttamento salariale diffuso e di prestazioni lavora-tive rese in condizioni di scarsa sicurezza e protezione. L’inserimento dei fi-gli nel sistema scolastico locale non sempre è facile, soprattutto nelle scuole francofone del Québec.

E tuttavia l’evoluzione degli immigrati molisani verso forme di lavoro arti-gianale e d’impresa è abbastanza veloce e produce un avanzamento sociale significativo, segnalato, a distanza di pochi decenni dall’arrivo, dai numerosi esempi di successo nell’imprenditoria, nella cultura, nelle istituzioni48.

La relativa vicinanza temporale dell’esodo e il clima di interculturalità che si respira nel contesto canadese consentono, poi, la ramificazione di una fitta rete associativa di radice municipale sia a Montreal che a Toronto, che, per quanto progressivamente indebolita dall’invecchiamento delle prime generazioni, re-sta un esempio importante di coesione aggregativa e di relazione culturale con la realtà regionale. Tanto più che da oltre un ventennio le diverse decine di as-sociazioni presenti nelle due maggiori conurbazioni fanno riferimento a strut-ture federative che hanno assunto funzioni di promozione e di rappresentanza nei confronti delle istituzioni regionale e provinciali del Molise49.

Il Venezuela, a differenza delle altre destinazioni nelle quali esperienze d’emigrazione si erano già concretizzate nel passato, rappresenta per i moli-sani una meta del tutto nuova. L’afflusso degli italiani, calcolato in circa

47 Frank Colantonio, Nei cantieri di Toronto, Cosmo Iannone, Isernia 2000. 48 Esempi significativi di molisani che hanno compiuto interessanti percorsi di accredita-

mento sociale in diversi campi si trovano anche in questo caso nelle interviste e brevi storie di vita pubblicate con cadenza settimanale da N. Lombardi sul quotidiano “Nuovo Molise Og-gi”, dall’autunno del 1998 all’estate 2000. Si vedano in particolare gli articoli dedicati agli imprenditori Nick Di Tempora, Joe Panzera, Joe Paventi, Filippo Romano, Mario Romano, Giovanni D’Amato, Ben Lombardi, Tony Vespa, al critico e docente universitario John Pic-chione, al giornalista Angelo Persichilli, ai politici John Ciaccia, Guglielmo Cusano e Frank Zampino, ai professionisti Anna Maria Castrilli, Dario Giannandrea e Michele Vena, e altri. Questi materiali sono consultabili presso la Biblioteca P. Albino di Campobasso. Le dinami-che generazionali e le problematiche dell’integrazione, inoltre, si evidenziano nelle opere, pubblicate anche in Italia, degli scrittori molisani e d’origine molisana Antonio D’Alfonso, Carole Fioramore David, Mary Melfi, Marco Micone, Pietro Corsi, Filippo Salvatore, Isabella Colalillo Katz, oltre a quelle dei più noti Giose Rimanelli e Nino Ricci. Si veda, per questo, il paragrafo x di questo contributo.

49 Nel Québec, dalla prima metà degli anni ottanta, esiste ed opera la Federazione delle As-sociazioni Molisane del Québec (FAMQ) e nell’Ontario, dallo stesso periodo, la Federazione delle associazioni molisane dell’Ontario (FAMO), alla quale si è di recente affiancata la Fede-razione Canadese delle Associazioni Molisane in Ontario.

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200.00050, praticamente si svolge ed esaurisce nel quindicennio che va dalla fine della guerra alla fine degli anni cinquanta. L’intensa, per quanto breve, opzione per il paese caraibico si alimenta di un duplice fattore, il declino del-la forza di attrazione di mete tradizionali quali l’Argentina e il Brasile e il tumultuoso processo di sviluppo e modernizzazione interno che si apre con lo sfruttamento delle cospicue risorse petrolifere. Fin dai tempi del governo riformatore di Romulo Gallego e ancora di più con la successiva dittatura di Marco Pérez Jiménez sono aperte le porte a migranti europei dei paesi medi-terranei, considerati più adatti ad un veloce inserimento nel tessuto sociale e produttivo. Per costoro, in realtà, si aprono ampi spazi di lavoro e di iniziati-va imprenditoriale nell’industria nascente e nel terziario e, soprattutto, nell’edilizia civile e pubblica, oltre che nell’indotto dell’estrazione del petro-lio. Le opportunità di lavoro e di guadagno conoscono un passaggio trauma-tico in occasione della rivolta popolare contro Jiménez, quando i prominenti italiani sono accusati di avere dato un interessato sostegno al dittatore. A se-guito dei disordini che ne derivano, molti sono coloro che rientrano in Italia o si dirigono verso altre destinazioni, nordamericane ed europee. Quelli che restano, lo fanno sulla base di un progetto di definitivo insediamento e di ve-loce integrazione.

L’arrivo dei molisani si concentra praticamente in un decennio, tra la fine degli anni quaranta e quella degli anni cinquanta. Essi si insediano soprattut-to nel distretto di Caracas e nelle zone di Maracay, Valencia e Barquisimeto. Provengono in larga prevalenza dai comuni della provincia di Campobasso, in particolare da quelli della vallata del Fortore e dalla direttrice centrale che va da Sant’Elia a Casacalenda. Tuttavia, non mancano presenze di persone provenienti dal Boianese, dal Molise Altissimo e dalla valle del Volturno51. La consistenza dell’afflusso è di non semplice valutazione. A metà degli an-ni settanta dati ministeriali parlano di poco più di 7.000 molisani presenti, che agli inizi degli anni novanta sono calcolati in 6.15052, ridottasi nei più recenti elenchi dell’AIRE a meno di cinquemila. Poiché si tratta solo di per-sone che hanno conservato la cittadinanza italiana, le stesse fonti calcolano che le comunità regionali consolidate, comprensive dei naturalizzati nel pae-

50 Vittorio Cappelli, Nelle altre Americhe, in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina, Storia dell’emigrazione italiana. Arrivi, cit., p. 108.

51 Più dettagliate indicazioni sui comuni di provenienza in N. Lombardi, Il Molise fuori dal Molise, cit., p. 608.

52 Per il dato 1976, si veda MAE, Dir. gen. per l’emigrazione e gli affari sociali, Aspetti e problemi dell’emigrazione italiana all’estero, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma 1978, p. 131. Il dato più recente è riportato in Mariza Bafile, Los Hijos de los immigrantes y el model ecò-nomico venezolano, Ediciones de la Academia Nacional de Ciencias Econòmicas, Caracas 1990, p. 432, ed è confermato da Michele Castelli in una ricerca commissionata dal Centro Studi sui Molisani nel Mondo della Provincia di Campobasso, La presenza dei molisani in Venezuela dal 1945 ai nostri giorni, di prossima pubblicazione.

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se d’insediamento, si debbano considerare più grandi di almeno quattro vol-te. Gli oltre ventimila molisani d’origine così risultanti sono la propaggine dei 5.000-6.000 emigrati nel quindicennio postbellico, calcolati, in mancanza di dati ufficiali, in modo empirico sugli espatriati nello stesso periodo.

Le attività alle quali essi inizialmente si dedicano sono quelle artigianali, anche per il fatto che il governo venezuelano insiste molto con le nostre au-torità diplomatiche nell’evitare l’afflusso di lavoratori generici, e quelle le-gate ai lavori di edilizia privata e pubblica53. Nel giro di un paio di genera-zioni è possibile registrare tuttavia evidenti segni di avanzamento verso la scolarizzazione completa dei giovani, la creazione di piccole e medie impre-se e le professioni. Tali aree sociali e di lavoro hanno subito in tempi più re-centi prima i colpi di una devastante crisi finanziaria, che ha inciso partico-larmente sui ceti medi, e poi i condizionamenti delle politiche populistiche praticate dal regime bolivariano. Nonostante queste difficoltà, la comunità molisana in Venezuela per il suo consolidato stato sociale e la sua evoluzio-ne culturale e civile resta un attivo riferimento per la compagine regionale.

Tra le destinazioni transoceaniche, analogamente a quella venezuelana, l’Australia si presenta per i molisani come una delle più nuove. Per la verità, non era mancato qualche precedente esperienza migratoria, come quella av-venuta nel corso degli anni venti ad opera di lavoratori provenienti da comu-ni bassomolisani, in particolare da Acquaviva Collecroci e Castelmauro, ma si era trattato di casi sostanzialmente sporadici, determinati probabilmente da un flusso che si era sviluppato nelle vicine zone adriatiche delle Marche e dell’Abruzzo e che si era indirizzato verso le aree australiane occidentali di Fremantle e Perth54. La nuova fase emigratoria, di ben altra consistenza, s’inscrive nel flusso regolamentato e assistito che si sviluppa dall’Italia verso l’Australia e che trova nell’accordo bilaterale del 1952 la sua definizione or-ganizzativa e giuridica. Quando entra in vigore l’accordo, per la verità, gruppi di molisani hanno già fatto i primi passi verso l’insediamento in quel lontano paese. All’indomani della guerra, infatti, si riattivano i richiami ver-so i comuni serbo-croati che avevano vissuto, come si è detto, esperienze pionieristiche prima del conflitto. Inoltre, alcuni reduci di comuni del Boia-

53 Sotto il profilo dei percorsi di integrazione e di avanzamento sociale, sono significative alcune storie di vita di molisani emigrati in Venezuela: Michele Castelli, Erase una vez… Giuseppe, Edición del Vicerrectorado Académico de la UCV, Caracas 1998, pubblicato in Italia in Michele Castelli, Torcuato S. Di Tella, Giose Rimanelli, In nome del padre, Cosmo Iannone, Isernia 1999, pp. 133-207; Giuseppe Molino, Per il mondo in cerca di fortuna, Co-smo Iannone, Isernia 2001. Cfr. anche le interviste raccolte da N. Lombardi su Michele Ca-stelli, Michele Di Stasi, Andrea Iosue, Maria Di Iorio e pubblicate in “Nuovo Molise Oggi” nelle rubrica settimanale Molisani nel mondo.

54 Utili notizie di questo primo avamposto australiano dell’emigrazione molisana in N. Lombardi, Molisani nel mondo, John Clissa, con i Croati nel West Australia, “Nuovo Molise Oggi”, 2 marzo 2000, p. 19.

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nese come Spinete e Colledanchise, già prigionieri in Australia per alcuni anni, dove erano stati adibiti a lavori soprattutto agricoli, vi tornano attivan-do ben presto una fluida catena di richiami familiari e paesani55. Le aree di insediamento questa volta sono nell’Est Australia, precisamente nel Gippsi-land per i primi arrivati e a ridosso di Melbourne per quelli successivi, con propaggini di minore consistenza a Sidney e in Tasmania.

Anche per l’Australia s’incontrano le difficoltà di definizione quantitativa dei flussi già viste per altri paesi. Nel primo semestre del 1955 le domande di emigrazione verso quel paese giacenti presso l’Ufficio del Lavoro di Cam-pobasso sono 2730, un quinto del totale56. Cifra considerevole, anche se pro-babilmente dovuta al prolungato accumulo di domande e all’effetto delle fa-cilitazioni di viaggio previste dal recente accordo bilaterale. Nel quinquennio 1960-’64 le cancellazioni dai registri anagrafici per trasferimenti in Australia ammontano a circa 700, per una percentuale di poco superiore all’8% del to-tale. Considerando la sfasatura tra le cancellazioni anagrafiche e le partenze reali e applicando qualcuna di queste percentuali sull’insieme degli espatria-ti, si può ipotizzare una dimensione del flusso iniziale verso l’Australia in-torno alle 5.000 unità. Sta di fatto che le periodiche stime dei rappresentanti consolari per il 1973, quando il grosso è arrivato, parlano di oltre 9.000 pre-senze. Esse, negli anni successivi, subiscono varie oscillazioni, probabilmen-te per imprecisione nelle rilevazioni, e alla metà degli anni ottanta ancora toccano le 8.000 unità57. In tempi più recenti, i molisani con cittadinanza ri-sultano essere 2.89458, cifra coerente con quelle prima indicate per il fatto che fino a poco tempo fa l’acquisizione della cittadinanza australiana com-portava la perdita di quella originaria.

Il percorso di integrazione dei molisani, superate le difficoltà iniziali, si può considerare diffuso e positivo, in linea per altro con quello della comunità ita-liana. Il carattere aperto delle locali politiche immigratorie e il prolungato di-stacco dai luoghi d’origine, dovuto alle distanze e ai costi di viaggio, ha reso irreversibile la scelta di insediamento e favorito un rapido consolidamento so-ciale e culturale59. D’altro canto, la freschezza temporale dei trasferimenti e il clima di interculturalità che si respira, ha determinato di recente un ritorno as-sociativo che fa bene sperare per lo sviluppo dei rapporti culturali e di scambio

55 Sull’intenso flusso in partenza da Spinete fin nei primi anni del dopoguerra, cfr. N. Lom-bardi, Molisani nel mondo: Frank Dompietro, Spinete in Australia, “Nuovo Molise Oggi”, 30 novembre 2000, p. 23.

56 Cfr. Federico Orlando, Esodo dal Molise, «Nord e Sud», III, 1956, 14, p. 98. 57 I dati sono tratti dai rapporti sugli aspetti e problemi dell’emigrazione che il MAE pubbli-

ca periodicamente, i cui riferimenti bibliografici sono stati forniti nelle note precedenti. 58 Fonte: vedi nota 31. 59 Giovanni Castrilli, ad esempio, emigrato nel 1954 da Roccamandolfi, è stato eletto sinda-

co di Bunbury (South West) nei primi anni del nuovo secolo con l’apporto sia della compo-nente “etnica” della popolazione che di quella locale.

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con la regione. Semmai, è da considerare se l’iniziativa delle istituzioni moli-sane abbia continuità ed efficacia adeguate per corrispondere alla disponibilità di questi e altri nuclei associativi presenti nel mondo.

5. La scoperta dell’Europa

Già nella fase della ricostruzione e della ripresa produttiva e sociale (1946-57) le partenze per l’Europa (1.745.089) prevalgono su quelle extraeuropee (1.412.180), ma il rapporto s’inverte se le cifre – rispettivamente 840.254 e 1.100.812 – sono considerate al netto dei rimpatri60. Guardando ai flussi ri-spetto alle grandi ripartizioni geografiche italiane, la tradizionale prevalenza del Nord s’interrompe nei primi anni cinquanta per il peso maggiore che as-sume l’emigrazione meridionale; quest’ultima, poi, dal 1954 in avanti diven-ta addirittura superiore a quella delle altre due ripartizioni messe insieme61. Questo andamento diventa costante fino alla metà degli anni settanta, anche se risulta in parte compensato dal maggior numero di rientri che si registra nel Mezzogiorno rispetto alle altre ripartizioni62. Andreina De Clementi a questo proposito richiama i precedenti della mobilità postunitaria:

Benché la mobilità estera del trentennio abbia più che interagito con quella interna, altrettanto imponente, questo andamento ha riprodotto assai da vicino la mappa regionale e la cronologia migratoria postunitaria: prima il Nord e poi il Sud, fino a scambiarsi le parti con un crescendo dell’uno parallelo al declino dell’altro63.

La direttrice europea è la novità sostanziale dell’emigrazione molisana del

secondo dopoguerra. Bisogna risalire indietro di diversi decenni, soprattutto a cavallo del Novecento, per trovare tracce di presenza di molisani in Fran-cia, praticamente unico paese di destinazione nell’orizzonte continentale64.

60 Cfr. Ugo Ascoli, Movimenti migratori in Italia, Il Mulino, Bologna 1979, p. 43 e p. 47. 61 Nel 1952, gli espatriati dal Nord sono 116.176, pari al 41,8% del totale, quelli dal Centro

sono 31.883 (11,5%), quelli dal Meridione 129.476 (46,7%); nel 1954, gli espatriati dal Cen-tro-Nord sono 105.268 (42%), quelli dal Mezzogiorno 145.657 (58%). Cfr. SVIMEZ, Un quarto di secolo delle statistiche Nord-Sud (1951-1976), Giuffré, Milano 1978, pp. 124-25.

62 Escluso il primo quinquennio dei cinquanta, nel quale i rimpatriati nelle regioni del Cen-tro-Nord rappresentano il 65,2% del totale, dalla seconda metà del decennio in poi la riparti-zione meridionale prevale a ritmi sempre più elevati, fino a superare il 60% nei primi anni settanta: Ivi, pp. 130-31.

63 Andreina De Clementi, Il prezzo della ricostruzione. L’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra. Laterza, Bari 2010, p. 4.

64 Verso la Francia negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo erano stati trascinati i minorenni rastrellati nei paesi dell’alto Volturno e del Matese per essere adibiti ad accatto-

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Le loro preferenze, infatti, ancor più di quelle dei corregionali abruzzesi, si erano storicamente caratterizzate in senso transoceanico, come anche la riat-tivazione dei flussi conferma. Ma quando sulle cantonate dei paesi affollati di disoccupati e sottoccupati compaiono gli annunci di offerte di lavoro di aziende francesi e di compagnie minerarie belghe, nelle quali si parla di re-tribuzioni certe e continuative nel tempo e di contributi assicurativi e previ-denziali, in quei tempi sistematicamente evasi65, si sviluppa un fermento in-contenibile che conduce file sempre più lunghe di persone nell’ufficio dei collocatori comunali.

La realtà che i migranti incontrano una volta arrivati sul posto è, natural-mente, ben diversa da quella prospettata dai bandi di assunzione, in partico-lare per il rischio elevatissimo che incombe nei luoghi di lavoro, soprattutto in miniera, per l’esposizione alle malattie professionali, riconosciute solo nella seconda metà degli anni cinquanta, per il disagio dell’alloggiamento in baracche, per l’atteggiamento di xenofobia solitamente rivolto agli stranieri e per il disprezzo riservato agli italiani per le ancora fresche ferite aperte dal fascismo e dalla guerra.

Un aspetto significativo dell’emigrazione per l’Europa è che si tratta, al-meno ufficialmente66, di un’emigrazione regolamentata e assistita nella sua parte più consistente. Essa solitamente si sviluppa in tre tappe: le domande presentate tramite i collocatori comunali agli Uffici del lavoro provinciali; la selezione, il reclutamento e lo smistamento presso centri appositamente isti-tuiti; la presa in carico dei lavoratori contrattualizzati da parte della ditta ri-chiedente. A questa procedura concorrono le strutture del Ministero del La-voro e della Previdenza sociale, per quanto attiene alla raccolta delle richie-ste e alla selezione, e quelle del Ministero degli Esteri per l’espatrio e per i rapporti con le autorità dei paesi di insediamento. La percentuale di emigran- naggio o a chiens nelle vetrerie del sud e dell’area parigina; agli inizi del secolo vi si erano diretti per lavoro emigrati provenienti soprattutto da alcuni comuni alto molisani.

65 Il bando di assunzione della Federazione Carbonifera Belga per il 1950, ad esempio, offriva: un salario giornaliero che andava secondo le qualifiche da 2.530 a 4.000 lire; un premio per i primi sei mesi di 48 lire al giorno; lo stesso trattamento assicurativo degli operai belgi (assegni familiari, assenze giustificate per motivi di famiglia, ferie pagate, ecc.); 4.200 kg di carbone per esigenze dirette; alcuni biglietti ferroviari interni; la possibilità di alloggiare presso la cantine della miniera a prezzi controllati; alcune facilitazioni per i ricongiungimenti familiari.

66 In realtà, la percentuale di espatri clandestini, per quanto difficilmente definibile, risulta abbastanza elevata, soprattutto verso la Francia. Si fa ricorso a questa modalità di superamen-to della frontiera sia per aggirare le rigidità degli accertamenti sanitari fatti con la partecipa-zione delle commissioni mediche dei paesi riceventi che per abbreviare i tempi burocratici, di solito in forte ritardo rispetto alle esigenze delle aziende. Una intensa testimonianza di questo fenomeno è il film neorealista del 1950 Il cammino della speranza di Pietro Germi; lo studio più approfondito sugli espatri clandestini si deve a Sandro Rinauro, Il cammino della speran-za. L’emigrazione clandestina degli italiani nel secondo dopoguerra, Einaudi, Torino 2009.

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ti assistiti sul totale degli espatriati verso i paesi europei oscilla dal 28% del 1946 al 42% del 1949, per scendere sotto il 20% nel ’53-’54 e risalire grosso modo ad un terzo negli anni successivi67.

L’andamento del movimento emigratorio italiano nel continente conosce un’impennata nel triennio postbellico rispetto agli espatri extraeuropei, de-flette bruscamente nel ’49-’50 per il forte aumento delle opzioni transocea-niche, diventa altalenante intorno alla metà negli anni successivi, finché riacquista una netta prevalenza dopo l’accordo di lavoro con la Germania68.

Purtroppo i dati dell’emigrazione disponibili per regioni d’origine, non consentono di distinguere tra flussi continentali ed extraeuropei.

In ambito europeo, Belgio e Francia sono i primi approdi dei molisani, che s’immettono nel notevole flusso diretto verso queste realtà alla ricerca di lavoratori da destinare alla produzione di materie prime e agli interventi di ricostruzione.

Per il Belgio nel decennio postbellico si contano, sulla spinta dell’accordo bilaterale del 20 giugno 1946, rinnovato negli anni successivi, poco più di 190.000 espatri di lavoratori italiani, compensati in parte da circa 56.000 rimpatri, con un saldo netto di 140.000 unità69. Il ruolo di questo paese come apripista dell’emigrazione italiana in Europa è provato dal fatto che la vam-pata più intensa di partenze si verifica nel primi tre anni postguerra, con una relativa ripresa solo nel ’51-’52. Dopo la tragedia di Marcinelle, nell’agosto ’56, si verifica un declino irreversibile, ma già la frequenza degli incidenti minerari aveva imposto un freno negli anni immediatamente precedenti.

Nello stesso periodo, l’emigrazione assistita coinvolge circa 150.000 italia-ni, di cui 87.000 nel primo triennio70. Il Belgio, dunque, è una delle realtà in cui la forbice tra l’emigrazione totale e quella assistita è meno divaricata.

L’offerta di lavoro delle compagnie minerarie prevede non solo una relati-va stabilità occupazionale, ma anche livelli retributivi e coperture previden-ziali che la grande maggioranza dei lavoratori meridionali, soprattutto nelle campagne, fino ad allora ha potuto solo sperare. Tra questi, l’estensione ai nuovi arrivati della normativa in materia sociale in vigore per i lavoratori lo-cali, gli assegni familiari, le ferie pagate, la concessione di carbone per esi-

67 Cfr. Michele Colucci, Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Europa (1945-1967), Donzelli, Roma 2008, p. 7.

68 Ivi, p. 4. Cfr. anche U. Ascoli, Movimenti migratori in Italia, cit., p. 37 ss. Michele Co-lucci, Matteo Sanfilippo L’emigrazione italiana dal dopoguerra al 1959, in Rapporto Italiani nel Mondo 2007, Ed. Idos, Roma 2007, p. 95; i due autori insistono sull’«andamento disordi-nato» e sulle «interruzioni, contraddizioni e problemi di un processo sviluppatosi in uno dei periodi più complessi della storia europea».

69 Dati da MAE, Dgeas, Problemi del lavoro italiano all’estero. Relazione per il 1966, citati in M. Colucci, Lavoro in movimento, cit., p. 5.

70 ACS, Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Dir. gen. collocamento manodo-pera, Div. IX – OECE, b. 425.

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genze familiari e la disponibilità di alloggio. L’impatto con la realtà, come si è già detto, è invece molto duro, soprattutto per quanto riguarda le sommarie condizioni di sicurezza del lavoro, la mancata copertura delle malattie pro-fessionali e la precarietà dell’alloggiamento.

La catastrofe di Marcinelle dell’8 agosto ’56 conclude la prima fase della nostra emigrazione e fa da spartiacque tra l’esperienza mineraria in senso stretto e l’avvio di un percorso di integrazione, che si svolge in un contesto territoriale più ampio di quello del primo insediamento e con dinamiche so-ciali più articolate. Nell’incendio della miniera del Bois du Cazier, nel quale è coinvolto direttamente un operaio boianese messo al lavoro senza un ade-guato apprendistato71, muoiono tra gli altri sette molisani72, che si aggiungo-no al lungo elenco di emigrati scomparsi in miniera, il cui nucleo più consi-stente è quello di Monongah (Wesr Virginia) del dicembre 1907.

Ancora nel 1973, quando i rientri dal lavoro di miniera sono ormai avvenu-ti, la comunità molisana in Belgio è stimata in circa 11.000 persone73. Dieci anni dopo, attraversata la crisi occupazionale della metà dei settanta, si con-tano ancora oltre settemila molisani74. Grosso modo quanti restano nella ri-levazione AIRE del 2003, in piccola misura ridimensionati (6.626) in quella del 201275.

Per avere un’idea del rapporto tra immigrati molisani in Belgio e rientri, si può ricordare il caso di Roccamandolfi, un paese matesino dal quale nel giro di un ventennio partono all’incirca 170 persone, tra lavoratori e familiari. Di essi, circa la metà ritorna una volta maturata la pensione e l’altra metà resta stabilmente, anche per non separarsi nuovamente dai familiari, questa volta residenti e spesso nati in Belgio76.

71 Si tratta di Antonio Iannetta, arrivato in Belgio nel 1952, che svolge la funzione di ingab-biatore il mattino dell’esplosione nel pozzo dove si verifica l’incendio. Iannetta, dopo la tra-gedia, emigra in Canada.

72 Scompaiono a Marcinelle: Felice Casciato di San Angelo del Pesco, Francesco Cicoria di San Giuliano di Puglia, Francesco Granata di Ferrazzano, Michele Granata di Ferrazzano, Mi-chele Moliterno di Ferrazzano, Pasquale Nardacchione di San Giuliano del Sannio, Liberato Palmieri di Busso. Cfr, Giuseppe Ruffo, Il tempo della Memoria. Marcinelle 45 anni dopo, Edizioni Enne, Ferrazzano 2001; N. Lombardi, Molisani nel mondo, Compari di miniera, «Nuovo Molise Oggi», 28 gennaio 1999 e 4 febbraio 1999. Una ricostruzione dell’evento, a metà tra il riporto delle fonti documentarie e la scrittura creativa, è quella di Paolo Di Stefano, La catastròfa. Marcinelle 8 agosto 1956, Sellerio, 2011. In apertura del libro compare un’intensa testimonianza della figlia di un molisano scomparso al Bois du Cazier.

73 SVIMEZ, Un quarto di secolo nelle statistiche Nord-Sud, cit., p. 133. 74 MAE, Dir. gen. emigrazione e affari sociali, Aspetti e problemi…, cit., p. 229. 75 Si veda sempre la nota 31. 76 Cfr. Antonio Pinelli, Flussi migratori da Roccamandolfi dalla fine del XIX secolo agli

anni Settanta del XX secolo, in Idem (a cura di), L’emigrazione molisana. Il caso di Rocca-mandolfi, Cosmo Iannone, Isernia 2004, pp. 21-26; ivi, N. Lombardi, Roccamandolfi, una comunità mondiale, p. 82.

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L’integrazione dei molisani nella società belga è significativa sia per pro-gressione che per irradiazione sociale. Le strade più battute sono state quelle del passaggio dalla miniera al lavoro di fabbrica, soprattutto nell’area di Lie-gi, almeno fino alla crisi degli anni settanta, e alle piccole attività commer-ciali. Già nel giro di una generazione, l’inserimento nel tessuto formativo e in quello professionale si è rivelato abbastanza penetrante. I nuclei d’origine più consistenti sono quelli sopravvissuti nel vecchio Pays noir, dove si è formata un’aggregazione associativa, il Comitato Molisano Emigrati e Fa-miglie (COMEF) nella zona di Charleroi; a Herstal, nei pressi di Liegi, per iniziativa di un gruppo di emigrati di una certa consistenza provenienti da Castelmauro e dai comuni contermini si è costituita un’altra associazione che ha mutato con il tempo la sua iniziale ragione solidaristica in impegno cultu-rale legato alle origini. L’area di Bruxelles, a sua volta, ha attratto molisani impegnati in attività burocratiche e altri che hanno trovato nel contesto urba-no occasioni di impiego nei servizi e nelle attività commerciali77.

In conclusione, l’esperienza di lavoro in Belgio è stata per i molisani una del-le più significative sotto il profilo dell’integrazione nel paese di insediamento e, alla luce degli sviluppi istituzionali e culturali che si sono avuti a partire dal Trattato di Roma, di “europeizzazione” dei nostri lavoratori migranti.

La Francia per i molisani in cerca di lavoro non è stata in assoluto una novi-tà, comparendo tra le destinazioni prescelte anche a cavallo del Novecento, ma certo un’importante opportunità, soprattutto nella fase di decollo dell’emigra-zione del secondo dopoguerra e comunque nel corso del primo decennio. D’altro canto, il paese transalpino diventa dopo il conflitto anche per i meri-dionali una meta ambita, sia per l’elevato numero di contratti offerti per il la-voro di miniera e per le costruzioni nell’ambito dell’emigrazione assistita che per la pratica degli sconfinamenti clandestini, che alimentano un fiorente mer-cato nero delle braccia. I molisani non sono estranei a queste esperienze.

Dal ’46 al ’56 il movimento degli espatri verso la Francia è consistente, an-che se in misura inferiore alle attese francesi e agli accordi stipulati tra i due governi78. Nel solo triennio’46-’49 passano le frontiere 145.821 persone, tra lavoratori e familiari. Un’impennata si verifica nel ’56 (87.552), e si rafforza ulteriormente l’anno successivo (115.000). A fronte di tali entità, si registra-

77 Per avere un’idea di alcuni itinerari di lavoro e di vita di molisani in Belgio, si vedano: N. Lombardi, Molisani nel mondo, Saverio Iacobucci: un Sannita il primo emigrante, “Nuovo Molise Oggi”, 11 marzo 1999, p. 17; Id., Herstal, crocevia di solidarietà, “Nuovo Molise Oggi”, 6 aprile 2000, p. 19; Id., Federico Lanni, gelataio a Bruxelles, “Nuovo Molise Oggi”, 27 maggio 1999, p. 19; Id., Vincenzo Bifolchi, l’europeo dal cuore antico, “Nuovo Molise Oggi”, p. 17.

78 Sullo scarso successo delle politiche di immigrazione in Francia, programmate dall’agenzia pubblica appositamente istituita (ONI), anche di quella concernente gli italiani, si veda Federico Romero, Emigrazione e integrazione europea 1945-1973, Ed. Lavoro, Roma 1991, p. 36 ss.

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no nel periodo considerato 146.854 rimpatri, con un saldo netto di oltre 300.000 persone79.

Per quanto riguarda l’emigrazione assistita, nel primo triennio postbellico vi si dirigono 56.000 connazionali, di cui circa 40.000 nel ’47, il vero e pro-prio anno di ripresa dell’emigrazione italiana; nel ’49 si verifica un’altra im-pennata. L’opzione francese prosegue a livelli meno importanti nella prima metà dei cinquanta, e, dopo aver conosciuto un picco di 45.000 espatri legali nel ’56, declina sensibilmente a fronte dell’espandersi di quella tedesca e svizzera. Le dimensioni dell’emigrazione assistita in Francia in questo pe-riodo prevalgono su quelle relative al Belgio di oltre 30.000 unità80, senza considerare gli espatri clandestini81.

Dell’emigrazione dei molisani verso la Francia nella fase in esame non ab-biamo dati certi, ma solo indicazioni significative. Da un paese pilota della mobilità transnazionale come Agnone, ad esempio, vi si dirigono oltre 420 persone, corrispondenti al 60% del totale degli emigrati in Europa, Da Roc-camandolfi, altra comunità dalle antenne migratorie molto sensibili, vi si in-sediano oltre un centinaio di persone, precisamente nella zona mineraria del Nord Pas de Calais. Nell’alto Reno, sempre in area mineraria, si forma una comunità di alcune centinaia di persone provenienti da Bonefro, Santa Croce e altri comuni del Fortore, tra le quali prende vita l’associazione AMICI Bun’frane, impegnata a conservare i legami d’origine82. A sud, invece, nell’area di Grenoble, si possono rilevare presenze di una qualche evidenza di famiglie provenienti da Forlì del Sannio e dall’Alto Volturno, richiamate soprattutto dai lavori edili83. Su scala regionale, a titolo indicativo,

alla metà degli anni cinquanta giacciono presso l’Ufficio provinciale del la-voro 1460 domande di espatrio per la Francia, pari al 10,6% del totale; nel quadro delle cancellazioni anagrafiche del quinquennio 1959-64 quelle che qui interessano sono oltre un terzo del totale; dal 1971 al 1983 gli espatri “francesi” sono 1779, pari al 7,79% del totale84.

79 Dati da MAE, Dgeas, Problemi del lavoro italiano all’estero. Relazione per il 1966, citati

in M. Colucci, Lavoro in movimento, cit., p. 5. 80 ACS, Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Dir. gen. collocamento manodo-

pera, Div. IX – OECE, b. 425. 81 Sulle proporzioni dell’emigrazione clandestina in Francia si rinvia al già menzionato

Sandro Rinauro, Il cammino della speranza. L’emigrazione clandestina degli italiani nel se-condo dopoguerra, Einaudi, 2009.

82 Cfr. Michele Colabella, Bonefro gente foretana, Cosmo Iannone, Isernia 1999, pp. 129 ss. 83 Si veda N. Lombardi, Molisani nel mondo, Mario Massucci: dal tratturo “vers le future”,

“Nuovo Molise Oggi”, 25 febbraio 1999, p. 17. 84 Cfr. N. Lombardi, Il Molise fuori dal Molise, cit., p. 632, su dati ricavati rispettivamente

da Federico Orlando, Esodo dal Molise, «Nord e Sud», III, gennaio 1956, 14, p. 98; R. Si-moncelli, Il Molise. Le condizioni geografiche di un’economia regionale, cit., p. 123; Dossier Europa Emigrazione, X, luglio-agosto 1985, 7-8, pag. 26.

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Anche se poco studiata, la presenza molisana in Francia è significativa. A compimento del ciclo emigratorio del dopoguerra, vale a dire nel ’73, viene stimata di poco inferiore alle 9.000 unità. La cosa interessante è che tende a crescere dopo gli anni di crisi, a testimonianza della maggiore flessibilità ne-gli ingressi rispetto ad altre realtà europee, sfiorando le 10.000 persone sul finire degli anni settanta. Resta, poi, abbastanza stabile fino alla metà degli anni ottanta85. Nel 2003, i dati AIRE segnalano la persistenza di 4.872 moli-sani con cittadinanza, a conferma dei processi di assimilazione ormai avan-zati, che restano abbastanza stabili fino al 201286.

In generale, si può dire che l’asse del’insediamento dei molisani in Francia si sia spostato in questo periodo molto più a nord rispetto a quello che si è realizzato nel primo Novecento, quando si sono privilegiate la valle del Ro-dano e l’area parigina.

L’iniziale collocazione sociale dei molisani si realizza nel triangolo delle attività di miniera, agricole e delle costruzioni. Anche in Francia, come in Belgio, i percorsi di integrazione e di mobilità sociale sono piuttosto fluidi e già nel passaggio dalla prima alla seconda generazione si evidenzia un pro-gresso di scolarizzazione e di qualità professionale e sociale.

Nel panorama dell’emigrazione italiana in Europa, quella verso la Gran Bre-tagna ha avuto una considerazione non sempre adeguata, se non alla consi-stenza, almeno agli aspetti peculiari dell’insediamento che vi si è realizzato. In realtà, il flusso di italiani verso questo paese ha stentato a decollare, soprattutto per l’atteggiamento protezionistico della manodopera locale che i sindacati hanno esercitato negli anni del dopoguerra, condizionando direttamente le po-litiche governative d’immigrazione87. Solo verso la metà dei cinquanta, per il concorso di fattori di natura interna e internazionale e con l’intensificarsi dei rapporti tra i partner che avrebbero sottoscritto gli accordi comunitari, l’ingresso di italiani in Gran Bretagna assume dimensioni significative. Fino al ’54, infatti, vi si recano per lavoro poco meno di 40.000 persone, con una ca-denza abbastanza irregolare, dipendente per lo più da situazioni congiunturali e da decisioni occasionali dei governanti inglesi. Nel decennio successivo vi emigrano oltre 86.000 persone, più del doppio. Un aspetto da considerare, i-noltre, è che a differenza di Francia, Germania e Svizzera, la percentuale dei ritorni è sempre bassa, non supera mai il 25%, significando un’evidente ten-denza alla stabilizzazione. La fluenza s’indebolisce negli anni successivi, atte-standosi sui 40.000 ingressi circa fino al ’75 e, nello stesso tempo, si alza di

85 I dati sono tratti dai rapporti annuali del MAE, Direzione per l’emigrazione e gli affari sociali, già indicati in precedenza.

86 Per i dati AIRE si vedano le segnalazioni bibliografiche della nota 31. 87 Si legga a questo proposito il paragrafo, significativamente intitolato La fortezza britan-

nica in Andreina De Clementi, Il prezzo della ricostruzione. L’emigrazione italiana nel se-condo dopoguerra, cit., p. 53 ss.

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parecchio il livello dei rimpatri, soprattutto nei difficili anni settanta88. I più recenti dati AIRE danno una presenza di circa 200.000 italiani in Gran Breta-gna, poco meno del 5% della comunità italiana nel mondo.

Il flusso di molisani verso questa realtà ha un’intensità certamente minore rispetto ad altri nella stessa Europa. Tuttavia, anche se attraverso un processo più lento di stratificazione, la comunità molisana che si forma nel Regno U-nito a conclusione di questo ciclo emigratorio si presenta non meno signifi-cativa dal punto di vista qualitativo, per alcune peculiarità che si presentano tra i partenti e per la formazione di alcuni nuclei consolidati.

I molisani, già dai primi anni cinquanta, riescono ad inserirsi nelle sporadi-che occasioni di richiesta di manodopera che il governo inglese concede a quello italiano, tra l’altro a condizioni salariali e logistiche abbastanza diffici-li89. Le partenze, regolate dagli accordi bilaterali, sono assistite e s’indirizzano sostanzialmente in queste direzioni: le miniere, le fabbriche di mattoni, le atti-vità agricole e il settore tessile. L’aspetto inedito nel quadro molisano è che per il settore tessile partono anche giovani donne sole, che in tal modo inter-rompono la lunga tradizione dell’espatrio di donne al seguito dei familiari o richiamate da parenti, attuali o prossimi a diventarlo. Esse approdano a Shef-field e a Coventry, in questo caso spesso per le segnalazioni di alcuni parroci presso la Snia Viscosa, controllata dalla britannica Courtaulds90. Un altro luo-go di destinazione dei molisani è Bedford, dove confluiscono lavoratori di Busso e di altri paesi soprattutto del Medio Molise, messi sotto contratto nei primi anni cinquanta dalle Brick Companies91. In Scozia si costituisce poi un buon nucleo di persone provenienti dalla Valle del Volturno, in particolare da Filignano, che si specializzano nell’arte della gelateria.

Ad ogni modo, cercando di ricomporre il quadro regionale, nel ventennio che va dai primi anni cinquanta ai primi dei settanta si manifesta un interesse per l’Inghilterra non residuale. Nei primi mesi del ’55 presso l’Ufficio del lavoro di Campobasso si accumulano circa mille domande, corrispondenti al 7% del totale. Nel quinquennio ’60-’64 le cancellazioni anagrafiche per il

88 Elaborazione di dati desunti da fonti diverse: U. Ascoli, Movimenti emigratori in Italia, cit., p. 47 ss.; M. Colucci, Lavoro in movimento, cit., p. 5; Id. (a cura di), La risorsa emigra-zione, cit., p. 12 e p. 26.

89 Cfr. M. Colucci, Lavoro in movimento, cit., pp. 183-197. 90 Per riferimenti e testimonianze dirette di emigrazione di donne autonomamente espatriate

per la Gran Bretagna, cfr. Giuliana Bagnoli, Correnti migratorie di San Biase, in Giuliana Bagnoli, Michele Tanno, Di terra in terra. Correnti migratorie di San Biase, Comune di San Biase, Grafica Isernina, 2011, pp. 189-205. Per un’evoluzione verso lavori autonomi, si veda N. Lombardi, Molisani nel Mondo, Nicola Di Silvio, Le giubbe delle guardie a cavallo, “Nuovo Molise Oggi”, 23 novembre 2000, p. 21.

91 Cfr. N. Lombardi, Molisani nel Mondo, Sabato Manocchio: nelle periferie dell’emigra-zione, “Nuovo Molise Oggi”, 10 giugno 1999, p. 19; Id., Molisani nel Mondo, I quattro fratel-li Valerio, da Ferrazzano a Londra, “Nuovo Molise Oggi”, giovedì 22 luglio 1999, p. 19.

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regno Unito – 719 – rappresentano addirittura un terzo di quelle complessive per l’Europa, di poco inferiori a quelle per la Francia92: un evidente segnale di tendenza alla stanzializzazione. Infatti, la comunità molisana che si forma, viene stimata dalle autorità consolari nel ’73 in 11.000 unità, la seconda in ambito europeo, subito dopo quella svizzera. E per qualche anno ancora con-serva queste dimensioni93. La crisi economica della prima metà dei settanta attraversa anche la comunità molisana, facendo da spartiacque tra coloro che resistono con una previsione di permanenza definitiva e un buon numero co-stretto a rientrare o a emigrare per altre destinazioni. Le dimensioni della presenza molisana si assottigliano; per quanto poco si possa contare sulle ci-fre delle stime soggette a trattamenti diversi nel tempo: tra gli ultimi anni dei settanta e primi degli ottanta essa viene stimata in 6.000 unità, con tendenza a declinare nel tempo. Resta un nocciolo duro costituito da emigrati delle prime fasi che hanno resistito alla bufera della crisi e, comunque, non si sono naturalizzati. Il migliaio di corregionali che nel corso dei settanta emigra nel Regno Unito94 aggiungendosi a quelli che sono partiti come lavoratori gene-rici già incominciano ad assumere una fisionomia sociale e culturale diversa rispetto al passato.

I dati AIRE, per quanto poco comparabili con quelli finora riportati, già da una decina d’anni prospettano un aspetto di un certo interesse: dei circa 4.700 molisani iscritti, meno della metà (2172) sono nati in Molise95. Di una comu-nità, insomma, arrivata alla terza generazione, si deve parlare ormai più in termini di integrazione che di legami di origine. A questo esito, per la verità, si è giunti non solo per il naturale trapasso delle generazioni, ma per un avanza-mento sociale di cui esistono esempi significativi. I ruoli lavorativi, ad esem-pio, difficilmente si sono riprodotti già nella seconda generazione, che si è po-tuta diffusamente scolarizzare. Ma già nella prima esistono esempi di evolu-zione e di successo in campo economico e sociale, come quello dei fratelli Va-lerio di Ferrazzano, che, dopo un periodo di lavoro presso la London Brick di Londra avviano un’attività commerciale prima nel quartiere londinese di Islin-gton e poi a Bedford, che per molti anni costituisce una quota interessante

92 Cfr. Ricciarda Simoncelli, Il Molise. Le condizioni geografiche di un’economia regiona-le, cit., p. 123. Gli indici delle cancellazioni anagrafiche, com’è noto, sono di solito più bassi del numero reale dei migranti sia perché non tutti si preoccupano di regolarizzare la loro con-dizione burocratica che per il ritardo con cui gli altri lo fanno.

93 Cfr. SVIMEZ, Un quarto di secolo nelle statistiche Nord-Sud 1951-1976, cit., p. 133. I dati sono tratti da MAE, Problemi del lavoro italiano all’estero. Relazione per il 1973. Per il 1976, si veda MAE, Aspetti e problemi dell’emigrazione italiana all’estero nel 1976, Roma, s. d., p. 107.

94 CSER, Dossier Europa Emigrazione, cit., p. 26. 95 MAE, Direzione generale per gli italiani all’estero, La rilevazione degli italiani all’estero

al 21 marzo 2003: caratteristiche demografiche, Rubettino, Cosenza 2005, p. 133.

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dell’import-export nazionale nel settore alimentare96. O quello dei fratelli Car-nevale, originari di Capracotta, che a Londra gestiscono una solida produzione di latticini, costruita anche sulla base della persistente memoria di alcune pra-tiche produttive e di alcune tipicità della terra d’origine.

6. La svolta europea

L’emigrazione verso la Svizzera e la Germania è nella storia della mobilità internazionale dei molisani un punto di svolta per diversi motivi: si tratta di realtà sostanzialmente nuove nella consolidata gamma emigratoria dei corre-gionali, se si escludono casi sporadici rilevati nel passato97; nel giro del ven-tennio che intercorre dalla metà dei cinquanta alla metà dei settanta questi paesi polarizzano i flussi più consistenti di partenti; i nuovi sbocchi riducono in modo sensibile le tradizionali traiettorie transoceaniche, con l’eccezione di Canada e Australia; il peso degli altri paesi europei si riduce in termini in-versamente proporzionali rispetto a quello dei nuovi approdi. Senza conside-rare i più recenti casi di “nuova mobilità”, di cui si parla in altra parte di que-sta rivista, l’opzione per la Svizzera e per la Germania rappresenta il passag-gio di più incisiva “modernizzazione” dell’emigrazione molisana.

Rispetto alle precedenti esperienze, queste ultime, sia per la maggiore vici-nanza che per il sistema a rotazione adottato dai governi locali nelle politiche di immigrazione, si caratterizzano per una sostanziale ubiquità del progetto emigratorio, nel senso che i partenti, nella maggior parte dei casi, conserva-no i legami familiari e il centro dei propri interessi nei paesi d’origine e con-siderano la permanenza di lavoro all’estero, per quanto prolungata, come semplice occasione di formazione, di risparmio e di acquisizione dei diritti previdenziali di cui usufruire al momento del ritorno. Come la terra è stata nel corso della Grande emigrazione l’elemento più vistosamente simbolico dell’esperienza migratoria dei contadini, così la casa in paese lo diventa per coloro che si recano per lavoro in Svizzera e Germania. Una casa ristruttura-ta o costruita in modo moderno e con ogni confort, anche se realizzata a prezzo di sacrifici logistici nei luoghi di residenza e di fatto abitata solo qualche settimana all’anno98. Il progetto ubiquitario, largamente prevalente

96 N. Lombardi, Molisani nel Mondo, I quattro fratelli Valerio, da Ferrazzano a Londra, “Nuovo Molise Oggi”, 22 luglio 1999, p. 19.

97 Nel quadro dell’accordo del 1937 tra il governo italiano e quello del Terzo Reich per il trasferimento di manodopera, alcuni molisani furono inseriti nei contingenti destinati alle in-dustrie e alle attività agricole in Germania. Tra questi, anche l’isernino Fernando Barbato, poi emigrato in Argentina, la cui vicenda è stata raccolta da N. Lombardi, Molisani nel Mondo, Fernando Barbato. Il pane amaro, “Nuovo Molise Oggi”, 8 luglio 1999, p. 19.

98 Sul valore della casa in paese per gli emigrati in Svizzera e Germania, cfr. N. Lombardi, Molisani nel mondo, Moebel Tamburro, “Nuovo Molise Oggi”, 25 marzo 1999, p. 17.

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tra i partenti, con il tempo subisce un cambiamento qualitativo sia per l’intenzione delle successive generazioni di restare nei paesi di insediamento che per una scelta di sistema maturata nel prolungato confronto tra la realtà di partenza (e di eventuale ritorno) e quella di arrivo e di vita. In particolare,

sono i figli il fattore essenziale di mutamento del progetto di vita dei nostri emigrati. Molti di loro sono tornati o torneranno, ma sono ogni giorno di più quelli che decidono di restare o si riservano una difficile decisione. Intanto la casa ristrutturata resta lì, in paese, come il simbolo di una scelta irrisolta99.

Per la verità, nel quadro dell’emigrazione nazionale, la Svizzera già nei

primi anni del dopoguerra si presenta come l’approdo prescelto da una gran massa di migranti. Sono 256.161 i connazionali che varcano le sue frontiere nel triennio ’46-’48, ricalcando la lunga prassi di ricerca di lavoro e di libertà consolidatasi nei momenti difficili della nostra democrazia. Nell’arco di tempo ’46-’57 diventano 780.920, il flusso più alto che si registri per un pae-se europeo. Gli espatri sono compensati, però, da un numero di rimpatri al-trettanto considerevole, 588.639100, dovuti in larga misura all’impegno delle autorità elvetiche di evitare la stanzializzazione degli immigrati per lavo-ro101. Per quel che qui ci interessa, i meridionali, e i molisani tra loro, “sco-prono” la Svizzera solo dalla metà degli anni cinquanta in poi. Quando que-sto interessamento si manifesta, gli italiani in Svizzera sono circa 160.000, di cui appena un quinto meridionali. A metà dei settanta diventano 570.000 e a fine secolo si riducono a 320.000, sia per il passaggio di un’altra crisi eco-

99 Id., Molisani nel mondo, Tra i molisani di Zurigo, “Nuovo Molise Oggi”, 5 novembre 1998, p. 17.

100 Sia per gli espatri che per i rimpatri, i dati sono tratti da MAE, Dges, Problemi del lavo-ro italiano all’estero. Relazione per il 1966, cit., pag. 5.

101 Il regime degli ingressi e delle permanenze in Svizzera, come è noto, è regolato fino agli anni settanta sulla base dei permessi stagionali che comportano l’interruzione del rapporto di lavoro ogni anno dopo nove mesi, il divieto di cambiare lavoro e cantone e l’impossibilità di es-sere raggiunto dalla famiglia. Solo dopo cinque anni si può ottenere un permesso annuale, co-munque da rinnovare alla scadenza, che concede la libertà di circolazione all’interno della Con-federazione e la possibilità di richiamare i familiari. Per avviare un’attività autonoma è necessa-rio il riconoscimento della condizione di domiciliato. Nonostante ciò, il movimento antimmigra-zionista resta sempre molto agguerrito, anche per l’elevata percentuale di stranieri presenti sul suolo nazionale, e tenta, senza riuscirci, con quattro successivi referendum di chiudere gli in-gressi e di allontanarne una parte. Questo clima si prolunga fino agli anni ottanta, quando sono superate le conseguenze soprattutto occupazionali della crisi economica e intervengono fattori – l’assiduo impegno della costellazione associativa di ispirazione democratica e una migliore inte-grazione della prima emigrazione di origine mediterranea – che temperano l’ostilità nei confronti degli stranieri. Da diversi anni, la prima emigrazione nelle collocazioni più basse della società è sostituita da quella proveniente dai paesi slavi. In generale, anche per l’intenzione dei gruppi dirigenti elvetici di non allontanarsi troppo dal modello europeo di accoglienza, è adottata una politica di maggiore elasticità per quanto riguarda le naturalizzazioni.

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nomica che per l’incidenza dei rientri. Di essi, tuttavia, i due terzi sono or-mai meridionali102.

I molisani si dirigono, non diversamente dagli altri, verso il lavoro nelle costruzioni, nelle campagne e nei settori industriali più maturi. Essi si con-centrano, in particolare, nell’area di Zurigo e, in modo meno consistente, in quella di Basilea, ma non mancano nelle zone di Losanna, Ginevra, San Gal-lo e Locarno.

Per quanto riguarda il loro numero, la comunità regionale in Svizzera nel ’73 tocca le 11.000 unità, il livello più alto della breve vicenda migratoria molisana. Le difficoltà occupazionali degli anni successivi si fanno sentire, tant’è che nel giro di poco tempo essa si ridimensiona intorno alle 8.000 per-sone103. Questa dimensione tende a restare stabile nel tempo, con una scarsa inclinazione alle naturalizzazioni, considerate anche le difficoltà della legi-slazione locale in questo campo. Lo confermano i dati AIRE, che nel 2003 registrano 7.975 molisani con cittadinanza e 7.890 nel 2012, il 10% degli i-scritti a livello mondiale104.

L’assestamento quantitativo nasce, naturalmente, da un più penetrante e durevole insediamento sociale che riguarda le generazioni più mature e so-prattutto le nuove che, per quanto ingabbiate nel rigido sistema formativo vigente, sono protagoniste di un convincente percorso di integrazione nel tessuto del paese. Il lento formarsi di un ceto intermedio, l’evidenziarsi di alcune riuscite esperienze imprenditoriali e qualche caso di affermazione ci-vile e istituzionale, come quella di Franco Narducci, sindacalista e parlamen-tare italiano eletto nella ripartizione europea, ne costituiscono i segnali più probanti.

I rapporti con le realtà d’origine sono tenuti vivi, oltre che dalla assiduità dei ritorni e dalla fluidità dei contatti, dall’attività di alcuni sodalizi comunali e da un’associazione regionale – l’Associazione regionale emigrati molisani (AREM) –, nata nel 1977, che si è resa, per altro, elemento trainante della Federazione europea delle associazioni molisane (FEAM), principale inter-locutore dell’istituto regionale a livello continentale.

Con l’accordo di lavoro del 1955 tra il governo italiano e quello tedesco e la firma del Trattato di Roma del 1957, l’emigrazione italiana in Europa si svi-luppa in modo diverso rispetto al decennio precedente e s’incammina per stra-de fino ad allora poco praticate. Ne deriva un intenso flusso di andata e ritorno dalla Germania, che unito a quello svizzero, assorbe ormai una quota maggio-

102 Cfr. Giovanna Meyer Sabino, In Svizzera, in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzi-na, Storia dell’emigrazione italiana. Arrivi, cit., pp. 147-155.

103 Ministero Affari Esteri, Direzione generale emigrazione e affari sociali, Aspetti e pro-blemi dell’emigrazione italiana all’estero, cit., per gli anni considerati.

104 MAE, La rilevazione degli italiani all’estero…, cit., p. 155 e Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2012, cit., p. 490.

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ritaria della mobilità degli italiani nell’ambito europeo e contribuisce a svuota-re lo stesso movimento transoceanico. I mutamenti di ordine qualitativo che intervengono nelle tipologie di questa mobilità non sono meno importanti.

Già negli ultimi anni dei cinquanta, le partenze verso la Germania, che in precedenza si contavano a centinaia, cominciano a decollare assorbendo ol-tre 50.000 lavoratori, più del doppio di quelli registrati nell’intero decennio precedente all’accordo105. Nel 1960, poi, esse s’impennano oltre le 100.000 unità e si mantengono a livelli elevati fino ai primi anni settanta, inferiori a livello mondiale solo a quelle per la Svizzera. Nel periodo 1960-’70 gli espa-tri sono 846.112, una cifra di evidente importanza, anche se compensata da un numero non meno significativo di rimpatri (610.036) che comunque la-sciano il margine di un saldo negativo di 236.116 migranti106.

Il flusso delle partenze, dopo le parentesi di crisi del ’67, del ’73–’74 e dell’’80, continua a svolgersi con continuità, al punto che a fine secolo è possibile registrare una dimensione veramente straordinaria di arrivi – poco meno di 4 milioni – a fronte di circa 3,5 milioni di uscite107. tant’è che oggi la Germania, con i suoi 639.283 iscritti all’AIRE, appena dopo l’Argentina, è il paese al mondo che ospita il maggior numero di italiani.

I mutamenti qualitativi contribuiscono a marcare il passaggio di tipologia emigratoria rispetto a quelle conosciute fino alla metà degli anni cinquanta. L’emigrazione in Germania, infatti, concentra in sé le caratteristiche più nuove della mobilità degli italiani in ambito europeo, vale a dire l’esaltazione del sistema rotatorio, il conseguente altissimo livello di mobili-tà e di flessibilità, il veloce sganciamento dal sistema di reclutamento assisti-to. Nella Repubblica federale, infatti,

la manodopera reclutata all’estero è intesa quale contributo congiunturale e transitorio alla crescita, assunta con contratti temporanei al termine dei quali sarebbe tornata ai paesi di origine per venir sostituita, se necessario, da altri immigrati, in un flusso costante di entrate e uscite che avrebbe dovuto preve-nire la stabilizzazione di larghe comunità permanenti di stranieri108.

105 Fonti varie: M. Colucci, Lavoro in movimento, cit., p. 5; F. Romero, Emigrazione e inte-grazione europea, cit., p. 162; U. Ascoli, Movimenti migratori in Italia, cit., p. 47 e p. 53.

106 Ministero Affari Esteri, Direzione generale emigrazione e affari sociali, Problemi del la-voro italiano all’estero: relazione per il 1973, Roma 1974, citato in Michele Colucci (a cura di), La risorsa emigrazione. Gli italiani all’estero tra percorsi sociali e flussi economici, 1945-2012, «Osservatorio di politica internazionale. Approfondimenti», 2012, 60, p. 12.

107 I dati sono contenuti in Sonja Haug, Bleiben oder Zuruckkerhen? Zur Messung. Erklarung und Prognose der Ruckkehr von Immigranten in Deutschland, Zeitschrift fur Bevolkerungswis-senschaft. 2. 2001, p. 236 e riportati in Enrico Pugliese, In Germania, in P. Bevilacqua, E. Fran-zina, A. De Clementi (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana. Arrivi, cit., p. 124.

108 F. Romero, Emigrazione e integrazione europea 1945-1973, cit., p. 212.

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Indubbiamente questi diversi percorsi maturano nel quadro della nuova le-gislazione comunitaria che, sia pure a tappe triennali (1962 –65–68), libera-lizza la circolazione all’interno dei paesi aderenti. È questa la differenza più macroscopica con l’emigrazione in Svizzera, dove la temporaneità è un ele-mento costitutivo dello stesso permesso di ingresso e di soggiorno. E tutta-via, non è trascurabile il peso di altri fattori, ad esempio la larga presenza degli italiani in comparti, come quello dell’edilizia, che hanno una connatu-rata cadenza stagionale, e la possibile alternativa, dopo una breve permanen-za all’estero, del trasferimento nelle regioni settentrionali italiane, dove l’industria offre non poche possibilità d’impiego. La spinta al ritorno viene anche dal fatto che nel corso degli anni sessanta si consolida il processo di sostituzione degli italiani con lavoratori extracomunitari; questi ultimi, infat-ti, ricevono un trattamento salariale e previdenziale meno controllato rispetto ai lavoratori comunitari e danno garanzie di maggiore stabilità per il fatto di non potere usufruire della liberalizzazione della mobilità di lavoro.

Vi sono, poi, gli elementi di natura culturale, connessi sia al progetto mi-gratorio di ciascun lavoratore e di ciascuna famiglia che al clima sociale in cui l’esperienza matura. Nella maggior parte dei casi, il periodo di lavoro in Germania viene concepito, almeno inizialmente, come un’occasione di ri-sparmio limitata nel tempo e volta, paradossalmente, ad accumulare qualche risorsa per evitare un prolungato trasferimento all’estero109. Cosa che nel Mezzogiorno si dimostrerà effimera perché sia i risparmi che le (poche) competenze professionali acquisite non saranno sufficienti per avviare solide attività d’impresa, per altro in contesti poveri di fermenti di sviluppo110. Alla fine degli anni sessanta, inoltre, si dispiegano movimenti critici che indiriz-zano i loro strali sia sulle condizioni di arretratezza e di ritardo della società meridionale che sullo sfruttamento che si perpetra dei lavoratori attraverso l’emigrazione al Nord e in Europa. L’emigrazione, dal punto di vista dell’ap-prezzamento comune, insomma, incomincia a perdere la sua dimensione va-loriale di opportunità e di promozione sociale.

Nel decennio successivo – gli anni settanta – questa conversione si consu-ma interamente, anche per la concomitanza di fattori di diversa natura. La Germania di questa evoluzione sarà uno degli ambienti di più intensa coltu-ra. Man mano che il sistema produttivo italiano si modernizza e si integra a livello europeo, diventa stridente la constatazione che vi sono luoghi del pa-ese nei quali il modo fondamentale di affrontare il problema della disoccu-

109 Il differenziale retributivo tra il mercato del lavoro italiano e quello dei maggiori paesi europei oscilla, infatti, tra il 35% e il 50%.

110 Su alcune esperienze di emigrazione di ritorno in Molise, cfr. Renato Cavallaro, Fenomeni di emigrazione di ritorno a Mirabello Sannitico, «Proposte Molisane», 1973, 3, pp. 99-103; An-tonio Mucciaccio, L’emigrazione in un paese del Sud, Carabba, Lanciano 2009, p. 81 ss.

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pazione e della sottoccupazione sia ancora quello di emigrare. In più l’Italia, che agli inizi del decennio denuncia esplicitamente la prassi dei partner eu-ropei più recettivi di immigrati di ricorrere largamente alla manodopera e-xtracomunitaria e la poca incisività delle politiche comunitarie di lavoro, de-ve ben presto prendere atto che in materia d’immigrazione i governi naziona-li non intendono rinunciare alle loro prerogative e che, soprattutto in questo campo, una visione sovranazionale è ancora sostanzialmente utopica. Sta di fatto che agli inizi del decennio gli italiani sono appena il 17% della forza lavoro in mobilità all’interno della CEE e che qualche anno prima essi non superano il 21% di quella che arriva nel grande mercato tedesco.

La situazione si drammatizza con la recessione economica della prima me-tà dei settanta, che induce il governo tedesco al blocco generalizzato degli ingressi. La spinta ad abbandonare il paese nel vivo della crisi occupazionale e la prontezza a rientrarvi quando la situazione migliora, in dimensioni co-munque minori rispetto al passato, contribuiscono ad accentuare la caratteri-stica di forte temporaneità della presenza degli italiani. A partire dalla Ger-mania, ma ormai in tutta Europa, l’emigrazione degli italiani si atomizza e perde le sue caratteristiche di flusso organizzato. Questo consente ai lavora-tori italiani, sulla base di contatti parentali e di ricerche dirette, di spostarsi dai lavori più marginali a quelli di fabbrica e dei servizi, con il freno comun-que delle diffuse e persistenti carenze di formazione e specializzazione che caratterizzano il loro profilo professionale.

Nel passaggio dalla società industriale a quella dei servizi, gli italiani si di-stanziano sempre di più dall’immagine tradizionale del lavoratore dipenden-te. […] L’assunzione di un’attività autonoma offre una prospettiva di indi-pendenza economica, cosicché molti italiani da dipendenti diventano a loro volta datori di lavoro. Il neologismo Gastarbeiter è ormai scomparso dal lin-guaggio del quotidiano111.

L’atomizzazione della presenza italiana in Germania non esclude, tuttavia,

il sempre più esteso affiorare di una tendenza alla stabilizzazione. D’altro canto, «degli oltre 600.000 italiani presenti, 166.000 vivono in Germania da oltre 30 anni, 87.000 tra 15 e 30 anni»112. In più, i matrimoni misti sono stati molto frequenti: «Circa un terzo degli uomini italiani che vivono in Germa-nia è sposato con una donna tedesca. I figli che nascono da questi matrimoni

111 Maximiliane Rieder, Migrazione ed economia. L’immigrazione italiana verso la Germania occidentale dopo la seconda guerra mondiale, «Studi Emigrazione», 2004, 155, pp. 633-654.

112 Edith Pichler, La comunità italiana in Germania, «Rivista delle politiche sociali», 2004, 3. Questa citazione e quella precedente di Rieder sono in Enrico Pugliese, L’emigrazione ita-liana in Germania: Mercato del lavoro e politiche migratorie, in F. Carchedi, E. Pugliese (a cura di), Andare, restare, tornare, Cosmo Iannone, Isernia 2006, p. 39.

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binazionali sono tedeschi»113. Tra i discendenti maschi di matrimoni misti, i tre quarti hanno partner tedeschi e tra le donne oltre la metà. La progressiva stabilizzazione, tuttavia, stenta ad assumere la forma di naturalizzazione, come dimostra il fatto che dal 2000 in poi, nonostante le riforme normative sulla cittadinanza e sull’immigrazione, hanno compiuto il passo della com-pleta integrazione appena 12.000 italiani114. Alla base della scelta di restare, soprattutto tra le generazioni più mature, oltre alla preoccupazione di non la-cerare la rete parentale, vi è anche una valutazione critica del sistema paese nel quale si andrebbe a vivere, soprattutto sotto il profilo dell’efficienza dei servizi sociali e sanitari, rispetto a quello che si abbandonerebbe. La tenden-za alla stabilizzazione apre infine una complessa problematica di tipo identi-tario nel paese di residenza, che si manifesta nonostante l’assenza di un re-troterra di aggregazione di tipo nazionale o localistico115.

La polverizzazione che caratterizza la presenza degli italiani in Germania segna anche i rapporti migratori che i molisani intrattengono con questo pae-se. In realtà, si tratta di una duplice forma di capillarità, sia nella realtà di partenza che in quella di arrivo: in Molise si può dire che non vi sia paese dal quale non sia partito qualche persona per cercare lavoro in Germania, per periodi più o meno prolungati, talvolta interrotti per avviare parabole migra-torie transoceaniche o per realizzare trasferimenti permanenti in Nord Italia; in Germania, i molisani si irradiano diffusamente sul grande territorio in ba-se alle opportunità di lavoro o alla segnalazione di qualche conoscente e solo sporadicamente si concentrano in numero significativo in qualche città o a-rea particolare, come nel Baden Wuttemberg116.

La Germania, comunque, con la Svizzera, a partire dagli ultimi anni cin-quanta, rappresenta anche per i molisani la soluzione più flessibile, quella che meglio si adatta alle molteplici situazioni di reddito e di lavoro, in una gamma di soluzioni che vanno dalla inoccupazione prolungata al desiderio di accumulare risorse da reinvestire in piccole imprese agricole e artigianali, passando per uno status di diffusa sottoccupazione. Allo stesso tempo, pro-prio per questa caratteristica di adattabilità, la soluzione tedesca è stata anche la cartina di tornasole delle diverse fasi congiunturali dei flussi migratori in

113 Sonja Haug, Storia d’immigrazione e tendenze all’integrazione di emigrati italiani in Germania, in F. Carchedi, E. Pugliese (a cura di), Andare, restare, tornare, cit., p. 51.

114 Edith Pichler, Europa: da stranieri a cittadini, in Marcella Marcelli (a cura di), Una grande Italia oltre l’Italia. L’emigrazione nella storia unitaria, Forum Centro Studi Pd, Roma 2012, p. 140.

115 Roberto Sala, Immigrati nella Germania federale e appartenenza nazionale all’Italia, «Studi Emigrazione», 2005, 160, pp. 951-965.

116 Nell’area di Stoccarda, si segnala la presenza di una numerosa comunità di Guglionesi a Markgroeningen, presenze di Montenero di B. ad Asperg, di Montecilfone, Castelmauro, Ac-quaviiva Collecroci e Portocannone a Ditzingen: cfr. N. Lombardi, Molisani nel mondo, Giancarlo Cingolani: gli emigrati invisibili, “Nuovo Molise Oggi”, 6 luglio 2000, p. 19.

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ambito europeo, e non solo. Non a caso, quando, ad esempio, l’economia te-desca nella seconda metà dei sessanta conosce una fase di difficoltà che si riversa anche sull’occupazione, i molisani rafforzano il canale di espatri ver-so il Canada, divenuto il principale polo di attrazione transoceanico, o quan-do nei primi anni settanta si sviluppa la fase recessiva a livello europeo e mondiale, il tasso migratorio interno del Molise, solitamente basso per la preferenza dei molisani all’espatrio, s’innalza improvvisamente o segnala un consistente rientro, come nel 1973117.

Il carattere rotatorio dell’esperienza di lavoro fatta dai molisani in Germa-nia, non consente calcoli precisi dal punto di vista quantitativo. Con accetta-bile approssimazione si può dire che dalla firma dell’accordo di lavoro del ’55 alla fine dei sessanta vi si siano recati più di 10.000 molisani. Nel ’73, quando questo primo ciclo migratorio s’interrompe per la già ricordata fase congiunturale negativa, la comunità molisana in Germania è stimata in 10.535 persone, grosso modo equivalente a quelle presenti in Svizzera e Gran Bretagna118. Considerando l’effetto di sostituzione derivante dalle pre-senze brevi, il numero dei molisani che hanno sperimentato il lavoro nella Repubblica federale deve essere, nelle dimensioni molisane, significativa-mente maggiore. La crisi, comunque, incide pesantemente anche sull’oc-cupazione dei molisani in terra tedesca. Per quanto sia possibile fidarsi dei dati raccolti dai terminali consolari, la comunità regionale nel 1976 scende a circa 8.000 presenze, ma sui dati pesa la commistione con quelli del-l’Abruzzo, che sembrano sovrastimati119. Infatti, tre anni più tardi la presen-za risale a circa 15.000 unità120 e resta sostanzialmente stabile fino ai primi anni ottanta, quando viene calcolata in 12.271 persone121.

Il passaggio dalle stime dei consolati, certamente più realistiche per il fatto che queste strutture sono il riferimento della costante domanda di servizi da parte dei migranti, al meno affidabile sistema AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), realizzato soprattutto per compilare gli elenchi degli elet-tori in vista dell’introduzione del voto all’estero, non consente di delineare un percorso di continuità e di fare confronti fondati. Comunque in base a quest’ultima fonte, i molisani residenti in Germania che hanno conservato la cittadinanza, calcolati nel 2003 in 9.207122, sono ridimensionati in 8.000 circa

117 ISTAT, Rilevazione del movimento e calcolo della popolazione residente, Serie storiche, Tavola 2.12, Tasso migratorio interno per regione e ripartizione geografica. Anni 1952-2005, www.istat.it.

118 SVIMEZ, Un quarto di secolo nelle statistiche Nord-Sud 1951-1976, cit., p. 133. I dati sono tratti da MAE, Problemi del lavoro italiano all’estero. Relazione per il 1973.

119 MAE, Aspetti e problemi dell’emigrazione italiana all’estero nel 1976, Roma, s. d., p. 107. 120 MAE, Aspetti e problemi dell’emigrazione italiana all’estero nel 1979, cit., p. 146. 121 MAE, Aspetti e problemi dell’emigrazione italiana all’estero nel 1984, cit., pag. 230. 122 MAE, Direzione generale per gli italiani all’estero, La rilevazione degli italiani all’este-

ro al 21 marzo 2003: caratteristiche demografiche, cit., p. 155. Gianmario Maffioletti, Alber-

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nel 2012, dopo che le annotazioni AIRE a livello comunale hanno subito ripe-tuti interventi di ripulitura123. In sostanza, i molisani, restano poco proclivi a regolarizzare la loro situazione amministrativa quando si trasferiscono altrove, come in passato è accaduto per le cancellazioni anagrafiche; la flessibilità del-la loro presenza in Germania spesso non lascia il tempo di consolidare for-malmente la condizione di migrante; l’interesse per quel mercato del lavoro non si sopisce, ma sia pure in dimensioni contenute tende a consolidarsi.

Un dato interessante, comunque, è che degli oltre 9.000 iscritti AIRE nel 2003, solo 4.679124, equivalenti a poco più della metà, sono nati in Molise. Pur scontando l’approssimazione delle cifre, sembra manifestarsi una ten-denza alla stanzializzazione delle famiglie nelle quali le seconde generazioni nate all’estero guadagnano spazi sempre più importanti.

I settori nei quali essi si inseriscono sono inizialmente quelli del lavoro su-bordinato, in particolare nell’edilizia, nella meccanica e nella chimica. Ma lo spettro delle collocazioni è molto ampio, in relazione alle possibilità di con-tatti e informazioni e alle ricerche personali. Così come è diffuso e polveriz-zato l’insediamento territoriale, che presenta qualche zona di aggregazione nell’area di Monaco, di Stoccarda e di Colonia. La presenza dei molisani nella società tedesca, comunque, non è immune dalle contraddizioni che ca-ratterizzano la condizione degli italiani in genere. Un dirigente sindacale di origine molisana la descrive in questi termini:

Da un lato si manifesta un miglioramento sociale, di lavoratori stabilizzati che sentono meno il morso del bisogno e della tutela o che ad un certo punto del loro percorso lasciano un’occupazione dipendente e si avviano verso un’attività in proprio. Dall’altro si segnalano in modo preoccupante un’esclusione sociale ancora forte e una conseguente ricaduta in aree di indistinta marginalità, dove è dif-ficile recuperare una pratica attiva dei diritti125.

In un quadro con tali caratteristiche, le tendenze aggregative risultano deboli

e i fenomeni associativi molto poveri. Mantengono una certa saldezza le reti parentali e quelle paesane, anche nelle seconde generazioni, ma le sedi e i momenti d’incontro sono di solito di tipo dopolavoristico e si attivano il fine settimana. È carente, dunque, l’associazionismo istituzionalizzato che connota to Colaiacomo, Gli italiani nel mondo. Dinamiche migratorie e composizione delle collettivi-tà, «Studi Emigrazione», 2004, 153, p. 180) indica in 6.623 i molisani residenti in Germania iscritti all’AIRE.

123 Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel mondo 2012, cit., p. 490. 124 MAE, Direzione generale per gli italiani all’estero, La rilevazione degli italiani

all’estero…, cit., p. 133. 125 N. Lombardi, Molisani nel mondo, Giovanni Pollice, da Capracotta alla Germania,

“Nuovo Molise Oggi”, 14 gennaio 1999, p. 17.

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le esperienze emigratorie consumate oltreoceano e, in modo più labile, in qualche paese europeo; un associazionismo che altrove si caratterizza sempre di più in termini culturali e di richiamo delle origini locali e regionali.

7. Molisani nel mondo

La seconda grande ondata migratoria dei molisani, come si è detto, s’infrange sulla crisi economica provocata dallo shock petrolifero. Il saldo emigratorio, che con riferimento alla popolazione era stato tra i più alti d’Italia, dopo oltre un quarto di secolo di esodo ininterrotto, assume un se-gno positivo, anche se con valori di scarsa entità. Nello stesso periodo è in atto un processo di modernizzazione della società regionale che dà l’impressione che si stia finalmente chiudendo la secolare parabola emigrato-ria e si apra una prospettiva di più equilibrato uso delle risorse, soprattutto umane. Un tentativo di autolegittimazione della classe dirigente e un atto di miopia politica e culturale che si evidenziano già nel decennio successivo sulle difficoltà di sviluppo derivanti dal venir meno delle risorse finanziarie straordinarie che avevano alimentato quella grande illusione.

Con il conseguimento dell’autonomia regionale, la costituzione della pro-vincia d’Isernia e, soprattutto, con l’entrata a regime della Regione, che si realizzano nel giro di un paio di lustri, le dinamiche istituzionali diventano prevalenti rispetto a quelle sociali, che avevano accompagnato e caratterizza-to il ventennio precedente. L’istituto regionale, per altro, nel quadro delle funzioni delegate dallo Stato ai nuovi organismi, assume anche i poteri rela-tivi agli interventi per l’emigrazione. Un passaggio abbastanza paradossale e non sempre percepibile per la fascia più cospicua degli emigrati molisani che, al momento della loro partenza, s’identificavano solo nel paese di nasci-ta, nella provincia di Campobasso e, al massimo, nell’Abruzzo, di cui l’unica provincia di Campobasso era parte.

Quando si apre questa nuova fase, i protagonisti istituzionali si trovano di fronte ad una rete di comunità molisane nel mondo abbastanza articolata, nella maggior parte dei casi formatesi a seguito di una lunga sedimentazione, ma rinsanguate dai nuovi, cospicui arrivi e trasformate nella loro fisionomia sociale e nei loro orientamenti culturali. Questa presenza, nella valutazione dei rappresentanti diplomatici e consolari, nel ’73, vale a dire alle soglie del-la crisi mondiale, supera le 105.000 persone, di cui poco meno della metà (53.332 = 49,5%) in Europa, il resto in America (43.654 = 41,2%) e in Au-stralia (9.100 = 8,6%). L’assenza dalle stime degli Stati Uniti e del Venezue-la tuttavia incide, e non di poco, sul quadro complessivo.

Più in dettaglio, in Europa i molisani sono prevalentemente concentrati in Svizzera, Germania, Gran Bretagna e Belgio, dove si riscontrano comunità

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che hanno una consistenza tra le 10.000 e le 11.000 unità, e in Francia dove è stimata una presenza di 8.750 persone. Per l’America del Nord, in Canada sono segnalati 21.000 corregionali, poco di più di quanto nell’America meri-dionale si dica dell’Argentina, che assorbe di gran lunga la presenza molisa-na in quell’emisfero. A titolo di curiosità, 635 molisani vanno anche in Afri-ca a cercare lavoro, di cui un terzo in Sud Africa, e poco meno di un centi-naio in Asia126.

Assumiamo questi dati a titolo puramente indicativo, e non solo per l’approssimazione delle rilevazioni. In realtà, il sedimento molisano nei pae-si di storica immigrazione è molto più consistente, ad iniziare dagli Stati U-niti e dalla stessa Argentina. I processi di assimilazione, infatti, hanno sotter-rato i riferimenti alle persone e alle famiglie che vi si sono diretti dalla se-conda metà dell’Ottocento in poi e, allo stato delle conoscenze, restano inde-finibili sia le moltiplicazioni generazionali che l’entità delle naturalizzazioni nelle singole realtà. Tra gli stessi nati in Molise, partiti nel secondo dopo-guerra, molti per ragioni di lavoro sono stati indotti, soprattutto in Nord A-merica e in Australia ma anche in Argentina e Brasile, a prendere la cittadi-nanza del posto, perdendo automaticamente quella italiana, e quindi ad usci-re dagli abituali contatti con i terminali consolari.

Vi è, poi, un’essenziale considerazione di metodo che è alla base di ogni approccio con una realtà tanto dispersa dal punto di vista geografico quanto variegata dal punto di vista storico. Si può parlare di una presenza molisana nel mondo solo in modo astratto e grossolanamente quantitativo. In una vi-suale, ormai indispensabile, di tipo qualitativo le situazioni vanno scomposte nella loro individualità e lette nella peculiarità dei contesti ambientali, con l’occhio rivolto ai processi economici, al tipo di evoluzione sociale che si è concretamente realizzato, alle specifiche politiche di immigrazione dei go-verni locali, ai mutamenti culturali cui sono andate incontro soprattutto le successive generazioni, alle reti relazionali che ancora sopravvivono.

8. Le reti associative

Per circa un secolo, uno dei principali fattori di coesione e di conservazio-ne del profilo identitario delle nostre comunità immigrate in paesi esteri, co-stituitesi soprattutto mediante il sistema dei richiami parentali e paesani, so-no state le aggregazioni associative, che dall’iniziale finalità di mutuo soc-corso si sono evolute in associazioni ricreative e culturali127. Queste associa-

126 Elaborazioni da SVIMEZ, Un quarto di secolo nelle statistiche Nord-Sud. 1951-1956, cit., p. 133.

127 Per un richiamo storico delle società di mutuo soccorso in Molise e all’estero si veda Edilio Petrocelli, I luoghi e i valori universali delle Società operaie molisane, Volturnia ed., Isernia

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zioni, al di là dell’usura cui sono esposte per il trapasso delle generazioni e per la crescente integrazione dei migranti nelle società di insediamento, con-servano ancora una notevole importanza per lo sviluppo delle relazioni con le località d’origine. Esse, nel loro mutamento, rispecchiano il percorso evo-lutivo che gli immigrati molisani hanno compiuto nelle realtà in cui hanno costruito la loro esperienza di lavoro e di vita. I primi anni dopo l’arrivo essi sono stati silenti, dedicati quasi esclusivamente ad affrontare i problemi della ricerca di un lavoro soddisfacente, della sistemazione logistica, della cono-scenza del nuovo contesto sociale e della acquisizione degli strumenti lingui-stici essenziali, della formazione e della sistemazione della famiglia, della scolarizzazione dei figli. I rapporti con i parenti e con i compaesani, pur fre-quenti, sono rimasti confinati nel rito del pranzo domenicale, nella conserva-zione delle abitudini sociali e gastronomiche delle grandi feste dell’anno, nella perpetuazione della pratica religiosa tradizionale, negli incontri occa-sionali legati alla nascita, al matrimonio e alla morte.

Superata nel giro di una decina d’anni la fase organizzativa della nuova e-sistenza in terra straniera e a fronte dei delicati problemi identitari che in ge-nere si accompagnano ai percorsi di integrazione in società estranee, i rap-porti tra i compaesani diventano più assidui e sistematici e in molti casi tro-vano la strada di una vera e propria istituzionalizzane mediante la formazio-ne di sodalizi, anche in questo caso intestati al comune d’origine o al suo santo protettore. Il fattore religioso, nella declinazione antropologica del mondo contadino dal quale la maggior parte proviene, ha un peso non indif-ferente nella riaffermazione del legame comunitario e nella ricerca di prote-zione rispetto alle incognite di un viaggio sociale verso approdi non chiara-mente delineati e tali, comunque, da giustificare incertezza e ansia. Non a caso, l’attività fondamentale di questi nuclei associativi diventa quella della celebrazione della festa del patrono e della raccolta dei fondi da inviare in paese per lo stesso scopo, in cambio della pubblica menzione delle offerte inviate, quasi un segnale di un rapporto mai interrotto. Anche in questo caso, tuttavia, il particolare chimismo che si è determina nelle realtà d’inse-diamento caratterizza le soluzioni adottate e, soprattutto, lo sviluppo della vita associativa. Se in America Latina, infatti, si è manifesta più evidente la matrice di tradizione appena ricordata, in altri contesti più avanzati social-mente e ispirati da orientamenti multiculturali, come il Canada e l’Australia, la tipologia associativa si è connotata di una maggiore “laicità”.

In ogni caso, dalla metà degli anni settanta in poi, il conseguimento di standard di maggiore benessere e il superamento degli aspetti più traumatici della separazione con i luoghi e gli affetti di partenza, favorito dalla maggio- 2012; per un quadro attuale della realtà associativa dei molisani, si veda l’albo regionale delle associazioni e delle federazioni molisane all’estero, pubblicato nell’appendice documentaria.

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re facilità delle comunicazioni e dall’intensificarsi dei viaggi di ritorno, sia pure temporanei, favorisce un’evoluzione della ragione associativa verso motivi culturali e ricreativi. Da essi, tuttavia, per il loro immancabile imprinting paesano, nei decenni che concludono il secolo scorso sempre di più si distaccano le nuove generazioni, esposte a stimoli e linguaggi molto diversi. Spesso, infatti, la conservazione dei codici di comportamento tradi-zionali è vista come un freno per una più piena acquisizione di modernità e come un fattore di separazione dalla realtà contemporanea128.

L’ingresso dell’istituto regionale nel campo emigratorio e le iniziative da esso proposte e adottate schiudono le porte ad una percezione della realtà d’origine meno localistica e ad una dimensione culturale inedita per i moli-sani lontani, quella regionale, che nel giro di qualche decennio si coniuga con quella locale. Esso, inoltre, offre al tessuto associativo un nuovo punto di riferimento operativo, per la verità non sempre costante nel tempo e affi-dabile negli impegni, e un sostegno anche finanziario. A partire dai primi anni ottanta, inoltre, da parte della Regione si sviluppano le sollecitazioni che portano ai primi tentativi di coesione federativa dell’arcipelago associa-tivo per paese o per grandi aree. Nascono, così, la Federazione delle Asso-ciazioni Molisane del Québec (FAMQ, comprensiva inizialmente di 41 asso-ciazioni); la Federazione delle Associazioni Molisane Canadesi dell’Ontario (FAMCO, 14 associazioni); l’Associazione Culturale Italiani del Molise nel Brasile, di carattere nazionale, con sede a S. Paolo; la Federazione Europea delle Associazioni Molisane (FEAM, 7 associazioni); l’Unione Regionale delle Associazioni Molisane di Argentina (URAMA, 16 associazioni); la Fe-derazione delle Associazioni Civili Abruzzesi e Molisane del Venezuela (3 associazioni). alle quali, per ragioni talvolta concorrenziali tra gli stessi rap-presentanti associativi, si aggiungono la Federazione Canadese delle Asso-ciazioni Molisane in Ontario (29 associazioni dichiarate) e la Federazione Unione dei Molisani in Argentina (FEUMA, 5 associazioni). Negli ultimi anni si è costituita anche la Federazione delle Associazioni Molisane d’Australia (7 associazioni presenti nell’area di Melbourne, di Adelaide, di Perth, di Sidney e della Tasmania).

La soluzione federativa se consente, da un lato, di rendere più stabili i rap-porti con le istituzioni molisane e di definire più agevolmente eventuali pro-getti operativi, limita, dall’altro, l’autonomia e la vitalità delle associazioni,

128 A questo proposito, spunti numerosi s’incontrano nelle opere narrative di alcuni autori di origine molisana che sono ritornati sui percorsi sociali e culturali compiuti da loro stessi e dal-le loro famiglie. Si vedano, in particolare: Nino Ricci, Vite dei santi, Fazi, Roma 2000; Anto-nio D’Alfonso, La passione di Fabrizio, Cosmo Iannone, Isernia 2000; Mary Melfi, Riti d’infertilità, Cosmo Iannone, Isernia e, soprattutto, Ritorno in Italia, Cosmo Iannone, Isernia 2012; Carole Fioramore David, Impala, Cosmo Iannone, Isernia 2003; Marco Micone, Il fico magico, Cosmo Iannone, Isernia 2005.

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che sono i veri collettori di adesioni e di legami con i migranti reali. Comun-que, al di là di queste questioni attinenti al modello organizzativo, la rete as-sociativa molisana, non diversamente da quelle di altre regioni impegnate sullo stesso terreno, tende a slabbrarsi e a restringersi con l’uscita di scena delle prime generazioni, le più convinte e impegnate nel lavoro di volonta-riato di tipo ricreativo. Si assiste così ad un progressivo ridimensionamento del numero delle associazioni realmente attive, che appena una ventina d’anni fa erano circa 150129. Una fase di regresso che, come si dirà, apre de-cisamente il problema della ridefinizione dei rapporti con i molisani d’ori-gine, soprattutto di nuova generazione.

9. Le leggi e le Conferenze regionali

L’assunzione delle competenze in materia di emigrazione da parte della Regione ha indotto quest’ultima a dotarsi di un sistema normativo e regola-mentare, che è passato attraverso diverse tappe, lungo un arco di tempo di oltre trent’anni.

La prima legge è adottata allo scadere della prima legislatura, sotto la pres-sione anche polemica di alcune associazioni europee di emigrati. Essa si col-loca nell’orizzonte culturale del tempo, che considera l’esodo come semplice fattore di spopolamento e come trauma sociale e familiare. L’ispirazione po-litica è di tipo assistenziale, e tradisce l’intento di sostenere il rientro degli emigrati, soprattutto europei, che in quegli anni di crisi perdono il lavoro. Vengono istituiti, ad ogni modo, la Consulta regionale dell’emigrazione, con il compito di studiare il fenomeno e di dare pareri sui provvedimenti, e il Fondo regionale, destinato al finanziamento degli interventi. Per favorire il reinserimento nella società regionale, è stabilita una priorità per gli emigrati nell’applicazione delle leggi esistenti130. Questa prima legge viene sostituita dopo un paio d’anni da una nuova normativa che, tuttavia, si limita ad allar-gare lo spazio nella Consulta per i rappresentanti delle associazioni, a intro-durre l’immancabile gettone di presenza, a ribadire la gestione assessorile del Fondo, limitando la partecipazione del Consiglio regionale ad una infor-

129 Le associazioni e federazioni ufficialmente iscritte, in base ad una complessa procedura burocratica, nel Registro regionale sono poco più di 50, ma oltre a queste esistono diverse de-cine di associazioni ancora capaci di esprimere un positivo dinamismo, soprattutto in Canada, Argentina, Brasile, Venezuela, Svizzera, Belgio e Australia. Da qualche anno un certo fer-mento associativo di molisani che hanno lasciato la regione si registra anche in realtà italiane, come Roma, il Friuli, la Lombardia, il Veneto e il Piemonte. Se ne vedano i nomi e le località nell’appendice documentaria.

130 Si parla della L. R. 17 marzo 1975, n. 25, Istituzione della Consulta e del Fondo regio-nale dell’emigrazione, Bollettino ufficiale della Regione Molise n. 12 del 22/03/75.

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mativa nella competente commissione consiliare, a destinare una quota delle risorse, pari al 25%, a contributi per il reinserimento nelle attività produttive e per la costruzione di abitazioni131.

Passeranno dodici anni prima che l’impianto sostanzialmente assistenziali-stico subisca modifiche significative alla luce delle nuove acquisizioni cultu-rali che si realizzano su queste tematiche e all’intensificarsi dei rapporti con le comunità molisane residenti all’estero, questa volta anche oltreoceano. La nuova legge del 1989132, infatti, risente palesemente dei contatti che si sono sviluppati nel corso degli anni ottanta con le principali aggregazioni associa-tive di molisani e della percezione, ormai raggiunta, dell’emigrazione non come stato di necessità, ma come esperienza irreversibile di insediamento in nuove realtà sociali e culturali, con tutte le implicazione di natura identitaria che ne derivano. Essa, così, affianca per la prima volta agli interventi di tute-la e agli incentivi di reinserimento la possibilità di «iniziative e attività socia-li e culturali dirette a conservare e rafforzare nelle comunità molisane all’estero il valore dell’identità della terra d’origine», nel quadro di «un’efficace azione di salvaguardia delle tradizioni regionali nonché dei vin-coli culturali e affettivi che legano alla terra d’origine i molisani residenti all’estero». I destinatari delle azioni previste dalla legge diventano, così, i cittadini di “origine” molisana.

Un secondo punto di rilievo riguarda il sistema di gestione: vengono intro-dotti la programmazione triennale degli interventi e il piano annuale, concer-tato con la Consulta, comprendente i finanziamenti. L’uno e l’altro sono sot-toposti all’approvazione del Consiglio regionale, estendendo in questo modo il coinvolgimento delle forze politiche. Nella Consulta lo spazio delle fede-razioni e associazioni, che ricevono contributi per il loro funzionamento, è più che raddoppiato e anche le funzioni dell’organismo, sia pure nell’ambito dell’espressione di parere, diventano più precise. Per gli emigrati rientrati resta il titolo di precedenza sui benefici destinati al sostegno delle attività produttive e si aggiunge il contributo sugli interessi per i mutui accesi per la costruzione di abitazioni; per essi, si fa esplicito riferimento a interventi di qualificazione e riqualificazione professionale. Tutta la partita assistenziale per i rientrati e loro parenti, in base alla normativa nazionale sulle deleghe, è affidata ai comuni, i quali però devono attendere il trasferimento di risorse da parte della Regione. C’è un felice passaggio dedicato ai soggiorni e agli scambi soprattutto giovanili e si definisce per le Conferenze regionali del-l’emigrazione una cadenza triennale.

131 L. R. 12 aprile 1977, n. 10, Disciplina degli interventi regionali per l’emigrazione, Bol-lettino ufficiale della Regione Molise n. 7 del 16/04/97.

132 L. R. 25 agosto 1989, n. 12, Interventi della Regione per l’emigrazione, Bollettino uffi-ciale della Regione Molise n. 16 del 01/09/89.

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Un sistema certamente più moderno e complesso, che per funzionare ha bi-sogno tuttavia di due condizioni essenziali: una penetrante capacità politica di realizzare sinergie tra le strutture pubbliche, ad iniziare dalle articolazioni assessorili della Regione, e un’elevata efficienza della macchina amministra-tiva. È facile immaginare come le buone intenzioni di quella che è stata la legge più organica della Regione Molise in tema di emigrazione si siano ben presto arenate sulle lentezze e i ritardi dell’amministrazione, sulle invalicabi-li separatezze assessorili, sui frequenti passaggi di mano dei responsabili po-litici, sui compromessi e sui ritardi consiliari. Con non poco sconcerto dei rappresentanti delle strutture associative che in molti casi, cittadini ormai di altri paesi, si sono abituati ad un sistema di relazioni con la pubblica ammi-nistrazione e con le istituzioni di altro tenore.

Il successivo intervento normativo133, infatti, ha un carattere di semplifica-zione e, in alcuni punti di regressione, rispetto a quanto già statuito. Il sistema di gestione subisce una torsione assessorile perché il Consiglio regionale inter-viene ormai solo per l’approvazione delle vaghe e generiche linee del Piano triennale, mentre la Giunta ha sostanzialmente mano libera negli interventi. Per motivi di urgenza, essa può addirittura assumere decisioni al di fuori dei piani previsti, “sentita” la Commissione consiliare competente. La consulta non esprime più pareri formali ma viene a sua volta “sentita” dalla Giunta prima dell’adozione dei provvedimenti, che restano comunque prerogativa e-sclusiva dell’esecutivo. Nella Consulta, inoltre, si restringono gli spazi di rap-presentanza del mondo associativo, la cui formale legittimazione è subordinata all’iscrizione nel registro regionale delle associazioni e delle federazioni.

L’ulteriore trapasso di clima culturale che si determina a cavallo del nuovo secolo con la costituzionalizzazione della Circoscrizione Estero e con l’ingresso in Parlamento dei rappresentanti dei cittadini all’estero, nonché l’enfatizzazione del ruolo che le comunità d’origine possono avere per l’inter-nazionalizzazione dell’economia nazionale inducono ad una rivisitazione dell’asfittica legge esistente, espressione di un’altra politica e di un’altra cultu-ra. La nuova normativa adottata dalla Regione134 si sviluppa tuttavia su linee abbastanza contraddittorie. Da un lato, infatti, fraseologie e richiami ai “moli-sani nel mondo” cercano di tradurre la nuova linea dell’“emigrazione come risorsa”, diventata un totem politico-culturale di fronte al quale pochi evitano di prosternarsi, dall’altro la gestione degli interventi viene saldamente mante-nuta nelle mani dell’assessore di turno e della Giunta, con una funzione so-stanzialmente coreografica del Consiglio regionale e un ruolo eminentemente

133 L. R. 24 marzo 1993, Modifiche alla legge regionale 25 agosto 1989, n. 12 recante «In-terventi della Regione per l’emigrazione», Bollettino ufficiale della Regione Molise n. 8 del 01/04/1993.

134 L. R. 2 ottobre 2006, n. 31, Interventi della Regione a favore dei “Molisani nel mondo”, Bollettino ufficiale della Regione Molise n. 28 del 05/10/2006.

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corporativo della Consulta, nonostante che quest’ultima cambi la sua denomi-nazione in quella più impegnativa di Consiglio dei molisani nel mondo. La frontiera del sostegno ai rientri arretra rispetto alla già acquisita difesa dell’identità della regione tra le sue comunità d’origine e al nuovo intento di sviluppare con esse “relazioni economiche”. Proposito sacrosanto, quello di puntare sulla diffusa diaspora molisana come leva per la promozione di una regione piccola e marginale nel contesto globale, a condizioni tuttavia di ab-battere le barriere settoriali e corporative che hanno caratterizzato le politiche delle istituzioni molisane verso l’emigrazione e farne il nucleo fondante di un programma di internazionalizzazione di natura intersettoriale. Invece, la sfida programmatica rientra subito nei ranghi e ci si limita a delineare i contorni di un programma operativo triennale di settore, che riassorbe il precedente pro-gramma annuale e che, affidato alla competenza della Giunta, fa dell’esecutivo il motore esclusivo degli interventi.

In compenso, si dettano criteri più precisi per la redazione del Piano opera-tivo. Tra le tipologie di intervento, non sono da trascurare i suggerimenti ri-guardanti la priorità da assegnare all’informazione e alla comunicazione, ponte indispensabile verso un retroterra emigratorio sempre meno “di nasci-ta” e sempre più “d’origine”, e alla formazione e aggiornamento culturale soprattutto delle giovani generazioni. Il tentativo di approccio ai giovani è forse l’aspetto più positivo di questa fase, soprattutto se realizzato nel rispet-to della loro autonomia culturale e decisionale. Viene istituito, infatti, accan-to al Consiglio dei molisani nel mondo, nel cui seno due vicepresidenti, di cui uno proveniente dall’estero, affiancano l’assessore, un Consiglio dei gio-vani molisani nel mondo, composto da 15 membri provenienti da diverse parti del globo, che hanno la facoltà di eleggersi un presidente e due vicepre-sidenti. La cadenza delle Conferenze viene fissata in due anni (non senza un po’ di umorismo, visto che in 35 anni se ne sono svolte appena quattro) e il vecchio attestato di benemerenza delle leggi precedenti viene trasformato nel premio “Grande Molise”.

L’anno successivo, però, il Consiglio regionale si riprende con gli interessi le sue prerogative che, come s’è visto, erano state praticamente cancellate, approvando una legge135 con la quale prescrive l’approvazione consiliare del Piano operativo triennale e, soprattutto, si riserva una quota del 40% dei fondi di settore disponibili per iniziative autonome verso le comunità all’estero. È difficile capire dove si fermi l’apprezzabile intento di un miglio-re equilibrio istituzionale in un campo che ha accresciuto la sua risonanza sociale e politica e dove inizi un confronto di potere per il controllo di possi-bili finanziamenti. E infatti non cercheremo di capirlo.

135 L. R. 10 aprile 2007, n. 12, Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 2 ottobre 2006, n. 31, recante «Interventi della Regione a favore dei “Molisani nel mondo”», Bolletti-no ufficiale della Regione Molise n. 9 del 16/4/2007.

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L’ultimo atto normativo in questo campo riguarda il riconoscimento e il sostegno ai sodalizi di molisani che operano ormai stabilmente in altre re-gioni italiane, per i quali si prevede la creazione di un albo regionale, in pa-rallelo con quello già esistente per i corregionali all’estero136.

L’impalcatura normativa rappresenta, comunque, solo la strumentazione di un rapporto con il mondo “emerso” dei molisani, quello, per così dire, istitu-zionalizzato, al quale gli enti, a partire dalla Regione, si sono rivolti con ini-ziative non sempre conciliate in un disegno coerente. Probabilmente, la pra-tica più efficace è risultata quella del contatto diretto con le comunità nei luoghi di insediamento promosso da rappresentanze istituzionali, allargate nei tempi più recenti anche all’Università e alle camere di commercio. Que-sti contatti sono stati l’occasione di una maggiore animazione delle stesse comunità, sensibili in genere ad atti di riconoscimento e di ricomposizione dei legami culturali e affettivi, e momenti di promozione del Molise in im-portanti paesi del mondo. Molto positive, tra queste iniziative, le “visite” di sindaci e di parroci alle comunità d’oltreoceano di matrice locale, per il forte legame emotivo e memoriale che esse conservano con il paese di origine, meta ormai di frequenti ritorni anche da parte dei giovani nati all’estero.

Un giudizio più critico si deve dare di quelle che avrebbero dovuto essere la massima espressione della valorizzazione in ambito regionale dei molisani nel mondo, vale a dire le Conferenze regionali dell’emigrazione. Come ac-cennato, se ne sono tenute quattro nel giro di trentacinque anni, con buona pace delle promesse di più rigorosa periodicità: ad Agnone nel 1986; a Cam-pobasso nel novembre del 1999; a Vinchiaturo e Isernia nel giugno del 2005; a Vinchiaturo, Isernia e Termoli nel 2011. Dal punto di vista degli approfon-dimenti tematici e della messa a punto di adeguate politiche regionali, nel complesso sono state occasioni mancate. Basti pensare, ad esempio, ai persi-stenti limiti che si registrano nel settore del turismo di ritorno, che pure sa-rebbe di grande interesse per la società regionale. Nel complesso, si sono privilegiati il carattere di kermesse, l’enunciazione di propositi e il messag-gio emotivo sull’ascolto dei convenuti dall’estero, sull’analisi dei problemi presenti nelle comunità, sulla ricerca di interventi efficaci e costanti nel tem-po. Meno deludente, invece, è il bilancio sotto altri profili, come quello di un ritorno di attenzione dell’opinione pubblica regionale verso una realtà che era stata velocemente rimossa e, soprattutto, la conoscenza reciproca dei de-legati esteri, lo scambio di esperienze, la ricerca di posizioni comuni. L’opportunità di ricomporre sia pure simbolicamente e per pochi giorni la diaspora molisana che si è irradiata in tutto il mondo andrebbe colta con

136 L. R. 10 febbraio 2009, n. 4, Interventi in favore delle associazioni dei molisani operanti in Italia al di fuori del territorio regionale, Bollettino ufficiale della Regione Molise n. 3 del 16/02/2009.

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maggiore attenzione e concretezza. Per le prossime scadenze, sarebbe augu-rabile, dunque, una preparazione più approfondita e la messa a punto di so-luzioni operative da parte di enti pubblici da discutere e definire attraverso il confronto con le rappresentanze associative.

10. Studi e rappresentazioni dell’emigrazione dei molisani

I tentativi di approfondimento culturale e di riflessione critica sull’emigra-zione dei molisani sono pochi rispetto all’entità e alla diffusione del fenome-no e, nella maggior parte dei casi, lontani nel tempo137. Per il periodo che qui si esamina, tralasciamo i riferimenti alle non poche pagine che Francesco Jovine dedica a questo tema e alle opere di Giose Rimanelli138, nonché al modo come nell’opera pittorica di Antonio Pettinicchi si rispecchi il senso di lacerazione della società regionale negli anni della seconda ondata migrato-ria: autori e opere che meritano una considerazione critica meno occasionale e frettolosa di quella che in questa circostanza si può fare. Ci si limita, dun-que, alle espressioni culturali più vicine che si sono avute lungo alcuni filoni di iniziativa e di ricerca che, per comodità espositiva, raccoglieremo in que-sto modo: l’istituzionalizzione della memoria dell’emigrazione, la narrazione e la memorialistica, la riflessione critica.

Per quanto riguarda il primo aspetto, i passaggi più significativi sono l’istitu-zione da parte del Consiglio regionale del museo regionale dell’emigrazione molisana “Arturo Giovannitti”139 e la costituzione del Centro studi sui molisa-ni nel mondo, annesso alla biblioteca provinciale “P. Albino”, da parte della Provincia di Campobasso140. Il museo risente del clima di attenzione verso gli italiani all’estero che si sviluppa anche a livello regionale e locale nel decennio a cavallo dell’ingresso del nuovo secolo e può essere considerato come la ver-sione molisana di una serie di tentativi e progetti, nella maggior parte dei casi rimasti purtroppo tali. Ad esso la legge istitutiva affida il compito di conserva-re e trasmettere la memoria storica ed etnografica dell’emigrazione molisana attraverso la raccolta e l’esposizione di materiale documentario, ricerche, ini-

137 Si allude alle pagine di Igino Petrone, alle analisi di Guglielmo Josa, all’elaborazione cri-tica di Enrico Presutti, alle pagine di Giambattista Masciotta nel Bilancio morale di un secolo, alle composizioni di Eugenio Cirese, ad alcune canzoni degli anni venti, alle prove narrative di Lina Pietravalle.

138 Sul Rimanelli “americano” si veda in questo numero il saggio di Sebastiano Martelli. 139 L. R. 26 aprile 2004, n. 10, Istituzione del museo regionale dell’emigrazione “Arturo

Giovannitti”, Bollettino ufficiale della Regione Molise n. 9 del 30/4/2004. A livello naziona-le, durante la XIII legislatura, l’on. Federico Orlando, eletto nel Molise, nell’ottobre 2000 a-veva proposto l’istituzione del Museo nazionale dell’emigrazione con sede in Campobasso.

140 Delibera della Giunta della Provincia di Campobasso n. 314 del 7 agosto 2000.

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ziative, anche per intensificare l’interscambio culturale e commerciale con le comunità all’estero. Il museo, di cui si prevede l’autonomia operativa e finan-ziaria, contraddetta però dalla presidenza assessorile del comitato scientifico, non è stato finora realizzato; se presto o tardi lo fosse, ci sarebbe certamente da approfondire, oltre ai programmi scientifici, anche l’impostazione espositi-va, allo scopo da evitare soluzioni statiche e un po’ “scenografiche” sperimen-tate in passato, in occasione di incontri con i rappresentanti dell’estero.

Il Centro studi sui molisani nel mondo, di recente ribattezzato Centro studi sulle migrazioni per tener conto dell’evidenziarsi dell’immigrazione anche nella regione, ha organizzato una quindicina di incontri con intellettuali d’origine molisana operanti in varie parti del mondo, mostre fotografiche e didattiche, tra le quali quella molto bella su Frank Monaco, convegni con i-stituzioni educative per la migliore conoscenza dell’emigrazione nella scuo-la, un incontro internazionale sulla figura di Arturo Giovannitti, da cui è sca-turito un volume collettaneo di studi141, ricerche su alcune delle principali comunità d’origine molisana nel mondo, come quella dell’Argentina, del-l’Uruguay, del Venezuela, della Germania.

A livello istituzionale, è da segnalare infine un importante convegno inter-nazionale – Il Sud e l’America: Molise ed emigrazione –, svoltosi a Campo-basso nel 1987 per iniziativa della Regione in collaborazione con la State University of New York at Albany142. Aperto da una suggestiva relazione di Alberto Mario Cirese sul Molise e la sua identità, l’incontro ha spaziato dal richiamo dei flussi dei molisani verso “la Mereca” alla formazione delle loro comunità, dalle problematiche relative all’integrazione nella nuova realtà al-le personalità più significative, dalla letteratura oltre i confini e dai riflessi dell’emigrazione in quella molisana ai problemi della comunicazione. L’importanza dell’evento è nel fatto che per la prima volta, a livello scienti-fico, si inquadra il fenomeno migratorio molisano nel contesto meridionale e lo si affronta in una chiave transnazionale. Tuttavia, le ricadute di questo sforzo di approfondimento culturale nel lavoro istituzionale e politico e nelle istituzioni formative della regione sono state poche e povere; lo stesso lavoro

141 Norberto Lombardi (a cura di), Il bardo della libertà. Arturo Giovannitti (1881-1959), Quaderni del Centro studi, Cosmo Iannone, Isernia 2011, che contiene contributi di Gino Massullo, Rudolph J. Vecoli, Emilio Franzina, Marcella Bencivenni, Antonio D’Ambrosio, Fraser M. Ottanelli, Luigi Bonaffini, Renato Lalli, Martino Marazzi, Luigi Fontanella, Béné-dicte Déschamps, Giuliana Muscio, Cosma Siani, Goffredo Fofi, Sebastiano Martelli, Joseph Tusiani, Vincenzo Lombardi.

142 Il convegno, svoltosi dal 26 al 28 giugno 1987, si è concentrato sui rapporti con il Nord America e ha visto la partecipazione di un nutrito drappello di importanti accademici e studiosi delle due sponde dell’Atlantico, tra i quali A. M. Cirese, A. Placanica, E. Franzina, P. Bevilac-qua, R. Cavallaro, B. Ramirez, R. N. Juliani, D. Candeloro, F. X. Femminella, S. La Gumina, G. Rosoli, G. Rimanelli, R. Lalli, J. Tusiani, S. L. Postman, F. L. Gardaphé, L. Reina, F. Salvatore, O. Tanelli, P. Di Donato, R. Raspa, C. Bianco, S. Martelli, R. Harney, G. Faralli, P. Corsi.

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di ricerca, stimolato da contributi certamente autorevoli, non ha avuto svi-luppi fecondi, con l’eccezione dell’impegno di studiosi già da tempo attivi sulle problematiche culturali molisane, come Cirese, Rimanelli, Lalli, Mar-telli, Cavallaro, Faralli, Salvatore.

Senza alcun sostegno pubblico, una replica in tono minore sotto il profilo organizzativo e della partecipazione si realizza qualche anno più tardi, nel novembre 1992, a Toronto, per iniziativa della Federazione delle associazio-ni molisane dell’Ontario e, in particolare, del suo referente Vincenzo Del Riccio. Alcuni intellettuali molisani di varia estrazione e provenienza143, as-sieme a numerosi emigrati molisani pervenuti al punto più alto della loro in-tegrazione e della loro ascesa sociale, riflettono sul modo come la cultura, nelle sue varie espressioni, possa sostenere la ricerca di radici e consentire di acquisire una moderna identità molisana nel contesto nordamericano.

Nella pubblicistica molisana dell’ultimo trentennio, infine, il tema dell’emi-grazione affiora con sempre maggiore frequenza e approfondimento. Le mo-nografie municipali, sempre numerose e di varia consistenza storiografica, non trascurano in genere gli aspetti migratori; nello stesso tempo, si rafforza il filo-ne memorialistico di diretta testimonianza. Di significativo valore storiografi-co e critico gli apporti di Gino Massullo144 e di Sebastiano Martelli145 rispetti-vamente sull’intreccio tra modernizzazione economico-sociale del Molise ed emigrazione e sui riflessi che il fenomeno ha avuto nella letteratura molisana e le forme che ha assunto negli autori d’origine italiana. Essi spostano in avanti i confini scientifici toccati in passato dai già citati lavori di Ricciarda Simoncelli e Francesco Citarella e rendono l’approccio con le problematiche emigratorie del Molise coerente con gli orientamenti critici che si sono affermati nella più recente fase di studi delle migrazioni.

Di singolare significato, poi, l’attenzione che l’emigrazione molisana ha destato in alcuni dei più importanti studiosi di migrazioni internazionali, co-me S. L. Baily, W. A. Douglas. R. Gandolfo, che all’emigrazione agnonese hanno dedicato ricerche conosciute in tutto il mondo scientifico; non meno importante, la comparsa su una rivista autorevole come «Altreitalie» di un’analitica ricerca sui migranti che da Napoli raggiungevano New York dal

143 Si tratta di Giose Rimanelli, Sante Matteo, Sheril Postman dagli Stati Uniti; Luigi Bi-scardi, Sebastiano Martelli, Giovanni Di Stasi, Pasquale Di Lena, Gabriella Iacobucci, Nor-berto Lombardi, dall’Italia; John Picchione, Frank Colantonio, Angelo Persichilli da Toronto.

144 Di Gino Massullo si ricordano il saggio Grande emigrazione e mobilità territoriale del Mo-lise, «Trimestre», 1994, 3/4, pp. 497-522 e i numerosi passaggi relativi al dispiegarsi e agli effet-ti dell’emigrazione sulla società molisana, contenuti nella Storia del Molise, Laterza, Roma-Bari 2000 e nella Storia del Molise in età contemporanea, Donzelli, Roma 2006, da lui curate.

145 Sebastiano Martelli è uno dei maggiori storici italiani della letteratura dell’emigrazione. Suoi contributi compaiono in tutte le maggiori antologie e riviste sull’emigrazione italiana; in essi sono ricorrenti i riferimenti agli autori molisana e alla realtà sociale e culturale della regione.

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1880 al 1891, tra i quali quella molisana rappresentava la presenza più co-spicua dopo quella campana146.

A questo s’accompagna il felice “ritorno” culturale di alcuni intellettuali molisani all’estero, come Giose Rimanelli, Luigi Bonaffini, Sante Matteo, Filippo Salvatore147, che in alcune loro opere elaborano la loro esperienza migratoria come testimonianza delle contraddizioni della contemporaneità e come ingresso in un orizzonte interculturale. Nella produzione editoriale na-zionale, si segnalano le opere del canadese-molisano Nino Ricci e il roman-zo di Joe Fiorito148 per i richiami al Molise come retroterra di forte caratte-rizzazione antropologica, capace di segnare in modo profondo la vita di chi se ne allontana non meno di chi ci vive.

Uno sforzo organico e sistematico sulla conoscenza dell’emigrazione moli-sana che legittima, unitamente ai riferimenti già fatti, l’impressione di un passaggio culturale su questi temi è quello dell’editore Cosmo Iannone149, che in poco più di dieci anni ha aperto quattro collane tematizzate, pubbli-cando nel complesso una sessantina di volumi. La linea saggistica avviata con i Quaderni sulle migrazioni alterna studi sugli aspetti generali sull’emi-grazione italiana e sulla mobilità contemporanea con ricerche specifiche sul Molise, che hanno consentito sia di approfondire le dinamiche del fenomeno a livello di comunità che di recuperare materiali importanti, quali le lettere di emigranti e documenti d’archivio. Con attenzione e continuità la collana Reti sta proponendo prove narrative soprattutto di autori di origine molisana, che si confrontano con le particolari dinamiche generazionali in emigrazione e con le complesse problematiche identitarie che in essa si sviluppano. È così che in Molise si è potuto compiere il “ritorno”, accanto al corpus poetico di Arturo Giovannitti, ormai scomparso, e al Rimanelli della più recente produ-zione in italiano, di una nuova generazione di autori d’origine quali Mary

146 Alberto Monteverdi, Aspetti demografici e socio-professionali dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti (1880-1991): un’indagine esplorativa basata sui registri di bordo, «Altreita-lie», luglio-dicembre 2004, pp. 53-111.

147 Di Giose Rimanelli, che già nel periodo “italiano” aveva pubblicato Peccato originale, Mondadori, Milano 1954, Biglietto di terza (Mondadori, Milano 1958, e Una posizione socia-le, Vallecchi, Firenze 1959, si richiamano, in particolare, Molise Molise, Marinelli, Isernia 1979, Moliseide, Brroklyn, Legas 1991, poi Edizioni Enne, Campobasso 1998 e Familia. Memoria dell’emigrazione, Cosmo Iannone, Isernia 2000; di Bonaffini, oltre alle traduzioni in inglese di Eugenio Cirese e Giuseppe Jovine, l’antologia trilingue Poeti dialettali del Molise, Cosmo Iannone, Isernia 1993, assieme a Faralli e Martelli; di Sante Matteo, Radici sporadi-che: letteratura, viaggi, migrazioni, Cosmo Iannone, Isernia 2007; di Salvatore, in particolare, Tra Molise e Canada, Lions Club, Larino 1994.

148 La trilogia dell’autore di origine alto molisana Nino Ricci, La terra del ritorno è stata pubblicata da Fazi, Roma 2004; il romanzo di Joe Fiorito, Le voci di mio padre è uscito per Garzanti, Milano 1999.

149 Per una conoscenza più di dettaglio delle collane e dei volumi pubblicati dall’editore i-sernino, si veda il catalogo generale in www.cosmoiannone.it.

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Melfi, Antonio D’Alfonso, Carole Fioramore David, Marco Micone, che an-che per questa particolare tessitura di legami culturali (ed editoriali) con la terra di partenza delle loro famiglie hanno potuto sviluppare la critica di un’integrazione appiattita e povera di valori e cimentarsi nella ricomposizio-ne di un disegno identitario plurale.

La collana memorialistica sta accogliendo opere di rilievo storico, come quel Città senza donne di Duliani, testo fondativo della letteratura italo-canadese, e documenti di restituzione di vissuto migratorio, densi di notizie e pathos narrativo. La collana Kumacreola, infine, affidata a un esperto di fa-ma mondiale come Armando Gnisci, continua a dragare il fecondo terreno della letteratura migrante, contribuendo all’affermazione di scrittori prove-nienti da diverse parti del mondo che hanno deciso di adottare l’italiano co-me lingua di espressione del loro immaginario contaminato.

11. Conclusioni: quasi un inizio

La questione migratoria per una realtà come quella molisana, percorsa sto-ricamente da correnti di mobilità ed esposta a forze di attrazione esterne per la sua limitata entità e per le sue persistenti problematiche economiche e so-ciali, è lontana dall’essere conclusa. Se, come s’è detto, si può considerare esaurito il ciclo dell’esodo massivo e lacerante che si è sviluppato nel tren-tennio successivo alla guerra, le situazioni che si sono determinate in forza di un processo ultrasecolare di sedimentazione e l’evoluzione che la stessa più recente migrazione ha avuto richiedono una capacità di visione e di costru-zione di reti relazionali impegnativa e non più eludibile. In più, come testi-moniano alcuni contributi di questa rivista, le partenze che si sono riaccese negli ultimi decenni, sia pure con caratteristiche diverse da quelle del passa-to, vanno al di là di una fisiologica mobilità di lavoro e di formazione, in co-erenza con quanto sta avvenendo nell’intero Mezzogiorno, e si configurano ormai come una vera e propria “nuova emigrazione”. A questo si aggiunge, infine, il dato che il Molise è divenuto terra di approdo di migranti e questa tendenza è destinata a rafforzarsi, non appena il condizionamento della crisi economica e occupazionale in atto diventerà meno stringente.

Una questione persistente, dunque, che richiede attitudine alla governance e impegno culturale di analisi e di elaborazione volto a individuare le dina-miche innovative e i tratti di notevole complessità che essa presenta.

Compiti – è bene dirlo – obiettivamente difficili. Prima di tutto perché le i-stituzioni e la società regionale si trovano a dovere essere un punto centrale di riferimento per una diaspora estesa e variegata proprio in una fase nella quale il rischio di perdita della propria autonomia e della propria individuali-tà è diventato alto e concreto. È vero che l’identità, di cui intere generazioni

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d’origine sono alla ricerca, si sostanzia soprattutto di tradizione, cultura e va-lori, ma sarebbe ingenuo sottovalutare l’effetto che la dissipazione di un’impalcatura istituzionale e amministrativa sulla quale si sono plasmati una classe dirigente e una prassi di governo avrebbe sull’intera compagine regionale e su quel più grande Molise che esiste nel mondo. Senza contare, sia detto per sorridere, la difficoltà di dovere spiegare a quanti da lontano hanno dovuto imparare a “sentirsi” molisani, non avendo nella loro forma-zione di partenza una sensibilità regionalistica, che il quadro di riferimento cambia nuovamente e che l’ancor giovane molisanità è alla ricerca di una di-versa adozione. Siamo, comunque, di fronte a processi reali e profondi che non si fermano di fronte alle parole o ai timori del peggio, sicché è bene col-locare queste considerazioni in più ampi confronti riguardanti la riorganizza-zione del sistema politico-istituzionale del paese perché esso diventi più a-datto e incisivo nel contrastare una crisi di inaspettata gravità. Intanto, con gli strumenti e le idee di oggi, occorre individuare con chiarezza le situazioni aperte e con esse misurarsi.

Il giacimento storico di presenza molisana all’estero, le cui dimensioni nel-le parole dei rappresentanti molisani crescono di settimana in settimana, for-se per un’inconsapevole ricerca di sicurezza di fronte alle inquietudini del presente, è fatto in larga prevalenza di persone d’origine e, per ragioni natu-rali, lo sarà sempre di più. Il rapporto con le generazioni più mature, che an-cora sorreggono la rete associativa e mantengono rapporti tenaci con i luoghi d’origine, è necessario, ma ad esse è opportuno chiedere di concorrere allo sforzo, difficile e impegnativo, di motivare i loro stessi discendenti alla con-servazione delle loro radici culturali. L’avanzare nel percorso d’integrazione, laddove essa è ancora in corso a causa di un meno lontano insediamento, è certo un dato positivo di cui non lamentarsi. Ai molisani conviene interloqui-re con persone inserite organicamente nelle loro società e che esercitano una cittadinanza attiva, anziché con individui marginali e senza peso sociale. E tuttavia l’integrazione, almeno per una larga parte di chi la persegue, erode memoria e scolora identità. La crisi evidente di una globalizzazione vissuta in maniera acriticamente livellatrice riapre, tuttavia, delle possibilità. La ri-scoperta del locale e del vicino, la diversa attenzione al territorio inteso non solo in senso geografico e produttivo ma culturale ed etico, porta a riannoda-re fili che sembravano scomparsi e radici all’apparenza recise. Le pratiche interculturali, che stanno penetrando anche in quelle che storicamente sono state casematte dell’esclusività e dell’assimilazione, prima ancora di essere il frutto di opzioni di civiltà, sono un fattore di coesione sociale: le uniche pos-sibili in un mondo ineluttabilmente migrante e plurale.

Per queste strade, che attraversano anche le realtà nelle quali i discendenti degli emigrati molisani si sono radicati, possono tornare verso le terre d’origine, anche verso il Molise, molti giovani che nei luoghi dove vivono

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hanno bisogno di sciogliere gli interrogativi riguardanti la loro identità e il loro profilo culturale ed etico. Il modo più facile per farlo sono le memorie familiari, le emozioni di inediti contatti con i luoghi e le persone della cer-chia parentale e paesana. Ma può bastare? Certamente no, anche perché il dilagare di strumenti e metodologie comunicazionali e l’affermarsi di forme di socializzazione mediatica moltiplicano le opportunità offrendo la possibi-lità di una quotidiana costruzione di rapporti a distanza. E a questo punto na-sce un primo, grande interrogativo relativo ai molisani all’estero, una do-manda che non trova ancora risposta: qual è la proposta culturale che la so-cietà e le istituzioni molisane rivolgono alle generazioni di origine per asse-condare la loro esigenza di radici e di identità nel rispetto della loro cittadi-nanza sociale e culturale in altri paesi del mondo? E ancora: quali forme di comunicazione e quali linguaggi adottare per cercare di immettere contatti diffusi e occasionali in una nuova rete di rapporti e metterli “a sistema”?

Una situazione altrettanto aperta è quella relativa al modo come la costella-zione delle presenze molisane nel mondo possa essere di supporto per lo sforzo di internazionalizzazione dell’economia e della società molisane. Un impegno tanto più urgente quanto più evidenti sono i sintomi della regres-sione determinata dalla crisi in corso. Si è già detto della necessità di supera-re l’ottica settoriale che ha caratterizzato finora l’approccio con la comunità molisana all’estero e assumere una metodologia d’intervento intersettoriale, da tradurre comunque in progetti concreti e verificati, compatibili con lo sta-to attuale della finanza locale. È comunque stupefacente come non si riesca-no a compiere nemmeno passi limitati in questa direzione, ad esempio sul piano del già ricordato turismo di ritorno, che tanti benefici potrebbe arreca-re, sol che si offrisse un pacchetto di soluzioni volto a coordinare e incenti-vare un fenomeno destinato a svilupparsi ulteriormente.

La diaspora, tuttavia, continua, anche se in forme meno visibili e “drammati-che”. Ne sono protagonisti i nuovi emigranti, più o meno temporanei, e quella fetta di giovani diplomati e laureati, in alcuni casi altamente specializzati, che compongono la costola molisana di un fenomeno di vasta scala soprattutto me-ridionale, che, viste le pesanti difficoltà occupazionali, si avvia a diventare en-demico. Anche su questo, non è il caso di indulgere ad atteggiamenti di pura denuncia o esortativi. L’abbandono delle terre di nascita e di formazione da parte di giovani acculturati, ma non solo di giovani con queste caratteristiche, nasce da condizioni oggettive e da bisogni incomprimibili; è destinato, dun-que, a durare. Lo si può certo limitare con la definizione e l’assunzione di un nuovo modello di sviluppo centrato su un diverso uso delle risorse regionali, e anche in questo caso il ritardo determina carichi sociali rilevanti. Ma, in pre-messa, occorrerebbe compiere uno sforzo di conoscenza del fenomeno: quanti sono, dove si dirigono, con quale proporzione di insediamenti stabili, quali so-no i rapporti che conservano con la società regionale, hanno intenzione di ri-

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torno, quali sono le possibilità e le condizioni di una collaborazione a distanza, e così via. Se è velleitario pensare di poterli fermare, sarebbe forse realistico studiare i modi per evitare che la loro formazione e le loro energie si perdano del tutto, deprivando irrimediabilmente la regione di così importanti risorse umane. Tanto più che alcuni dei giovani o ex giovani molisani hanno assunto in diverse parti del mondo ruoli di grande responsabilità nel campo della ricer-ca, delle professioni, dell’impresa.

Un motivo ulteriore di riflessione riguarda l’incomunicabilità tra questi nuovi protagonisti della mobilità regionale e gli emigrati e loro discendenti:

si evidenzia una divaricazione abbastanza netta tra il substrato culturale delle comunità molisane presenti in vari paesi del mondo, soprattutto se ancora raccolte intorno a reti associative, e la cultura di questi nuovi migranti senza un tradizionale immaginario migratorio, che spesso s’insediano nelle aree storiche di presenza dei molisani, e tuttavia non li incrociano e nemmeno li cercano150.

Come ridurre questa divaricazione e aprire canali di comunicazione tra

giovani d’origine e giovani in mobilità è un altro impegno di prospettiva. La questione migratoria regionale segna infine un passaggio epocale con

l’arrivo in Molise di migliaia di migranti provenienti soprattutto dall’est eu-ropeo, dal Nord Africa e dall’Asia. Una presenza che assimila definitiva-mente la regione alle altre aree italiane interessate da flussi costanti di immi-grazione e che, comunque, risponde ad esigenze specifiche di natura demo-grafica, soprattutto nelle zone di persistente abbandono, produttiva, per il ri-lievo che ancora conservano attività tradizionali in particolare nel settore a-gricolo, di assistenza personale e di sostegno dei servizi. Per percepire le di-namiche innovative che si sono innestate nel corpo sociale e negli orienta-menti culturali, basti pensare a quello che significa l’immissione di questi nuovi soggetti nell’ambito tradizionalmente sacrale della cura familiare o il pluralismo di pratiche religiose che di fatto si va estendendo. Anche in que-sto caso, una riflessione sul modo come metabolizzare positivamente questo frutto delle migrazioni contemporanee sembra un passaggio necessario per il futuro di un Molise al passo con i tempi.

150 Norberto Lombardi, Identità migranti, «Glocale», 2010, 1, Identità locali, p. 254.

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Finito di stampare nel mese di gennaio 2013

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per conto delle Edizioni Il Bene Comune